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Erbamat, o non Erbamat, questo è il dilemma: Franciacorta al bivio sul vitigno autoctono

Erbamat, o non Erbamat, questo è il dilemma: Franciacorta al bivio sul vitigno autoctono. Mario Falcetti (Quadra Franciacorta) sprona i colleghi produttori
Due squadre, anzi due “parrocchie”: sostenitori e detrattori. Ad oltre vent’anni dall’inizio delle prime sperimentazioni, l’Erbamat continua a dividere la Franciacorta tra produttori che investono in nuovi impianti (ancora pochissimi) e generale scettiscismo (il sentimento imperante). A dirlo sono i dati del vigneto dell’Erbamat, ancora inchiodati nel 2024 tra i 10 e i 12 ettari. Una cifra irrisoria, se si considera che il vitigno è stato riscoperto negli anni Ottanta, quando si pensava di poterne ottenere dei vini bianchi fermi, più che degli spumanti. Risale invece agli anni Novanta la consacrazione dell’Erbamat come varietà «capace di apportare acidità e finezza alle cuvée»: parola del Centro Vitivinicolo Provinciale di Brescia che, in collaborazione con il professor Attilio Scienza, era arrivato a una conclusione che molti sembrano ancora ignorare. Soprattutto quando si accosta il termine «finezza» all’Erbamat, noto per lo più per l’alto contenuto di acido malico.

Del 2023 l’identificazione dei primi due cloni certificati, che potrebbero dare ulteriore spinta alla sperimentazione. «Il progetto Erbamat è stato avviato un po’ “a porte chiuse”, con il coinvolgimento di un numero limitato di aziende che ne hanno fatto quasi un vessillo, mentre molte altre cantine si sono sentite un po’ tagliate fuori almeno in quella fase, iniziando così, per certi versi, a “remare contro” e portando avanti ancora oggi dello scetticismo», ammette a winemag.it Mario Falcetti, dal 2022 coordinatore del Gruppo di lavoro Ricerca e Sviluppo del Consorzio Tutela del Franciacorta, nonché direttore ed enologo di Quadra Franciacorta. «Io stesso ero tra i grandi scettici – continua – perché sostanzialmente si assaggiavano vini diversi, di aziende diverse, prodotti in annate diverse, con composizioni varietali, assemblaggi e tipi di affinamento differenti. Quindi era difficile trarre un filo conduttore».

L’ERBAMAT TRA CURIOSITÀ E SCETTICISMO IN FRANCIACORTA

Alla fine, però, ha vinto la curiosità a casa di una delle cantine più meticolose e all’avanguardia della denominazione, non a caso dirette da uno degli enologi più preparati e controcorrente d’Italia. L’occasione per il primo impianto di Erbamat di Quadra arriva nel 2021, quando emerge la necessità di reimpostare il vigneto sul tetto della moderna cantina di Via Sant’Eusebio, 1 a Cologne (Bs). Un piccolo appezzamento con terreno di riporto, che Falcetti decide di dedicare all’antica varietà autoctona bresciana.

«Nel 2022 – spiega – i primi grappolini ci hanno consentito di realizzare una micro vinificazione: abbiamo ottenuto 150 bottiglie, che assaggiamo in test interni o confronti con esperti del settore, senza nessuna velleità commerciale. Oggi, a maggio 2024, hanno circa un anno di permanenza sui lieviti. Con la vendemmia 2023 dell’Erbamat, più generosa, abbiamo applicato il protocollo di vinificazione “Franciacorta”: vendemmia manuale, pressatura soffice e fermentazione nelle medesime vasche della gamma Quadra. Nei prossimi giorni ne faremo una tiratura un po’ più importante: circa un migliaio di bottiglie, che intendiamo mettere in commercio a un prezzo capace di convincere i curiosi all’assaggio, per amplificare il messaggio dell’Erbamat tra i tanti visitatori che già ce lo chiedono».

L’ERBAMAT DI QUADRA FRANCIACORTA: LA DEGUSTAZIONE

Degustate in anteprima, i due millesimi di Erbamat di Quadra (entrambi in purezza e non dosati) appaiono diversi tra loro pur registrando tenore alcolico e acidità simle (10,50/10,80% vol. e 8 g/l). La 2022 inizia oggi a distendersi nel calice, presentando un deciso profilo “semi-aromatico” mai avvertito in altri campioni del vitigno, prodotti da altre cantine. Molto lontano dall’idea del Franciacorta, si lascia apprezzare a partire dal secondo sorso, per il sostanziale equilibrio tra la componente “aromatica”, davvero non sottovalutabile e fine, e la verve fresca e masticabile – più che tagliente – dell’acidità. Uno spumante, in definitiva, di assoluta dignità.

La base 2023 dell’Ebamat di Quadra, incredibilmente (o forse no), appare più vicina all’idea di Franciacorta di quanto si possa immaginare. Il profilo semi-aromatico è più attenuato e la percezione della sapidità – presente anche nel 2022 – fa il paio con la freschezza, sul fronte delle “durezze”. Ancora una volta c’è equilibrio, sapore, carattere deciso. E non manca, per l’appunto, una certa “identità territoriale”, specie se si pensa all’approccio di Quadra al Franciacorta e all’assoluta riconoscibilità dello stile della cantina situata all’ombra del Monte Orfano. Il tutto al netto della differenza tra il vitigno ancestrale e le varietà Chardonnay, Pinot Nero e Pinot Bianco. Per tirare le somme, un altro spumante più che mai promettente e da provare.

«Ovviamente – precisa Mario Falcetti – trattandosi di spumanti 100% Erbamat non possono aderire alla denominazione Franciacorta e la 2023 sarà necessariamente messa in commercio come VSQ. Il senso di queste bottiglie è capire il potenziale dell’Erbamat. Al di là che incuriosito, nel mio ruolo di direttore aziendale, mi sento particolarmente investito del ruolo di investigazione e di valorizzazione dell’Erbamat, in qualità di coordinatore del Gruppo di lavoro Ricerca e Sviluppo del Consorzio Tutela. Voglio essere un ponte tra questo team e il Consiglio di amministrazione e mi piacerebbe che questo tipo di esperienza non avesse padroni, promotori unici o ricettori del concetto che sta alla base dell’Erbamat. Vorrei che questo tema fosse visto come un campo neutro di confronto, sul quale affidarsi semplicemente al bicchiere».

FRANCIACORTA, SENTI FALCETTI: «DUE MOTIVI PER CREDERE NELL’ERBAMAT»

Perché altre aziende dovrebbero investire nell’Erbamat? «Abbiamo un’acidità che mantiene una gran persistenza anche in un periodo di raccolta così ritardato – risponde Falcetti – che quindi, con i cambiamenti climatici, diventerà sempre più un patrimonio. L’altro aspetto che io giudico interessante in un’ottica futura di vini più aderenti alle esigenze del consumatore, o al cambiamento del gusto, è che l’Erbamat non è una macchina da accumulo zuccherino come il Pinot Noir o lo Chardonnay: fatica a raggiungere gli 11 gradi in volume naturali, perfetti per le nostre basi Franciacorta».

«Lo osservo con la neutralità del ricercatore – aggiunge Falcetti – cercando di avere risposte dalla pianta e dal bicchiere. Mi auguro possa fare proseliti, non tanto perché auspico o immagino uno stravolgimento del panorama ampelografico della Franciacorta, ma in quanto la percentuale del 10% massimo nella cuvée stabilita nel 2017 dal disciplinare potrebbe essere aumentata. E mi riferisco, in particolare, alle cuvée della tipologia Brut, alle quali potrebbe dare un contributo senza andare a spostare gli equilibri ai quali siamo abituati».

BRESCIANINI SULL’ERBAMAT: «ANCORA PRESTO, MA ALL’ESTERO È GIÀ UNA CHANCE»

Silvano Brescianini, presidente del Consorzio Franciacorta e ceo di Barone Pizzini – foto credits Vinitaly International

Sull’argomento interviene anche Silvano Brescianini, in duplice veste: quella di presidente del Consorzio Tutela del Franciacorta e di direttore generale di Barone Pizzini, che dal 2008 ha impiantato il vitigno autoctono bresciano ed è tra le aziende che stanno sperimentando di più sulla varietà: «Ho sempre sostenuto che l’Erbamat è un regalo che ci fa la storia: non capita a tutti di trovare un vitigno già presente nel bresciano sin dalla metà del Cinquecento».

«Inoltre – continua – è anche una varietà che ha caratteristiche “tecniche” interessanti per fare Franciacorta. Oggi si parla solo della sua acidità, ma un altro aspetto molto interessante è il suo basso contenuto di polifenoli: in parole povere, non ha sostanze che “invecchiano”. Ossida molto poco. Dunque, più si aumenta la percentuale di Erbamat, più cresce la necessità di far perdurare l’affinamento sui lieviti, perché ha una sorta di “effetto antiage”. Lo stiamo studiando e abbiamo solo una possibilità all’anno, ovvero la vendemmia, per fare progressi in termini analitici. Oggi, come presidente della Franciacorta, mi sento di dire che ci stiamo mettendo il nostro impegno per capire se il vitigno possa dare maggiore personalità alle nostre cuvée».

«Come produttore, per conto di Barone Pizzini – aggiunge Silvano Brescianini – mi sento invece di dire che la varietà è molto interessante e che, a mio avviso, in un’epoca in cui lo storytelling ha un certo valore, soprattutto all’estero, parlare di una varietà presente nel Bresciano sin dal Cinquecento e sottolineare che i nostri Franciacorta possono essere ottenuti da un vitigno che abbiamo solo noi, è un aspetto da non sottovalutare. Posso assicurare che a New  York, parlare di Erbamat, fa un certo effetto e gli Stati Uniti sono un nostro mercato che non si può sottovalutare». Una storia, insomma, ancora tutta da scrivere.

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La Franciacorta di Castello Bonomi: indietro nel futuro con Cuvée 1564 e vecchie annate


COCCAGLIO –
Se non fosse per la vista sui pendii boscosi del Monte Orfano, l’ingresso “alberato” di Castello Bonomi suggerirebbe il Chianti, più che la Franciacorta. Hanno trovato casa qui, nel 2008, i veneti di Casa Paladin che oggi vogliono distinguersi col progetto di recupero dell’autoctono Erbamat (“Cuvée 1564“) e i lunghi affinamenti sui lieviti delle varie etichette, prima dell’uscita sul mercato (750 mila le bottiglie in affinamento in cantina a partire dalla vendemmia 1986, in gran parte dalla vendemmia 2009).

L’intenzione del gruppo, che nel cuore del Gallo Nero detiene in effetti la terza delle quattro tenute (Premiata Fattoria di Castelvecchi) è parsa chiara fin dagli esordi. Con buona pace di chi pensava che la “holding” capitanata da Roberto e Carlo Paladin fosse venuta qui a “far Prosecco”.

Castello Bonomi – che prende il nome dall’unico Chateau della Franciacorta, un edificio in stile liberty di proprietà dell’ingegner Marino Bonomi, progettato alla fine dell’800 dall’architetto Antonio Tagliaferri – è oggi un’azienda sana dal punto di vista finanziario e in espansione.

Il fatturato segna un +30% rispetto al 2018. Ma il 2019 non è ancora finito e l’obiettivo è festeggiare un +40%, il primo gennaio 2020. L’Italia tira le fila del business, con l’80% degli utili. Senza contare le 20 mila bottiglie in più previste in uscita il prossimo anno. Col rintocco del gong a quota 100 mila.

È sano anche il calice di Castello Bonomi, che opera in regime biologico e riduce sempre più i contenuti di solforosa grazie al lavoro di uno chef de cave rigoroso come Luigi Bersini, affiancato dal giovane e motivato agronomo ed enologo Alessandro Perletti. Un’attenzione che si traduce nel desiderio spassionato di “bere” il Monte Orfano.

Un terroir unico nel puzzle della Franciacorta, che si traduce in una marcata salinità e in un “frutto” ancor più difficile da cogliere al momento esatto in vigna, per via dei 2 gradi centigradi in più di temperatura rispetto al resto dell’areale della Docg.

È un po’ Chianti ma anche un po’ Sicilia, Castello Bonomi: tra i muretti a secco che delimitano le vigne non è difficile scorgere addirittura qualche pianta di cappero. Motivo in più per investire nel progetto di recupero dell’antica varietà autoctona bresciana Erbamat.

Castello Bonomi ne è capofila, assieme ad altre quattro storiche cantine franciacortine, tra cui spicca (per ettari vitati, coraggio e determinazione) la Barone Pizzini dell’attuale presidente del Consorzio, Silvano Brescianini. A coordinare il progetto il professor Leonardo Valenti, dell’Università degli Studi di Milano.

Grazie agli elevati tenori di acido malico dell’Erbamat, la Franciacorta pensa di aver trovato “l’ingrediente” adatto a sopperire ai cali della freschezza degli spumanti, provocati dalle ultime estati torride. Agli enologi il compito di trovare la giusta percentuale di Erbamat nelle cuvée con Pinot Nero, Chardonnay e Pinot Bianco.

LA DEGUSTAZIONE

L’Erbamat, infatti, è tutto tranne che una varietà “timida”. Marca il calice, con la sua spinta “acida” e “fresca”. Per aiutare i consumatori a comprendere le caratteristiche di questa varietà autoctona, con la quale saranno prodotti nei prossimi anni i Franciacorta Docg della tipologia “Mordace”, Castello Bonomi immetterà sul mercato ad aprile 2020 la “Cuvée 1564“.

Si tratta di un vino senza Denominazione Franciacorta, ottenuto addizionando un 30% di Erbamat (oggi il disciplinare consente un massimo del 10%) ai tradizionali Pinot Nero (35%) e Chardonnay (35%). Un Vsq (Vino spumante di qualità) destinato al canale tradizionale. Enoteche e ristoranti, dunque, a listino fra i 30 e i 40 euro.

La speciale etichetta – prodotta in quantità limitata, solo 800 bottiglie – si posizionerà su una fascia prezzo intermedia della gamma di Castello Bonomi. A circa la metà del Franciacorta che domina la piramide, la “Cuvée Lucrezia Etichetta Nera” (60 euro + Iva il costo dell’annata in commercio, una strepitosa 2009).

Utilissima la verticale riservata alla stampa proposta da Castello Bonomi venerdì 13 settembre, a meno di 24 ore dall’inizio del Franciacorta Festival 2019. Nel calice le annate 2011, 2012, 2013 e 2014, tutte sboccate ad aprile e dosate con 2 grammi litro.

Per noi – ha spiegato Roberto Paladin – il progetto di recupero dell’Erbamat è molto importante. Dimostra la nostra visione futura del Franciacorta, in un’ottica di continuità qualitativa che non può prescindere dall’innovazione e dalle strategie utili a contrastare i cambiamenti climatici”.

Vino spumante di qualità Vsq Brut 2011 “Cuvée 1564” (non in commercio)
Erbamat fra il 30 e il 32%, a completare Pinot Nero e Chardonnay. Naso piuttosto tipico del Franciacorta: crosta di pane, brioche, iodio caratteristico del Monte Orfano. Cremosa la frazione di Chardonnay, piuttosto riconoscibile. L’Erbamat marca il calice in due fasi: ingresso e retro olfattivo.

Vino spumante di qualità Vsq Brut 2012 “Cuvée 1564” (non in commercio)
Erbamat fra il 38 e il 40%, a completare Pinot Nero e Chardonnay. Complice forse un periodo inferiore sui lieviti, il naso risulta maggiormente appannaggio dell’Erbamat, nella sua caratteristica buccia di agrume, tra l’arancio, il pompelmo rosa e il verde del lime. Anche in bocca l’Erbamat è più presente con la sua verticalità. Al netto dell’annata differente, il 10% in più di Erbamat si sente, eccome.

Vino spumante di qualità Vsq Brut 2013 “Cuvée 1564” (non in commercio)
La cuvée ottenuta con le stesse percentuali della vendemmia 2013: Erbamat fra il 38 e il 40%, a completare Pinot Nero e Chardonnay. Siamo però di fronte alla migliore espressione dell’etichetta targata Castello Bonomi, al momento.

Naso che sfodera una bell’accento fumè, che gioca sul verde dell’Erbamat e sullo iodio. Oltre al frutto, giustamente maturo, una minore impronta della lisi favorisce l’espressione di uno spumante dal carattere pieno ed elegante.

Vino spumante di qualità Vsq Brut 2014 “Cuvée 1564” (in commercio da aprile 2020)
Ritorno al passato per la composizione della cuvée. Come nel 2011, Erbamat fra il 30 e il 32%, a completare Pinot Nero e Chardonnay. Naso tendente nuovamente alla buccia di lime e al pompelmo, impronta dell’Erbamat.

In bocca una freschezza sull’altalena, su e giù sul frutto, assieme alla percezione salina. Chiusura su ritorni di buccia di agrume, che rendono il sorso asciutto e piuttosto elegante. Uno spumante che troverà nei prossimi mesi una quadra e un equilibrio perfetto.

IN CANTINA

Al netto delle differenti percentuali di uve che compongono la cuvée, la tecnica scelta da Castello Bonomi per la produzione di “1564” è ormai definita in cantina, dopo anni di sperimentazioni. L’uva viene pressata intera e la resa tendenzialmente non supera il 50%.

La fermentazione e il successivo affinamento avvengono in serbatoi di acciaio inox a temperatura controllata. Successivamente i vini vengono mantenuti sulle fecce, fino all’arrivo della primavera successiva. Grazie al controllo delle temperature, non viene effettuata la fermentazione malolattica. L’affinamento in bottiglia è di almeno 48 mesi.

Da servire a una temperatura compresa tra i 6 e gli 8 gradi, il Vino spumante di qualità “Cuvée 1564” di Castello Bonomi è perfetto con antipasti a base di salumi tipici come il salame di Montisola e la Ret, se si vuole cercare l’abbinamento territoriale. Ottimo con piatti a base di pesce di lago come la tinca al forno, il pesce persico o il luccio.

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Bollicine 2017: Oltrepò culla del Pinot Nero. Franciacorta, scommessa Erbamat

Oltrepò pavese e Franciacorta, due tra le zone più vocate in Italia per la produzione di spumante Metodo classico, hanno dato il via alla vendemmia 2017.

Una raccolta anticipata che non trova memoria in epoca recente, nel Pavese. Già il 2 agosto il taglio dei primi grappoli sulle colline di Oliva Gessi, pittoresco borgo di 200 abitanti alle porte di Pavia, tra Casteggio e Montalto pavese.

I primi vigneti a raggiungere la giusta maturazione in Franciacorta sono invece quelli localizzati sul versante esposto a Sud del Monte Orfano, grazie al microclima più caldo.

Ma se in Oltrepò, primo terroir di Lombardia con 13.500 ettari di vigna sui 22 mila totali, si parte di consueto dalla raccolta delle uve base spumante (Pinot nero e Chardonnay), in Franciacorta l’attenzione è focalizzata sulla risposta di un altro vitigno: l’Erbamat.

L’AUTOCTONO RISCOPERTO
Il primo agosto è entrato in vigore il nuovo Disciplinare di Produzione approvato dal Ministero, che prevede la possibilità di utilizzare lo storico autoctono bresciano a bacca bianca nella misura massima del 10%, nel blend con Chardonnay, Pinot Bianco e Pinot Nero.

Sono interessate tutte le tipologie, tranne il Satèn. L’obiettivo del Consorzio di Tutela è quello di “permettere di testare le sue potenzialità in modo graduale e valutarne eventuali incrementi in futuro”. Un traguardo raggiunto dopo anni di sperimentazioni condotte in sordina sull’Erbamat, vitigno dimenticato ma di cui si ha notizia fin dal ‘500.

“Le modifiche al disciplinare – continua il Consorzio – che si riconferma il più restrittivo al mondo fra i vini rifermentati in bottiglia, restano quindi vocate all’obiettivo di perseguire l’eccellenza in ogni singolo passaggio produttivo e aprono la strada a nuove possibilità di differenziazione. In un mondo spumantistico che prevede pressoché ovunque l’impiego di Chardonnay e Pinot Nero, infatti, l’uso dell’Erbamat può diventare un fattore di esclusività importante, capace di ripercuotersi anche sull’interesse dei consumatori internazionali”.

LE STIME
Il clima pazzo ha lasciato il segno sui vigneti della Lombardia con un taglio medio del 20% sui raccolti. E’ quanto stima la Coldiretti regionale in occasione della vendemmia 2017, iniziata il 2 agosto in Oltrepò e Franciacorta per concludersi a ottobre, in Valtellina.

E se in alcune zone le rese sono in calo del 30% con punte anche del 50% a causa delle gelate della scorsa primavera che hanno colpito a macchia di leopardo, “il caldo e la siccità di questi ultimi mesi – evidenzia Coldiretti – hanno esaltato la qualità e la maturazione dei grappoli”.

Secondo la stima di Coldiretti Lombardia, la produzione regionale dovrebbe superare il milione e 200 mila ettolitri di vino, la maggior parte dei quali per Docg, Doc e Igt. “Con i nostri vini di qualità raccontiamo l’Italia nel mondo – spiega Ettore Prandini, Presidente di Coldiretti Lombardia e vice presidente nazionale di Coldiretti – si tratta di un patrimonio di cultura, conoscenza ma anche economico visto che l’export supera i 5 miliardi di euro all’anno”.

Le province più “vinicole” sono Pavia e Brescia, che da sole rappresentano i due terzi delle superfici vitate in Lombardia e il 70% delle oltre tremila aziende lombarde. A seguire Mantova, Sondrio, Bergamo, Milano e Lodi (con le colline fra San Colombano e Graffignana), ma zone viticole con piccole produzioni si contano anche fra Como, Lecco, Varese e Cremona.

Crescono poi le superfici dedicate ai vigneti “organic”, salite a 2.570 ettari, quasi tre volte in più rispetto a quelle di dieci anni fa, con un’incidenza del 15% sul totale delle aree dedicate alle produzioni di alta qualità. Per quanto riguarda la mappa dei vigneti bio o in conversione al bio, il 61% è concentrato in provincia di Brescia con 1.581 ettari, il 32% in provincia di Pavia con 829 ettari e il resto fra Bergamo (71 ettari), Mantova (43 ettari), Sondrio (26 ettari), Lecco (11 ettari) e Milano (10 ettari).

L’intera filiera del vino, fra occupati diretti e indiretti, temporanei e fissi offre lavoro in Lombardia a circa 30 mila persone e la produzione genera un export di circa 260 milioni di euro all’anno, in particolare verso Stati Uniti, Gran Bretagna, Svizzera, Canada e Giappone.

Sul fronte dei consumi, sempre secondo le stime Coldiretti, in Lombardia quasi 5 milioni di persone bevono vino durante l’anno puntando sempre di più alla qualità, come testimonia il boom delle enoteche, arrivate a sfiorare quota mille, con un aumento di oltre il 30% negli ultimi sette anni. La provincia con la maggior concentrazione di “oasi delle Doc” è quella milanese con 261 realtà, seguono Brescia (175), Bergamo (109), Varese (99), Monza e Brianza (82), Como (63), Pavia (59), Mantova (47), Cremona (34), Lecco (31), Sondrio (25), Lodi (9).

LE STRADE DEL VINO LOMBARDO
Ma il vino è anche un mezzo di scoperta del territorio. In Lombardia si contano oltre mille chilometri di sentieri del nettare di Bacco.

Al primo posto Brescia, con 370 chilometri suddivisi tra la Strada dei Vini e dei Sapori del Garda (200 chilometri), la Strada del Vino Colli dei Longobardi (90 chilometri) e  la Strada del Vino Franciacorta (80 chilometri).

A seguire c’è la provincia di Mantova, con la Strada dei Vini e dei Sapori Mantovani che si estende per circa 300 chilometri, quella di Sondrio con i 200 chilometri della Strada dei Vini e dei Sapori della Valtellina, Bergamo con la Strada del Vino e dei Sapori della Valcalepio (70 chilometri) e infine, Lodi e Pavia, rispettivamente con la Strada del Vino San Colombano e dei Sapori Lodigiani e la Strada del Vino e dei Sapori dell’Oltrepò Pavese (con 60 chilometri ognuna).

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