Dalla Guida Top 100 Migliori Vini italiani 2025 di Winemag: Costa d’Amalfi Doc Furore Bianco 2022 Fiorduva, Marisa Cuomo (14,5%).
Fiore: 8.5 Frutto: 9.5 Spezie, erbe: 8.5 Freschezza: 8.5 Tannino: 0 Sapidità: 8 Percezione alcolica: 6 Armonia complessiva: 9.5 Facilità di beva: 8.5 A tavola: 9 Quando lo bevo: subito / oltre 3 anni
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Dalla Guida Top 100 Migliori Vini italiani 2025 di Winemag: Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc Classico Superiore 2022 Ergo, Mirizzi (14,5%).
Fiore: 8.5 Frutto: 8.5 Spezie, erbe: 8 Freschezza: 8.5 Tannino: 0 Sapidità: 8 Percezione alcolica: 6 Armonia complessiva: 9.5 Facilità di beva: 8 A tavola: 9.5 Quando lo bevo: subito / oltre 3 anni
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Dalla Guida Top 100 Migliori Vini italiani 2025 di Winemag: Ansonica Doc Costa dell’Argentario 2021 Eroica barrique, Santa Lucia (14%).
Fiore: 8.5 Frutto: 9 Spezie, erbe: 9.5 Freschezza: 8 Tannino: 3 Sapidità: 8 Percezione alcolica: 6 Armonia complessiva: 9 Facilità di beva: 7 A tavola: 9 Quando lo bevo: subito / oltre 3 anni
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L’Oltrepò pavese guarda al futuro con ambizione e prepara il terreno per una vera e propria rivoluzione, che potrebbe stravolgere gli equilibri geopolitici del vino nel nord Italia. Dopo aver contribuito in maniera determinante a mettere da parte gli imbottigliatori, sempre più isolati dal Consorzio, una delle maggiori cooperative lombarde, Terre d’Oltrepò, sta vagliando la possibilità di promuovere l’istituzione di una Doc Lombardia del vino. A parlarne con Winemag è Umberto Callegari, a margine di un’intervista sullo stato di salute della cooperativa, che opera negli stabilimenti di Broni, Casteggio e Santa Maria della Versa, in provincia di Pavia.
In seguito all’harakiri di diverse aziende imbottigliatrici, il ruolo di Terre di d’Oltrepò nel Consorzio guidato dalla vignaiola Francesca Seralvo e dal nuovo direttore Riccardo Binda – giunto a fine estate 2024 da Bolgheri – è divenuto ancora più centrale. Ma non basta. Il cuore del piano industriale di rilancio della cooperativa, in difficoltà per la scarsità dei conferimenti di uve della vendemmia 2024, c’è la spinta sul fronte dei servizi conto terzi.
DOC LOMBARDIA «PER SPINGERE IL VINO SUI MERCATI INTERNAZIONALI»
Una Doc Lombardia potrebbe ulteriormente spingere alcune cantine ad affidare a Terre d’Oltrepò l’imbottigliamento delle proprie linee di spumanti, così come vini fermi, bianchi e rossi, senza dimenticare la nuova frontiera dei dealcolati. «Per mettere gli spumanti La Versa accanto a Berlucchi, Cà del Bosco e Ferrari, in termini di prestigio e riconoscibilità, ci vogliono 25 anni. Sarebbe bellissimo, ma richiede, tra le altre cose, un investimento di marketing importante. Un’altra cosa è prendere le piccole, medie, grandi aziende che, magari con un progetto lombardo, vogliono fare metodo classico in Lombardia, e prepararlo qui per loro. La nostra cooperativa potrebbe così fungere da centro di pressatura, imbottigliamento e lavorazione, come succede in Champagne da 150 anni, diventando un polo di servizio».
L’istituzione di una Doc Lombardia, sempre secondo il manager di Terre d’Oltrepò, «potrebbe creare una leva operativa, sia per noi sia per altre aziende lombarde, con scambi interconsortili basati su brand locali che, ovviamente, non interferiscono con le Doc o Docg già esistenti». Lo stesso vale per l’Oltrepò. «Se tu sei un’azienda che ha un grande brand e una grande reputazione, che vende tutto, ma che ha costi alti – evidenzia Callegari – si pone un problema. Centri condivisi che possano abbassare il costo medio della produzione e avere effetto positivo sulla marginalità delle aziende e sui loro fatturati non è solo la strada giusta. Ma anche quella necessaria e fondamentale. Sperando che questo sia sufficiente».
VINO, VERSO UNA DOC LOMBARDIA? I PROTAGONISTI
Suggestione o ipotesi concreta, quella di una Doc Lombardia? «Stiamo cercando di lavorarci – replica il Ceo – ma non solo noi, perché ovviamente una Doc Lombardia non può girare solo attorno a Terre d’Oltrepò. Se ci sarà una Doc Lombardia ci sarà una zona vocata i bianchi che produrrà bianchi: se dovessi decidere io, immaginerei per esempio la zona del Garda. La parte di Metodo classico, che coinvolgerebbe di più la Franciacorta e l’Oltrepò. Per il rosso: se è il Pinot Nero, avrebbe senso farlo in Oltrepò».
«Il punto – continua – è che ci sono tanti piccoli Consorzi che lavorano benissimo, all’interno di Ascovilo per esempio, ma che sono molto piccoli. Ma portarli in giro per la promozione non è semplice, perché un conto è la forza di una Doc da 10 mila bottiglie, un’altra sarebbe quella di una Doc regionale. Lo Champagne fa 350 milioni di bottiglie e sono bravissimi. L’estero conosce Champagne e Prosecco. In mezzo c’è un buco che potrebbe essere una grande opportunità per questa tipologia. Il sistema italiano sta perdendo tempo e rischiando che qualcun altro si inserisca in quel segmento».
Dalla Doc Lombardia spostiamoci in Oltrepò pavese, dove si mette in discussione la legittimità della Spa Terre d’Oltrepò, nata sul finire del 2024 sul modello operativo già visto con Nosio Spa di Mezzacorona. Cosa risponde a chi avanza dubbi?
L’operazione Spa è pienamente legittima. È stata deliberata dal consiglio di amministrazione senza voti contrari, con l’astensione del presidente, e successivamente ratificata in assemblea da circa l’80% dei soci con l’approvazione del bilancio. Non comprendo come si possa mettere in dubbio la legittimità di un processo approvato non solo dagli organi interni, ma anche da figure indipendenti come sindaci, revisori e un perito del Tribunale di Milano, che ha giurato la perizia di conferimento, garantendo che il valore rappresentasse appieno gli interessi dei soci.
Anche il Notaio, figura indipendente, ha supervisionato e garantito la correttezza dell’intera procedura. L’obiettivo dichiarato, condiviso e approvato, è stato proprio quello di dare alla cooperativa una governance strutturata, un’esigenza che non riguarda solo Terre d’Oltrepò, ma gran parte delle cooperative vinicole italiane. Si tratta di un’operazione necessaria per difendere e valorizzare il patrimonio dei soci, attraverso un modello gestionale moderno e attrattivo per investitori.
Ci sono stati momenti di tensione e lei è stato accusato di episodi di violenza, quantomeno verbale.
Abbiamo già respinto categoricamente queste accuse, supportati dalle firme dei dipendenti e delle RSU. Inoltre, è importante sottolineare che queste accuse provengono esclusivamente dalla CISL, che sembra più interessata a creare tensioni personali con me che a occuparsi del reale benessere dei lavoratori. Con la UILA, invece, i rapporti sono sempre stati costruttivi e cordiali. Mi lascia perplesso il tentativo di personalizzare il rilancio di un’azienda in difficoltà, tentando di far passare un progetto strutturale e condiviso come una questione di simpatia o antipatia personale.
Questo approccio irrazionale strumentalizza e banalizza il lavoro di tanti professionisti coinvolti nel cambiamento. I fatti rimangono fatti. La costituzione della Spa, con un consiglio di amministrazione collegiale e professionisti di altissimo livello, parla da sé. Per la prima volta, Terre può contare su un team qualificato che ha scelto di assumersi la responsabilità legale e operativa per il benessere dell’azienda e dei soci. Questo non dovrebbe suscitare diffidenza, ma fiducia.
L’impressione è che diversi soci della cooperativa Terre d’Oltrepò contestino l’operazione Spa perché “calata dall’alto”, senza la necessaria illustrazione condivisione del progetto, pur demandato al Cda.
Non condivido questa interpretazione. Il dialogo c’è stato ed è stato strutturato in tutte le sedi opportune. Il progetto S.p.A. è nato da un’esigenza chiara, espressa dal Cda, che mi ha chiesto di rimanere per portare avanti il piano di turnaround di un’azienda ereditata al collasso. Ricordo che la costituzione della Spa è stata approvata dal Cda senza voti contrari, con l’astensione del presidente, e successivamente ratificata in assemblea da circa l’80% dei soci in sede di approvazione del bilancio. In quell’occasione, si è discusso a lungo della struttura e del progetto, garantendo un dialogo trasparente e costruttivo. Inoltre, la presenza di un consiglio di amministrazione collegiale, composto da professionisti di assoluta esperienza, smentisce qualsiasi accusa di personalismo. È un sistema trasparente e orientato a garantire il bene comune.
La Spa però le consente di operare, in accordo con il Cda, in maniera più agile rispetto all’assemblea della cooperativa. Per questo, tra le accuse che le vengono rivolte, c’è anche quella di aver ulteriormente accentrato “potere” attorno alla sua figura.
La Spa non è stata pensata per favorire la mia figura, ma per creare un modello di governance più adatto a gestire le complessità del mercato odierno. La scelta di un organo collegiale con responsabilità legali e operative è la prova che il rilancio dell’azienda non è centrato su una singola persona, ma su una visione strutturata e condivisa. Questo sistema rafforza l’indipendenza e la solidità dell’azienda.
Con la Spa, Terre d’Oltrepò si apre alla possibilità di attrarre investimenti esterni. È un’ipotesi concreta?
Sì, Terre d’Oltrepò, attraverso la Spa, potrà attrarre investitori strategici. Questo è stato confermato da esperti internazionali e manager di prestigiose università come INSEAD e LUISS. L’obiettivo è portare risorse per rafforzare la filiera e rendere l’Oltrepò un punto di riferimento per il settore vinicolo. Avere una struttura moderna e credibile è un prerequisito per ottenere la fiducia degli investitori.
Nel frattempo, mi risulta che siano sorte alcune difficoltà sul fronte della partnership con Mack & Schühle Italia Spa, per la fornitura di 9-12 milioni di bottiglie. Un accordo che difficilmente Terre d’Oltrepò riuscirà a rispettare. Conferma?
È uno degli accordi firmati per modificare il modello di business dell’azienda. Come dichiarato sia da me che da Fedele Angelillo, si tratta di un accordo che valorizza la produzione e amplia le opportunità commerciali, sia a livello nazionale che internazionale. L’idea alla base è quella di lasciare che sia il mercato a indirizzare la produzione, mantenendo sempre al centro il valore del prodotto e del territorio. Ricordo che la responsabilità di una cooperativa parte dal vigneto e dai soci, e arriva alla sua struttura commerciale, con una visione integrata e sostenibile. Purtroppo, la terribile vendemmia di quest’anno (2024) ha rallentato i nostri comuni piani, ma resta chiara la volontà di proseguire con determinazione in questa direzione, per garantire stabilità e valore ai nostri soci e al territorio.
Spostiamo l’attenzione al segmento della Grande distribuzione italiana. Nei supermercati Esselunga è “comparsa” una referenza, Testarossa Principio 2008, dal costo davvero importante (350 euro), che supera anche lo Champagne. Può spiegare l’operazione e definire l’andamento commerciale del prodotto?
Il Principio Testarossa 2008 rappresenta un simbolo della qualità assoluta del nostro territorio e un esempio di ciò che l’Oltrepò può esprimere ai massimi livelli. La sua presenza sugli scaffali di Esselunga a 350 euro non è solo un traguardo, ma la dimostrazione del valore aggiunto che possiamo creare attraverso una visione strategica e un posizionamento chiaro. Le politiche di pricing riflettono la qualità straordinaria del prodotto e il target luxury a cui si rivolge. La Versa è l’unica azienda in Italia, e una delle pochissime in Europa, a vantare una collezione di Jeroboam di Metodo Classico di oltre 40 anni.
Per creare la linea Principio, utilizziamo una liqueur speciale prodotta con uno Jeroboam del 1986, che aggiunge unicità e valore al prodotto. Si tratta di un prodotto di nicchia, realizzato in pochissime centinaia di bottiglie e riservato a un segmento esclusivo, come dimostrato dal successo ottenuto recentemente nel prestigioso membership club londinese dedicato al vino, 67 Pall Mall. Venderlo a poche decine di euro sarebbe come vendere una Ferrari a poche decine di migliaia di euro: un errore sotto ogni punto di vista, che sminuirebbe la sua unicità e il valore intrinseco di un prodotto creato per rappresentare l’eccellenza.
Altra nota dolente è quella degli impianti di depurazione: si parla di decreti ingiuntivi. Cosa succede?
Succede che dal 2015 non avevamo le AUA (Autorizzazione unica ambientale, ndr) per scaricare. Le abbiamo quindi rifatte, insieme a certificazioni legate agli imbottigliamenti ed altre autorizzazioni che erano state lasciate scadere. Tra l’altro si poneva un problema con i limiti degli scarichi, in quanto le AUA precedenti erano “domestiche”: chi farebbe mai AUA domestiche per una cantina? Allo scopo di aumentare la capitalizzazione delle cantine, ci sarà un sistema di microfiltrazione che, a tendere, renderà il riutilizzo dell’acqua circolare, abbassando i costi. Una scelta utile in termini di sostenibilità. Fortunatamente abbiamo risolto la questione senza conseguenze legali.
Il ruolo di Terre d’Oltrepò nel Consorzio Oltrepò è sempre più centrale. E così, indirettamente o direttamente, lo è la sua figura. Una grande responsabilità, ora che gli imbottigliatori sembrano quasi fuorigioco.
Anche in questo caso, la rinascita del Consorzio si basa sull’attrazione di competenze di altissimo livello. Partendo dalla nuova presidente, Francesca Seralvo, una donna straordinariamente competente e forte, che rappresenta un’eccellenza italiana. La sua esperienza in Mazzolino, che è una realtà da Fortune 100, e il riconoscimento come “Personaggio dell’Anno” di Ais Lombardia nel 2024 dimostrano quanto siamo fortunati ad avere una figura del suo calibro alla guida del Consorzio. A questo si aggiunge il lavoro di Riccardo Binda, il direttore, che ritengo essere uno dei migliori in Italia.
Condivide con noi la passione per questa missione ambiziosa e sta contribuendo in modo significativo al rilancio del territorio e alla crescita qualitativa della denominazione. Collaboriamo attivamente per garantire coesione tra i produttori, lavorando fianco a fianco con Regione Lombardia per sostenere il rilancio del territorio. È importante sottolineare che, anche qui, spesso si tenta di svilire il lavoro di squadra preferendo una visione personalizzata o polarizzata. Ma la realtà è diversa: stiamo lavorando come un team, uniti da una missione comune, per riportare l’Oltrepò al posto che merita nel panorama vinicolo nazionale e internazionale.
Che futuro vede per l’Oltrepò pavese?
L’Oltrepò deve puntare su denominazioni che uniscano tradizione e innovazione. Pinot nero e Metodo Classico sono i pilastri, ma è fondamentale investire anche su vitigni autoctoni per preservare e valorizzare la nostra identità. Il futuro risiede nella qualità, nella sostenibilità e nell’integrazione tra filiera produttiva e mercato. Il cambiamento rappresenta un problema solo per chi tenta di opporvisi, mentre per gli altri è una fonte continua di opportunità. Così come la Francia ha saputo evolversi e continua a farlo, dobbiamo imparare da chi ha avuto successo e applicare modelli economici e produttivi più sostenibili e remunerativi. Questo significa evitare speculazioni di breve periodo e focalizzarci su strategie di medio-lungo termine che garantiscano valore e solidità sia per i produttori che per il territorio.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
La città di Palermo è meta mondiale 2025 di Airbnb. Il turismo esperienziale continua a crescere e a dimostrarlo sono proprio i dati del noto motore di ricerca di alloggi e destinazioni Airbnb. Palermo brilla come unica meta italiana presente tra le destinazioni più trendy per il 2025, insieme a luoghi mozzafiato come Puerto Escondido, Les Deux Alpes e Tokyo. Il capoluogo siciliano, grazie alla sua ricca storia, architettura, arte e cultura, è una delle principali destinazioni per i viaggi di coppia nell’anno nuovo. Con l’introduzione di nuove rotte aeree verso Palermo nel 2025, sempre più turisti potranno esplorare i principali punti di riferimento della città. Naturalmente, senza perdere l’occasione di gustare la prelibata cucina palermitana, in abbinamento ai vini locali. Magari soggiornando in uno dei loft del centro storico disponibili: davvero economico, al momento, quello suggerito da Airbnb.
6 VINI DA NON PERDERE A PALERMO, META 2025 MONDIALE PER AIRBNB
Nella città e nella provincia di Palermo ricadono ufficialmente, secondo i disciplinari produttivi, otto denominazioni di origine dei vini. Oltre alla Doc Sicilia e all’Igt Terre Siciliane, si tratta di Alcamo Doc, Contea di Sclafani Doc, Contessa Entellina Doc e Monreale Doc. Non risultano rivendicate – e dunque disponibili a livello commerciale – altre due denominazioni del vino della provincia di Palermo come Valle Belice Igt e Fontanarossa di Cerda Igt. Ecco 6 vini da non perdere a Palermo, meta 2025 mondiale per Airbnb.
Alcamo DOC: Questa denominazione interessa sia la provincia di Trapani che quella di Palermo. Nella provincia di Palermo, comprende i comuni di Balestrate, Camporeale, Monreale, Partinico, San Cipirello e San Giuseppe Jato. Il vino della Doc Alcamo da assaggiare a Palermo? Alcamo Classico Doc Bio “Vigna Casalj” di Tenuta Rapitalà.
Contea di Sclafani DOC: Coinvolge le province di Palermo, Caltanissetta e Agrigento. Nella provincia di Palermo, include i comuni di Valledolmo, Caltavuturo, Alia, Sclafani Bagni e parte di Petralia Sottana, tra gli altri. Il vino della Doc Contea di Sclafani da assaggiare a Palermo? Rosso del Conte Sicilia Contea di Sclafani Doc di Tasca d’Almerita.
Contessa Entellina DOC: Questa denominazione è circoscritta al comune di Contessa Entellina, situato nella provincia di Palermo. Il vino della Doc Contessa Entellina da assaggiare a Palermo? Contessa Entellina Doc Mille e Una Notte, Donnafugata.
Monreale DOC: Riguarda l’area intorno alla città di Monreale e altri comuni limitrofi nella provincia di Palermo. Il vino della Doc Monreale da assaggiare a Palermo? Il Cataratto “Vigna di Mandranova” di Alessandro di Camporeale.
Sicilia DOC: Questa denominazione copre l’intero territorio della regione Sicilia, includendo quindi anche la città e la provincia di Palermo. Il vino della Doc Sicilia da assaggiare a Palermo? Il “Viafrancia” di Baglio di Pianetto.
Terre Siciliane IGT: Anche questa indicazione geografica tipica abbraccia tutta la regione Sicilia, comprendendo la provincia di Palermo. Il vino della Igt Terre Siciliane da assaggiare a Palermo? “Angimbé” Tenuta Ficuzza di Cusumano.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
«Creiamo la prima collezione di Rosés de Terroirs al mondo! Un micro-mercato di rosé da collezione, conservati per una decina d’anni, è ora ipotizzabile ». La proposta arriva dalla Francia ed è rivolta ai produttori di rosato in Italia e nel mondo. Non una provocazione, ma un invito messo nero su bianco (qui il form per aderire) da Philippe Guigal, presidente dell’Associazione Rosés de Terroirs (Airt), dal 2023 proprietario dello Château d’Aquéria nella Aop Tavel. Si tratta, non a caso, della denominazione di provenienza di alcuni dei rosati più prestigiosi del mondo, nel Rodano meridionale. Teatro del lancio dell’appello «Rosés de terroirs, unissons-nous!», ovvero «Rosés de terroirs, unitevi!», è stata Milano. L’associazione di produttori francesi, che riunisce già 59 aziende e 78 annate di vini rosati provenienti da Francia, Italia, Grecia e Spagna, ha chiamato a raccolta la stampa al Grand Hotel et de Milan, proponendo un percorso di assaggi e abbinamenti tra rosé (e rosati) curato dal sommelier Alfredo Moccia e dallo chef Francesco Potenza.
L’APPELLO DELL’ASSOCIAZIONE ROSÉS DE TERROIRS AI PRODUTTORI DI ROSATI ITALIANI
«L’ambizione dell’Associazione Rosés de terroir – spiega Philippe Guigal – è quella di essere l’ambasciatrice dei grandi rosé di terroir del mondo. Per questo, in linea con il nostro appello fondativo del febbraio 2020, «Rosés de terroirs, unitevi!», lanciato dalla Dop Tavel, invito i viticoltori che producono i più grandi rosé de terroirs del mondo ad unirsi a noi. Dopo 20 anni di crescita storica, il mercato del rosé sta entrando in una nuova fase del suo sviluppo, con una possibile e auspicabile diversificazione dell’offerta, in particolare attraverso i rosé di terroir posizionati come nicchia di mercato apprezzata o addirittura molto apprezzata. La creazione di un micro-mercato di rosé da collezione, conservati per una decina d’anni, è ora addirittura ipotizzabile».
COSA SONO I ROSES DE TERROIRS?
«Per me – continua Philippe Guigal – i rosati di terroir sono prima di tutto dei veri vini. Attraverso i loro sapori e colori, raccontano storie spesso uniche di luoghi e vignaioli e viticoltori. Si abbinano anche a pasti completi e a un’ampia varietà di cucine, come dimostrano le “Rosés de Terroirs experiences” organizzate dall’associazione». Si tratta, per l’appunto, dell’evento andato in scena in mattinata al prestigioso Grand Hotel et de Milan, struttura “mitologica” del capoluogo lombardo, dove visse Giuseppe Verdi. «In secondo luogo – continua il produttore francese – i rosé de terroirs non sono destinati a seguire le mode. Sono rosé senza tempo che abbracciano la loro unicità. La diversità delle cuvée cooptate dall’associazione è quindi fondamentale».
Da qui l’appello a un’unità nella diversità. «Creando la prima collezione di rosé al mondo – suggerisce Guigal – la nostra associazione diventerà un punto di riferimento nel settore. Il punto di riferimento in questo campo. In breve, non solo per il loro carattere ma anche per il modo in cui vengono consumati, i rosati di terroir sono davvero complementari ai rosati dissetanti di tendenza. In questo contesto, la nostra associazione internazionale può e deve assumere il ruolo di guida nell’offerta di una gamma di rosati “diversi e sorprendenti, per natura e nel corso degli anni”, per citare uno dei nostri slogan».
L’EVENTO AL GRAND HOTEL ET DE MILAN
Sono 22 i vini, tra rosé e rosati, presentati durante l’evento di quest’oggi al Grand Hotel et de Milan. Nello specifico: Château de la Selve, cuvée L’Audacieuse 2021 (IGP Coteaux de l’Ardèche); Via Caritatis, cuvée Lux de Caelo 2022 (AOP Ventoux); Château Gassier, cuvée 946 2022 (AOP Côtes de Provence Sainte-Victoire); Château d’Aquéria, cuvée 2020 (AOP Tavel); La Bastide Blanche, cuvée 2021 (AOP Bandol); Domaine Corne Loup, cuvée 2021 (AOP Tavel). E ancora: Château de Manissy, cuvée Langoustière 2019 (AOP Tavel); Domaine de l’Odylée, cuvée Rosé d’Automne 2020 (AOP Côtes du Rhône); Domaine la Suffrène, cuvée Sainte-Catherine 2018 (AOP Bandol); Château Paquette, cuvée Thémis 2022 (AOP Côtes de Provence Fréjus); Château de Pibarnon, cuvée Nuances 2020 (AOP Bandol); Château Pradeaux, cuvée 2019 (AOP Bandol).
TRE CANTINE ITALIANE IN ROSÉS DE TERROIRS
Non ultimi: Domaine Fournier Père et Fils, cuvée Les Belles Vignes 2023 (AOP Sancerre); Domaine Labastidum, rosé 2022 (AOP Fronton); Domaine de la Mordorée, cuvée La Reine des Bois 2020 (AOP Tavel); Domaine Gavoty, cuvée Clarendon 2022 (AOP Côtes de Provence); Le Grand Cros, cuvée Aurélia 2022 (AOP Côtes de Provence), Marquis de Pomereuil, cuvée 2018 (AOP Rosé des Riceys) e Domaine Les Béates, cuvée Terra d’Or 2022 (VSIG). Italia rappresentata da tre vini di altrettante cantine: Villa Calicantus, cuvée Chiar’Otto 2023 (Bardolino Doc classico); Guerrieri Rizzardi, cuvée Keya 2023 (Chiaretto di Bardolino Doc Classico); Le Fraghe, cuvée Traccia di Rosa 2021 (Chiaretto di Bardolino Doc). Se l’ingresso di Villa Calicantus nell’associazione Rosés de Terroir è recente, per Le Fraghe e Guerrieri Rizzardi non si è trattato della prima volta. Già dal 2021, le due cantine venete rappresentano l’Italia nel prestigioso gruppo d’Oltralpe. Dopo l’appello di Philippe Guigal, il circolo di produttori di rosé d’eccellenza potrà allargarsi ad altre cantine.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Sono veri e propri botti di fine anno quelli in corso al Consorzio Oltrepò pavese. Nove cantine hanno deciso recedere dall’ente guidato da marzo 2024 dalla presidente Francesca Seralvo e dal direttore Riccardo Binda. Le conseguenze sono gravissime. Il Consorzio Oltrepò pavese, secondo i calcoli dei dimissionari, avrebbe perso l’erga omnes su tutte le denominazioni tutelate tranne la Docg, ovvero il Metodo classico ottenuto in maggioranza da uve Pinot Nero. Addio quindi alla tutela di importanti Doc come Bonarda dell’Oltrepò pavese, Barbera, Riesling, Pinot Grigio, Croatina e Moscato, fondamentali per la stessa sussistenza della viticoltura alle porte di Pavia, già messa a grave rischio dal clima e dalla bassa reddittività per ettaro.
Il comunicato ufficiale delle nove aziende è atteso per domani. Ma circolano già i nomi dei dimissionari, confermati a Winemag dal responsabile di una cantine che hanno presentato ufficialmente il recesso al Consorzio. Si tratta di Azienda agricola Luciano Brega, Vinicola Decordi, Agricola Defilippi Fabbio, Losito e Guarini, Azienda agricola Maggi Francesco (Marco Maggi), Mondonico Azienda vitivinicola di Gilda Fugazza, Azienda agricola Orlandi Marco, Prago Vini e Spumanti (alias Azienda Agricola Prago Testori Giuseppe & Fratelli), Società agricola Vercesi Nando e Maurizio.
CONSORZIO OLTREPÒ NEL CAOS: IL FRONTE IMBOTTIGLIATORI SI ALLARGA AI VINIFICATORI
Per alcune aziende, rappresentanti del mondo degli imbottigliatori, si tratta di un ulteriore passo contro l’attuale Consorzio, dopo le dimissioni dal Cda di luglio 2024. Sembra essersi defilato dal gruppo dei cinque imbottigliatori dimissionari solo Pierpaolo Vanzini, che – forse per strategia – ha deciso di non recedere dal Consorzio con la propria azienda, l’Azienda vitivinicola Vanzini. Non sorprende, invece, l’uscita di Gilda Fugazza, ex presidente del Consorzio tutela Vini Oltrepò pavese, silurata dalla base dell’ente proprio in occasione delle elezioni di marzo 2024, insieme al direttore Carlo Veronese. Nel gruppo di aziende che hanno comunicato il recesso, a sorpresa, anche la Maggi Francesco guidata oggi dall’ex presidente del Consorzio Club del Buttafuoco Storico, Marco Maggi. Il fronte degli imbottigliatori si è dunque definitivamente allargato ad aziende che rappresentano la categoria vinificatori.
ERGA OMNES: COS’È E COSA RISCHIA CONSORZIO OLTREPÒ CON USCITA NOVE CANTINE
Se in occasione delle dimissioni degli imbottigliatori la presidente Francesco Seralvo aveva risposto a muso duro, procedendo alla surroga dei dimissionari con altrettanti nuovi consiglieri, la recente uscita delle nove aziende potrebbe avere conseguenze sull’intero corso del mandato. Per garantire l’erga omnes, funzione principale dei Consorzi del vino italiano secondo l’ordinamento, l’ente deve dimostrare di rappresentare una quota minima della produzione pari ad almeno il 40/66% – a seconda dei casi specifici – dei viticoltori, vinificatori e imbottigliatori coinvolti nelle singole denominazioni.
Nel dettaglio, l’erga omnes dei Consorzi del vino italiano è un principio giuridico introdotto per rafforzare il ruolo dei Consorzi nella tutela e promozione delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche dei vini italiani Doc, Docg e Igt. Si traduce dal latino come “nei confronti di tutti” e si riferisce alla capacità di un consorzio di estendere alcune delle sue attività e decisioni non solo ai propri membri, ma anche a tutti i produttori che operano nell’ambito della denominazione protetta.
Attraverso il principio erga omnes, i consorzi riconosciuti dal Ministero, come quello dell’Oltrepò pavese, possono applicare determinate decisioni e regolamenti (previsti dalla legge) a tutti i produttori di quella denominazione, anche se non sono membri del consorzio. È una deroga al principio di libertà associativa, disciplinata dal Decreto Legislativo n. 61/2010 e successive modifiche. Il riconoscimento del principio erga omnes avviene previa verifica da parte del Ministero dell’Agricoltura (MASAF), che assicura che il consorzio rappresenti una quota significativa della filiera produttiva della denominazione.
OLTREPÒ PAVESE: QUALI CONSEGUENZE CON EVENTUALE PERDITA DELL’ERGA OMNES?
Con l’eventuale perdita dell’erga omnes, il Consorzio Vini Oltrepò pavese perderebbe non solo la propria funzione di tutela e promozione delle denominazioni, ma non potrà più proporre modifiche ai disciplinari e gestire eventuali regolamenti produttivi. Per garantire la competitività e l’unità del settore, è cruciale che il Consorzio guidato da Francesca Seralvo cerchi di recuperare il riconoscimento o trovi nuove strategie per collaborare con tutti i produttori, associati e non.Senza l’erga omnes, il consorzio rappresenterà solo i suoi associati. Questo limita la capacità di coordinare e gestire le politiche produttive e promozionali per l’intera denominazione.
Ma c’è di più. Solo gli associati sarebbero tenuti a contribuire economicamente alla sussistenza del Consorzio, versando la propria quota annuale di “iscrizione”. Questo ridurrebbe le risorse finanziarie dell’ente, limitando le attività di promozione, tutela e controllo dei vini dell’Oltrepò pavese. Ricadute gravissime graverebbero anche sul fronte dell’anti-contraffazione, con la tutela delle denominazioni che hanno perso l’erga omnes consortile affidata esclusivamente ad organi pubblici come l’Icqrf. Non è da escludere, dunque, che il recesso delle nove aziende possa portare a nuove elezioni al Consorzio Vini Oltrepò pavese nel 2025. Al tempo stesso, il Consorzio potrebbe decidere di proseguire senza erga omnes. Allargando la platea degli associati a nuove cantine.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Grandi Langhe 2025 torna alle Ogr di Torino il 27 e 28 gennaio 2025. Saranno presenti quasi 500 cantine dalle Langhe, Roero e dal resto del Piemonte, pronte a presentare in anteprima le nuove annate delle Docg e Doc. Per tutta la durata dell’evento vi sarà una sala degustazione dedicata alla stampa con le ultime annate rilasciate in commercio di tutte le Docg e Doc del Piemonte. Per partecipare a Grandi Langhe 2025 occorre registrarsi online a questo link. L’elenco delle cantine presenti alla prossima edizione di Grandi Langhe è invece disponibile al seguente link. Per scoprire le cantine da non perdere acquista la Guida Top 100 Migliori vini italiani 2025.
GRANDI LANGHE 2025: INFORMAZIONI GENERALI
DOVE: OGR TORINO, Corso Castelfidardo 22, Torino, Piemonte. QUANDO: 27 e 28 Gennaio, con orario 10-17 COME: l’ingresso è consentito previa prenotazione o invito. Sarà necessario stampare ed esibire il biglietto. CHI: evento riservato a operatori professionali, buyer, enotecari, ristoratori, agenti commerciali, sommelier professionisti.
GRANDI LANGHE 2025: COME ARRIVARE
(OGR Corso Castelfidardo, 22, 10128 Torino)
In treno: la stazione più vicina è Porta Susa
Automuniti: i parcheggi nelle vicinanze delle OGR sono:
Grandi Langhe 2025 è un appuntamento da non perdere nel panorama delle anteprime del vino italiano. Ospitato dalle OGR di Torino, l’evento è dedicato ai professionisti del settore. In assaggio i vini delle Langhe e delle Doc e Docg del Piemonte, serviti dai produttori in persona o da sommelier. Per la prima volta, l’evento organizzato dal Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani prevede una sala stampa per gli assaggi dei giornalisti del settore, che potranno registrarsi sul sito da oggi, giorno di apertura delle iscrizioni per le giornate del 27 e 28 gennaio 2025.
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Dopo mesi di discussioni, lunedì 25 novembre è stato presentato il nuovo decreto ministeriale che disciplina la produzione di vini dealcolati in Italia. Una tematica di crescente interesse per il settore del vino e per i consumatori, a livello internazionale, anche se il tema divide favorevoli e contrari. La cruciale riunione si è tenuta presso il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, guidata dal ministro Francesco Lollobrigida. Una presentazione scossa dalle perplessità di Assodistil, che ribadisce la richiesta di precise garanzie su tre punti focali relativi alla produzione di vini dealcolati in Italia: corretto inquadramento fiscale, gestione dell’alcol ottenuto, classificazione precisa del liquido idroalcolico, trattamento adeguato del liquido idroalcolico e ottimizzazione del processo di dealcolizzazione, in una chiave sostenibile.
Per i promotori dell’iniziativa in favore dei vini dealcolati, il nuovo decreto pone l’Italia all’avanguardia nella regolamentazione di un settore in rapida evoluzione. Come spiegato dal ministro Lollobrigida, l’adozione di regole «chiare e rigorose» garantirà la qualità del prodotto e la competitività delle aziende italiane, senza intaccare il valore culturale e la rappresentanza del Made in Italy nel mondo. La strada tracciata dal Ministero dell’Agricoltura non è solo una risposta alle esigenze del mercato, ma anche una testimonianza della capacità del comparto vitivinicolo di affrontare sfide globali rimanendo fedele alle proprie radici. Il segmento, stimato inizialmente allo 0,5% del mercato, potrebbe crescere del 15% annuo, secondo la Commissione Ue. In Italia, questo significherebbe circa 22,5 milioni di litri di vino dealcolizzato all’anno, con la necessità di gestire 225 milioni di litri d’acqua separata.
DECRETO VINI DEALCOLATI: IL CONTESTO NORMATIVO EUROPEO
Il decreto si inserisce nel quadro normativo delineato dal regolamento (UE) 2021/2117, che ha aggiornato l’allegato VIII del regolamento (UE) n. 1308/2013. Questo aggiornamento introduce, per la prima volta, la possibilità di adottare la pratica enologica della dealcolizzazione, consentendo una riduzione parziale o totale del tenore alcolico nei vini. Tale innovazione risponde alla crescente domanda di prodotti a basso contenuto alcolico o privi di alcol, particolarmente apprezzati da segmenti di consumatori attenti al benessere e a nuovi stili di vita.
VINI SENZA ALCOL, TRA SALVAGUARDIA DELLA VITICOLTURA E INNOVAZIONE
Il Ministero ha svolto un delicato lavoro di mediazione, coinvolgendo tutti gli attori della filiera per trovare un compromesso che salvaguardasse il patrimonio vitivinicolo nazionale senza trascurare l’opportunità di espandersi in mercati emergenti. Alla riunione hanno partecipato rappresentanti di Coldiretti, Confagricoltura, Cia, Copagri, Alleanza delle Cooperative Agroalimentari, Federvini, Unione Italiana Vini, Assoenologi, Federdoc, Assodistil e Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti. La presenza di così tante realtà sottolinea il valore del dialogo istituzionale e dell’ascolto reciproco per definire norme condivise e rispettose delle peculiarità del settore.
DECRETO VINI DEALCOLATI: I DETTAGLI
Il decreto mira a regolamentare la produzione di vini dealcolizzati in Italia, stabilendo principi chiave per tutelare la qualità, la tradizione e l’autenticità del prodotto. Sul fronte della tutela delle denominazioni, sarà vietata la dealcolizzazione per i vini a Denominazione di Origine Protetta (Dop) e Indicazione Geografica Protetta (IGP). Questa scelta preserva il legame inscindibile tra i vini di qualità, i territori di origine e i disciplinari di produzione che ne garantiscono unicità e autenticità. La bozza del decreto vini dealcolati prevede poi la separazione delle filiere produttive. Il processo di dealcolizzazione dovrà avvenire in strutture dedicate, fisicamente separate da quelle utilizzate per la produzione vitivinicola tradizionale.
Questa misura, secondo il governo, non solo garantisce il rispetto delle specificità produttive, ma introduce un livello di trasparenza indispensabile per tutelare la filiera. Tracciabilità e trasparenza sono altri due cardini della bozza del decreto vini dealcolati. Sarà obbligatorio tenere registri digitalizzati e ottenere specifiche licenze autorizzative per operare. Inoltre, l’etichettatura dei vini dealcolizzati dovrà riportare chiaramente la dicitura “dealcolizzato” o “parzialmente dealcolizzato”, assicurando una corretta informazione ai consumatori.
I DEALCOLATI COME RISPOSTA ALLE ESIGENZE DEL MERCATO
La scelta del Ministero risponde a due obiettivi principali. Da un lato, si intende valorizzare le eccellenze italiane mantenendo intatte le peculiarità del vino tradizionale; dall’altro, si vuole offrire alle aziende italiane la possibilità di competere sul mercato dei vini dealcolizzati, un segmento in crescita nei Paesi del Nord Europa, negli Stati Uniti e in Asia. La capacità di innovare senza compromettere la qualità rappresenta un elemento strategico per il comparto, che da sempre si distingue per la sua capacità di coniugare tradizione e modernità.
VINO DEALCOLATO: UN’OPPORTUNITÀ PER IL SETTORE
Il vino dealcolizzato è percepito come un prodotto innovativo, in grado di intercettare target differenti rispetto a quelli del vino tradizionale. Si rivolge, in particolare, a consumatori attenti alla salute, a chi sceglie di evitare l’alcol per motivi culturali o religiosi e a chi cerca un’esperienza sensoriale simile al vino ma priva di effetti alcolici. Secondo recenti ricerche di mercato, il segmento del vino dealcolizzato è destinato a crescere del 15% annuo nei prossimi cinque anni, rappresentando un’opportunità economica significativa per le aziende italiane.
DECRETO VINI DEALCOLATI: ASSODISTIL CHIEDE GARANZIE AL GOVERNO
Non solo voci favorevoli per il nuovo decreto vini dealcolati. Durante l’incontro al Masaf tra il ministro Francesco Lollobrigida e le associazioni vitivinicole l’Associazione nazionale industriali distillatori di alcoli e e acquavini AssoDistil ha ribadito i punti critici della bozza del decreto sulla dealcolizzazione del vino. «Pur apprezzando l’iniziativa» che permetterà la produzione di vini dealcolizzati anche in Italia, evitando costose esportazioni e reimportazioni, l’associazione ha sottolineato «alcune necessità fondamentali».
AssoDistil chiede in primis l’applicazione delle norme del Testo Unico Accise (D.L.vo n. 504/95), che impone il regime di deposito fiscale per le soluzioni idroalcoliche con gradazione superiore all’1,2%. La normativa vigente non può essere superata da un decreto ministeriale. Secondo punto nodale è, per Assodistil, la gestione dell’alcol ottenuto. Ogni produzione alcolica deve rispettare le leggi esistenti, con autorizzazione dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. L’alcol separato dovrebbe essere destinato a usi industriali o energetici per «evitare distorsioni di mercato», ovvero frodi. C’è poi il tema della classificazione precisa del liquido idroalcolico. Secondo Assodistil, definire tale prodotto come “intermedio” è scorretto, poiché non rientra tra i prodotti attualmente identificati dalla normativa (come vino, vermouth o sidri).
ALCOL, MOLTO PIÙ DI UN “RIFIUTO”
Quarta richiesta di Assodistil è quella di «evitare trattamenti inadeguati». Proporre di trattare il liquido idroalcolico come rifiuto, anziché come alcol, rappresenterebbe «un onere ingiusto per i produttori di vino dealcolizzato, che invece dovrebbero ottenere ricavi dalla vendita dell’alcol». Infine, un occhio alla sostenibilità, attraverso l’ottimizzazione del processo. AssoDistil sottolinea l’importanza di evitare sprechi d’acqua durante la dealcolizzazione. Il metodo a membrane, il più diffuso in Europa, permette il recupero separato di acqua pulita e alcol, garantendo sostenibilità ed efficienza.
«Aspetti sui quali non è possibile derogare – commenta Antonio Emaldi, presidente della maggior associazione di distillatori italiana – primo tra tutti quello del corretto inquadramento fiscale cui sottoporre le miscele idroalcoliche ottenute dal processo di dealcolizzazione, nel rispetto delle vigenti norme di legge previste dal D.L.vo n. 504/95, il c.d. Testo Unico Accise, al quale chiunque produca alcole etilico deve conseguentemente attenersi. AssoDistil – conclude Emaldi – plaude all’iniziativa del Ministro mirata a concludere velocemente l’iter normativo che consentirà agli operatori nazionali di poter finalmente produrre anche in Italia un vino senza alcole, evitando la attuale prassi di esportare vino verso altri Paesi europei in cui la dealcolizzazione è permessa, per poi reimportare lo stesso vino senza alcole per la successiva vendita sui mercati in cui tale prodotto è sempre più richiesto».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
L’Amarone della Valpolicella Doc Classico 2009 Costa delle Corone di Monteci si aggiudica il Premio speciale “Vecchia annata” della Guida Winemag 2025. Il vino top di gamma della cantina di Pescantina (Verona), appartenente alla Linea Monteci Selezioni, si è aggiudicato 96/100 in occasione delle degustazioni alla cieca. Convince per la vitalità, la precisione e l’integrità del sorso, a distanza di ben 15 anni dalla vendemmia (avvenuta un anno prima dell’assegnazione della Docg alla pregiata denominazione veronese). L’Amarone della Valpolicella Doc Classico 2009 Costa delle Corone, per ammissione della stessa cantina, è la «massima espressione dell’identità di Monteci», nonché «la sintesi di un vigneto quasi inaccessibile», da cui prende il nome. Un appezzamento inerpicato sulle colline della Valpolicella Classica, in cui affondano le radici le piante di Corvina, Rondinella e Molinara. Di seguito il profilo del vino.
AMARONE DELLA VALPOLICELLA DOC CLASSICO 2009 COSTA DELLE CORONE, MONTECI
Fiore: 9
Frutto: 9.5
Spezie, erbe: 9.5
Freschezza: 8
Tannino: 7.5
Sapidità: 7
Percezione alcolica: 6
Armonia complessiva: 10
Facilità di beva: 9.5
A tavola: 10
Quando lo bevo: subito / oltre 3 anni
Punteggio Winemag: 96/100 (Premio speciale “Vecchia annata” per la Guida Winemag 2025)
Via San Michele, 34 37026 Pescantina (VR)
Tel.+39 (045) 7151188 Email info@monteci.it
AMARONE COSTA DELLE CORONE 2009, MONTECI
DENOMINAZIONE
Amarone Classico della Valpolicella Doc
UVAGGIO
Corvina, Rondinella, Molinara
ZONA DI PRODUZIONE
Valpolicella Classica
TECNICA DI VINIFICAZIONE
Appassimento delle uve per circa 5 mesi. Dopo la pigiatura 30 giorni di contatto mosto/bucce. Segue fermentazione alcolica e fermentazione malolattica. La fermentazione avviene in parte in acciaio e in parte in tini di rovere.
AFFINAMENTO
In botti di rovere da 50 ettolitri per 60 mesi.
IMBOTTIGLIAMENTO
In bottiglia per almeno 5 anni.
TEMPERATURA DI SERVIZIO
18-20° C
ABBINAMENTI
Selvaggina da pelo o nobile da piuma, “pastissada” di cavallo, brasati, arrosti, formaggi stagionati o piccanti, risotto all’Amarone. Grande vino da meditazione.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Il Miglior rosato italiano della Guida Winemag 2025 è il Costa d’Amalfi Doc Rosato 2023 di Marisa Cuomo. Il punteggio di 94/100 assicura a questo uvaggio 50-50 di Piedirosso (localmente detto “Per’e Palummo”) e Aglianico, di assicurarsi uno dei massimi riconoscimenti dell’annuale Guida Top 100 Migliori vini italiani di Winemag. Di seguito il profilo del vino.
COSTA D’AMALFI DOC ROSATO 2023, MARISA CUOMO
Fiore: 8.5
Frutto: 9
Spezie, erbe: 8
Freschezza: 8.5
Tannino: 0
Sapidità: 8
Percezione alcolica: 5
Armonia complessiva: 9.5
Facilità di beva: 8.5
A tavola: 9
Quando lo bevo: subito / oltre 3 anni
Punteggio Winemag: 94/100 (Miglior rosato italiano per la Guida Winemag 2025)
MIGLIORI ROSATI ITALIANI 2025: COSTA D’AMALFI MARISA CUOMO
Costa d’Amalfi Doc Rosato 2023 di Marisa Cuomo è tra i migliori rosati italiani 2025. È caratterizzato da un vivace colore rosa e un profumo intenso di ciliegia, ribes rosso, e melograno insieme ad essenze della macchia mediterranea. Strutturato ed armonico al gusto si distingue per la sua lunga persistenza. L’uva che cresce aggrappata alla roccia di Furore è esposta alla magica azione del sole e del mare della Costa d’Amalfi. Al fascino della geometria dei vigneti dell’azienda, si aggiunge la suggestiva cantina scavata nella roccia.
Dal 1980, anno della sua fondazione, Cantine Marisa Cuomo è l’azienda vinicola di Andrea Ferraioli e Marisa Cuomo che si estende lungo 10 ettari di territorio. La selezione di uve nobili, la ricerca del giusto grado di freschezza ed umidità unito allo scorrere del tempo, vecchi segreti tramandati da vinificatori del luogo e tecniche di elaborazione all’avanguardia danno vita a vini di elevatissima qualità, stimati in tutto il mondo. Andrea Ferraioli e Marisa Cuomo, con l’enologo Luigi Moio ed i vinicoltori dell’azienda, scelgono di puntare sulla qualità (e lo dimostrano con il miglior rosato italiano 2025, tra i migliori rosati italiani) per distinguersi nel panorama dell’enologia italiana con vini dal sapore unico e straordinario come il territorio della costa di Furore.
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Derthona, Terre di Libarna eMonleale sono le tre sottozone della Doc Colli Tortonesi. Insieme raggruppano 46 comuni e 7 valli della provincia di Alessandria, vocate alla produzione di Timorasso e Barbera. Il tavolo vitivinicolo regionale di Regione Piemonte, in occasione dell’incontro di ieri mattina con il presidente del Consorzio, Gian Paolo Repetto, ha dato il via libera alla modifica del disciplinare della Doc Colli Tortonesi che disegna un futuro ancora più chiaro per una zona che si sta facendo largo nel mondo, a suon di vini bianchi e rossi di estrema qualità. Su tutti, luce verde alla sottozona Derthona e a una migliore profilazione della sottozona Terre di Libarna, riservata ai soli spumanti. Tecnicamente si tratta di “UGA“, acronimo di “Unità geografiche aggiuntive” utilizzato per identificare le “sottozone”.
Provvedimenti per i quali è stata richiesta la retroattività volontaria alla vendemmia 2024, per chi già rispetterà i nuovi parametri. In caso contrario, le modifiche dovrebbero entrare in vigore a partire dalla vendemmia 2025, comunque non prima dell’avallo definitivo del Comitato nazionale Vini. Il provvedimento mescola le carte in tavola nei Colli Tortonesi, al solo fine di mettere ordine. Disegnando i contorni di un futuro ancora più chiaro per una zona che si sta facendo largo nel mondo, a suon di vini bianchi e rossi di estrema qualità.
DERTHONA, IL VINO DOC OTTENUTO DALLE UVE TIMORASSO
Addio, in primis, alla “Colli Tortonesi Doc Timorasso”, a compimento del progetto portato avanti sin dalla fine degli anni Ottanta da alcuni vignaioli alessandrini, su tutti Walter Massa. Un passo indietro, per farne cento avanti. Con “Timorasso” si andrà a identificare solo l’uva o, meglio, il vitigno. Con “Derthona” i vini Doc prodotti con uve Timorasso. Il nome è quello dato dai romani all’attuale città di Tortona, divenuta oggi un nevralgico centro agricolo, logistico e industriale della provincia di Alessandria. Proprio a Tortona ha sede il Consorzio Tutela Vini Colli Tortonesi. Il nome Derthona, ad oggi, è più che mai noto agli amanti del basket, grazie all’omonima squadra (di Tortona, per l’appunto) che milita in serie A.
La posizione centrale e strategica della città, negli ultimi anni, ha causato un accentramento di potere da parte di grandi gruppi dell’industria e della logistica, che ha finito per schiacciare la vocazionalità agricola della zona (nota, oltre che per il vino, anche per la Pesca di Volpedo). Il ricorso all’antico nome romano Derthona è un implicito richiamo alle radici rurali di Tortona, voluto da un Consorzio e da una base produttiva animata da vignaioli che mirano alla qualità assoluta del prodotto. Non sono un caso gli investimenti di grandi nomi del vino, soprattutto delle Langhe, avvenuti negli ultimi anni nel comprensorio della Doc. E c’è anche chi si “rifugia” qui dal vicinissimo (e tormentato) Oltrepò pavese.
SOLO VINI SPUMANTI NELLA SOTTOZONA / UGA TERRE DI LIBARNA (VAL BORBERA)
La seconda importante modifica riguarda la sottozona / UGA Terre di Libarna della Val Borbera, che si trasformerà ufficialmente nel cuore della spumantistica alessandrina. Una piccolissima “Alta Langa” del Timorasso, per usare un “eufemismo” senza uscire dai confini del Piemonte. Con una produzione annuale che si assesta attorno alle 12 mila bottiglie Doc, quasi esclusivamente prodotte da una cantina icona del territorio come Ezio Poggio.
Grazie a un’estensione della sottozona Derthona alle zone più vocate delle valli Borbera e Spinti, i vini fermi base Timorasso potranno rivendicare il nome Derthona. La menzione “Terre di Libarna” scompare, in sostanza, dai vini fermi. E sarà ascrivibile in etichetta solo sui vini spumanti. La scelta non è casuale, visto che la vallata in cui ricade la sottozona Terre di Libarna gode di altitudini e acidità delle uve che favoriscono la spumantistica. Per lo stesso motivo, in futuro, l’alta Val Curone potrebbe essere assoggettata all’UGA Terre di Libarna.
La mappa dei Colli Tortonesi (® Cantina Vite Colte)
PICCOLO DERTHONA, DERTHONA E DERTHONA RISERVA
Confermate dal Ministero anche le richieste del Consorzio relative all’esclusione dei fondovalle e delle altimetrie superiori ai mille metri, per una produzione e pianificazione “verticale” del Derthona che deve essere vino di qualità uniforme e riconoscibile. Tre le tipologie approvate: Piccolo Derthona, Derthona e Derthona Riserva. «Abbiamo ristretto il perimetro dei comuni – commenta a winemag il presidente del Consorzio, Gian Paolo Repetto – portando la sottozona / UGA Derthona ad essere circa la metà della Doc Colli Tortonesi, grazie a 432 km quadrati di superficie rispetto ai 785 complessivi. Pochi sanno che la Colli Tortonesi è una Doc molto estesa in termini di territorio».
COLLI TORTONESI DOC: IN FUTURO NUOVE SOTTOZONE (UGA)
«Questa novità – continua Repetto, titolare dell’omonima cantina di Sarezzano – ci dà la grande possibilità di valorizzare le zone più vocate e di iniziare a lavorare al prossimo step, ovvero l’istituzione di altre sottozone (UGA), in areali a noi già ben chiari per la qualità costante delle uve e che fanno ben sperare per il futuro. La discussione sulle nuove “menzioni” si concentra piuttosto sul naming e su come renderle omogenee per tipologia e per uve. In definitiva, oggi abbiamo portato a casa il bersaglio grosso della modifica al disciplinare. Da domani lavoreremo un po’ più di fino».
NELLE ANNATE FAVOREVOLI SI ADOTTERÀ IL “SUPERO” PER IL PICCOLO DERTHONA
Dal punto di vista produttivo, le modifiche al disciplinare comportano un passaggio dagli 80 ai 75 quintali per ettaro, relativamente alla resa del Timorasso. La riduzione, un po’ a sorpresa, riguarda anche il Piccolo Derthona. Per la tipologia “di ingresso” della Doc, chiamata ad introdurre i consumatori a vini più stratificati e complessi (Derthona e Derthona Riserva, per l’appunto) l’ipotesi inziale era di 90 quintali per ettaro. Ma la proposta è tramontata dopo il primo confronto tra il Consorzio e i tecnici di Regione Piemonte. Al netto di un disciplinare restrittivo, che uniforma il “base” alla “Riserva”, l’asso nella manica sarà il ricorso al “supero di campagna”.
Un “escamotage”, normato dalle leggi vigenti, sino ad ora mai utilizzato dall’ente tortonese. «In annate favorevoli – annuncia ancora il presidente Gian Paolo Repetto – il Consorzio potrebbe deliberare il supero per il Piccolo Derthona. Questo ci permetterà una certa flessibilità a fronte di vendemmie positive sul fronte della quantità, ovvero in grado di garantire oltre alla qualità anche un certo volume di produzione. Il supero consentirà ancor più alla tipologia di “ingresso” della denominazione di avvalorare i propri risvolti, anche dal punto di vista strettamente “commerciale”».
LA VENDEMMIA 2024 DEI COLLI TORTONESI: BENE TIMORASSO E BARBERA
Non si parla neppure sottovoce di “supero” al cospetto della vendemmia 2024 dei Colli Tortonesi. Nel complesso, a conti fatti, il territorio registrerà una riduzione della produzione del 30% e una qualità da buona a ottima. Una novità interessante riguarda le gradazioni alcoliche dei vini atti a divenire Derthona e, ancor più, dei Barbera (Monleale incluso), altro vitigno principe della zona che tornerà su percentuali d’alcol in volume più moderate, dopo l’abbondanza delle annate precedenti.
Le maggiori difficoltà dell’annata 2024 riguardano i vigneti lavorati in regime biologico, con danni da peronospora che – in alcuni casi – vengono definiti «disastrosi» dai produttori alessandrini. La viticoltura biologica è molto diffusa all’interno della Doc Colli Tortonesi, al punto da assestarsi al 42% sul vitigno Timorasso (e dunque sui futuri vini Doc Derthona). La cifra del bio scende al 22-34% per il vitigno Barbera, la cui quota maggiore del vigneto è detenuta dalle cooperative.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Libero Rillo ha vinto la battaglia sul contrassegno di Stato sui vini Igp. La nuova fascetta con QRCode, progettata dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, ha esordito in Italia in questi giorni, con un primo lotto di 4 milioni di pezzi destinati proprio al Benevento o Beneventano Igp: l’indicazione geografica protetta tutelata erga omnes dal Consorzio Tutela Vini del Sannio, di cui Libero Rillo è presidente. Dal prossimo anno, secondo indiscrezioni di winemag, il contrassegno sarà applicato anche al Lambrusco Igt, con un potenziale di circa 120 milioni di bottiglie, pensando solo all’Emilia Igt Lambrusco.
DAI DISSIDI CON FEDERDOC AL NUOVO QRCODE PER I VINI IGP
Ma se la Zecca dello Stato parla di «una consegna a suo modo storica per il mondo del vino italiano, visto che fino ad oggi le fascette di Stato erano riservate alle Docg e alle Doc», il produttore campano, titolare della cantina Fontanavecchia a Torrecuso (Benevento), tende a buttare acqua sul fuoco. «Non mi sento un pioniere», dichiara in esclusiva a winemag.it. La storia, però, parla chiaro. Le tappe che portano allo storico provvedimento hanno visto Libero Rillo vacillare più volte, senza tuttavia mai abbandonare il campo di quella che, forse, è divenuta col tempo anche una battaglia personale.
Dopo alcuni dissidi locali con i sindacati di categoria, tra gli attacchi più duri c’è quello subito da Federdoc (di cui lo stesso Rillo è consigliere) nel febbraio del 2023. La Confederazione nazionale Consorzi volontari Tutela Denominazioni vini italiani, presieduta da Giangiacomo Gallarati Scotti Bonaldi, si era opposta all’avvio sperimentale del progetto sul Benevento Igp. Chiedendone la sospensiva. E destando qualche malumore addirittura a Roma, presso il Ministero, reo di non aver consultato Federdoc e di aver avallato la richiesta del Sannio «senza un decreto attuativo».
FASCETTA VINI IGP, LIBERO RILLO: «NON MI SENTO UN PIONIERE»
«Lo dicevo da anni – commenta oggi il numero uno del Consorzio Vini del Sannio – il contrassegno è un sistema di tracciabilità, punto. Significa che, ovunque lo mettiamo, garantisce il consumatore. Perché chiude il cerchio. Se invece lo vogliamo fare diventare uno strumento di comunicazione, sostenendo che apporlo ai vini Igp possa togliere importanza ai vini Doc e Docg, inventandoci un sacco di cose, è ovvio che non andremo mai avanti in modo serio. Tra l’altro, va ricordato che in Italia ci sono ancora diverse Doc ancora senza contrassegno. Mi meraviglio di chi demonizza provvedimenti come questo».
«Secondo noi – continua Libero Rillo – c’è bisogno di garantire il consumatore finale ed è questa la mia priorità, anche e soprattutto in qualità di produttore di vino. Per questo motivo non mi sento un pioniere: faccio le cose perché ci credo, non per incensarmi. Il Benevento o Beneventano Igp sarà il primo vino a fregiarsi del nuovo contrassegno di Stato con QRCode e altri Consorzi del vino italiano faranno seguito il prossimo anno. Sono doppiamente soddisfatto, perché le polemiche e la sospensiva cautelativa decisa lo scorso anno da parte del Sannio hanno portato a un sigillo semplificato. È stata addirittura tolta dalla fascetta la scritta “Igt/Igp” e si è optato per un QRCode al posto del ricorso all’app Trust Your Wine®».
GLI SVILUPPI DELLA DOC CAMPANIA
Con una semplice scannerizzazione, grazie all’immancabile (e sempre più insostituibile) smartphone, il consumatore potrà accedere al “passaporto digitale” del vino, «ottenendo informazioni utili, ben oltre la sola tracciabilità del prodotto». Intanto, Libero Rillo è già in campo per un’altra battaglia che darà filo da torcere: l’istituzione della Doc Campania, di cui si discute da tempo negli ambienti del vino e, di conseguenza, anche in ambito politico, nella giunta regionale guidata da Vincenzo De Luca.
«Noi non siamo il Veneto – commenta sempre a winemag.it – siamo una regione di nicchia, che produce circa un milione di ettolitri di vino all’anno. Dopo l’istituzione del comitato promotore della Doc Campania, presieduto dal presidente della cooperativa La Guardinense, Domizio Pigna, stiamo procedendo a piccoli passi, in maniera lenta ma con speranza. La denominazione di origine controllata Campania potrebbe essere uno strumento comune per la promozione del vino campano che ora manca e che potrebbe dare ulteriore slancio all’attività dei Consorzi e dei produttori di cinque province».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Una quota di produzione di vini certificati biologici che si attesta al 95% per la Doc e al 91,5% per la Docg; un’ottima propensione all’export e un’ancor più spiccata organizzazione aziendale sul fronte dell’ospitalità, con il 100% delle cantine attrezzate per accogliere i visitatori. È il quadro che emerge dall’ultimo questionario interno compilato dalle aziende aderenti al Consorzio Vini Montecucco, in Toscana. Cantine che oggi valutano un’ulteriore opportunità di sviluppo, nonché di contrasto ai cambiamenti climatici. È infatti in discussione all’interno del Consorzio l’eventuale modifica del disciplinare di produzione, utile all’«estensione del territorio di produzione all’intera area amministrativa dei comuni di montagna».
«L’obiettivo – evidenzia ancora l’ente che ha sede a Cinigiano, in provincia di Grosseto – è aumentare l’altitudine dei terreni della Denominazione». In zona, il territorio dell’Unione dei Comuni Montani Amiata Grossetano comprende per l’esattezza sette comuni (Arcidosso, Castel del Piano, Castell’Azzara, Roccalbegna, Santa Fiora, Seggiano e Semproniano) e si estende per circa 700 chilometri quadrati, alcuni dei quali già interessati dalla viticoltura e inseriti nel puzzle della denominazione grossetana. La zona di produzione delle uve del Montecucco comprende infatti «le aree vocate» dei Comuni di Cinigiano, Civitella Paganico, Campagnatico, Castel del Piano, Roccalbegna, Arcidosso e Seggiano.
I VINI DEL MONTECUCCO VERSO LA MONTAGNA
I vigneti della Doc e della Docg Montecucco si trovano al momento su rilievi di bassa e medio-alta collina e affondano le radici su formazioni prevalentemente marnose, marnoso-pelitiche e pelitiche. Suoli franchi, ricchi di pietre e scheletro. Moderata l’acqua disponibile per le piante. La quota media è di circa 200 metri sul livello del mare, con le vigne attualmente iscrivibili alla denominazione ubicate approssimativamente a quote comprese tra 120 e 500 metri sul livello del mare.
La pendenza oscilla intorno all’8%, mentre l’esposizione media, sempre secondo i dati più aggiornati, è a est sud-est. Labase ampelografica dell’areale del Montecucco è composta per il 61% da Sangiovese, per l’11% da Vermentino e per il restante della percentuale da vitigni internazionali – principalmente Merlot, che detiene il 7% – e vitigni autoctoni da qualche anno tornati alla ribalta come il Ciliegiolo con il 5%.
IL SUCCESSO DEL MONTECUCCO ROSSO IN ACCIAIO
Non a caso la tipologia della Denominazione che al momento riscontra maggiore successo è il Montecucco Rosso, che prevede un minimo di 60% di Sangiovese accompagnato da altri vitigni a bacca rossa e ha un profilo più fresco, soprattutto grazie alla vinificazione in solo acciaio. Il Montecucco Docgha invece registrato un lieve calo anche alla luce dell’avversità delle ultime tre annate e alle scelte obbligate e strategiche a cui le stesse hanno costretto a volte i produttori.
Rilevanti anche i dati raccolti grazie al questionario del Consorzio sul mercato domestico ed export. Forte l’attenzione sul territorio nazionale che assorbe circa il 35% delle vendite, soprattutto il Centro e Nord Italia dove sono presenti rispettivamente il 95% e il 63% delle aziende socie. Proprio qui viene sollecitato un maggior presidio da parte del Consorzio, in particolare nelle regioni “target” Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto.
Per quanto riguarda le vendite all’estero, i primi quattro paesi a trainare l’export in termini di volumi – e dove le aziende vorranno continuare ad investire in promozione – risultano Svizzera (30%), Germania (12%), Usa (8,5%) e Benelux (8%). Le cantine registrano un interesse sempre crescente da parte di Est Europa, Centro America e Asia orientale e sudorientale. Parlando di prossimo futuro, i primi tre paesi di interesse verso cui le aziende vorrebbero incrementare le esportazioni sono Canada, Regno Unito e Giappone.
L’ENOTURISMO NELL’AREA DEL MONTECUCCO
L’ospitalità è un altro tema importante per la Denominazione che l’indagine ha voluto approfondire. Qui i dati evidenziano che il 100% delle aziende è attrezzato per accogliere i visitatori. Le formule di enoturismo spaziano dalle visite in cantina e/o in vigna alle degustazioni e ai tour del territorio, e circa la metà delle aziende dispone di strutture ricettive in grado di offrire ai visitatori la possibilità di pernotto (83,3%) e/o ristorazione (75%).
Un’ulteriore conferma, come sottolinea il Consorzio Tutela Vini Montecucco, dell’ormai trentennale investimento della Denominazione in un enoturismo di qualità, volto a promuovere l’originalità di questo volto selvaggio della Toscana facendo leva sulla natura autentica e sui paesaggi incontaminati dell’areale, oltre che su storia, cultura ed enogastronomia.
IL QUESTIONARIO DEL CONSORZIO VINI MONTECUCCO
A tre anni di distanza dal primo lavoro di raccolta dati che lo consacrava come esempio virtuoso di sostenibilità ambientale in Toscana, il Consorzio Tutela Vini Montecucco si è quindi impegnato in una nuova indagine condotta presso le aziende socie. L’obiettivo era attestare, oltre a dati di produzione e certificazione, diversi altri aspetti ed elementi legati all’attività delle cantine dell’areale, per restituire una panoramica quanto più dettagliata e ampia dello status quo della Denominazione e promuoverne la crescita e lo sviluppo.
Attraverso la compilazione di un questionario, da metà giugno a metà luglio 2024 sono state raccolte le risposte di diverse aziende distribuite tra i sei comuni di Cinigiano, Castel del Piano, Seggiano, Civitella Paganico, Campagnatico e Roccalbegna e che da sole coprono una superficie vitata totale di circa 300 ettari, di cui circa 276 ha sono potenzialmente rivendicabili Montecucco Doc (tra Rosso e Vermentino), mentre sono 197,42 gli ettari potenzialmente atti alla produzione di Montecucco Docg.
I risultati raccolti, secondo l’ente toscano, sono in grado di fornire «un quadro generale estremamente fedele dello stato di salute e dei trend della Denominazione», considerato che il campione preso in esame rappresenta rispettivamente il 76% e il 79% della produzione totale di Doc e Docg Montecucco, tra aziende socie e non, ed include le più grandi imprese dell’areale detentrici della maggior parte delle quote di produzione e imbottigliato e, quindi, di vendite e presenza nei mercati.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
L’affascinante borgo medievale di Castell’Arquato, eletto tra i “Borghi più belli d’Italia” e Bandiera Arancione del Touring Club Italiano, si prepara ad ospitare nel weekend 27-28 aprile 2024 l’11a edizione del Monterosso Val d’Arda Festival, un evento imperdibile per gli amanti della compagnia e della leggerezza, del buon vino genuino e della buona tavola. Un weekend di degustazioni, incontri, musica e cultura. Nella suggestiva cornice del centro storico, tra vicoli acciottolati, torri merlate e palazzi signorili, il Festival offrirà l’occasione di degustare il Monterosso Val d’Arda DOC, un vino bianco autoctono prodotto in Val d’Arda, che non solo è diverso da cantina a cantina, ma è caratterizzato da tre diverse tipologie:
Monterosso Val d’Arda DOC: il classico, fresco e leggero
Monterosso Val d’Arda DOC Frizzante: una versione vivace
Monterosso Val d’Arda DOC Spumante: il bollicine locale
I VINI MONTEROSSO VAL D’ARDA DOC
Il vino è ottenuto da uve locali Ortrugo, Malvasia di Candia Aromatica, Moscato Bianco e Trebbiano Romagnolo. Si presenta con un colore giallo paglierino, un profumo floreale e fruttato e un gusto fresco e armonico. Un vino importante per il territorio, con una antica tradizione. Era infatti il “vino buono, quello delle Feste”, che per tradizione le “rasdore” (le massaie) offrivano agli ospiti, magari abbinato ad una fetta di “boslano” (la ciambella tipica).
Un legame forte quello tra Castell’Arquato ed il vino, si narra che il cantiniere di Papa Paolo III Farnese Sante Lancierio, accompagnando il pontefice durante una visita al borgo avesse scritto: “Castell’Arquato fa vini perfettissimi e in gran pregio, et è un gran peccato che questa collina non sia tutta vigna”.
Per due giorni circa 30 cantine locali presenteranno e faranno degustare le loro migliori produzioni, che sarà anche possibile acquistare, lungo l’antica e suggestiva via in pietra della “barricaia”, che sarà animata inoltre da mostre d’arte, esibizioni musicali e dalle degustazioni della gastronomia locale.
VINI E GASTRONOMIA DEL PIACENTINO SOTTO I RIFLETTORI
«L’entusiasmo e l’amore per il nostro bellissimo paese e territorio – commenta Franco Ticchi, responsabile dell’organizzazione del Festival e presidente dell’associazione di volontari La Goccia APS – ci spinge ogni anno a imbarcarci in un progetto faticoso, ma emozionante quando alla fine si sentono i commenti dei visitatori e degli operatori. Siamo felici di poter far conoscere le nostre bellezze, bontà ed eccellenze e dare occasione di svago e leggerezza in gioia, ritrovo e compagnia a tanti giovani, donne e famiglie. È un percorso all’interno delle nostre tradizioni che si rinnovano. Far vivere così ogni anno il borgo medioevale con allegria e rispetto ci riempie di orgoglio».
Il territorio La Val d’Arda è un territorio collinare situato in provincia di Piacenza. Il territorio è caratterizzato da un clima temperato e da un terreno fertile, ideale per la coltivazione della vite. Un viaggio alla scoperta del territorio piacentino Il Festival non sarà solo un’occasione per degustare il vino, ma anche per scoprire le bellezze del territorio piacentino. I turisti enogastronomici potranno cogliere l’occasione del viaggio – previo verifiche e prenotazioni – per partecipare a visite guidate al borgo di Castell’Arquato, con la sua Rocca Viscontea del XIV secolo, la Collegiata di Santa Maria Assunta e il Palazzo del Podestà, ai castelli della Val d’Arda e alle aziende agricole locali, immersi nella natura. Inoltre, da quest’anno si instaura una collaborazione con l’istituto professionale per l’agricoltura “Marcora” di Cortemaggiore e l’istituto professionale alberghiero Marcora-Raineri di Piacenza.
IL PROGRAMMA DEL MONTEROSSO VAL D’ARDA FESTIVAL 2024
L’edizione 2024 del Festival sarà ricca di eventi, tra cui:
Degustazioni guidate di vini, con focus sulle diverse tipologie di Monterosso Val d’Arda DOC e abbinamenti con i prodotti tipici locali
Incontri con esperti di enologia e gastronomia, per approfondire la conoscenza del vino e del territorio
Master Class dedicate alle eccellenze enologiche del territorio
Show cooking con chef locali, che proporranno ricette tradizionali e innovative con il Monterosso Val d’Arda DOC
Concerti e spettacoli musicali, per allietar il Festival
Mostre d’arte e artigianato, per scoprire le eccellenze artistiche del territorio
Un focus sulla sostenibilità ambientale, con iniziative per ridurre l’impatto dell’evento, come l’utilizzo di bicchieri riutilizzabili e la raccolta differenziata
Passeggiate naturalistiche
Un programma di eventi per bambini, per coinvolgere tutta la famiglia
NON SOLO MONTEROSSO VAL D’ARDA
Prodotti gastronomici tipici locali piacentini Il territorio piacentino è ricco di prodotti gastronomici tipici, che si potranno degustare ai banchi o nei ristoranti, tra cui:
Salumi piacentini DOP
Coppa piacentina DOP
Pancetta piacentina DOP
Formaggio Grana Padano DOP
Tortelli piacentini
Anolini in brodo
Pisarei e fasò
Non solo Monterosso Val d’Arda. L’obiettivo è quello di fare conoscere tutti i vini del territorio: le cantine selezionate porteranno anche altre eccellenze locali, con un occhio di riguardo alla Malvasia di Candia Aromatica, che è alla base dell’uvaggio del Monterosso Val d’Arda. La domenica il Festival ospiterà il Malvasia Day dedicato appunto al Malvasia di Candia. Nelle due giornate sarà inoltre presente un banco per la degustazione delle migliori bollicine della Val d’Arda. Un Festival per tutti Il Monterosso Val d’Arda Festival è un evento aperto a tutti, dagli appassionati di vino ai semplici curiosi. È una festa molto amata dai giovani, dalle donne e dalle famiglie.
Un’occasione unica per vivere un weekend all’insegna del gusto, della cultura e della scoperta, in uno dei borghi più belli d’Italia. Castell’Arquato si trova tra Piacenza e Parma, è facilmente raggiungibile da Milano, Brescia, Pavia, Reggio Emilia, Modena, Bologna, ma anche da Genova e Verona. Il Monterosso Val d’Arda Festival è stato ideato dai volontari di Castell’Arquato per promuovere il vino tipico del territorio. Con gli anni, la manifestazione è diventata anche l’occasione per favorire il turismo nella Val d’Arda e dare impulso a tutto quanto il Piacentino ha di meglio da offrire.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Allargare la zona di produzione della Doc Spoleto nei territori della Doc Montefalco, per aumentare il numero di bottiglie di Trebbiano Spoletino e farlo conoscere a un numero più vasto di consumatori, in tutto il mondo. È l’obiettivo della proposta presentata nelle scorse ore al Cda del Consorzio Vini Montefalco e Spoleto da Gianluca Piernera, presidente della Commissione tecnica della Doc Spoleto e titolare di Cantina Ninni Spoleto. Quella sul tavolo dell’ente presieduto da Giampaolo Tabarrini, che dovrà valutarla insieme ad altre, è un’idea rivoluzionaria: «Includere i comuni di Bevagna, Gualdo Cattaneo e Giano dell’Umbria nella Doc Spoleto, consentendo ai produttori locali di etichettare il loro Trebbiano Spoletino come “Doc Spoleto”, al posto dell’attuale Montefalco Bianco Doc».
Quest’ultima, stando sempre alla proposta di Piernera, dovrebbe essere eliminata, al pari della Doc Spoleto Bianco. «Così facendo – spiega il vignaiolo in esclusiva a winemag.it – riusciremmo a portare in giro per il mondo il Trebbiano Spoletino, vino simbolo della Doc Spoleto che sta riscuotendo sempre più successo da parte della critica. Attualmente ne vengono prodotte solo 200 mila bottiglie, ma con l’allargamento della denominazione ai tre comuni si consentirebbe a un numero maggiore di produttori di imbottigliare Trebbiano Spoletino utilizzando la sua denominazione simbolo, nata nel 2011».
ALLARGAMENTO DELLA DOC SPOLETO PER IL TREBBIANO SPOLETINO?
Il progetto della Doc Montefalco Bianco, che prevede un minimo del 50% di Spoletino, non convince – al momento – tutti i produttori. Ne sono una riprova i numeri risicati degli imbottigliamenti e la decisione di ricorrere all’Umbria Igt, piuttosto che alla Doc di Montefalco, per i vini prodotti fuori dalla Doc Spoleto con il Trebbiano Spoletino. La proposta di Gianluca Piernera – tra i protagonisti e fautori, nel 2019, dell’ingresso della Doc Spoleto nel Consorzio Vini Montefalco – va nella direzione opposta: «Sono certo che, con l’ingresso nella Doc Spoleto, le uve provenienti dai vigneti di Bevagna, Gualdo Cattaneo e Giano dell’Umbria sarebbero rivendicate con la Doc simbolo del vitigno. Con questa operazione, nel giro di 5 anni, le bottiglie totali passerebbero da circa 200 mila a oltre un milione, se non a un milione e mezzo. Con benefici assoluti per tutto il territorio».
Un impulso che sarebbe in linea con gli ultimi trend di consumo, che vedono i vini bianchi e gli spumanti crescere esponenzialmente, nel mondo, a discapito dei vini rossi. Nonostante il cambio di rotta riscontrabile in occasione delle ultime Anteprime – nella direzione di vini più “pronti” e dai tannini più integrati – il Montefalco Sagrantino Docg, grande vino rosso da invecchiamento, non sta infatti attraversando uno dei suoi periodi di maggiore splendore, soprattutto sul fronte dell’export. Non un caso isolato, come dimostrano i report di mercato più aggiornati relativi alle spedizioni di vini italiani nel mondo, che dipingono una crisi del Made in Italy enologico nei 12 Paesi Top importer.
PRESTO IL VIA LIBERA A RISERVA, SPUMANTE E MACERATO DA SPOLETINO
«I tempi sono maturi – sottolinea Gianluca Piernera – per poter far conoscere questo meraviglioso vitigno a un numero più vasto di consumatori. È un dato di fatto che le bottiglie attuali non siano abbastanza. L’allargamento del territorio della Doc Spoleto darebbe fiducia ai produttori e a una zona dalle immense potenzialità, in parte non ancora esplorate. Il tutto senza snaturare le caratteristiche del Trebbiano Spoletino, che sarebbero preservate anche in altri territori. Sarà poi il consumatore a scegliere il prodotto di una zona o dell’altra».
Nel frattempo procedono a passo spedito, verso l’approvazione ministeriale, le modifiche al disciplinare che porteranno all’ufficiale riconoscimento della Riserva (che andrebbe a sostituire ed eliminare il Superiore), nonché dei metodi alternativi al sughero per la tappatura dello Spumante (sarà incluso il tappo corona) e del Macerato ottenuto con uve Trebbiano Spoletino all’interno della Doc Spoleto. Tutte specifiche di cui potrebbero beneficiare anche i produttori di Bevagna, Gualdo Cattaneo e Giano dell’Umbria, qualora la “linea Piernera” prevalesse in Consorzio. Un dibattito che si preannuncia aperto ed avvincente.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Lieve miglioramento delle vendite di vino nella Grande distribuzione italiana nei mesi estivi che portano il cumulato dei primi nove mesi di quest’anno, con un tendenziale in volume a -3,4% (nel semestre la perdita era del -3,9%) per un controvalore, sospinto dal caro prezzi, di 2,1 miliardi di euro che lascia la variazione a +3,4%. I vini fermi, rileva l’Osservatorio Uiv-ISMEA su base Ismea-Nielsen-IQ, segnano un -3,9% nei volumi (+2,6% i valori) mentre risale la tipologia spumanti, a +0,6% nelle quantità e a +6,2% nei valori (a 455 milioni di euro). Secondo l’analisi dell’Osservatorio permane un atteggiamento prudente dei consumatori tra gli scaffali, che privilegiano i prodotti in promozione (da anni valutati con cadenza bisettimanale da Vinialsuper, nella rubrica ad hoc sui volantini Gdo) o alcune tipologie più convenienti a scapito di altre.
È il caso degli spumanti low cost (“Metodo italiano/Charmat non Prosecco”, con 25 milioni di litri acquistate), che hanno ormai superato nelle vendite in volume anche il Prosecco Doc (24,8 milioni, comunque in risalita) e che si stanno sempre più affermando non più solo nei discount ma anche nei canali Iper e Super. Denominazioni importanti come il Chianti Classico (volumi a -13,2%) e il Prosecco Docg (-14,5%) cedono quote a Indicazioni geografiche (vini Igt) o vini comuni che propongono prezzi più accessibili.
I LISTINI GDO RIMANGONO ALTI
Nel complesso, i listini rimangono alti (+7% sul pari periodo 2022). Non è un caso se, in generale, si assiste a una maggior tenuta delle vendite laddove i costi sono più limitati. Per esempio, osserva l’analisi Uiv-Ismea, l’unico formato a crescere tra gli scaffali è quello di plastica e bag in box che in media presentano un prezzo di 1,8 euro/litro per i vini a denominazione come per quelli comuni. Tra le tipologie, in quantità fanno leggermente meglio della media (-3,9%) i vini bianchi (-3%), i rosati (-3,6%) mentre ancora in difficoltà risultano i rossi (-4,8%). Gli spumanti virano in positivo (+0,6%) ma la crescita riguarda, oltre all’Asti (+4,5%), solo i già citati “Metodo italiano/Charmat non Prosecco”, senza i quali anche il comparto bollicine pagherebbe un -3,6% nei volumi.
Nel segmento delle Indicazioni geografiche, ancora segni meno per le principali tipologie. Tra i primi 10, solo il Vermentino di Sardegna, il Puglia Igp e il Cannonau in dinamica positiva (+4%, +2% e +3% rispettivamente in volume). Chianti in regressione (-4.4%), mentre migliora leggermente la situazione del Montepulciano d’Abruzzo, che da -14% di marzo è arrivato a -9% a giugno per risalire a -6.6% di settembre. In forte discesa il Nero d’Avola siciliano, a -12%, così come la pattuglia dei Salento Igt (-9%), il Lambrusco emiliano (-11%), la Bonarda dell’Oltrepò pavese (-15%) e il Verdicchio dei Castelli di Jesi (-18,9%). Tra i veneti, Valpolicella a -2% e Bardolino a -3.4%. Il Soave continua a essere positivo, chiudendo il conto dei nove mesi a +5%.
EXPORT VINO ITALIANO: FORTE (SOLO) LA DOMANDA DI SFUSO
Tra i canali, il gap nei discount risulta oltre la media specie per il segmento Dop e Igp (-6,8%), segno che le tensioni sul carrello della spesa sono maggiormente percepite dai consumatori. «A un mercato interno debole e ai costi produttiviancora alti – sottolinea l’Osservatorio Uiv-Ismea – non fanno da contraltare le esportazioni. l dato Istat di oggi sui primi 7 mesi dell’anno evidenzia infatti una contrazione tendenziale sia nei volumi (-1,5%) che nei valori (-1,2%, a 4,45 miliardi di euro)».
Un peggioramento anche rispetto all’export del semestre – che segnava rispettivamente -1,4% e -0,4% – per effetto, spiegano sempre Uiv e Ismea, «delle difficoltà nell’extra-Ue (volumi a -8,5%) non del tutto controbilanciato dalla domanda comunitaria (+5,4%)». Tra i prodotti, è forte la domanda di vino sfuso (+13,1%) mentre sono in contrazione sia gli spumanti (-3,2%) che i vini imbottigliati (-4,9%), dove pesano le forti difficoltà dei rossi (-10%).
Vini al supermercato è la rubrica dedicata al vino in vendita nelle maggiori insegne di supermercati presenti in Italia. Nella Gdo viene venduta la maggior percentuale di vino italiano. Qui potrai trovare recensioni, punteggi e opinioni sui migliori vini in vendita nella Grande distribuzione organizzata, valutati con cognizione di causa, spirito critico costruttivo e l’indipendenza editoriale che ci caratterizza. Inoltre, una rubrica sempre aggiornata sui migliori vini in promozione presenti sui volantini delle offerte delle maggiori insegne di supermercati italiani. Vini al Supermercato è la guida autorevole ai vini in vendita in Gdo, con una pubblicazione annuale delle migliori etichette degustate alla cieca dalla nostra redazione. Seguici anche su Facebook ed Instagram. Sostieni la nostra testata giornalistica indipendente con una donazione a questo link.
Il Miglior Vino biologico italiano per la Guida Top 100 Migliori vini italiani 2024 è il Bianchello del Metauro Doc Superiore 2020 Andy’20 di Valentino Fiorini. Il riconoscimento arriva grazie ai 95/100 assegnati in occasione delle degustazioni alla cieca di categoria della redazione di winemag.it. A guidare la cantina di Terre Roveresche, in provincia di Pesaro e Urbino, nelle Marche, è l’enologa Carla Fiorini, figlia del fondatore Valentino e nipote di Luigi Fiorini, capostipite della generazione di vignaioli con l’acquisto della tenuta di Barchi, nel 1930.
TOP 100 WINEMAG.IT: IL VINO BIO DELL’ANNO È UN FARO SUL BIANCHELLO DEL METAURO
Il Vino biologico dell’anno per nostra Guida 2024 è una selezione delle migliori uve Bianchello a disposizione dell’Azienda Agraria Fiorini nei 45 ettari aziendali. Fermentazione in tonneau nuovi di rovere di allier, sei mesi sulle fecce, imbottigliato senza filtrazione. Un vino che – come suggerisce a buona ragione la stessa cantina – dà il meglio di sé fresco, non freddo, in ampi calici.
Alla vista, il Bianchello del Metauro Doc Superiore 2020 Andy’20 si presenta di un giallo paglierino intenso, con riflessi dorati. Al naso un bel profilo oleoso, con la componente di erbe della macchia mediterranea che ricopre un ruolo centrale, quasi avvolgendo la frutta (timo, rosmarino, ma anche mentuccia): pesca gialla, frutta esotica come l’ananas, un bel profilo floreale fresco. Terziari da legno molto composti, su note burrose e speziate calde che ricordano il curry.
Più il nettare si scalda nel calice, più la componente balsamica prende spazio sul palco. Al palato una gran conferma del profilo oleoso avvertito al naso. Si ripercorrono, una ad una, le percezioni fruttate e di erbe aromatiche. Freschezza e sapidità giocano un ruolo fondamentale nell’equilibrio di un sorso molto bilanciato tra morbidezze e durezze. Vino ancora giovane, con ampie chance di dare il meglio di sé negli anni a venire, mostrando la straordinarietà di un’uva e di una denominazione ancora poco conosciuta, ma tutta da scoprire.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Il Miglior Vino bianco italiano 2024 è Costa d’Amalfi Doc Furore Bianco 2022 di Marisa Cuomo. Il riconoscimento di miglior vino bianco dell’anno per la Guida Top 100 Migliori vini italiani 2024 di winemag.it arriva grazie ai 96/100 assegnati in occasione delle degustazioni alla cieca. La Guida è acquistabile ancora per pochi giorni in prevendita, a questo link. Furore Bianco 2022 convince non solo dal punto di vista organolettico, ma rappresenta negli anni una garanzia assoluta nell’ambito della produzione enoica italiana. Non ultimo è da sottolineare il rapporto qualità prezzo, letteralmente imbattibile.
Alla vista, Costa d’Amalfi Doc Furore Bianco 2022 di Marisa Cuomo si presenta di un giallo paglierino. Gran mineralità al naso, oltre a floreale, agrumi e frutta tropicale. Teso e al contempo largo al palato, su note di erbe della macchia mediterranea e ritorni di frutta esotica. Goloso in chiusura, a sottolineare una beva eccezionale, leggera e al contempo stratificata. La cantina Marisa Cuomo e il suo deus ex machina Andrea Ferraioli producono circa 50 mila bottiglie complessive all’anno nella boutique winery di via G.B. Lama 16/18, a Furore, in provincia di Salerno.
FURORE BIANCO 2020 È VINO BIANCO DELL’ANNO PER LA GUIDA TOP 100 2024
Furore Bianco è uno dei fiori all’occhiello di una gamma che è garanzia assoluta di qualità e tipicità. L’uvaggio è composto per il 60% da Falanghina e per il 40% da Biancolella, raccolte accuratamente a Furore e nei comuni limitrofi, su terrazzamenti costieri posti tra i 200 e i 550 metri sul livello del mare. A rendere ancora più eroica la viticoltura della zona sono le rocce dolomitiche e calcaree in cui affondano le radici le viti, allevate a pergola, raggiera e spalliera.
Ogni ceppo è in grado di produrre 1,5 chilogrammi, per una resa di 80 quintali per ettaro. Falanghina e Biancolella vengono vendemmiate a mano nella prima decade di ottobre e condotte in cantina con grande attenzione, ancora integre. Dopo diraspatura e pigiatura, vengono sottoposte a pressatura soffice. Il mosto fiore del Miglior vino bianco italiano 2024 Costa d’Amalfi Doc Furore Bianco 2022 di Marisa Cuomo, previo illimpidimento statico a freddo e inoculo di lieviti selezionati, fermenta alla temperatura di circa 15 gradi per circa 20-30 giorni. Prima della commercializzazione, staziona per 4 mesi in serbatoi di acciaio inox.
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Valpolicella Superiore: liberi di degustarlo così, senza dover attendere il suo invecchiamento, servito fresco, in abbinamento al pesce e a piatti di mare come tartare di ricciola, capesante, bigoli allo scoglio, risotto con le vongole e filetto di branzino alla griglia, con erbe aromatiche. Una proposta innovativa che è stata al centro di “Venezia Superiore“, la due giorni organizzata in Laguna dal Consorzio Tutela Vini Valpolicella, interamente dedicata (e intitolata) al rosso del territorio veronese. «Vogliamo valorizzare e ampliare il consumo di Valpolicella Superiore – sintetizza il presidente Christian Marchesini – aprendo frontiere e rompendo schemi ancora presenti, per cambiare lo stile di intendere gli abbinamenti col pesce e con gli aperitivi di un vino che rappresenta poco più del 7 % della produzione».
Un percorso che l’ente di Verona ha avviato in primis con l’Amarone, dedicando una (riuscitissima) masterclass all’abbinamento con la cucina marittima internazionale, in occasione di Amarone Opera prima 2022. Ora tocca al Superiore. Un vino decantato anche da Ernest Hemingway, che si rifugiava a Locanda Cipriani, sull’Isola di Torcello, sorseggiando un calice di Valpolicella Superiore. A distanza di svariati decenni, il Consorzio ha pensato di ambientare in questo luogo magico, incastonato nell’azzurro della Laguna di Venezia, ad un’ora di motoscafo da Piazza San Marco, il nuovo capitolo del vino più rappresentativo del territorio, con una produzione di 4,8 milioni di bottiglie (sui 18,1 milioni complessivi di Valpolicella Doc, dato ufficiale riferito agli imbottigliamenti 2022) a partire dai tre vitigni principali della denominazione: Corvina, Corvinone e Rondinella.
VALPOLICELLA SUPERIORE E PESCE: L’ABBINAMENTO FUNZIONA
Ecco dunque servite capesante scottate alla griglia, bigoli di grano tenero allo scoglio, filetto di branzino alla griglia alle erbe aromatiche con verdure ai ferri e torta “Casanova” allo zabaione. In accompagnamento una wine list che includeva vini giovanissimi (vendemmia 2021) e altri di annate meno recenti, per concludere con un 2013 ancora in forma smagliante. Tutti i Valpolicella Superiore in passerella sul red carpet veneziano sono stati serviti a temperatura di 13-16 gradi, freschi e conservati in glacette refrigeranti. Pairing che hanno soddisfatto tutti, ma proprio tutti. Tanto da chiedersi se, effettivamente, gli abbinamenti classici del Valpolicella Superiore siano diventati ormai desueti.
La due giorni del Consorzio Vini Valpolicella a Venezia è proseguita a Hostaria in Certosa – Alajmo, sull’isola di Certosa. Qui è andato in scena un altro abbinamento da favola: tartare di ricciola con salsa tartara e insalata di gallinelle con Valpolicella Superiore 2021 e 2020. La finezza e la piacevolezza dei vini proposti è stata pari alla delicatezza del piatto presentato dallo chef Silvio Giavedoni e servito dal giovane team coordinato da Michele Pozzani. Che dire poi del risotto alle vongole con pomodoro, basilico e limone, a cui sono stati abbinati altri Valpolicella Superiore in grado di regalare sensazioni magiche al meglio in bocca. Il gusto tipico dello scartosso de pesse, con fiori di zucchina e salsa romesco sembrava disegnato per l’uvaggio veronese, declinato in una ricchissima wine list in cui il vino più datato risaliva al 2016.
TUTTI I PERCHÈ DEL VALPOLICELLA SUPERIORE
Spazio anche a momenti specificatamente tecnici in Laguna, nel corso di Venezia Superiore. Come sottolineato nel corso della masterclass condotta da J.C. Viens, la Valpolicella si estende in provincia di Verona, su un territorio collinare che supera i 450-500 metri di altitudine. Da un punto di vista climatico, la zona risulta condizionata da diversi elementi, come la vicinanza al mare, al Lago di Garda e alla montagna. I vigneti sono costantemente baciati dal sole e accarezzati da correnti di aria fresca, con le escursioni termiche che giocano un altro ruolo fondamentale. Le uve allevate in Valpolicella e utilizzate per Valpolicella, Ripasso, Amarone e Recioto sono Corvina, Corvinone e Rondinella e in misura minore Molinara, Oseleta e Croatina.
Il Valpolicella Superiore viene prodotto con uve scelte nei vigneti migliori, talvolta con leggeri appassimenti che portano il vino ad alcolicità e strutture più sostenute. Vini che devono invecchiare almeno un anno. Alla vista, il vino si presenta generalmente di un colore rosso rubino, anche intenso. Al naso ha sentori di ciliegia, mandorla amara, rosa canina e spezie. Al palato sprigiona tutta la sua armonicità. È vellutato, elegante, equilibrato, fresco e piacevolmente tannico, senza eccessi. Il Valpolicella Superiore è un vino identitario, che sa esprimere la peculiarità del territorio, che rappresenta con la sua intensità e i suoi profumi in calice. Non manca una certa poliedricità delle interpretazioni.
Al di là dei tratti comuni, spostandosi da una cantina all’altra possono variare freschezza e corpo, con la presenza o meno di Oseleta o Molinara a fianco di Corvina e Corvinone, modificando gusto e profumi. Un ruolo determinante è anche quello dell’epoca della vendemmia, che qualcuno posticipa alla seconda metà di ottobre, nonché la scelta dell’affinamento – in tonneau o in botti grandi – e la sua durata. Ma la grande sfida del futuro del Valpolicella Superiore sono i cambiamenti climatici, con le temperature in costante aumento in Veneto, dal 1971. Una problematica che non sfugge al Consorzio, costantemente in osservazione insieme ai suoi viticoltori.
Giornalista, ex direttore di giornali e riviste, autore di due libri, blogger, sommelier e da qualche anno viticoltore sulle colline di San Colombano al Lambro. I miei interessi sono focalizzati sul mondo del vino e del buon cibo. Proprio per questo motivo presto molta attenzione ai giusti abbinamenti.
È una Doc Maremma trascinata dal Vermentino quella che emerge dagli ultimi dati dell’Associazione Vini Toscani Dop e Igp (Avito). La denominazione è tra le più performanti nel primo semestre 2023. Si attesta infatti al 4° posto per volumi imbottigliati dopo Toscana Igt, Chianti e Chianti Classico. I primi sei mesi dell’anno hanno visto un aumento del 13% rispetto allo stesso periodo del 2022, in controtendenza rispetto alla situazione generale toscana. E il Vermentino, ormai, rappresenta il 34% dell’imbottigliato della Doc Maremma (+6% rispetto allo scorso anno). Cifre che contribuiscono a fare della Toscana la seconda regione per numero di ettari della varietà a bacca bianca, dopo la Sardegna: ben 832, più del doppio della Liguria.
«Prosegue il trend di consolidamento per la Denominazione – spiega Francesco Mazzei, presidente del Consorzio Tutela Vini della Maremma Toscana – che si dimostra in questo momento più dinamica rispetto alle altre toscane». Quanto al Vermentino: «Ci aspettiamo che la nuova menzione Superiore per questa tipologia porti anche una forte crescita nella qualità percepita e dell’immagine della Denominazione. Contribuisce al trend positivo della Doc anche il crescente interesse per un altro vitigno autoctono, il Ciliegiolo, fortemente radicato in Maremma».
L’area di produzione dei vini Doc si estende in tutta la provincia di Grosseto, una delle più vaste d’Italia. È delimitata a ovest dalla fascia costiera del mar Tirreno, a nord dai confini con la provincia di Livorno, lungo il corso dei fiumi Cornia e Pecora, a sud dalla provincia laziale di Viterbo lungo il corso del fiume Fiora e del fosso Chiarone. E ad est dai confini con le province di Pisa e Siena caratterizzati, a nord-est, dai rilievi delle Colline Metallifere, quindi dal corso del fiume Ombrone e del suo affluente Orcia, dal massiccio del Monte Amiata e, più a sud, dalla Selva del Lamone.
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Buttare il cuore oltre all’ostacolo. E scrivere la storia nuova di uno dei vini più antichi d’Italia. Con questo spirito potrebbe nascere l’Orvieto Doc Riserva. Una nuova tipologia, al momento non prevista dal disciplinare, con un minimo di 3 anni di affinamento e una quota percentuale preponderante di Procanico e Grechetto, nell’uvaggio. A parlarne con winemag.it è Vincenzo Cecci, presidente del Consorzio Tutela Vini di Orvieto. «La discussione sul tema “Orvieto Doc Riserva” è aperta da qualche tempo fra i produttori – dichiara l’esponente di Cantine Monrubio – e abbiamo intenzione di iniziare a muovere i primi passi fin da subito, inserendo il tema all’ordine del giorno delle prossime assemblee consortili. Avremo bisogno di tempo per renderlo concreto, ma abbiamo la ferma volontà di portarlo a compimento entro brevissimo».
A dare ulteriore slancio al progetto sono i risultati della masterclass dedicata alla longevità dell’Orvieto Doc, andata in scena questa mattina nei locali della chiesa di San Giovenale, nel cuore della cittadina dell’Umbria. «Si è trattato di una degustazione storica per la nostra denominazione – sottolinea Vincenzo Cecci – in quanto mai prima avevamo raccolto 13 annate, andando indietro sino alla 2010. I riscontri ci portano ad avere ancora più convinzione e certezza di procedere nella direzione dell’Orvieto Doc Riserva». Favorevole all’ipotesi anche Riccardo Cotarella, moderatore della degustazione e tra i relatori del programma di iniziative inserite nell’ambito della manifestazione Orvieto Divino 2023. «Puntare sulla Riserva è un dovere morale per Orvieto», ha commentato il presidente di Assoenologi.
«GIOVANI E CONSAPEVOLEZZA» PER L’ORVIETO DOC RISERVA
Stiamo vivendo un momento particolarmente positivo in Consorzio – ammette Vincenzo Cecci (nella foto, sopra) – con la consapevolezza che sia giunta l’ora di fare cambiamenti importanti. Ci sono molti giovani che vogliono creare una massa critica pesante e condividere questi progetti di rinnovamento. Sono fiducioso che, a breve, riusciremo a superare gli ultimi ostacoli, iniziando il purtroppo lungo percorso burocratico che ci attende».
Indubbi i riflessi (positivi) che la nuova tipologia potrebbe apportare all’intero tessuto produttivo orvietano. Una denominazione che produce circa 11 milioni di bottiglie all’anno, su un totale di 1.200 ettari rivendicati Doc (su 2 mila potenziali). L’Orvieto è ben noto in tutta Italia grazie alla sua capillare distribuzione nei supermercati e nei discount, dove è spesso oggetto di promozioni piuttosto aggressive. L’istituzione di una Riserva potrebbe alzare l’asticella di tutta la piramide qualitativa orvietana e costituire un nuovo elemento d’appeal per l’export, che al momento assorbe il 65% della produzione. Il mercato principale d’esportazione sono gli Usa, seguiti da Canada, Germania e Uk.
UVE E PERCENTUALI DELLA NUOVA TIPOLOGIA
Più delicato il tema della base ampelografica della nuova tipologia Orvieto Doc Riserva. «Sono convinto – spiega il presidente Cecci – che i territori caratterizzino i vitigni. Noi ormai abbiamo l’esperienza per capire quali siano i vitigni non considerati locali che si adattano in maniera particolare al nostro territorio e sono ben affrancabili ai nostri Procanico e Grechetto, in modo tale da migliorare questa importante base. L’Orvieto Doc prevede un minimo del 60% dei due vitigni locali. Con la Riserva potremmo certamente aumentare questa quota, sulla base di uno studio dei vari suoli e della necessità di raggiungere un equilibrio dei singoli vitigni nel vino finale».
Quanto ai prezzi, ammonisce il presidente del Consorzio, «un buon Orvieto non dovrebbe mai costare sotto i 5 euro in cantina». Il prezzo delle uve si aggira attorno ai 60-65 euro al quintale. In calo il valore dei terreni rispetto agli anni, scesi da 60 mila ai 38-40 mila euro all’ettaro degli ultimi anni, sempre secondo i dati forniti dal Consorzio Tutela Vini. «Questo – chiosa Cecci – è un altro elemento sul quale dobbiamo lavorare, dando nuova linfa soprattutto sul fronte della comunicazione. Lo sforzo che dobbiamo fare è quello di raccontare le punte di qualità che possono raggiungere i nostri vini, ma anche la bellezza di tutto il patrimonio storico-culturale della nostra zona. Siamo fiduciosi».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
L’Alto Adige Valle Isarco Doc Kerner 2021 “Aristos” di Cantina Valle Isarcoè uno de presenti nella Guida Top 100 Migliori vini italiani 2023 di winemag.it. Alla vista si presenta di un colore giallo paglierino, con riflessi verdolini.
Vino che mostra le potenzialità del vitigno e la sua grande chance nel parterre dei vini bianchi italiani ed internazionali. Pienezza del frutto, verticalità, freschezza: il Kerner ha tutto per diventare un trend. E Valle Isarco è una cantina che lo interpreta in maniera esemplare.
Guida top 100 - 2023
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Non c’è pace per il Consorzio Vini del Sannio e per il suo presidente Libero Rillo. Dopo aver dribblato la richiesta di dimissioni avanzate da tre associazioni di categoria per “abuso di potere”, il numero uno dell’ente beneventano deve fronteggiare niente meno che Federdoc. Alla Confederazione nazionale Consorzi volontari Tutela Denominazioni Vini italiani non piace la decisione del Consorzio campano di apporre il contrassegno di Stato anche ai vini Igt del Sannio. Un provvedimento che – una volta entrato in vigore, verosimilmente a partire dal 2024 – rischierebbe di confondere i consumatori, tra vini Doc e vini Igt. Elevando lo “status” dei secondi, nonostante le maglie più larghe dei relativi disciplinari di produzione.
Secondo i rumors raccolti in esclusiva da winemag.it, Federdoc avrebbe richiesto la sospensiva del provvedimento, in attesa di maggiori delucidazioni da parte del Ministero. Già perché è stata proprio Roma ad avallare la richiesta di Libero Rillo e del Consorzio Vini del Sannio. Una decisione che ha colto di sorpresa Federdoc, a quanto pare neppure consultata dal Ministero sull’argomento. L’ente campano, dal canto suo, ha sfruttato Coldiretti per presentare in pompa magna, il 28 gennaio scorso proprio nella capitale, l’innovativo (e controverso) progetto di valorizzazione e tutela dei vini a Indicazione geografica protetta (Igp) del Sannio.
FASCETTE DI STATO SUI VINI IGT DEL SANNIO: FEDERDOC PERLESSA DAL MINISTERO
Presenti alla firma del protocollo d’intesa a Palazzo Rospigliosi, insieme con Libero Rillo, gli amministratori delegati di Agroqualità e dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Enrico De Micheli e Francesca Reich, nonché il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini. Un’intermediazione, quella di Coldiretti, richiesta da Libero Rillo senza consultare l’assemblea del Consorzio, scatenando così l’ira delle altre tre associazioni di categoria dei produttori e vignaioli beneventani (Confagricoltura, Cia e Unicaa Benevento).
Da qui la richiesta di dimissioni, risolta entro poche settimane a tarallucci e vino. Con la promessa futura di un atteggiamento super partes da parte di Rillo nei confronti di tutte le compagini. Ben più delicata pare la questione Federdoc, che difficilmente si risolverà senza passare nuovamente da Roma e dal Ministero. La Confederazione presieduta da Giangiacomo Gallarati Scotti Bonaldi, sempre secondo rumors di winemag.it, starebbe mettendo in discussione proprio l’ok del Ministero alle fascette di Stato sui vini Igt del Sannio. Un’ipotesi inclusa nel Testo unico del vino, senza tuttavia alcun decreto attuativo. Ed è proprio su questo dettaglio che si gioca la partita.
COSA PREVEDE L’ACCORDO PER I VINI IGT DEL SANNIO
L’accordo di durata triennale tra il Consorzio Vini del Sannio e gli altri attori prevede «l’utilizzo da parte di tutti i produttori della denominazione “Benevento Igt” di un sistema di sicurezza e garanzia costituito dall’applicazione di un sigillo antifrode sulle bottiglie di vino e sull’utilizzo dell’app – Trust your Wine®, che permette al consumatore di ottenere informazioni a garanzia della #qualità certificata del prodotto, della Filiera e del territorio di origine aprendo uno spazio di comunicazione diretto ed innovativo fra produttore e consumatore».
Il comparto vino – spiegava a Roma Libero Rillo – è uno dei settori di punta nell’economia agricola beneventana, capace di superare positivamente anche le notevoli difficoltà di questi ultimi anni. Alla base della solidità del settore c’è sia l’elevata qualità media dei vini, oramai riconosciuta a livello nazionale e internazionale, sia l’intraprendenza delle nostre cantine, capaci di valorizzare il grande potenziale di identità e autenticità locale».
Sempre secondo il presidente del Consorzio Vini del Sannio, «l’adozione di questo sistema di anticontraffazione, tracciabilità e valorizzazione per vini Benevento Igt, ci consentirà di ottenere la completa tracciabilità di ogni partita di vino immessa sul mercato, al fine di tutelare consumatori e operatori, che in questo modo potranno ottenere informazioni a garanzia della qualità certificata del prodotto, della Filiera e del territorio di origine; dall’altro garantirà le stesse imprese vitivinicole, che in ogni momento saranno in grado di fornire certezze sulle proprie produzioni».
Consorzio Tutela Vini del Sannio: Libero Rillo non si dimette
Consorzio Tutela Vini Sannio: Libero Rillo non si dimette. Pace fatta con le associazioni di categoria Confagricoltura, Cia e Unicaa Benevento
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
«Ti piacciono i vini rossi e corposi come ad esempio l’Amarone? Scopri la qualità superiore del Molise». Circola su Facebook e sta creando non poco clamore in Valpolicella il video spot ad opera di una cantina molisana. Per spingere le vendite del vino prodotto con il vitigno autoctono Tintilia, i due titolari ricorrono dapprima alla comparazione con l’Amarone della Valpolicella – vino italiano Docg prodotto esclusivamente in Veneto, in provincia di Verona – per poi parlare di «qualità superiore», riferendosi alla varietà tipica della piccola regione del centro Italia, che dà vita a un vino Doc nelle due province di Campobasso e Isernia.
Il riferimento diretto all’Amarone Docg compare non solo nel video spot promozionale, ma anche nel testo che accompagna la “sponsorizzata” della cantina molisana (nella foto in basso). «Molti amano l’Amarone – si legge – altri hanno già scoperto la Tintilia Doc del Molise».
Un altro colpo per il re dei vini della Valpolicella, la cui assoluta notorietà viene utilizzata al solo scopo di favorire le vendite dell’autoctono molisano, giocando forse su una presunta assonanza stilistica; ma lasciando intendere, ancora una volta, che la Tintilia sia «superiore» all’Amarone.
Pubblichiamo sopra solo lo stralcio saliente del video – che dura in realtà ben 1 minuto e 8 secondi – per evitare di fare pubblicità alla cantina molisana e, al contempo, mostrare all’Italia intera comenon si dovrebbepromuovere un vitigno autoctono italiano con precise specificità, come la Tintilia del Molise. Prosit.
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Il Recioto di Soave Doc 2018 “Suavissimus” di Nardello è uno dei vini dolci presenti nella Guida Top 100 Migliori vini italiani di winemag.it. La cantina di Monteforte d’Alpone, in provincia di Verona, mostra di avere una gamma profonda e di gran qualità, nel segno di un’interpretazione autentica del terroir di Soave.
Il Recioto 2018 “Suavissimus” si presenta alla vista di un giallo dorato. Al naso rivela una splendida espressione del frutto, in termini di ricchezza e precisione, unita a una freschezza conferita da note balsamiche. Ricordi di frutta matura e frutta secca ben avvolti da suadenti note di miele, sferzati da agrumi freschi e canditi. Sorso di gran concentrazione, eppure beva spasmodica per un vino giovanissimo, che non smetterà di sorprendere nel tempo.
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Il cerchio inizia a stringersi attorno all’istituzione della Doc Campania, nuova denominazione di origine controllata che avrebbe un potenziale di circa 100 milioni di bottiglie. Un argomento che anima i corridoi del vino campano, dalle cui finestre traboccano non pochi mugugni. Da settimane. Il dibattito in corso lascia infatti aperti numerosi interrogativi, farciti dalle contraddizioni dei protagonisti in gioco. Su tutti, non è chiaro se la nuova Doc andrà ad aggiungersi a quelle già esistenti, oppure se andrà a sostituirne alcune. O addirittura tutte.
In prima fila, tra i promotori della nuova Doc, c’è Regione Campania. L’assessore all’Agricoltura Nicola Caputo ha apertamente parlato di «necessità di razionalizzazione delle Doc campane del vino», il cui numero è «forse eccessivo al momento». Dichiarazioni pubbliche, rilasciate in occasione dell’edizione 2022 di Campania Stories, unico evento che consente alla stampa di degustare in anteprima le nuove annate dei vini campani. La richiesta di ulteriori delucidazioni sull’argomento avanzata mesi orsono da winemag.it giace negli uffici di Caputo, senza alcuna risposta.
SANNIO, CONSORZIO FAVOREVOLE ALLA DOC CAMPANIA
Tra i Consorzi che non nascondono il proprio parere favorevole alla Doc Campania c’è quello del Sannio. «L’idea – annuncia il presidente Libero Rillo – è quella di istituire a breve un comitato promotore, a cui dare il compito di sondare le opinioni di tutti gli attori in gioco. Al momento si sa ben poco, se non che alcuni territori sono più convinti di altri. In Irpinia, per esempio, le resistenze alla Doc Campania sono dettate dal fatto che manchi un’Igt di ricaduta, che deve essere presente in ogni zona per evitare la svalutazione delle uve che si decide di declassare».
Detto ciò, non abbiamo ancora certezza di quali vitigni includere o escludere, nonché delle tempistiche. L’eventuale passaggio da Igt a Doc Campania comporta l’approvazione della Regione, del Ministero e dell’Ue. È possibile ipotizzare un percorso di almeno 2 anni».
Ma quando saranno chiare le idee in Campania? «Noi, nel Sannio – risponde Libero Rillo – siamo già abbastanza d’accordo, all’interno del Cda del Consorzio. Pure se non dovesse funzionare, la nuova Doc non farà certo danni. La convinzione è che potrebbe anzi trascinare il territorio, non affogarlo. Avere una denominazione che possa accomunare tutta la regione, in un contesto di globalizzazione, renderebbe la Campania del vino più forte sui mercati nazionali e internazionali. Del resto, le Doc già presenti non sarebbero eliminate».
CONFAGRICOLTURA CAMPANIA CAUTA SU UNA DOC REGIONALE
Più cauta la posizione di Confagricoltura in Campania. «Sono tra i fondatori del comitato promotore dell’Igp Olio Campania, progetto appena accolto dall’Ue – spiega il presidente di Confagricoltura Benevento, Antonio Casazza – quindi non posso che accogliere con favore un dibattito sul brand regionale. Il marchio Campania può essere un traino in molti comparti, dall’olio alla zootecnia, passando per l’ortofrutta. Ma su una Doc Campania del vino sarei un po’ più prudente».
La Doc sarebbe più restringente rispetto all’attuale Igp, dunque potrebbe costituire un elemento qualificante. Al contempo andrebbero valorizzate le Doc locali, già esistenti. Su questo tema, in definitiva, è necessario un confronto, che l’assessorato all’Agricoltura sembra voler intavolare con tutti gli attori in gioco.
Settimana scorsa è stato chiesto il parere delle associazioni di categoria, che dunque potranno dire la loro al fianco dei viticoltori. Il tema è caldo e mi auguro che in pochi mesi si arrivi a una sintesi, con un progetto unitario».
LUIGI MAFFINI (FIVI CAMPANIA): «NUOVA DOC? UN IMPOVERIMENTO»
Non gira intorno al punto Luigi Maffini (nella foto sopra, a sinistra), vignaiolo a Giungano, in provincia di Salerno, nonché vicepresidente di Fivi – Federazione italiana vignaioli indipendenti. «Siamo contrari all’istituzione della Doc Campania – spiega Maffini a winemag.it – in quanto crediamo che la sua attuazione non conferisca un valore aggiunto alla nostra regione, bensì un impoverimento. Laddove si cercano unicità e differenze e si parla di “potenza espressiva dei singoli terroir”, non si può rispondere con un appiattimento dell’offerta vinicola, specialmente in un territorio come la Campania, che vanta una estrema eterogeneità sia dal punto di vista pedologico che climatico».
L’introduzione di tale Doc vanificherebbe l’impegno concreto di migliaia di piccole e medie aziende che, ogni giorno, lavorano tenacemente per produrre, valorizzare e comunicare le diversità e le specifiche tipicità dei loro vini, dei luoghi e della loro storia».
«La nostra regione, forse unica in Italia – continua Luigi Maffini – vanta 4 importanti vitigni autoctoni di comprovata potenzialità (Fiano, Falangina, Greco e Aglianico) e decine di vitigni autoctoni minori, ma non per questo meno importanti. Sono riconosciute 3 Docg e tante altre Doc di territori dalle comprovate potenzialità viticole legati ad aree geografiche ben precise».
Maffini lancia poi una proposta. «Il “brand Campania” è molto forte per alcuni prodotti alimentari di diverse origini produttive – commenta il vicepresidente Fivi – ma è inopportuno nel settore vitivinicolo. Meglio sarebbe valorizzare la già presente Igt Campania rendendola come “unica IGT regionale“, eliminando quindi le molteplici Igt che insistono nei diversi territori. Lasciando così le Doc e le Docg dei singoli territori al vertice della piramide qualitativa del vino campano, con il ruolo di rappresentarne la “punta di diamante”. E su esse concentrare le politiche di sviluppo future».
L’EX PRESIDENTE SLOW FOOD GAETANO PASCALE: «NO AL CALDERONE»
Sull’argomento anche Gaetano Pascale (nella foto sopra, a destra), ex presidente di Slow Food Italia e referente dell’associazione per la Regione Campania dal 2006 al 2014. «Non si tratta – sottolinea – di essere favorevoli o contrari alla Doc Campania. L’idea di un comitato promotore è auspicabile, ma ancor più c’è bisogno di vere e proprie assemblee preliminari. Questa discussione va fatta prima di tutto con i viticoltori e in seguito con i vinificatori e trasformatori, perché è la viticoltura che annaspa di più in questo momento, rispetto a chi trasforma.
Più in generale, non sono innamorato delle denominazioni ampie. La fortuna delle Doc di qualità sta proprio nella capacità di rendere riconoscibili i territori. Ed è su questo che mi concentrerei preliminarmente, ovvero sulle strategie di promozione della qualità nei singoli territori».
«La mia sensazione, anche a fronte delle dichiarazioni delle istituzioni regionali – continua Gaetano Pascale, tra l’altro vignaiolo a Guardia Sanframondi, in provincia di Benevento – è che si vada verso una Doc Campania che sostituisca quelle attuali. A mio modo di vedere sarebbe un peccato, soprattutto per una regione che ha un patrimonio di varietà autoctone così variegato: varrebbe la pena non mettere una tale biodiversità in un grande calderone».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Il Cannonau di Sardegna Doc 2020 “Martis Sero” di Vignaioli Cadinu è uno dei vini presenti nella Guida Top 100 Migliori vini italiani 2023 di winemag.it. Un Cannonau in purezza, dallo splendido terroir di Mamoiada. L’ennesima chicca di Vignaioli Cadinu (già premiata per il “Miglior rosato italiano 2023” dalla nostra Guida), prodotta in sole 2.560 bottiglie.
Non spaventino i 15,5% di percentuale d’alcol in volume. Il nettare si presenta nel calice di un colore splendido, rubino luminoso. Naso su ricordi leggeri di marzapane sul frutto croccante, fiori di viola e rosa, agrumi. Un profilo aromatico interessantissimo che porta alla memoria anche il fico d’india, dalla polpa rossa e succosa, oltre a un lampone netto.
Il palato è ricchissimo, altrettanto stratificato. Tannino importante ma in cravatta, che lavora bene sulla materia e mostra le assolute doti in allungo di questo vino, in termini di longevità. Lunga vita davanti, di fatto, per questo manifesto all’uva Cannonau.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Il Falerno del Massico Doc Bianco 2021 della cantina Villa Matilde Avallone è uno dei vini bianchi presenti nella Guida Top 100 Migliori vini italiani 2023 di winemag.it. Falanghina in purezza, che si presenta nel calice di un giallo paglierino, con riflessi dorati. Una Falanghina sui generis, vinificata parzialmente in anfora di terracotta, oltre che in acciaio.
Una vinificazione che garantisce, anzi regala, un’esplosione dei primari a questo vino della piccola Doc della provincia di Caserta. Frutto e caratteristiche del suolo vulcanico si amalgamano in un tutt’uno unico. Il frutto, polposo, bianco e giallo, accarezza la spina dorsale minerale. Gran beva, senza rinunciare al carattere. Una chicca.
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Il Sicilia Doc Bianco 2019 “Bertolino Soprano” di Mandrarossa è uno dei vini bianchi presenti nella Guida Top 100 Migliori vini italiani 2023 di winemag.it. Giallo paglierino leggermente velato. Profumatissimo, sa di Sicilia, terra d’elezione delle uve Grillo, vinificate in purezza.
Ecco zagara, agrumi, fico. Beva instancabile, spinta come una corrente dall’energia dell’agrume, fresca e dissetante, unitamente alla vena sapida. I ricordi di erbe della macchia mediterranea si allungano dal naso al palato, chiudendo una grande annata di questa etichetta iconica di Mandrarossa.
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