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Chablis 1er Cru “Vaillons” 2003, Domaine Jean Collet & Fils

Figlio di terreni calcarei ricchi di fossili marini, in particolare di Exogyra virgula, una piccola ostrica tipica di quelle zone, lo Chablis 1er CruVaillons” di Domaine Jean Collet & Fils è uno Chardonnay in purezza, da piante di età media di 30 anni. Dal vigneto “Vaillons”, con esposizione a sud, situato sulla riva sinistra del fiume Serein, questo Chablis a 17 anni dalla vendemmia si mostra in tutto il suo splendore.

LA DEGUSTAZIONE
Di colore giallo dorato antico presenta un naso evoluto, maturo, ma senza la minima nota ossidativa. La parte floreale lascia poi spazio ad aromi di frutta candita e miele che anticipano accenni sulfurei, di pietra focaia, e note di piccola pasticceria in continua evoluzione.

Nonostante un’annata torrida, “Vaillons” 2003 non delude al palato in termini di freschezza. Il sorso è pieno e burroso, di estrema finezza ed eleganza. Il finale è lunghissimo. Un vino bianco francese che si sposa perfettamente con l’uovo pochè, accompagnato da asparagi alla griglia.

LA VINIFICAZIONE
Come anticipato, Chardonnay in purezza per il Chablis 1er Cru “Vaillons” coltivato dal Domaine Jean Collet & Fils con densità di impianto di circa 6 mila ceppi per ettaro e rese di 55 ettolitri per ettaro.

Dopo la pressatura viene effettuata una decantazione statica a freddo per eliminare le fecce più grandi prima della fermentazione in acciaio inox. Affinamento successivo in botti di rovere da 80hL per 10-12 mesi prima dell’imbottigliamento.

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Live Wine Milano 2018: i migliori assaggi

Si è conclusa da una settimana la rassegna enologica milanese Live Wine 2018. Quattromila i visitatori, tra pubblico di appassionati di vini naturali e operatori.

Per alcuni un’edizione sottotono, nonostante il gran traffico al Palazzo del Ghiaccio di via Piranesi. A contribuire a questo giudizio, forse, le tante novità.

Tra queste, l’esordio di molte cantine estere, accanto ai soliti nomi e a qualche new entry nostrana.

I MIGLIORI ASSAGGI  A LIVE WINE 2018
Quest’anno siamo andati anche noi a caccia di novità. Pescando soprattutto fuori dai confini italiani. Sempre lontani dai soliti cliché enofighetti e dalle convenzioni della “Milano da Bere”. La prima “bollicina” che segnaliamo – non a caso – è un Cava, il Metodo Classico spagnolo.

Azienda sorprendente quella di Recaredo, 50 ettari di vigneto a conduzione famigliare nella zona del Riu de Bitlles, comarca de l’Alt Penedès, vicino Barcelona. La linea offre interessanti variazioni sul tema e sugli affinamenti.

Magnifico il Terrers 2012 Brut Nature (58% Macabeo, 39% Xarel-lo, 3% Parellada) rimasto per 57 mesi sui lieviti. C’e tutto in questo prodotto di ingresso della cantina. Perlage finissimo, freschezza e sapidità spiccanti,  mineralità data dal terreno calcareo. Poi note di frutta bianca e gialla con qualche accenno fumè. Bocca cremosa e mediamente persistente. Ottimo finale.

Gran reserva 2007 (64% Macabeo, 36 Xarel-lo), 117 mesi di affinamento sui lieviti. Qui l’espressività del territorio e la freschezza del frutto lasciano spazio alla complessità e alle note evolute. Giallo dorato dal finissimo perlage, note di pane tostato, biscotti, frutta secca poi agrumi e anice. Bottiglia completa.

Serral del Vell Brut Nature 2008 è quello dei tre che ci convince di meno, ma merita comunque una menzione. Sempre combinazione di Macebeo e Xarel-lo in diverse percentuali. Quest’ultimo fermenta parzialmente in barrique poi la seconda fermentazione in bottiglia e la sosta per 96 mesi. Vino potente e al tempo stesso raffinato, pasticceria, nocciole tostate, agrumi canditi. Lunga la  persistenza. Una bolla cremosa, complessa.

Ci spostiamo su un distributore che presenta sparkling francesi. Champagne in prevalenza, ma noi vi consigliamo il Best/buy del banchetto .

Domaine des Marnes Blanches e il suo Cremant du Jura 100% Chardonnay. Due giovani ragazzi che lavorano in biologico dieci ettari di vigneti (alcuni dei quali hanno 100 anni) situati nel sud del Revermont, a Saint Agnes.

Pressatura soffice delle uve e fermentazione in vasche d’acciaio per 6 mesi, mentre la seconda fermentazione avviene in bottiglia per 18 mesi. Giallo paglierino intenso, bollicina fine e persistente.

All’olfatto richiama aromi fruttati e di agrumi. In bocca si nota subito la bollicina cremosa, frutta acidula , arancia, limone, ribes, ben equilibrati tra loro.

Crémant Brut Nature Flèche Saignante, Domaine Brand & Fils (40% Pinot Blanc, 30 % Pinot Gris, 30% Pinot Noir). Zero dosato. Diciotto mesi sui lieviti in barrique. Aromi intensi e fortissimo carattere minerale per questo gioiellino, abbinabile a tutto pasto.

Impossibile non citare l’Azienda Agricola TerreVive Bergianti  con il suo “Per Franco”, metodo classico di Lambrusco Salamino 100% del 2015. Fermentazione in cemento con lieviti indigeni e rifermentazione in bottiglia con sosta di 36 mesi. Rosato brillante, fragoline in esplosione , poi violette e fiori di campo. Freschezza da non farne mai a meno. Da avere sempre pronto a temperatura a 8° dalla pizza ai salumi al pesce. Incredibile.

Nando Wine si trova invece a cavallo tra il Carso italiano e quello sloveno. Dei 5,5 ettari totali, infatti, il 60% è nel Collio italiano, il 40% a Pleviso, Brda, nella regione della Primorska.

Clima mediterraneo e vigne di famiglia da sempre, con età massima intorno ai 40 anni. Proviamo un po’ tutta la linea ma quello che ci rimane di più è la magnifica semplicità della Rebula 2016. Pochi giorni di macerazione poi acciaio dove matura per 6 mesi.

Bocca setosa , palato morbido ma aromatico , paglia , fieno e frutta gialla fino al mango sorretti da una freschezza e da una mineralità ben bilanciate. Altro best/buy.

Torniamo a riassaggiare i vitigni Piwi – ovvero vitigni resistenti agli attacchi fungini e quindi meno esposti alle temibili malattie dell’oidio e della peronospora – del giovane Thomas Niedermayr titolare del maso Hof Gandberg di Appiano (BZ).

Straordinario il Solaris 2016 uno degli ultimi nati in casa. Piante ancora molto giovani ma dalla grande prospettiva. Fermentazione spontanea del mosto, 8 mesi di maturazione con le fecce in acciaio, 14 settimane in botte di rovere usata da 500 litri.

Imbottigliato in agosto 2017, non filtrato. Aromatico, fresco, sapido e minerale, bouquet di fiori, sambuco, poi frutta bianca come l’uva spina, mela, fino a note tropicali di ananas. Caleidoscopico nel bicchiere.

Allo stand dell’Azienda Agricola Nino Barraco ci lasciamo conquistare non dai soliti (splendidi) bianchi o dalle vendemmie tardive tipiche della tradizione di Marsala, ma da quello che c’è sotto il banchetto.

Un metodo classico di nero d’Avola fuori commercio, ormai rimaste pochissime bottiglie in cantina, che Nino ci confida non rifarà più. Almeno per ora. Sessanta mesi di permanenza sui lieviti. Colore rosato e tutta la gamma dei frutti piccoli rossi caldi del sud esplodono nel bicchiere. Persistenza lunghissima, freschezza e acidità.

Assaggiamo poi tutta la gamma di Frank Cornelissen cercando di soffermarci sui singoli cru in degustazione. Sette per la precisione. Ogni cru una vigna, una contrada, un’altezza dei vigneti, un suolo, un’esposizione. E’ come giocare al cubo di Rubik. Mille sfaccettature di un terroir che è il più stimolante di tutto lo stivale: l’Etna.

A colpirci sono Zottorinoto, cru Chiusa Spagnolo 2016, 700 metri versante nord, vigne di oltre 60 anni a piede franco. Lunga macerazione di 2 mesi e affinamento in vasche neutre di resina da 1500 a 2500 litri per diversi mesi.

Di colore rosso rubino. Al naso intensi profumi di frutta rossa e note di spezie dolci, poi salamoia. Al sorso è fine, elegante, corposo, equilibrato con un finale lungo e profondo.

Campo Re 2016, Nerello 100%, vigne di oltre 70 anni. Snche qui macerazione per due mesi. Colore rosso rubino. Molto più intensa la nota di frutta rossa, in particolare di ribes e di mora. A seguire note speziate molto gradevoli. Morbido, caldo ben equilibrato dalla freschezza e dalla trama tannica.

Sempre Sicilia, sempre Etna, sempre un mosaico affascinante quello di Etnella i vini di Davide Bentivegna, già segnalato da vinialsuper tra i migliori assaggi a VinNatur 2017.

Assaggiamo Anatema 2016, assemblaggio di Nerello Mascalese (85%) e Nerello Cappuccio (15%) da parcelle allevate ad alberello con oltre 30 anni di età situate in contrada Porcaria a Passopisciaro, a circa 700 metri di altitudine sul versante nord dell’Etna.

La particolarità in questo cru è che dopo la macerazione di circa una settimana e la fermentazione alcolica, si passa a un affinamento per circa 12 mesi in botti grandi di castagno. E’ meno varietale rispetto al Kaos ma la rotondità conferita dal legno scarico ne completa la complessità.

Incredibile l’intreccio di frutta rossa come ribes, amarena e della tipica macchia mediterranea siciliana, ginestra, cappero. Il retro olfattivo è un esplosione di mirtillo e amarena. Kaos 2016 è un intreccio di vendemmie, una in agosto, una in settembre, una in ottobre per cogliere il meglio di ogni fase di maturazione.

Una precoce, una matura e una surmatura. Anche qui un passaggio in castagno grande, poi torna in acciaio e infine affina in bottiglia. Fantastico perché il gioco è il perfetto bilanciamento tra la parte più acida della vendemmia prematura e il frutto della fase tardiva.

Un blend meraviglioso per una esplosione di frutta con trama fresca e acida sorretta da un tannino non invadente. Al naso sentori di frutta rossa matura, confettura di amarena e di ciliegie, prugna, poi esce il balsamico come liquirizia e sullo sfondo cannella.

Chiudiamo al nord, più esattamente nelle Langhe, in Piemonte. Con il Barbaresco 2014 di Cascina Roccalini. E chi parlava di un’annata debole, a Barbaresco, dovrà ricredersi. Il solito bellissimo frutto rosso, la solita eleganza, la solita acidità.

Quando c’è il tocco sapiente del produttore, il vino esce sempre bene. Sessanta giorni di macerazione a cappello sommerso, poi solo botte grande. Un grandissimo vino.

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Cantine news

Domaine de Beudon. Viaggio nella Svizzera dove si vive (e si muore) di vino

Scricchiola, appesa ai fili tesi al cielo di Fully, canton Vallese, la teleferica di Jacques Granges e Marion Granges-Faiss. Scricchiola. Sembra arrancare, a tratti. Barcolla un poco, mentre sale. Ma non si ferma. E non si fermerà mai. E’ il cuore grande di Marion e delle sue tre figlie che la tiene in funzione. Anche ora, anche oggi. Anche se per metà, quella teleferica, non avrebbe più senso d’esistere. Di raggiungere il cielo. Almeno da quel terribile 10 giugno 2016. Quel giorno che nel Valais – e non solo – nessuno scorderà più. Jacques era solo. A 870 metri d’altezza. Tra le sue vigne. Una distrazione, tra i filari. Forse a causa della fatica, dovuta alla fortissima pendenza del terreno. Il macchinario su cui si trovava si è ribaltato. Alcuni operai hanno trovato Jacques una decina di minuti dopo. Privo di vita. Per il forte trauma subìto alla testa. Inutili i soccorsi. I disperati tentativi di rianimazione. Lo attendevano per la pausa pranzo. Erano le 12.30 passate. E Jacques era un tipo puntuale. Se n’è andato così, il padre della viticoltura biodinamica svizzera. All’età di 70 anni. Se n’è andato tra le sue vigne. Tra le sue “figlie”. Tra le piante di Fendant, Riesling Sylvaner, Gamay e Pinot Nero. Se n’è andato lasciando Domaine de Beudon nelle sapienti mani della moglie Marion, che da una vita gli era accanto, anche in vigna. Per cercare di trarre il meglio, seguendo i principi della biodinamica (no diserbi, no concimi: in due parole “no chimica”) dallo splendido terroir di “loess”, come chiamano da queste parti l’argilla mista a sabbia e detriti morenici. Combattendo quotidianamente con le insidie del meteo e, in generale, con Madre Natura. Un’amica nemica da rispettare, quassù. Anche quando decide di fare la stronza. “Science, Coscience et Amour. Lo diceva sempre, Jacques. Aggiungendo subito dopo, ‘Tant Amour. Mi faceva sempre tanto ridere!'”. E’ con le parole del marito che Marion Granges-Faiss ci accoglie nella sua casa sulla montagna. Di nome e di fatto. Ci siamo fatti caricare sulla teleferica da Laura, l’impiegata storica del Domaine de Beudon. E abbiamo raggiunto l’abitazione, costruita proprio lassù. Tra le vigne eroiche. Cinque minuti di pura adrenalina, per arrivare a quasi 900 metri d’altezza. Sul cielo di Fully. Sul cielo di una Svizzera che piange ancora oggi, per la scomparsa di un grande uomo. Un rivoluzionario del vino. E della vita. Prende per mano il nipotino, Marion. Tra le dita sporche di terra il piccolo di 4 anni tiene una mela succulenta. Che sgranocchia goloso, durante il nostro tour delle vigne. Niente snack da queste parti: solo cibo genuino. La vista, tra i filari, è di quelle che mozzano il fiato. Ma è Marion che riesce a toglierti il respiro. Per davvero. Ancora più delle vertigini. E a farti lacrimare il cuore.

Cammina come un gatto tra le sue piante, Marion. Sinuosa, esperta. Delicata, decisa. E’ l’ossimoro fatto donna. Ogni tanto, tra una parola e l’altra in inglese, francese e italiano, si ferma. Si piega, sciolta. Strappa da terra un po’ di verbena e te la mette sotto il naso. “Quassù è pieno di piante officinali”, fa notare. “Ci facciamo delle buonissime tisane”. Profumi che ritroveremo nei vini del Domaine de Beudon. Chiari, netti, fini, in ognuna delle 25-30 mila bottiglie prodotte in media ogni anno dalle uve del Domaine, lavorate a Saillon nella cantina di Pierre Antoine Crettenand. “Perché noi non abbiamo mai avuto una cantina tutta nostra”, spiega Marion. Del resto di lavoro ce n’è sempre stato abbastanza tra i 7,5 ettari di proprietà della famiglia. Vigne che il 1 luglio hanno compiuto i 45 anni dal loro acquisto. Un traguardo che Jacques Granges ha solo sfiorato. “Negli anni ’70 l’acquisizione dei terreni – spiega la Signora del vino svizzero – e dal 1992 la certificazione del biodinamico, anche se fin dall’inizio ne abbiamo rispettato i princìpi. Come mai questa decisione? Perché noi siamo esseri umani e dobbiamo rispettare il nostro prossimo, ma anche l’ambiente. Il vino che produciamo, del resto, è per la gente. La biodinamica, per noi, è sempre stata più che una scelta una necessità morale: per noi, per i nostri cari, per il prossimo. Per la Terra”. Non a caso Domaine de Beudon aderisce al circuito di viticoltori Triple A – Agricoltori, Artigiani, Artisti: unica casa vinicola dell’intera Svizzera.

LA DEGUSTAZIONE
Una scelta radicale. Compiuta con la consapevolezza dell’amore per la propria terra. Ma anche una decisione preziosa, dal punto di vista enologico. I vini biodinamici non filtrati di Jacques e Marion Granges-Faiss sono ormai riconosciuti internazionalmente come straordinari. Oltre il pionierismo. Oltre certe leggi non scritte del vino svizzero, secondo le quali – per esempio – un Fendant “va bevuto giovane”. Nel calice la vendemmia 2004 Beudon si presenta ancora d’un bel giallo paglia, con riflessi verdolini. Al naso l’impagabile freschezza delle note fruttate (albicocca) e uno spunto vegetale che costituirà il fil rouge, preziosissimo, di tutta la produzione del Domaine de Beudon. Un contrasto solo apparente, in quadro in cui anche la mineralità gioca un ruolo fondamentale. Vini d’agricoltura, d’artigianato. Vini d’arte. Vini di fatica. Vini folli. Basti pensare che in occasione della vendemmia, per i bianchi è prevista una prima pressatura in “alta quota”. Il mosto scorre dunque verso il basso mediante una canalina, costruita appositamente. Una volta a “terra”, il prezioso nettare finisce nelle vasche inox per la chiarifica (dèbourbage), poi condotte alla cantina di Pierre Antoine Crettenand per la lavorazione. Per i rossi il discorso è diverso. Ancora più folle, se possibile. Le uve, raccolte in piccole cassette, vengono condotte dai 600-900 metri d’altezza delle vigne sino a terra (a 450 metri slm) mediante ripetuti viaggi in teleferica. Immaginate un ‘ascensore’ pieno di cassette d’uva appena colta a grappoli, che scende dai monti come un dono del cielo. Viticoltura eroica dal campo alla bottiglia, insomma. Ed eroico è pure il Riesling Sylvaner 2004 del Domaine de Beudon. Ottenuto da un appezzamento di 1,6 ettari situato interamente a 800 metri d’altezza, risulta aromatico come un giovane moscato al naso, nonostante i 12 anni, con un tocco di miele delicato e fine. Lunghissimo in bocca, chiude su note amarognole che ricordano vagamente il rabarbaro. La degustazione prosegue con un Johnannisberg 2013 di grandissima intensità olfattiva. Miele, erbe d’alpeggio. Si passa ai rossi, con il Gamay 2009 (13%). Un assemblaggio tra uve provenienti da diversi appezzamenti del vigneto. Splendido tannino, gran frutto. Un marchio di fabbrica garantito dalle lunghe e lente macerazioni in acciaio. “Per garantire la tipicità del vitigno”, spiega Marion. Constellation 2007 (12,5%) è invece il riuscitissimo blend tra Pinot Noir, Gamay e Diolinoir, varietà autoctona del Vallese. “Con la biodinamica riusciamo a ottenere più ‘estratto’ di tutto”, commenta ancora la viticoltrice, sorseggiando il rosso. E in effetti siamo di fronte a un vino sensualissimo. Dai profumi vellutati di frutta (piccole bacche rosse) al riconoscibilissimo sentore di rosa. Un vino sinuoso, del fascino della discretezza. Anche al palato. Dove chiude con le canoniche note di erbe officinali, persistenti, lunghe. Chiudiamo con il Petite Arvine 2014, premiato come miglior vino bianco bio della Svizzera. Lo degustiamo leggermente fuori temperatura. Ma ne apprezziamo comunque la freschezza. Bel naso, a cui risponde in bocca una portentosa struttura e calore: verbena, timo, limone. La sensazione è quasi balsamica. “Adesso le tocca raccontare che i vini svizzeri ottenuti dalla viticoltura biodinamica sono longevi”, scherza Marion. Ci “tocca”? Dobbiamo. Chapeau.

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Cantine

Grecia, Santorini wine tour: il vino sull’isola del vulcano

La strada che da Thira collega a Oia è un gomitolo d’asfalto a strapiombo sul mare. Curve mozzafiato, che preparano all’ingresso nel villaggio a nord dell’isola di Santorini. Poco più di 3 mila anime a popolare una terra resa nota dai tramonti sul mare, tra i più sensazionali al mondo.

Ma da qualche tempo, a Oia, ci si emoziona pure senza bisogno di cercare il riflesso del Sole sulle acque piatte che circondano la “Caldera”, ossia ciò che rimane del vulcano attorno al quale si è sviluppata – come in un abbraccio – l’intera pittoresca isola greca.

“Seconda svolta a destra, questo è il cammino”, canterebbe Edoardo Bennato in una rivisitazione ‘terrestre’ de “L’Isola che non c’è”: appena entrati a Oia, il cartello stradale indica il Domaine Sigalas, prima tappa del wine tour a Santorini.

Una discesa piuttosto ripida, col mare sullo sfondo. Poi le prime vigne di proprietà della Winery. La sala per la degustazione dei vini è all’aperto, sotto un ampio porticato di due livelli che si apre direttamente sulle vigne di Paris Sigalas. Le puoi quasi sfiorare, dai tavolini sui quali vengono serviti undici vini in assaggio.

Si tratta di 6 bianchi, un rosato, due rossi (il terzo, un Mavrotragano, risulta esaurito) e due vini da dessert tra cui il noto Vinsanto, che ha contribuito a rendere noto nel mondo il nome di Santorini legato alla produzione vinicola.

Ma ormai, anche e soprattutto grazie a enologi e viticoltori come Sigalas, che dal 1991 opera sull’isola e dal 1998 ha iniziato a introdurre metodi sperimentali e innovativi nelle proprie vigne, sostenere che il Vinsanto sia l’emblema del vino a Santorini non è solo riduttivo, ma addirittura fuorviante.

DOMAINE SIGALAS

Di fatto, durante il wine tasting, spiccano gli assaggi di due bottiglie, “Nychteri” e “Mm”, ottenute da uve autoctone dell’isola. La prima è il risultato della raccolta tardiva di uve Assyrtiko, da vigne di età compresa tra i dieci e i sessant’anni. La seconda risulta invece dal blend tra Mavrotragano (60%) e Mandilaria (40%).

Nychteri, annata 2012, è una vera sorpresa. Fermentazione e affinamento avvengono in vecchie barrique di legno di quercia, sur lies per per 30 mesi. Di colore giallo intenso, con riflessi dorati, Nychteri di Domaine Sigalas risulta complesso al naso, richiamando al contempo agrumi, miele, erbe aromatiche e nocciole, oltre a una spiccata mineralità. In bocca è pieno, dotato di buon corpo; aromi di nuovo citrici e agrumati, ben bilanciati con le sensazioni aromatiche. Si avverte un residuo zuccherino, che contribuisce a regalare un finale lungo e sostenuto a questa splendida bottiglia.

Viene da chiedersi come sarà tra quattro, cinque anni, dal momento che Nychteri è invecchiabile in bottiglia fino a dieci anni. Perfetto l’abbinamento con l’anatra all’arancia, nonché con i formaggi molto saporiti e con lo stufato. Mm è invece il rosso che più colpisce durante il wine tasting alla Sigalas Winery.

L’annata è la 2013, per questo calibrato mixaggio di uve Mavrotragano e Mandilaria, raccolte anche in questo caso da vigne di 60 anni. Vinificazione tipica, con fermentazione e affinamento in acciaio. Solo una parte del mosto viene trattata in barrique di quercia francese.

Di colore rosso piuttosto profondo, con riflessi violacei, Mm regala un naso complesso, di spezie e frutti rossi maturi. Al palato è elegante, pulito, regalando gli stessi sentori avvertiti al naso, con tannini e acidità ben bilanciati.

Vale la pena di un assaggio anche il Vinsanto di Sigalas: annata 2005, ottenuto da varietà Assyrtiko (75%) e Aidani (25%), viene ottenuto tramite l’essicamento delle uve al sole per 10-14 giorni, per poi essere invecchiato in botti di quercia per un minimo di 24 mesi.

Il Domaine Sigalas invecchia il proprio Vinsanto per almeno 7 anni. Procedimento che invece non viene applicato a Apiliotis, altro vino da dessert che durante il wine tasting viene proposto nell’annata 2009, risultando così ancora più dolce del Vinsanto.

Il continuo investimento in modernizzazione e sviluppo da parte del Domaine Sigalas lo ha portato in pochi anni a una capacità produttiva di 300 mila bottiglie all’anno. Gli ettari di vigne sperimentali superano addirittura quelli totali dell’azienda (20 su 27), che produce le varietà indigene Assyrtiko, Aidani, Athiri e Mavrotragano.

E l’ultima novità riguarda proprio il Mavrotragano: è infatti in arrivo un rosso coltivato col metodo internazionale delle vigne “a filari”, che a Santorini non viene praticato. Già, perché su questa splendida isola della Grecia le viti hanno sembianze molto particolari.

LA VITE DI SANTORINI

Avete presente il canestro nello sport del basket? Immaginate di doverlo riprodurre, utilizzando i rami della vite. E’ questo il metodo col quale, sin dall’antichità, i viticoltori di Santorini proteggono le piante di uva dal vento che costantemente sferza l’isola, nonché dal sole cocente dell’estate.

La vite cresce così protetta, all’interno del canestro realizzato in piccole fosse scavate appositamente diverse decine di centimetri sotto al livello del terreno della vigna, di origine vulcanica.

La pianta viene mantenuta molto bassa, così da poter ricavare dal terreno reso secco dalla scarsità di precipitazioni il massimo del calore nella stagione più fredda. Nonostante le difficoltà nella coltivazione, le vigne di Santorini non sono mai state attaccate dalla Fillossera (Phylloxeridae).

Il particolare terroir regala di per sé vini bianchi minerali e rossi di grande asprezza, che per questo hanno bisogno di essere ‘corretti’ (meglio sarebbe dire ‘ingentiliti’) in barrique. Dalle vie che collegano un villaggio all’altro, lo spettacolo regalato dalle vigne di Santorini è unico: a un passo dal mare e a due dai tetti azzurri delle case bianche dell’isola.

SANTO WINES WINERY E VENETSANOS WINERY

E a proposito di “paesaggi mozzafiato”, il wine tour di vinialsupermercato.it non poteva non passare da due ‘case del vino’ di Santorini che si affacciano direttamente sul mar Egeo e sulla Caldera del vulcano: la Santo Wines Winery e la Venetsanos Winery.

Due realtà che hanno sulla collocazione geografica, una accanto all’altra, il loro unico tratto in comune. Se da un lato la Santo Wines è certamente l’azienda vinicola che sull’isola può vantare tra le migliori ‘macchine del marketing’ – vera e propria schiacciasassi legata soprattutto però, fate bene attenzione, alla location suggestiva più che ai vini prodotti – la Venetsanos Winery bada molto più alla concretezza.

I camerieri (sommelier?) in divisa della Santo Wines non possono competere con il savoir-faire, la gentilezza e la preparazione tecnica di Giorgio, il giovane enologo che guida il wine tasting, districandosi tra un gruppo e l’altro di turisti e appassionati di Bacco. Di fatto, i vini della Santo Wines non lasciano il segno. Viene proposto un vassoio con sei vini in degustazione: tre bianchi, un solo rosso e i due vini da dessert Santo e Santorini Vinsanto.

Sopra la media solo Kameni (Kamenh), un rosso del 2012 piuttosto robusto ottenuto da uve 100% Mandilaria, lasciate a seccare per due giorni dopo la raccolta e affinate per 24 mesi in botti di quercia francese.

Delicato e minerale, invece, Santorini Nikteri Reserve, combinazione di Assyrtiko (75%), Athiri (15%) e Aidani (10%) che regala un naso complesso, buon carattere minerale e la bilanciata combinazione tra sensazioni agrumate-citriche e vaniglia, grazie a un affinamento di 12 mesi. Il “semi dolce” Santo pare un succo di frutta e il Santorini Vinsanto, con soli 3 anni di invecchiamento in barrique, non emoziona certo quanto altri provati sull’isola.

Due passi più in là, alla Venetsanos Winery, Giorgio accoglie i suoi ospiti con cortesia e professionalità, in un edificio che ha fatto dello sfruttamento della gravità il suo must nella scelta del design architettonico.

La struttura è stata realizzata dall’alto verso il basso e modernizzata di anno in anno a partire dal 1947 dalla famiglia che porta lo stesso nome. Qui sono quattro i vini proposti in degustazione. Non può mancare l’Assyrtiko, la varietà più importante per l’isola di Santorini, con il 75% della superficie vitata.

Di questa bottiglia colpiscono le note saline che emergono resistenti nel lungo finale, ad accompagnare le note citriche e minerali preponderanti. Più delicato è Nykteri (che Giorgio spiega essere “il vino della notte”, dal greco “nikta”, “notte”). Quattro mesi in barrique per maturare sentori di vaniglia dall’aspro uvaggio Assyrtiko in purezza.

Frutta a polpa bianca matura, fiori bianchi e burro al palato, da abbinare alle carni bianche (14 gradi per l’annata 2014). Il rosso secco proposto in degustazione alla Venetsanos Winery è un Mandilaria in purezza, l’uvaggio rosso più diffuso a Santorini. Un vino di grande potenza, con i suoi 15 gradi. Il 60% del mosto passa in barrique nuove di quercia francese e il 40% matura semplicemente in acciaio.

“Un procedimento – spiega Giorgio – necessario per sminuire gli eccessivi tannini dell’uvaggio, nonché l’acidità. I grappoli vengono precedentemente lasciati al sole per tre giorni, dopo la raccolta”.

Al naso frutti rossi e spezie. Al palato la curiosità di assaggiare la stessa annata, la 2014, tra qualche anno, con ottime prospettive. Perfetto l’abbinamento con carni cotte alla griglia o alla brace, da provare per esempio con l’agnello. Ultimo bicchiere è quello di Vinsanto, considerato uno dei migliori dell’isola. Parere che condividiamo in toto.

Per la sua produzione, alla Venetsanos viene utilizzato il 90% di uvaggio Assyrtiko e il 10% di Aidani. “Le uve – spiega Giorgio – vengono lasciate al sole dai 5 ai 10 giorni, a seconda delle condizioni meteorologiche. La sensazione dolce ottenuta è così naturale. Non commercializziamo il nostro Vinsanto prima di due anni di affinamento”. Al naso e al palato si evidenziano elegantemente mela matura, pesca, albicocca, miele, vaniglia, cioccolato e caramello.

BOUTARI WINERY

Nel sud dell’isola, il wine tour di Santorini prosegue alla Boutari Winery. Un colosso greco del vino, che sull’isola fa bella figura grazie alla sapiente presentazione di Maria Karamolegou, che ci guida nella degustazione. Viene proposta la degustazione di quattro vini autoctoni, tutti di buona qualità.

Dopo l’assaggio del bianco Santorini (100% Assyrtiko, 13,20 euro per la bottiglia da 750 ml) e la sorpresa Kallisti Reserve 2012 (di nuovo Assyrtiko in purezza, ma questa volta affinato in barrique prima e in bottiglia poi, per un totale di 14 mesi, ottenendo dal legno sentori di vaniglia) finalmente qui troviamo un rosè degno di nota, Kouloura, dal nome della forma a “cesto” tipica delle viti di Santorini.

L’annata è la 2013 e viene prodotto al 100% con uve Mandilaria. Al naso ciliegia, miele, fragola. Al palato, Kouloura è invece molto più secco di quello che ci si possa aspettare dal naso, con un finale amarognolo molto accattivante e sorprendentemente salino.

Buon livello anche per Kouloura red, vino rosso secco dai tannini nobili, delicati e dalla buona acidità. Incuriositi, alla Boutari Winery degustiamo anche un vino dell’area della Mantineia, a ovest di Atene: Ilida, blend tra un uvaggio autoctono (Moshofilero) e gli internazionali Chardonnay (affinato in barrique per 4 mesi) e Gewurztraminer.

Ottimo il risultato, da provare. Non a caso, la Boutary Winery è la più visitata dell’isola, grazie anche alla propria esperienza in un campo dove opera dal 1879, anno della propria fondazione a Naoussa. E, sempre non a caso, Boutari è stata nel 2008 la prima azienda vinicola greca ad aggiudicarsi il titolo di “European Winery of the year” per il prestigioso “Wine Enthusiast”.

GAVALAS WINERY
Alla Gavalas Winery, l’atmosfera è invece molto intima e familiare. Si viene accolti dalla dolce Fotini Tsiboni, che con voce pacata accomodare gli ospiti sotto il porticato della casa vinicola, allestito a sala di degustazione. Una menzione particolare va al Santorini Natural Ferment, vino bianco secco molto pulito e delicato al palato, nonché dal perfetto bilanciamento tra sale, frutta e dolce.

“Le uve di Assyrtiko – spiega Fotini – vengono raccolte all’inizio del mese di agosto, selezionate accuratamente e poi vinificate secondo il metodo tradizionale di Santorini, ma allo stesso tempo avvalendosi di tutto il nostro know how nel settore, grazie all’apporto di vasche d’acciaio a temperatura controllata”.

Nasce così un vino bianco adatto all’abbinamento con piatti di mare e carne di pollo e tacchino. Non lasciano il segno, invece, né il Nykteri (di 14 gradi, da riassaggiare forse più maturo) proposto in degustazione né il Mavrotragano (risultato ancora troppo acido, nonché salino, nonostante l’utilizzo di barrique nuove di quercia francese per più di 12 mesi) e delude il Vinsanto, davvero troppo zuccherino.

ARTEMIS KARAMOLEGOS WINERY

Il wine tour di Santorini di vinialsupermercato.it si chiude alla Artemis Karamolegos Winery, dove Fani ci guida nella degustazione di 6 vini dell’azienda, fondata nel 1952 e rinnovata dal 2004, pluripremiata in diversi concorsi internazionali.

Segni particolari? Un vero e proprio marchio di fabbrica: l’obiettivo di mantenere 3 grammi per litro di residuo zuccherino. Un grande lavoro di ‘chimica’ che si traduce in vini molto asciutti e puliti, che vale davvero la pena di degustare, magari in abbinamento ai piatti del vicino ristorante annesso alla winery, “Aroma Avlis”.

Del resto, dietro alle fatiche di laboratorio, va detto che la Karamolegos Winery può contare sui vigneti più ambiti sull’isola di Santorini, ovvero quelli a 600 metri sul livello del mare della zona di Pyrgos. L’assaggio del primo vino fa subito comprendere che siamo di fronte a un’azienda vinicola di tutto rispetto.

L’Assyrtiko in purezza è tra i più delicati degustati sull’isola, nonché tra i più fruttati. L’acidità non è così spiccata e, anzi, si fanno apprezzare le note di frutti a polpa bianca. Note fruttate che diventano addirittura esotiche in Santorini, blend di Assyrtiko con piccole percentuali di Athiri e Aidani. Apporto fondamentale, quello di quest’ultimo uvaggio, per conferire alla bottiglia note di pera e banana.

Nykteri è al solito di elevato grado alcolemico, ma quello di Artemis Karamolegos è pure ricco di vaniglia e miele, con palato pulito ed elegante che si accende di vaniglia e limone (3 mesi in barrique di quercia francese). In Santorini Barrel Aged, proposto in degustazione con l’annata 2013, troviamo addirittura l’ananas, in un finale lungo e strutturato.

Il rosato (blend Mandilaria e Assyrtiko) non è degno di nota, ma Fani avverte appunto che fa parte della linea “Terranera”, ovvero quella dei vini base, da tavola. La nostra guida torna subito su un buon livello, versando nel calice il Mavrotragano in purezza, maturato in barrique per oltre 24 mesi per l’annata 2010.

Vino potente, molto ben strutturato, con note speziate e di piccoli frutti di bosco a bacca rossa riscontrabili sia al naso che al palato, fa venir voglia di tornare a Santorini tra un altro paio d’anni, per provarlo nuovamente, ancora più maturato in bottiglia: ottimo e perfetto per accompagnare carni saporite e formaggi molto grassi.

“Produrlo – spiega Fani – è molto costoso. L’uva ha un valore di 3,50 euro al Kg e possono occorrere anche 2 Kg per produrre un solo litro di vino”. La Artemis Karamalegos Winery, inoltre, non lo commercializza prima di due anni di ulteriore affinamento in bottiglia.

IL WINE MUSEUM DI SANTORINI
A Santorini non poteva mancare un museo del vino. E’ il Koutsoyannopoulos Wine Museum di Santorini, che ospita la Koutsoyannopoulos Winery. Il cuore del museo è ricavato a una profondità di 8 metri rispetto al livello del suolo, su una superficie totale di 300 metri e presenta – grazie a supporti di audio guida in quattordici lingue – la storia del vino di Santorini dal 1660 al 1970. Anche qui, ovviamente, la possibilità di dedicarsi al termine della visita del museo al wine tasting di quattro diverse produzioni della Koutsoyannopoulos Winery. Il costo di ingresso al museo è di 8 euro.

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