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Viticoltura biodinamica: Demeter Austria e respekt-BIODYN sempre più alleate

niki moser fred loimer Viticoltura biodinamica Demeter Austria e respekt-BIODYN sempre più alleate

Movimenti e alleanze in corso in Europa sul fronte della viticoltura biodinamica. Demeter Austria e respekt-BIODYN, altra associazione che raggruppa vignaioli votati ai principi steineriani – tra cui gli italiani Foradori (Trentino) e Manincor (Alto Adige) – si sono presentate con un calendario di eventi comuni in occasione dell’ultima edizione di vino VieVinum di Vienna, tra gli eventi di punta del vino austriaco.

«L’obiettivo – spiega Niki Moser della tenuta Sepp Moser, portavoce di Demeter Austria (nella foto, a sinistra) – è una viticoltura rigenerativa e sostenibile. L’etichetta con cui questo avviene è di secondaria importanza».

Questo parere è sempre più condiviso tra i viticoltori delle associazioni biodinamiche Demeter Austria e respekt-BIODYN. Da diversi anni offriamo formazione ed eventi comuni, ci sosteniamo a vicenda e ci scambiamo idee».

Per Demeter Austria hanno aderito Rudolf Fidesser, Robert Gassner, Niki Moser/Sepp Moser, Manuel Ploder/Ploder-Rosenberg, Niki Saahs/Nikolaihof, Georg Schmelzer, Johannes Trapl, Johannes Zillinger. Per resspekt-BIODYN Clemens Busch, Kurt Feiler Feiler-Artinger, Michael Goëss-Enzenberg/Manincor, Fred Loimer, Hansjörg Rebholz, Alexander Sattler/Sattlerhof, Fritz Wieninger, Emilio Zierock/Foradori.

LA VITICOLTURA BIODINAMICA IN AUSTRIA

Le linee guida dell’agricoltura biodinamica, basate sul Corso di Agricoltura dell’antroposofo Rudolf Steiner, esistono da poco meno di cento anni. Le prime tre cantine Demeter sono state certificate nel 1999 e oggi circa 80 viticoltori lavorano secondo le loro linee guida.

Molte aziende, tuttavia, utilizzano l’agricoltura mista. I vigneti vengono coltivati come «organismi agricoli viventi, adattati individualmente ai rispettivi terroir», su una superficie totale di circa 800 ettari. Il portavoce di questo gruppo di viticoltori è Niki Moser, della tenuta Sepp Moser.

Respekt-BIODYN è conta nel 2022 ventotto membri, con trentuno aziende in Germania, Italia, Austria, Slovenia e Ungheria. È stata fondata nel 2007, con l’obiettivo di «lottare insieme per una sempre maggiore qualità e individualità del vino».

Michael Goëss-Enzenberg, della tenuta altoatesina Manincor, dirige l’associazione in qualità di presidente. Il suo vice è l’enologo della Kamptal, Fred Loimer (nella foto sopra, a destra).

Respekt-BIODYN si è affermata negli ultimi anni a livello internazionale, accanto a Demeter e Biodyvin, come una forza importante e trainante nella viticoltura biodinamica. In totale, i membri di respekt coltivano una superficie di circa 1.010 ettari.

UN VINO BIODINAMICO AUSTRIACO DA NON PERDERE

Kremstal Dac Reserve 2019 Riesling Ried Gebling 1 öwt, Sepp Moser

Siamo in Bassa Austria, nel Weinviertel, con il Riesling in purezza prodotto dalla tenuta Sepp Moser. Si tratta della cantina guidata dal portavoce di Demeter Austria, Niki Moser.

Alla vista, il vino si presenta del canonico giallo paglierino, con lievi riflessi verdolini che ne sottolineano la gioventù. Naso intenso ed elegante, dominato da ricordi d’agrumi: netto il pompelmo.

Non manca la frutta a polpa gialla (una nettarina polposa), così come richiami floreali freschi. Deciso e giustamente affilato il sorso, che scivola su note perfettamente corrispondenti al naso. Centro bocca e chiusura sferzate dalla freschezza tipica del vitigno. Un Riesling all’inizio del suo percorso di vita pluridecennale.

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Celler Credo e il Penedès: quattro vini biodinamici dalla Spagna più autentica

Celler Credo, o meglio Can Credo, è il diminutivo con cui è nota a Sant Sadurní d’Anoia la famiglia Recaredo. Un nome che risuona nitido nella Hall of fame dei produttori di spumanti Metodo Classico originari del Penedès, da qualche anno ufficialmente riconosciuti dall’Ue con il nome di Corpinnat (non più Cava).

Quello che tutti non sanno è che la cantina si concentra anche sulla produzione di vini bianchi fermi. Sorsi della Spagna più autentica, sinceramente votata alla viticoltura biodinamica e a alla valorizzazione dei vitigni autoctoni.

È il caso del Vino de mesa And the Winner is, un vino bianco generico di tutto rispetto, frutto dei vigneti più giocani di Xarel·lo, Macabeu, Parellada e Monastrell. Sino ad ora prima ed unica etichetta della linea “Patchwork Wine”. «Una chiara dichiarazione di intenti sul riutilizzo delle risorse e sull’obiettivo di costruire un’economia circolare attorno alla nostra cantina».

C’è poi Volaina, 100 % Parellada della linea “Biodiversity Wine”. Si tratta del risultato dell’impegno condiviso di Celler Credo con il Museo di Scienze Naturali di Granollers, per difendere la biodiversità in Catalunya.

Tra i vigneti di Parellada, a un’altitudine superiore a 500 metri sul livello del mare, viene monitorato il ciclo di vita delle “Volaines” (“Farfalle”, in catalano) come bioindicatrici. Vino e vita degli animali che popolano il Penedès si incrociano anche in altri due bianchi fermi della cantina di Sant Sadurní d’Anoia.

La limited edition Ratpenat (“Pipistrello”, in catalano), è un monumento al mammifero essenziale per l’equilibrio degli ecosistemi. Macabeu in purezza dal cru La Riera Seca, vigneto di 2 ettari a nord di Piera, con terreno composto da ardesia e ghiaie di quarzo. Un unicum nel Penedès, con viti ad alberello di 30 anni.

Infine Miranius, nome di fantasia appioppato da Can Credo a una delle volpi che si aggirano tra i vigneti di Xarel·lo di Plana del Penedès, Muntanyes de l’Ordal (400 metri d’altezza) e Vall del Bitlles. Tutti vini certificati biologici, Demeter e vegan, con livelli di solforosa molto contenuti, compresi fra i 30 e i 39 mg/l.

LA DEGUSTAZIONE

Vino de mesa And the Winner is… 2019 (11% vol.): 92/100

Vino prodotto con uve Xarel·lo, Macabeu, Parellada e Monastrell, portabandiera della linea “Patchwork Wine” di Celler Credo. Giallo paglierino luminoso, riflessi verdolini leggeri. Naso intenso ma delicato ed elegante. Si gioca su ricordi di fiori di campo, frutta a polpa bianca ed agrumi (tra scorza e succo), su sottofondo fumé che ricorda la pietra bagnata e la brace appena spenta.

Non manca un ricordo nitido di macchia mediterranea, sferzata dalla salsedine. Il sorso che si gioca, dall’ingresso alla chiusura, su un brillantissimo contrasto tra durezze e morbidezze. Un quadro di perfetta corrispondenza con quanto avvertito al naso.

Riecco l’agrume, tra la buccia e la polpa. Riecco anche la pesca bianca, così come il melone. Un esotico in punta di piedi, appena maturo, precisissimo. Chiusura asciutta, anche grazie a un tenore alcolico molto contenuto.

Il tutto, nonostante la parte setosa del sorso non accenni a cedere il passo alla lama elettrica della freschezza e della mineralità. Un gran bell’assaggio, all’insegna di una formula, su tutte: sfizioso equilibrio. Vino, al momento, in stato di grazia. And the Winner is.

DO Penedès Volaina 2018 (9,5% vol.): 90/100

100 % Parellada della linea “Biodiversity Wine”. Giallo paglierino, riflessi verdolini. Al naso molto tipico. Rispecchia le caratteristiche della varietà che, nella cuvée degli entusiasmanti spumanti Metodo classico Corpinnat del Penedès, conferisce eleganza e profondità.

C’è la frutta e c’à l’immancabile impronta minerale, così come non mancano i ricordi di anice e finocchietto selvatico. Sorso agile, snello, tutto giocato sulla freschezza e sull’acidità, ma non per questo banale.

L’allungo fresco sapido, ben sostenuto dal frutto, regala una beva compulsiva a questo vino di Celler Credo. Modernità e tipicità perfettamente coniugate in un’etichetta che richiama senza dubbio la Spagna più autentica.

DO Penedès Ratpenat 2018 (11% vol.): 91/100

100 % Macabeu della linea “Biodiversity Wine”. Colore giallo paglierino, riflessi verdolini. Naso particolarmente stratificato, pur nella sua essenza legata inscindibilmente agli aromi primari. Si spazia dall’esotico alle venature minerali, tra il fumé e la pietra bagnata. Dal floreale secco all’agrume. Dal melone bianco al finocchietto selvatico.

Non manca un accenno aromatico, appena percettibile, oltre a una spolverata di pepe bianco. Tanta carne al fuoco e concentrazione per un’uva dallo spettro notoriamente ridotto, in termini di complessità.

In bocca, di fatto, è una lama. Freschezza e sapidità dominano il sorso, in un quadro di solitudine gioiosa, tutt’altro che nostalgica. La chiusura, preziosa e salata, tende la mano a quel po’ di frutto che in ingresso faceva da spettatore.

Gli fanno compagnia precisi e garbati ritorni di erbe mediterranee, fresche e toniche. Un manifesto di Can Credo alla complessità della semplicità. In salsa Penedès.

DO Penedès Miranius 2018 (11% vol.): 90/100

100 % Xarel·lo della linea “Xarel·lo Wines”. Giallo paglierino luminoso, riflessi dorati. Naso molto garbato, di un floreale fresco ulteriormente ingentilito da note aromatiche, di frutta matura.

In questa etichetta di Celler Credo Si distinguono pesca, albicocca, melone e pera matura, su un sottofondo pregevole di erbe mediterranee e toni iodico-minerali tra la salsedine e la pietra bagnata.

Il sorso è giocato sull’equilibrio tra acidità e morbidezze, che si dividono la parte del protagonista. Dopo un ingresso citrico, prendono spazio in centro bocca le note di frutta matura. Perfetto equilibrio anche in chiusura.

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Vin de France Large Soif Rosé 2020, Terra Vita Vinum – Domaine Viticole en Anjou

Gustosa sorpresa d’Oltralpe con il Vin de France Large Soif Rosé 2020 di Terra Vita VinumDomaine Viticole en Anjou. Un rosato tanto moderno quanto legato alle radici territoriali, prodotto con uve Gamay e Grolleau da una delle cantine emergenti nel panorama dei vini biodinamici francesi.

LA DEGUSTAZIONE

Nel calice, Large Soif Rosé 2020 si presenta di un rosa salmone luminoso, acceso. Il naso sembra riflettere i colori di cui si tinge il vetro. Intenso, su ricordi di frutta e spezie, racconta la storia di un cesto di frutta ricco e variegato.

Si passa dai piccoli frutti rossi croccanti (ribes, fragolina di bosco, lampone) a polpe gialle e bianche (pesca, ananas, banana). Al sorso è teso, fresco, agrumato e leggermente sapido.

Caratteristiche che virano, sul finale, nella direzione delle spezie: pepe bianco, cannella, chiodo di garofano. Un pizzico d’anice stellato. Persistenza ottima per Large Soif Rosé 2020, giocata su bilanciati ritorni di frutta e spezie fresche e vagamente dolci.

LA FILOSOFIA

Vino che certamente lascia il segno per la particolarità di un naso e di un sorso che raccontano perfettamente l’intento di Domaine Viticole en Anjou. Così come quello della linea di vini Large Soif.

Ovvero la leggerezza, la facilità di beva che diventa manifesto, senza passare dalla standardizzazione e dall’uniformizzazione. Anzi, tenendo i piedi ben saldi in una filosofia produttiva che mette al centro il varietale e la tipicità del vitigno.

Ampissima la possibilità di abbinamento di questo Rosé 2020. Stando ai consigli della cantina, il migliore sono gli amici. Il termine “Large Soif”, infatti, è un omaggio al grande chef francese Paul Bocuse, l’unico a mantenere le 3 stelle Michelin per 50 anni, ininterrottamente.

LA VINIFICAZIONE

Da una parte il Gamay, noto per la produzione dei vini del Beaujolais. Dall’altra il meno famoso Grolleau, particolarmente diffuso nella Valle della Loira e in voga nella produzione dei Rosé d’Anjou.

La scelta degli artisan vigneros di Terra Vita Vinum – Domaine Viticole en Anjou non poteva ricadere su varietà migliori. L’intento della linea di vini “Large Soif”, tradotto dal francese “Sete abbondante”, è ricaduto su due varietà rinomate per la loro acidità. Ovvero freschezza.

Gamay e un tocco di Grolleau contribuiscono di fatto a un naso e a un sorso fruttato e speziato, tutto tranne che banale. Merito (anche) del terreno in cui affondano le radici le viti, ricco di Schistes de l’Anjou noir. Si tratta dello scisto nero dell’Anjou, intervallato da lastre di quarzo. Tutto tranne che un impasto grasso, insomma.

La coltivazione viene effettuata in modo tradizionale e selettivo, senza diserbo chimico. Le piante vengono protette da preparati a base di prodotti naturali, come richiesto dalla certificazione biodinamica Demeter.

In cantina si procede alla pressatura diretta delle uve Gamay e Grolleau. Seguono fermentazione con lieviti indigeni e affinamento in vasche di acciaio inox. Il contenuto contenuto di solfiti è molto basso: 34 mg/l, ben al di sotto dei limiti di legge (200 mg/l per i convenzionali nell’Ue, 150 mg/l per i vini biologici e 90 mg/l per i vini Demeter).

LA CANTINA

Terra Vita Vinum – Domaine Viticole en Anjou è una realtà di circa 30 ettari situata nella Valle della Loira. Prende vita nel 2019, quando tre motivatissimi vigneronBénédicte Petit, Luc Briand e Christophe Aubineau – subentrano nella gestione di Domaine Richou, fondato dall’omonima famiglia originaria dell’Anjou.

Dopo anni di regime biologico, il Domaine ha ormai formalizzato la sua transizione alla viticoltura biodinamica. «Più che un cambiamento nella moda culturale – spiegano i tre artisan vigneros – è una vera mutazione culturale intorno alla Terra, alla Vita e al Vino».

Terra, Vita, Vinum” diventa infatti molto più di un claim per la tenuta d’Oltralpe. Qualcosa formula voluta «per illustrare questa importante evoluzione del Domaine, che ha deciso di adottare un nome e un logo che riflettano questi forti valori di attaccamento alla terra, alla vita e al vino».

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eventi vini#02 visite in cantina

Anche il Nero di Troia tra i “Barolo del Sud”: provare per credere quello di Giancarlo Ceci


ANDRIA –
Quando si pensa al Sud Italia e ai suoi vini più longevi, spesso si cita l’Aglianico del Vulture, o il Gaglioppo di Cirò. Vitigni che trovano un degno alleato in uno dei territori della Puglia meno conosciuti dal grande pubblico, fagocitato dalla popolarità del Primitivo e del Negroamaro.

Quel vitigno è il Nero di Troia. E quel territorio è la provincia di Barletta-Andria-Trani, stretta tra Bari e Foggia. La terra della giovane Docg Castel del Monte Rosso Riserva e della Doc che porta il nome del maniero ottagonale fatto erigere nel XIII secolo da Federico II di Svevia.

È Radici del Sud 2019 a regalare l’emozionante degustazione di quattro annate di “Parco Marano” (2006) e Felice Ceci (2007, 2008, 2009) della cantina Giancarlo Ceci di Andria, tutte ottenute da Nero di Troia in purezza.

Un approfondimento pensato per la stampa e i buyer nazionali e internazionali da Nicola Campanile, promotore del Salone dei vini e degli oli del Mezzogiorno, giunto quest’anno all’edizione numero 14. Il tasting consente di annoverare il Nero di Troia tra i vini-varietà più longevi d’Italia.

LA DEGUSTAZIONE E I PUNTEGGI


Castel del Monte Doc Rosso 2006, “Parco Marano”: 94/100

Colore che tiene ancora alla perfezione, nonostante i 13 anni sulle spalle. Naso complesso, armonico, più che mai vivo e in continua evoluzione nel calice. Arancia rossa netta, che traghetta note ferrose e sanguigne. Macchia mediterranea. Miele leggero.

Al contempo note profonde, balsamiche, ed eteree: mentuccia e cuoio, fumo di sigaro. In bocca freschissimo e speziato, su descrittori corrispondenti al naso. Annata con poche pioggia, che ha favorito la corretta maturazione fenolica. Prezzo in enoteca da non credere: solo 14 euro. Vino da compare a cartoni, da dimenticare in cantina.

Castel del Monte Rosso Riserva Doc 2007, Felice Ceci: 92/100
Primo anno di produzione, il 2007. Nel 2006 scompare il padre dell’attuale titolare della cantina, Giancarlo Ceci, che dedica a papà Felice l’etichetta del migliore cru aziendale. Un vino ottenuto da un biotipo particolare di Nero di Troia, connotato da un acino piccolo. Colore perfetto, tinte granate intense. Il naso regala un frutto più maturo della precedente annata.

Al contempo il tannino marca il sorso in maniera più netta. Buona freschezza e succosità. Chiusura leggermente piccante, speziata, su richiami di salamoia di olive nere. Altro vino più che mai vivo e dinamico. La pioggia di luglio e agosto, nel 2009, ha generato un ritardo leggero nella maturazione polifenolica, giunta comunque a perfetto compimento.

Castel del Monte Rosso Riserva Doc 2008 “Felice Ceci”: 90/100
Il colore tiene, eccome. Naso ancora una volta intenso, sul frutto di bosco, sul ribes. Di nuovo l’arancia sanguinella e quella percezione sanguigna e ferrosa. Al palato meno freschezza degli altri, ma più sapidità.

Tannino che scandisce un sorso sabbioso, fruttato e cioccolatoso. Vino tutt’altro che seduto, assimilabile all’etichetta 2006, se non altro per l’andamento climatico simile tra le due annate. Lo dimostra, in chiusura di sipario, una balsamica freschezza, unita a spolverate di spezia nera.

Castel del Monte Rosso Riserva Doc 2009 “Felice Ceci”: 89/100
E’ il più cupo dei vini in batteria. Il più timido. Si fa aspettare come una bella donna sotto casa, la sera del primo appuntamento. I richiami di radice di liquirizia e rabarbaro portano il naso su un profilo terroso.

La freschezza, in centro bocca, solleva il sorso dopo l’ampia boccata di frutto, ancora nascosto sotto la coltre di un tannino vivo, che sta familiarizzando col resto delle componenti, tentando di integrarvisi. Si riconferma ancora una volta speziata e intrigante la chiusura. Vino da aspettare.

LA CANTINA GIANCARLO CECI


E’ un mix di tradizione e innovazione quello che sta alla base della filosofia della cantina Giancarlo Ceci di Andria. Strenuo sostenitore della biodinamica e dei suoi “principi scientifici”, Ceci litiga col padre per trasformare l’azienda di famiglia in un baluardo dell’agricoltura “sostenibile”. La certificazione Demeter arriva nel 2011.

Nel team, oltre alla figlia Clara, l’enologo “resident” Michele Paolicelli, motivatissimo (e preparatissimo) 29enne del posto, coadiuvato dal consulente enologo esterno, Lorenzo Landi. Una nave rema tutta nella direzione del capitano.

Sono nato e vissuto in questa azienda che si tramanda da otto generazioni – dice Giancarlo Ceci – e la mia infanzia e adolescenza a contatto con la natura hanno creato un legame indissolubile con essa. Auguro a tutti i ragazzi lo sviluppo di questo legame che servirà loro per tutta la vita”.

Tra i progetti per il futuro, il consolidamento delle linee senza solfiti aggiunti. Mentre nel cuore della famiglia Ceci continua a battere il Nero di Troia. “Un vitigno noto nell’800 come Rosso di Barletta – ricorda ancora il patron della cantina di Andria – da dove partiva via nave per la Francia”.

Sulle pareti della cantina museo, le bolle di accompagnamento testimoniano i rapporti degli antenati di Giancarlo Ceci con diverse compagnie d’Oltralpe, ma anche del Nord Italia, tra cui diverse piemontesi.

“Il successo delle uve di Nero di Troia fuori regione, dove veniva usato per dare struttura tannica ai vini – ammette il produttore – è l’unica ragione per la quale questo vitigno è arrivato ai giorni nostri. Si tratta infatti di una varietà che produce poco ed è facilmente soggetta a malattie”.

Caratteristiche che ancora oggi contraddistinguono questo “Barolo del Sud”, dalle rese che difficilmente si discostano dai 90-110 quintali per ettaro, in casa Ceci. Un tesoro da continuare a preservare, nel tempo e per il tempo.

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degustati da noi vini#02

Terre di Chieti Igp Malvasia 2017 “Clorofillae”, Zeropuro Orsogna Winery

(4 / 5) La sostanza oltre alla forma. Già, perché dietro a quel grembiulino da scolaretta “green”, dalle vaghe tinte radical chic, si nasconde un vino di carattere: la Malvasia 2017 “Clorofillae” di Orsogna Winery.

Un nettare dall’anima “ambientalista”, garantita dal brand “Zeropuro“: l’abitino-etichetta è facilmente separabile dalla bottiglia, per favorirne il riciclo attraverso la raccolta differenziata. La forma innovativa rispetta le normative di legge.

Pochi punti di colla, al posto della copiosa “inzuppata” dei vini convenzionali, la tengono ancorata al vetro. Molto più, insomma, dell’ormai sdoganato marketing sui vini da agricoltura biodinamica e “senza solfiti“.

“La sostenibilità come principio ispiratore e metodo pratico di lavoro”, per dirla con le parole della cantina abruzzese, certificata Demeter. Solo solfiti naturali, niente lieviti selezionati, fermentazione spontanea. Ma soprattutto un vino buono.

LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, la Malvasia Igt Terra di Chieti “Clorofillae” Zeropuro si presenta di un giallo paglierino con riflessi dorati, con velature leggere che ne rivelano il mancato filtraggio. Il naso è intrigante. I marcatori aromatici del vitigno risultano evidenti.

Ma alla frutta a polpa gialla, tendente al maturo, si affiancano preziose note che rimandano agli agrumi. Non mancano leggeri sbuffi speziati, che ricordano lo zenzero. Il sorso è corrispondente. Dopo un ingresso aromatico, il  centro bocca verte su una nota vagamente amara, prima dei ritorni di frutta matura e liquirizia.

Il tutto in quadro di buona freschezza e salinità leggera, che controbilancia in maniera ottimale la polpa. Una Malvasia, “Clorofillae”, che con queste caratteristiche guadagna in complessità e, al contempo, in termini di bevibilità.

Un vino perfetto a tutto pasto, che accompagna bene piatti a base di verdure come torte salate o tortini, oltre a zuppe, pesce e carni bianche. Da provare anche con formaggi di media stagionatura.

LA VINIFICAZIONE
Come tutti i vini di Orsogna Winery, anche l’Igt Terre di Chieti Malvasia “Clorofillae” rispetta alcuni principi fondamentali, garantiti dalla certificazione Demeter Italia.

L’anidride solforosa è usata al minimo dosaggio possibile. Vengono poi evitati coadiuvanti e additivi che incidono sull’ambiente e sulla salute, sia per il loro impiego sia per il loro smaltimento.

Inoltre, tutti i sottoprodotti che derivano dalla lavorazione delle uve, siano essi residui organici o acque reflue, sono gestiti in modo che gli effetti negativi sull’ambiente vengano minimizzati.

Da qui l’attenzione alle etichette, prodotte con una miscela di polvere di pietra (carbonato di calcio) e resine atossiche (polietilene ad alta densità) che agiscono come legante.

Nessun albero viene tagliato durante il processo di produzione della carta pietra perché si utilizza esclusivamente materiale inerte proveniente da scarti di lavorazione come base della sua composizione.

La carta pietra è fotodegradabile in un periodo di 14-18 mesi. È inoltre 100% riciclabile e recuperabile per produrre altra carta pietra, materiali plastici, materiali per l’industria edile e metallurgica e per l’agricoltura.

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degustati da noi vini#02

Castel del Monte Rosso Doc 2015 Almagia, Giancarlo Ceci Agrinatura

(4 / 5) Torniamo ancora una volta in Puglia, nel pieno del Parco nazionale dell’Alta Murgia, per assaggiare il Castel del Monte docAlamagia“, annata 2015, prodotto da Giancarlo Ceci Agrinatura.

LA DEGUSTAZIONE
Rosso rubino intenso, riflessi violacei, per nulla trasparente. Si presenta così agli occhi, inteso e pieno. Al naso emergono subito note di frutti rossi, soprattutto ciliegie molto mature.

Seguono sentori di macchia mediterranea ed una nota terrosa. Gradevoli terziario di caffè macinato ed una leggera balsamicità mentolata.

In bocca è armonico e morbido. Buona freschezza che all’attacco del sorso veste il tannino facendolo emergere solo in un secondo momento.

Ed eccolo quindi il tannino, vellutato, che veste in modo delicato eppur deciso la bocca durante la buona persistenza. Persistenza durante le quale si avvertono nel retro olfattivo tutti i profumi sentiti al naso.

LA VINIFICAZIONE
Nero di Troia (60%) e Montepulciano (40%) da agricoltura biologica e biodinamica. Pigiatura soffice ed uso di lieviti indigeni. Rimontaggi giornalieri e macerazione di 10 giorni a temperatura controllata post fermentazione. Vinificazione, fermentazione malolattica ed affinamento di 4 mesi in acciaio.

Nessun utilizzo di solfiti aggiunti, l’azienda è infatti certificata Demeter dal 2011 e mantiene un approccio “green” per tutte le attività, non solo quelle legate alla produzione vitivinicola.

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Domaine de Beudon. Viaggio nella Svizzera dove si vive (e si muore) di vino

Scricchiola, appesa ai fili tesi al cielo di Fully, canton Vallese, la teleferica di Jacques Granges e Marion Granges-Faiss. Scricchiola. Sembra arrancare, a tratti. Barcolla un poco, mentre sale. Ma non si ferma. E non si fermerà mai. E’ il cuore grande di Marion e delle sue tre figlie che la tiene in funzione. Anche ora, anche oggi. Anche se per metà, quella teleferica, non avrebbe più senso d’esistere. Di raggiungere il cielo. Almeno da quel terribile 10 giugno 2016. Quel giorno che nel Valais – e non solo – nessuno scorderà più. Jacques era solo. A 870 metri d’altezza. Tra le sue vigne. Una distrazione, tra i filari. Forse a causa della fatica, dovuta alla fortissima pendenza del terreno. Il macchinario su cui si trovava si è ribaltato. Alcuni operai hanno trovato Jacques una decina di minuti dopo. Privo di vita. Per il forte trauma subìto alla testa. Inutili i soccorsi. I disperati tentativi di rianimazione. Lo attendevano per la pausa pranzo. Erano le 12.30 passate. E Jacques era un tipo puntuale. Se n’è andato così, il padre della viticoltura biodinamica svizzera. All’età di 70 anni. Se n’è andato tra le sue vigne. Tra le sue “figlie”. Tra le piante di Fendant, Riesling Sylvaner, Gamay e Pinot Nero. Se n’è andato lasciando Domaine de Beudon nelle sapienti mani della moglie Marion, che da una vita gli era accanto, anche in vigna. Per cercare di trarre il meglio, seguendo i principi della biodinamica (no diserbi, no concimi: in due parole “no chimica”) dallo splendido terroir di “loess”, come chiamano da queste parti l’argilla mista a sabbia e detriti morenici. Combattendo quotidianamente con le insidie del meteo e, in generale, con Madre Natura. Un’amica nemica da rispettare, quassù. Anche quando decide di fare la stronza. “Science, Coscience et Amour. Lo diceva sempre, Jacques. Aggiungendo subito dopo, ‘Tant Amour. Mi faceva sempre tanto ridere!'”. E’ con le parole del marito che Marion Granges-Faiss ci accoglie nella sua casa sulla montagna. Di nome e di fatto. Ci siamo fatti caricare sulla teleferica da Laura, l’impiegata storica del Domaine de Beudon. E abbiamo raggiunto l’abitazione, costruita proprio lassù. Tra le vigne eroiche. Cinque minuti di pura adrenalina, per arrivare a quasi 900 metri d’altezza. Sul cielo di Fully. Sul cielo di una Svizzera che piange ancora oggi, per la scomparsa di un grande uomo. Un rivoluzionario del vino. E della vita. Prende per mano il nipotino, Marion. Tra le dita sporche di terra il piccolo di 4 anni tiene una mela succulenta. Che sgranocchia goloso, durante il nostro tour delle vigne. Niente snack da queste parti: solo cibo genuino. La vista, tra i filari, è di quelle che mozzano il fiato. Ma è Marion che riesce a toglierti il respiro. Per davvero. Ancora più delle vertigini. E a farti lacrimare il cuore.

Cammina come un gatto tra le sue piante, Marion. Sinuosa, esperta. Delicata, decisa. E’ l’ossimoro fatto donna. Ogni tanto, tra una parola e l’altra in inglese, francese e italiano, si ferma. Si piega, sciolta. Strappa da terra un po’ di verbena e te la mette sotto il naso. “Quassù è pieno di piante officinali”, fa notare. “Ci facciamo delle buonissime tisane”. Profumi che ritroveremo nei vini del Domaine de Beudon. Chiari, netti, fini, in ognuna delle 25-30 mila bottiglie prodotte in media ogni anno dalle uve del Domaine, lavorate a Saillon nella cantina di Pierre Antoine Crettenand. “Perché noi non abbiamo mai avuto una cantina tutta nostra”, spiega Marion. Del resto di lavoro ce n’è sempre stato abbastanza tra i 7,5 ettari di proprietà della famiglia. Vigne che il 1 luglio hanno compiuto i 45 anni dal loro acquisto. Un traguardo che Jacques Granges ha solo sfiorato. “Negli anni ’70 l’acquisizione dei terreni – spiega la Signora del vino svizzero – e dal 1992 la certificazione del biodinamico, anche se fin dall’inizio ne abbiamo rispettato i princìpi. Come mai questa decisione? Perché noi siamo esseri umani e dobbiamo rispettare il nostro prossimo, ma anche l’ambiente. Il vino che produciamo, del resto, è per la gente. La biodinamica, per noi, è sempre stata più che una scelta una necessità morale: per noi, per i nostri cari, per il prossimo. Per la Terra”. Non a caso Domaine de Beudon aderisce al circuito di viticoltori Triple A – Agricoltori, Artigiani, Artisti: unica casa vinicola dell’intera Svizzera.

LA DEGUSTAZIONE
Una scelta radicale. Compiuta con la consapevolezza dell’amore per la propria terra. Ma anche una decisione preziosa, dal punto di vista enologico. I vini biodinamici non filtrati di Jacques e Marion Granges-Faiss sono ormai riconosciuti internazionalmente come straordinari. Oltre il pionierismo. Oltre certe leggi non scritte del vino svizzero, secondo le quali – per esempio – un Fendant “va bevuto giovane”. Nel calice la vendemmia 2004 Beudon si presenta ancora d’un bel giallo paglia, con riflessi verdolini. Al naso l’impagabile freschezza delle note fruttate (albicocca) e uno spunto vegetale che costituirà il fil rouge, preziosissimo, di tutta la produzione del Domaine de Beudon. Un contrasto solo apparente, in quadro in cui anche la mineralità gioca un ruolo fondamentale. Vini d’agricoltura, d’artigianato. Vini d’arte. Vini di fatica. Vini folli. Basti pensare che in occasione della vendemmia, per i bianchi è prevista una prima pressatura in “alta quota”. Il mosto scorre dunque verso il basso mediante una canalina, costruita appositamente. Una volta a “terra”, il prezioso nettare finisce nelle vasche inox per la chiarifica (dèbourbage), poi condotte alla cantina di Pierre Antoine Crettenand per la lavorazione. Per i rossi il discorso è diverso. Ancora più folle, se possibile. Le uve, raccolte in piccole cassette, vengono condotte dai 600-900 metri d’altezza delle vigne sino a terra (a 450 metri slm) mediante ripetuti viaggi in teleferica. Immaginate un ‘ascensore’ pieno di cassette d’uva appena colta a grappoli, che scende dai monti come un dono del cielo. Viticoltura eroica dal campo alla bottiglia, insomma. Ed eroico è pure il Riesling Sylvaner 2004 del Domaine de Beudon. Ottenuto da un appezzamento di 1,6 ettari situato interamente a 800 metri d’altezza, risulta aromatico come un giovane moscato al naso, nonostante i 12 anni, con un tocco di miele delicato e fine. Lunghissimo in bocca, chiude su note amarognole che ricordano vagamente il rabarbaro. La degustazione prosegue con un Johnannisberg 2013 di grandissima intensità olfattiva. Miele, erbe d’alpeggio. Si passa ai rossi, con il Gamay 2009 (13%). Un assemblaggio tra uve provenienti da diversi appezzamenti del vigneto. Splendido tannino, gran frutto. Un marchio di fabbrica garantito dalle lunghe e lente macerazioni in acciaio. “Per garantire la tipicità del vitigno”, spiega Marion. Constellation 2007 (12,5%) è invece il riuscitissimo blend tra Pinot Noir, Gamay e Diolinoir, varietà autoctona del Vallese. “Con la biodinamica riusciamo a ottenere più ‘estratto’ di tutto”, commenta ancora la viticoltrice, sorseggiando il rosso. E in effetti siamo di fronte a un vino sensualissimo. Dai profumi vellutati di frutta (piccole bacche rosse) al riconoscibilissimo sentore di rosa. Un vino sinuoso, del fascino della discretezza. Anche al palato. Dove chiude con le canoniche note di erbe officinali, persistenti, lunghe. Chiudiamo con il Petite Arvine 2014, premiato come miglior vino bianco bio della Svizzera. Lo degustiamo leggermente fuori temperatura. Ma ne apprezziamo comunque la freschezza. Bel naso, a cui risponde in bocca una portentosa struttura e calore: verbena, timo, limone. La sensazione è quasi balsamica. “Adesso le tocca raccontare che i vini svizzeri ottenuti dalla viticoltura biodinamica sono longevi”, scherza Marion. Ci “tocca”? Dobbiamo. Chapeau.

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