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Colli Tortonesi, via libera alla sottozona Derthona. Terre di Libarna, solo spumanti


Derthona
, Terre di Libarna e Monleale sono le tre sottozone della Doc Colli Tortonesi. Insieme raggruppano 46 comuni e 7 valli della provincia di Alessandria, vocate alla produzione di Timorasso e Barbera. Il tavolo vitivinicolo regionale di Regione Piemonte, in occasione dell’incontro di ieri mattina con il presidente del Consorzio, Gian Paolo Repetto, ha dato il via libera alla modifica del disciplinare della Doc Colli Tortonesi che disegna un futuro ancora più chiaro per una zona che si sta facendo largo nel mondo, a suon di vini bianchi e rossi di estrema qualità. Su tutti, luce verde alla sottozona Derthona e a una migliore profilazione della sottozona Terre di Libarna, riservata ai soli spumanti. Tecnicamente si tratta di “UGA“, acronimo di “Unità geografiche aggiuntive” utilizzato per identificare le “sottozone”.

Provvedimenti per i quali è stata richiesta la retroattività volontaria alla vendemmia 2024, per chi già rispetterà i nuovi parametri. In caso contrario, le modifiche dovrebbero entrare in vigore a partire dalla vendemmia 2025, comunque non prima dell’avallo definitivo del Comitato nazionale Vini. Il provvedimento mescola le carte in tavola nei Colli Tortonesi, al solo fine di mettere ordine. Disegnando i contorni di un futuro ancora più chiaro per una zona che si sta facendo largo nel mondo, a suon di vini bianchi e rossi di estrema qualità.

DERTHONA, IL VINO DOC OTTENUTO DALLE UVE TIMORASSO

Addio, in primis, alla “Colli Tortonesi Doc Timorasso”, a compimento del progetto portato avanti sin dalla fine degli anni Ottanta da alcuni vignaioli alessandrini, su tutti Walter Massa. Un passo indietro, per farne cento avanti. Con “Timorasso” si andrà a identificare solo l’uva o, meglio, il vitigno. Con “Derthona” i vini Doc prodotti con uve Timorasso. Il nome è quello dato dai romani all’attuale città di Tortona, divenuta oggi un nevralgico centro agricolo, logistico e industriale della provincia di Alessandria. Proprio a Tortona ha sede il Consorzio Tutela Vini Colli Tortonesi. Il nome Derthona, ad oggi, è più che mai noto agli amanti del basket, grazie all’omonima squadra (di Tortona, per l’appunto) che milita in serie A.

La posizione centrale e strategica della città, negli ultimi anni, ha causato un accentramento di potere da parte di grandi gruppi dell’industria e della logistica, che ha finito per schiacciare la vocazionalità agricola della zona (nota, oltre che per il vino, anche per la Pesca di Volpedo). Il ricorso all’antico nome romano Derthona è un implicito richiamo alle radici rurali di Tortona, voluto da un Consorzio e da una base produttiva animata da vignaioli che mirano alla qualità assoluta del prodotto. Non sono un caso gli investimenti di grandi nomi del vino, soprattutto delle Langhe, avvenuti negli ultimi anni nel comprensorio della Doc. E c’è anche chi si “rifugia” qui dal vicinissimo (e tormentato) Oltrepò pavese.

SOLO VINI SPUMANTI NELLA SOTTOZONA / UGA TERRE DI LIBARNA (VAL BORBERA)

La seconda importante modifica riguarda la sottozona / UGA Terre di Libarna della Val Borbera, che si trasformerà ufficialmente nel cuore della spumantistica alessandrina. Una piccolissima “Alta Langa” del Timorasso, per usare un “eufemismo” senza uscire dai confini del Piemonte. Con una produzione annuale che si assesta attorno alle 12 mila bottiglie Doc, quasi esclusivamente prodotte da una cantina icona del territorio come Ezio Poggio.

Grazie a un’estensione della sottozona Derthona alle zone più vocate delle valli Borbera e Spinti, i vini fermi base Timorasso potranno rivendicare il nome Derthona. La menzione “Terre di Libarna” scompare, in sostanza, dai vini fermi. E sarà ascrivibile in etichetta solo sui vini spumanti. La scelta non è casuale, visto che la vallata in cui ricade la sottozona Terre di Libarna gode di altitudini e acidità delle uve che favoriscono la spumantistica. Per lo stesso motivo, in futuro, l’alta Val Curone potrebbe essere assoggettata all’UGA Terre di Libarna.

La mappa dei Colli Tortonesi (® Cantina Vite Colte)

PICCOLO DERTHONA, DERTHONA E DERTHONA RISERVA

Confermate dal Ministero anche le richieste del Consorzio relative all’esclusione dei fondovalle e delle altimetrie superiori ai mille metri, per una produzione e pianificazione “verticale” del Derthona che deve essere vino di qualità uniforme e riconoscibile. Tre le tipologie approvate: Piccolo Derthona, Derthona e Derthona Riserva. «Abbiamo ristretto il perimetro dei comuni – commenta a winemag il presidente del Consorzio, Gian Paolo Repetto – portando la sottozona / UGA Derthona ad essere circa la metà della Doc Colli Tortonesi, grazie a 432 km quadrati di superficie rispetto ai 785 complessivi. Pochi sanno che la Colli Tortonesi è una Doc molto estesa in termini di territorio».

COLLI TORTONESI DOC: IN FUTURO NUOVE SOTTOZONE (UGA)

«Questa novità – continua Repetto, titolare dell’omonima cantina di Sarezzano – ci dà la grande possibilità di valorizzare le zone più vocate e di iniziare a lavorare al prossimo step, ovvero l’istituzione di altre sottozone (UGA), in areali a noi già ben chiari per la qualità costante delle uve e che fanno ben sperare per il futuro. La discussione sulle nuove “menzioni” si concentra piuttosto sul naming e su come renderle omogenee per tipologia e per uve. In definitiva, oggi abbiamo portato a casa il bersaglio grosso della modifica al disciplinare. Da domani lavoreremo un po’ più di fino».

NELLE ANNATE FAVOREVOLI SI ADOTTERÀ IL “SUPERO” PER IL PICCOLO DERTHONA

Dal punto di vista produttivo, le modifiche al disciplinare comportano un passaggio dagli 80 ai 75 quintali per ettaro, relativamente alla resa del Timorasso. La riduzione, un po’ a sorpresa, riguarda anche il Piccolo Derthona. Per la tipologia “di ingresso” della Doc, chiamata ad introdurre i consumatori a vini più stratificati e complessi (Derthona e Derthona Riserva, per l’appunto) l’ipotesi inziale era di 90 quintali per ettaro. Ma la proposta è tramontata dopo il primo confronto tra il Consorzio e i tecnici di Regione Piemonte. Al netto di un disciplinare restrittivo, che uniforma il “base” alla “Riserva”, l’asso nella manica sarà il ricorso al “supero di campagna”.

Un “escamotage”, normato dalle leggi vigenti, sino ad ora mai utilizzato dall’ente tortonese. «In annate favorevoli – annuncia ancora il presidente Gian Paolo Repetto – il Consorzio potrebbe deliberare il supero per il Piccolo Derthona. Questo ci permetterà una certa flessibilità a fronte di vendemmie positive sul fronte della quantità, ovvero in grado di garantire oltre alla qualità anche un certo volume di produzione. Il supero consentirà ancor più alla tipologia di “ingresso” della denominazione di avvalorare i propri risvolti, anche dal punto di vista strettamente “commerciale”».

LA VENDEMMIA 2024 DEI COLLI TORTONESI: BENE TIMORASSO E BARBERA

Non si parla neppure sottovoce di “supero” al cospetto della vendemmia 2024 dei Colli Tortonesi. Nel complesso, a conti fatti, il territorio registrerà una riduzione della produzione del 30% e una qualità da buona a ottima. Una novità interessante riguarda le gradazioni alcoliche dei vini atti a divenire Derthona e, ancor più, dei Barbera (Monleale incluso), altro vitigno principe della zona che tornerà su percentuali d’alcol in volume più moderate, dopo l’abbondanza delle annate precedenti.

Le maggiori difficoltà dell’annata 2024 riguardano i vigneti lavorati in regime biologico, con danni da peronospora che – in alcuni casi – vengono definiti «disastrosi» dai produttori alessandrini. La viticoltura biologica è molto diffusa all’interno della Doc Colli Tortonesi, al punto da assestarsi al 42% sul vitigno Timorasso (e dunque sui futuri vini Doc Derthona). La cifra del bio scende al 22-34% per il vitigno Barbera, la cui quota maggiore del vigneto è detenuta dalle cooperative.

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Colli Maceratesi, via libera a Ribona Riserva e Spumante Riserva


Colli Maceratesi Ribona Riserva
e Colli Maceratesi Ribona Spumante Riserva. Via libera alle due nuove tipologie “Riserva” della Doc Colli Maceratesi, con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale dopo un iter di tre anni, proposto e avviato dall’Istituto marchigiano di tutela vini (Imt) e dal Comitato Colli Maceratesi. L’introduzione delle due nuove versioni offre una possibilità enologica ed agronomica in più alle Marche del vino, nel contesto di una denominazione 
di 250 ettari, con un potenziale di circa 600 mila bottiglie complessive da 0,75 litri.

COLLI MACERATESI: ECCO RIBONA RISERVA E SPUMANTE RISERVA

Quarantasei i viticoltori e 28 i produttori della Doc. Colli Maceratesi Ribona Riserva e Colli Maceratesi Ribona Spumante Riserva costituiscono «un upgrade verso prodotti premium a maggior longevità, in linea con gli obiettivi di sviluppo di Imt e dei 74 produttori e viticoltori dell’area». Tra le altre disposizioni pubblicate in Gazzetta: l’eliminazione della tipologia novello per la versione rosso; sul fronte etichettatura e presentazione dei vini della Doc è prevista la possibilità per i produttori di riportare il nome geografico “Marche”, secondo indicazioni specifiche stabilite nel disciplinare.

«La modifica del disciplinare della Doc Colli Maceratesi, con l’introduzione dei due nuovi bianchi Riserva della Ribona nelle tipologie vino e spumante metodo classico – evidenzia il presidente Imt, Michele Bernetti – è coerente con il processo di aggiornamento di alcuni disciplinari delle nostre 16 denominazioni, nati circa 50 anni fa e che necessitano di essere attualizzati. Un’azione in linea con il percorso intrapreso dal Consorzio che punta a innalzare qualità e valore aggiunto delle produzioni. La notizia della pubblicazione in Gazzetta è il modo migliore per festeggiare i primi 25 anni di Imt».

I DISCIPLINARI DEI RIBONA RISERVA COLLI MACERATESI

Produzione massima contingentata (91 ettolitri per ettaro), procedimento di elaborazione di almeno 36 mesi per la Ribona Spumante Riserva con rifermentazione esclusivamente in bottiglia, immissione al consumo consentita solo dopo un affinamento di 12 mesi per la Ribona Riserva, costituiscono le principali norme per la vinificazione delle due nuove tipologie che saranno ottenute da uve coltivate in provincia di Macerata e nel Comune di Loreto, in provincia di Ancona.

Per il presidente del Comitato della Doc Colli Maceratesi, Filippo degli Azzoni: «Le due nuove Riserve introdotte grazie al lavoro fatto da Imt valorizzano il Colli Maceratesi Ribona, un prodotto con ottime potenzialità di crescita sul mercato, e sono in grado di rispondere a una domanda qualificata, capace di apprezzare le doti di longevità e di complessa eleganza che sono nel Dna del vitigno. Dopo anni di ricerca che hanno portato a questa scelta, si aprono ora delle opportunità per attivare nuovi canali di vendita, sia sul mercato interno sia estero; questo è molto positivo».

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Toscana, via libera a 639 ettari di vigneti: la metà saranno di Rosso di Montalcino


Regione Toscana
ha approvato l’elenco delle cantine toscane beneficiarie delle autorizzazioni per nuovi impianti di vigneti, con validità di tre anni a decorrere dalla data di approvazione dell’atto. Si tratta delle 818 aziende che ne hanno fatto richiesta, per un totale di 639 ettari (la quota destinata alla Toscana dal ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, a fronte di una richiesta totale di oltre 4877 ettari), corrispondenti all’1% dell’intera superficie toscana investita a vigneti.

Le aziende a cui sono state concesse autorizzazioni per superfici inferiori al 50% di quanto richiesto, spiega la Regione, potranno rinunciare all’autorizzazione tramite il sistema informatico di Agea entro 30 giorni dalla data di pubblicazione del decreto di concessione sul Bollettino regionale (Burt). Ad esprimere soddisfazione, su tutti, è il Consorzio del vino Brunello di Montalcino, proprio per la conclusione dell’iter relativo all’allargamento dell’albo Rosso di Montalcino Doc.

CONSORZIO DEL BRUNELLO: PIÙ BOTTIGLIE DI ROSSO DI MONTALCINO

«L’iniziativa del Consorzio – commenta il presidente Fabrizio Bindocci – ha trovato piena rispondenza da parte delle imprese del vino e una pronta presa in carico dalla Regione che ringraziamo. Da oggi la nostra denominazione del Rosso di Montalcino sarà più forte e in grado di rispondere alla domanda sui diversi mercati».

Le cantine aderenti al Consorzio del vino Brunello di Montalcino interessate sono 271, per un totale di 352 ettari di superficie destinati alla Doc Rosso di Montalcino. «L’ampliamento – spiega ancora Bindocci – non comporterà l’impianto di nuove vigne in quanto gli ettari aggiuntivi rivendicabili sono già parte delle mappe del territorio come quota di vigneti coltivati a Sangiovese ma non ancora compresi negli albi contingentati».

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Vendemmia 2024 Asti Docg: buona qualità per le uve Moscato


Una vendemmia 2024 «buona nella qualità del Moscato bianco e abbondante nelle quantità» per il Consorzio Asti Docg. L’incremento sul raccolto dello scorso anno è del 12%. Ma pur sempre
al di sotto del milione di quintali, con un ritorno al disciplinare produttivo in termini di resa media/ettaro che, quest’anno, si avvicina ai 100 quintali. È quanto comunicato in mattinata alla stampa a Palazzo Gastaldi (Asti), in merito alla raccolta da poco iniziata nei 10 mila ettari della denominazione e che durerà una ventina di giorni.

LA VENDEMMIA 2024 DELL’ASTI DOCG: LE CONDIZIONI DEL MOSCATO

Secondo la relazione tecnica del responsabile del Laboratorio del Consorzio, Guido Bezzo, la vite nel 2024 non ha avuto problemi di stress idrico (le precipitazioni piovose sono state circa 5 volte superiori rispetto a quelle del 2023). Quindi, le piante «non hanno accusato fenomeni di appassimento dell’uva, che si presenta in un buono stato fitosanitario». Un equilibrio tra vegetazione e frutto che ha permesso di riportare l’inizio della vendemmia nel mese di settembre, senza gli anticipi agostani del recente passato.

«Sotto il profilo qualitativo – cita la relazione di Bezzo – il contenuto zuccherino delle uve di Moscato annata 2024 risulta buono, attestandosi ad inizio vendemmia ad una media di 194 g/l, molto vicino ai valori ottimali (200 g/l) stimati per il raggiungimento del picco aromatico varietale. Anche la componente acida ha mantenuto valori prossimi a quelli ottimali, come anche quelli riscontrati nella componente zuccherina, aromatica e dello stato sanitario».

ASTI DOCG: VENDEMMIA 2024 FAVOREVOLE AI MERCATI

Per Lorenzo Barbero, vicepresidente senior del Consorzio Asti Docg: «La nuova stagione si apre sotto i migliori auspici. La vendemmia si preannuncia infatti più che soddisfacente sia sul piano dei volumi che, soprattutto, della qualità. Premesse fondamentali per lavorare al meglio su mercati che si stanno facendo sempre più competitivi, anche a causa di una congiuntura complessa su buona parte della domanda globale».

Il vitigno Moscato Bianco che dà vita alla Docg piemontese rappresentata dal Consorzio, tra i più antichi d’Italia, è coltivato in 51 comuni della Provincia di Alessandria, Asti e Cuneo rientranti nel paesaggio vitivinicolo Unesco. Le aziende consorziate sono 1013, divise tra 50 case spumantistiche, 778 aziende viticole, 153 vitivinicole, 17 vinificatrici e 15 cooperative.

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Alta Langa, Giovanni Carlo Bussi: «Vendemmia 2024? Cruciale il ruolo del viticoltore»


«Vendemmia 2024 dell’Alta Langa? Siamo fiduciosi che possa essere un’ottima annata. Grazie al costante impegno dei nostri viticoltori, le uve sono belle e sane. In un contesto in cui le condizioni climatiche sono meno prevedibili, il ruolo del viticoltore è sempre più cruciale». Lo assicura Giovanni Carlo Bussi, vicepresidente del Consorzio Alta Langa, che raggruppa i produttori degli spumanti metodo classico che si promuovono sui mercati e tra gli appassionati come “Alte Bollicine piemontesi“. La vendemmia 2024 dell’Alta Langa è cominciata con la raccolta dei primi grappoli di Pinot nero, nei giorni scorsi. Proseguirà quindi con le uve Chardonnay.

In vista della raccolta, il Consorzio Alta Langa ha avviato sin dai mesi scorsi una serie di appuntamenti dedicati ai soci, al fine di diffondere la conoscenza delle migliori tecniche agronomiche in vigneto e consolidare gli alti livelli qualitativi delle uve destinate a diventare Alta Langa Docg. Salvo qualche lieve riduzione di resa dovuta alle condizioni meteorologiche instabili nel momento della fioritura, quello che si attende è un raccolto quantitativamente nella media e con una buona qualità delle uve.

VENDEMMIA 2024 ALTA LANGA: LE CONDIZIONI CLIMATICHE

La stagione è stata caratterizzata da un innalzamento delle temperature a inizio primavera, seguito da un periodo alquanto piovoso e fresco. Le precipitazioni sono state circa il doppio della media, rendendo l’annata agricola 2024 la più piovosa degli ultimi 67 anni. Nei vigneti delle province di Asti, Cuneo e Alessandria l’esperienza e la tempestività di intervento dei viticoltori sono dunque state ancor più fondamentali per scongiurare la comparsa di fitopatie.

Con l’arrivo dell’estate, le condizioni si sono ristabilizzate, consentendo una regolare maturazione delle uve. Ciò ha collocato il periodo di vendemmia tra l’ultima decade di agosto e l’inizio di settembre. In particolare, la vendemmia 2024 dell’Alta Langa è iniziata nelle zone più precoci e assolate di Strevi (Alessandria), Serralunga d’Alba (Cuneo) e Castel Rocchero (Asti). Nei prossimi giorni la raccolta entrerà nel vivo risalendo i vigneti a quote collinari via, via più elevate. È il caso di Roddino (CN) e Bossolasco (CN), dove l’invaiatura non è ancora completata.

IL SUCCESSO DELL’ALTA L’ALGA

Il Consorzio Alta Langa vanta oggi oltre 70 case spumantiere aderenti, 440,5 ettari di vigneti e 3,2 milioni di bottiglie prodotte in occasione della vendemmia 2023. Nel 2002, l’Alta Langa ottenne il riconoscimento di prima Doc piemontese dedicata al metodo classico. Un vero e proprio traguardo enologico, con l’obiettivo di «far crescere il territorio nel rispetto della grande storia vinicola che lo contraddistingue, portando la vigna dove un tempo era marginale per riuscire a valorizzarne al meglio l’unicità nel pieno rispetto delle singole entità produttive».

A seguire, nel 2011, l’Alta Langa otterrà la Docg retroattiva al millesimo 2008. Caratteristica distintiva dell’Alta Langa è quella di essere prodotto con uve Pinot nero e Chardonnay, in purezza o insieme, esclusivamente millesimato. Ogni etichetta riporta infatti l’anno della raccolta delle uve. Può essere bianco o rosé, brut o pas dosé. Ma avrà sempre, come prevede il rigoroso disciplinare, non meno di 30 mesi di affinamento sui lieviti.

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Più bottiglie di Trebbiano Spoletino: «Il Consorzio punta a mezzo milione»


La produzione di Trebbiano Spoletino raddoppierà nei prossimi anni grazie all’allargamento della zona Doc a tutti i Comuni dove è già possibile produrre il vino più noto della zona, il Sagrantino di Montefalco. Lo ha annunciato durante l’evento di apertura di “A Montefalco” il nuovo presidente del Consorzio Vini Montefalco e Spoleto, Paolo Bartoloni. «Il Sagrantino – ha dichiarato – è ormai è un must e grazie ad esso vogliamo entrare nella “Top 10” dei vini italiani. Ma non scordiamoci del Trebbiano Spoletino. Il Cda ha deciso di ampliare la zona Doc per passare dalle attuali 225 mila bottiglie a mezzo milione, nel giro dei prossimi anni».

MONTEFALCO SEMPRE PIÙ “BIANCO”

«Le tendenze cambiano – ha aggiunto Paolo Bartoloni – il bianco cresce. Con questo provvedimento resteremo comunque un’area di nicchia, capace di produrre 4,5 milioni di bottiglie sommando tutte le denominazioni. Per affrontare il mondo ci servono comunque i numeri». Al momento sono 450 gli ettari di terreni Doc Montefalco Rosso, 390 quelli del Sagrantino di Montefalco e solo 50 quelli destinati a Trebbiano Spoletino Doc.

«Oggi produciamo 1 milione di bottiglie di Sagrantino di Montefalco – ha concluso il presidente del Consorzio – ma siamo arrivati a produrne anche 2 milioni nella storia della denominazione. Anche grazie alla crescita del Trebbiano Spoletino possiamo dimostrare al mondo di essere una “terra del vino” unica in Italia, nella quale si possono produrre grandi vini rossi e grandi vini bianchi nello stesso fazzoletto di terra».

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«Più soci, bottiglie e mercati»: la Cantina Negrar del nuovo presidente Brunelli


Giampaolo Brunelli
 è il nuovo presidente di Cantina Valpolicella Negrar, il numero 14 nella storia della cooperativa veneta. Ad affiancarlo nel suo mandato triennale in qualità di vice presidente sarà Alessia Ceschi, 33 anni, avvocato a Verona. Entrambi sono nati a Negrar di Valpolicella, sono figli di viticoltori soci pluridecennali della cantina e hanno già avuto esperienza direzionale nei trascorsi direttivi. Brunelli è dal 2014 all’interno del collegio sindacale e Ceschi dal 2020, in qualità di consigliere.
Tra i progetti del nuovo corso, la realizzazione di una trentina di vasche dalla capacità di 53 mila ettolitri, entro il 2025.

L’obiettivo è «aumentare la capacità di stoccaggio di vini che necessitano un lungo affinamento». Sarà inoltre concluso l’ampliamento della cantina per altri 2.700 metri quadrati, da destinare a magazzino e all’impianto di imbottigliamento da 12 mila bottiglie all’ora. Altra mission del nuovo presidente è l’allargamento della base sociale – oggi i soci sono 230, per oltre 700 ettari di vigneto – in modo da «rafforzare la capacità produttiva e allargare i mercati». Ultimo progetto è quello di «gettare le basi per realizzare un bilancio di sostenibilità».

«Abbiamo di fronte situazioni molto complesse sia dal punto di vista economico che sociale – commenta il nuovo presidente di Cantina Valpolicella Negrar, Giampaolo Brunelli – a cui però intendiamo rispondere non chiudendoci a riccio, ma con lo slancio e l’energia propri a una compagine “giovane”, che guarda a un futuro migliore, desiderosa di portare la cantina a bissare i primi 90 anni». «Nel mio mandato, in linea con il presidente e il consiglio – aggiunge Alessia Ceschi, prima donna a ricoprire la carica di vice presidente della cantina – porterò la mia professionalità e la mia sensibilità verso il cambiamento, a beneficio dei soci e del territorio».

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Cantina Santadi è Cantina dell’anno per la Guida Top 100 Migliori vini italiani 2024


È Cantina Santadi la Cantina dell’anno per la Guida Top 100 Migliori vini italiani 2024 di winemag.it (disponibile in prevendita a questo link).
Cantina di Santadi si trova nel Sulcis, nella zona sud-occidentale della Sardegna, a pochi chilometri dalle meravigliose spiagge e dune bianche di Porto Pino. Nata nel 1960, assume un nuovo un nuovo volto con l’arrivo di un nuovo gruppo dirigente, che ne solleva le sorti sino a renderla un vanto non solo per la Sardegna, ma per l’Italia intera. Il vitigno Carignano è da allora al centro del progetto enologico, senza tuttavia trascurare i vitigni a bacca bianca tradizionali della Sardegna come Vermentino, Nuragus e Nasco.

Il desiderio di imporsi sui mercati con qualità è dimostrato dall’arrivo a Cantina Santadi dell’enologo di fama internazionale Giacomo Tachis, oggi compianto. Erano gli anni Ottanta. L’impronta lasciata dal creatore di vini icona dell’enologia italiana come Sassicaia, del Tignanello e del Solaia si fa ancora sentire a Santadi in vini come Terre Brune (primo vino barricato della Sardegna che in questa Guida si aggiudica 96/100, con l’annata 2019), Rocca Rubia, Noras, Araja, Grotta Rossa e Antigua, oltre che nei bianchi Villa di Chiesa, Cala Silente, Pedraia, Villa Solais e Latinia.

La cantina è presieduta dal 1976 da Antonello Pilloni, socio di Santadi dal 1974 e coadiuvato da un Cda che mira a dare all’azienda una forma «snella, dinamica e puntuale». Negli anni Duemila l’altra grande rivoluzione. Con l’obiettivo di produrre vini di maggior qualità viene costruito un moderno e funzionale laboratorio per le analisi, vengono implementati il reparto vinificazione, la sala barrique, il magazzino per il confezionato e vengono aggiunte una serie di vasche in cemento. Non viene mai dimenticato il rispetto e la tutela dell’ambiente e quest’ultima trance di lavori include un impianto fotovoltaico e un moderno depuratore. Cantina Santadi conta oggi 200 soci viticoltori che, insieme, coltivano 600 ettari di vigneto nell’areale del Sulcis.

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Vini toscani: Doc Maremma trascinata dal Vermentino

È una Doc Maremma trascinata dal Vermentino quella che emerge dagli ultimi dati dell’Associazione Vini Toscani Dop e Igp (Avito). La denominazione è tra le più performanti nel primo semestre 2023. Si attesta infatti al 4° posto per volumi imbottigliati dopo Toscana Igt, Chianti e Chianti Classico. I primi sei mesi dell’anno hanno visto un aumento del 13% rispetto allo stesso periodo del 2022, in controtendenza rispetto alla situazione generale toscana. E il Vermentino, ormai, rappresenta il 34% dell’imbottigliato della Doc Maremma (+6% rispetto allo scorso anno). Cifre che contribuiscono a fare della Toscana la seconda regione per numero di ettari della varietà a bacca bianca, dopo la Sardegna: ben 832, più del doppio della Liguria.

«Prosegue il trend di consolidamento per la Denominazione – spiega Francesco Mazzei, presidente del Consorzio Tutela Vini della Maremma Toscana – che si dimostra in questo momento più dinamica rispetto alle altre toscane». Quanto al Vermentino: «Ci aspettiamo che la nuova menzione Superiore per questa tipologia porti anche una forte crescita nella qualità percepita e dell’immagine della Denominazione. Contribuisce al trend positivo della Doc anche il crescente interesse per un altro vitigno autoctono, il Ciliegiolo, fortemente radicato in Maremma».

L’area di produzione dei vini Doc si estende in tutta la provincia di Grosseto, una delle più vaste d’Italia. È delimitata a ovest dalla fascia costiera del mar Tirreno, a nord dai confini con la provincia di Livorno, lungo il corso dei fiumi Cornia e Pecora, a sud dalla provincia laziale di Viterbo lungo il corso del fiume Fiora e del fosso Chiarone. E ad est dai confini con le province di Pisa e Siena caratterizzati, a nord-est, dai rilievi delle Colline Metallifere, quindi dal corso del fiume Ombrone e del suo affluente Orcia, dal massiccio del Monte Amiata e, più a sud, dalla Selva del Lamone.

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Il vigneto Italia vale 56 miliardi di euro


Il vigneto Italia vale 56,5 miliardi di euro, per un corrispettivo a ettaro di 84 mila euro, quattro volte più della media delle superfici agricole.
Lo rileva l’analisi dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly con una ricognizione sui valori dei 674 mila ettari del vigneto nazionale che da Nord a Sud della Penisola generano un’economia da oltre 30 miliardi di euro l’anno e rappresentano al contempo uno degli investimenti più redditizi in assoluto sul piano fondiario. Con il mercato che risponde con un boom di transazioni, dettate in particolare da fondi e family office interessate soprattutto alle regioni a maggior vocazione enologica e di conseguenza a maggior tasso valoriale, come Alto Adige, Trentino, Veneto, Toscana e Piemonte.

Le quotazioni massime più alte dei filari italiani – a volte sopra il milione di euro per ettaro – si riscontrano in provincia di Bolzano, nella zona di Barolo e Barbaresco, sulle colline di Conegliano e Valdobbiadene e a Montalcino. Si va dai 300-500.000 euro a ettaro per la zona di produzione del Trento Doc, la Valpolicella, Bolgheri e la Franciacorta. Stime di poco inferiori per le aree del Prosecco Doc, del Lugana, del Chianti Classico e Montepulciano. Negli ultimi 15 anni, secondo le rilevazioni elaborate dal Crea, la grande maggioranza delle denominazioni ha incrementato le proprie punte di valore: si va da Montalcino (+63%) a Valdobbiadene (+16%), da areali nel bolzanino come Caldaro (+75%) o Canelli nell’astigiano (+58%) fino al Collio (+50%), all’Etna (+57%), ai filari montani della Valle d’Aosta (+114%).

TERRITORI VOCATI A PRODUZIONI DI SUCCESSO

L’alto valore medio a ettaro del vigneto Italia (dato dalla presenza di ampi territori vocati a produzioni di successo, come Prosecco, Valpolicella, Lugana, Pinot grigio, Valdadige) associato all’estensione del vigneto (100.000 ettari circa) pone il Veneto in testa alla classifica generale dei valori fondiari. Per il presidente di Unione italiana vini (Uiv), Lamberto Frescobaldi: «Il vigneto Italia è ormai un brand globale specie nei suoi territori più vocati, e questo è un elemento di forza a cui gli investitori non possono sottrarsi. Notiamo come in genere l’ingresso di fondi internazionali o di famiglie facoltose nelle aree simbolo della viticoltura italiana sia in primo luogo una questione di prestigio, poi certamente un bene rifugio o un elemento di diversificazione degli asset».

Ma alla base c’è la consapevolezza di investire sul valore nel senso più etimologico del termine, più che di aderire a un progetto remunerativo nel breve-medio periodo con il solo valore della produzione. In Italia si assiste a questo – ha concluso Frescobaldi -, e non è un caso se Bernard Arnault, presidente del gruppo Lvmh, ha recentemente acquistato Casa degli Atellani di Milano, vigna di Leonardo compresa».

Per l’amministratore delegato di Veronafiere, Maurizio Danese: «Il vino italiano è un capitale strategico del Paese e Vinitaly lo ha ribadito con un rapporto realizzato dall’Osservatorio assieme a Prometeia con i nuovi numeri di una filiera da 31,5 miliardi di euro l’anno. Il settore, che vanta la miglior bilancia commerciale tra tutti i comparti del made in Italy tradizionale, ha una propensione all’export doppia rispetto all’agroalimentare e questo ha un peso anche sul valore fondiario di un prodotto sempre più globale, sempre più riconosciuto come bandiera dell’Italian style. Non è un caso se per l’azienda leader mondiale nella consulenza nel settore real estate, il volume degli investimenti nel vigneto Italia è segnalato in crescita in tripla cifra nell’ultimo biennio».

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Docg del Piemonte: 622 nuovi ettari tra Barolo, Barbaresco, Gavi, Asti e Alta Langa


Cresce il vigneto Docg del Piemonte, in potenziale espansione di 622 ettari entro il 2025, anche con uno sguardo alla conduzione biologica e sostenibile. Nel 2023, nelle Langhe, aumenteranno gli ettari vitati di Nebbiolo per la produzione di Barolo e Barbaresco. Previsti anche nuovi impianti di Moscato Bianco per l’Asti Docg e di Cortese per il Gavi Docg.
A fare “outing”, sino ad ora, è stato solo il Consorzio dell’Alta Langa Docg, che ha annunciato a fine dicembre 2022 una crescita di 220 ettari nel triennio 2023/2025, utile a sostenere il consolidamento sui mercati dello spumante Metodo classico piemontese, ormai assestatosi sui 3 milioni di bottiglie annue.

Alta Langa vero fenomeno del metodo classico italiano: 597 ettari entro il 2025

La richiesta di assegnazione da parte dei titolari delle aziende agricole del territorio è tuttora in corso. Il termine per la presentazione delle domande, in alcuni casi possibile già a partire dal 22 dicembre 2022, è previsto per il 15 febbraio 2023 sul portale Siap.

BAROLO, ALTRI 66 ETTARI: CORSIA PREFERENZIALE PER LA VITICOLTURA SOSTENIBILE

Il via libera a nuovi ettari per la produzione di Barolo risale a fine dicembre 2022. Tre giorni prima di Natale, Regione Piemonte ha messo sotto l’albero dei produttori di Langa l’approvazione del programma di regolamentazione triennale 2023/2025 e il “Bando regionale per la presentazione delle domande di assegnazione dell’idoneità alle superfici vitate, ai fini della rivendicazione della denominazione di origine controllata e garantita Barolo”.

La richiesta di 66 nuovi ettari nel triennio (22 all’anno; 0,5 ad azienda), avanzata dal Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani, risale al 24 novembre 2022. L’approvazione regionale si basa sulle motivazioni – o, meglio, sull’analisi di mercato – fornita dall’ente presieduto da Matteo Ascheri. Il Consorzio ha «convenuto di andare nella direzione di una viticoltura sostenibile», inserendo per la prima volta «criteri che prendano in considerazione non solo le superfici, ma anche le modalità di conduzione, verso la sostenibilità agroambientale».

«Nell’ultima programmazione – come apprende winemag.it dal documento allegato dal Consorzio alla richiesta di nuovi ettari indirizzata a Regione Piemonte – la denominazione Barolo non ha visto la possibilità di avere nuovi ettari iscritti, in quanto l’ultimo bando era di fatto chiuso, avendo una dotazione pari a zero».

Questa scelta è stata, a suo tempo, motivata dalla prudenza verso una denominazione che cresceva costantemente. Si voleva avere un po’ di tempo per vedere quale fosse la reazione del mercato nell’assorbire il maggiore quantitativo di bottiglie prodotte. Nell’ultimo triennio le vendite sono aumentate, in particolare lo scorso anno abbiamo registrato un incremento del 22 % rispetto all’anno precedente ed anche le giacenze sono stabili o in calo. Segno tangibile dello stato di salute della denominazione».

Secondo il Consorzio, «mantenendo comunque sempre prudenza, pare dunque opportuno riprendere la programmazione, concedendo un aumento delle iscrizioni a Barolo nella misura dell’1% rispetto alla superficie totale, quindi 22 ettari all’anno». La richiesta viene definita dal Consorzio «un’apertura moderata a nuove superfici», il cui obiettivo è «anche quello di concentrare l’attenzione su vigneti già esistenti, senza andare a favorire un’ulteriore riduzione di terreni destinati ad altre colture».

PIÙ ETTARI PER IL BARBARESCO, MA CON CRITERI DI AMMISSIBILITÀ

In occasione della richiesta del 24 novembre, il Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani ha affrontato con Regione Piemonte anche il capitolo Barbaresco. Sulla base del programma di regolamentazione triennale 2023-2025 e del Bando regionale per nuovi superfici vitate della Docg, l’ente ha deciso di proseguire sulla strada già tracciata negli anni precedenti. La crescita dei vigneti di Nebbiolo atti alla produzione di Barbaresco, disposti su un areale relativamente ristretto, sarà di 7 ettari all’anno, per un totale di 21 ettari nel triennio (0,5 ettari ad azienda).

Prima di avanzare la richiesta, il Consorzio di Tutela si è rapportato con le rappresentanze di filiera del territorio. La denominazione Barbaresco, del resto, è cresciuta in modo stabile sia per quanto riguarda la produzione, con una media di 4,8 milioni di bottiglie negli ultimi 5 anni, sia per l’imbottigliamento, pari a 4,6 milioni di bottiglie nell’ultimo anno.

«La proposta di mantenere i 7 ettari all’anno – apprende winemag.it dalla documentazione ufficiale – va nell’ottica di una crescita graduale della denominazione. La scelta di utilizzare per la prima volta criteri di ammissibilità, per quanto riguarda la nostra esperienza, è nell’ottica di evitare la presentazione di domande da parte di soggetti che difficilmente arriverebbero ad avere una positiva assegnazione, nel caso dello IAP (Imprenditore agricolo professionale, ndr), ed anche per non aumentare la superficie agricola destinata a vigneto, come dimostra l’ammissibilità riservata alle sole variazioni di idoneità (da Langhe Nebbiolo al 31/07/ 2021, ndr)».

15 NUOVI ETTARI DI GAVI DOCG NEL 2023

Un Natale 2022 “movimentato” anche in casa Gavi Docg. La determina di Regione Piemonte che approva la richiesta inviata dal Consorzio di Tutela il 4 marzo 2022 è arrivata il 21 dicembre. La denominazione di origine controllata e garantita che comprende i territori di 11 Comuni della Provincia di Alessandria potrà così crescere, nel corso del 2023, di altri 15 ettari (0,5 ad azienda).

ASTI DOCG: +300 ETTARI ENTRO IL 2024

Attraverso una «rimodulazione del programma triennale 2022-2024», anche il Consorzio dell’Asti Docg ha chiesto a Regione Piemonte l’approvazione della modifica delle superfici di Moscato Bianco per il 2023. Il quadro è per certi versi simile a quello del Barolo. A fronte della decisione iniziale di sospendere le iscrizioni di nuove superfici allo schedario viticolo, l’ente presieduto da Lorenzo Barbero ha inviato a Regione Piemonte una nuova richiesta, il 24 novembre 2022. La «rimodulazione» prevede, per il rimanente periodo 2023- 2024, un aumento del potenziale della denominazione per complessivi 300 ettari. In occasione della vendemmia 2021, gli ettari rivendicati sono stati 9.712, su un totale di 9.930 ettari (differenza pari ai vigneti non ancora in produzione).

Il Consorzio, sentite le rappresentanze di filiera del territorio, ha fornito a Piazza Castello un dettagliata analisi di mercato. «I dati recenti – si legge sul documento – dimostrano come la produzione venga completamente allocata sul mercatoLa quantità commercializzata di Asti Spumante e Moscato d’Asti negli ultimi tre anni è in costante crescita, essendo passata dai 87,5 milioni di bottiglie del 2019 ai 91,5 milioni di bottiglie del 2020. Sino ai 103 milioni di bottiglie del 2021 (772.500 ettolitri)».

Alla base della richiesta di 300 nuovi ettari di Moscato Bianco ci sarebbero anche le condizioni del vigneto dell’Asti Docg. Da un’analisi compiuta dal Consorzio su dati di Regione Piemonte, risulta che l’età dei vigneti è mediamente elevata (34 anni) con più del 50% della superficie vitata con età superiore a 30 anni. «L’età avanzata dei vigneti – evidenzia l’ente di Asti – fa ipotizzare che la resa sia destinata a diminuire con il passare degli anni. Si ritiene quindi opportuno che, a fronte di una tendenza all’erosione del potenziale produttivo di Moscato bianco per Asti Docg, la superficie vitata venga incrementata».

Il provvedimento riguarda l’intero areale produttivo, ovvero 51 comuni compresi fra le Province di Alessandria, Asti e Cuneo, nell’intento di «rispondere alle crescenti richieste di mercato, contribuendo a dare stabilità al valore della produzione vitivinicola e stimolando al contempo il rinnovo dei vigneti di Moscato bianco, per mantenere nel tempo una capacità produttiva adeguata alla richiesta di mercato». Una volta assegnati, gli ettari dovranno essere impiantati entro il 31 luglio 2026.

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Etna Doc, crescita record nel 2022 spinta anche dall’Etna Bianco Superiore di Milo


Il 2022 certifica l’ottimo stato di salute dell’Etna Doc. È quanto emerge dai numeri relativi all’imbottigliato dello scorso anno, analizzati e diffusi dal Consorzio di Tutela Etna Doc. Una fiducia che va ben oltre la conclusione dei lavori di mappatura delle contrade (qui la mappa). Se il 2021 ha rappresentato l’anno della auspicata ripresa, con dati in linea con gli anni precedenti l’inizio della pandemia, il 2022 sembra l’anno della consacrazione non solo per Etna Doc Rosso ed Etna Doc Rosato, ma anche per l’Etna Doc Bianco Superiore prodotto nel Comune di Milo, nonché per il rosato. 

Nell’anno appena conclusosi sono stati imbottigliati 43.651,09 ettolitri di vino, pari a poco più di 5,8 milioni di bottiglie, con una crescita del 28,68% rispetto al 2021. Un dato che, se confrontato con il 2019, ultimo anno prima dell’inizio della crisi pandemica e che si era chiuso già in modo molto positivo, sale al 34,6%.

«Se gli ottimi dati del 2021 potevano essere visti come un normale rimbalzo rispetto all’anno precedente, flagellato dall’inizio della pandemia – commenta Francesco Cambria (nella foto, sotto) presidente del Consorzio Tutela Vini Etna DOC.grazie soprattutto alla riapertura del mondo Horeca, quelli relativi al 2022 certificano ora in modo inconfutabile la grande e costante crescita della richiesta sia sul mercato nazionale che internazionale».

Al di là dell’andamento generale e delle differenze presenti nelle singole tipologie della nostra denominazione, emerge un aspetto che probabilmente è quello che più di tutti ci riempie di orgoglio e dona grande fiducia per il futuro: la credibilità.

I nostri vini sono riusciti a conquistarsi una posizione di grande prestigio all’interno del mercato locale, nazionale e anche nei principali Paesi dell’export grazie a scelte oculate da parte di tutta la base produttiva, che puntano a preservare la qualità e la tipicità del nostro terroir».

IL DETTAGLIO: SORPRESA ETNA DOC SUPERIORE

Scendendo nel dettaglio delle singole tipologie, l’Etna Rosso, che rappresenta poco più del 50% dell’imbottigliato complessivo, cresce del 28,36%, pari a 23.365,31 ettolitri. Crescita altrettanto sostenuta anche per la seconda tipologia più imbottigliata, l’Etna Bianco, con il 28,08%, pari a 14.366,09 ettolitri.

Spiccano, anche se su numeri complessivi più piccoli, le ottime performance di due tipologie sempre più richieste e apprezzate dai consumatori, vale a dire l’Etna Bianco Superiore, le cui uve devono provenire esclusivamente dal Comune di Milo sul versante est del vulcano, che cresce del 67,19% con 746,48 ettolitri imbottigliati, e l’Etna Rosato, salito del 45,53% con 3.880,61 ettolitri imbottigliati.

Stabile, ma sempre in crescita l’Etna Spumante, +5,85% con 792,65 ettolitri imbottigliati (erano 160 mila le bottiglie nel 2020, +30% sul 2019). Gli unici dati con segno meno sono relativi all’Etna Rosso Riserva, -26,30% con 146,87 imbottigliati, e all’Etna Spumante Rosato, -19,73% con 353,08 ettolitri imbottigliati, che derivano più da singole scelte produttive che non da minori richieste da parte del mercato.

LUNETTA: «CRESCITA RECORD TRA VIGNETI E BOTTIGLIE»

I dati sono evidenti – aggiunge Maurizio Lunetta, direttore del Consorzio – e certificano una crescita che possiamo certamente definire da record. Negli ultimi 10 anni la superficie dei vigneti Etna Doc e la produzione di bottiglie è quasi raddoppiata.

Si può affermare che la crescita è legata sia al rafforzamento dei mercati in cui siamo già presenti e sia alla forte spinta data dall’enoturismo, che vede l’Etna tra le destinazioni più ambite dai wine lovers di ogni parte del mondo. 

«I numeri – conclude Lunetta – ci danno ci danno grande energia e fiducia e confermano la necessità di gestire la crescita della denominazione con oculatezza e responsabilità».

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Alta Langa vero fenomeno del metodo classico italiano: 597 ettari entro il 2025


Continua la crescita inarrestabile, ma ragionata, dell’Alta Langa Docg. Nel 2022 le vendite sono quasi raddoppiate. Quello piemontese è il vero fenomeno del metodo classico italiano. Per la precisione, il 2022 si chiude con un +40% sulle vendite rispetto all’anno precedente, che già aveva fatto segnare un +42% rispetto ai valori pre-pandemia. Le cantine socie del Consorzio, con sede ad Asti, salgono a 134 grazie all’ingresso di 18 nuove compagini, tra case produttrici e viticoltori.

La produzione attesa di Alta Langa vendemmia 2022 è di 3 milioni di bottiglie. Un risultato sostanzialmente in linea con quello del 2021, nel quale il leggero calo dovuto alle particolari condizioni climatiche dell’annata è stato mitigato dall’entrata in produzione di nuovi impianti. Il prossimo decennio sarà comunque fondamentale per avere un quadro esaustivo delle reali mire dei produttori di Alta Langa Docg, che annunciano di voler «crescere e affermarsi» ulteriormente. 

Nel 2023 sarà infatti riaperto il bando vigneti che consentirà l’iscrizione di 220 nuovi ettari ad Alta Langa Docg nel prossimo triennio 2023-2025. Il vigneto dell’Alta Langa potrà così passare dagli attuali 377 ettari (175 in provincia di Cuneo, 164 in provincia di Asti e 38 in provincia di Alessandria) ai complessivi 597 ettari. Un provvedimento che viene definito «un forte segnale di fiducia nel futuro della denominazione» da parte del management dell’ente di Tutela, che in passato aveva deciso di bloccare gli impianti.

ALTA LANGA DOCG: CRESCERANNO GLI ETTARI

Nel dicembre 2019, alla luce della situazione di mercato e delle scorte in affinamento presso le cantine delle aziende associate, il Consorzio Alta Langa aveva inviato a Regione Piemonte la proposta di sospensione delle iscrizioni di vigneti della denominazione per il triennio 2020 – 2022. Un’occasione che i produttori non vogliono perdere, invece, a partire dal prossimo anno: la programmazione regionale prevede infatti l’apertura e la chiusura delle iscrizioni ogni tre anni. Nel 2023, sempre in Piemonte, cresceranno anche le superfici destinate alla produzione delle Docg Gavi, Barolo, Barbaresco e Asti.

«La nostra denominazione – commenta la presidente del Consorzio Mariacristina Castelletta – è unica e speciale, fatta da persone ambiziose, agricoltori e produttori di bollicine uniti insieme da una visione lungimirante e da un grande orgoglio piemontese. Abbiamo fatto tanta strada in questi ultimi anni. Solo dieci anni fa i produttori erano 12. Anno dopo anno siamo cresciuti in termini di vendita con percentuali a doppia cifra».

«Ora – conclude Castelletta – inizia una nuova sfida: il prossimo triennio sarà determinante per il futuro. L’apertura sostanziale delle superfici ci proietta, entro 10 anni, in una dimensione doppia rispetto all’attuale. Abbiamo davanti un grande futuro e la possibilità di una crescita importante che affronteremo tutti insieme, coesi, mantenendo la vocazione di qualità che questo vino ha nel suo Dna».

Prima dell’Alta Langa 2022, migliori assaggi: il Metodo classico piemontese è al giro di boa

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Asti Docg verso l’aumento della superficie vitata: 300 ettari per 3 milioni di bottiglie


Asti Docg
verso uno storico ampliamento dell’area di produzione. L’
Assemblea Generale dei consorziati ha approvato l’ampliamento di 300 ettari della superficie vitata iscrivibile allo schedario vigneti di Moscato bianco, da assegnare nel 2023 e 2024. Il Consorzio parla di «interruzione a una limitazione che si protraeva da lungo tempo» ed è pronto a proporre il provvedimento a Regione Piemonte, per la ratifica.

«La nuova produzione – spiega ancora il Consorzio – si tradurrebbe in circa 3 milioni di bottiglie e costituirebbe una “scorta” per reagire con prontezza alle sollecitazioni del mercato, consolidando l’equilibrio con prospettive di crescita». Le nuove piante, «non andrebbero in piena produzione prima del quarto anno dall’impianto e contribuirebbero al rinnovamento dei vigneti di Moscato bianco per l’Asti Docg».

La sfida dell’ente «è mantenere i numeri positivi che hanno caratterizzato il 2021, quando si erano registrati oltre 60 milioni di bottiglie di Asti Spumante e 42 milioni di Moscato d’Asti.

Intanto, il Consorzio dell’Asti Spumante e del Moscato d’Asti Docg guarda con ottimismo al futuro e prosegue la marcia di avvicinamento al prossimo 17 dicembre, quando festeggerà il traguardo del 90esimo anniversario, «forte di una vendemmia 2022 dall’esito sorprendente».

«Nonostante la siccità che ha caratterizzato questo 2022 – commenta in una nota il Consorzio – la vendemmia dell’uva Moscato bianco si conclude con risultati assolutamente positivi, se vi vanno a considerare lo stato sanitario delle uve, la gradazione zuccherina e il contenuto aromatico dei mosti».

LA VENDEMMIA 2022 DELL’ASTI SPUMANTE E DEL MOSCATO D’ASTI

La sintesi aromatica registrata quest’anno, infatti, è la più alta degli ultimi anni. E il livello volumetrico si trova in equilibrio rispetto ai disciplinari. In particolare, nell’area di produzione dell’Asti Docg, che si estende per 9.900 ettari in 51 Comuni, la piovosità fino ad agosto è stata inferiore del 30% rispetto agli anni scorsi.

Nei mesi invernali e primaverili, fortunatamente però, si sono evitati i danni da gelo e, una volta cominciato il germogliamento, lo sviluppo della vite è stato rapido e costante, anticipando di circa 10/20 giorni la vendemmia, cominciata attorno al 20 agosto.

Nonostante lo stress idrico e le elevate temperature, la qualità dell’uva non è stata influenzata da fenomeni di scottature ed appassimento, da un lato grazie all’adattamento della tecnica colturale e dall’altro al maggiore ispessimento della buccia causato all’insolazione stessa.

La fertilità della vite, intesa come numero di grappoli per germoglio, nel 2022 è stata addirittura superiore al 2021, ma ha dato origine a grappoli con acini più piccoli. Delle alte temperature ha beneficiato poi la sanità dell’uva è stata elevata, permettendo un minor numero di interventi sulle piante, a tutto vantaggio della sostenibilità.

Lorenzo Barbero, Presidente del Consorzio, guarda con ottimismo al futuro. «Nonostante il quadro geopolitico internazionale e i costi dell’energia che si stanno abbattendo sulle nostre aziende – commenta – ci sono tutti i presupposti per ottenere ottimi vini, attesi dai mercati che hanno confermato l’interesse per l’Asti Spumante e il Moscato d’Asti Docg».

«La vendemmia 2022 – aggiunge Stefano Ricagno, Vice Presidente Senior del Consorzio dell’Asti Spumante e del Moscato d’Asti Docg – è frutto di un anno climatico difficile e impegnativo. Il gran caldo e l’eccezionale siccità confermano che i cambiamenti climatici non sono un fenomeno “in divenire”, ma dobbiamo imparare a conviverci fin da ora mutando e adattando i nostri comportamenti».

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Prosecco Doc: un ettaro di Glera in più a cantina. Ecco le condizioni

«Equiparare, a precise condizioni e in vista di potenziali futuri attingimenti, le superfici di Glera ottenute da estirpo e reimpianto di vigneti già esistenti al 31 luglio 2018, alle superfici di Glera a terra a quella stessa data». È la richiesta formalizzata oggi dal Consiglio di Amministrazione del Consorzio del Prosecco Doc, inviata per l’approvazione alla Regione Veneto e alla Regione Friuli Venezia Giulia.

Con questa richiesta – spiega Stefano Zanette, presidente del Consorzio – non si andrà ad incrementare il potenziale viticolo delle nove province della nostra Denominazione.

Quello che vogliamo scongiurare, infatti, diversamente da quanto sostenuto in questi giorni da alcuni, è l’incremento delle superfici vitate destinate alla produzione di Prosecco Doc a scapito di altre colture».

L’intento del Consorzio è «quello di assicurare alla denominazione una crescita ordinata e sostenibile, sia dal punto di vista ambientale che economico e sociale. In questa fase – conclude l’ente di Treviso – tale opportunità verrà concessa con un tetto massimo di un ettaro ad azienda, perpetuando il modello socio-economico sul quale poggia il successo della nostra denominazione».

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I migliori Riesling italico italiani: Oltrepò pavese sugli scudi, sorpresa Collio

Potesse parlare, il Riesling italico avrebbe la voce inconfondibile di Carmen Consoli. Quell’album del ’97, “Confusa e felice“, lo descrive nel giro delle prime tre tracce, per dimensione e ambiguo dualismo: “Bonsai”, “Uguale a ieri” e “Diversi”. Andrebbe avanti con la quarta, che dà il nome al disco. E tornerebbe a tacere dopo “Un sorso in più”, “Fino all’ultimo” e “La bellezza delle cose”.

Serve la musica – ad alto volume – per non pensare che i 1.259 ettari di Riesling italico presenti in Italia (dato 2016) siano, quantomeno, una mezza occasione persa. Di sicuro per l’Oltrepò pavese, il territorio con le maggiori (e migliori) espressioni del vitigno su scala nazionale. Ma il discorso è valido anche per gli altri territori in cui l’Italico è storicamente allevato, nella penisola.

“Confusi e felici” sembrano molti produttori (e Consorzi) che, per ragioni di marketing e mancanza di iniziativa, tendono a confondere il Riesling Italico con il Riesling renano. Senza neppure differenziali in etichetta. Anzi giocando sulle ambiguità.

Un errore comunissimo anche tra i professionisti del settore. Che al al grido di Mineralité, dimenticano – in assoluta Liberté – che non c’è Égalité e neppure Fraternité tra il Riesling italico e il Riesling renano.

Lo sa bene il ricercatore Stefano Raimondi, che sino allo scorso anno ha fatto parte del gruppo di lavoro del Cnr che ha tentato di ricostruire la vera storia del Riesling italico. Un vitigno dal nome «un po’ così», come direbbe Paolo Conte, tornando alla musica. Che rischia, inevitabilmente, di confondere le carte in tavola.

STORIA E ORIGINI DEL RIESLING ITALICO

Al termine di un decennio di studi avviati nel 2010 – spiega Raimondi a winemag.it – siamo riusciti a individuare uno dei due genitori del Riesling italico. Si tratta della Coccalona Nera, varietà a bacca rossa da cui discendono una trentina di vitigni, tra cui Barbera e Vespolina. Il secondo genitore, purtroppo, non è ancora noto».

La Coccalona Nera era molto diffusa in tutta la fascia compresa tra la Germania meridionale e la Pianura padana. «In Italia – spiega ancora Stefano Raimondi – si trovava in particolare a nord dell’Appennino settentrionale. Tramite l’incrocio con l’altro genitore sconosciuto può aver dato vita al seme che, una volta selezionato, è diventato il Riesling italico».

Se la Coccalona Nera è quasi certamente una varietà di origini italiane, è dubbia la provenienza del vitigno col quale si è incrociata, dando vita all’Italico. Di certo, il primo luogo in cui è ricomparsa è la Germania.

WELSCHRIESLING, GRASEVINA E OLASZRIZLING. MA ATTENZIONE ALLA CINA

Da lì si sarebbe diffusa, tornando presumibilmente in Italia dopo aver trovato casa in Austria (Welschriesling, 3.233 ettari), Ungheria (Olaszrizling, 3.933) e Croazia (Graševina, 4.459 ettari). Sino al 2010 era la Serbia a detenere il record degli ettari vitati: ben 33 mila, oggi ridotti a 2.037. Un primato passato all’Est Europa, con i 7.136 ettari della Romania.

A sfruttare l’assonanza del nome del vitigno con l’Italia è la solita Cina, che negli ultimi anni ha immesso sul mercato diversi Riesling italico, frutto di ben 3 mila ettari di vigneti allevati sotto la coda del Dragone.

Non indifferenti le quote di Slovenia (1.935), Repubblica Ceca (1.114 ettari) e Spagna (1.064 ettari), dove è conosciuto col nome di Borba blanca, impiantato in Extremadura. Risicate le cifre di Paesi come Brasile (188 ettari), Macedonia (270) e Slovacchia (456).

RIESLING ITALICO: UN’OPPORTUNITÀ PERSA?

Dal primo grande tasting mai organizzato in Italia sul vitigno (appuntamento che winemag.it intende replicare anno dopo anno) emerge innanzitutto un dato inconfutabile: il Riesling italico è un vitigno sottovalutato.

Il maggiore entusiasmo si registra in Oltrepò pavese, terra in cui il dualismo con il Riesling renano e la generica definizione di “Valle del Riesling” adottata dal Consorzio – figlia di una politica di promozione e storytelling confusa e generalista, che non trova conclamati consensi nazionali o internazionali – mette i bastoni tra le ruote al percorso identitario dei due vitigni.

Se da un lato la degustazione di winemag.it è stata accolta con grande favore da numerosi vignaioli della zona, dall’altro emergono segnali preoccupanti di immobilismo istituzionale.

Il Consorzio di Tutela, interpellato sulla mancanza di chiarezza nella comunicazione dei due vitigni, preferisce non rispondere per bocca della presidente, Gilda Fugazza. E col direttore Carlo Veronese se la cava così: «Non è il Consorzio che fa i disciplinari, ma le aziende del territorio».

Da quando sono qui di proposte più o meno condivisibili ne ho ricevute tante, ma nessuna di queste riguarda il Riesling. Se ci sarà una richiesta legata al Riesling la valuteremo e la proporremo al Cda e all’assemblea».

Eppure il dibattito, durante i “Tavoli” varietali pre-pandemia (2019), era stato acceso tra “sostenitori” del Riesling italico e del Riesling Renano, in Oltrepò. Tra i primi c’è il giovane vignaiolo Matteo Maggi, titolare di Colle del Bricco, a Stradella (PV).

IL RIESLING ITALICO DI COLLE DEL BRICCO

«Negli anni – spiega a winemag.it – ho sperimentato parecchio perché non vi è storico in Oltrepò su questo vitigno. Sia in vigneto che in cantina ho cercato di provare diverse tecniche. Altre le sto ancora sperimentando, per trovare un equilibrio».

In vigneto è importante gestirne la potatura, perché è generoso, nonché azzeccare l’epoca di vendemmia. C’è un detto sul Riesling Italico in Oltrepò che dice: “Il giorno prima è acerbo e il giorno dopo è marcio”. In cantina, tanto rispetto per uva e mosti. Poco ossigeno e controllo della temperatura».

«Ci tengo – continua Matteo Maggi – perché è un po’ il Calimero della viticoltura oltrepadana e forse italiana, in generale. Snobbato e bistrattato. Lo abbiamo sempre avuto qui. È sempre stato il nostro vitigno a bacca bianca. E per me la comunicazione di un territorio deve focalizzarsi soprattutto sugli autoctoni».

Il Riesling italico, per il patron di Colle del Bricco, è anche una questione affettiva. «Fa parte della storia storia della mia famiglia – rivela il giovane vignaiolo -. A mio nonno, da viticoltore hobbista, piaceva il Riesling italico. Lo stesso vale per mio padre. Io ne ho fatto una sfida personale».

Arrivare secondo non mi piace e credo che l’Italico in Oltrepò pavese possa diventare il primo in tutto il mondo. Il Renano, invece, viene nettamente meglio in Mosella. Quindi mi chiedo: perché puntare su un vitigno che ti mette in ombra, quando potresti determinare tu un mercato, con un altro vitigno?».

I MIGLIORI RIESLING ITALICO ITALIANI (E NON SOLO)

Prima dell’ampio dettaglio sui migliori Riesling italico degustati da winemag.it, alcuni consigli dall’estero, per l’esattezza da Croazia e Ungheria. Due Paesi che dimostrano quanto l’Italico sia in grado di leggere il “terroir”. E restituire, nel calice, vini di qualità assoluta.

In Croazia, da non perdere le diverse espressioni di Graševina di Vina Antunović, la boutique winery fondata da una delle poche “Donne del vino” croato, Jasna Antunović Turk. Siamo a Dalj, nella regione di Erdut, a due passi dal confine con la Serbia. Oltre alla 2020, convince la Graševina 2015 Premium, frutto di una sapiente vinificazione in legno grande che esalta le capacità di lungo affinamento del vitigno.

Per espressione del varietale, ottima anche la Graševina 2020 Premium di Vina Belje, cooperativa croata che sta puntando molto sul “Riesling italico”, anche grazie a nuovi impianti. Benissimo anche la Graševina 2020 di Vina Erdut, azienda guidata da Josip Pavić, presidente dell’Associazione produttori di vino della Croazia.

Spostandosi in Ungheria, l’assaggio da non perdere è quello dell’Olaszrizling 2020 Szent György-Hegy di Ujvári. Un gioiello assoluto, che nasce da terreni ricchi di basalto. Un “Riesling italico” che abbina verticalità, polpa, carattere e gastronomicità.

Note uniche per la varietà, conferite dal terroir vulcanico ed esaltate del lavoro sapiente di una delle giovani enologhe magiare più promettenti: la stessa Vivien Ujvári impiegata come winemaker da Barta Pince, nella regione di Tokaji. Del resto, la zona nord del lago Balaton investe sull’Olaszrizling addirittura con una denominazione ad hoc, in cui il Riesling italico è assoluto protagonista: Csopak.

IL RIESLING ITALICO ITALIANO: TUTTI I PUNTEGGI

RIESLING ITALICO DELL’OLTREPÒ PAVESE
DENOMINAZIONE CANTINA RATING
1 Oltrepò pavese Doc Riesling 2020 Rugiadé La Travaglina
Giallo paglierino, riflessi verdolini. Naso delicato, floreale e mela al naso. Corrispondenza gusto olfattiva perfetta. Chiude salino, asciutto, chiamando il sorso successivo. 85/100
2 Oltrepò pavese Doc Riesling 2020 Quaquarini
Giallo paglierino leggermente velato. Naso e bocca sulla frutta matura, a polpa gialla: non solo mela, anche albicocca. Sorso piuttosto morbido, ben riequilibrato dalla freschezza. 85/100
3 Oltrepò pavese Doc Riesling 2020 Briná Cà del Gè
Giallo paglierino pieno, limpido. Fiori e frutta matura, che sfora quasi nell’esotico. Sorso morbido, equilibrato, pieno. Un’ampiezza dettata dalla setosità glicerica dell’alcol. Chiude asciutto, piacevolmente amaricante. Vino gastronomico, da abbinamento importante. 89/100
4 Oltrepò pavese Doc Riesling 2020 Filagn Long Cà del Gè
Giallo paglierino. Floreale, intenso sul frutto. Pesca gialla ancora più netta del precedente. Anche al palato, tanta frutta e apporto glicerico. Alcol integrato nel corredo di un vino giocato sulla piacevolezza di beva. 87/100
5 Oltrepò pavese Doc Riesling 2020 Valter e Davide Calvi Calvi
Giallo paglierino, riflessi verdolini. Fiore bianco al naso, delicato. In bocca mela tagliata, sorso molto semplice, che conferma una piacevole e controllata nota ossidativa. 83/100
6 Provincia di Pavia Igt 2020 Riesling Kantharos Calvi
Giallo paglierino. Naso su fiori bianchi e mela ossidata. In bocca si rivela ancora giovane e di buona prospettiva. Chiude su note terziarie di mou, vaniglia e caramello, ricordando inoltre la mandorla. Vino gastronomico, a cui dare tempo. Certamente un’interessante prova sul vitigno. 85/100
7 Vino bianco Italico Pietro Torti
Giallo paglierino. Al naso gran purezza delle note fruttate, quasi aromatiche. Corrispondente al palato, tutto giocato sui primari. Emerge il gran lavoro in vigna, in termini di perfetta epoca di raccolta (non semplice sul vitigno). Cosa chiedere di più a un vino da tavola? 86/100
8 Oltrepò pavese Doc Riesling 2020 Pietro Torti
Giallo paglierino. Al naso ancora una volta una gran purezza, questa volta abbinata a una maggiore stratificazione. Mela, floreale, un tocco di agrume che ricorda il mandarino. Al palato un tocco leggerissimo petillant. Bella presenza al palato, su ricordi di mela e mandarino. Buona persistenza. 88/100
9 Oltrepò pavese Doc Riesling 2013 Moglialunga Pietro Torti
Giallo paglierino, colore che ha retto perfettamente all’urto del tempo. Naso puro, su un frutto di perfetta maturità. Vino che non dimostra affatto gli anni che ha, neppure al palato. Frutto, profondità, freschezza, equilibrio. Da bere oggi o conservare ancora. 90/100
10 Oltrepò pavese Doc Riesling 2014 Antonio Dellabianca
Giallo paglierino. Leggera frizzantezza. Bella pulizia delle note fruttate, in equilibrio con la vena amaricante della chiusura. Vino semplice, beverino, piacevole. Glou-glou. 85/100
11 Oltrepò pavese Doc Riesling italico 2020 Magia Antonio Dellabianca
Senza voto SV
12 Provincia di Pavia Igt Riesling italico 2015 Vigna del Lodigiano Antonio Dellabianca
Uno dei pochi vini del tasting affinato in barrique. Alla vista si presenta di un color ambra. Naso curioso, complesso, intrigante. Spazia dalla frutta matura a polpa gialla alla frutta secca, sino a curiose note di macchia mediterranea, resina, ginger. In bocca l’ossidazione preme sull’acceleratore e appiattisce lo spettro gustativo. Vino che va necessariamente atteso nel calice (il consiglio è di aprire con parecchio anticipo la bottiglia). Ecco dunque note di frutta a polpa gialla stramatura, ad anticipare ricordi di frutta secca, nel finale e nel retrolfattivo. Etichetta che può avere sicuro mercato tra gli amanti “natur” (“vino naturale”). 83/100
13 Vsq Metodo classico Brut Riesling Inganno 572 Calatroni
Giallo paglierino, buona luminosità. Perlage piuttosto fine, persistente. Naso di gran purezza, tutto sul frutto, con ricordi netti di mela renetta. Altrettanto puro è il palato, che abbina al modesto residuo zuccherino una bella vena fresco-acida. Si può lavorare ancora sulla finezza del perlage, ma il calice convince per tipicità e per coraggio, oltre a dimostrare una delle potenziali leve future del vitigno in terra oltrepadana: la spumantizzazione col Metodo tradizionale, per minimo 9 mesi. 86/100
14 Provincia di Pavia Igt Riesling 2021 Amber Demon Perego & Perego
Colore ambrato, come suggerisce il nome. Bel frutto disidratato per un orange che conserva la riconoscibilità del vitigno, cosa non del tutto comune. Vena amaricante in chiusura, a riequilibrare la generosità glicerica e a dare gastronomicità. 86/100
15 Provincia di Pavia Igt Riesling 2020 Amber Demon Perego & Perego
Senza voto SV
16 Oltrepò pavese Doc Riesling Khione 2020 Colle del Bricco
Giallo paglierino. Naso tipico, sulla mela e sull’albicocca, sul fiore bianco. In bocca perde un po’ di materia (frutto) e vira sulle durezze, tra salinità e citrico. 85/100
17 Oltrepò pavese Doc Riesling Khione 2018 Colle del Bricco
Giallo paglierino, velato. Frutto più pieno del precedente, sulla frutta gialla. In bocca si conferma tale, con meno precisione sulla preservazione dei primari. Meglio la chiusura, in questi termini, dell’ingresso. 84/100
18 Oltrepò pavese Doc Riesling Khione 2017 Colle del Bricco
Giallo paglierino. Gran bella purezza del naso, il migliore della verticale 2020-2018-2017. Grazie all’alcol il quadro è più equilibrato tra durezze e morbidezze, ma porta con sé un sorso a fasi, nel complesso poco armonico. Vino al momento sull’altalena, ma si farà: il tempo non potrà che fargli bene. 85/100
19 Oltrepò pavese Doc Riesling Khione 2019 Colle del Bricco
Giallo paglierino. Naso molto ampio, generoso, tra la frutta matura a polpa bianca e gialla. Bella componente floreale che aggiunge garbo, suadenza. Note molto precise, in linea con tutte le prove di Matteo Maggi sul vitigno. La marcia in più, rispetto alle altre annate, è in bocca: premiata, finalmente, la ricerca di equilibrio. Retro olfattivo con quel filo di “verde” in più che disarmonizza il quadro. Il futuro è luminoso per il giovane vignaiolo di Stradella. 88/100
20 Oltrepò pavese Doc Riesling 2020 Azienda agricola Monterucco
Giallo paglierino. Naso e bocca corrispondenti, sul frutto a polpa bianca. Vino corretto, giocato sulla semplicità di beva e sull’immediatezza. 83/100
21 Oltrepò pavese Doc Riesling frizzante 2020 Azienda agricola Bruggia
Giallo paglierino. Un buon frizzante: semplice, beverino, senza fronzoli. 83/100
22 Provincia di Pavia Igt Riesling 2017 Pienosole Scuropasso
Prima nota di idrocarburo del tasting. Gran bel frutto, di precisione rara. Colpisce per stratificazione: polpa, sapidità, freschezza, elegante terziarizzazione e persistenza. Best of. 90/100
23 Provincia di Pavia Igt Riesling vino fermo Il Rocco Az. Agr. Fratelli Ferrari
Giallo paglierino. Bel frutto puro, pulito, ben controbilanciato dalle durezze. Un vino semplice, con una marcia in più dettata dalla grande attenzione in vigna (epoca di raccolta) e in cantina. 85/100
24 Oltrepò Pavese Doc Riesling Frizzante 2021 Azienda Agricola Paolo Verdi
Giallo paglierino. Purezza assoluta del frutto, che accompagna dal naso al retro olfattivo, sul filo di una beva spasmodica. Ottima persistenza per una tipologia, quella dei frizzanti, che spesso è relegata a vini senz’anima. Qui l’anima c’è, si stente e rispecchia la filosofia aziendale di uno dei vignaioli bandiera dell’Oltrepò pavese. 88/100
RIESLING ITALICO DEL COLLIO: KLANJSCEK AL TOP, IN VERTICALE
DENOMINAZIONE CANTINA RATING
1 Collio Doc Riesling italico 2017 Klanjscek
Colore che tende all’orange, frutto di una macerazione di 10 giorni. Splendido frutto al naso, puro. Mela, pesca, albicocca matura. Corrispondente al palato, lunghissimo, teso e di estrema prospettiva. Il secondo best of della degustazione di Riesling italico italiani. 90/100
2 Venezia Giulia Igt Riesling italico 2018 Klanjscek
Giallo che tende all’ambra. Ventuno giorni di macerazione: gran bella prova in termini di preservazione della riconoscibilità del vitigno. Lunghezza, sapidità, frutto. Un po’ meno stratificazione rispetto alla vendemmia 2017. Da godere oggi, con media prospettiva. 89/100
IL RIESLING ITALICO IN EMILIA ROMAGNA
DENOMINAZIONE CANTINA RATING
1 Colli Bolognesi Doc Riesling 2020 Le Vaie Azienda agricola Isola
Giallo paglierino. Bel frutto (albicocca appena matura) e fiore bianco, al naso. Riempiono poi bene la bocca le note fruttate, confermando il “taglio bolognese” del Riesling italico, sulla frutta a polpa gialla. Vino tutto sommato semplice, ma non banale. Si tratta dell’unico “esemplare” di Italico reperibile sullo shop dell’Enoteca regionale dell’Emilia Romagna. 86/100
RIESLING ITALICO IN UVAGGIO: BENACO, OLTREPÒ E RIVIERA DEL GARDA
DENOMINAZIONE CANTINA RATING
1 Vino bianco 2020 biologico Opus Azienda vitivinicola Esenta Borgo Castello
85% Riesling italico, 15% Manzoni bianco. Giallo paglierino. Naso esplosivo, sulla frutta tipica dell’Italico: spazia dalla renetta all’albicocca appena matura e abbina un bel bouquet di fiori bianchi. Sfiora persino l’esotico, l’ananas. In bocca, oltre alla frutta, sfodera una bella freschezza e una pregevole vena salina. Persistenza ottima, con il Mazoni ben delineato, a fare da spalla. 88/100
2 Benaco Bresciano bianco passito Igp 2017 Dolce canto della Fenice Azienda vitivinicola Esenta Borgo Castello
85% Riesling italico, 15% Manzoni bianco. Giallo dorato. Naso connotato da note fruttate stramature, a polpa gialla, che non brillano in precisione. Bocca corrispondente, in cui la maturità del frutto cozza con venature amaricanti. Il risultato è un vino dolce non proprio equilibrato, corto e longilineo. 82/100
3 Provincia di Pavia Igt Bianco 2015 Gocce di vento La Rocchetta di Mondondone
Riesling italico e Cortese. Giallo paglierino pieno. Naso che rispecchia l’andamento dell’annata, tutto sul frutto a polpa gialla maturo, cotogna e persino dalle tinte esotiche. Buona corrispondenza gusto olfattiva per un vino da mettere in tavola e gustare ad ampi sorsi. Chiusura agrumata. 85/100
4 Provincia di Pavia Igt Bianco 2014 Gocce di vento La Rocchetta di Mondondone
Riesling italico e Cortese. Naso sorprendente per l’annata, esprime un bel frutto e piacevoli tinte floreali. In bocca si conferma un bianco incentrato sul frutto. Necessariamente più snello della vendemmia 2015 ma di carattere, mostra buone prospettive di affinamento. 86/100
5 Garda Doc Riesling 2020 (certificato vegan) Azienda agricola Pratello
75% Renano, 25% Italico. Giallo paglierino. Naso sul fiore, sulla frutta (mela, agrume), accenno di idrocarburo. In bocca teso, asciutto, agrumato, minerale. In definitiva giovanissimo. Vecchie viti di Riesling dal Colle Brusadili, ad oltre 300 metri sopra al lago di Garda. 89/100
6 Riviera del Garda Classico Doc Bianco 2020 Gioia Conti Thun
Italico e Renano. Alla vista si presenta di un giallo paglierino. Naso di pesca, albicocca, gelsomino, fiori bianchi. Corrispondenti le note al palato. Gioca sull’alternanza tra freschezza e rotondità del frutto. Altro vino giovane e di prospettiva. 88/100

Degustazione a cura di Davide Bortone, Giacomo Merlotti e Viviana Borriello

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Vermentino superstar della Maremma: il bianco sorpassa i rossi in Toscana

Non siamo ancora ai livelli da primato della Sardegna, con 4.418 ettari. Ma la Toscana consolida sempre più il suo ruolo di seconda regione italiana per ettari vitati di Vermentino, grazie soprattutto alla Maremma.

Con 832 ettari in produzione nel 2021, il noto “vitigno di mare” è la prima varietà a bacca bianca della provincia di Grosseto e rappresenta oltre il 50% del Vermentino prodotto nell’intera Toscana. Più del doppio della Liguria, altra regione rinomata per la produzione del vitigno, le cui origini sono dibattute tra Portogallo e Spagna.

Dal 2006 al 2021 la crescita è stata esponenziale, passando dal 2,2% (138 ettari) al 9,5% del vigneto grossetano. Nel 2020 la produzione di Vermentino in Maremma ha rappresentato un terzo dell’intera vendemmia della Doc Maremma Toscana, con 1.722.400 bottiglie prodotte.

Un dato che ha portato il Vermentino Maremma Toscana Doc a essere la tipologia più imbottigliata (30% del totale) della Doc Maremma Toscana, superando il Rosso (28%).

«Sono sempre più convinto che il Vermentino Maremma Toscana Doc abbia le carte in regola non solo per posizionarsi tra i grandi vini bianchi del mondo, ma anche per competere con i grandi vini rossi della Toscana, diventando una delle maggiori chiavi di volta della nostra Denominazione», commenta Francesco Mazzei, presidente del Consorzio toscano che da anni punta molto su questa tipologia.

«Si tratta di un vitigno particolarmente versatile – continua – adatto alla produzione di vini sia freschi sia invecchiati. Questo, unito a un territorio ancora incontaminato e molto variegato, che va dalla fascia costiera fino alle Colline Metallifere e al Monte Amiata, e alle capacità dei singoli vitivinicoltori di esaltare in cantina le uve delle diverse zone, fa si che si possa avere una produzione in continua crescita qualitativa e di grande appeal per il consumatore».

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Foggia capitale delle intimidazioni nel settore del vino: abbattuto vigneto di 5 ettari

SAN SEVERO – Ennesimo episodio criminale ai danni di un produttore del settore del vino, nella provincia di Foggia. A finire sulle pagine della cronaca nera è ancora una volta la città di San Severo. Nella notte tra il 5 e il 6 agosto, ignoti criminali hanno abbattuto il vigneto di 5 ettari di proprietà dell’azienda agricola condotta da Michele Siena e dal fratello Antonio Siena, allevato col metodo tradizionale del “tendone” attorno a masseria Casone.

Il fatto è avvenuto nella medesima zona della Puglia oggetto dell’indagine sul caporalato che vede protagonista Settimio Passalacqua, padre della produttrice di vini naturali Valentina Passalacqua, finito in manette a inizio luglio 2020. Ma l’escalation nel foggiano non riguarda solo l’anno in corso.

Sempre a San Severo, sul finire del 2019, sono stati svuotati 15 silos della cooperativa Antica Cantina di San Severo. L’episodio, avvenuto nella notte tra sabato 19 e domenica 20 ottobre, ha causato un danno di 1,5 milioni di euro alla storica azienda del foggiano, che in quell’occasione ha visto dispersi 25 mila ettolitri di vino.

Mosto disperso dopo il sabotaggio dei silos nella cantine del Foggiano

All’epoca dei fatti, la politica e la popolazione locale hanno dimostrato grande solidarietà all’azienda, con iniziative diffuse sul territorio e la promessa di fare luce sull’accaduto. I colpevoli, tuttavia, non stati ancora identificati: non risultano infatti persone iscritte nel registro degli indagati per il danneggiamento all’Antica Cantina.

Da qualche ora, un’altra famiglia di produttori di vino attende giustizia a San Severo. È quella di Michele e Antonio Siena, attorno a cui si è stretta – ancora una volta – la comunità locale. I 5 ettari di vigneto di Cantina Siena sono stati pressoché “abbattuti”, tranciando i fili di sostegno del “tendone” e causando la perdita dell’intero raccolto.

Un episodio denunciato dalla sezione regionale della Cia – Confederazione italiana agricoltori, attraverso le dure parole del presidente regionale Raffaele Carrabba, originario proprio di San Severo: “All’imprenditore agricolo che ha subito quest’azione vile, criminale e inqualificabile abbiamo espresso la nostra vicinanza, ma questo evidentemente non basta e non può bastare”.

Comprendiamo le difficoltà delle Forze dell’Ordine e della Magistratura: il controllo di un territorio così vasto e le indagini su questi tristi episodi perpetrati nel cuore della notte non sono cosa semplice. Ciò che appare evidente e drammatico, tuttavia, è proprio la necessità di potenziare la dotazione di personale e strumenti d’azione per prevenire e reprimere certi fenomeni”.

“Un gesto crudele, sconsiderato, sul quale ora sta indagando il Commissariato della Polizia di Stato di San Severo – continua il presidente di Cia Puglia – ma bisogna mettere nelle condizione le forze dell’ordine di avere le risorse necessarie sia a coordinarsi con le guardie campestri sia a incrementare la loro presenza per la prevenzione e il controllo del territorio nelle zone rurali”.

Sempre secondo Raffaele Carrabba, “è una questione che riguarda tutta la Puglia, dove sempre più spesso i produttori si auto-organizzano con ronde notturne nei campi“.

“Non vogliamo che in alcun modo l’esasperazione arrivi a generare situazioni pericolose e controproducenti – avverte il numero uno di Cia Agricoltori italiani Puglia – furti e attentati in campagna stanno esasperando gli animi e arrecando danni ingenti al comparto primario”.

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Bolgheri, è iniziata la “terza era”: il Consorzio approva l’aumento della produzione

BOLGHERI – A venticinque anni dal riconoscimento della Doc, Bolgheri punta al “consolidamento”. Il Consorzio di Tutela, che rappresenta oltre il 90% delle aziende e dei vigneti, annuncia infatti l’ingresso nella “terza era“. Quella della “maturità”, che sarà contraddistinta da un “aumento della produzione“.

E’ quanto ha stabilito all’unanimità l’Assemblea dei soci del Consorzio per la Tutela dei Vini Bolgheri Doc. L’aumento delle bottiglie non passerà tuttavia attraverso un aumento della superficie vitata. Sarà piuttosto allargata la possibilità di rivendicare la Denominazione di origine controllata ai vigneti atti alla produzione di Igt Toscana.

Molti dei nuovi ettari in realtà non si tradurranno in nuovi impianti – spiega il Consorzio livornese – ma nella possibilità di produrre Doc dalle vigne idonee già esistenti che, non essendo rivendicabili, al momento possono produrre solo Igt. La differenza tra superficie Doc e Igt a Bolgheri è di 185 ettari e il piano prevede l’assegnazione massima per 190″.

“Gli obiettivi principali – continua il Consorzio diretto da Federico Zileri Dal Verme– sono infatti due: il primo è quello di consentire a quei vigneti che sono da anni sul territorio e presentano tutte le caratteristiche produttive idonee alla Doc di poterla utilizzare. Dall’altro quello di dar modo ai produttori e soprattutto alle aziende medio-piccole di poter incrementare la loro capacità produttiva, per far fronte alle richieste crescenti dei mercati”.

“Ciò che preme e che serve a Bolgheri ora è fare in modo che i suoi produttori possano valorizzare al massimo i loro terreni, le loro vigne e i loro vini nell’ambito della Denominazione e sui mercati“, continua il Consorzio.

CHI NE BENEFICERÀ
La proposta è stata avanzata sulla base di quanto previsto dalla nuova legge regionale 73/2017 per la disciplina delle produzioni vitivinicole. Ma è da oltre un anno che il Consorzio Doc Bolgheri ha avviato consultazioni sul territorio, sfociate in Regione.

“Il piano è innovativo anche a livello pratico – evidenzia il Consorzio – in quanto non è previsto un classico bando con graduatoria. Tutti i beneficiari in possesso dei requisiti previsti potranno infatti fare domanda per quanto gli spetta direttamente su Artea, in tempo utile da poter ottenere le nuove superfici rivendicabili per la prossima campagna vitivinicola”.

Secondo i dati più aggiornati a disposizione, risultano 1.370 gli ettari impiantati nel comprensorio della Doc. Di questi, 1.218 ha risultano intestati a soci del Consorzio: 1.163 sono rivendicabili a Doc, mentre il resto come Igt Toscana.

Facendo riferimento alla superficie vitata iscritta ad albo Doc, il Cabernet Sauvignon risulta la varietà di uva più presente (36,67%), seguita da Merlot (23,42%), Cabernet Franc (11,98%), Petit Verdot (6,46%), Syrah (6,65%) e Sangiovese (1,48%). Quanto alle uve a bacca bianca, è netta la predominanza del Vermentino (8,84%) seguito da Viognier (1,43%) e Sauvignon Blanc (0,59%).

“LA TERZA ERA”
Dal 1994 ad oggi, il Consorzio è passato dai sette soci fondatori agli attuali 55. Con loro sono cresciuti anche gli ettari, a partire dagli iniziali 280. Il numero di bottiglie è cresciuta in maniera graduale, grazie all’entrata in produzione dei vigneti, che a Bolgheri hanno un’età media di 14 anni e mezzo.

“Questa tendenza produttiva – evidenzia il Consorzio – è andata di pari passo anche con l’apprezzamento del valore di Bolgheri da parte non solo della stampa ma anche dei mercati. Negli ultimi due anni il prezzo al dettaglio Horeca dei vini Doc Bolgheri è cresciuto del 10%, mentre nella Grande distribuzione organizzata sono raddoppiati i volumi di vendita e il fatturato, con un prezzo medio aumentato del 19% negli ultimi 5 anni”.

“Si tratta di uno scenario incoraggiante – commenta il Consorzio – che però non deve portare a stravolgimenti di alcun tipo, per non comprometterne gli equilibri esistenti, dato che è grazie a questi che Bolgheri si è sviluppata in questo senso”.

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Vendemmia 2018 all’insegna dell’abbondanza in Lombardia: +55% di vino


CAPRIANO DEL COLLE –
Sono stati presentati in mattinata, presso la cantina Lazzari di Capriano del Colle (BS) i dati della produzione di uva e di vino della vendemmia 2018 in Lombardia. Un appuntamento voluto dall’assessore regionale all’Agricoltura, Alimentazione e Sistemi verdi Fabio Rolfi, che ha chiamato a raccolta i rappresentanti di tutti i Consorzi del vino lombardi.

La produzione in ettolitri della vendemmia 2018 in Lombardia supera gli 1,572 milioni di ettolitri di “vino finito” (+55,03% rispetto alla sfortunata vendemmia 2017). La produzione totale di uva è di 2,415 milioni di quintali, su una superficie rivendicata di 21.213,85 ettari.

L’INTERVENTO
Un settore in cui Regione Lombardia intende investire risorse importanti, in un’ottica di consolidamento. “Negli ultimi anni – ha dichiarato l’assessore Rolfi – stiamo assistendo a una crescita costante del comparto, non soltanto qualitativa ma quantitativa. La Lombardia sta diventando sempre più una regione vitivinicola e questo non può che riflettersi direttamente nelle scelte politiche”.

Tracciate dunque le parole chiave del 2019 e dei prossimi anni: promozione locale e internazionale del vino lombardo, maggiore attenzione alle carte dei vini – soprattutto negli agriturismi – ed enoturismo.

“Sul fronte della promozione – ha annunciato Rolfi – intendiamo dedicare risorse importanti all’internazionalizzazione. Saremo presenti al prossimo Prowein di Dusseldorf in maniera ben strutturata e investiremo risorse importanti nel Gambero Rosso“.

“Tutte le risorse in termini di internazionalizzazione a disposizione di Regione Lombardia saranno destinate al vino. Non per togliere importanza ad altri settori, ma perché riteniamo che il vino sia il settore lombardo con le maggiori potenzialità di crescita in termini export. Da qui il nostro completo sostegno alle aziende del comparto”, ha aggiunto l’assessore regionale.

GLI AGRITURISMI

Importanti novità, appunto, anche sul fronte interno. “I lombardi – ha dichiarato Rolfi – devono avere la massima consapevolezza di ciò che si produce in Lombardia. La regione è in grado di mettere sulle tavole tutte le tipologie di vino possibili, dal frizzante al vino dolce. Per questo vogliamo che gli agriturismi siano portabandiera e vetrina della produzione lombarda”.

Come? “Gli agriturismi dovranno servire al 100% vino lombardo“, ha spiegato l’assessore regionale. “Inoltre – ha aggiunto Rolfi – abbiamo incaricato Ersaf di realizzare un osservatorio sulla carta dei vini dei ristoranti lombardi, in modo da favorire la promozione del vino della Lombardia all’interno di tutte le attività del settore della ristorazione regionale”.

Una leva importante sarà anche l’enoturismo. “Abbiamo una grande opportunità di fidelizzazione del winelovers in Lombardia, che deve essere abbracciato e condotto alla scoperta della nostra produzione”, ha evidenziato Rolfi. Senza dimenticare i nuovi trend del mercato, con i consumatori sempre più attendi alla produzione biologica.

“Gli sforzi delle aziende nella direzione della sostenibilità ambientale della produzione vanno valorizzati – ha spiegato Rolfi – e in regione abbiamo un modello replicabile altrove, in questi termini: la Franciacorta. Quella tracciata da questa Denominazione è la via giusta. La Franciacorta è un esempio di sistema da prendere assolutamente come esempio”.

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degustati da noi news vini#02

Nunzio Puglisi (Enò-Trio) e Frank Cornelissen: facce pulite dell’Etna, la nuova America del vino italiano

E’ il motore rombante dell’economia siciliana. La nuova America del vino italiano. L’Etna, con i suoi vini fini, eleganti e longevi, è l’immagine più fulgida del rilancio enologico del Meridione, a suon di Nerello Mascalese. Il simbolo della riscossa di tante regioni del Sud Italia, spremute per decenni da grandi e piccole aziende del Nord.

Conquistadores a caccia di uve “da taglio” cariche di colore, d’alcol e struttura, con cui blendare bacche bianche e rosse altrimenti incapaci di dare vini di peso. Qualitativo e commerciale.

Un tesoro, l’Etna, che ha ormai abbracciato la sua indipendenza. Una terra che abbiamo visitato in lungo e in largo, entrando in nove cantine in cinque giorni di tour. Piccole e grandi aziende, che operano o meno all’interno della Gdo, nella filosofia del nostro “contenitore unico” di informazioni controcorrente.

Quel che emerge è che ciò che alla Sicilia è stato preso in passato, alla Sicilia sta tornando con gli “interessi”. I 903 ettari vitati della Doc (2,5 milioni di bottiglie complessive su 117 iscritti al Consorzio) danno vita a vini capaci di competere con i più vocati territori vitivinicoli internazionali.

Che la discesa di tanti imprenditori sull’Etna non sia frutto di pura filantropia, bensì di marketing e tentativi di diversificazione, è chiaro a tutti. L’Etna “tira”. Negli ultimi mesi, infatti, è in corso una vera e propria gara per accaparrarsi gli ultimi terreni a disposizione nel comprensorio della Denominazione. Prima che il prezzo lieviti ancora, rispetto ai 100 mila euro all’ettaro attuali.

NICOSIA: DA “CANTINE” A “TENUTE”
Il caso emblematico è quello di Cantine Nicosia. Il gruppo di Trecastagni (CT), molto attivo nella Grande distribuzione organizzata grazie alle uve dei conferitori, diventerà presto uno dei maggiori player sul vulcano.

Trentatré gli ettari di recente acquisizione sul versante Nord dell’Etna, il più vocato per la produzione dei rossi base Nerello Mascaese e Cappuccio.

Vigneti che entreranno in produzione entro il 2022. Secondo indiscrezioni, è in programma anche la realizzazione di un polo di accoglienza enoturistica nella zona di Linguaglossa. Hospitality e Spa, nel segno delle migliori boutique winery.

Il disegno è chiaro. Con la creazione di un nuovo brand, denominato “Tenute Nicosia“, la cantina che per anni ha puntato sulla Gdo (con picchi di qualità come l’Etna Rosso della linea “Grandi Vigne” dell’insegna Iper, la grande I) punta a un restyling d’immagine. Nascerà una nuova linea “top di gamma” destinata soprattutto all’Horeca, da affiancare a quella attuale del versante Etna Est (dove tra l’altro si trova il sito produttivo).

Nicosia, di fatto, è solo l’ultimo colosso che si unisce alla caccia all’oro dell’Etna. Un “battaglione” a cui i vari Firriato, Planeta, Donnafugata e Tasca d’Almerita (solo per citarne alcuni) hanno aderito ormai da anni.

L’ETNA CHE CONQUISTA
Ma se la scelta iniziale è di tipo commerciale (così come lo è stata certamente per produttori illuminati come Andrea Franchetti di Passopisciaro e Marco De Grazia di Tenuta delle Terre Nere) è anche vero che dell’Etna finisci per innamorarti, per davvero.

E allora ecco che anche i vini dei colossi (o di chi ha investito sull’Etna in maniera lungimirante, riconoscendone il potenziale economico, oltre che vitivinicolo) hanno senso di entrare nell’Olimpo enologico mondiale. Con punte di qualità assoluta, accanto ai “vini veri” e “naturali” di chi sull’Etna è nato (vedi Enòtrio di Nunzio Puglisi, nella foto sotto con la figlia Desirée) o ci è arrivato dal Belgio (come Frank Cornelissen).

Necessari però dei distinguo. Tra i “big” meglio Planeta di Firriato per i vini fermi, che mostrano ottimi margini di invecchiamento (sorprendenti i bianchi). Ottimi i due sparkling prodotti a Cavanera da Firriato, superiori al Metodo Classico base Carricante ottenuto dai vigneti di Sciaranuova – Planeta.

Per le “bollicine” dell’Etna, riferimento assoluto tutto da scoprire è Antonino Destro. La sua Azienda vitivinicola, con l’appoggio dell’enologo Giovanni Rizzo, offre una gamma straordinaria di Metodo Classico sensati e territoriali, con al vertice un “60 mesi” sui lieviti (base Nerello Mascalese vinificato in bianco) degno di entrare nella top 10 italiana dei migliori champenoise sotto i 35 euro (prezzo di cantina).

Spumanti, questi, in grado di far dimenticare in un baleno Charmat base Catarratto come “Pros.it” di Cantine Patria, più consoni a giocarsela (al ribasso) col Veneto della Glera Extra Dry, perfetta per palati avvezzi al frizzantino da aperitivo.

Poco Etna e poco senso (se non commerciale) per vini come questo: scimmiottanti il campione italiano di vendite internazionali from Treviso, scevro da qualsiasi identità etnea.

Tra l’altro uno spumante con un’etichetta – a nostro avviso – al limite della correttezza nei confronti del consumatore: “Pros” “.” “it” non vi ricorda nulla?

Sicuri che, vedendo questa etichetta su uno scaffale, in molti (soprattutto stranieri) non possano pensare di trovarsi di fronte a un “Pros”-ecco “It”-aliano? Una label molto “Patri”-ottica (scommettiamo) per le tasche della cantina di Solicchiata.

D’altronde, il Consorzio del Prosecco Doc ha ben altri problemi a cui pensare, tra cui l’allargamento della regolamentazione alla versione Prosecco Rosé, di cui già si parla ovunque.

Rapporto qualità prezzo molto interessante, invece, su tutta la linea di Antichi Vinai 1877, che a Castiglione di Sicilia è attiva con un sito produttivo di maestose capacità (oltre 1 milione di bottiglie potenziali, quasi la metà di tutta la Doc) al momento sfruttato dalla famiglia Gangemi per attività di imbottigliamento “conto terzi”.

IL CASO
Una cantina, Antichi Vinai, artefice di un casus degno delle cronache vinicole nazionali.

Quello di Neromosso, “frizzante” da 2 bar (tecnicamente “vino bianco mosso di Sicilia”) piazzato sul mercato con grande successo a un costo incredibile per la tipologia: ben 9 euro in cantina (13,50 sul sito web della cantina).

Una “bolla” imitatissima in zona, dopo il lancio ufficiale avvenuto nel 2010. Si tratta di Nerello Mascalese vinificato in bianco, con piccole percentuali di uve a bacca bianca (Minnella e Zibibbo) che restituiscono un calice tutto sommato tipico in termini di mineralità etnea.

Altro discorso per Marco De Grazia e la sua Tenuta delle Terre Nere. Un’azienda che in pochi anni si è trasformata in un vero e proprio faro per l’Etna. Vini di una finezza assoluta, con la Borgogna a materializzarsi nei calici dei “cru” delle contrade.

Tenuta delle Terre Nere è la punta di diamante di De Grazia, ex commerciante di vini che ha dato vita alla rivoluzione dei Barolo Boys. Un marchio, “BB”, che ha consentito alle Langhe di farsi conoscere fino in America. Un miracolo replicato da De Grazia sull’Etna.

Chi deve crescere, invece, è Palmento Costanzo. Il recupero dell’antico caseggiato e della cantina – unico sito produttivo siciliano costruito all’interno di un antico palmento, risalente al XIX secolo – è iniziato nel 2011, ma il cambio di enologo ha forse creato qualche squilibrio tra le annate ad oggi in degustazione.

Una difformità che non aiuta la comprensione del tipo di lavoro che la famiglia Costanzo vuole intraprendere sull’Etna, anche se le premesse sono buone. Alla ristrutturazione dell’antico palmento (prevista Hospitality e Spa) sta facendo seguito un lavoro attento nei vigneti certificati biologici, che porterà presto alla presentazione di nuove etichette, tra cui il primo “cru” e il primo Metodo classico.

I VIGNAIOLI DA COPERTINA
Ex commerciante di vino, così come De Grazia, è Frank Cornelissen. Uno che dà del tu alla Muntagna, sulla quale sembra cresciuto. E nella quale, certamente, ha affondato le radici, oggi solidissime.

Cornelissen e Nunzio Puglisi di Enò-trio, uomini copertina del nostro tour, sono vignaioli diversi tra loro. Che hanno in comune, però, l’amore per l’Etna e la voglia di proporre un modello di viticoltura rispettoso dell’ambiente.

Intellettuale il belga Cornelissen, dentro e fuori da un calice in cui sviscera un minimalismo giapponese (del Giappone, non a caso, è originaria la moglie) ad eccezione del prezzo del vino di punta, “Magma”, in vendita a oltre 180 euro.

Maestro di vigna il siculo Puglisi, un lottatore in camicia che può vantare vigneti tra i più belli dell’Etna (certamente i più maniacalmente ordinati, anche grazie all’apporto della figlia Desirée) e tra i più alti in quota (oltre i mille metri quello di Traminer, cha dà vita a un vino strepitoso).

Due sperimentatori, Cornelissen e Puglisi, che meritano tutta l’attenzione autentica di chi cerca qualcosa di lontano dalle mode e dagli stereotipi del mondo del vino. Due da prendere in considerazione a tutti i costi, in previsione di un tour alle pendici dell’Etna.

Una panoramica, quella che avete appena letto, con la quale vogliamo introdurre un secondo articolo, dedicato ai migliori vini degustati in occasione del tour: online tra qualche giorno.

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Sicilia, sorpresa Glera: è il vitigno “minore” più coltivato

PALERMO – C’è un po’ di “Veneto” in Sicilia. Centoventisette ettari, per l’esattezza. A tanto ammonta la superficie vitata di Glera sull’isola del Sud Italia.

Un vero e proprio boom per il vitigno balzato agli onori delle cronache per il “fenomeno Prosecco”. Dopo l’avallo della Regione, che ne ha autorizzato la coltivazione tra le Igt nel 2009, gli ettari di Glera si sono moltiplicati a vista d’occhio.

Tanto che oggi, l’ex “Prosecco” è il “vitigno minore” più allevato in Sicilia. Con 127 ettari sui 245 complessivi, riservati alle varietà non autoctone o tradizionali.

Secondo i dati forniti da Marco Perciabosco, a capo dell’Unità operativa Ocm Vino siciliana, a credere nella Glera “Made in Sicily” sono soprattutto i viticoltori della provincia di Trapani. E’ nell’areale a Nord Ovest dell’isola che si concentra la maggior parte della superficie vitata a Glera. Centodieci ettari.

Seguono Agrigento e Palermo, rispettivamente con 17 e 2 ettari vitati circa. Numeri in crescita, che fanno pensare a un incremento costante della richiesta di Glera sul mercato locale. Eppure non v’è traccia di una “Glera mania” tra gli abitanti dell’isola. E trovare cantine che producano e commercializzino vini a base Glera in Sicilia è quasi un’impresa.

Una di queste è l’Azienda Agricola Vitivinicola Tenute Rinaldi. Siamo a Bolognetta, “Agghiastru” in siculo. Un Comune di 4.200 anime, a 25 chilometri da Palermo. Il “Bianco Rinaldi”, di fatto, è un blend tra Glera e Chardonnay. Una vera e propria rarità.

Che fine fa il resto della Glera prodotta in Sicilia? “Sono noti, ma solo a livello informale – precisa Marco Perciabosco dal palazzo della Regione – i rapporti tra produttori siciliani e del nord Italia in materia di vino. Relazioni in cui non può entrare nel merito l’amministrazione regionale, finché si tratta di operazioni di tipo commerciale, svolte con tutti i crismi“.

“Se qualcuno possiede notizie di reato – commenta Stefano Zanette, presidente del Consorzio Prosecco Doc – ha il dovere di fornirle alle autorità preposte, diversamente devono essere derubricate a illazioni. Non va comunque dimenticato che molti operatori, anche nel nostro territorio, utilizzano la Glera per la produzione di spumanti generici o per l’infustamento”.

IL CASO ERMES
Ma in Sicilia c’è anche chi ha messo su una “filiale”, in Veneto. E’ Cantine Ermes, società cooperativa di Santa Ninfa (Trapani) in mano alla famiglia Di Maria (Rosario ne è presidente, Paolo il direttore generale). Una realtà da 2 milioni di euro di capitale sociale, attiva anche nella Grande distribuzione organizzata.

Con lo stesso nome, Cantine Ermes opera in via Restiuzza 7 a Mansuè, in provincia di Treviso. E allo stesso indirizzo, sempre in Veneto, si trovano le Tenute Di Maria Srl. Società che, a sua volta, dipende dalla “casa madre” siciliana di Contrada Salinella, a Santa Ninfa.

Quella di Mansuè figura ufficialmente come “struttura secondaria” di Cantine Ermes. O, meglio, come “stabilimento”. Diversi magazzini, numerosi silos. E una “Bottega del vino” in cui si organizzano degustazioni delle etichette siciliane di “Tenute Orestiadi”, brand del gruppo Ermes.

Ma è su portali enogastronomici come SicilShop.com che è acquistabile “Taravan”, il Prosecco Doc Extra Dry prodotto da Cantine Ermes. Un filo conduttore che sembra funzionare bene, quello tra la Sicilia e il Veneto del vino.

Un asse su cui Cantine Ermes investe da anni, forte soprattutto di una preziosa partnership con un colosso del posto: Cantina di Soave. Una joint venture stipulata nel 2006. Agli albori, dunque, del vero cambio di rotta di Ermes. Dal vino sfuso al vino imbottigliato, di maggiore qualità.

“Ci tengo a sottolineare che non esiste oggi alcuna partnership o joint venture tra Cantina di Soave e Cantine Ermes”, precisa il direttore generale di Cantina Soave, Bruno Trentini. A distanza di 12 anni, l’operazione pubblicizzata dalla stessa cantina veneta tramite un apposito comunicato stampa, viene minimizzata: “Si trattava di un semplice accordo commerciale con Cantine Ermes, come tanti stretti con altre aziende”.

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Milano chiama, Cirò risponde: il Gaglioppo di ‘A Vita in degustazione con Fisar

Di vino non si parla mai abbastanza a Milano, capitale del “bere bene” e, soprattutto, del “bere internazionale”. Ma di “vino calabrese” non si parla quasi mai, né a Milano né altrove.

Eppure la Calabria ha tantissimo da offrire al panorama enologico italiano. Avete letto bene: la Calabria.

A Milano, un calice di Cirò sulla tavola imbandita di un residente, lo trovi – con buona probabilità – solo dalle parti di Buccinasco. Dove di “autoctoni trapiantati” ce n’è a bizzeffe.

A fare da portabandiera del “bere calabrese” nel capoluogo lombardo ci pensa allora Fisar, la Federazione italiana sommelier, albergatori e ristoratori.

Una delegazione di provincia, quella di Bareggio, è riuscita nella grande impresa di portare “al Nord” Francesco Maria De Franco (nella foto). Con la sua cantina ‘A Vita – 8 ettari nei pressi del Km 279,8 della Statale 106 di Cirò Marina, in provincia di Crotone – De Franco è grandioso interprete del Gaglioppo, l’uva dalla quale si ottiene lo straordinario vino denominato Cirò. Un volto noto, tra l’altro, ai lettori più attenti di vinialsuper (qui il nostro articolo in occasione del Mercato dei Vini Fivi 2016).

Appuntamento il 2 novembre, alle ore 21, all’Hotel Diamante di via S. da Corbetta, 162, a Corbetta (MI). In degustazione Cirò Rosso Riserva 2010, Cirò Rosso Classico 2012, Cirò Rosso Riserva 2013 e Cirò Rosso Superiore 2014 (20 euro per i soci Fisar, 25 per i non soci; iscrizione obbligatoria versando la quota mediante bonifico bancario all’Iban IT87O0503432470000000000044 entro il 25/10/17 e inviando copia alla mail bareggio@fisar.com; posti limitati).

IL CIRO’ DI ‘A VITA
“Francesco Maria De Franco di ‘A Vita – evidenzia Raffaele Novello (nella foto), segretario della delegazione Fisar Bareggio – è uno di quei produttori che ho avuto la fortuna di conoscere quand’era ancora sconosciuto. Alla grande platea è tuttora poco conosciuto, ma chi si intende di vino lo conosce benissimo. Infatti sta iniziando ad accumulare soddisfazioni e riconoscimenti”.

“Portare il Cirò a Bareggio e, dunque, a Milano e in Lombardia – continua Novello – è una proposta che fortemente caldeggio da oltre un anno. Ho una gran voglia di far conoscere a tanti veri appassionati di vino un vitigno, il Gaglioppo, che non ha nulla da invidiare ad altri più conosciuti e blasonati. Parlo dei vari Sangiovese o Nebbiolo. Un vino, il Cirò, che se fatto bene può essere longevo. Lo racconterà sicuramente il nostro gradito ospite: può arrivare tranquillamente a 15-20 anni, mantenendo tannino e acidità di rilievo”.

“Un vignaiolo, Francesco de Franco – aggiunge il segretario Fisar Bareggio – che fa bio in Calabria da quando gli altri non sapevano nemmeno cosa fosse il biologico. Un vignaiolo che vuole cambiare il modo di comunicare il vino e che dice basta alla storia del Cirò offerto alle Olimpiadi, in Grecia. Iniziamo piuttosto a comunicare il vino come Dio comanda”.

“Un vignaiolo – conclude Raffaele Novello – che dichiara sui social d’aver fatto solo tre trattamenti in occasione dell’ultima vendemmia. Uno che sostiene la valenza di terroir, vento, terra, contro oidio e peronospora. Voglio far conoscere, soprattutto ai nuovi bevitori di vino, passatemi il termine, un vino e una zona che non possono e non devono più essere trascurati: se non conosci il Cirò non puoi dire che conosci il vino”. Appuntamento (e occasione) imperdibile per i milanesi all’ascolto.

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Doc delle Venezie e Igt Trevenezie: è fatta. Ora il Consorzio

La quarta varietà di uva coltivata in Italia ha una nuova denominazione di origine controllata. E’ la Doc “delle Venezie”, che interesserà appunto principalmente l’uva Pinot Grigio. Tre le regioni coinvolte: Veneto, Trentino e Friuli Venezia Giulia.

Un impasto di interessi e visioni parse sin da subito inconciliabili. Che presto convergeranno in un Consorzio dall’arduo compito: garantire la convivenza di grandi gruppi come Cavit e Mezzacorona con realtà medio piccole, abituate da sempre alla vendemmia manuale. Ventitremila ettari di vigneti di Pinot Grigio nella denominazione, su un totale di 20 mila ettari localizzati nel Nord Est, 10 mila dei quali concentrati nel solo Veneto.

“Il via ufficiale al Consorzio che gestirà la nuova Doc ‘delle Venezie’ – commenta Antonio Rallo, Presidente di Unione Italiana Vini – è l’epilogo di un percorso durato due anni in cui Uiv si è impegnata per favorire il dialogo tra i soggetti coinvolti, sostenendo e agevolando la preziosa attività di mediazione e relazione, associativa ed istituzionale. Un lavoro coordinato da Albino Armani, che ringraziamo e sollecitiamo a proseguire con lo stesso passo verso la costituzione del Consorzio. Strumento grazie al quale sarà possibile riorganizzare e valorizzare la produzione di Pinot Grigio del Triveneto, riferimento nazionale per questa varietà. La nuova Doc sarà garanzia di migliore qualità, controlli efficaci delle produzioni e valorizzazione di un vino che in tutto il mondo è sinonimo di italianità”.

La conferenza stampa di presentazione delle prossime tappe che porteranno all’ingresso sul mercato della nuova Doc delle Venezie e dell’Igt Trevenezie si è svolta in presenza del mondo produttivo delle regioni Veneto, Trentino e Friuli Venezia Giulia e del presidente dell’Associazione Temporanea di Scopo (Ats) Albino Armani, che ha guidato questo ambizioso progetto fino ad oggi e che è pronto a gestire il costituendo Consorzio.

I NUMERI
La produzione di Pinot Grigio nel solo Triveneto costituisce oggi l’85% della produzione complessiva nazionale e il 43% di quella mondiale, con circa 2 milioni di ettolitri (260 milioni di bottiglie) distribuiti su oltre 20 mila ettari: circa 11.500 ettari in Veneto, 6.000 in Friuli Venezia Giulia e 2.800 nella sola provincia di Trento. Il Pinot Grigio Rappresenta la quarta varietà di uva coltivata in Italia, segnando una crescita negli ultimi cinque anni pari al 144%. Il nuovo Pinot Grigio Doc ‘delle Venezie’ comprenderà la produzione della vecchia IGT e tutta la produzione del Pinot Grigio DOC del Triveneto, pur mantenendo le caratterizzazioni territoriali di ciascuna zona. Nell’ambito della presentazione della nuova Doc ‘delle Venezie’ è stata data voce anche alla nascita della Igt ‘Trevenezie’,  e sono stati presentati i relativi disciplinari di produzione oltre che i futuri programmi di sviluppo.

“Con l’invio al Ministero dello Statuto del Consorzio abbiamo fatto un altro passo importante verso l’organizzazione della nuova Doc ‘delle Venezie’ – spiega Albino Armani (nella foto) – segnando un importante risultato per il settore, che ci qualifica come riferimento nazionale e mondiale per la produzione del Pinot Grigio. La lungimiranza e la determinazione dimostrate da tutti i soggetti delle regioni Veneto, Trentino e Friuli Venezia Giulia coinvolti trasversalmente, hanno consentito di individuare un terreno comune su cui dialogare e progettare in sinergia il futuro di una denominazione che, di fatto, raccoglie nel suo complesso le peculiarità di questi tre territori”.

Il produttore veronese Armani ha guidato alla presidenza dell’Ats una squadra composta alla vice presidenza dal friulano Dario Ermacora e dal trentino Alessandro Bertagnoli. Un comitato composto anche da un referente per i produttori, vinificatori e imbottigliatori dei tre territori. Per il Veneto Giorgio Piazza, Corrado Giacomini, oltre allo stesso Albino Armani. Per il Friuli Venezia Giulia, Dario Ermacola, Pietro Rismontin, e Claudio Felluga. Per il Trentino Alto Adige Alessandro Bertagnoli, Rigotti Luca e Luterotti Bruno.

“Ora – continua Armani – la filiera potrà muoversi finalmente come sistema organizzato costituendosi in Consorzio di Tutela e portando gli standard qualitativi di produzione a un deciso innalzamento. Attraverso controlli puntuali ed efficaci per via delle norme produttive più stringenti, oltre che per una più strutturata gestione dell’offerta, il mercato guadagnerà in stabilità, accompagnata da una visione condivisa delle strategie di promozione che permetterà al Consorzio di aprire a nuove prospettive di crescita nel panorama internazionale”.

“Un obiettivo veramente importante – conclude Albino Armani – raggiunto anche grazie all’operato di Unione Italiana Vini che ha lavorato a livello tecnico ed istituzionale per sensibilizzare ed illustrare in modo approfondito e concreto i vantaggi che questa novità avrebbe portato al comparto. Desidero infine ringraziare il Ministero delle Politiche Agricole per la fiducia e l’apertura dimostrate nei confronti di questa iniziativa, che auspico possa diventare modello replicabile per altre realtà vitivinicole italiane”.


“Salutiamo con sincera soddisfazione la prossima costituzione del Consorzio della Doc ‘delle Venezie’ – aggiunge
Paolo Castelletti (nella foto a sinistra), Segretario Generale Unione Italiana Vini – che ci ha visti impegnati fianco a fianco in questi anni per coordinare un processo tutt’altro che semplice, sintesi di sensibilità ed esigenze espresse da regioni significative per la vitivinicoltura italiana come Veneto, Trentino e Friuli Venezia Giulia. Una risposta concreta di riorganizzazione del sistema delle Doc verso un modello di aggregazione territoriale e produttiva che facilita il percorso di promozione e valorizzazione identitaria del Pinot Grigio. Un esempio virtuoso di semplificazione del sistema delle Doc, che auspichiamo esportabile anche in altre situazioni”.

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Vini al supermercato

Pinot Nero Sudtirol Alto Adige Doc 2013, Cantina Cortaccia

(5 / 5) Etichetta impegnativa per il pubblico non ‘germanofono’, quella del Blauburgunder Kurtatsch. Per chi mastica solo italiano, aiutano le scritte Pinot Nero (Blau burgunder, appunto) e Cortaccia (Kurtatsch), la cantina produttrice.

Disquisizioni linguistiche e di marketing del vino a parte, quel che conta è il contenuto. E il Blauburgunder Pinot Nero 2013 della cantina Kurtatsch, vale proprio la pena d’essere acquistato e stappato.

Si aggira tra gli 8 e i 9 euro, di fatto, il prezzo di questo prezioso nettare della Doc Sudtirol Alto Adige, sugli scaffali dei supermercati. E questo è il momento perfetto per assaporarne l’evoluzione in bottiglia, a tre anni dalla vendemmia e dall’immissione in vetro.

LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il Pinot Nero Cortaccia 2013 si presenta del tipico rosso rubino. Meno trasparente, tuttavia, rispetto ad altri vini ottenuti dallo stesso vitigno. Al naso i richiami sono quelli attesi: sottobosco, piccoli frutti a bacca rossa e nera. Sentori intensi, fini, decisi ma delicati.

Un naso, dunque, che disegna un palato capace di confermare le attese: le note fruttate si mescolano a una sensazione di velluto che rende piacevole la beva. Alla delicatezza della frutta fa spazio un’acidità piacevole, rinfrescante. E una sapidità percettibile, ma dosata e pacata.

Una volta deglutito, il Pinot Nero 2013 di cantina Cortaccia si rivela lungo, su note  che si fanno vagamente speziate, ad accompagnare i frutti di bosco. Buon vino da meditazione, accompagna al meglio ricchi primi piatti e secondi di carne rossa, alla griglia o arrosto, oltre alla selvaggina e ai formaggi stagionati. La temperatura di servizio deve aggirarsi fra i 16 e i 17 gradi.

LA VINIFICAZIONE
Tra i prodotto di punta della linea “Selection” di Cantina Cortaccia, questo Pinot Nero è ottenuto al 100% dalle omonime uve originarie dalle Borgogna francese, che da oltre un secolo hanno trovato una seconda, accogliente casa nei terreni del Sudtirolo.

In particolare, la zona produttiva si trova nel comune di Montagna, in località Gleno, provincia di Bolzano: uno splendido paesino situato a 500 metri sul livello del mare, ai piedi del Monte Cislon, il cui paesaggio è dominato da vigne e folti boschi. Il terreno è misto sabbioso e argilloso, caratteristiche che in bottiglia si traducono nel giusto compromesso tra una pronta bevibilità del prodotto e una complessità non banale.

La vinificazione del Pinot Nero Cortaccia prevede una fermentazione a temperatura controllata in vasche aperte e un successivo affinamento in legno grande, meno invasivo delle piccole barrique. Cantina Cortaccia conta oggi 190 soci, che coltivano 190 ettari di terreni, dislocati tra i 220 e i 900 metri di altitudine.

Prezzo: 8,90 euro
Acquistato presso: Il Gigante

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Food Lifestyle & Travel

Sagrantino ed erbe aromatiche: l’abbinamento gourmand by Lungarotti

Sagrantino ed erbe campagnole spontanee. E’ l’inedito abbinamento gourmand proposto da Lungarotti per Enologica, l’evento del Consorzio di Tutela Vini di Montefalco in programma dal 16 al 18 settembre nel borgo medievale umbro, che quest’anno ha ottenuto la ‘Spiga Verde’, il riconoscimento di eccellenza rurale sostenibile.

E proprio i temi della sostenibilità e della biodiversità saranno al centro delle iniziative in programma nella cantina Lungarotti a Turrita di Montefalco, circondata da 20 ettari di vigneto a regime biologico. Si parte il 16 settembre con l’apertura della mostra di erbe campagnole spontanee di stagione che, nelle due giornate successive (sabato 17 e domenica 18, alle 11.00 e alle 16.00), saranno il fulcro di due focus condotti da Luciano Loschi dell’Accademia umbra erbe campagnole spontanee, per conoscerne le proprietà salutari e l’uso in cucina.

Dalla teoria alla pratica, con un menù a base di erbe abbinato al Sagrantino o in alternativa al Montefalco Rosso della cantina umbra. In degustazione crostini con pesto di erbe campagnole spontanee, insalatina di farro con Portulaca (una pianta erbacea ricca di omega 3), pomodorini e verdure bio e Fojata ripiena di amaranto e pimpinella (17 e 18 settembre, su prenotazione euro 8,00).

Per info e prenotazioni:
Lungarotti – Cantina Turrita di Montefalco
montefalco@lungarotti.it – Tel. 0742.378868 o 349.8689562
Loc. Turrita, via del Boschetto 1, 06036 Montefalco (Pg)
www.lungarotti.it

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Prosecco, 3 mila nuovi ettari tra Veneto e Friuli

Le Regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia , accogliendo la richiesta del Consorzio di Tutela del Prosecco Doc, hanno autorizzato l’estensione della superficie coltivabile per altri 3 mila ettari, 2.444 dei quali sul territorio regionale veneto e 560 ettari in Friuli Venezia Giulia. In questo modo il potenziale produttivo del Consorzio sale a 23.250 ettari. Il provvedimento è stato approvato il 29 giugno e le domande di interesse dovranno essere presentate entro 15 giorni dalla pubblicazione della misura nei bollettini ufficiali delle due Regioni. Per quanto riguarda il Friuli Venezia Giulia, metà degli ettari assegnati sarà distribuita tra le aziende che alla data del 29 aprile 2016 erano già inserite nel sistema di controllo della DOC Prosecco e non soggette al blocco della rivendicazione del marchio. La restante parte è invece riservata alle aziende in possesso di determinate caratteristiche, tra le quali sono prioritarie l’adesione ai canoni dell’agricoltura biologica e l’appartenenza alla gestione previdenziale quale giovane agricoltore. Anche in Veneto la distribuzione dei nuovi ettari avverrà in maniera diversa che in passato riservando, in 1.222 ettari a chi abbia già coltivazioni di Glera.

I PUNTEGGI
I criteri di scelta sono articolati riconoscendo punteggi più alti a chi adotterà tecniche sostenibili con l’uso di criteri biologici. Un ulteriore incentivo nel punteggio è dedicato ai giovani fra i 18 e i 40 anni non iscritti ad oggi nel registro della Doc. Le nuove piante dovranno essere messe a dimora entro il 31 luglio 2017 in superfici comprese fra i 3 mila metri quadrati ed i 3 ettari. Il potenziale produttivo previsto per la vendemmia del 2016 in Veneto è valutato in 3,13 milioni di ettolitri, corrispondenti a 417 milioni di bottiglie (498 milioni tenendo conto la riserva vendemmiale). Gli stessi dati, grazie all’estensione della superficie autorizzata, dovrebbero passare, rispettivamente, a 3,78 e 603 milioni. Fra il 2009 ed il 2015 la produzione di uva nei territori della Doc è aumentata del 236% e gli ettolitri del 260%. Contestualmente il valore dell’uva al quintale è salito dai 55 euro del 2009 ai 110 attuali.

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Vino, Coldiretti: richiesti 12 mila nuovi vigneti, due terzi nel Nord Est

Oltre 12.000 richieste di nuovi vigneti per una superficie di 67.000 ettari pari a oltre dieci volte i 6.400 ettari disponibili a livello nazionale, con le domande che sono concentrate per almeno i due terzi nelle regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia anche se il boom di richieste ha interessato quasi tutte le Regioni. E’ quanto emerge dal bilancio Coldiretti dopo l’entrata in vigore il primo gennaio 2016 della nuova normativa comunitaria sulla gestione degli impianti vitati basata sul sistema delle autorizzazioni che ha opportunamente concesso la possibilità di incrementare le superfici vitate pur all’interno di regole ben precise che scongiurassero il rischio liberalizzazione. Il fatto che la soglia del 1% della rispettiva superficie vitata sia stata superata in tutte le regioni salvo pochissime eccezioni (Piemonte, Lazio e Umbria) evidenzia le criticità del DM 15 dicembre 2015 che – sottolinea la Coldiretti – va revisionato con estrema urgenza, per combattere fenomeni speculativi, accompagnando il criterio del pro-rata – ovvero “più chiedo più ricevo” – con altri meccanismi di salvaguardia. Come già evidenziato a suo tempo è necessario – precisa la Coldiretti – che le scelte nazionali prevedano una gestione attiva del potenziale produttivo per scongiurare il rischio che l’assenza di regole utili, in nome della semplificazione, danneggi il settore. Sebbene si possa condividere un approccio di gestione più semplificato, non necessariamente basato su bandi strutturati con criteri di ammissibilità e priorità, si ritiene necessario e imprescindibile che un “bando semplice” legato al criterio del riparto proporzionale come quello attuale, sia accompagnato da opportuni meccanismi di salvaguardia ed equità da fenomeni speculativi, basati sulla determinazione di un tetto massimo di superficie richiedibile e/o per singola assegnazione e una soglia di esenzione al di sotto di una determinata superficie dall’applicazione della decurtazione proporzionale. “Al fine di rispondere prontamente alla forte esigenza di crescita delle superfici manifestata in alcuni territori si ritiene necessario – conclude la Coldiretti – anticipare il prossimo bando (annualità 2017) già alla fine del 2016 in modo da poter concedere le future autorizzazioni sin dai primi giorni del prossimo anno e consentire così ai produttori di impiantare subito i vigneti autorizzati nella primavera prossima recuperando di fatto un anno”.

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