Il gusto di luce nel vino è uno dei difetti meno comuni. Cos’è e come riconoscerlo? Può essere riscontrato nei vini bianchi sottoposti a fonte luminosa, specie se non adeguatamente protetti da un vetro “fotoresistente”. Una problematica che rischia di diffondersi, vista la carenza di bottiglie che sta attanagliando da mesi i produttori di vino.
Se da un lato, come ricorda Assoenologi, l’anidride solforosa ed i tannini, soprattutto di natura gallica, limitano la comparsa del difetto di luce, l’efficacia di questi composti potrebbe essere «direttamente legata alla quantità di forme fenoliche ossidate». Ma il loro impiego potrebbe consentire il mantenimento della qualità del vino nel corso della “shelf-life”. Ed evitare i tipici sentori anti-aromatici di cavolo cotto o cipolla.
A indagare le problematiche legate al gusto di luce e alla crescente preoccupazione degli enologi per la comparsa di questo difetto del vino, sarà il convegno “Difetti di luce nei vini bianchi e rosati”, in programma a Simei 2022, giovedì 17 novembre a Fiera Milano. L’appuntamento è alle ore 10.30 nella Sala Convegni del Pad. 3 è sarà uno degli eventi di maggior interesse al Salone internazionale Macchine per Enologia e Imbottigliamento.
LA CARENZA DI VETRO PER LE BOTTIGLIE E IL DIFETTO GUSTO DI LUCE
«Il crescente utilizzo di bottiglie inadeguatamente foto-filtranti per il confezionamento di vini bianchi e rosati – anticipa il prof. Antonio Tirelli, che modererà l’incontro – impone agli enologi di prevenire la comparsa di difetti sensoriali legati alla foto-esposizione del prodotto, peraltro spesso insufficientemente protetto da sorgenti luminose nelle fasi post-produttive».
Le pratiche di prevenzione correntemente adottate in cantina sono spesso penalizzanti l’apprezzabilità del prodotto e, molte volte, del tutto inefficaci».
Al fine di fornire strumenti adatti a prevenire la comparsa di difetti foto-indotti, e la conseguente penalizzazione commerciale, il progetto di ricerca Enofotoshield condotto nei trascorsi due anni dall’Università degli Studi di Milano ha valutato efficaci approcci enologici a basso impatto sensoriale e ambientale.
Il percorso di studio biennale sul cosiddetto difetto o gusto di luce nel vino è stato realizzato dal polo universitario milanese grazie alla collaborazione con con quattro aziende vitivinicole lombarde, Assoenologi e il Consorzio di Tutela Franciacorta, e finanziato da Regione Lombardia.
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Partiamo dalla fine: è una di quelle volte in cui è bello sapere il risultato ancor prima di godersi i 90 minuti di gioco. Pare infatti che il film plastico, quello che tutti abbiamo in casa e che molti chiamano semplicemente pellicola o Domopak, sia utile contro l’odore di tappo nel vino. Basterebbe lasciarlo a contatto per «rimuovere in modo parzialmente selettivo» il Tricloroanisolo (Tca).
Pressoché nessuna controindicazione. Le analisi condotte rivelano che «non vi sono conseguenze significative sulla qualità organolettica del vino». Anche se il film plastico trattiene anche alcuni esteri, ovvero alcuni dei classici profumi del vino, è stato confermato che «la loro diminuzione non influenza la percezione del fruttato».
I risultati ottenuti nei test vengono definiti «incoraggianti per il settore vitivinicolo», perché «questo trattamento, efficace nel ridurre significativamente il “difetto di tappo”, è facile da implementare e potrebbe aiutare a ripristinare un potenziale organolettico qualitativamente accettabile nei vini contaminati da anisoli».
Peraltro, «poiché il film plastico utilizzato è per uso alimentare, il suo impiego non comporta rischi per la salute del consumatore». Game, set, match. Ora però è tempo di vedere come è andata la partita, analizzandola al Var.
La scoperta degli effetti positivi della pellicola sui vini con odore di tappo deriva da uno studio condotto dai ricercatori María Reyes González-Centeno, Sophie Tempère, Pierre-Louis Teissedre, Kleopatra Chira, pubblicato lo scorso anno dalla rivista Food Chemistry nell’articolo dal titolo “Use of alimentary film for selective sorption of haloanisoles from contaminated red wine“.
Un approfondimento rilanciato dalla rivista Ives Technical Reviews dell’Institut des Sciences de la Vigne et du Vin, nel novembre 2020. Si tratta di un’associazione fondata nel 2017 da un gruppo di università e istituti di ricerca che puntano «a condividere gratuitamente i risultati della ricerca scientifica del settore con i ricercatori e i professionisti».
Il punto di partenza della team “anti odore di tappo” è semplice: «Oggi – recita la pubblicazione – la messa a punto di una soluzione rispettosa del vino che sia efficace nell’eliminazione degli anisoli, senza danneggiare il potenziale organolettico del prodotto, è più che mai necessaria e attesa nel settore».
Lo studio, condotto in Francia, ha preso in considerazione un vino rosso dell’annata 2013 (70 % Cabernet Sauvignon, 30 % Merlot), affinato per 24 mesi in barrique da 225 litri di tostatura medio-alta, naturalmente contaminato da differenti concentrazioni di anisoli.
Il vino è stato sottoposto a un trattamento con un film plastico per uso alimentare (dose: 20 m2/hl) per 48 ore ed è stato campionato prima del trattamento e dopo 8, 24 e 48 ore.
L’efficacia del film – recita lo studio – è stata valutata in relazione ai tenori di anisoli dei vini non trattati. Per valutare l’impatto del trattamento sui parametri chimici e sulla qualità organolettica dei vini, sono state condotte analisi relative al colore, ai parametri enologici di base, alla composizione fenolica e aromatica, nonché l’analisi sensoriale».
Il “Domopak” ha permesso di ridurre significativamente e progressivamente il livello di Tca (2,4,6-tricloroanisolo) presente nel vino iniziale. «L’efficacia del trattamento – prosegue la pubblicazione – è tanto più elevata quanto maggiore è il tempo di contatto vino-film». Nel caso delle Barriques B e C, l’immersione del film plastico nel vino per 8 ore consente di ridurre il contenuto di Tca di una percentuale dal 47 al 57%.
Dopo 24 e 48 ore di trattamento, sono state osservate rispettivamente diminuzioni del 74% e dell’82% circa della concentrazione iniziale di Tca contaminante. Nel caso della Barrique A, non è stato possibile quantificare il tasso di decontaminazione per via di un «contenuto di Tca inferiore al limite di quantificazione».
Tuttavia va notato che dopo 48 ore di “trattamento Domopak”, «il contenuto in Tca raggiunge valori al di sotto del limite di rilevabilità». «Nel nostro studio – continua la pubblicazione – il contenuto in Tca dei vini al termine del trattamento appare inferiore o prossimo al valore più basso di soglia di percezione riportato in letteratura».
La soglia di percezione dell’odore di tappo nel vino varia infatti tra 1,5-3,0 ng/l, a seconda della sensibilità e della competenza degli assaggiatori, nonché della matrice e dello stile del vino contaminato.
Quanto ai tipi di anisoli, Pca (pentacloroanisolo) e Tba (2,4,6-tribromoanisolo) non sono stati rilevati nei vini analizzati. D’altra parte, tutti hanno mostrato tracce di TeCA (2,3,4,6-tetracloroanisolo) che sono state eliminate durante le prime 8 ore di trattamento. Sorprendente, infine, l’impatto sulla composizione chimica dei vini trattati.
L’uso del film plastico non ha avuto effetti significativi sui parametri enologici di base (pH, densità, grado alcolico, acidità totale e volatile, rapporto glucosio/fruttosio, contenuto di acido malico, lattico e tartarico), sugli aromi legnosi, anche “speziati” e “affumicati”, e sul contenuto in composti fenolici totali e tannini totali nei vini trattati, indipendentemente dalla durata del trattamento».
Oltre le 24 ore di “trattamento Domopak” è stato invece osservato un leggero aumento del contenuto iniziale di antociani totali, in due delle barrique (A e C). «Poiché gli antociani svolgono un ruolo fondamentale nel colore dei vini rossi – spiegano i ricercatori – sarebbe interessante seguirne l’evoluzione durante l’invecchiamento in bottiglia, al fine di valutare se questo leggero aumento abbia o meno un impatto sul prodotto finale».
Più “film” per tutti, insomma. Ce n’è abbastanza per una serie tv ad hoc, su Netflix. Ché se non salverà il mondo, almeno Domopak ci preserverà dall’odioso “sentore di tappo”. Forse.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
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