FOTONOTOZIA – Champagne Boizel entra nel portfolio di Allegrini Wine Distribution, il ramo d’azienda di AW Allegrini Wines dedicato alla distribuzione in Italia «di realtà vitivinicole affini per filosofia e rispetto della tradizione, sia italiane che straniere». «Questa partnership commerciale, spiega l’azienda simbolo della Valpolicella e dell’Amarone, non solo arricchisce l’offerta di Allegrini, ma rappresenta anche un chiaro segnale di intenti: portare in Italia un simbolo dell’arte dello Champagne attraverso una strategia focalizzata su qualità e prestigio». (nella foto Matteo Allegrini e Florent Boizel)
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Non teme le scalate, Gianpaolo Girardi. L’ultima scommessa del patron di Proposta Vini, a Roma nel weekend per la presentazione del Catalogo 2023 con il suo esercito di 137 agenti, è «L’ecletticaNosiola». Un vitigno-vino che accompagna la storia umana, oltre che professionale, del 68enne fondatore della nota distribuzione di vini e spirits di Pergine Valsugana (Trento). Una scelta coraggiosa, che ha un po’ il sapore della crociata; in linea con i dettami di una selezione che, in quasi 40 anni, ha saputo coniugare cultura e gusto. Visione e sapore. Già perché, per Proposta Vini, con la Nosiola, è un po’ come giocare in casa. Ma col pubblico contro. O quasi.
«Quest’anno – spiega Girardi a winemag.it – abbiamo deciso di dare spazio a un vino che fa parte della storia del Trentino, il nostro territorio più prossimo. Le scelte commerciali dei grandi gruppi cooperativi hanno condizionato e condizionano la Nosiola, custodita tuttavia da parecchie aziende agricole di piccole dimensioni. Per Proposta Vini è sempre stata un cavallo di battaglia. Contribuiamo al suo inserimento nelle carte vini sin dal 1984, anno della nostra fondazione».
Diciotto le etichette presenti nel Catalogo 2023, dalla “classica” alla macerata, dagli spumanti alle vendemmie tardive. «Con il progetto “L’eclettica Nosiola” – precisa Gianpaolo Girardi – vogliamo far emergere le caratteristiche e i pregi di questo vitigno che matura piuttosto tardi, ha una buona acidità e si presta per diversi tipi di vinificazione, a partire dal Metodo classico fino al grande Vino Santo Trentino, il vino con il più lungo appassimento sui graticci al mondo. Regala vini che si sposano, chiaramente, con la cucina trentina, non troppo ricca. Ma è molto versatile e può abbinarsi bene a molti piatti della tradizione italiana ed internazionale».
Fuori dal Trentino, fa parte di quel numero vastissimo di vitigni poco conosciuti che aspirano a un ruolo più centrale. Certo, non è un vitigno fortunato come il Timorasso, il Verdicchio o la Ribolla, ma solo per le mille variabili commerciali che caratterizzano il settore, non necessariamente legate alla qualità reale del prodotto, in questo caso generalmente molto alta».
NOSIOLA DEL TRENTINO, UN VINO-VITIGNO SOTTOVALUTATO
Secondo il patron di Proposta Vini, «oggi la Nosiola è sottovalutata nel mercato italiano, ma non escludo che nei prossimi anni possa scalare qualche gradino». Bisogna crederci però, innanzitutto in Trentino. Una regione in cui la comunicazione e la riconoscibilità della Nosiola sui mercati è pressoché interamente sulle spalle dei Vignaioli del Trentino della Valle dei Laghi, zona d’elezione del vitigno. Risale al periodo pre-pandemia l’appello del gruppo di piccoli produttori di Vino Santo del Trentino ai ristoratori locali, per un inserimento più cospicuo del pregiato nettare nelle carte vini.
Un invito caduto nel vuoto, a favore di etichette e denominazioni più commerciali e note ai consumatori. «Un tasto dolente», chiosa Gianpaolo Girardi (nella foto, sopra). «Anche se in Trentino stanno cambiando molte cose, grazie soprattutto ai giovani, più preparati e più capaci di dedicarsi alla comunicazione, è evidente a tutti come alcuni prodotti più di altri abbiamo bisogno di essere raccontati. Questo purtroppo non avviene, per una serie di questioni».
In Trentino, una buona parte degli addetti della ristorazione e dell’ospitalità è straniero e questo, per le piccole aziende, come quelle rappresentate da Proposta Vini, è un vero disastro. L’enotecario, il ristoratore, l’albergatore, dovrebbe essere l’ambasciatore del territorio, la prima persona a cui affidarsi per consigli. Purtroppo questo non avviene, o avviene marginalmente. Senza voler offendere nessuno, il numero di persone che sentono questa attitudine come un dovere professionale, è ancora troppo limitato in Trentino».
CATALOGO PROPOSTA VINI 2023: LE NOVITÀ
Quella sulla Nosiola non è l’unica novità-conferma di Proposta Vini. Nel Catalogo 2023 presentato a Roma nel weekend – sulla spinta di un fatturato 2022 di oltre 25 milioni di euro (+25% sul 2021) – hanno fatto il loro esordio 31 cantine, 19 italiane e 12 straniere, che portano a 252 i produttori italiani e a 158 gli stranieri della carta vini della distribuzione.
«Le nuove aziende – spiega Gianpaolo Girardi – sono piccole tessere del nostro mosaico, che arricchiscono il quadro, ognuna con le sue sfumature. Sono vini che cesellano grandi tematiche, oppure completano ricerche avviate da molti anni da Proposta Vini». In particolare, nel 2023 Proposta Vini ha approfondito ulteriormente il Nebbiolo, inserendo in selezione Lessona (Alto Piemonte). Lo stesso approccio riguarda i territori del Sangiovese (Chianti), del Vermentino (Gallura) e della Malvasia (Piacenza), prima del tuffo nell’Aglianico, protagonista il prossimo anno.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
EDITORIALE – Il primo italiano in Champagne è Alberto Massucco oppure Encry – Enrico Baldin? La domanda riverbera ogniqualvolta si parli (o si scriva) di uno o dell’altro, rivangando acredini tra tifoserie e supporter dei due imprenditori italiani. Vittime (consapevoli) di una querelle che non può rimanere senza risposte.
Ho dunque approfittato dell’invito alla presentazione del Catalogo 2022 di Proposta Vini, arrivato dall’ufficio stampa Mediawine guidato da Federica Schir, per intervistare Enrico Baldin, “Mr Champagne Encry”. Nei mesi scorsi è stata invece Laura Gobbi, pr che cura Comunicazione ed Eventi di Alberto Massucco Champagne, a fornirmi le risposte che cercavo.
La verità è che la vicenda continua a presentare lati oscuri. Ciò che accomuna i due imprenditori è il desiderio di riservatezza sull’assetto societario delle aziende che consentono, a ciascuno, di affermare: “Sono io il primo italiano in Champagne”.
Da un punto di vista temporale non ci sono dubbi: il primato assoluto spetta a Encry. «Sono da 22 anni in Champagne – spiega a winemag.it – per eseguire un intervento di ingegneria naturalistica e di ripristino ambientale, esattamente a Le Mesnil-sur-Oger».
ENCRY – ENRICO BALDIN È IL PRIMO ITALIANO A PRODURRE CHAMPAGNE?
La mia prima vendemmia – continua Baldin – risale al 2004. Ho in gestione tre ettari e mezzo, grazie a un vigneron che non finirò mai di ringraziare per avermi indicato le mosse giuste per non scontrarmi con il Cvc, il Comité interprofessionnel du vin de Champagne».
«Quindici anni fa – spiega ancora – ho visto dei californiani comprare 4 ettari nella Montagne de Reims. E vendere tutto dopo due anni, dalla disperazione. A chi? A francesi, ovviamente».
Il vigneron menzionato da Enrico Baldin è Michel Turgy (Jean e Catherine Turgy) récoltant-manipulant che, in precedenza, «e da cinque generazioni – spiega Mr Encry – conferiva le uve a grandi maison». Una collaborazione iniziata «grazie a un’operazione finanziaria che ha previsto, tra l’altro, la costruzione della cantina».
Dunque il primo italiano a produrre Champagne sono io. Poi arrivano altri, come Luca Serena (con De Vilmont, brand della costellazione Serena Wines 1881, cantina produttrice di Prosecco Doc e Docg a Conegliano, Treviso, ndr), i Campari (con Lallier, ndr) e Massucco».
ALBERTO MASSUCCO È IL PRIMO ITALIANO A PRODURRE CHAMPAGNE?
Diversa la storia di Alberto Massucco. «L’incredibile opportunità – spiega a winemag.it – mi è capitata nel 2019. A febbraio ho completato l’acquisto della mia prima vigna in Champagne. Nel 2021 è arrivata la seconda. La terza è opzionata. E nel 2022 sarà pronto il mio primo Champagne, prodotto con le mie uve».
Pur parlando – a differenza di Encry – di vigneti di proprietà, l’imprenditore piemontese glissa sui passaggi burocratici affrontati per arrivare al risultato: «Ho affidato alla persona che cura i miei affari in Champagne, il mio legale in Francia, la gestione della parte burocratica». Dovizia di particolari, invece, sull’amore per i pregiati spumanti francesi.
Era il 1964 – racconta – quando, quindicenne, dopo aver assistito con la mia prima fidanzatina ad un concerto di Mina a Villa Romana, ad Alassio, ordinai al Caffè Roma la mia prima bottiglia di Champagne. Quella bottiglia di Laurent Perrier, consumata sul famoso “Muretto” di Alassio, fu fatale. Non abbandonai più lo Champagne».
Nel 2015, Alberto Massucco incontra Alberto Lupetti. «È considerato il maggior esperto di Champagne in Italia – evidenzia l’imprenditore – e fra i primi cinque al mondo. Proprio con lui ho ripreso a frequentare la regione, dopo parecchi anni. Mi è venuta così l’idea di visitare piccoli produttori per individuarne uno, ambizioso e votato al miglioramento continuo ed interessato ad essere importato e distribuirlo in Italia».
Il 31 marzo 2017 il colpo di fulmine. «In Jean Philippe Trousset ho trovato quanto cercavo ed è partita la collaborazione che sta alla base della nascita dell’Alberto Massucco Champagne. Proseguendo negli anni l’attività di scouting ho avuto l’opportunità di aggiungere altre tre ottime piccole maisons, molto diverse fra loro. Con Jean Philippe Trousset, Rochet-Bocart, Gallois-Bouché, Les Fa’ Bulleuses, la scuderia pareva al completo».
Nel 2018, tuttavia, il noto produttore Erick De Sousa sorprende Massucco, durante un pranzo: «”Ti vedo così interessato e appassionato che per me sarebbe un onore fare uno Champagne esclusivamente per te, che porti il tuo nome”, mi disse. A me non parve vero! Non esitai neppure un secondo. Mi dichiarai felice e partì immediatamente l’iter».
MASSUCCO O ENCRY: CHI È IL PRIMO ITALIANO IN CHAMPAGNE?
Dall’intervista ad Enrico Baldin emergono ulteriori dettagli sull’assetto societario del brand, nato dalla passione per la Francia che l’imprenditore padovano condivide con la moglie Nadia Nicoli.
«Siamo ufficialmente iscritti al Cvc con Maison Vue Blanche Estelle – spiega Mr Encry – come “NM“, ovvero Négociant manipulant. È vero che in Champagne non ti fanno lavorare se sei un italiano, specie se non hai muri di proprietà: cosa che non abbiamo tuttora, ma che a breve avremo».
Da quel momento in poi saremo ufficializzati come RM – Récoltant-manipulant. Un aspetto, se vogliamo, già presente nelle nostre retro etichette, in cui cui specifichiamo che le uve sono nostre e i vigneti sono nostri. Per ora ci fanno scrivere MA – Marque d’acheteur (più nota come Marque Auxiliaire, ndr)».
Le tempistiche? «Due o tre anni al massimo», risponde Enrico Baldin. Che anticipa a winemag.it alcune importanti novità riguardanti Encry: «Sta per andare in porto un progetto molto importante e ambizioso, i cui dettagli sono ancora riservatissimi».
Lo vedrete presto, l’inaugurazione durerà due anni. È una roba talmente grande che un giorno e un anno non bastano. Ci vorranno due anni, perché il mondo vorrà venire. Daremo una sorta di festa tutti i giorni, per due anni consecutivi».
ITALIANI IN CHAMPAGNE: L’ACCOGLIENZA DEI FRANCESI
Ma tra primati e progetti, com’è stata l’accoglienza dei francesi nei confronti dei due imprenditori italiani in Champagne? Anche in questo caso, le risposte sono divergenti. «Siamo lì da 22 e ormai – chiosa Enrico Baldin – non è stato semplice! Da italiano “intruso” sono riuscito comunque a costruire un rapporto stupendo con il mio vigneron e i miei cantinieri».
«Il rapporto con i vigneron è splendido – risponde invece Alberto Massucco – perché fra persone “del fare”, con la passione in comune, l’intesa è facile. Mi guardano con curiosità e simpatia. Recentemente è capitato un fatto curioso e sorprendente».
«A cena nel miglior ristorante di Reims – racconta – lo chef sommelier, servendo l’aperitivo, mi domanda: “Quando sarà pronto il tuo Champagne? Lo attendo, mi interessa averlo”. Ecco, un fatto così ti gratifica e ti fa capire che sei sulla buona strada». Insomma, è proprio il caso di dirlo (scriverlo) in francese, per non scontentare nessuno: l’avenir nous le dira.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Vento in poppa e voglia di ripartenza per Proposta Vini, una delle poche realtà del vino italiano che ha mantenuto fede al proprio calendario di inizio 2022, nonostante la pandemia. Presentato regolarmente, domenica 23 e lunedì 24 gennaio, un Catalogo 2022 che ha la grande responsabilità di confermare il record di fatturato del 2021, pari a 20 milioni di euro.
Gli ampi spazi del padiglione 4 di Fiere di Parma hanno consentito alla distribuzione della famiglia Girardi di organizzare un evento in sicurezza, accessibile solo con green pass rafforzato. Circa 2 mila i professionisti interventi durante la due giorni.
Protagonisti assoluti i vignaioli (circa 160 aziende), con la novità Spirits: una quindicina di brand, perlopiù nazionali, e un “cocktail bar” sempre aperto, al centro del padiglione. Focus sull’estero grazie al Progetto Vini delle Abbazie europee. Nove luoghi di culto (religioso ed enologico, ça va sans dire) che hanno traghettato la viticoltura in Europa dai tempi dei romani al giorno d’oggi, dalla Spagna all’Ungheria.
I giovani virgulti di Proposta Vini – commenta fiero il patron Gianpaolo Girardi – hanno organizzato un evento che per me sarebbe stato impensabile, visto il periodo. La location, dagli ampi spazi e con molta aria, grazie ai 12 metri di altezza del padiglione, ha garantito a tutti di fare il proprio lavoro in sicurezza».
PROPOSTA VINI, IL VOLTO GIOVANE DEL CEO ANDREA GIRARDI
La presentazione del Catalogo 2022 di Proposta Vini (3.255 referenze) consacra il ricambio generazionale della distribuzione di Pergine Valsugana (TN). Il Ceo Andrea Girardi, figlio del fondatore Gianpaolo, ha ormai preso in mano le redini dell’azienda di famiglia. Un volto fresco e genuino, quello del classe 1991, che ha saputo traghettare Proposta Vini fuori dal pantano della pandemia. Con la determinazione (e competenza) d’un veterano.
«Gli ultimi due anni – rivela a winemag.it – sono stati un periodo difficilissimo. Ma sono stati anche una palestra di confronto su uno scenario di gestione nuovo, su cui nessun imprenditore era allenato. L’impatto sull’emotività delle persone e la gestione delle pressioni esterne da parte delle cantine, piene di vino a inizio pandemia, sono stati due banchi di prova non indifferenti».
Abbiamo gestito questo tempo per fare formazione online con gli agenti, che sono stati bravissimi a coinvolgere molti clienti sulla vendita a domicilio. Piccole enoteche, bar e ristoranti si sono attivati in ottica home delivery. Un aiuto è arrivato anche dalla grande distribuzione, con cui comunque lavoriamo pochissimo.
Ancor più utili le vendite online, che hanno registrato l’ormai noto exploit. Sul fronte della digitalizzazione, abbiamo poi dotato gli agenti di un app per gli ordini, che consente un immediato riscontro su stock e altri dati utili alla programmazione e gestione delle referenze presenti nel nostro Catalogo».
PROPOSTA VINI: DALLA BATTUTA D’ARRESTO AL RECORD DI FATTURATO 2021
I risultati dell’ultimo biennio parlano chiaro. Grazie alle iniziative messe in atto, Proposta Vini ha risposto «limitando i danni a un calo del fatturato 2020 del solo 15% sul 2019». Un segno meno giunto a causa della pandemia, dopo un decennio di crescita costante. Culminato nel +20% del 2019 sul 2018. Nel 2020 il rimbalzo negativo a 14 milioni di euro. Prima del record di fatturato del 2021: 20 milioni di euro.
«Il segreto? Vini buoni ce ne sono moltissimi – chiosa Andrea Ghirardi – ma è il valore aggiunto di ogni singolo produttore ed etichetta selezionata che noi cerchiamo di veicolare. Investendo continuamente nella formazione dei nostri agenti. E confidando nell’incremento generalizzato della qualità media dei vini presenti in enoteche, ristoranti e wine bar».
Lo sa bene Eric Decarli (nella foto, sopra), Coordinatore Agenti Italia di Proposta Vini. «L’impatto della pandemia è stato per loro devastante – commenta a winemag.it – si era creato il panico. Abbiamo saputo rassicurarli, dando una prospettiva e cominciando una serie di attività formative via web, coinvolgendo produttori del Catalogo, territori, ufficio stampa. Dando insomma un segnale forte: “Noi ci siamo, stiamo solo aspettando la ripartenza”. Abbiamo trasformato un momento di blackout in un momento di formazione».
Il futuro? «Continuare a crescere – risponde Eirc Decarli – e lo faremo anche strutturalmente, perché l’azienda si darà una nuova sede. Contestualmente, crescerà la forza agenti. Siamo alla ricerca della “persona”, non del semplice venditore, con l’idea di ampliare anche la squadra dei capi area. Selezione continua ferrea, dunque. Sperando che crescano giovani e quote rosa».
Siamo disperati perché la quota rosa manca. È un settore dove le venditrici donna sono bravissime ed è un peccato non averne di più in azienda. Le donne hanno una grande sensibilità, anche sul fronte della propensione alla degustazione. E poi sono favolose venditrici, quindi ci piacerebbe avere più donne».
«AAA CERCANSI DONNE AGENTI DI PROPOSTA VINI»
Davina Legovini, agente di commercio attiva nelle province di Triste e Gorizia, è la più giovane quota rosa di Proposta Vini, entrata in squadra nel 2017. Una vera e propria eccezione. E un gap che la distribuzione vuole colmare all’interno di una forza venite che abbraccia circa 120 professionisti commerciali, tra mandatari (un centinaio) e relative agenzie.
A garantire che «vendere vino non è un lavoro per soli uomini» è Stefania Santoro, 56 anni, volto femminile ormai storico della distribuzione, attiva in provincia di Roma ma originaria di Palermo. È lei uno dei volti della presentazione del Catalogo 2022 di Proposta Vini, a Fiere di Parma.
«Sono cresciuta professionalmente all’interno di un ristorante della zona di Frascati – spiega a winemag.it – che mi ha dato la possibilità di fare il corso da sommelier. Lì ho conosciuto un agente con cui ho iniziato a collaborare, facendo molta esperienza di vendita e iniziando ad approfondire le dinamiche commerciali che stanno dietro a una bottiglia. Nel 2014 abbiamo fondato un’altra agenzia insieme».
Quando ho iniziato io, 16 anni fa – spiega ancora Stefania Santoro – a Roma le agenti donne si contavano sulle dita di una mano. Il rapporto che si instaura con il cliente è bellissimo, diverso da quello che può nascere tra uomini.
Personalmente non mi sono mai sentita emarginata. Anzi, mi sento speciale. Consiglio a tutte le donne di affacciarsi con assoluta serenità a questa bellissima professione. La preparazione consente di aver la meglio su chiunque voglia prevalere».
Sempre più spazio per le donne, in una squadra che vuole accogliere nuovi capi area. Al momento quelli attivi a livello nazionale sono tre. L’idea è di passare a cinque (Nord Ovest, Nord Est, Centro, Sud, Isole). Non potrà che giovarne il Catalogo 2022.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
«Il vino naturale è come la sottocultura del Metal e dei Fumetti. È humus culturale transnazionale. Gli appassionato di vini naturali hanno un linguaggio comune, in ogni angolo del mondo. Da Tokyo a Rovescala». Eureka. Come da copione di un film in cui tutto è scontato e banale solo in apparenza, l’illuminazione, il flash, la luce rivelatoria si materializza nel momento meno atteso: il finale.
Su Copenhagen splende il primo sole dopo giorni di pioggia mista a neve, di quelle che ti si infila negli occhi mentre cerchi di non farti investire da una nuvola bionda di biciclette. Dribblando pozzanghere. L’ultima tappa di un tour di cinque giorni al seguito di 43 produttori italiani di “vino naturale”, tra la capitale della Danimarca e la vicina Malmö, in Svezia, è Il Buco.
Un ristorante e wine bar focalizzato su produzioni naturali, dalla panetteria alla carta vini, quasi interamente italiana, con importazione diretta. Un punto di riferimento ad Island Brygge, quartiere situato a nord dell’isola di Amager, a pochi passi dal centro di København.
Nell’aria, il freddo di dicembre e il volo di qualche gabbiano, tra il fermento di un sobborgo che trasmette energia, nel contrasto tra i moderni palazzi e i locali arredati industrial, contemporaneo, rustico e Boho chic.
VINO NATURALE: QUESTIONE DI APPROCCIO O DI FEDE?
È qui che Giovanni Segni, export manager plurimandatario di riferimento per la costellazione vinnaturista italiana, ha organizzato gli ultimi assaggi “controcorrente” per i vignaioli Matteo Maggi (Colle del Bricco), Stefano Milanesi e Giorgio Nicassio (Cantina Giara).
L’obiettivo è convincere il restaurant manager e curatore della selezione de Il Buco, Steffen Schandorf, a inserire in carta qualche altra etichetta, prodotta tra le zone di Pavia e Bari. Tra un calice e l’altro, il discorso che dà un senso compiuto a cinque giorni di assaggi e girovagare per le due “capitali” del vino naturale internazionale.
Ho un amico – rivela Giovanni Segni – che lavora per Marvel e non aveva mai assaggiato dei vini naturali. Da quando glieli ho proposti, non beve altro. E pensa di aver iniziato a bere davvero solo da quel momento. Per lui il passo è stato breve.
C’è un fil rouge evidente tra le sottoculture del vino naturale e dei Fumetti. Un discorso che vale pure per il Metal. L’unica differenza è che i fumetti sono diventati mainstream grazie al cinema e ai vini naturali questo non accadrà mai».
Più si affonda la lama nel terreno scivoloso e impervio dei vini naturali, più si comprende quanto il punto non sia il calice in sé, ma quello che viene esattamente prima e dopo. Quello che sta attorno al calice di questa nicchia d’appassionati.
Segni parla di «sottocultura» e «humus culturale transnazionale». Vignaioli faro come Natalino Del Prete di «bere col cuore, al posto della bocca». Parole diverse per dire tutto sommato la stessa cosa, piaccia o no: il vino naturale è approccio, fede. Poeticamente, amore. L’apostrofo rosa tra il difetto e la caratteristica.
LA VOCE DEI VIGNAIOLI A NORDIC NATURALIA 2021
“Vino naturale”: circa 23.3 milioni di risultati. “Vini naturali”: circa 6.2 milioni di risultati. “Vino”: 688 milioni di risultati. Google, il motore di ricerca più utilizzato dagli internauti, restituisce anche in Italia il battito cardiaco di un movimento, quello vinnaturista, che conta fra il 3 e il 4% dei consumi complessivi.
Una stima valida in diversi angli del mondo, che nel Nord Europa assume una rilevanza maggiore. Non a caso Giovanni Segni ha organizzato a Malmö, in Svezia, una fiera che ha visto protagonisti 43 vignaioli italiani che si riconoscono nei canoni vinnaturisti, pur con interpretazioni contrastanti. L’ha chiamata Nordic Naturalia.
La seconda edizione è andata in scena il 12 dicembre scorso. I produttori sono stati distribuiti in due locali (Far i Hatten e Grand Malmö) della città scandinava, nuova terra di conquista del vino naturale italiano, dietro a centri già “indottrinati” come Stoccolma e Göteborg.
«Rispetto all’edizione pre-Covid del 2019 – commenta Giorgio Nicassio di Cantina Giara – ci sentiamo tutti quanti un po’ cresciuti e consapevoli delle potenzialità dei nostri vini. La Svezia, con la sua attenzione assoluta alle produzioni artigianali, ben al di là di quello che importa il Systembolaget, non può che essere considerata un ulteriore trampolino di lancio».
«Faccio vini naturali da 5 anni – aggiunge Andrea Marchetti – in due zone: a sud del Lago di Garda e in Emilia Romagna. Senza nulla togliere a chi fa vino “convenzionale” e senza dire che il mio approccio sia giusto e quello degli altri sbagliato, questo è secondo me l’unico modo possibile per fare vino. Si dà espressività sincera all’uva e al territorio, senza manomissioni».
Filippo Manetti di Vigne San Lorenzo (Fognano, Ravenna) è d’accordo con il collega: «Il vino è solo naturale, le altre sono bevande a base d’uva più simili alla Coca-Cola. Purtroppo la gente li confonde. L’importatore svedese ha capito il mio approccio e mi richiede una media di tre bancali all’anno. Per il momento sono più che soddisfatto».
Anche il giovane Matteo Maggi di Colle del Bricco (Stradella, Pavia) ha da pochi mesi un importatore in Svezia. «Questo Paese – commenta – è senza dubbio un punto di riferimento per i vini naturali. Qui c’è più apertura mentale rispetto all’Italia, che è molto più tradizionalista. Ecosostenibilità, biologico e tematiche green sono al centro delle scelte quotidiane degli svedesi».
Andrea Pendin e Lorenzo Fiorin di Tenuta l’Armonia (Bernuffi, Vicenza) approfondiscono il concetto. «La larga scala e il sistema cooperativistico, così come concepiti oggi, sono limitanti». «La parola “naturale” deve tener conto di un’altra, ovvero “collettività“, alimentando quell’attenzione al tessuto sociale e alla socialità che manca nel mondo del vino convenzionale, compreso quello del biofake».
C’è anche chi ha lasciato il proprio lavoro per dedicarsi anima e corpo alla produzione di vini naturali. È il caso dell’ex ristoratore Antonio Camazzola, alias Vigne del Pellagroso (Monzambano Mantova).
«La prima vendemmia ufficiale risale al 2017 – spiega – ma ho iniziato nel 2010 facendo vino in garage. Il vino naturale è secondo me l’unica via per bere. Meglio ancora se la produzione è certificata biodinamica. Nel mio caso, da AgriBio Piemonte».
Tra i discepoli italiani di Rudolf Steiner presenti a Nordic Naturalia 2021 c’è Valerio Noro. «Abbiamo trasferito il nostro approccio olivicolo e orticolo alla viticoltura – commenta il figlio del fondatore della Società agricola biodinamica Carlo Noro di Labico, Roma – riscontrando come le pratiche biodinamiche non siano “sostenibili”, bensì migliorative».
Ma bisogna fare di più. Non è vero che “fare poco” aiuta in agricoltura, anzi. Lo stesso discorso vale per i vini naturali, per le loro fermentazioni spontanee e per tutti i processi che anticipano l’imbottigliamento. Spesso mi viene detto che i miei vini sono “troppo puliti per essere naturali”, ovvero che “non puzzano”. Questo paradigma va cambiato».
L’approccio è molto simile a quello di Sequerciani, cantina certificata Demeter con base a Gavorrano, in provincia di Grosseto. «Sin dall’inizio – spiega la manager Simona Viganò – il titolare Ruedi Gerber, svizzero appassionato di Georgia e di uno stile di vita sano e a contatto con la natura, ha voluto che la cantina puntasse tutto sulla salubrità del vino, che deve raccontare il territorio senza manipolazioni chimiche. Dando spazio, in particolare, ai vitigni autoctoni».
All’evento organizzato da Giovanni Segni ha aderito anche Max Brondolo di Podere Sottoilnoce (Castelvetro di Modena). «I nostri volumi di esportazione in Svezia sono esigui – evidenzia – e per questo ho aderito a Nordic Naturalia, a caccia di un nuovo importatore. Cerco comunque di non utilizzare il termine “vini naturali”, preferendo la definizione di “vino artigianale” o “a basso intervento“».
La filosofia produttiva – continua Brondolo – riflette le mie convinzioni da consumatore. Cerco di bere vini ottenuti attraverso meno passaggi possibili tra l’uva e il bicchiere, senza per questo sopportare difetti evidenti nel vino.
Difetti causati da poca attenzione, poco tempo o dalla sottovalutazione di certe dinamiche. I vini naturali difettati fanno male al movimento e a chi produce con la dovuta attenzione. Purtroppo se ne trovano in giro ancora tanti».
«Secondo noi di Casa Brecceto – va giù ancor più duro Raffaele Grasso, tra i titolari della cantina di Ariano Irpino, Avellino – la definizione “vino naturale” non significa un cazzo. Per di più, il vino non deve avere difetti e puzzette spacciate per terroir».
Si può sempre migliorare e siamo migliorati molto anche noi, rispetto a quella prima vendemmia garagista. Eravamo neofiti. Oggi abbiamo molta più consapevolezza. Un bel percorso che ci ha portato a produrre con lieviti indigeni e fermentazioni spontanee su 3 ettari vitati, contribuendo a preservare il nostro amato territorio».
«Produco Timorasso in una zona di semi montagna, la Val Borbera, che mi permette di fare rifermentazioni e dare a questo vitigno espressioni diverse da quelle della classica versione ferma. Meno struttura e un pochino più di eleganza rispetto a quelli più noti». Questa la lettura di Andrea Tacchella, titolare della cantina Nebraie di Rocchetta Ligure, in provincia di Alessandria.
Penso che la maggior parte del lavoro si faccia in vigna – aggiunge il vignaiolo piemontese – trasformando l’uva in vino manipolandola il meno possibile, accompagnando il processo e aspettando. Meno interventi possibili, insomma, accettando pure qualche risvolto ribelle e spigoloso del vino, un po’ come sono io».
«Il vino naturale – chiosa Marco Merli dell’omonima cantina di Perugia – è la trasformazione indotta dell’uva, senza scendere ai compromessi dell’agro-industria e dell’eno-industria. L’idea è di mettere la verità nel bicchiere. Non ho altra scelta. È una questione riguardante il mio gusto personale sin dagli esordi nel 2006, con mio padre».
Tra i produttori presenti a Nordic Naturalia 2021 anche Daniele Manini di Doria di Montalto, cantina con un approccio molto particolare alla produzione. «Storicamente – spiega l’agronomo dell’azienda di Montalto pavese, Pavia – il vino è stato considerato qualcosa di vicino alla salute. Come dimostrano numerose ricerche, il vino, se consumato in maniera moderata, pur cronica, può avere effetti positivi sull’organismo».
Le nostre uve vengono raccolte a un grado di maturazione che gli erboristi definiscono “tempo balsamico“, quando sono in grado di cedere massimamente i polifenoli. A quel punto, lavorate con un criterio sano in cantina, riescono a mantenere tutte quelle caratteristiche che rendono il vino uno dei due perni della dieta mediterranea».
VINO NATURALE: PERCHÈ PIACE AGLI IMPORTATORI IN SVEZIA
Jessica Mihai è una delle importatrici che ha compreso le potenzialità del vino naturale italiano in Svezia. A Nordic Naturalia 2021 si è presentata con una selezione di nomi noti del movimento vinnaturista del Bel paese – tra cui spiccano Franco Terpin e Denis Montanar – accanto ai vini dall’Alsazia del giovane vignaiolo Philippe Brand.
Jordmånen Vinimport è essenzialmente questo. Piccole produzioni naturali che Jessica Mihai riesce a vendere direttamente ai ristoranti svedesi, tra cui molti stellati. Tra i clienti anche diversi privati, con tutte le complicazioni dettate dal passaggio (obbligato) nel sistema monopolistico statale del Systembolaget.
La base è a Stoccolma – spiega l’importatrice – ma lavoro in tutto il Paese. In catalogo ho sei italiani e un francese. Ho iniziato nel 2019 con Terpin e Brand, per poi allargare il raggio a Cantina Giara dalla Puglia, Old Boy dal Veneto, Denis Montanar dal Friuli Venezia Giulia e ora a Pistis Sophia dall’Abruzzo».
«L’unica cosa che bevo sono i vini naturali – spiega ancora la titolare di Jordmånen Vinimport -. So perfettamente come sono fatti, senza interventi chimici. E hanno uno spettro di profumi e di sapori completamente diversi dai vini convenzionali. Offrono un’esperienza molto diversa rispetto a quella degli altri vini importati in Svezia e presenti nel catalogo ufficiale continuativo del Systembolaget».
L’ORDERING ASSORTMENT DEL MONOPOLIO SVEDESE SYSTEMBOLAGET
La storia di Jessica Mihai è emblematica e aiuta a comprendere quanto il “vino naturale” sia ormai entrato nelle case degli svedesi appassionati di vino. Si è avvicinata a questo mondo nel 2009. A due anni circa, cioè, dai primi passi del «movimento vinnaturista» alla corte di Stoccolma.
Da bevitrice e appassionata – spiega la titolare di Jordmånen Vinimport – ho voluto fare il grande salto iniziando a importare una mia selezione di vini naturali. Gli importatori pionieri hanno fatto un gradissimo lavoro sul territorio, sin dal 2007.
Hanno aperto le porte a un numero impressionante di importatori che ogni anno si aggiunge all’elenco. Un trend di crescita che riguarda anche molti ristoranti, anche tradizionali, dove non manca mai almeno qualche etichetta di vino naturale».
Nei negozi del monopolio è raro trovare “vini naturali” a scaffale. L’unico modo per acquistarli e consumarli al di fuori degli store ufficiali, dei ristoranti e dei wine bar, in Svezia, passa dal cosiddetto Ordering assortment.
L’importatore ordina il vino e lo stocca, vendendolo principalmente attraverso il sito web del Systembolaget. Solo se le vendite sono buone le etichette hanno speranza di finire sugli scaffali, entrando di diritto nel Permanent assortment, perlopiù in qualità di vendite spot.
SWEDISH WINE CENTER E LA SUA INFINITA CARTA DI VINI PIWI SVEDESI
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Al di là dell’ampio sguardo sull’estero, in Svezia c’è anche chi ha deciso di focalizzarsi sulle produzioni locali. Si tratta di Piwi, varietà di vite resistenti alle malattie fungine, oggetto in Italia del primo concorso nazionale organizzato dall’Istituto Edmund Mach di San Michele all’Adige (premiazioni svoltesi il 2 dicembre in Trentino con il successo del Solaris di Weingut Plonerhof).
Il punto di riferimento assoluto per chi si trova a Malmö è Swedish Wine Center. Accanto a una cucina molto curata, caratterizzata da un’alta qualità e freschezza della materia prima, si possono trovare i vini di diverse cantine svedesi. Arild’s Vingård è quella che dispone del maggior parco vigneti del Paese.
Ma a lasciare il segno è un vino prodotto da Vingården i Klagshamn, proprio ai margini del centro cittadino di Malmö. Si tratta di Texture 2019, Solaris che macera 44 giorni sulle bucce, in acciaio. Un orange wine che maschera bene la fenolica, anche grazie a 15% di alcol in volume molto ben integrati nel corredo.
Sul fronte dei prezzi, il costo dei vini svedesi è considerevole. Il calice, peraltro, non premia sempre lo sforzo del portafoglio, specie in tema Piwi. I più curiosi possono sperimentare la vasta selezione di Swedish Wine Center attraverso un percorso di “assaggi al calice” di oltre 20 etichette, per un totale di circa 160 euro.
VINI NATURALI A COPENHAGEN: WINE BAR E DISTRIBUZIONI EMERGENTI
Parola d’ordine “Italia”. Può sembrare strano, ma a Copenhagen c’è un wine bar con cucina che, dopo anni di vicissitudini, sembra aver trovato finalmente la quadra. All’insegna dell’italianità. Beviamo Wine Bar, fondato nel 2017 dall’imprenditore e winelover Jasper Remo, è in rampa di lancio grazie all’ingresso nel team dei giovani Matteo Vecchi e Tessa Carrettoni.
La sorte del locale situato al 58 di Nordre Frihavnsgade è nelle loro mani. Remo trascorre oltre la metà dell’anno nel Monferrato, in Piemonte, dove si occupa dell’acquisto e della ristrutturazione di vecchi casali abbandonati, per conto di facoltosi clienti internazionali. Nel tempo libero, ormai da 11 anni, va a caccia di vini.
Vista l’impossibilità di reperire la maggior parte dei miei vini preferiti in Danimarca – spiega Jasper Remo – ho deciso di diventare io stesso importatore. Beviamo Wine Bar nasce dalle ceneri di un altro locale aperto in centro, trasformato dai miei ex soci in qualcosa di diverso da quello che avevo in mente».
Questo curatissimo wine bar, ristorante ed enoteca si trova a Østerbro, quartiere di Copenhagen molto tranquillo, rinomato per essere a “misura di famiglia“. Basta guardare fuori dalle ampie vetrate del locale per notare l’impressionante viavai di passeggini.
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Vere e proprie inconsuete baby-car da 4 posti, condotte da giovani madri e babysitter. A dare una scossa alla vita serale della zona ci ha pensato proprio Jasper Remo, tra i primi imprenditori a comprendere le potenzialità del distretto situato ai margini di Nørrebro, da sempre più trendy, eclettico e alla moda.
Non sono abituato a seguire i gusti mainstream – spiega l’imprenditore – e per questo nel mio locale si trovano solo cose che piacciono in primis a me. È il caso dei vini naturali, che occupano una buona fetta della selezione. Grande spazio a piemontesi e siciliani, ma anche a vignaioli francesi ed esteri: tutte produzioni artigianali, capaci di regalare vere emozioni».
Il compito di trasmetterle ai clienti spetta a Matteo Vecchi, sommelier di origine emiliane con un curriculum riempito in giro per il mondo. L’ultima tappa Dubai, al Bulgari Hotels & Resorts. A Copenhagen è arrivato tre mesi fa, «convinto dal progetto ambizioso» di Jasper Remo.
Al suo fianco, da poco meno di un mese, la piemontese Tessa Carrettoni. Appena 19 anni e le chiavi della cucina già ancorate al grembiule da cuoca. Manualità e carattere che fanno ben sperare per il futuro di Beviamo Wine Bar. La clientela già apprezza il cambio di rotta.
IL BUCO COPENHAGEN: NATURAL WINE BAR E RISTORANTE
Aperto da novembre 2011 a Island Brygge, Il Buco è un altro angolo d’Italia a Copenhagen. Negli anni, il locale di Njalsgade 19 C si è conquistato la fiducia di molti danesi. Fino alle 17 sono ben accetti ai tavoli i laptop, poi banditi. Entrando nel ristorante prima di mezzogiorno, il colpo d’occhio è quello di uno Starbucks in chiave danese, secondo canoni architettonici industrial.
Numerosi giovani lo scelgono per l’ampiezza degli spazi, la tranquillità e la connessione WiFi sempre disponibile, oltre alla possibilità di godere di una colazione “fatta in casa”, con lieviti e ingredienti frutto di agricoltura sostenibile.
Tutto Il Buco parla la lingua green e organic. Dai panificati sino ai dolci, passando ai primi e ai secondi del menu, studiato su base stagionale. Una filosofia che unisce piatto e calice, grazie alla selezione vini curata da Steffen Schandorf, appena 29enne (nella foto sopra).
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La totalità delle etichette di vino naturale (100% Made in Italy) è importata direttamente, senza intermediari. Ma in carta non manca qualche curioso Piwi danese. L’orange wine di Drudgaard, ottenuto dalle varietà resistenti Solaris e Muscaris, è di gran lunga uno dei migliori Piwi internazionali, per equilibrio e concretezza. Da provare.
«L’import di vino, olio, formaggi e altri prodotti artigianali italiani – commenta Schandorf – ha preso vita da qualche anno, andando di pari passo con la trasformazione e l’evoluzione de Il Buco, sino alla forma attuale».
Siamo aperti tutti i giorni, dalle 7 a mezzanotte e qui il vino, essendo ristoratori e anche importatori, ha un ruolo centrale. Il nostro focus, la sostenibilità, si traduce in un’attenzione alle produzioni pure, senza solfiti aggiunti, biologiche e biodinamiche».
VINTRO NATURVIN COPENHAGEN: L’ENOTECA CON LA SORPRESA
Da un importatore all’altro, il passo è breve in Danimarca. Non senza sorprese. A suggerire che da Vintro Naturvin ci sia “qualcosa sotto” dovrebbe essere il pavimento, dall’effetto psichedelico, che richiama il logo del locale.
Tutto è chiaro quando Marius Gade, titolare dell’enoteca e distribuzione di Ravnsborggade 5 con il socio Simon Guitton, fa segno a tutti di spostarsi, iniziando a spingere un mobile ricolmo di bottiglie. Pare follia e invece ecco comparire delle scale, che conducono al buio magazzino sotterraneo. Il paradiso all’inferno, o giù di lì.
Una magia che accomuna pavimento, mobili con le ruote e scaffali di Vintro Naturvin, ricolmi di bottiglie dalle etichette indimenticabili. Colorate, sgargianti, piene di luci e della vita di personaggi che spaziano dai fumetti al mitologico, con richiami alla natura, al sesso, all’arte e alla vita bucolica.
Veri e propri manifesti del vino naturale internazionale, che fa dell’estetica e del marketing delle labels uno dei veicoli principali per spingere le vendite. Dietro all’etichetta, così come sotto a quel mobile, la concretezza di un progetto e di una selezione tutt’altro che casuale.
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Trattiamo solo vini ottenuti da fermentazione naturale – spiega Marius Gade – preferibilmente certificati biodinamici. Prediligiamo inoltre vini sotto ai 100 mg/l di solforosa, perché anche la salubrità del vino per noi è importante».
Italia e Francia hanno un ruolo da protagoniste assolute sugli scaffali di Vintro, che al momento sorreggono circa 500 etichette. Il focus sulla biodiversità di questa enoteca di Copenhagen spazia poi in Spagna, Portogallo, Georgia e Slovenia.
«La maggior parte dei vini vengono venduti ai ristoranti – spiega Marius Gade – sempre più attenti alle produzioni biologiche in carta vini. Il vero trend in ascesa è quello degli orange wine, sempre più richiesti anche dai privati, in enoteca. Direi che l’ascesa dei vini naturali in Danimarca va di pari passo proprio con l’aumento dell’interesse, e dunque delle vendite, degli orange wine».
LEONARDO TERENZONI, LA STAR DELLE ETICHETTE DEL VINO NATURALE
Se le vendite di vino naturale sono in ascesa in Italia e, soprattutto, all’estero – Nord Europa in primis – una buona fetta del merito va a chi riesce a catturare l’attenzione sullo scaffale, in un segmento che fa dell’appariscenza un must collettivo.
Chiedere per credere a Leonardo Terenzoni, 41 anni, artista (definizione che non ama) e musicista che vive tra Firenze e Bologna. Per l’esattezza in un paesino dell’Appennino tosco-emiliano, Vernio, dove ha «scelto di tornare, dopo tanto girovagare per il mondo».
Da 20 anni Terenzoni disegna alcune tra le più belle etichette di vino naturale presenti sul mercato. Il suo nome è noto nel settore e il suo tratto distinguibile tra mille. Tanto che molti produttori si affidano alla sua penna per innovare la veste di intere linee di vini, o per sbarcare sul mercato. Col botto.
L’approccio è molto simile a quello dei vignaioli con la loro terra. Terenzoni non appoggia la penna sul foglio prima di essere «entrato in un rapporto di amicizia con loro, di averli conosciuti e di averne capito le esigenze». «La cosa che mi rende più felice – rivela – è che molti vignaioli mi chiedono di realizzare l’etichetta partendo dalla mia idea di grafica, legata al mondo animale».
Ho sempre immaginato animali molto ribelli e molto in disparte, gli ultimi della fila. Per questo li vesto con la maglia a righe da pirata o da marinaio, con il cappellino da corsaro.
L’idea è simboleggiare quello che sento dentro da sempre: la voglia di viaggiare. Mi commuove pensare che questi vignaioli decidano di farmi partecipare a qualcosa che per loro ha un grande significato, come l’etichetta di un loro vino».
Leonardo Terenzoni è anche sommelier e sa bene che il vino deve parlare nel calice, ben oltre l’etichetta. «Può avere il vestito più bello del mondo, ma se non è buono non si vende. Bere vini naturali è bere le storie dei vignaioli, il loro attaccamento spasmodico al territorio. Il vino naturale implica empatia: la stessa che occorre per realizzare un’etichetta». Del resto, pesa più il quadro o la cornice?
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
EDITORIALE – «E quindi uscimmo a riveder le stelle». Il verso 139 della Divina Commedia è quello conclusivo dell’Inferno. Dante e Virgilio si preparano a raggiungere il Purgatorio. Alle loro spalle, il Nono girone. Quello dei traditori. Qualcosa di simile, con un po’ di fantasia, sembra accadere in questi giorni nel mondo del vino italiano.
Molte cantine hanno investito per la prima volta sul web, per realizzare un e-commerce. Un modo per uscire dal tunnel del Covid-19, «a riveder le stelle». Ovvero compensare, attraverso gli ordini online, le vendite perse a causa del lockdown dell’Horeca (ristoranti, hotel, winebar e locali chiusi per Decreto) e della vendita diretta.
Proprio mentre il cielo sembra di nuovo aprirsi davanti agli occhi di centinaia di migliaia di vignaioli e piccoli produttori – gente che ha dovuto ricorrere al web per stare a galla, mica per fare business – qualcuno prova a spinger loro di nuovo nel buio più profondo.
I commenti poco generosi di distributori inferociti nei confronti di vignaioli e titolari di piccole realtà famigliari, la cui grande colpa sarebbe proprio quella di aver realizzato un sito web con e-commerce, serpeggiano come vipere in vari ambienti del settore. L’accusa? I prezzi praticati dalle cantine sarebbero in concorrenza con quelli della distribuzione.
IL CAPOLINEA
Il culmine della polemica è una mail di carattere minatorio inviata da un distributore alle cantine clienti. Il messaggio, condito a fette spesse d’arroganza e da una malcelata verve egocentrica, è forte e chiaro: non verranno più effettuati ordini a chi vende (anche) il vino da sé, attraverso il proprio e-commerce aziendale.
Ecco come il boom – del web e delle vendite online – rischia di diventare un crack. Una vera e propria bomba ad orologeria, che sta per esplodere (e in alcuni casi è già esplosa) nelle mani di uno o dell’altro.
Ovvero del produttore di vino che è ricorso al web per stare a galla durante il periodo nero del Covid-19, chiamato oggi a fare una scelta che non ammette zone grigie. O del titolare della distribuzione, che rischia di perdere le cantine clienti desiderose di continuare a sperimentare le “vendite (online) dirette”, traghettandosi fuori dal girone infernale del Covid-19 con il nuovo asso nella manica del proprio e-commerce.
Insomma, l’ennesima guerra tra innovatori e conservatori, in un Paese (l’Italia) che ama il progresso a targhe alternate. Una patata bollente, sotto un cielo di stelle.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Caviro ha stretto una partnership con Volio, importatore e marketer affermato nel mercato statunitense, per la distribuzione negli Usa di Tavernello, sia nel formato brik che in bottiglia.
La cooperativa leader in Italia nel settore vitivinicolo ha trovato in Volio «un partner ideale per ampliare la propria presenza nello scenario vitivinicolo internazionale». Oltre 70 i Paesi già interessati dall’export, per una vasta gamma di vini italiani destinati ad ogni target di consumo e mercato (Horeca e Gdo).
STRATEGIE CONDIVISE
Un’alleanza strategica, che nasce dalla condivisione degli obiettivi di «innovazione, crescita, qualità e sostenibilità». Da un lato Gruppo Caviro, forte di investimenti in ricerca e sviluppo e innovazione in nuovi formati di packaging, utili a garantire la migliore qualità di prodotto e ampliare la distribuzione all’estero. Una realtà che punta ad essere «portavoce dell’eccellenza del vino italiano sui mercati internazionali».
Dall’altra parte Volio, rinomato importatore statunitense – presente in 45 Stati con 58 distributori – che negli ultimi anni ha incrementato il fatturato dell’85%. Un player concentrato sulle migliori produzioni vitivinicole italiane, forte nel segmento Horeca e interessato a crescere in volume e valore. E, dunque, ad allargare il proprio raggio d’azione anche al canale della Grande distribuzione.
Il risultato è la sigla di un accordo che viene definito “di reciproca soddisfazione”. In Caviro, Volio trova un alleato ideale per rappresentare un prodotto come Tavernello, con una consolidata esperienza nel mercato Gdo. Potendo così rispondere in maniera adeguata all’incremento del consumo domestico.
Caviro con Volio potrà contare su un partner di alto profilo, capace di trasmettere correttamente l’immagine e il vissuto del brand italiano. E con cui poter collaborare, per il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi di presidio del mercato.
AL CENTRO LA SOSTENIBILITÀ
Una perfetta corrispondenza nella visione aziendale, focalizzata sul concetto di sostenibilità. Caviro, con il proprio modello completo di economia circolare, ha di recente rinnovato l’impegno in questo ambito, presentando la seconda edizione del Bilancio di Sostenibilità. Un nuovo tassello, divenuto una Best Practice in Italia e all’estero.
Volio è invece impegnato nella riduzione del proprio impatto ambientale ed è certificato Carbon Free dal 2019. La partnership prende il via in un anno particolarmente importante per il gruppo di Forlì, forte di una chiusura di bilancio in positivo e di performance economiche trainate anche dall’export. Un ambito in cui Caviro ha rafforzato le proprie quote.
«Abbiamo trovato in Volio il partner ideale per realizzare questo ambizioso progetto – commenta Massimo D’Isep, Direttore Export Caviro – grazie alla sua esperienza, competenza e passione nei vini italiani e alla profonda conoscenza dei consumatori americani. Il nostro obiettivo è di incrementare la presenza di Caviro negli Usa focalizzandoci sui nostri brands principali.
L’INTERVISTA. D’ISEP: «NEGLI USA CON I NOSTRI VALORI»
Dottor D’Isep, quali sono i risultati dell’analisi di mercato condotta da Caviro negli Usa? In particolare, qual è la situazione attuale dello scaffale, sul fronte dei vini in brik?
La partnership con Volio nasce da un’analisi di mercato e dalla voglia di essere presenti in tutti gli stati con i nostri prodotti e marchi principali, cercando non solo di far crescere le vendite, ma anche riposizionando il nostro marchio con un partner giovane, dinamico e che ha condiviso fin da subito il nostro ambizioso progetto.
Oggi negli Usa vendiamo principalmente bottiglie ma il brik/Bib, anche per dna aziendale, deve essere un focus su cui lavorare in futuro. Le varietà più vendute sono nell’ordine: Pinot Grigio, Cabernet, Chardonnay, Merlot, Moscato, il resto dei vitigni rimane marginale.
Quanto costerà il Tavernello in brik e in bottiglia e in quali catene ed insegne Usa sarà distribuito? Previsioni di vendita e di fatturato?
Da una ricerca effettuata in collaborazione con WineSearcher, il prezzo medio a scaffale per brik 500 ml si attesta tra i $ 3.99 ed i $ 5.99. Ma dal momento che $ 4.99 rappresenta più del 60% del totale, Tavernello sarà posizionato tra $ 4.99 e $ 5.99, a seconda del vino e della linea di riferimento. Le catene di riferimento sono in genere player con presenza nazionale, tra i quali Costco, Target, H-E-B, Trader’s Joe, ABC Stores.
Quali saranno le strategie di comunicazione che intraprenderete per entrare nelle case degli americani con Tavernello in brik e in bottiglia?
Cercheremo di comunicare al cliente finale il nostro progetto di sostenibilità e di filiera controllata e trasparente. Il consumatore pretende sempre più trasparenza e chiarezza sui metodi di produzione e provenienza del vino.
È importante fare in modo che queste informazioni siano di facile reperibilità e a portata di click. Inutile aggiungere che il digitale rappresenta un mezzo indispensabile per veicolare i contenuti di un’azienda come la nostra.
Al contempo, la sostenibilità legata ad un vino/brand ha assunto un ruolo chiave: non basta più parlare del prodotto in sé ma occorre raccontare la filosofia e i valori correlati e collegati al prodotto stesso.
L’etichettatura del brik, secondo la regolamentazione americana, dovrà contenere informazioni particolari o aggiuntive sul processo di produzione, rispetto all’Italia?
Per prodotti “Conventional” deve contenere informazioni aggiuntive relative alla catena di importazione ed alcune diciture specifiche in merito ai “Government Warnings”, ma non informazioni sul processo di produzione, che invece non differisce dagli standard Italiani ed Europei.
Per quanto riguarda invece i prodotti “Organic” la legislazione è completamente diversa. Si richiede una certificazioni specifica dal punto di vista produttivo (divieto totale di utilizzo di solforosa) ed informazioni particolari da riportare in etichetta/brik.
Su quali Denominazioni italiane siete pronti a scommettere, in particolare, negli Usa?
Per quanto riguarda le denominazioni non c’è dubbio che il mercato sia sempre legato al Pinot Grigio piuttosto che al Prosecco- Ma da parte nostra ci dedicheremo come sempre alla crescita dei vini provenienti dalla nostra base sociale, che è presente nella maggior parte delle regioni più vocate alla produzione del vino in Italia.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Deroghe delle Regioni all’ultimo Dpcm del governo Conte, per salvare ristoranti, enoteche e i pubblici esercizi (Horeca) messi in ginocchio dalle restrizioni anti Covid-19. È l’invito rivolto a tutti i Governatori regionali da Massimo Sagna, numero uno del Consorzio Club Excellence che raggruppa 18 grandi firme della distribuzione di vini di qualità in Italia.
“Rivolgiamo un appello ai Presidenti delle Regioni – dichiara Sagna – affinché prendano in considerazione la possibilità di emettere deroghe al Dpcm per consentire un più regolare svolgimento delle attività laddove ne ricorrano i presupposti. Siamo inoltre disponibili a partecipare a un tavolo di confronto con le istituzioni e gli altri attori della filiera, per definire misure più congrue in linea con l’attuale scenario economico e sanitario”.
Il modello indicato da Sagna pare essere l’Alto Adige. La Provincia autonoma di Bolzano ha infatti varato un’ordinanza con delle deroghe al Dpcm sull’apertura di bar, ristoranti e cinema.
I bar rimarranno aperti fino alle 20 e i ristoranti fino alle ore 22, a differenza della chiusura delle 18 prevista dal Dpcm nazionale. Misure che saranno valide sino al 24 novembre, al pari di quelle di Roma. Una manovra, va ricordato, resa possibile dall’autonomia regionale.
I grandi investimenti e i sacrifici di cui tutto il settore Horeca si è fatto carico sin dallo scorso giugno – attacca Massimo Sagna – tra cui riduzione del numero dei coperti, distanziamento tra commensali, riorganizzazione di spazi e strutture, oggi vengono completamente azzerati e, di fatto, si rischia di condannare alla definitiva chiusura migliaia di attività di questo settore”.
“Non possiamo condividere questa decisione – continua il presidente di Club Excellence – frutto di mancanza di programmazione e visione a lungo termine nell’affrontare un’emergenza che dura da più di 8 mesi e che, molto probabilmente, non vedrà la sua fine nel volgere di un breve periodo”.
Sempre secondo Massimo Sagna, “il nuovo Dpcm crea una discriminazione nei confronti di un settore evidentemente considerato non solo superfluo e non necessario, ma quasi, a torto, una delle principali fonti del contagio“.
E sugli aiuti promessi dal premier Giuseppe Conte: “I contributi e i sostegni economici a fondo perduto che il governo ha intenzione di predisporre – ammonisce Sagna – non possono rappresentare una soluzione e rischiano di non sortire gli effetti desiderati, vale a dire la sopravvivenza di un comparto condannato all’estinzione proprio da chi vorrebbe aiutarlo”.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Continua il braccio di ferro tra l’industria del vino e il governo del Sudafrica. Per limitare l’abuso e il consumo di alcol, considerato d’ostacolo alle cure contro Covid-19, il presidente Cyril Ramaphosa ha introdotto alla fine di marzo 2020 il divieto di vendita di bevande alcoliche in tutto il Paese. Nel mirino anche la vendemmia 2020 e le esportazioni, poi riattivateda Pretoria su pressione delle associazioni di categoria.
“L’industria del vino sudafricana, incluso il turismo del vino, è in uno stato di disastro – denuncia Rico Basson (nella foto, sotto) amministratore delegato dell’ente dell’industria vinicola Vinpro – è necessario un intervento urgente, altrimenti una delle industrie agricole più antiche del paese non sopravviverà”.
Molte aziende vinicole hanno già chiuso a causa delle restrizioni commerciali precedenti e attuali, e il resto del settore semplicemente non sopravviverà al prolungarsi del divieto di alcol, lasciando decine di migliaia di dipendenti senza alcun reddito, possibilità o speranza”.
L’industria del vino sudafricano è favore “a riaprire il commercio interno e la distribuzione con tutte le norme di salute e sicurezza necessarie, concentrandosi sul cambiamento dei comportamenti in merito alla produzione, promozione, commercio e consumo responsabili”.
Una posizione che trova d’accordo, a livello istituzionale, il governo del Western Cape, il Capo Occidentale del Sudafrica, che ha chiesto “la riapertura sicura di tutte le attività commerciali e la vendita interna di alcolici, insieme a interventi mirati”.
Il premier locale, Alan Winde, è convinto che questa sia una soluzione ottimale: “Fintanto che il Western Cape può garantire l’accesso alle strutture sanitarie per tutti i pazienti con Covid-19, il divieto temporaneo di vendita di alcol dovrebbe essere revocato immediatamente, in concomitanza con l’implementazione di interventi intelligenti per frenare gli impatti negativi dell’alcol nel medio-lungo termine”.
Vinpro prosegue dunque le trattative con il governo centrale avviate sin da marzo 2020: in discussione, all’inizio del lockdown, erano state messe anche le operazioni legate alla vendemmia, ormai alle porte.
“Da quando è stato annunciato lo stato di crisi e l’intero Paese è stato completamente bloccato – sottolinea ancora Rico Basson di Vinpro – abbiamo negoziato con il governo per consentire all’industria del vino di completare la vendemmia 2020 e quindi di consentire le esportazioni e il commercio interno”.
Comprendiamo la gravità della situazione allora e adesso e abbiamo sostenuto e ancora sosteniamo gli sforzi del governo per salvare vite umane. Ci impegniamo al contempo a garantire che l’industria del vino aderisca a tutte le normative, con le informazioni e i protocolli di sicurezza necessari”.
“Salvare vite umane, tuttavia – continua Basson – deve essere in attento equilibrio con il salvataggio dei mezzi di sussistenza delle persone. Il vino è un prodotto agricolo, è stagionale, il che significa che le viti non aspettano che vengano tolte le restrizioni commerciali prima di produrre uva”.
In Sudafrica risultano quasi 300 milioni di litri di vino in eccedenza, in giacenza della cantina. “Molti potrebbero non avere spazio per il nuovo raccolto. La situazione è disastrosa”, denuncia Basson.
“Anche per questo motivo Vinpro, insieme al resto della filiera – annuncia l’ad dell’associazione di categoria sudafricana – ha lavorato per stabilire un nuovo patto sociale che perfezioni soluzioni a breve, medio e lungo termine e interventi mirati alle sfide sociali legate all’abuso di alcol e al suo impatto nel settore sanitario”.
“In qualità di custodi dell’industria vinicola sudafricana, ci sforziamo di garantire il futuro della nostra industria per le generazioni a venire. Scegliamo quindi di lavorare con il governo su soluzioni che stabilizzeranno il settore in questo momento, lo ricostruiranno a medio termine e faranno crescere il settore a lungo termine”.
L’industria del vino del Paese africano ha richiesto e analizzato i dati empirici su cui è stata formulata la decisione di divieto di vendita del vino e delle altre bevande alcoliche.
Vinpro ha proposto e accettato una serie di condizioni che sarebbero servite come prerequisiti per revocare il divieto, inclusi impegni su progetti di sostegno del sistema sanitario, azioni di marketing e promozione sulle conseguenze dell’abuso di alcol, nonché la creazione di un “pool” che sorvegli sull’attuazione delle norme a breve, medio e lungo termine.
“Un patto sociale è un accordo tra varie parti, non una decisione unilaterale. È un dare e avere. Al momento siamo frustrati dalla mancanza di impegno da parte del governo sui prossimi passi d’azione”, denuncia Rico Basson.
Nuove decisioni del governo sono attese dal 15 agosto, una data che potrebbe rivelarsi decisiva per le sorti future dell’industria del vino del Sudafrica. Secondo stime di Vinpro, il divieto iniziale di nove settimane sulle vendite locali e il divieto di cinque settimane sulle esportazioni comporteranno il fallimento di oltre 80 aziende vinicole e 350 produttori di uva da vino.
Una tragedia che si ripercuote sull’occupazione, con la potenziale perdita di oltre 21 mila posti di lavoro in tutta la filiera. Cifre che potrebbero salire drasticamente nei prossimi 18 mesi, qualora il divieto di consumo di vino e bevande alcoliche non fosse eliminato in Sudafrica.
Come sottolinea il presidente di Vinpro, Anton Smuts, l’industria del vino sudafricano è dominata da piccole imprese – il 40% degli agricoltori produce meno di 100 tonnellate di uva e un ulteriore 36% meno di 500 tonnellate – di cui la maggioranza “non dispone di finanziamenti temporanei sufficienti per ovviare alle mancate vendite e all’attuale siccità finanziaria”.
“La viticoltura – continua Smuts – è una delle industrie agricole più antiche del Sudafrica, le nostre uve sono coltivate da 2873 agricoltori e dai loro 40 mila dipendenti e i nostri vini sono prodotti da enologi esperti e dai loro assistenti nelle nostre 533 cantine, con molti più fornitori di input e fornitori di servizi nel la catena del valore dipende dalla riapertura del mercato”.
Per ogni posto di lavoro in un’azienda agricola, vengono creati altri 10 posti di lavoro nel resto della catena del valore. Siamo stufi della situazione. Il divieto è servito allo scopo e dovrebbe essere revocato immediatamente”.
L’ad Basson ricorda inoltre che “l’industria del vino comprende che la situazione attuale rimane estremamente complessa, ma a causa del calo del tasso di contagi nel Western Cape e in altre province, l’aumento della capacità negli ospedali e le proposte concordate, non c’è assolutamente alcun motivo per mantenere l’attuale divieto di vendita di vino in atto”.
“Quando è troppo è troppo – conclude – anche perché, pensandoci razionalmente, il divieto non ha più senso. Abbiamo fatto del nostro meglio per salvare vite umane. Ora è giunto il momento di salvare i mezzi di sussistenza delle persone che lavorano e dipendono dall’industria del vino sudafricana”.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
L’unica associazione nazionale di riferimento per il settore della distribuzione nel canale Horeca, ovvero la Federazione Italiana dei Distributori di Horeca (Italgrob) ha attivato con Regione Veneto la procedura di “Crisi complessa di Filiera“, la cui gestione è affidata appunto ai governi regionali. Il percorso prevede una verifica e una presa in carico da parte della Regione, con interventi mirati di sostegno.
Italgrob, in collaborazione con le associazioni di categoria della filiera dei produttori Horeca (Assobibe, Assobirra, Mineracqua) e con Federterme, è riuscita così a ottenere un primo incontro in videoconferenza con l’assessore regionale al Lavoro, Elena Donazzan, insieme ai tecnici dell’Unità regionale di crisi aziendale.
“Stiamo lavorando su soluzioni concrete e fattibili – ha commentato Dino Di Marino (nella foto, sopra) direttore di Italgrob – e proporremo un piano di azione immediato per la ‘Fase 2’ con soluzioni migliorative per la filiera Horeca per il medio e lungo periodo”.
“Siamo ad un nuovo inizio e la filiera ha necessità di reinventarsi e adattarsi ai nuovi modelli di business. Sono molto fiducioso, la Regione Veneto potrà fare da apripista per le altre Regioni, per una strada alternativa e comunque preziosa per sostenere tutta la filiera”, ha concluso Di Martino.
“Questo primo approccio con la Regione Veneto – ha sottolineato il presidente di Italgrob, Vincenzo Caso – è di fondamentale importanza. Il procedimento aperto presso la Regione Veneto, con la proposta di misure a sostegno della categoria, potrà consentire in inseguito di replicare il modello in altre Regioni Italiane”.
“Nel merito – continua Caso – l’assessore Donazzan si è resa disponibile a farsi portavoce presso le altre regioni, dato che su tutto il territorio nazionale ci sono importanti realtà produttive e una notevole capillarità di aziende distributive, senza contare che in tutte le regioni il settore Horeca dà lavoro a oltre un milione di persone, ed è un settore di vitale importanza economica e sociale”.
“Le maggiori sigle del settore ci hanno scelto come primi interlocutori – ha evidenziato l’assessore Donazzan – perché qui operano i maggiori player nella produzione e della distribuzione del beverage”.
Il comparto delle acque minerali e termali, che per le sole acque minerali conta oltre 40 mila addetti nel territorio nazionale tra diretti e indiretti e un giro d’affari di 2,7 miliardi, in Veneto riveste una grande rilevanza, sia in termini occupazionali che di fatturato, per la presenza di importanti fonti e di stabilimenti di imbottigliamento e distribuzione.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
EDITORIALE –Federico Francesco Ferrero “DoctorChef” non è quello delle brioche. Ma va via come il pane. Un po’ come i clic sul web, o i commenti sui social, ogni volta che si parla di “vini naturali“. Se fino a ieri il punto era il mal di testa al termine della bottiglia, la ricerca – che definire “scientifica” è un eufemismo – compiuta dal medico nutrizionista vincitore di Masterchef 2014 e pubblicata sulla rivista di settore Nutrients, non fa altro che complicare le cose.
Ferrero, prendendo in considerazione un campione di 55 persone e 2 soli vini, uno “naturale” e l’altro “convenzionale”, afferma di essere arrivato a un risultato assoluto. Copernicano. La concentrazione di alcol nel sangue dei vinnaturisti è inferiore a quella dei bevitori tradizionali.
L’analisi è stata compiuta da Ferrero assieme a Marco Barbetta, Luca De Carli, Maurizio Fadda, Andrea Pezzana e Rajandrea Sethi e altri ricercatori indipendenti dell’Università di Torino, con la collaborazione del Politecnico della città capoluogo del Piemonte.
L’esperimento è stato compiuto facendo bere ai 55 fortunati due sorsi di un vino naturale e di un vino convenzionale, a una settimana di distanza uno dall’altro. Entrambi i vini prescelti erano ottenuti dallo stesso vitigno e registravano il medesimo contenuto di alcol e (“basso”) residuo zuccherino.
Vini, tuttavia, ottenuti con metodi diversi, in vigna e in cantina. Per “vino naturale”, infatti, Ferrero intende quello ottenuto tramite “coltivazione senza pesticidi e agrofarmaci, fermentato con lieviti indigeni, non filtrato e senza chiarifica”.
Al termine dell’indagine, secondo quanto sostiene la ricerca pubblicata da Nutrients, è stato possibile stabilire che “i due vini vengono metabolizzati in maniera diversa e che possono quindi avere effetti differenti sulla salute”. Il “vino naturale”, insomma, fa registrare una ridotta influenza in termini di concentrazione dell’alcol nel sangue.
I RAPPORTI CON LE DISTRIBUZIONI DI VINO NATURALE
“Ho dedicato la vita ad approfondire tutti gli aspetti dell’universo cibo: dalla nutrizione all’enogastronomia, dal marketing del food alla psicoanalisi del cibo, dalla cucina all’antropologia alimentare”, dice di sé Ferrero che “in una vita di approfondimenti” pare non aver approfondito troppo l’argomento della sua ricerca, raccogliendo solo due vini e appena 55 “cavie”.
Sulla ricerca, inoltre, pesano i rapporti del medico vincitore di MasterChef con alcune distribuzioni di vini naturali. Nel 2017 Federico Francesco Ferrero figura tra gli “Amici di Arké”, la distribuzione della famiglia Maule, che organizza uno degli eventi di settore più importanti in Italia, Vinnatur. Ecco cosa scriveva Ferrero sul catalogo di Arké, meno di due anni fa.
Un contagio inarrestabile è in corso da Torino a Venezia, da Bologna a New York. I nuovi locali che hanno visto la luce in queste città, negli ultimi ventiquattro mesi, sono gestiti da giovani sotto i quarant’anni e servono solo “vini naturali. Ma ancora in tempi molto recenti chi ordinava un “vino naturale” veniva deriso.
La storia dell’arte ci insegna però che qualsiasi avanguardia ha stimolato una vigorosa resistenza prima di diventare di moda, e prima di scendere quindi a patti con la propria dirompente originalità. E’ successo anche per gli artisti del cosiddetto “vino naturale”.
Non è facile definire cosa sia un “vino naturale”. Il mercato del “bio”, a cui oggi guardano tutte le grandi aziende, vale globalmente quasi dieci miliardi di dollari, ma la legislazione specifica è molto debole e, se non garantisce completamente la salute, certo non certifica il sapore. Anche leggere in etichetta, coltivato in maniera “biodinamica”, non basta.
Perché è il lavoro in cantina a determinare il destino del succo d’uva, oltre che la cura in vigna. Qualcuno potrebbe forse definire questi prodotti i vini del “senza”: senza chimica, senza lieviti aggiunti, senza additivi, senza filtrazioni, senza conservanti.
Ma sono in realtà i vini del “con”: con un bouquet aromatico molto articolato, con una personalità spiccata, con una bassissima tossicità e, a volte, con qualche intemperanza al naso o al palato, che un po’ d’aria fresca fa sparire nella maggior parte dei casi.
Preferisco chiamare questi vini “fisiologici”: perché il capolavoro nasce quando la natura “fusis” viene guidata con rispetto dalla sapienza dell’uomo “logos”. E amo berli pensando che le persone che li scelgono condividono l’ideale artigiano di un’agricoltura sostenibile e di un sapore sano e di sorprendente soddisfazione”.
Insomma, oltre ad essere un medico nutrizionista, Federico Francesco Ferrero è anche un sostenitore dei vini naturali tout court. Nulla di male, ci mancherebbe. Ma se è vero che “Excusatio non petita, accusatio manifesta“, alla voce “Conflicts of Interest” della propria ricerca, DoctorChef si affretta a precisare:
The authors declare no conflict of interest. FFF IMAGE received an unconditional grant from Velier, S.p.A. in 2018 and 2019 but the funder had no role in the design of this study; in the collection, analyses, or interpretation of data; in the writing of the manuscript, or in the decision to publish the results.
Tradotto: i due vini naturali oggetto del test sono stati forniti dal distributore Velier, che “tuttavia non ha avuto alcun ruolo nella progettazione di questo studio, nella raccolta, analisi o interpretazione dei dati, nella scrittura del manoscritto, o nella decisione di pubblicare i risultati”. E allora, naturalmente, cin, cin. In alto i calici per gli ultrà del vino naturale, finché giocano in casa.
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MILANO – “Diffondere la cultura del vino come elemento di lifestyle, per creare emozioni al di là del gusto”. Sergio Bruno non ha scelto a caso il nome “Emozioni Oltre il Gusto” per la sua distribuzione di vini francesi.
De Barfontarc e Lepreux-Penet per gli Champagne, Domaine Alain Jaume per la Cotes du Rhone, Domaine Jean Claude Courtault per lo Chablis, Domaine David Sautereau per Sancerre, e ancora Domaine Alain Aubert per Bordeaux ed Eric Rominger per l’Alsace sono solo alcuni dei vigneron selezionati da Bruno.
“Tutte realtà di grande livello qualitativo e di lunga tradizione – spiega il fondatore di Emozioni Oltre il Gusto – poco conosciute in Italia, ma accomunate da caratteristiche comuni. Sono tutte in grado di assicurare nel calice la rappresentatività e la migliore espressione di terroir, eleganza, fascino e stile”.
Ottime etichette che sono il frutto dell’esperienza sul campo del selezionatore, fatta di viaggi nei territori considerati patria della viticoltura mondiale. Un piccolo angolo di Francia che Sergio Bruno ha iniziato a costruire, etichetta dopo etichetta, a partire dal febbraio 2017.
Oggi, il variegato catalogo d’Oltralpe di “Emozioni Oltre al Gusto” conta 150 vini. La prova del definitivo cambio di vita di Sergio Bruno, ormai ex dirigente e consulente gestionale convertito al nettare di Bacco. Un motivo in più per brindare. E di gusto.
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EDITORIALE – Momento Marzullo, ma neanche troppo. Seduti comodi, per favore. Domanda: se foste vignaioli, affidereste il giudizio dei vostri vini a una Guida che annovera, tra i degustatori, gente stipendiata da una distribuzione di vino?
Ecco, lo dicevo. Più che una domanda “marzulliana”, questa è a tutti gli effetti una domanda retorica. Eppure, così accade. In Veneto.
La distribuzione di “vini naturali” Arké, fondata dalla famiglia Maule e gestita da Francesco – figlio dell’Angiolino patron di VinNatur – e dalla moglie Erica Portinari, ha annunciato in pompa magna l’ingresso “in pianta stabile” di Gianpaolo Giacobbo. Un “amico”.
Peccato si tratti di uno dei referenti del Veneto di Slow Wine, piattaforma enologica di Slow Food, il movimento nazionale fondato da Carlo Petrini. Al di là della correttezza e della professionalità di Giacobbo, che forse solo il Padre Eterno potrà e dovrà giudicare, pare evidente il conflitto d’interessi tra i due ruoli. Un po’ come se il commercialista, in pausa pranzo, facesse il finanziere.
Una vicenda su cui qualcuno, in Veneto, chiacchiera ormai da anni. Il rapporto di collaborazione tra il degustatore di Slow Wine e la distribuzione Arké non è infatti nato ieri. Eppure tutti tacciono e hanno taciuto, almeno ufficialmente. Produttori, stampa, amici, colleghi.
E’ quella che mi piace definire omertà del pezzo di terra.
In Italia (e circoscrivo geograficamente perché vivo qui, mangio e bevo qui) parlano e denunciano solo due categorie: quelli che non hanno niente da perdere (ma proprio niente) e quelli che, più semplicemente, hanno una Coscienza (questi ultimi sono tutto tranne che eroi: fanno solo il giusto, sempre).
Chi ha un “pezzo di terra” da difendere, seppur piccolo e ormai quasi sterile, non apre bocca in Italia per paura di perdere quel poco che si è guadagnato.
Non importa come, l’importante è conservarlo. Anche col silenzio.
Chi ha una Coscienza (e una Coscienza dovrebbero averla tutti quelli che scrivono, giudicano, editano, organizzano eventi e influenzano in maniera varia i consumi dei lettori, anche potenziali) invece parla (e scrive) senza temere conseguenze: ovviamente se ha qualcosa di sensato da dire, o da scrivere.
E allora perché la stampa, in Italia, raramente denuncia? La risposta è semplice. E voglio restare nel campo della dell’enogastronomia, per non allargare troppo il cerchio. In Italia, di giornalismo e di vino, non si campa.
LA STAMPA ENOGASTRONOMICA IN ITALIA Molti giornalisti enogastronomici vengono pagati (quando vengono pagati) pochi euro ad articolo. Pagamenti che tardano ad arrivare, contratti a tempo determinato che saltano (“Sotto al prossimo, chi è il numero 744? Prego, questa è la sua scrivania da stagista”), giornali che chiudono, portali offline, sono all’ordine del giorno.
La penna di chi scrive di vino e di cibo, in italia, rischia di rimanere spesso senza inchiostro, in un vorticoso e beffardo gioco del destino che porta il writer di turno a scrivere di beni che non può neppure lontanamente permettersi.
La vita stessa della testata che state leggendo è a rischio e fa i conti ogni fine mese con la cinica matematica dettata dall’illogicità del sistema dell’informazione. Non a caso abbiamo aperto un form per le donazioni dei lettori: gli unici che potrebbero premiare la nostra quotidiana guerra per un’informazione libera e indipendente (sapete quanti ci vorrebbero “chiusi” domani mattina? Da oggi qualcuno in più!).
PER CHI NON LO SAPESSE
Giornalisti e winewriter (nella categoria rientrano ormai anche le graziose donzelle che necessitano di due sedute dall’estetista prima dello scatto alla bottiglia, o della partenza della #wineporn diretta su Instagram) vengono invitati a dei tour dai Consorzi e dalle cantine.
Vitto e alloggio pagato, per scrivere di questa o quella Denominazione. Di questo o di quel produttore. Mettetevi nei panni degli invitati: dareste mai problemi ai padroni di casa? E a chi vi invita? Ecco, appunto: fareste di testa vostra, in caso di necessità, solo se foste molto dotati (della Coscienza di cui sopra, s’intende). E vi assicuriamo che non finisce sempre così.
Eppure è vero anche il contrario: dall’altra parte della barricata, nel Paese del Bengodi della critica enogastronomica italiana, esistono tuttora personaggi alla moda che girano per cantine col Suv e il rimborso spese, pure per la moglie (cosa che avviene pure le compagne di certi fighissimi wine & food influencer).
Beati quelli con lo specchio del bagno di casa sporco
sin dalla mattina, quando se la lavano. La faccia.
Tutta questa spataffiata sull’omertà e sul “pezzo di terra” mica per fare caciara. Piuttosto per dire che, in fondo, pure il buon degustatore di Slow Wine Veneto deve arrivare a fine mese. E per questo non lo biasimiamo. Siamo tutti sulla stessa barca. Ma l’etica, beh. Quella è un’altra cosa. E non siamo noi a insegnarla. In alto le Chiocciole. Cin, cin.
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Chi lo avrebbe mai detto? Vini “industriali” e “vini naturali” hanno un unico comune denominatore. Quel bastardo chiamato “distributore”. Fermi tutti, mettete giù il telefono con il numero dell’avvocato già cercato in rubrica. Adesso vi spieghiamo tutto.
Una delle costanti di vinialsuper, da quando (follemente) ha visto la luce, un paio d’anni fa, sono le email e le telefonate da parte di produttori (in genere medio-piccoli) preoccupati per aver visto recensito un loro prodotto nella nostra sezione “Recensioni vini al Supermercato”.
“Le giuro che non ne so niente, sono un piccolo produttore, noi non facciamo Gdo!”. “Mi creda: dev’essere stato il distributore di Milano, io non ho rapporti diretti con la distribuzione organizzata!”. “Guardi, non so come sia finito il mio vino sugli scaffali di Conad: sarà stato il distributore, io non so nulla”. Telefonate – o email – alle quali noi di vinialsuper siamo ormai (noiosamente) abituati.
E ci saremmo tenuti per noi la noia. Volentieri. Giuriamo (va di moda)! Se non fosse che pure “La Terra Trema”, in questi giorni, tratta lo stesso argomento. Prendendo le parti, in questo caso, di tanti piccoli produttori “strozzati” dai distributori.
“Bisogna affrontare e riaprire un ragionamento serio intorno al nodo della distribuzione”, scrive la redazione di La Terra Trema. Perché “ha per noi un valore strategico, etico, economico e sociale di pari importanza a ‘come si produce’. La distribuzione di un vino ci interessa tanto quanto le sue qualità organolettiche”.
Chiarito ciò, ecco il dunque. “Ultimamente – racconta La Terra Trema – ci è stato raccontato di vignaioli in ostaggio del distributore, dei distributori. Storie preoccupanti per il futuro delle aziende di questi vignaioli, del processo di cambiamento e della gioia del vino dei vignaioli. Vignaioli che non possono vendere le proprie bottiglie di vino perché l’esclusiva è nelle mani del distributore”.
“Durante le fiere, contattati telefonicamente, via mail o addirittura in cantina. ‘Sei di Milano? Vuoi il mio vino? Io non posso vendertelo, contatta il mio distributore su Milano. Ecco il biglietto da visita del mio distributore’. Pazzesco! Pazzesco tanto quanto usare dosi massicce di solforosa, lieviti e additivi in cantina e la chimica abbondante in campagna!”.
La Terra Trema ha chiare quali siano le cause di questo fenomeno: “Sappiamo bene quali sono i motivi che hanno portato i vignaioli a intraprendere queste strade. Ma siamo convinti che siano strade pericolose e controproducenti per tutti. Questo non è un problema solo nostro. Ma è un problema di libertà di tutti. Per primo del vignaiolo, anche se è convinto di valorizzare il proprio prodotto e di ottenere più profitto. Il suo vino non è più suo, ma è del distributore”.
“E’ un problema – continua lo staff di La Terra Trema – che produrrà dispositivi simili a quelli della Grande Distribuzione Organizzata. Un problema su cui vale la pena aprire discussione e un problema da superare. Diversamente, a nostro avviso, se questo dispositivo distributivo prenderà piede, torneremo indietro di 10 anni e molti piccoli vignaioli autentici passeranno dall’illusione del successo al rischio di non farcela più. Noi continueremo a supportare dei rapporti liberi e non monopolistici. Per una distribuzione dei prodotti della terra e del cibo diffusa e autogestita”.
E allora largo a nuove formule sostenibili di distribuzione. Ce le auspichiamo pure noi. Formule che rispettino i vari passaggi della filiera, tutelando gli interessi delle famiglie dei produttori, quanto quelle degli imprenditori.
Consapevoli, però – come lo era nel 1500 il pittore olandese Pieter Bruegel “il Vecchio” – che il pesce grosso ha sempre la pancia piena di pesci più piccoli di lui. Fino a prova contraria.
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Dormire “in cantina” e puntare la sveglia “ogni due-tre ore”, per controllare “il colore del rosato” ottenuto da uve Rossese. Che non dev’essere “né troppo rosso, né d’un rosso scialbo”. Problemi con cui solo un viticoltore ligure deve fare i conti. Problemi, per fare i nomi, di viticoltori di Liguria come Luigi Anfossi, trentacinque anni. Rappresentante della quarta generazione di una famiglia d’origine genovese – con influenze inglesi – che nel quartier generale di Bastia d’Albenga, Savona, produce basilico atto a divenire pesto destinato alla grande distribuzione italiana (Unilever). E vini (Vermentino, Pigato, Rossese Riviera Ligure di Ponente Doc e rosato) reperibili sugli scaffali di Esselunga e Carrefour. Un’impresa a conduzione famigliare che può annoverare tra i propri clienti la nota “John Frog”, nome col quale Luigi Anfossi ama chiamare la Giovanni Rana. Ma se è vero che il basilico rappresenta il core business dell’Azienda agraria Anfossi (10 gli ettari coltivati), degna di nota è anche la produzione di vini liguri, ottenuti grazie all’allevamento di 5 ettari di terreno vitato e dalle uve di alcuni conferitori della zona. Per una produzione annuale complessiva che si assesta sulle 70 mila bottiglie.
Un’azienda fondata nel 1919, che si appresta a spegnere entro breve le (prime) cento candeline. Una storia lunga un secolo che vede il suo momento chiave negli anni Ottanta, quando l’impresa agricola viene rilanciata sul mercato italiano ed europeo da Mario Anfossi con la collaborazione del socio piemontese Paolo Grossi. Al figlio Luigi il compito di occuparsi delle sorti del settore vitivinicolo. Diplomato in agraria dopo aver iniziato gli studi al Liceo Classico, Luigi sogna per la propria azienda e per il settore vitivinicolo ligure un futuro luminoso. “La Liguria ha grandissime potenzialità inespresse in questo settore – commenta Luigi Anfossi -. Potenzialità che potremmo alimentare innanzitutto iniziando a valorizzare a livello locale i nostri vini, ottenuti da vitigni autoctoni come il Pigato. Capisco che in un mondo globalizzato come il nostro sia corretto trovare anche in Liguria una selezione sterminata di Gewurztraminer. Ma se si puntasse di più sulla promozione dei vini locali, raccontandone la storia anche ai turisti nelle varie attività del lungomare, sono sicuro che ne trarrebbe grande beneficio tutta l’economia locale”. D’altronde “quanti liguri sanno come mai il Pigato si chiama così?”, chiede ironicamente Luigi Anfossi, alludendo alle “macchie” presenti sull’acino di questa straordinaria varietà autoctona della Liguria.
LA DEGUSTAZIONE Il Pigato dell’Azienda agraria Anfossi, esprime tutta la ‘semplice complessità’ dei vini liguri. Di facile beva per i suoi richiami fruttati freschi, eppure tutto sommato ‘impegnativo’ per il suo corpo e la sua struttura, tutt’altro che banale. Morbido al palato, è capace di sorprendere con quella punta amara che risveglia i sensi, in un finale sapido che preclude un retrogusto amarognolo, stuzzicante, da sgranocchiare come le nocciole tostate. Un vino dall’ottimo rapporto qualità prezzo, insomma, da pescare tra le corsie degli store del marchio Caprotti a una cifra che si aggira solitamente attorno agli 8 euro. Non presente in Esselunga, ma comunque apprezzabilissimo, il Vermentino ligure di Anfossi. Meno impegnativo del Pigato, ancora più soave nei richiami fruttati, strizza l’occhio a un consumatore meno esigente di quello che preferisce il Pigato. Un Vermentino da regalarsi nelle giornate di sole, da abbinare a piatti di pesce o di carne bianca non troppo elaborati. Meno profumato, invece, il naso del rosato Paraxo 2015 Anfossi: classificato come vino da tavola, ottenuto come anticipato da uve Rossese rimaste a contatto con le bucce non oltre le 24 ore, soddisfa nell’abbinamento con piatti della tradizione come il coniglio alla ligure. Al palato sfodera infatti la buona struttura del Rossese e una complessità aromatica non banale (13% di alcol in volume). La degustazione si chiude con l’ottimo Rossese in purezza, l’unico vino rosso prodotto dall’Azienda agraria Anfossi di Bastia di Albenga. Uno di quei rossi non convenzionali, capaci di esprimere il meglio della terra di provenienza. Il Rossese Anfossi parla infatti – al naso – di resine di macchia mediterranea, in un concerto di piccoli frutti a bacca rossa. Corrispondente al palato, non manca un finale di buona persistenza. Un vino da assaporare sia con il pesce (provare per credere, per esempio con un piatto di tonno in crosta di pistacchio) sia con la carne (ben cotta). Il segreto dei vini Anfossi? Lo spiega Luigi. “Non possiamo contare su terreni in altura – commenta – ma abbiamo la fortuna di avere una grande vigna in prossimità del fiume Centa, qui ad Albenga. Viene così assicurata una buona escursione termica. In futuro mi piacerebbe comunque sperimentare qualcosa di nuovo, magari attraverso macerazioni prolungate delle uve per ottenere vini più longevi”. Segreti e progetti per il futuro di un viticoltore ligure pieno di idee. Una storia, quella di Anfossi, destinata a continuare a lungo.
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La distribuzione della Famiglia Cecchi si arricchisce e diversifica ulteriormente grazie all’inserimento dell’azienda Castelfeder di Egna (Bolzano) che va ad affiancare la maison di Champagne Collard Picard e Castiglion del Bosco di Montalcino. “Crediamo fondamentale intraprendere un percorso di lungo termine con la famiglia Giovanett – dichiara Luca Stortolani, direttore commerciale Italia della Famiglia Cecchi – che produce vini straordinari e con la quale condividiamo visione e filosofia. Allo stesso tempo siamo certi che mettere a disposizione della nostra ormai strutturata forza vendite un’azienda altoatesina con queste caratteristiche, possa essere un ulteriore motivo di crescita”. “Per Castelfeder – aggiunge Ivan Giovanett – è stato fondamentale sapere che dietro a una distribuzione ci fosse non solo un’azienda commerciale in grado di garantire certi risultati, ma anche una famiglia con cui condividere gli stessi valori umani e professionali”. La casa vinicola Luigi Cecchi e figli Srl è tra le aziende toscane maggiormente rappresentate nelle catene della grande distribuzione italiana. Al quartier generale di località Casina dei Ponti 56, a Castellina in Chianti, provincia di Siena, si affianca oggi una realtà altoatesina fondata nel 1970 da Alfons Giovanett.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
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