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Tenuta Casenuove nel Chianti Classico: la (penultima) sfida di Philippe Austruy

Tenuta Casenuove nel Chianti Classico: la (penultima) sfida di Philippe AustruyDev’essere uno a cui piacciono le sfide, Philippe Austruy. Quando nel 2012 ha comprato Chateau Malescasse, nell’Haut Médoc, sapeva di dover riposizionare sul mercato un brand fatto a pezzi dai négociant di Bordeaux, in un gioco al ribasso che ne aveva seppellito gli antichi fasti, fin dentro le radici. Si racconta che, forte dell’esperienza sul campo maturata dal 2001 con l’acquisto de La Commanderie de Peyrassol, in Provenza, il magnate francese dell’Healthcare abbia riacquistato tutti i lotti, indietro sino all’annata 2000. Riaccendendo il motore inceppato di uno degli Chateau di maggiore tradizione nella zona.

Quinta do Corte, nel Douro, arricchisce il prestigioso portafoglio di aziende vinicole nel 2013: viticoltura eroica, terrazze da vertigini e un microclima che scoraggia, in tempi di cambiamenti climatici. In quest’ottica, Tenuta Casenuove, poteva sembrare la location perfetta per il più che meritato buen retiro di un’uomo d’affari che, nel 2015, iniziava a intravedere le 70 candeline. Ma neppure per idea. Austruy, figlio di medici e patron di brand come Medifutur, Medipep e Générale de Santé nel campo della Salute, ha ribaltato come un calzino la sua nuova creatura, nel cuore del Chianti Classico.

DAL CHIANTI CLASSICO DI TENUTA CASENUOVE ALL’ANSONICA DELL’ISOLA DEL GIGLIO

Oggi, Tenuta Casenuove è a sua immagine e somiglianza: una cantina con spazi per ristorazione e ospitalità votata al bello, all’arte, al benessere e – come di conseguenza – al vino d’eccellenza. L’etichetta da non perdere è la Gran Selezione 2018. Ma la crescita qualitativa e il cambio di mano riscontrato tra le annate 2019 e 2020 del Chianti Classico e 2018 e 2019 del Chianti Classico Riserva 2018 e 2019 consigliano di inserire Casenuove tra i “crack” della Toscana da bere. Senza dimenticare i meriti di un team giovane e dinamico che vede ai “violini” gli enologi Cosimo Casini e Maria Sole Zoli, e alla direzione l’esperto e appassionato Alessandro Fonseca.

Il prossimo capitolo? È già in parte scritto, sull’Isola del Giglio. Da lì provengono le uve dell’Igt Toscana Bianco Ansonica 2019 “Scoglio Nero”. Ottocentotrentadue bottiglie numerate che segnano l’ingresso di Philippe Austruy nella dimensione dei grandi vini bianchi italiani da suolo vulcanico – anche se in realtà si tratta di un elegantissimo macerato – con quella che ha voluto rinominare Tenuta Isola nel Giglio. Uve che, per ora, vengono vinificate a Panzano, all’ombra del Gallo Nero, in “Galatea” Clayver da 4 ettolitri. Domani, non si sa (sull’isola stessa?). Ogni nuova sfida, in fondo, è già una mezza promessa.

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Il Douro è Città europea del Vino 2023


Non una città, ma un intero territorio. La regione vinicola portoghese del Douro è stata scelta come Città europea del Vino 2023 da Recevin, network europeo delle Città del vino con sede a Strasburgo. Il Douro aveva già tentato di aggiudicarsi il riconoscimento nel 2018, con la sola cittadina di Peso da Régua.

Un’esperienza dall’esito negativo che ha dato il via a collaborazioni tra le comunità locali, sino all’accordo per una candidatura dell’intera regione vinicola. Lo scorso mercoledì, a Bruxelles, il sindaco di Peso da Régua ha raccolto i frutti di un gioco di squadra senza precedenti.

«Il Douro, già Patrimonio dell’Umanità Unesco con i suoi terrazzamenti vitati sull’omonimo fiume  e patria del Porto – commentano i promotori – sarà così ancor più un riferimento europeo nella cultura e nella celebrazione armoniosa della natura e del lavoro secolare svolto da generazioni di abitanti del Douro».

La vendemmia 2022 nella Valle del Douro: «Vini mai così “leggeri”. E sarà un grande Porto»

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Vendemmia 2022, Nizza Docg come il Douro: «Gradazioni non esasperate ed equilibrio»


«Vini che già oggi svelano grande colore purpureo, morbidezza e struttura, ma sorprendentemente gradazioni alcoliche non esasperate con carattere di equilibrio impensabile». Ecco cosa aspettarsi dalla vendemmia 2022 dei Nizza Docg, secondo il presidente dell’Associazione Produttori del Nizza, Stefano Chiarlo.

La vendemmia 2022 sarà ricordata per la “resilienza” climatica che la vite ha dimostrato e per l’attuazione delle pratiche virtuose che i produttori del Nizza, facendo tesoro delle annate precedenti con condizioni climatiche simili, hanno adottato ottenendo vini di  ottima qualità, carattere ed equilibrio».

Due le parole con cui si può sintetizzare la vendemmia 2022 del Nizza Docg: calda e secca. Queste condizioni climatiche impegnative si sono concretizzate in una raccolta mediamente anticipata di circa 10/15 giorni per la varietà Barbera nella zona.

Climaticamente l’annata 2022 ricorda molto la 2017. Con la differenza che quest’anno la vite ha sviluppato un maggior adattamento. Reagendo con una grande resilienza definita «sorprendente» dagli stessi produttori.

Un commento che accomuna i produttori del Nizza a quelli del Moscato bianco per l’Asti Docg, che proprio ieri hanno tirato le somme sulla vendemmia 2022. Uscendo dai confini nazionali, si sono detti «sorpresi» dell’esito dell’annata anche i vignaioli della Valle del Douro, zona notoriamente connotata da vini con alte gradazioni alcoliche.

La vendemmia 2022 nella Valle del Douro: «Vini mai così “leggeri”. E sarà un grande Porto»

STEFANO CHIARLO: «RESE BASSE DETERMINANTI PER IL NIZZA DOCG»

Il fattore critico, per i produttori del Nizza Docg, è stato la scarsità idrica con una riduzione del 60% della caduta d’acqua rispetto ad un’annata normale. Nel dettaglio si parla, nel 2022, di soli 400 mm d’acqua rispetto ad uno standard di 950 mm.

«Tutto ciò – spiega l’Associazione produttori del Nizza – deriva da scarse nevicate invernali, moderate piogge primaverili e da un’estate lunga e siccitosa contrassegnata da rari temporali che fortunatamente non sono stati grandiniferi».

Ma «l’esperienza, l’ingegno e la sensibilità dei viticoltori» hanno permesso di adottare le giuste pratiche agronomiche nel vigneto. Per fronteggiare condizioni climatiche impegnative «senza intaccare l’equilibrio e la qualità del prodotto».

Il fatto che da disciplinare la resa per ettaro, stabilita a 70 quintali, sia più bassa rispetto alle altre – commenta ancora Stefano Chiarlo – è stato un ulteriore fattore che ha fatto in modo che le viti superassero meglio di altre lo stress idrico. Le vigne del Nizza Docg hanno dunque saputo reagire molto bene».

A garantire «la perfetta maturazione delle uve preservandone la freschezza, l’integrità e l’equilibrio» hanno contribuito anche altre decisioni. Tra queste, la scelta di lasciare la vegetazione a proteggere i grappoli dall’insolazione diretta, evitando che le bucce venissero danneggiate e consentendo ai grappoli di non disidratarsi. A buon fine anche il ritardo sul consueto periodo riservato ai diradamenti, al pari dell’anticipo della vendemmia.

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La vendemmia 2022 nella Valle del Douro: «Vini mai così “leggeri”. E sarà un grande Porto»

Alcol e acidità moderate, ottima espressione del frutto. Contrariamente alle aspettative, una scarsa presenza di uve surmature, secche o disidradate. La vendemmia 2022 nel Douro è stata tra le più impegnative e sfidanti di sempre, con un calo della produzione che va dal 30 al 50%. Ad assicurarlo sono i Douro Boys, gruppo di vignaioli riunitosi nel 2003 «per formare una perfetta “Cuvée”» e mostrare al mondo le potenzialità del Porto e dei vini bianchi e rossi secchi prodotti nella più famosa regione vinicola del Portogallo.

Come in tutta Europa, anche nella Valle del Douro la vendemmia 2022 è stata caratterizzata da un clima molto secco. Le precipitazioni sono scese al 30% rispetto alla media del periodo 1971/2000 e al 37% rispetto alle ultime due annate del 2020 e del 2021.

A seconda della posizione della valle e del vigneto, le precipitazioni totali prima dell’inizio del raccolto (da gennaio a luglio) sono state solo tra 170 e 260 ml. Circa un terzo rispetto alla media di 500-700 ml. La temperatura media da maggio a settembre è stata più alta che mai. Per 23 giorni consecutivi il termometro ha superato i 35 gradi. Raggiungendo i 48 gradi a luglio nella zona di Pinhão.

Viste le condizioni di super-secchezza, i Douro Boys si aspettavano un’elevata quantità di uve secche. Sorprendentemente questo non è avvenuto, come confermato durante la conferenza online odierna tutti i vignaioli del gruppo: João Ferreira Álvares Ribeiro e Francisco Ferreira (Quinta do Vallado), Cristiano Van Zeller (Van Zellers & Co.), Francisco “Xito” Olazábal (Quinta do Vale Meão), Tómas e Miguel Roquette (Quinta do Crasto) e Dirk van der Niepoort (Niepoort).

DOURO, VEMDEMMIA 2022: VINI BIANCHI E ROSSI “LEGGERI” E FRUTTATI

Le uve raccolte – dichiarano pressoché all’unisono i Douro Boys – sono vitali, fresche e fruttate, il grado zuccherino è inferiore a quello delle annate normali, sino a un minimo di 12,5% vol.

Probabilmente è così perché le viti hanno interrotto la fotosintesi durante l’estate molto secca, a causa della mancanza di umidità. Anche la resa è ovviamente ridotta. Il peso dell’uva è solo l’80% di quello di un’annata media e ha conservato pochissimo succo».

La vendemmia delle varietà di uva a bacca bianca è iniziata intorno al 10 agosto nel Douro Superior e in altre sottoregioni. Nonostante la scarsa escursione termica tra giorno e notte, le uve risulterebbero molto fruttate. L’acidità è invece inferiore alla media, ma a un buon livello per produrre vini freschi, specie in caso di scelta dell’uvaggio.

I vini rossi 2022 del Douro sono meno alcolici. Per alcuni Touriga Franca si arriva addirittura all’11%. Tuttavia, i vini rossi presentano colori rossi e violacei molto intensi e al naso sono molto puri e intensi. I tannini morbidi ed equilibrati.

LA VENDEMMIA 2022 DEL PORTO NEL DOURO

La vendemmia delle uve del Porto è appena iniziata nel Douro e sembra «molto promettente, con un’alta concentrazione di frutta e intensità». Si tratta sicuramente di un’annata molto buona, «forse addirittura eccezionale», si spinge a dire qualcuno, tra i Douro Boys. Maggiori indicazioni si avranno attorno al mese di maggio 2023, dal momento che i vini al momento si trovano ancora in acciaio. Ma le aspettative, ad oggi, sono alte.

Scarse le quantità di Porto 2022, in linea con gli altri vini della regione. «Ma le uve sono molto aromatiche, molto intense, non molto acide, ma ben equilibrate, soprattutto quelle provenienti da vecchie vigne», garantisce per tutti Daniel Niepoort.

Nella Valle del Douro, le viti sono abituate a sopravvivere in condizioni molto calde e secche, lungo ripidi pendii pietrosi e scistosi. Questo potrebbe essere uno dei motivi per cui le piante hanno affrontato meglio le condizioni estreme della vendemmia 2022, rispetto ad altre regioni.

Le vigne vecchie e molto vecchie (50-80 anni) sono molte nel Douro e le radici profonde hanno aiutato la pianta a superare il periodo critico e le condizioni della superficie del terreno. I produttori locali, del resto, si interrogano da anni sui cambiamenti climatici.

IL FUTURO DEL DOURO: IMPIANTI AD ALTA QUOTA E PASSAGGIO AL GUYOT

Tra le mosse dei Douro Boys, l’interruzione del cordone e il passaggio al guyot doppio, meno vigoroso. Il Douro ha 43 mila ettari di vigneti tra gli 80 e gli 800 metri. I nuovi vigneti, soprattutto per i vini bianchi, sono per lo più piantati in altitudine.

È stato poi interrotto l’uso delle colture di copertura, preferendo e tornare a mobilitare il suolo (redra) all’inizio di luglio. In questo modo si riduce la capillarità dello strato più alto del suolo, impedendo alla già scarsa umidità e alla piccola quantità d’acqua presente nel suolo di evaporare.

Mosse anche sul fronte dell’esposizione e della selezione dei vitigni più adatti. Soprattutto per i vini bianchi, l’esperienza ha dimostrato che varietà come Arinto, Rabigato, Gouveio e Viozinho sono meno produttive rispetto a Malvasia Fina, Codega e Fernao Pires, utilizzate in passato per la produzione di vini di stile “pop”. Inoltre, producono meno zucchero e quindi meno alcol e più acidità.

Per questo motivo, sono ideali per produrre vini bianchi equilibrati, anche in anni di clima estremo. Il Touriga Nacional, probabilmente il vitigno più conosciuto nel Douro, si è adattato bene al caldo e continua a produrre vini equilibrati, anche in annate secche o torride. Una risorsa ottimale, anche per il Porto.

Per i vini rossi, alcuni produttori preferiscono il Touriga Franca, fresco e a maturazione tardiva. Le piantagioni miste riservano vantaggi: con diversi vitigni si ha sempre un equilibrio tra la maturazione eccessiva e la freschezza.

L’EXPORT DEL VINO PORTOGHESE TRAINATO DALL’ENOTURISMO

Il Portogallo ha attraversato momenti difficili, ma è riuscito a raggiungere gli obiettivi fissati dall’Unione Europea. Allo stesso tempo, gli ottimi investimenti in un turismo di qualità hanno aiutato il Paese a imboccare con decisione la via dell’enoturismo.

Non a caso, il 2022 è stato un anno record per il Portogallo, grazie soprattutto a un un forte aumento degli ospiti provenienti dagli Stati Uniti. «Il boom del turismo aiuta molto l’industria vinicola portoghese», sottolinea João Ferreira di Quinta do Vallado, cantina con ospitalità, grazie ad alcuni hotel in posizione mozzafiato sulla Valle del Douro (Quinta do Vallado Régua e Casa do Rio Foz Côa).

Le vendite di vino sono aumentate del 100% nell’Horeca rispetto all’anno scorso, che è stata già un’ottima annata. Il 42% in più di ospiti ha soggiornato alla Quinta e il 70% in più di visitatori nel 2022 fanno di questo l’anno migliore di sempre».

Unica nota dolente per i Douro Boys, la mancanza di bottiglie che ha impedito di imbottigliare per tempo tre vini destinati ai festeggiamenti per i 20 anni dalla nascita dell’associazione. Si sarebbe trattato di un Porto e di due cuvée – una bianca e una rossa – che saranno presentati ad aprile 2023.

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Mateus Rosé in numeri: storia dell’eterno rosato portoghese classe 1942

Sarà perché è nato in tempi oscuri. Quel 1942 segnato dalla Seconda Guerra Mondiale, ricordata dalla forma della bottiglia, simile alla borraccia di un soldato. Fatto sta che Mateus Rosé si mostra ancora al grande pubblico internazionale senza acciacchi. Nel 2021, l’eterno rosato portoghese compie 79 anni di gloriosa storia. Un “giovanotto” che neppure il Covid-19 è riuscito a fermare. Anzi.

«Ad oggi, vendiamo 21 milioni di bottiglie di Mateus Rosé all’anno», rivela a WineMag.it il brand management di Sogrape Vinhos. Di questi, «più di 1 milione di bottiglie in Italia». Il Bel paese figura in una sorprendente Top 10 delle vendite mondiali.

In testa Australia, Canada e Francia (chi avrebbe mai scommesso su un tale successo nella patria dei rosé?). A seguire Germania, Italia, Portogallo (la casa madre è solo sesta). A chiudere Russia, Spagna, Svizzera e Regno Unito.

Un vino che attraversa con leggerezza otto decenni. Ha saputo evolversi e reinventarsi, rimanendo sempre se stesso. «Le uve originariamente assemblate nel 1942 da Fernando van Zeller Guedes – spiega Sogrape Vinhos – sono sempre  le stesse: Baga, Rufete, Tinta Barroca e Touriga Franca».

Ad essersi evolute sono le caratteristiche sensoriali, al passo delle tecniche di viticoltura ed enologia decisamente migliorate rispetto gli esordi, negli anni Quaranta. Oggi, i produttori di vino hanno a disposizione risorse che all’epoca erano inesistenti».

A rendere più semplice il compito, il fatto che Mateus Rosé è un vino prodotto senza indicazione di annata. Frutto, per l’appunto, di un’annuale selezione dei quattro vitigni rossi portoghesi, curata dall’enologo António Braga.

Uve vinificate sostanzialmente “in bianco” – dopo un breve contatto con le bucce utile ad ottenere il tipico “rosa” – provenienti da varie regioni vinicole del Portogallo in cui è presente Sogrape.

L’azienda della famiglia Guedes ha base ad Avintes – sponda sinistra del fiume Douro, a sud della città di Porto – e dispone di 830 ettari complessivi. Dimensioni paragonabili a quelle di realtà cooperative italiane come Cantina di Venosa, in Basilicata, o private come Ferrari Trento, in Trentino.

«Quello che conta – spiega il colosso del vinho portugues – è che il profilo leggero e rinfrescante di questo rosato sia sempre riconoscibile. Crediamo inoltre che il successo non si misuri solo a livello finanziario, ma anche nella capacità di mantenere tendenze sane, vive, attive».

Una lettura capace di risultare sempre accattivante e attraente per i consumatori, conquistandoli. Tutto questo accade mentre Mateus Rosé sta per compiere 80 anni. È arrivato fin qui e vuole restare sulla cresta dell’onda ancora più a lungo»

Uno dei fattori di maggiore successo è la versatilità in tavola, caratteristica imprescindibile per un vino pop. Come indica lo stesso produttore, Mateus Rosé Original è infatti «ideale come rinfrescante aperitivo». Ma si sposa piuttosto bene anche con pesce, frutti di mare, carni bianche, grigliate e insalate.

Sogrape Vinhos fa esplicito riferimento anche a «pasta e altri piatti della cucina italiana», oltre a suggerire il paring «magnifico con diversi stili di cucina orientale, come la cinese e la giapponese».

LA STORIA DI UN MITO

Eppure, tutto è iniziato con un vino che si presentava diverso dal rosé portoghese che oggi tutto il mondo conosce. Un “amber rosé“, per l’esattezza. Ovvero un rosé ambrato. Alcol in volume 11% e 20 g/l di residuo zuccherino (oggi scesi a 15 g/l, con 2,8 g/l di Co2 e un pH che si assesta su 3,2 / 3,3).

Era il 1942 quando il primo enologo di Mateus, il francese Eugene Hellis, iniziava a lavorare alla “formula magica” di un rosé che sarebbe entrato nella storia. Le uve a bacca rossa di quei tempi provenivano da diverse zone, ma di una sola regione: il Douro.

Alvarelhão, Rufete e Mourisco, le meno utilizzate nella produzione del Porto, finirono per essere valorizzate da Mateus. C’è della poesia anche attorno alla prima vinificazione, avvenuta in una cantina in affitto, a Vila Real.

Una cittadina della regione di Tras-os-Montes arroccata a 420 metri sul livello del mare, circondata dai vigneti della Valle del Douro e dalle montagne, non lontana dal punto di confluenza tra i fiumi Cabril e Corgo.

Da lì, il vino veniva trasportato a Porto, per essere poi imbottigliato nei magazzini di Monchique. «La cantina originale di Vila Real – rende noto Sogrape Vinhos – divenne troppo piccola per tenere il passo del trionfo globale di Mateus. Così, nel 1960, Sogrape acquistò la Quinta do Cavernelho, nel quartiere San Mateus di Vila Real».

È l’anno della svolta per il rosato portoghese, che due anni più tardi, nel 1962, può contare anche sul primo impianto di vinificazione, con una capacità di 9 milioni di litri. Ciò significa che a inizio anni Sessanta, la produzione si Mateus poteva assestarsi sui 12 milioni di bottiglie. Già un’enormità.

Era però un vino diverso. Le uve venivano pigiate dopo la decantazione statica senza alcun controllo della temperatura o tempo prestabilito di macerazione. La chiarifica dei mosti, dopo la pressatura, avveniva a temperatura ambiente, con l’utilizzo di alte dosi di anidride solforosa.

Non c’era controllo della temperatura in fermentazione. I lieviti? Non certo quelli “selezionati”, moderni. In questo senso, Mateus Rosé può dirsi uno dei primi “vini naturali rosa” divenuti famosi nel mondo.

Condizioni difficili anche quelle dei magazzini di Monchique. «I dipendenti di Sogrape che vi lavoravano – riferisce il brand management – ricordano con un senso di nostalgia quei giorni di lavoro ininterrotto, quando la maggior parte delle mansioni veniva ancora svolta manualmente».

Le casse di vino arrivavano dal Douro, su camion stracarichi, privi del refrigeratore. Una volta all’interno, gli scatoloni venivano trasportati sulla testa delle donne. Mateus Rosé veniva filtrato su piastre ancestrali e gassato manualmente, prima di essere imbottigliato.

Anche l’intero lavoro di imbottigliamento, etichettatura e confezionamento era svolto a mano. I tappi erano fissati con lo spago, prima di essere sigillati. Le bottiglie avvolte in tessuto, rivestite con la paglia e imballate in scatole di legno.

È sotto la direzione di Fernando Guedes che si compie un altro passo avanti verso la modernità, con la costruzione delle due strutture ad Avintes, ancora oggi centro di imbottigliamento di Mateus.

Nel 1968, la capacità di produzione assicurata da Sogrape arriva a 23 milioni di litri. Ingrana la quinta anche l’imbottigliamento, con tre linee da 240 mila bottiglie al giorno.

LA SVOLTA SUL FRONTE DELLE UVE

Intanto, nel Douro, la prosperità commerciale del Porto aveva portato a un aumento dei costi delle uve locali. Viste le difficoltà di approvvigionamento e la crescente domanda, Sogrape Vinho decise così, a inizio anni Settanta, di trasferire gran parte della produzione in una nuova cantina.

Lo stabilimento è quello di Anadia, nella regione di Bairrada. Un luogo in cui l’azienda investì cifre galattiche, per la costruzione di uno degli impianti di vinificazione più avanzati d’Europa. Le chiavi del nuovo progetto furono affidate al terzo enologo della storia del rosé più famoso del mondo: João Tavares de Pina. Con il trasferimento della produzione, il vitigno Baga entra nel blend di Mateus.

Questa si è rivelata un’ottima varietà per produrre rosato – rivela Sogrape Vinho – complici anche le caratteristiche pedoclimatiche della regione di Bairrada, influenzata dalle correnti fresche dell’Atlantico e dunque in grado di produrre uve con acidità naturale e amplificare gli aromi primari di frutti rossi. Due fattori che hanno contribuito a migliorare ulteriormente Mateus».

Nel frattempo vengono conclusi i lavori di realizzazione di un’altra cantina, sull’altopiano di Trás-os-Montes, nel nord-est del Portogallo. Già negli anni Settanta, l’azienda sembra aver compreso l’importanza dell’altitudine delle vigne per preservare la freschezza del rosato. Una tematica divenuta oggi attuale, in tutto il mondo, per via dei cambiamenti climatici.

La corsa alle “vette” si materializza non a caso in una regione che ha il suo segreto nel nome: “Tra i Monti”. Situata a un’altitudine di 500 metri sul livello del mare, è l’habitat perfetto per varietà come Tinta Roriz, Touriga Franca e Rufete. Ottime per l’uvaggio di Mateus anche per la loro attitudine a garantire moderate gradazioni alcoliche.

Grandi progressi arrivano negli stessi anni sul fronte enologico. Il team di winemaker Sogrape inizia a chiarificare i mosti mediante centrifuga e a condurre le fermentazioni a temperatura controllata di 16-18º.

Al via anche le prime sperimentazioni di inoculo di lieviti selezionati. «Queste nuove tecniche – rivela la cantina portoghese – hanno ulteriormente aumentato la qualità. Ma la più grande innovazione nella vinificazione di Mateus Rosé è stata la capacità di fermare il processo di fermentazione subito dopo la pressatura delle uve».

Questo ha permesso ai mosti di fermentare tutto l’anno, a seconda della richiesta, consentendo l’imbottigliamento dei vini ancora freschi e giovani. Progressi pionieristici guidati dall’enologo João Tavares de Pina, che hanno dato a Mateus un netto vantaggio sulla concorrenza, in termini di qualità».

Si arriva così al rosato che oggi tutti conoscono, caratterizzato da pétillance e acidità, amalgamate ai frutti rossi. Uno dei mostri sacri dell’enologia industriale internazionale. Più forte del tempo e della pandemia, distribuito in 120 mercati del mondo. Chissà dove saprà ancora arrivare e come sarà in grado di restare al passo coi tempi.

Il primo indizio arriva dai packing innovativi, che collocano la referenza (divenuta nel frattempo una linea di vini a marchio Mateus) nel segmento dei “party wines“, perfetta per giovani (che lo bevono com la cannuccia, in formato mini) e consumatori spensierati. Del resto, tutta la storia di questo vino, pare una festa infinita, intervallata da 79 candeline. Prosit.

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Approfondimenti

Sfumature di Porto fra tradizione e modernità

I fiumi ed il mare, due elementi che spesso hanno condizionato la storia dell’uomo e del vino. Il fiume in questo caso è il Duero (in Spagna) o Douro (in Portogallo) ed il mare è l’oceano Atlantico.

Terzo fiume della penisola iberica con i suoi 827 Km il Duero nasce nel nord della Spagna per poi segnare il confine col Portogallo (dove è chiamato Douro) e dopo averlo attraversato, gettarsi nell’Atlantico, creando due importanti regioni vinicole, una per nazione.

Nel tratto portoghese il Douro ha scavato una valle profonda, impervia ed “eroica” per la viticultura. Terreni scistosi e granitici su cui affondano le radici della vite. Presenza di calcare e sabbie fluviali che si mescolano allo scheletro pietroso donando all’uva i suoi tipici sentori.

È dalle coltivazioni del Douro che nascono i vini Porto. Pigiatura tradizionale in vasche di pietra, macerazione sulle bucce, mutizzazione della fermentazione tramite aggiunta di acquavite. Quindi trasporto via fiume fino alle città di Porto e di Vila Nova de Gaia dove avviene l’affinamento secondo metodologie tradizionali mutuate dalla tradizione.

Se la fortuna storica del vino di Porto la si deve agli inglesi, che ne hanno sfruttato la grande stabilità per poterlo agevolmente trasportare via nave in ogni dove, certo è anche che oggi non siamo più così abituati al consumo di vini fortificati.

Per rinfrescarci la memoria (ed il palato), per approfondirne la conoscenza, per dare modo di assaggiare e scoprire produzioni di nicchia ma rappresentative dei vari stili di Porto, la sezione ONAV di Varese ha organizzato lo scorso 12 dicembre una interessante degustazione.

Sei tipologie diverse, fra giovani ed invecchiati, ossidati e non, per dare una panoramica quanto più ampia possibile a questo mondo spesso relegato in secondo piano.

LA DEGUSTAZIONE
Ruby Reserva, Quinta de Lamelas. Colore rubino cupo con riflessi violacei sull’unghia. Al naso si ha subito una nota di legno secco molto presente che fa quasi pensare che il bicchiere sia ancora “chiuso”. In realtà il sentore non se ne va col tempo o la rotazione ed è quindi una caratteristica poco elegante del vino. Al di sotto belle note di frotta rossa sotto spirito, prugna secca e ribes.

Un Porto non ossidativo che in bocca risulta morbido e burroso, con una bella dolcezza e sentore di frutti rossi macerati molto gradevole. Un bicchiere dall’interessante contrasto naso/bocca.

Tawny Reserva, Quinta del Lamelas. Ambrato, quasi spogliato nel colore, ma molto luminoso. Al naso arriva subito la nota ossidativa. Note ferrose e profumi di mela ed albicocca cotte, mallo di noce. L’alcool si percepisce al naso ma non è fastidioso lasciando spazio a note di pasticceria, crème brulée e marmellata d’arance. In bocca è gradevole ed armonico, con ossidazione e note mentolate e di rabarbaro che sostengono la persistenza.

Late Bottle Vintage 2012, Quinta de Pego. Un LBV, cioè in imbottigliamento tardivo, non filtrato. Colore violaceo intenso ed un naso ricco di frutta (soprattutto rossa) ed una leggera nota ossidativa pur non essendo nello stile della bottiglia. In bocca è più dolce dei precedenti e rivela una piacevole trama tannica sostenuta da una viva freschezza. Note di frutta ed una sensazione setosa che accompagnano il finale.

Vintage 2000, Quinta Sao Pedro. Rubino intenso. Leggero sentore ossidativo e note “polverose”, “di cantina”, per un naso poco pulito dal quale emergono profumi di frutta surmatura. In bocca l’alcolicità è marcata ma non fastidiosa. Secco ed un po’ aggressivo al palato, quasi squilibrato. Un Porto più “virile” dei precedenti e più legato alla tradizione.

Porto 30 anos, Quinta de Bulas. Trent’anni di invecchiamento in botte che donano un affascinate colore “tonaca da cappuccino” con riflessi verdastri. Naso ricco e complesso con frutta come dattero, more e fico, terziario di liquirizia e radice di rabarbaro. Completano il quadro olfattivo aromi di crema pasticciera, savoiardi ed un balsamico di assenzio.

In bocca è dolce e fresco con sentori di cacao e cioccolato. Sul finale si avvertono note ossidative e di noce.

Vintage 2006, Quinta do Vesuvio. Un porto volutamente non ossidato di un impenetrabile color rubino che alla rotazione tinge le pareti del calice. Grandi note di frutta rossa, fiori secchi ed un sentore balsamico. In bocca e dritto, caldo ma non stucchevole, un Porto “da pasto”. Un vino elegante, moderno, forte di alti punteggi nelle guide internazionali ma lontano dalla tradizione.

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