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Quatar Pass per Timurass: i migliori vini degustati tra i Colli Tortonesi

Slow Food Piemonte e Valle D’Aosta fa centro, un’altra volta. Si è conclusa con un successo la grande domenica tra le cantine della Doc Colli Tortonesi, lo scorso 19 giugno. Quatar Pass per Timurass, quarto appuntamento del ricco programma di Cantine a Nord Ovest, ha visto la partecipazione di 210 persone. E mentre la macchina organizzativa di Slow Food è già all’opera per il prossimo appuntamento (il 23 luglio per “Scopri il Canelli”, incentrato sull’Oro Giallo, il Moscato d’Asti) Leo Rieser, responsabile eventi della banda piemontese della chiocciola, gongola per il risultato raggiunto. “E’ stata l’edizione di Quatar Pass per Timurass di maggiore successo – evidenzia – pur essendo questo appuntamento uno dei meno storici dell’intero candelario. Abbiamo incontrato persone che erano già state qui nelle edizioni precedenti, a dimostrazione della grande attrattività di questo territorio, che oltre al Timorasso offre grandi vini rossi e specialità gastronomiche eccezionali, come il formaggio Montebore e il salame Nobile del Giarolo”. Un ‘microclima’ particolare, dunque, anche per i rapporti tra viticoltori. “La peculiarità dei Colli Tortonesi – sottolinea Rieser – è che l’esponente d’eccellenza Walter Massa ha saputo recuperare un vitigno autoctono come il Timorasso e creare, assieme ad altri grandi pionieri della zona, un sistema di sincera collaborazione tra viticoltori. Una collaborazione fattiva, tutt’altro che di facciata. Non so quanto sia sincera o puramente provocatoria la dichiarazione che nel 2018 smetterà di fare vino, a voi rilasciata. Quello che mi sento di dire – conclude l’esponente Slow Food – è che qualsiasi cosa farà, la saprà fare benissimo. Walter Massa è un grande, non hai mai sbagliato un colpo. Ma è anche l’uomo dei grandi annunci, dunque staremo a vedere”.

CLAUDIO MARIOTTO

Non è iniziato da Walter Massa il tour di vinialsupermercato.it tra le cantine dei Colli Tortonesi. Bensì da un altro grande riferimento della zona: Claudio Mariotto. Lo abbiamo raggiunto nella cantina di strada per Sarezzano 29, proprio a Tortona, dopo aver ritirato il nostro calice al banchetto Slow Food allestito presso “Il Dì Cafè” di corso Leoniero, angolo piazza Duomo. Grande ressa già alle 11 alla cantina di Mariotto. “Il Timorasso – dichiara il viticoltore – ha fatto sì che un territorio pressoché sconosciuto avesse visibilità. Oggi il Timorasso è a New York, Tokyo, Londra e in tutto il mondo. in vigna l’attività viene portata avanti nel rispetto dell’ambiente, senza entrare però nella partitocrazia del mondo del vino di oggi: mi riferisco alle bandierine del ‘biologico’ o del ‘vino etico’. Facendo vino buono, senza avere soldi per fare pubblicità, si diventa dei riferimenti: il marketing nel vino si fa con le bottiglie buone, bicchiere dopo bicchiere. In una parola, il mio vino è vero”. Oltre a uno splendido Derthona 2010, vino delizioso che promette ancora parecchi anni di evoluzione in bottiglia, degustiamo Pitasso 2004: ottenuto dalla vigna storica di Timorasso, esposta a sud est sul territorio di Vho, colpisce per la potenza espressa dalla struttura, ma anche per le note fruttate che esaltano una beva lenta e voluttuosa, in un sorso che pare di glicerina pura. Le radici profonde della vecchia vecchia pescano gli elementi nutritivi da un suolo che regala un’espressione fantastica di Timorasso, da provare. Ottimi anche i rossi di Mariotto. La Freisa 2014 Braghé è un esempio di quanto questo antico vitigno autoctono piemontese possa essere (anzi debba essere) ulteriormente valorizzato in Italia e nel mondo. Un naso elegante e fine di rosa e piccole bacche rosse, precede un palato in cui le note fruttate di marasca e lampone – chiare, distinte, pulite – chiudono un sorso di grande corpo e sapidità. Chiudono il cerchio i vini Barbera di Mariotto, vero trait d’union di un terroir capace di regalare grandi bianchi, ma anche eccellenti rossi. Non a caso Poggio del Rosso è il vino preferito del viticoltore tortonese, quello che considera la migliore espressione della sua intera produzione. E non solo per una questione di cuore, dal momento che “Il Rosso” è il soprannome col quale veniva chiamato il padre Oreste. Il Poggio del Rosso affina 3 anni in cantina, per la maggior parte in rovere. Risulta così un vino dal tannino morbido ma vivace, impreziosito da note di ciliegia e cioccolato. Sentori terziari di grande pregevolezza già percepibili al naso: dalla cannella al tabacco dolce, dal caffè alla liquirizia.

LA COLOMBERA

Non è dello stesso impatto “emotivo” la visita all’azienda Agricola Semino Piercarlo “La Colombera” di strada comunale per Vho, 7, a Vho per l’appunto. Degustiamo Derthona e Il Montino, entrambi ottenuti da uve Timorasso. Viene proposta una mini verticale che mette in luce le grandi capacità di invecchiamento del vitigno, anche se i prodotti de La Colombera paiono meno ‘pronti’ in gioventù rispetto ad altri degustati domenica 19 in zona Tortona. Le annate 2014 e 2013 suggeriscono di bere Cortese piuttosto che Timorasso, per trovare soddisfazioni immediate sia al naso sia al palato. Merita invece una menzione il Derthona 2009: caldo, complesso, finalmente corposo e strutturato. Capace di regalare i tipici idrocarburi e sentori minerali del vitigno. Lascia perplesso il prezzo di vendita della vendemmia 2009 Derthona: soli 9 euro, a dispetto degli 8 euro delle vendemmie ‘giovani’. In una zona vinicola capace di fare squadra come in poche altre in Italia, una tale disparità di prezzi tra le stesse annate di diversi produttori rischia di sconcertare il consumatore. E deviarlo verso la ricerca del prezzo, più che della qualità. Un punto, questo, su cui devono lavorare in concerto i produttori di Timorasso, pur nell’autonomia delle singole aziende vitivinicole. Alla Colombera apprezziamo anche il naso di Suciaja, rosso ottenuto da uve Nibiò, vitigno autoctono dei colli tortonesi, ‘parente’ del Dolcetto. Ottimo invece nel complesso Arché 2011, altro vino rosso de La Colombera, ottenuto questa volta da uve Croatina. Dopo un breve appassimento sulla pianta, i grappoli vengono raccolti e vinificati. Il vino matura 14 mesi in tonneaux, regalando un naso speziato (pepe) e di piccoli frutti a bacca rossa. Al palato buona la struttura e il corpo: tannino piuttosto elegante e alcolicità sostenuta (14,5%) ma tutt’altro che fastidiosa, impreziosita da una sapidità non banale.

WALTER MASSA
Il filosofo del vino, il pioniere e marinaio che ha condotto Tortona a Hong Kong, passando per Londra, New York e Tokyo. Dire Timorasso senza citare Walter Massa è come parlare di calcio senza aver mai toccato un pallone. Lo raggiungiamo all’ora di pranzo nel suo quartier generale di piazza Capsoni 10, a Monleale. Quando arriviamo, Massa sta dicendo messa. E’ al centro di una lunga tavolata, affollata di ospiti che lo ascoltano come se stesse parlando il Messia. Perché Walter Massa è il verbo del Timorasso e il Timorasso è il verbo di Walter Massa. Per questo, chi non c’era, provi a portarsi a casa un Costa del Vento (dalla vendemmia 2014 in giù, finché il portafogli lo consente); o uno Sterpi 2013, un Timorasso che pare per certi versi Vermentino di Gallura. “Io prendo quello che la natura mi dà e cerco di portarlo in bottiglia”, dice Walter Massa mentre invita Pigi, la sua graziosa “badante”, a smettere di riempire i piatti di cassoeula e brodo con i ceci: “Sono qui per il vino, mica per mangiare!”. “Qui abbiamo l’acqua ligure, il vento piacentino, ma ci troviamo in Piemonte: siamo bastardi pieni”, scherza (ma non troppo) Massa, sollevando l’ilarità generale. E tra un sorriso e l’altro spuntano i vini rossi. E che rossi. Pertichetta 2010, 14,5%, ottenuto da uve Croatina, e soprattutto Bigolla 2001, 14,5% di Barbera granata, da definire con una sola parola: eccezionale.

OLTRETORRENTE
Dal mito alla new entry. Il passo è breve tra i Colli Tortonesi. Approdiamo così in via Cinque Martiri, a Paderna, dove Chiara Penati e Michele Conoscente, marito e moglie di 35 e 38 anni, sono espatriati da Milano per inseguire il loro sogno, dopo la laurea in Agronomia e diverse esperienze in aziende del settore. Tutto inizia nel 2010, con l’acquisto dell’attuale cantina su tre piani, un edificio storico nel centro del paese, parzialmente ristrutturato. Vengono condotte qui nei primi anni, per la vinificazione, le uve provenienti dal primo ettaro e mezzo di Oltretorrente, che prende il nome “da un romantico episodio di resistenza nell’omonimo quartiere di Parma – spiega Chiara – durante il ventennio fascista: alcuni abitanti, grazie a fantasiosi espedienti, fecero credere di essere armati fino ai denti, barricandosi in un palazzo e scacciando così le milizie. Un episodio che dimostra come, a volte, basta poco per fare le cose in grande e raggiungere grandi obiettivi”. In effetti la produzione di Oltretorrente è degna di nota. Oggi l’azienda può contare su un’altra struttura, sempre a Paderna, in grado di sostenere la lavorazione dei 3,5 ettari complessivi sin ora acquistati. “Si tratta di vigne vecchie – spiega Chiara – dai 20 anni ai 100 anni, con una media di 60”. Un aspetto fondamentale per comprendere la maturità di questa piccola ,e interessantissima realtà. In degustazione non troviamo (purtroppo) una grande varietà di prodotti. L’antipasto è il Cortese 2015, ottenuto dalla pressatura soffice delle uve intere, seguita da un affinamento di 8 mesi in acciaio sui propri lieviti, senza malolattica. Un’attenzione che offre un ottimo naso, fragrante, floreale e fruttato. Al palato vince invece lo spunto minerale, apprezzabilissimo. Sorprendente il Timorasso 2014, che regala note eleganti di fiori bianchi (camomilla). Al palato grande acidità e bel corpo, sorretto anche da una sapidità e da una mineralità che fanno presagire le grandi potenzialità del prodotto. Sulla via di una buona evoluzione anche il Timorasso 2013, l’unico in occasione di Quatar Pass a mostrare venature di uva passa e frutta candita. Buoni prodotti anche i due Barbera dei Colli Tortonesi, con quella Superiore (vendemmia 2012) che si eleva nettamente sulla prima per la grande pulizia delle note fruttate, sia al naso sia in bocca, impreziosite dalle spezie (liquirizia) e da un tannino levigato. “Accorpando vigne di anno in anno – annuncia Chiara – non siamo ancora riusciti a certificarci come produttori biologici, ma questo è il progetto per il futuro”.

POGGIO AZIENDA VINICOLA
Un capitolo a parte merita l’azienda vincola Poggio di Vignole Borbera, sempre in provincia di Alessandria ma all’estremo confine con la Liguria: per intenderci, siamo a pochi chilometri dall’outlet dell’abbigliamento di Serravalle Scrivia (buon motivo per combinare le due visite). Ci troviamo nella preziosa sottozona delle “Terre di Libarna”. Ezio e Mary Poggio, fratello e sorella, lui enologo, lei farmacista, rappresentano la terza generazione di una famiglia che vive nel mondo del vino da 50 anni, che da circa 15 anni ha iniziato a produrre in proprio, appoggiandosi anche su una filiera di piccole aziende agricole limitrofe, alcune delle quali condotte da giovani viticoltori. “Il Timorasso nasce qui come vitigno, in Val Borbera – sottolinea Mary – poi è stato portato nel Tortonese. A un certo punto scomparve per via delle malattie della vite e dello spopolamento delle valli, con gli abitanti della zona attirati dalle industrie, nelle grandi città come Genova, nel dopoguerra. Negli anni 90 Walter Massa ha avuto il merito di cominciare la riscoperta di questo autoctono. Noi siamo arrivati un po’ più tardi, nel 2002, avviando la produzione”. Nella Valle Borbera e nella limitrofa Valle Spinti, negli anni 40, c’erano 275 ettari di vigneto, tutti persi. Oggi in produzione ce ne sono una decina, tutti inseriti nella sottozona Terre di Libarna della Doc Colli Tortonesi. Quella della famiglia Poggio è stata una scommessa: “Abbiamo iniziato a impiantare Timorasso nella speranza che di lì a pochi anni fosse riconosciuta la Doc, altrimenti avremmo dovuto estirpare – sottolinea Mary -. Fortunatamente l’abbiamo ottenuta e abbiamo deciso di chiamare questa sottozona ‘Terre di Libarna’ in onore del sito archeologico di Libarna, che si trova a 4 Km da noi: un’antica cittadella romana, del II secolo avanti Cristo, che godeva di una fiorente viticoltura in Val Borbera e Spinti”.

I vigneti del Poggio si trovano tutti a un’altezza compresa tra i 450 ai 550 metri sul livello del mare. Le viti, come nel Tortonese, affondano le radici in un terreno argilloso e calcareo. Ma le grandi escursioni termiche permettono di produrre un Timorasso da degustare a tutti i costi. Diverso da quello di Tortona e Vho: un Timorasso dall’acidità ancora più spiccata. Con una gradazione alcolica inferiore anche di due gradi rispetto alla media tortonese, che si aggira sui 14 – 14,5%, compensata però da una balsamicità magicamente avvolgente. I risultati ottenuti dal Poggio dalla prima vendemmia del 2008, fa pensare ai coraggiosi Ezio e Mary che avrebbero potuto produrre con successo anche una versione spumantizzata. Ed è così che nel 2010 nasce Lusarein, ottenuto in purezza da uve Timorasso, raccolte precocemente, ottenendo una “base” da 11,5 gradi. Uno charmat d’autoclave lunga (6 mesi), imbottigliato a 12,5 gradi. Di colore giallo paglierino con riflessi verdognoli, Lusarein sfodera una spuma leggera con perlage fine e persistente. Al naso note minerali e agrumate. In bocca una sapidità piuttosto spiccata, cui fa eco un’acidità notevole: caratteristiche che invitano al sorso successivo, che si chiude con un retrogusto amarognolo. Ottimo come aperitivo, può essere abbinato a primi e secondi di pesce, ma anche alle carni bianche. Di Lusarein 2014 sono state prodotte 4 mila bottiglie. Ottimi, del Poggio, anche L’Archetipo e il Caespes, ottenuti sempre da uve Timorasso 100%. Caespes è il base, di cui degustiamo l’annata 2014, già pronta a sorprendere per la grande acidità che regala una beva facile, ma tutt’altro che banale. Si sale ulteriormente di livello con L’Archetipo 2013, dalla notevole vena balsamica, che diventa ancora più profonda e fresca nella vendemmia 2011, davvero degna di nota. Tutti vini ottenuti da rese per ettaro basse, sotto i 50 quintali. Un numero che, per la vendemmia 2015, è sceso addirittura a 35 quintali. Diciottomila le bottiglie prodotte complessivamente dal Poggio, tutte all’insegna di una grande qualità.

AZIENDA AGRICOLA RICCI
Di grande pregio anche la produzione dell’azienda Azienda Agricola Ricci, situata in via Montale Celli 9, Costa Vescovato. Una realtà alla quale ci siamo avvicinati in occasione del Vinitaly 2015. Carlo Daniele Ricci, il titolare, si è ormai specializzato nella produzione di un Timorasso senza pari. Il viaggio tra i sapori (e i colori) di questo uvaggio inizia con Terre del Timorasso 2013, vinificato in acciaio. Vino di un giallo dorato, sfodera un naso non particolarmente intenso, preludio tuttavia di un palato caldo e persistente. Si passa dunque a San Leto 2009, ottenuto mediante fermentazione e affinamento in acacio. San Leto 2006 stupisce per l’intensità olfattiva, che sfiora le tinte balsamiche. Giallo di Costa 2011 scorre nel calice tingendolo di un ambra allettante, che in bocca diventa piacere puro, tanto risulta morbido e rotondo il nettare, nonostante il calore dei suoi 14 gradi di alcol in volume. Giallo di Costa 2007, è l’eleganza fatta vino. E San Leto 2004 la ciliegina su una torta di una produzione di altissimo livello. “Lavorare bene in vigna – commenta il produttore Carlo Daniele Ricci – è il primo passo per ottenere vini di grande equilibrio. Conosco ogni singolo componente dei terreni che coltivo, avendo effettuato per anni delle ricerche accuratissime che mi permettono di capire come sarà il vino ancor prima di produrlo. Nell’area di produzione del Timorasso c’è grande rispetto per l’ambiente e unità tra produttori. Siamo partiti come carbonari, contro tutti i commercianti di vino e le cantine sociali. Dopo 20 anni di fatiche e battaglie, possiamo finalmente affermare che il territorio ce l’abbiamo in mano noi, produttori attenti alla terra e all’ambiente”. Quale immagine migliore per la Doc Colli Tortonesi?

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Il mare di Alassio? E’ di champagne. Per due giorni

I sogni diventano realtà, ad Alassio. Ma solo per due giorni. “Un mare di Champagne” è il nome della più grande degustazione di “bollicine” francesi della riviera ligure. Interverranno ben quarantadue maison, che presenteranno oltre cento Champagne. L’appuntamento è dalle ore 12.00 alle ore 20.00 presso il Grand Hotel Alassio & Spa di Alassio, Savona. Spazio anche per le primizie gastronomiche di Selecta Spa: dal Baccalà dissalato tradizionale Rafols alle Ostriche Cadoret, dalle Mazzancolle di Porto Santo Spirito al gusto inconfondibile dei Salumi del Podere Cadassa. La degustazione è aperta agli operatori di settore (sommellier tesserati Fisar, Onav, Ais, Fis, Amira, Donne del Vino, Accademia della Cucina, Slow Food, ingresso a 25 euro), al pubblico di appassionati (35 euro) e alla stampa italiana. L’accredito online, unitamente al bonifico bancario, garantiscono l’accesso alla degustazione, giunta ormai alla sua IV edizione. Di tutto rispetto la lista delle maison di Champagne presenti: AD Coutels, AR Lenoble, Ayala, Barons de Rothschild, Bonnaire, Charles Heidsieck, Chassenay d’Arce, Collet, Comte de Montaigne, De Castelnau, De Venoge, Delaplace, Deutz, Devaux, Drappier, Duval Leroy, Encry, Frank Pascal, Gremillet, Henriot, Lancelot-Pienne, Lanson, Le Brun Servenay, Legras & Haas, Louis Brochet, Louis de Sacy, Palmer & Co, Paul Bara, Paul Goerg, Paul Louis Martin, Perrier-Jouët, Pierre Gimonnet & Fils, Piper Heidsieck, Pol Roger, R & L Legras, Steinbrück, Ulysse Collin, V. Etien, Veuve Clicquot, Vieille France, Vollereaux, Vranken Pommery. La degustazione è aperta agli operatori di settore, al pubblico di appassionati e alla stampa italiana.

IL PROGRAMMA
Oltre alla degustazione, “Un Mare di Champagne” prevede anche tre seminari di approfondimento presso la Sala riservata Grand Hotel Alassio & Spa: anche in questo caso occorre iscriversi per partecipare, sino all’esaurimento dei posti disponibili. Dalle 15 alle 15.45 spazio a “Champagne, un vino unico al mondo: storia e leggenda, uomini e terroir”. Relatore Livia Riva, La Dame du Vin. Dalle 16 alle 17 “Champagne e Cucina: esaltazione del gusto ed arte e scienza del servizio”, relatore Alessandro Scorsone. Chiude i seminari, dalle 17.15 alle 18.15, “Chef e Champagne: magia in cucina”, che vedrà nuovamente relatrice Livia Riva, oltre all’intervento di Alida Gotta, finalista Master Chef 2015, che delizierà gli ospiti col suo show cooking. Un Mare di Champagne si chiuderà martedì 21 giugno con la cena di gala al Golf Club di Garlenda, location di grandissimo prestigio. Il menu degustazione, preparato a più mani da tutti gli chef Macramè, vedrà anche la partecipazione di illustri Ospiti stellati: Maurulio Garola di La Ciau del Tornavento di Treiso; Federico Gallo della Locanda del Pilone di Madonna di Como; Massimo Viglietti, dell’Enoteca Achilli di Roma; e Franco Ascari, chef pasticcere di Selecta Spa. Ogni portata sarà abbinata ad uno Champagne: Perrier-Jouet, Deutz, V. Etien, Devaux e Krug. E’ previsto un servizio di navetta, su richiesta. Per informazioni e prenotazione (obbligatoria) alla cena di gala: +39 3664815006. Una vera e propria esperienza di gusto: anche perché, ciascuna portata, sarà accompagnata da un abbinamento Champagne diverso. Grande protagonista della serata sarà il pastry chef di Selecta Franco Ascari, che per l’occasione proporrà la sua ultima deliziosa creazione: Mousse di Albicocca e Basilico, Crumble al Sesamo nero, Gelato Coeur de Guanaja 80% Valrhona.

GLI ORGANIZZATORI
Macramé è un Consorzio che oggi riunisce ristorazione e ricettività. Ha come obiettivo primario “la continua ricerca del bello e del buono, attraverso il divertimento, l’intrattenimento, le curiosità, la promozione del territorio”. In particolare si distingue nella cucina, che – per dirla alla Macramé – “è espressione fedele di un territorio ricco di prodotti di altissimo pregio”. Dai frutti del mare a quelli della terra, la missione è “valorizzare la materia prima nel rispetto della stagionalità e della natura trasferendo nei piatti la passione e la creatività che contraddistinguono i diversi ristoranti”. Tanti attori con le proprie peculiarità ma uniti da un comune denominatore: offrire il meglio ai propri ospiti. Al termine della stagione 2012, il Gabbiano e il Palma, ovvero Paolo e Massimo mettono le basi del Consorzio, coinvolgendo altri cinque ristoranti affini. Ed è così che nasce il primo evento del gruppo: “Alassio Street Food Festival – la cucina gourmet scende in strada”. Da questa fortunata esperienza prendono il via una serie di incontri, in cui si disquisisce di cucina e si degustano grandi etichette. Le voci dei sette cominciano a sovrapporsi e piano piano a fondersi in un’unica melodia. Come una trama di preziosi fili che con pazienza e abile maestria diventa un bellissimo merletto. Ecco trovato il titolo che li rappresenta: Macramè. Il sotto titolo è presto stilato: “Dire, Fare, Mangiare”. E anche Bere. Oggi il consorzio Macramè si compone di otto elementi: Gabbiano, Lamberti, La Prua, Mozart, Panama, Villa della Pergola, Viola e Chef Massimo Viglietti.

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Approfondimenti news

Radici del Sud: vini del Meridione al top. Ma la location sta “stretta”

Vinialsupermercato.it non poteva mancare, quest’oggi, a Torre a Mare. La frazione del Comune di Bari ha ospitato una delle più importanti rassegne sui vini del Sud. Parliamo ovviamente di Radici del Sud, manifestazione internazionale dedicata ai soli vini meridionali. Alle loro mille facce e sfaccettature. Dall’Aglianico della Basilicata al Primitivo della Puglia, passando per la Falanghina della Campania e al Nero d’Avola della Sicilia, per citarne solo alcuni (qui i vini 2016 premiati dalla giuria). Un’iniziativa lodevole, che vede finalmente i produttori meridionali – ormai affermatissimi nel panorama mondiale per la qualità dei loro vini – riunirsi sotto lo stesso “tetto” per un evento comune, in cui sfoggiare le proprie perle. Tutto bellissimo. Se non fosse che la location, una delle sale dell’Una hotel Regina, sia parsa piuttosto “ristretta” per una manifestazione di tale portata. Vero è che i 15 euro previsti per l’ingresso, con degustazioni illimitate, sono risultati ai più un prezzo ‘onesto’ per accedere alla stupenda sala da cerimonie in pietra. All’interno, ecco i vari banchi d’assaggio, sistemati in maniera un po’ confusa: poca la chiarezza nella distinzione tra i produttori delle varie regioni. Con un po’ d’impegno, abbiamo avuto comunque la possibilità di scoprire interessantissime realtà. A conferma che i produttori del Sud abbiano ormai intrapreso la strada della qualità, dimostrando di essere bravi vinificatori, nonostante mille difficoltà.

I MIGLIORI ASSAGGI
E non ci riferiamo soltanto ai ‘grandi nomi’ quali Feudi di San Gregorio, con le cantine vassalle Basilisco e Ognissole, o a marchi importanti pugliesi come Antica Masseria Jorche, una delle regine del Primitivo di Manduria, o ancora a Colli della Murgia, cantina biologica di Gravina in Puglia che presentava due spumanti metodo Charmat e un rosato pugliese ‘atipico’, di un eccellente rosa tenue, oltre ai vari bianchi di Minutolo. Grandi conferme anche quelle riservate dai vini lucani, con la nota Cantine del Notaio a sfoggiare – otre ovviamente ai vari Aglianico del Vulture – un metodo classico di Aglianico vinificato in bianco, molto interessante. Tra i vini che meritano una menzione particolare, ecco un bianco vinificato come un vino rosso, in otri di terra cotta: quello dell’azienda Lunarossa di Giffoni Valle Piana, provincia di Salerno, Campania. Quartara è il nome di questo gioiello, che prende il nome dal recipiente che lo culla sino a diventare un nettare così prelibato: un Fiano dei colli Salernitani che rimane a contatto con le bucce per 2 mesi. Abbastanza per regalare un bianco fresco e brillante, non trattato, nel rispetto della filosofia dei più famosi vignaioli friulani. Insomma: sono ormai tante le realtà vitivinicole meridionali che meritano di essere raccontate su palcoscenici di tutto rispetto. Anche – e soprattutto – fuori dai confini di un Sud Italia che sta sempre più ‘stretto’ al cuore e alla passione di questi produttori. Un cuore che, il più delle volte, batte al ritmo della qualità assoluta.

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Il Festival Franciacorta torna a Bari

Sarà la Città di Bari ad accogliere il 16 Maggio prossimo la seconda tappa della stagione 2016 del Festival Franciacorta itinerante, l’appuntamento alla scoperta del vino prodotto col metodo della rifermentazione in bottiglia che in Italia e, sempre più, anche all’estero, è riconosciuto come uno dei più influenti ambasciatori del miglior Made in Italy. ”Bari è il riferimento privilegiato per le novità e le tendenze del ”buon gusto” che diventano poi motore di eventi e iniziative capaci di entusiasmare e coinvolgere non solo la Puglia ma anche le regioni limitrofe” – dichiara Vittorio Moretti, presidente del Consorzio Franciacorta. ”Sono certo che il calore della Puglia saprà accogliere il Franciacorta coinvolgendo il grande pubblico di appassionati, esperti, operatori, che fanno di questa regione una delle più rappresentative in materia di gusti e sapori”. Villa Menelao alle Cummerse sarà la prestigiosa location dove il Franciacorta si presenterà al pubblico di appassionati ed esperti: banchi d’assaggio, seminari e ventinove produttori, insieme ai migliori Sommelier Ais della Puglia, accoglieranno, dalle 18.00 alle 22.00, appassionati di vino, stampa, operatori del settore e curiosi per degustazioni delle tipologie: Brut, Extra Brut, Satèn, Rosé, Pas Dosé, Riserva. L’appuntamento sarà per tutti un’occasione per approfondire la conoscenza e il gusto del Franciacorta, ma anche di incontrare la cultura pugliese in una fusione di sapori e profumi, tradizione e innovazione, all’insegna della qualità e della raffinatezza. Due i seminari di degustazione previsti:

– 17.00 ”Franciacorta una terra un vino” – Degustazione guidata alla scoperta delle diverse tipologia di Franciacorta

– 19.00 ”La Franciacorta incontra la Puglia” – Degustazione guidata di tre tipologie di Franciacorta in abbinamento a tre eccellenze gastronomiche pugliesi.

Prenotazione obbligatoria, posti limitati.Per prenotazioni: http:/franciacorta.eventbrite.com. Per informazioni: eventi@franciacorta.net.

I banchi di assaggio per le degustazioni saranno aperti in due momenti distinti per stampa, operatori e visitatori:

• Dalle 16.00 – 18.00: ingresso riservato a stampa e operatori (accredito stampa a stampa@franciacorta.net)

• Dalle 18.00 – 21.30: apertura al pubblico (ingresso per il pubblico € 20; per i soci Ais, Onav, Fis, Slow Food e Fisar € 15).

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Aspettando Radici del Sud – 38 anni di Negroamaro e non sentirli

Per gli appassionati di uno dei vitigni principe della Puglia, ”Aspettando Radici del Sud” riserva un’appassionante approfondimento del Negroamaro attraverso la degustazione di sette diverse etichette prodotte dalla storica azienda salentina Apollonio. Martedì 10 maggio, presso il ristorante Aqua del Dune Resort affacciato sul mare di Porto Cesareo il noto vitigno a bacca rossa mostrerà la sua versatilità e piacevolezza apprezzabili anche nella calda stagione di maggio. Il programma della serata, organizzata in collaborazione con Slow Wine Puglia, prevede di iniziare da due tipologie di rosato, il primo affinato e invecchiato in legno e l’altro in acciaio. Si prosegue poi con quattro rossi da Negroamaro fino a arrivare all’annata del 1978. La conclusione della degustazione è affidata infine a un passito da Negroamaro. A partire dalle ore 20 i vini protagonisti della serata saranno introdotti e raccontati da Massimiliano Apollonio con il prezioso contributo di Francesco Muci, responsabile Slow wine della Puglia. Dalle ore 21 saranno servite alcune pietanze preparate dallo chef Cosimo Russo per completare il profilo espressivo dei vini nell’abbinamento coi cibi e meglio comprenderne l’evoluzione negli anni.

Vini in degustazione

Elfo rosato 2015 – 18 rosato Fanali 2013 – Elfo rosso Negroamaro 2015 – Terragnolo negroamaro rosso 2011 – Divoto 2011 – Divoto 1978 – Mater Terra Passito 2007

Menù
Flan di pecorino, con asparagi verdi, tuorlo marinato e vincotto – Risotto mantecato alle erbe con funghi cardoncelli, animelle croccanti e riduzione di negramaro – Carrè di agnello in crosta di pane e olive con melanzana alla parmigiana –  Zuppa di ciliegie al kirsch con gelato allo yogurt di capra e salvia

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Vini al supermercato

Brusco dei Barbi Rosso Toscana Igt 2013, Fattoria dei Barbi

Prodotto in prevalenza con uve Sangiovese, il Brusco dei Barbi Toscana Igt è un vino prodotto dalla Fattoria dei Barbi di Montalcino, Siena. Frutto di lunghi studi effettuati negli anni ’60 e ’70 da Giovanni Colombini sulla fermentazione delle uve di Montalcino, si prefigge l’obiettivo di “mettere in evidenza con grande semplicità e schiettezza, le tipiche note fruttate di questo vitigno”. Una missione più che compiuta, che si conferma anche a distanza di anni di evoluzione in bottiglia. Sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it finisce infatti la vendemmia 2013, che a tre anni di distanza si rivela ancora capace di dare centralità al frutto, incastonato – per quanto riguarda la parte olfattiva – in una speziatura sostenuta, eppure mai invasiva. Nel calice, il vino comincia a tendere al granato, pur mostrandosi sostanzialmente del colore originario: il rubino intenso. Scorre poco denso e trasparente, emanando un bouquet fine, assieme fruttato, floreale e vegetale. Ai frutti rossi (lampone, fragoline di bosco) si accostano note delicate di viola. Con l’ossigenazione, il Brusco dei Barbi mostra le unghie con il carattere delle note vegetali (rosmarino e salvia), sostenute da spezie come lo zafferano e dalla percezione di tostatura e cuoio. Un quadro che sembrerebbe anticipare un palato robusto: tutt’altro. In bocca, il Brusco della Fattoria dei Barbi sembra aver già esaurito tutte le sue cartucce, a tre anni dalla vendemmia. Eppure, il contrasto tra un olfatto dirompente e un gusto soffuso e snello, è forse ciò che di meglio ha da offrire questo vino toscano. Grande facilità e piacevolezza nella beva, dunque, nonostante il Brusco si mostri ancora di alcolicità calda. Il segreto? La freschezza e il finale che tende al sapido, invitando al sorso successivo. Un vino curioso e tutt’altro che banale, insomma, inserito nella corretta fascia prezzo nei supermercati italiani. Il Brusco dei Barbi Toscana Igt è abbinabile a tutto pasto. Servito a una temperatura di 18 gradi, si accompagna bene a carni bianche, affettati, sughi speziati, formaggi non troppo stagionati e pizza tradizionale.

LA VINIFICAZIONE
Le uve pigio-diraspate subiscono un abbattimento di temperatura fino a 16 gradi. Questo processo di raffreddamento della buccia dell’uva permette di ottenere una maggiore estrazione del contenuto in antociani e polifenoli. La fermentazione alcolica si protrae per 10-12 giorni a temperatura controllata, tra i 17 e i 18 gradi. Il vino permane in vasche d’acciaio fino all’imbottigliamento, che precede la commercializzazione. L’apertura al pubblico della Cantina dei Barbi, negli anni ’50’ è uno degli atti di nascita del turismo del vino, in Toscana e non solo. Dopo la morte di Giovanni Colombini nel 1976, la fattoria dei Barbi è stata guidata dalla figlia Francesca e poi dal nipote Stefano, che a loro volta hanno sviluppato ed esteso le proprietà di famiglia a Montalcino, dando così seguito ad una grande tradizione che risale all’Ottocento.

Prezzo pieno: 5,49 euro
Acquistato presso: Iper la grande I (Finiper)
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Conte della Vipera Umbria Igt 2012, Marchesi Antinori

Il Conte della Vipera, blend composto all’80% da Sauvignon Blanc e al 20% da Sémillon, è uno dei vini bianchi che la nota casa vitivinicola toscana Antinori “regala” agli scaffali della grande distribuzione organizzata. Una presenza che, di per sé, dà lustro all’intero segmento. Siamo di fronte a un Umbria Igt, vendemmia 2012. Il vino, prodotto a partire dal 1997, prende il nome dai primi proprietari del Castello della Sala, la famiglia Monaldeschi della Vipera. E l’etichetta riporta un disegno della Cappella di San Giovanni, del XV secolo, situata all’interno delle tenute. Nel calice, Conte della Vipera 2012 Antinori si presenta di un giallo paglierino con riflessi dorati. Anche al naso conferma l’evoluzione avvenuta in bottiglia nel corso degli anni, rispetto alle caratteristiche di freschezza iniziale: note leggere di sambuco, bosso, mandorla e agrumi che si ripresentano anche al palato, in un finale mediamente persistente che ricorda il pompelmo. Al palato risulta morbido e rotondo, in un crescendo di sapidità che accompagna verso le note agrumate finali. Difficile prevedere un ulteriore miglioramento in bottiglia per un prodotto che, ottenuto dalla vendemmia 2012, risulta più che mai apprezzabile, ma ormai maturo. L’abbinamento consigliato è quello con gli antipasti e i piatti di pesce, oltre alla pasta al pesto e alle preparazioni a base di verdure, in particolare gli asparagi.

LA VINIFICAZIONE
I vigneti destinati al Conte della Vipera sono situati a un’altezza che varia dai 250 ai 350 metri sul livello del mare, in suoli ricchi di sedimenti fossili marini con infiltrazioni di argilla che conferiscono mineralità e sapidità all’uva. Nel 2012, annata connotata da un inverno freddo e privo di piogge e un’estate calda e secca, il Sauvignon Blanc è stato vendemmiato al momento del perfetto equilibrio tra concentrazione zuccherina e massima espressione dei profumi varietali dell’uva. I grappoli, raccolti manualmente, sono stati immediatamente trasferiti in cantina e raffreddati attraverso il passaggio in un convogliatore refrigerato che ne ha abbassato la temperatura. Le uve sono state poi pressate in maniera soffice, in modo da mantenere inalterate le caratteristiche varietali. Il mosto è stato mantenuto per alcune ore ad una temperatura di 10 gradi, consentendo l’illimpidimento naturale. E’ seguito il travaso in serbatoi di acciaio inox a temperatura controllata, dove si è svolta la fermentazione alcolica a una temperatura non superiore ai 16 gradi. Completata questa operazione, il vino è stato conservato ad una temperatura di circa 10 gradi per impedire lo svolgimento della fermentazione malolattica e conservare inalterate le caratteristiche organolettiche. Il Sauvignon Blanc è stato poi assemblato con il Sémillon per accentuarne la sapidità e conferirgli rotondità. E anche per il Sémillon, Antinori ha proceduto alla classica vinificazione in bianco. Appena dopo la raccolta, verso la seconda metà di settembre, le uve sono state diraspate e immediatamente pigiate in maniera soffice. Dopo l’illimpidimento statico, il mosto limpido è stato spillato e inoculato con lieviti selezionati. Dando così inizio a una lenta fermentazione a 16 gradi, per preservare la componente aromatica. Terminata la fermentazione alcolica, il vino è stato travasato con una modesta quantità di lieviti ancora in sospensione. Dopo una serie di travasi, ecco il taglio con il Sauvignon.
Prezzo pieno: 15,84 euro
Acquistato presso: Iper la grande I (Finiper)
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Vini al supermercato

Vermentino di Gallura Docg 2014 Lughena, Cantina del Giogantinu

(3,5 / 5)Direttamente dalla Cantina sociale del Giogantinu di Berchidda, zona Nord della Sardegna, ecco il Vermentino di Gallura Docg Lughena. Di colore giallo paglierino con riflessi verdolini, risulta scorrevole nel calice, dove appare limpido e trasparente. Al naso è intenso e gradevole, anche se di complessità sottile: spazia dai tipici sentori di macchia mediterranea alla frutta fresca, come la pesca e gli agrumi. Tutti descrittori che ritroviamo in un palato – questo sì – complesso, che ricorda anche spezie come la noce moscata. E che, nel finale, tende a chiudersi verso l’amarognolo tipico del vitigno. In bocca il Vermentino Lughena Giogantinu risulta caldo, di corpo, rotondo, secco anche se ammiccante. La buona vena acida si bilancia con una sapidità decisa. Intenso anche il retro olfattivo, mediamente fine e sufficientemente persistente. Buono come aperitivo, questo Vermentino della Sardegna del Nord si abbina con qualsiasi piatto a base di pesce, oltre a offrire il meglio di sé con piatti a base di crostacei, carni bianche, verdure, funghi e formaggi di media stagionatura. Va servito a una temperatura di 8-10 gradi.

LA VINIFICAZIONE
Le uve, dopo la diraspatura, vengono pressate in modo soffice. Il mosto ottenuto viene raffreddato e illimpidito per sedimentazione naturale, grazia appunto alle basse temperature, e posto a fermentare a temperatura controllata. Terminata la fermentazione, dopo un leggero travaso, ancora ricco di attività biologica, il vino viene messo a maturare in vasche di cemento e conservato sino all’imbottigliamento, seguendo un rigoroso controllo della temperatura. Le vigne della Cantina Giogantinu da cui prende vita il Vermentino di Gallura Docg Lughena affondano le radici in terreni di tipo sabbioso a disfacimento granitico. L’azienda può contare sull’apporto di 250 viticoltori operanti sul territorio di Berchidda e Oschiri, in provincia di Olbia Tempio.
Prezzo pieno: 6,90
Acquistato presso: Esselunga
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Peperosso Calabria Igp 2014, Cantine Spadafora

(3 / 5) Grafica accattivante, così come il nome di fantasia. Peperosso Calabria Igp Cantine Spadafora, blend tra Magliocco di Donnici e Merlot, fa bella mostra di sé nel ‘fuori banco’ di un noto ipermercato milanese, nel reparto macelleria. Sull’etichetta, uno dei simboli della Calabria: il peperoncino, raffigurato a ventaglio. Potevamo non cadere in tentazione? Eccoci dunque a degustare Peperosso, con il consueto scetticismo col quale ci accostiamo a vini che sembrano strizzare un po’ troppo l’occhio a un marketing accattivante. E, soprattutto, un prezzo che rasenta il sottocosto. Nel calice, Peperosso Calabria Igp 2014 Spadafora si presenta di un rosso rubino con unghia violacea poco trasparente, intenso, scorrevole. Al naso sentori mediamente fini di frutta rossa: ribes, lampone, ciliegia sotto spirito. Eppure in bocca il corpo è leggero, così come l’alcolicità. Rotonda la morbidezza, scarna l’acidità e la sapidità. Anche il tannino è soffuso, contribuendo a un quadro di sostanziale equilibrio, che si gioca tutto sulla semplicità e facilità della beva. La corrispondenza olfatto-gusto è evidente e si basa sulle note fruttate già avvertite al naso. Retro olfattivo invece sorprendente per la sufficiente persistenza (fino a 8 secondi, per intenderci), nuovamente giocata sui frutti rossi. L’abbinamento consigliato da Spadafora per Peperosso Calabria Igt è quello con i piatti e i salumi piccanti della tradizione calabrese: il Morzello catanzarese o la Nduja di Spilinga, gli insaccati saporiti come la Sopressata del Cosentino. Ecco dunque spiegato il gioco grafico (e commerciale) del mazzo di peperoncini a ventaglio. In realtà, questo vino può facilmente travalicare i confini della cucina regionale di Calabria, giungendo sulle tavole di tutta Italia come vino rosso pulito, sano (alcolicità e solfiti ben dosati) e di facile beva, da consumare decisamente a tutto pasto, certamente non nelle grandi occasioni.

LA VINIFICAZIONE
Di Peperosso Calabria Igp sono state prodotte 30 mila bottiglie, in occasione della vendemmia 2014. Il territorio d’origine delle uve Magliocco e Merlot è quello di Donnici, con selezionate e raccolta a mano. Le vigne vengono allevate ad alberello, con resa media ridotta volutamente a 80 quintali di uva per ettaro. La vendemmia ha luogo da fine settembre a metà ottobre. La vinificazione prevede pressatura soffice, successiva macerazione prefermentativa a freddo, tale da estrarre gli aromi verietali, il colore e le componenti polifenoliche più morbide. La fermentazione ha luogo in acciaio, con temperature controllate, così come l’affinamento iniziale, per una durata di 6 mesi. Segue poi un ulteriore periodo di affinamento in bottiglia, che precede la commercializzazione. Le Cantine Spadafora, che si occupano anche dell’imbottigliamento di Peperosso, hanno sede dal 1991 nella zona industriale di Piano Lago, frazione del Comune di Mangone, provincia di Cosenza. Nasce in realtà a Donnici, un paesino sulle colline a sud di Cosenza, nel 1915. In questa piccola struttura il capostipite dell’azienda, Ippolito Spadafora, commercializzava i vini sfusi prodotti dagli agricoltori della zona. Oggi, le uve conferite si aggiungono a quelle prodotte nei 40 ettari di proprietà dell’azienda, collocata su un’area complessiva di 20 mila metri quadrati, di cui 3 mila sono coperti.
Prezzo pieno: 3,95 euro
Acquistato presso: Iper la Grande I (Finiper)
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Trebbiano d’Abruzzo Doc 2013, Masciarelli Tenute Agricole

(5 / 5) Un nome, una garanzia. Masciarelli Tenute Agricole si conferma al top della produzione e commercializzazione del Trebbiano d’Abruzzo anche con i prodotti “base”, destinati alla grande distribuzione organizzata. Si tratta della prima linea creata da Gianni Masciarelli, diventata negli anni “un punto di riferimento per l’azienda e i suoi clienti, oltre ad essere la produzione numericamente più consistente e conosciuta, in Italia come all’estero”. Peschiamo dagli scaffali del supermercato, appositamente, una vendemmia 2013. Con l’obiettivo di testarne la tenuta e la longevità. Prova, ve lo anticipiamo subito, che il Trebbiano d’Abruzzo Masciarelli supera con buoni voti. Nel calice, il vino si presenta di un giallo paglierino chiaro. Al naso note di fresco biancospino, fiori di campo e di magnolia. Non manca la frutta, vicina ai sentori esotici di ananas, melone giallo e mela. Un olfatto intenso, fine, complesso: arricchito da leggere ‘ventate’ di pepe bianco. Al palato – secco, di corpo, caldo – sfodera ottimo equilibrio tra acidità e sapidità, pur non regalando la complessità precedentemente offerta al naso. Lo spettro gustativo va dai sentori di mela a quelli della pesca bianca, sino a quelli più maturi (secchi) di mandorla. Un vino, il Trebbiano d’Abruzzo Masciarelli vendemmia 2013, che collochiamo in una fase matura, ancora più che mai apprezzabile. L’abbinamento perfetto, a una temperatura di servizio di 12 gradi, è quello con i piatti di pesce, a partire dagli antipasti. Ottimo anche con l’insalata di mare e con le verdure cotte.

LA VINIFICAZIONE
E’ dal 1981 che Gianni Masciarelli produce la linea “classica”. Del Trebbiano d’Abruzzo vengono sfornate circa 250 mila bottiglie l’anno. Le vigne, di età che non supera i 40 anni, si trovano in quattro diversi Comuni della provincia di Chieti, tutte situate a diverse altezze rispetto al livello del mare: San Martino sulla Marrucina (400 metri), Loreto Aprutino (350 metri), Ripa Teatina (250 metri) e Bucchianico (250 metri). Il terroir è simile: argilloso mediamente calcareo, medio impasto, sciolto. Il sistema di allevamento è quello della Pergola abruzzese (Guyot Semplice), che assicura una resa di 100 quintali per ettaro, con una densità d’impianto che varia dalle 1.600 a 6.500 piante per ettaro. Le uve vengono vendemmiate fra il 25 e il 30 settembre. La fermentazione avviene in vasche in acciaio inox a temperatura controllata, preceduta da una raccolta in piccole cassette, pressatura e decantazione statica del mosto. Anche l’affinamento viene effettuato in acciaio inox, prima della commercializzazione. Masciarelli Tenute Agricole nasce nel 1981 dall’intuito imprenditoriale di Gianni Masciarelli, figura simbolo del panorama enologico italiano e protagonista dell’affermazione della vitivinicultura abruzzese moderna. Cuore pulsante della cantina è San Martino sulla Marrucina, in provincia di Chieti, dove l’azienda può contare su circa 300 ettari di terreni coltivati a vigneto e uliveto, dislocati in tredici Comuni, in tutte e quattro le province abruzzesi. La produzione annuale supera i 2,5 milioni di bottiglie.

Prezzo pieno: 5,90 euro
Acquistato presso: Iper la grande I (Finiper)
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degustati da noi vini#02

Barba Yiannis Maratheftiko 2012 Vintage, Vouni Panayia Winery

L’estate si avvicina e, chissà, qualcuno dei lettori sceglierà Cipro per le vacanze. E allora spazio ai consigli per le visite in cantina. Tra le mete consigliate, la Vouni Panayia Winery, che col suo Barba Yiannis 2012 dimostra quanto l’isola sia interessante dal punto di vista enologico.

LA DEGUSTAZIONE
Rubino intenso con riflessi violacei, impenetrabile. Naso che si apre lentamente ma generosamente su note di confettura di frutti rossi. Corrispondente al palato, dove sfodera un’acidità  viva, ottima sapidità e un tannino di velluto, sostenuto da persistenti note di vaniglia e cacao.

Evolve bene e a lungo negli anni Barba Yiannis, Maratheftiko in purezza che ho accompagnato con l’agnello, a Pasqua. Un autoctono dell’isola, in vendita anche nei supermercati ciprioti. Si tratta del prodotto di punta della Vouni Panayia Winery, moderna cantina situata tra i monti di Pano Panagia, da dove potrete godere – tra l’altro – di un panorama eccezionale.

La prova che in zona ellenica crescono col passare degli anni ottime winery, capaci di affermarsi anche a livello internazionale con i loro prodotti, spesso ottenuti da vitigni antichi, oggetto di un minuzioso lavoro di accrescimento della qualità, puntando sulla riduzione della resa per ettaro e su moderne tecnologie di cantina. Qui per leggere il nostro reportage completo dall’isola.

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Vermentino di Gallura Docg Vigne Storiche 2014, Cantina Giogantinu

(3,5 / 5)E’ la versione “passito” del Vermentino di Gallura quella che finisce oggi sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it. Le uve atte alla produzione del Vermentino di Gallura Docg Amabile Vigne Storiche 2014 della cantina Giogantinu vengono appositamente ‘dimenticate’ sulle viti. E raccolte solo nel mese di novembre. Di colore giallo paglierino con riflessi dorati e verdolini, scorre poco denso nel calice. I profumi, intensi e fini, richiamano la frutta (pesca gialla, albicocca matura), nonché una macchia mediterranea (salvia, timo) che, con l’ossigenazione, assume tinte di zafferano. In bocca, il Vermentino di Gallura Docg Vigne Storiche vendemmia tardiva della cantina Giogantinu è amabile, di corpo e di alcolicità calda. Conferma le note minerali già sfoderate all’olfatto, accostate a una buona sapidità. A dominare, però, è la freschezza data da un’acidità viva, che invita al sorso successivo.

La persistenza è sufficiente, in un retro olfattivo intenso e fine. Questa versione “passita” del Vermentino di Gallura Docg si abbina con i dolci più svariati: dalla torta alla Sacher alla Millefoglie, passando per i gelati, sino ai Savoiardi e agli amaretti. Ma anche a pietanze come il paté di fegato grasso (foie gras), i formaggi erborinati, la cheesecake e la pizza ai quattro formaggi. Giogantinu è una cantina sociale che raggruppa 350 viticoltori della Gallura. La zona di produzione è quella di Berchidda e Oschiri, a nord della Sardegna, in provincia di Olbia Tempio. La superficie vitata è di 320 ettari totali, con una produzione che va dai 40 quintali per ettaro del Vermentino di Gallura Docg Amabile Vigne Storiche sino ai 60-80 quintali del resto della produzione, con una capacità di trasformazione di 25 mila quitali annui.

Prezzo pieno: 10,49 euro
Acquistato presso: Esselunga

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Gewurztraminer Huznar, Weinhaust – Valsa Nuova Perlino

(3 / 5) E’ con il consueto piglio critico che ci apprestiamo alla degustazione del Gewurztraminer ungherese Huznar. L’etichetta evidenzia come si tratti di un 100% Traminer Aromatico d’Ungheria, imbottigliato in Italia. Dopo una serie di ricerche, scopriamo che la V.N.P. Spa Milano – Italia, che imbottiglia nello stabilimento di Asti, in Piemonte, è nient’altro che la Valsa Nuova Perlino Spa, azienda controllata dalla società Dilmoor Spa. Partner commerciale per i vini ungheresi della Perlino Spa è la Weinhaust di Bocsa, Ungheria. “E’ un’azienda privata – spiega Matteo Scarpellini, Marketing manager ed Export area manager di Perlino Spa – che vinifica quasi esclusivamente uve provenienti dai ben 450 ettari di proprietà, distribuiti tra la regione del Transdanubio, Hajos, e Matra, tutte nella zona nord del Paese. Vinificano tra i 12 e 15 milioni di Kg all’anno, con una capacità di stoccaggio di 160 mila ettolitri. Si tratta quindi di una realtà moderna – evidenzia ancora Scarpellini – che coniuga tradizione e savoir faire con le tecnologie produttive più recenti quali presse pneumatiche, vasche di acciaio con controllo della temperatura ed impianto di azoto per proteggere il vino dall’ossidazione”. Chiarita la paternità del nettare, ci apprestiamo con rinnovata serenità alla degustazione, che interessa sia la vendemmia 2014 sia la vendemmia 2015.

Troviamo la vendemmia 2014, come prevedibile, matura ma anche più piaciona. Nel calice si tinge d’un giallo dorato limpido, trasparente, che richiama quello dei Gewurztraminer altoatesini. Al naso è intenso, schietto, mediamente fine. Di complessità sottile, presenta profumi di natura floreale fresca (rosa) e fruttata, con i sentori tipici di litchi a braccetto con la pera Abate matura. Il meglio di sé, il Gewurztraminer ungherese Huznar 2014 lo offre al palato. Vino secco, di corpo, di alcolicità leggera (12%) ma percepibile, risulta rotondo, di fresca acidità. Fruttato in ingresso, con i sentori di litchi, pera e pesca, finisce per lo più sapido e spaziato (pepe bianco) con una punta di asprezza che ricorda il lime. Intenso anche nel retro olfattivo, offre un persistenza sufficiente, mediamente fine. Più lineare la vendemmia 2015 del Gewurztraminer Huznar, che mostra margini di miglioramento futuri nei prossimi 12-24 mesi. La carica olfattiva risulta molto intensa e penetrante: litchi, pera e pesca, un concerto di frutta matura. Ma al palato sfodera un corpo leggero, come l’alcolicità. E un’acidità fresca che fa ben sperare, assieme alla percezione salina, in una buona maturazione. Trattasi comunque di una vendemmia, quella 2015, assolutamente pronta alla beva, che assumerà quindi tinte meno complesse rispetto alla 2014. Per entrambi consigliamo l’abbinamento con antipasti e portate di pesce, primi leggeri e formaggi di media stagionatura, a una temperatura ideale di 14 gradi.

LA VINIFICAZIONE

Alla Weinhaust di Bosca, la vendemmia del Traminer Aromatico si svolge in maniera manuale, a metà settembre, con cernita delle uve, diraspatura, pressatura soffice dei soli acini e fermentazione alcolica a temperatura controllata variabile fra i 18 e 20 gradi. Un processo che si protrae per 15 giorni in vasche d’acciaio inossidabile. La tecnica di vinificazione del Gewurztraminer Huznar prevede quindi una sosta sulle fecce fini per due mesi, con stabilizzazione a freddo e imbottigliamento nel mese di marzo.

Prezzo pieno: 5,49 euro
Acquistato presso: Iper

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news ed eventi

Sabato 30 Aprile i Vignaioli dell’Alto Adige si raccontano a Bologna

Sabato 30 aprile,  al Relais Bellaria Hotel di Bologna, dalle 13 alle 20, i Vignaioli dell’Alto Adige Fws (Freie Weinbauern Sudtirol) presenteranno la loro idea di agricoltura sostenibile e rispettosa della natura. I 24 produttori partecipanti all’evento, provenienti da diverse sottozone dell’Alto Adige presenteranno  i loro vini e il loro modo di vivere oggi il mestiere di viticultore. La giornata sarà un’opportunità per provare i 120 vini delle varietà autoctone e internazionali rappresentative della
produzione alto atesina portate al banco d’assaggio curato da Onav, ma anche occasione per approfondire la conoscenza del territorio altoatesino e dei suoi produttori. I vignaioli dell’Alto Adige sono aziende agricole a gestione familiare che seguono l’intero ciclo produttivo del vino, secondo standard moderni, ma nel pieno rispetto della tradizione. Il tutto valorizzando le diverse varietà coltivate.  Tra i protagonisti dell’evento Werner Morandell, pioniere della viticultura biologica in Alto Adige, esperto delle nuove varietà da ibridazione intraspecifica resistenti alle malattie come peronospora e oidio. Werner Morandell condurrà il seminario ”Piwi wines: i vini del futuro?” raccontando la sua esperienza di viticoltore e winemaker con una degustazione dei propri vini provenienti da vitigni resistenti. L’associazione Vignaioli dell’Alto Adige è nata nel 1999 su iniziativa di 12 produttori e riunisce i vignaioli delle diverse regioni vitivinicole della provincia di Bolzano, dalla Val Venosta alla Valle Isarco fino alla Bassa Atesina. E’ stata nel 2008 tra i fondatori di Fivi, la Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti.  L’associazione oggi conta  93 produttori per un totale di di 350 ettari di vigneto, 2.7 milioni di bottiglie commercializzate e una resa media di 86 quintali di uva per ettaro, pari a 60 hl di vino tutti realizzati con passione ed autenticità altoatesina, dalla vigna al calice.
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Ben Ryé Passito di Pantelleria Dop 2012, Donnafugata

(5 / 5) E’ dal 1992 che Ben Ryé passito di Pantelleria Doc Donnafugata si aggiudica premi e riconoscimenti a livello mondiale. Si tratta di un bianco naturale dolce da uve Zibibbo, ovvero Moscato, che assume tinte uniche nel suo genere, prodotto sin dal 1989. Non a caso lo troviamo sulla carta dei vini dei più rinomati ristoranti, in Italia come all’estero. Ed è anche reperibile in diverse catene della grande distribuzione organizzata.

In particolare da Iper Coop, dove registra un prezzo sino a 6-7 euro inferiore rispetto ad altre catene della grande distribuzione organizzata italiana: un aspetto che sottolineiamo solo per “dovere di cronaca”, dal momento che ogni singolo centesimo è speso bene per pezzi pregiati come Ben Ryé.

Eccolo dunque finire sotto la nostra lente di ingrandimento la vendemmia 2012. A colpire per primo è lo straordinario colore di questo Passito di Pantelleria Doc: di un ambrato cristallino, trasparente e intenso, che scorre denso, oleoso e invitante nel calice.

LA DEGUSTAZIONE
Al naso regala emozioni – più che sentori – di uvetta, albicocca e pesca sotto sciroppo, scorza d’arancia candida. E ancora: melassa, caramello, brioche. Il tutto sostenuto da una mineralità evidente, regalata a questo prezioso nettare dai terreni vulcanici di Pantelleria. Ben Ryé Donnafugata 2012, intenso e di grande finezza, sontuoso al naso, si conferma tale anche all’esame gustativo.

Di struttura tale da conferire una sensazione di pienezza mai appagata, di alcolicità calda, risulta rotondo al palato, di una dolcezza chiara ed evidente ma perfettamente bilanciata con la freschezza di un’acidità ben vestita, che va a braccetto con una piacevolissima sapidità. Ed è proprio questo che distingue Ben Ryé passito di Pantelleria Doc Donnafugata da molti altri prodotti della stessa tipologia: la capacità di non stancare mai, di non risultare mai stucchevole, anzi di invitare al sorso successivo per riassaporare il quadro di perfetto equilibrio sensoriale. L’armonia del dolce con l’acido, del salato col fruttato.

Ma, come sappiamo, un buon vino si giudica anche dopo averlo deglutito. Cosa resta al palato? Risponderemmo “tutto”. Quella che tecnicamente vengono definite “sensazioni retro olfattive”, in Ben Ryé non sono altro che la riproduzione fedele del primo sorso e dell’ultimo. La fotocopia di un’emozione, di cui resterà un ricordo indelebile. Appagante. Un passito infinito, profondo, di pregevole eleganza. Molto persistente, per tornare ai tecnicismi, e soprattutto con margini di evoluzione futura impressionanti, sino a 30 anni.

Provatelo a 14 gradi circa – banalmente – con il cioccolato fondente o la pasticceria a base di pasta di mandorla, le crostate alla frutta fresca o con granella di frutta secca. Ma anche, raffinatamente, con formaggi alle erbe freschi o stagionati. Senza dimenticare che siamo al cospetto di uno straordinario vino da meditazione, da degustare ascoltando musica o leggendo un buon libro.

LA VINIFICAZIONE
La zona di produzione di Ben Ryé è ovviamente quella dell’isola di Pantelleria, situata nella Sicilia sud-occidentale. Le uve provengono dalle contrade Khamma, Mulini, Mueggen, Serraglia, Gibbiuna, Barone, Martingana, Bukkuram, Favarotta, Punta Karace, Bugeber, Monastero, tutte situate a un’altitudine variabile tra i 20 e i 400 metri sul livello del mare. Un’area dall’orografia complessa, tipicamente vulcanica, con terreni coltivati prevalentemente su terrazzamenti. E suoli sabbiosi, di origine lavica a reazione sub-acida o neutra, profondi e fertili, molto ricchi di minerali. Le viti sono coltivate all’interno di conche, ad alberello pantesco basso.

La vite ad alberello di Pantelleria è stata iscritta nella Lista del Patrimonio dell’Umanità Unesco, in quanto pratica “creativa e sostenibile”. “Per la prima volta una pratica agricola viene considerata bene immateriale e culturale”, come sottolinea la stessa casa vitivinicola siciliana. La densità d’impianto è da 2.500 piante per ettaro, con una resa di circa 40 quintali per ettaro: circa 1,6 Kg a pianta. La raccolta delle uve destinate alla produzione del Ben Ryè 2012 è iniziata a partire dal 17 agosto, con le uve destinate all’appassimento. Le buone escursioni termiche tra il giorno e la notte hanno contribuito a dar vita a una carica aromatica fine ed elegante dello Zibibbo.

La fermentazione è avvenuta in acciaio, a temperatura controllata, con aggiunta al mosto in fermentazione – a più riprese – di uva passa sgrappolata a mano e selezionata. Durante la macerazione l’uva passa rilascia il suo straordinario patrimonio di dolcezza, freschezza e personalissima aromaticità. L’affinamento è stato condotto in vasca per 7 mesi e almeno 12 mesi in bottiglia prima di essere commercializzato. E, come di consueto, Donnafugata ama mescolare arte e vino. Ecco che Ben Ryé significa in arabo “Figlio del vento”.

“Perché il vento che soffia fra i grappoli – spiega la casa siciliana – è una costante a Pantelleria. Ed il vento dell’isola porta con sé un carico di profumi così intensi da poterli toccare. L’etichetta d’autore celebra l’amore, la cura e la fatica della viticoltura eroica su un’isola unica e affascinante. Un ritratto dolce ed avvolgente che ne svela l’essenza”.

Prezzo pieno: 23,90 (37,5 cl)
Acquistato presso: Iper Coop

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Vini al supermercato

Bardolino Dop Classico 2015, azienda agricola Conti Guerrieri Rizzardi

(4 / 5)Si è tenuta il 6 e 7 marzo scorsi, nella splendida cornice di Colà di Lazise, sul Lago di Garda, l’anteprima dell’annata 2015 del Bardolino. Ed è proprio della vendemmia 2015 il Bardolino Dop Classico dell’azienda agricola Conti Guerrieri-Rizzardi che finisce oggi sotto la nostra lente di ingrandimento. Versato nel calice si presenta limpido, del tipico rosso rubino trasparente. Al naso lo spettro olfattivo richiama intensamente i frutti di bosco a bacca rossa, con le fragoline a dominare la scena, oltre a note floreali fresche. Un vino schietto, mediamente fine, di complessità sottile. La natura fruttata dei profumi trova corrispondenza al palato, dove ritroviamo fragoline, marasca, lamponi e una punta di ribes. Ma anche note speziate di pepe bianco, eleganti e soffuse. Vino caldo, rotondo e di corpo leggero nonostante i 13% (che dunque non infastidiscono affatto la beva), il Bardolino Dop Classico 2015 dell’azienda agricola Conti Guerrieri Rizzardi sfodera un’ottima acidità e sapidità: esattamente quello che ci si deve aspettare da una vendemmia appena immessa in commercio. Ed esattamente quello che deve esprimere un Bardolino classico. Poco tannico, per l’equilibrio mostrato si presta ad accompagnare i primi di pasta o risotto, le carni bianche e i formaggi freschi. In definitiva un buon prodotto, soprattutto nel rapporto qualità prezzo.

LA VINIFICAZIONE
I vigneti da cui l’azienda agricola Guerrieri Rizzardi ottiene il Bardolino in questione trovano collocazione nei Comuni di Bardolino e Cavaion Veronese, in provincia di Verona. I terreni, di origine morenico glaciale, si presentano ciottolosi, calcarei e argillosi. Il vino è ottenuto dal blend tra Corvina (65%), Rondinella (15%), Merlot (10%), Molinara, Ancellotta e Sangiovese (10%). La vinificazione prevede diraspatura e pigiatura delle uve, seguite dalla fermentazione alcolica e malolattica. La maturazione in cantina è di durata variabile fra i 3 e i 12 mesi, in vasche di acciaio inox a temperatura controllata. Il primo imbottigliamento avviene attorno al 10 febbraio dell’anno successivo alla vendemmia. L’azienda agricola Guerrieri Rizzardi si sviluppò fin dal XII secolo sotto la guida della famiglia Rambaldi. Nel XVI secolo, la famiglia Guerrieri, originaria di Fermo, nelle Marche, si stabilì nel veronese. Nella seconda parte del XVIII secolo, Agostino Guerrieri (1749 – 1833), sposò Maria Teresa Rambaldi, ultima discendente dei Rambaldi e dunque le proprietà passarono ai Guerrieri. I vigneti cominciano a svilupparsi sin dagli inizi dell’Ottocento. E dal 1913 il Conte Carlo Rizzardi costruì nuovi edifici e rese più moderne le secolari cantine, situate nel centro del paese di Bardolino.

Prezzo pieno: 4,89 euro
Acquistato presso: Esselunga / Gruppo Alì / Seven Poli gruppo / Martinelli / MaxiDì

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degustati da noi vini#02 visite in cantina

Numeri da record per I Rossi del Rosa Slow Food: ecco la nostra selezione di Nebbioli

Il bel tempo e la ricollocazione della manifestazione a metà marzo aiutano Slow Food. Record di presenze domenica 20 marzo in Alto Piemonte per “I Rossi del Rosa”. La terza edizione della manifestazione organizzata da Cantine a Nord Ovest ha visto la partecipazione di 550 persone.

“Numeri alti – commenta Leo Rieser, responsabile Eventi di Slow Food Piemonte e Valle d’Aosta – che di solito riusciamo a raggiungere solo per gli eventi legati al Gavi, sulla cresta dell’onda ormai da 17 anni”.

Riflettori puntati per un giorno intero, dalle 10 alle 18, su ventidue produttori di Nebbiolo (e non solo) distribuiti in tre province: Vercelli, Novara e Biella. Tutti uniti dal rispetto per il territorio, vero mantra della Chiocciola. “Lo scopo – aggiunge Leo Rieser, nella foto sotto – era far conoscere l’Alto Piemonte e i suoi vini di qualità a un pubblico più vasto possibile, comunemente abituato a pensare solamente a Langhe e Roero.

I Nebbioli del Nord sono invece prodotti di grande qualità, che meritano certamente meritano assolutamente una simile ribalta. E adesso tocca al Giro del Nizza, in programma per il 17 aprile”.

Per esigenze espresse da alcune aziende agricole, numerosi produttori di Bramattera Doc hanno preferito darsi un punto comune di ritrovo. Il tour inizia proprio da Casa del Bosco, Biella, piccola frazione del Comune di Sostegno che ospita il Museo del Bramaterra.

Un vero e proprio mausoleo in cui sono conservati documenti storici sulla viticoltura locale, d’interesse anche didattico, oltre a strumenti antichi come il torchio, lo sgranatoio a mano, tini, gerle per la raccolta dell’uva e altri curiosi attrezzi d’epoca.

LE DEGUSTAZIONI
Dal sapiente blend tra uve Nebbiolo, Croatina, Bonarda (Uva Rara) e Vespolina, in percentuali definite dal rigido disciplinare, si produce il vino Bramaterra.
Le uve provengono dai vigneti di Roasio, Lozzolo, Sostegno, Villa del Bosco, Masserano, Curino e Brusnengo. Tra i vini in degustazione segnaliamo su tutti il Bramaterra 2012 dell’azienda vitivinicola Antoniotti Antoniotti Odilio di Sostegno.
Di un rubino brillante, trasparente come vuole la base Nebbiolo, offre al naso sentori floreali di viola e piccoli frutti di bosco. Il vino è stato portato sul posto dallo stesso produttore ed è ancora piuttosto freddo al momento della degustazione.
Ci mette un po’ ad aprirsi e sprigionare la carica dei terziari, copiosa: dal tabacco al cuoio, con una punta di pepe. Vino di corpo, rotondo, d’acidità spiccata ma ben vestita, fa registrare 14 gradi di percentuale d’alcol in volume. Evidenti i margini di miglioramento negli anni a venire.
Buono anche il Coste della Sesia Doc 2013 di Antoniotti: un base Nebbiolo (95%) cui viene addizionata ogni anno una percentuale differente di Croatina, Vespolina e Uva Rara che colpisce soprattutto per la persistenza e l’intensità retro olfattiva, oltre alla beva davvero elegante e fine. Ottimo il rapporto qualità prezzo: 18 euro per il Bramaterra Doc 2012, che scendono a 12 per il Coste della Sesia Doc 2013.
Restiamo invece soddisfatti ‘a metà’ dall’assaggio del Bramaterra Riserva 2007 de La Palazzina di Montà Leonardo (Roasio, Vercelli). Quarantotto mesi in legno utili a smorzare le spigolosità del Nebbiolo, riducendolo forse un po’ troppo: 12,5%, ottima acidità, ma un corpo che ci saremmo aspettati più ‘muscoloso’.
TRAVAGLINI GATTINARA
Si risale in auto con destinazione Gattinara. Il navigatore satellitare segna l’indirizzo di uno dei riferimenti della zona: l’azienda vitivinicola Travaglini di via delle Vigne 36. Si registra un po’ di ressa, ma l’ottimo staff accoglienza è svelto nell’organizzare i gruppi di visitatori.
Veniamo condotti nelle cantine, dove in gigantesche botti grandi di rovere di Slavonia riposa il prezioso nettare, che ha contribuito a diffondere il verbo dei Nebbioli del Nord Piemonte fuori dai confini regionali e nazionali.
La “base” Travaglini riposa 3 anni in legno, la Riserva 4. Si tratta di roveri presenti dal ’58 nelle cantine del fondatore Giancarlo. Il Gattinara 2011 sarà presentato al Vinitaly 2016. Per la nuova Riserva se ne riparla nel 2018. Tutti i vini della linea Travaglini, oltre alle botti grandi, subiscono una maturazione in barrique della durata variabile tra i 7 e i 9 mesi.
In questo caso si tratta di legni sostituiti ogni 3 anni. Più di mille barrique in bella mostra. E accatastate su un bancale “a testa in giù”, a riposare alla stregua dello Champagne nelle pupitres, si scorgono le bottiglie di Nebolè: è il Metodo Classico Travaglini.
Quarantotto mesi sui lieviti, anche per la 2011, seconda ‘edizione’ delle bollicine Nebbiolo 100% Extra Brut, made in Gattinara. Trentatré euro il costo, giustificato non solo dalla tiratura limitata (meno di 2 mila bottiglie) ma anche dal fatto che la vinificazione viene condotta ad Alba.
Il gruppo di visitatori viene dunque condotto nell’ampia sala di degustazione dei vini Travaglini, presenti anche in alcune enoteche della Gdo. Si parte dal Coste della Sesia 2014 (13,5%, 9,50 euro): rosso rubino intenso, al naso ribes, lampone; tannino vivo, grande acidità, che conferisce piacevolezza e freschezza a una beva morbida, rotonda. Il Gattinara “base” è invece della vendemmia 2010 (13,5%, 14,50 euro).
Di colore granato aranciato, al naso regala note minerali, floreali e fruttate. Aprendosi nel calice dona il meglio di sé: liquirizia dolce, cuoio. La grande acidità e freschezza in entrata fa spazio alla sapidità finale, sostenuta da un tannino vivo, elegante. Tre Vigne 2010 (13,5%, 22,30 euro) è il vino più ruffiano della Travaglini. Quello che, per intenderci, fa strage di donne e giovani.

Il prodotto più beverino della linea, ottenuto da tre microclimi differenti di Gattinara. Tre vigne, appunto, il cui frutto viene sapientemente mixato.

Un vino di più facile e immediata lettura, con le sue note fruttate (bacca rossa) e balsamiche, tra le cui righe scorgiamo anche una parte ‘vegetale’, che ricorda il rosmarino, e una curiosa nota dolce di cipolla caramellata, a fare da eco alle note speziate di cuoio e liquirizia.

L’acidità spiccata lo rende vino capace di maturare ancora per diversi anni. Finiamo in bellezza, quasi ad occhi chiusi, con Il Sogno 2010 (15,5%, 49,50 euro), il vino da uve appassite di Travaglini, in stile “Sforzato” o “Amarone”. Lo spettro gusto olfattivo impressiona e la maggior parte dei sentori offrono corrispondenza.

Si va dalla prugna all’albicocca sciroppata, per passare alla scorza d’arancia in confettura e all’uvetta sotto spirito, sino a sentori più complessi e speziati come cannella, chiodi di garofano, curcuma. Cento giorni sui graticci ad appassire per le uve 100% Nebbiolo stramature, poi sottoposte a 4 mesi di rovere. Vino sontuoso da meditazione, o da accompagnare al dolce, registra una straordinaria persistenza.

ANZIVINO
Nel cuore di Gattinara, facciamo dunque visita alla Anzivino Viticoltori. Un’azienda relativamente giovane, fondata nel 1998 da due milanesi, Emanuela e Sabrina, che hanno deciso di dare una svolta alla loro vita, ridando lustro a una vecchia distilleria chiusa da anni a Gattinara, trasformandola in azienda vitivinicola.
Marco, del servizio accoglienza, guida i suoi ospiti in un viaggio tra i vini Anzivino che ci porta a segnalare, su tutti, il Bramaterra Doc 2013: 60% Nebbiolo, 30% Croatina e un 10% tra Uva Rara e Vespolina.
Possiamo definirlo in assoluto il miglior Bramaterra in degustazione nella giornata, in termini di prontezza e potenzialità future. Di colore rosso rubino tendente al granato, offre un olfatto intenso, florale di viola e fruttato di lamponi e ribes.
L’affinamento di 24 mesi, di cui almeno 18 in legno, dona complessità a un nettare che assume tinte eteree e regala sentori di vegetali di rosmarino, salvia, mentuccia e speziati di cuoio e liquirizia. Un vino di corpo e struttura, eppure morbido, rotondo, molto fresco e di buona sapidità.
Al cospetto del Bramaterra Doc Anzivino rischiano di finire in secondo piano i due Gattinara, anche se la Riserva merita più d’una menzione. Interessante anche il Faticato Coste della Sesia Nebbiolo Doc 2007 Anzivino. Le uve provenienti dai vigneti più impervi, dopo la vendemmia arrivano in cantina e vengono delicatamente distese su graticci, sui quali appassiscono fino al mese di dicembre. La fermentazione avviene nei tradizionali tini di legno.
Il vino viene poi affinato in legno medio-piccolo di secondo o terzo passaggio per almeno due anni, con un ulteriore anno di riposo in bottiglia. Anzivino è stato il primo produttore in zona a pensare a un vino da appassimento che, per la vendemmia in degustazione, è stato sottoposto a una maturazione di 5 anni in rovere.
Ne scaturisce un vino sullo stile Sforzato-Amarone che si presenta nel calice d’un rosso rubino intenso con riflessi granati. Il profumo è invitante, complesso e intenso, ma al palato lo avremmo preferito più strutturato e persistente. Il rapporto qualità prezzo (che si aggira attorno ai 24 euro), giustifica comunque il gap con il prodotto di riferimento per tipologia della zona, Il Sogno di Travaglini (49,50 euro).
IOPPA
Dopo un tour alla Cantina del Castello Conti di Maggiora (Novara), pittoresca location che non riusciamo ad annoverare tra le più memorabili, in termini di prodotti offerti in degustazione, ci spostiamo in quella che, a conti fatti, risulterà la vera “sorpresa” della giornata. Parliamo dell’azienda vitivinicola Ioppa Fratelli Gianpiero e Giorgio di Romagnano Sesia, Novara.
Qui a guidarci c’è il giovane Luca, settima generazione di una famiglia di agricoltori di cui si hanno tracce già a partire dal 1852. Siamo al cospetto di un’attività agricola che ha saputo riconvertire la produzione dal cerealicolo al vitivinicolo. Un processo iniziato a metà degli negli anni Novanta, che ha portato i terreni vitati della Ioppa a crescere dai 7 ettari degli dell’anno 2000 agli oltre 20,5 ettari attuali.
E un alto ettaro e mezzo è pronto per essere impiantato durante la Primavera 2016, con l’obiettivo di raggiungere i 30 ettari complessivi entro i prossimi 10 anni. Luca Ioppa mostra le aree di produzione della cantina. Una cantina proiettata principalmente al mercato estero.
“Produciamo complessivamente circa 140 mila bottiglie – spiega il giovane viticoltore -. La parte del leone è riservata al Nebbiolo Rosato, con 65 mila bottiglie. Si tratta del prodotto più apprezzato nel nostro mercato di riferimento, la Norvegia”.
Di recente stiamo entrando anche in Svezia, mentre siamo già presenti e strutturati in Paesi come Stati Uniti e in Giappone”. In Italia, Ioppa si è di recente slegata da un canale di distribuzione horeca della zona, affidandosi a una rete interna di rappresentanti. Una scelta dovuta alla necessità di legarsi a doppio filo con la ristorazione locale”.
Dopo il tour della cantina ci concentriamo su una degustazione che lascia il segno. A sorprendere è il vino bianco San Grato, di cui vengono prodotte 3 mila bottiglia. Si tratta di un vendemmia 2014 a base Erbaluce (60%), cui vengono addizionati un 30% Timorasso e un 10% Traminer aromatico. Le percentuali di uva variano di anno in anno, così come è variata la percentuale di alcol in volume, passata dagli 11,5 gradi della vendemmia 2014, ai 14% della vendemmia 2015.
Il San Grato Ioppa 2014 si presenta nel calice di un giallo paglierino con riflessi verdolini. Al naso richiami di pesca e frutta tropicale (ananas), ma è al palato che dà il meglio di sé: la sapidità accentuata è bilanciata dalla struttura conferita all’Erbaluce dal Timorasso. Ne scaturisce un bianco semplice ma di corpo, intenso e persistente nel retro olfattivo, che ci piacerebbe abbinare all’istante a un piatto di buon sushi o sashimi. Un vino base fuori dagli schemi, al costo di soli 5 euro: da provare.
Passiamo dunque al rosato Colline Novaresi Doc Nebbiolo Ioppa: un vino intrinsecamente legato al mercato cui è destinato, ruffiano, piacione, in cui la buona vena acida è smorzata da una percezione fruttata zuccherina. Piace ai norvegesi.
Ottimo invece il Ghemme Docg Bricco Balsina 2006, ottenuto da un vigneto con esposizione a sud-ovest situato nella zona più vocata del paese, denominata appunto “Balsina”, con un terreno alluvionale ricco di sali minerali che consente alle radici di scavare in profondità, alla ricerca dei migliori elementi nutritivi.
Si tratta di un blend Nebbiolo (85%) Vespolina (15%), invecchiato 4 anni in legno, di ottima mineralità e acidità, che si distingue per struttura, corpo e persistenza. Ne vengono prodotte 3 mila bottiglie.  Degno di nota anche Stransì (2000 bottiglie), il passito di Vespolina di casa Ioppa, unico produttore che lo realizza con questo uvaggio autoctono.
Un vino dolce, da dessert, che si presta anche all’abbinamento con il gorgonzola piccante. La Vespolina, uva tannica e strutturata, conferisce tali caratteristiche anche al passito in questione, che risulta tutt’altro che stucchevole. Chapeau. Viene prodotto ininterrottamente dal 2005.
“Mio padre e mio zio – spiega Luca – si ricordavano che mio nonno, loro padre, durante il periodo delle feste di Natale era solito portare in tavola un vino dolce, ottenuto da una produzione ad hoc. Da questa tradizione è nata l’idea di un vino passito ottenuto dalle prime uve raccolte dal 10 al 15 settembre, dunque con un grado di acidità che consenta l’invecchiamento, lasciate appassire fino alla fine di febbraio.
Da 100 chili d’uva otteniamo 10-15 litri di vino, a dimostrazione della grande ricercatezza che cerchiamo di conferire al prodotto. In seguito alla fermentazione – continua Luca Ioppa – il vino viene invecchiato in legno. Raggiunge i 15-16 gradi e, attualmente, abbiamo in legno la vendemmia 2008, che presto sarà imbottigliata”.
Degli Antichi Vigneti di Cantalupo (Ghemme) abbiamo già speso “ampie” pagine del nostro wine blog. E per chi ancora non lo conoscesse, invitiamo tutti i winelovers a visitare il regno dell’immenso Alberto Arlunno, uomo di grande cultura e profonda sensibilità, ben oltre il mondo del vino. Qui, invece, il nostro reportage dalla cantina Nervi.
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Vini al supermercato

Barbaresco Docg Sette Cascine, Dfr Spa Batasiolo Vini Spa

(1 / 5)Partiamo da una premessa: il Barbaresco Sette Cascine in vendita nei supermercati Esselunga, è proprio il caso di dirlo, ci ha fatto letteralmente ‘penare’. Dopo diversi giorni, in cui si sono susseguite email e telefonate a vuoto in Piemonte, tra La Morra (Cuneo), Canelli (Asti) e Torino, siamo riusciti a dare un volto al ‘misterioso’ acronimo del produttore indicato in etichetta: Dfr Spa di La Morra. Vuoi che nessuno conosca una “Società per azioni” che commercializza vino nei supermercati di Caprotti? Tant’è. Siamo in Italia. E anche al Nord, checché se ne dica, in molti preferiscono farsi gli affari loro. La telefonata giusta risale alla mattinata di mercoledì 16 marzo. Al telefono della Batasiolo Vini Spa risponde un’impiegata, che passa la cornetta a un responsabile. “Siamo noi quelli del Barbaresco 7 Cascine – conferma -. Abbiamo fatto tanto per nasconderci!”. Il sarcasmo è di quelli che gelerebbero il sangue anche al più “caliente” dei consumatori, in un’epoca in cui la politica e le associazioni di settore si sciacquano la bocca quotidianamente con gli appelli per rendere più “trasparenti” le etichette dei beni in vendita nella grande distribuzione organizzata. Ma al telefono non facciamo polemiche. E chiediamo di inviarci la scheda tecnica del prodotto. A proposito. Le bottiglie su cui puntiamo la lente di ingrandimento, questa volta, sono due. La prima bottiglia di Barbaresco Sette Cascine è della vendemmia 2011. La seconda della vendemmia 2008. E qui apriamo una parentesi: bottiglia impolverata, catturata sul fondo dello scaffale. Praticamente dimenticata, accanto a un’altra della vendemmia 2009. Tre i facing, ovvero le file a banco, dedicati al Barbaresco Sette Cascine in questo punto vendita Esselunga, sul ripiano più alto della scaffalatura.

La presenza di annate più recenti davanti alle due bottiglie dimenticate, racconta quanto lavoro ci sia ancora da fare nella Gdo per convincere gli addetti al caricamento – e, ancor prima, i loro responsabili! – che anche al vino va “dato il giro” delle scadenze: come fossero mozzarelle, o brioches, o latte per neonati. Non perché il vino propriamente ‘scada’. Ma perché i clienti, spesso ignari di queste dinamiche, finiscono per acquistare bottiglie ‘vecchie’, giudicandole male tout court: e chi ci rimette, in questo caso, è innanzitutto il produttore di quel determinato vino, oltre alla stessa catena della Gdo. Per la cronaca, la bottiglia di Barbaresco Sette Cascine 2008 è finita nel lavandino: imbevibile. Sia per l’imperizia nella conservazione, sia perché… Perché è la stessa annata 2011 a lasciare a desiderare. Tuffiamoci dunque nell’analisi di un Barbaresco 2011, il 7 Cascine, che nel calice si presenta di un rosso ancora più rubino che granato, con unghia tendente all’aranciato. Il primo impatto col calice lascia negli occhi una vampata d’alcol. Lasciamo ossigenare il nettare, prima di riavvicinarci. Ecco che si apre in un naso speziato e vegetale, di zafferano e rosmarino, cui fanno eco sentori di piccoli frutti a bacca rossa. Al palato, il Barbaresco Sette Cascine è tutt’altro che equilibrato. L’alcolicità sfiora la soglia del bruciante ed è l’unico descrittore a restare in bocca, una volta deglutito il vino. Una percezione che fa sembrare ‘sotto spirito’ la frutta già avvertita al naso, che ritroviamo anche al palato. La disarmonia generale, dovuta all’alcolicità eccessiva, guasta una morbidezza, un’acidità e una sapidità altrimenti sufficienti. Lo stato evolutivo della vendemmia 2011? Vorremmo poterlo definire pronto, anche se temiamo si tratti piuttosto di una maturità destinata al viale del tramonto, a braccetto con la sola alcolicità. E l’abbinamento culinario? Preferiamo non suggerirlo, per questa volta.

LA VINIFICAZIONE
Riportiamo letteralmente dalla scheda tecnica fornita dalla casa produttrice, la Batasiolo Vini Spa (Dfr Spa, La Morra): “Vinificazione in rosso con lunga macerazione delle bucce, seguita da un oculato invecchiamento in botti di rovere per circa un anno ed un successivo affinamento in bottiglia di ugual durata”. Le uve Nebbiolo (100%) vengono raccolte sulle “colline situate sulla riva destra del fiume Tanaro che circondano Comune omonimo (Barbaresco, ndr), in provincia di Cuneo” e vendemmiate “dal 10 al 20 ottobre”. Sorprende la qualità di questo prodotto, non certo all’altezza della fama della Batasiolo Vini Spa, cantina situata nel cuore delle Langhe e attiva nel mondo del vino da più generazioni. “I fratelli Dogliani – si evince dal sito web aziendale – acquistarono nel 1978 la storica cantina Kiola in La Morra, fondata negli anni ’50 e costituita da sette cascine con vigneti situati nei più pregiati territori di vinificazione del Nebbiolo da Barolo. Acquistando questa importante cantina e aggiungendovi i terreni di famiglia, i Dogliani divennero proprietari di un’azienda vinicola che attualmente conta nove cascine e una superficie vitata di centosette ettari, di cui circa sessantuno coltivati a Nebbiolo da Barolo”. Il Barbaresco Sette Cascine è in vendita in Esselunga a un prezzo di sell-out tra i più bassi per questa tipologia di vino nell’intero panorama della Gdo italiana che ‘conta’. Ma quello che sorprende sono i soli 3-4 euro di “scarto” tra il Barbaresco e il Barolo della stessa casa vinicola. Un aspetto che, forse, i produttori vorranno approfondire prossimamente sulle pagine di vinialsupermercato.it.

Prezzo pieno: 12,70
Acquistato presso: Esselunga

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Vini al supermercato

Lacryma Christi del Vesuvio Rosso Doc Borgo San Michele, C.p.t. Cons. Prod. Tipici Srl

(3,5 / 5) Sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it finisce oggi un altro vino campano. E’ il turno dell’affascinante Lacryma Christi del Vesuvio Rosso Doc 2012 della linea Borgo San Michele, prodotto e imbottigliato dalla cantina C.p.t. Cons. Prod. Tipici Srl di Montefusco, Avellino. Una selezione di vini campani curata dall’enologo Antonio Pesce, che finisce sugli scaffali di diverse catene della grande distribuzione organizzata italiana.

Nel calice, Lacryma Christi del Vesuvio Rosso Doc 2012 Borgo San Michele si presenta limpido e trasparente, di un rosso rubino accesso, sgargiante. Intenso al naso e di complessità sottile, regala note floreali di viola mammola e frutta matura a bacca rossa. Lo spettro olfattivo si allarga anche a terziari speziati di liquirizia, in un sottofondo minerale. Al palato, Lacryma Christi del Vesuvio Rosso Doc 2012 Borgo San Michele colpisce per l’ottima sapidità, che rende i ritrovati sentori fruttati e speziati ancora più affascinanti. Manca forse solo un po’ di corpo per poter considerare più che equilibrata la beva, ma l’alcolicità calda e la piacevole avvolgenza regalano comunque un palato di tutto rispetto per la fascia prezzo del prodotto. Intenso anche il retro olfattivo: una volta deglutito il vino lascia una scia mediamente fine, sufficientemente persistente (verso la sapidità). Maturo lo stato evolutivo della vendemmia 2012, che abbineremmo a piatti elaborati di carne (primi e secondi, senza tuttavia spingersi nel campo minato della selvaggina) e a formaggi stagionati, saporiti.

LA VINIFICAZIONE
Come da disciplinare della Doc, il Lacryma Cristi del Vesuvio Rosso 2012 Borgo San Michele è ottenuto dalla vinificazione in purezza di uve Piedirosso, note anche col nome di Palombina o Palummina e localmente chiamate “Per’ e Palummo”. I vigneti di provenienza sono quelli dell’area della Doc, alle pendici del Vesuvio, in provincia di Napoli. Terreni di chiara origine vulcanica quelli dove affondano le vigne, allevate a cordone speronato con una resa di 90 quintali per ettaro. La raccolta avviene in maniera manuale, nella seconda decade di ottobre. Per evitare fermentazioni indesiderate, i grappoli vengono riposti in cassette di peso non superiore ai 20 chilogrammi. Giunta in cantina, l’uva che darà vita al Lacryma Christi del Vesuvio Rosso Doc Borgo San Michele viene macerata a freddo e sottoposta a una pressatura soffice. La fermentazione avviene a temperatura controllata e il mosto riposa in botti di rovere per 6 mesi. Il vino viene dunque commercializzato, dopo un ulteriore maturazione in serbatoi di acciaio inox e 3 mesi di affinamento in bottiglia.

Prezzo pieno: 8,94
Acquistato presso: Carrefour

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visite in cantina

I Nervi del Gattinara Docg: tour all’azienda vitivinicola “norvegese”

Ci sono storie di vino che passano pressoché indenni cataclismi e sfortune. Sino ad arrivare ai giorni nostri. Una di queste vede come teatro Gattinara. Poco più di 8 mila anime, in provincia di Vercelli. Siamo in Valsesia, alle pendici del Monte Rosa. In un piccolo Comune che dà anche il nome a un prestigioso vino ottenuto da uve Nebbiolo, il Gattinara Docg. Interprete storico di questo antico vitigno è la cantina Nervi. Ad accoglierci Claudia, che si occupa della parte logistica e anche delle visite. Mentre scendiamo nella parte storica dell’edificio, Claudia racconta che in Piemonte sono molto famose le Langhe, con Barolo e Barbaresco. Ma che non tutti sanno che anche in questa parte di Piemonte si producono degli ottimi vini. Non a caso la Cantina Sociale più antica d’Italia si trova ad Oleggio, Novara. Claudia spiega che Gattinara è da sempre una zona vocata alla viticoltura. Il suo passato è costellato da cataclismi, come una terribile grandinata, l’11 agosto 1905. Spazzò via tutto, viti comprese. I viticultori dell’epoca dovettero attendere almeno tre anni per cominciare a vedere il frutto del loro nuovo sacrificio. Fu proprio l’anno successivo a questo disastro, nel 1906, che Luigi Nervi costituì la Cantina. La parte più vecchia della cantina è quella da cui comincia il nostro tour. La parte storica dunque. Dove vasi vinari appartenenti a diverse epoche, tini tronco-conici, vasche in cemento del 900, convivono con le moderne vasche in acciaio installate nella parte più recente della cantina, ognuna destinata a produzione e invecchiamento di un particolare vino. Delle famiglia Nervi, tuttavia, non resta più nessuno dal 1975. Una storia complicata quella di questa cantina del Vercellese.

PASSATO E PRESENTE

Luigi Nervi ha avuto un solo figlio, Italo, morto prematuramente all’età di 62 anni, senza eredi. Italo ha lasciato l’azienda ai suoi dipendenti, che l’hanno portata avanti per circa 15 anni. Ma che purtroppo non hanno avuto la forza economica di fare gli investimenti necessari. La proprietà, nel 1991, passa così a Sitindustrie, azienda leader nel settore dell’acciaio. Per questioni economiche, anche Sitindustrie, nel 2007, ha dovuto vendere parte dei suoi rami d’azienda. Tra cui proprio Nervi, che era il suo fiore all’occhiello.

Nel 2010 la proprietà è finita in mano a quattro norvegesi, personaggi di spicco del mondo dell’alta finanza. Tutti tranne uno, importatore di vini che è anche proprietario di due cantine in Francia. In Norvegia, ci spiega Claudia, “il vino è un culto”. Ragion per cui i proprietari hanno voluto lasciare tutto com’era a Nervi. Rispettosi dello stile e dei dipendenti. L’enologo ha 52 anni: la sua avventura è cominciata qui, quando ne aveva solo venti. Merito dei norvegesi quello di introdurre nuove sperimentazioni, in particolare sui rosati e sull’utilizzo delle botti. Si è cercato di ricostruire la storia della Cantina e del Gattinara, finita per sbiadirsi nel tempo, tra tutti i passaggi societari. A Gattinara sono 13 le aziende operative per un totale di 104 ettari. E Nervi è una delle più grandi, con i suoi 30 ettari.

Oggi produce circa 140 mila bottiglie annue di cui 40 mila di rosato di Nebbiolo che va fortissimo in Norvegia. Da solo, il Paese del Nord Europa assorbe circa 20 mila bottiglie. In Europa la Norvegia è non a caso il primo mercato di Nervi. Seguono Francia Inghilterra, Belgio Germania, Svizzera, ma anche Australia, Giappone, Stati Unit. In Italia Nervi distribuisce in Horeca e una parte irrisoria, circa 3 mila bottiglie, finisce in grande distribuzione organizzata. Con una delle loro etichette storiche, quella del Cardinale, principalmente presente sugli scaffali Coop e Ipercoop di Piemonte e parte della Lombardia. Ma ogni dirigente ha i suoi vezzi e l’amministratore delegato attuale ha fortemente voluto adibire una stanza della cantina a Museo. Claudia lo definisce “improvvisato”, perché hanno comprato in blocco le bottiglie da un’enoteca a San Giulio. L’idea era quella di vedere l’evoluzione delle etichette e della denominazione stessa: sono esposte tantissime annate. Luigi Nervi ha richiesto la Doc nel 1967, l’anno successivo al Barolo, mentre la Docg invece è recentissima (1999). Tra le etichette notiamo “Riserva del titolare”, prodotta fino agli anni 70. Poi, quando la legge lo ha consentito, Italo Nervi ha deciso di etichettare con il nome dei cru che a Gattinara sono veramente storici, alcuni citati nel 1200 come il Valferana. Sono presenti anche vecchie bottiglie della linea del Cardinale, quella attualmente in grande distribuzione. Raffigurano il cancelliere Mercurino d’Arborio di Gattinara, che fu Gran Cancelliere alla corte di Carlo V di Spagna nel XVI secolo. Si dice infatti anche che “Spanna”, nome locale affibbiato al Nebbiolo, derivi da Spagna.

LA CANTINA

Nei vari locali ritroviamo stanze con botti di diverse dimensioni e diverse provenienze, alcune enormi, capaci di contenere 7600 litri. Tonneau a media tostatura che però non hanno convinto la proprietà, rilasciano troppi tannini gallici e sentori vanigliati che non vogliono nel loro prodotto. Vasche di cemento che, spiega Claudia, hanno dei grossi vantaggi a differenza dell’acciaio: “Il cemento è microporoso, rivestito da una speciale resina che consente comunque una micro ossigenazione. Il vino non si ossida ed il prodotto è molto sano e pulito”. Negli anni Ottanta molte cantine si sono convertite all’acciaio, le vasche di cemento sono state sostituite e anche Nervi ha seguito questa linea, ma alcune sono rimaste in quanto incastonate nell’edificio come colonne portanti. L’alternativa, scherza Claudia, “sarebbe stata quella di abbattere l’edificio, invece sono rimaste e sono addirittura utilizzate”. Poi ci accompagna nella vasta zona logistica, le bottiglie sono adagiate su placche che Claudia benedice, con i cestelli era un disastro quando se ne rompeva qualcuna: “Sono una grande invenzione – spiega – possono supportare fino a 5 bancali sovrapposti”. Risaliamo nella zona moderna dove ci sono vasche d’acciao a temperatura controllata utilizzate principalmente per il Gattinara base, i rosati e Coste della Sesia. I cru vanno tutti in legno, anche se tutto il Gattinara fa comunque legno. “Il Cardinale destinato alla grande distribuzione – spiega Claudia – non è un prodotto di serie B, è solo una questione di etichette”. Ci spostiamo dunque verso la sala degustazioni, attigua a un altro locale adibito a museo. Qui è possibile vedere le foto dei vigneti, in particolare Molsino e Valferana. Ci sono scatti risalenti al periodo antecedente la grandinata del 1905, quando a Gattinara era tutto vitato: 600 ettari contro i 104 attuali. E poi foto della famiglia Nervi. E una vetrinetta con bottiglie particolari di Gattinara. Claudia ci mostra un fiaschetto che a noi sembra quello del Chianti , ma che qui hanno scoperto fosse in uso per il Gattinara. Una vecchia bottiglia di un vino volutamente “Nebiolo”, un Gattinara del 1964 comprato sfuso e imbottigliato dai Marchesi di Barolo e una mappa catastale dei vigneti di Gattinara scoperta recentemente, che risale al periodo Napoleonico. Gattinara faceva parte dell’impero francese, stupefacente osservarne i dettagli, considerato che all’epoca non esistevano satelliti.

LA NOSTRA DEGUSTAZIONE

Il primo prodotto che vogliamo degustare è il rosato di Nebbiolo. Il tappo è a vite, ci lascia un po’ perplessi, ma Claudia sostiene con fermezza che in Norvegia è un must. L’etichetta è molto particolare, disegnata appositamente da un artista norvegese, anche se è stata molto criticata perché considerata triste e lugubre. Sempre parlando di rosati, Claudia spiega che il Nebbiolo si presta molto ad essere così vinificato, cosa che fanno anche i vicini di Ghemme e Boca, con ottimi risultati. Il prodotto è molto fresco, da bere giovane, il colore è molto chiaro perché il contatto sulle bucce è volutamente breve. Il Gattinara invece è un prodotto completamente diverso. Si presta molto all’invecchiamento, ma non va confuso con il Barolo. Va apprezzato per la sua tipicità, anche perché qui ci sono cloni leggermente diversi. Tra le annate che degustiamo, 2010 e 2011, notiamo leggere differenze di colore. “Dipende molto dalle annate – evidenzia Claudia – e addirittura dai vitigni, tra Molsino e Valferana ci sono grosse differenze, hanno differenti esposizione”. Le vigne sono relativamente giovani, hanno tra i trenta e i quarant’anni, e i terreni sono un mix di argilloso per il 25 per cento. Poi porfidi di origine vulcanica, di colore rossiccio molto carico di ferro: Molsino è più granitico, Valferana più raffinato. E le caratteristiche del terroir si sentono tutte nel calice. La nostra visita si conclude e lascia domande irrisolte. Chissà cosa sarebbe accaduto se la famiglia Nervi fosse stata ancora in vita? Chissà se Italo Nervi, con un nome così patriottico, avrebbe mai potuto immaginare un futuro norvegese per la sua azienda?

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Vini al supermercato

Rosso Igt Veneto Antale, Natale Verga

(3,5 / 5) E’ ottenuto da uve lasciate appassire leggermente il Rosso Igt Veneto Antale Natale Verga. Stiamo parlando della linea top di gamma della casa vinicola di Cermenate (Como), denominata appunto Antale: quella che racchiude i vini destinati “ai palati più esigenti”, da abbinare alle portate più complesse della tavola. E in estrema sintesi non possiamo che definire Rosso Igt Veneto Antale di Natale Verga un ottimo prodotto per qualità prezzo, in linea con le politiche aziendali di questo colosso italiano della vinificazione. Passiamo dunque il vino sotto la nostra lente di ingrandimento. Nel calice si presenta di un rosso rubino intenso, poco trasparente. Al naso è intenso, schietto, fine. Sottile, fa registrare note pressoché fruttate mature, tendenti alla confettura: prugna, ciliegia, in un sottofondo di vaniglia. Al palato troviamo rispondenza delle note fruttate, con una più accentuata vena austera ed elegante che ricorda il caffè e il cacao amaro, oltre alla vaniglia. Il Rosso Igt Veneto Antale Natale Verga è vino di corpo in quanto a struttura, di alcolicità calda (14%) ma non per questo fastidiosa, di rotonda morbidezza. Secco, fresco e sapido, si presenta giustamente tannico e decisamente equilibrato. Una volta deglutito si mostra intenso, mediamente fine e sufficientemente persistente: un buon quadro retro olfattivo, insomma. Perfetto l’abbinamento con primi, secondi e formaggi saporiti, anche se offre il meglio di sé con la carne, specie se alla griglia o in arrosto.

LA VINIFICAZIONE

Il Rosso Igt Veneto Antale Natale Verga, come detto, ha il suo segreto nella raccolta leggermente tardiva delle uve Corvina, base tra l’altro di grandi vini rossi veneti come l’Amarone della Valpolicella, anch’esso ottenuto mediante preventivo appassimento degli acini. La fermentazione, indotta da lieviti selezionati, avviene a cappello emerso in vasche d’acciaio e si esaurisce in 14-15 giorni. Il processo si conclude con una macerazione che dura dai 10 ai 15 giorni. A dicembre il vino viene sottoposto alla fermentazione malolattica e trasferito in tonneaux di rovere francese, ove resta a maturare per 3 mesi. Dopo più di un secolo di attività, oggi alla quarta generazione, la casa vinicola Natale Verga Spa è una delle più presenti nella grande distribuzione organizzata italiana, con una vasta gamma di prodotti a marchi propri e private labels.

Prezzo pieno: 5,69

Acquistato presso: Il Gigante
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Vini al supermercato

Damarino Sicilia Doc Bianco 2014, Donnafugata

(3,5 / 5) E’ solo uno dei tanti “volti del vino” che la casa vitivinicola siciliana Donnafugata cerca di conferire ai suoi prodotti. Damarino, ovvero la fusione tra un tralcio di vite, il suo grappolo, e il viso di una donna. La prosperità della natura e la grazia della femminilità. E di fatto Damarino Sicilia Doc Bianco 2014 Donnafugata è un vino ammiccante. Semplice, pur nella sua profonda essenza. Nel calice l’uvaggio Ansonica (Inzolia), in blend con una piccola percentuale di vitigni autoctoni, si presenta di un giallo paglierino intenso. Al naso è ricco e avvolgente: la frutta a polpa bianca (pera, pesca) si fonde con note agrumate più austere, mitigate da sentori floreali di zagara e vegetali di macchia mediterranea, che ricordano la fresca salvia. Al palato la freschezza la fa appunto da padrona, nel ripetuto rincorrersi tra le note fruttate, agrumate e vegetali già percepite all’olfatto. Di buon corpo, nonostante la leggera alcolicità, Damarino Sicilia Doc Bianco 2014 Donnafugata si rivela rotondo, secco ed equilibrato. Intenso, mediamente fine e sufficientemente persistente, ha uno stato evolutivo maturo e si presta a una consumazione entro i tre anni dalla vendemmia. Ottimo come leggero aperitivo, Damarino si abbina a piatti non troppo elaborati di pesce, per esempio bollito.

LA VINIFICAZIONE
Le uve Ansonica, conosciute anche con il nome di Inzolia, costituiscono la base prevalente del blend, profondamente legato al territorio siciliano. Le viti crescono nei vigneti Donnafugata situati nella Sicilia sud-occidentale, più precisamente alla Tenuta di Contessa Entellina e nei territori limitrofi, a un’altitudine che varia tra i 200 e i 600 metri sul livello del mare. I suoli sono di tipo franco-argilloso, ricchi in elementi nutritivi come potassio, magnesio, calcio, ferro, manganese, zinco. La vite viene allevata col sistema della controspalliera, con pali in legno e fili in acciaio e potatura a cordone speronato, lasciando da 6 a 10 gemme per ogni pianta. La densità varia dalle 4.500 alle 6 mila piante per ettaro, con rese di circa 85 quintali (1,7 kg per pianta). L’Inzolia, in occasione della vendemmia 2014, è stata raccolta nella seconda decade di settembre. La fermentazione è avvenuta in acciaio, alla temperatura di 14-16 gradi. Il vino è poi affinato in vasche d’acciaio e in bottiglia per almeno due mesi, prima di essere commercializzato.

Prezzo pieno: 7,40
Acquistato presso: Carrefour

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Vini al supermercato

Gavi Docg Maddalena Massone 2015, Stefano Massone

(4 / 5) Prodotto e imbottigliato a Capriata d’Orba dall’azienda agricola Stefano Massone, il Gavi Docg Maddalena Massone è uno dei migliori prodotti ad uva Cortese per fascia prezzo nella grande distribuzione organizzata. In vendita esclusivamente nei supermercati della catena Il Gigante, arriva a costare poco più di 3,50 euro in promozione: un affare per quello che è in grado di offrire. La nostra degustazione è relativa alla freschissima vendemmia 2015. Di colore giallo paglierino con riflessi verdolini, si offre spavaldo e complesso al naso, con sentori floreali e fruttati freschi (pesca, mela) e addirittura esotici (banana). Sullo sfondo richiami eleganti di mandorla amara. E una vena vagamente speziata, aristocratica, che ricorda la noce moscata. Al palato, il Gavi Docg Maddalena Massone denota corrispondenza gusto-olfattiva: ecco nuovamente la frutta (pesca e mela) ma soprattutto la speziatura di noce moscata. Vino secco di buon corpo, piacevolmente rotondo, fresco e sapido, raggiungerebbe la perfezione se fosse in grado di esprimere un pizzico di alcolicità maggiore, a far da contraltare alle note speziate. Ma l’equilibro è comunque raggiunto. Perfetto come fresco aperitivo, il Gavi Docg Maddalena Massone può essere abbinato a primi a base di verdure, frittate, secondi di pesce (dal carpaccio di spada al branzino), ma anche a formaggi non stagionati, alla pizza Margherita o al sushi giapponese.

LA VINIFICAZIONE

Per l’ottenimento di questo vino vengono utilizzate uve Cortese in purezza, provenienti dai 50 ettari di vigneti dell’azienda agricola Stefano Massone, dislocati nei Comuni di Carpiata d’Orba, Francavilla Bisio e Gavi, tutti in provincia di Alessandria, vero e proprio crocevia del triangolo Torino-Milano-Genova. I vigneti, allevati a Guyot, sono esposti a Sud-Ovest-Est a un’altitudine compresa tra i 240 e i 320 metri sul livello del mare. Le radici affondano in terreni compatti, argilloso marnosi. Quattromiladuecento le viti per ettaro, in grado di rendere 6.500 litri di vino per ettaro. Le uve vengono raccolte durante il mese di settembre, in parte meccanicamente e in parte manualmente. Vengono quindi sottoposte a una pressatura soffice e il mosto travasato in vasche termo condizionate con inoculo di lieviti selezionati. Terminata la fermentazione a temperatura controllata, il vino ottenuto viene travasato e lasciato ad affinarsi naturalmente. Dopo la precipitazione dei tartrati, che avviene in maniera naturale a freddo, il vino viene imbottigliato e lasciato a riposare per un breve periodo, prima della commercializzazione.
Prezzo pieno: 6,15 euro
Acquistato presso: Il Gigante
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Vini al supermercato

Brut fermentazione in bottiglia, Catturich Ducco

(4,5 / 5)Nasce dall’assemblaggio dei vini provenienti dai 28 cru di proprietà della Catturich Ducco lo spumante Brut fermentato in bottiglia.

Presente in diverse catene della gdo, come Ipercoop e Il Gigante, è il frutto dell’assemblaggio dello Chardonnay allevato nei comuni di Passirano, Monticelli Brusati e Provaglio d’Iseo, nel cuore della Franciacorta bresciana. Sotto esame la sboccatura 2015.

Già in bottiglia, completamente trasparente, si rivela di colore giallo paglierino. Una volta versato sfoggia un perlage mediamente fine e persistente.

La carica olfattiva è intensa, di sottile complessità. Si evidenziano note floreali fresche e fruttate di mela, pera e pesca, oltre a sentori di burro e latte di mandorle.

Una percezione, quella che richiama il latte, che si ripresenta al palato: marcatamente burroso e vellutato, con note persistenti di crosta di pane tipiche dei lieviti della zona. Di buon corpo e calda alcolicità, il Catturich Ducco Brut fermentazione in bottiglia si scopre piacevolmente rotondo, secco e fresco. Sapido ed equilibrato.

Buona anche l’intensità retro olfattiva, di qualità fine e persistenza sufficiente, sui sentori della crosta di pane. Decisamente matura la sboccatura 2015, nella sua fase migliore per essere consumata come aperitivo o con antipasti a base di pesce.

LA VINIFICAZIONE
L’allevamento dello Chardonnay viene condotto a cordone speronato, con una resa media di 100 quintali per ettaro. La raccolta viene effettuata nelle vigne Catturich Ducco in maniera manuale, con successiva pressatura soffice delle uve intere. Il mosto fermenta in vasche di acciaio inox.

L’assemblaggio avviene in primavera e, dopo il tiraggio, si lascia spazio a una rifermentazione in bottiglia a sovrapressione ridotta di un’atomosfera. Un’elaborazione di 9 mesi per questo Brut di casa Ducco, che procede alla sboccatura su piccole quantità, in base alle ordinazioni richieste.

Prezzo pieno: 6,59 euro
Acquistato presso: Ipercoop / Il Gigante

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degustati da noi vini#02 visite in cantina

Antichi Vigneti di Cantalupo, il Nebbiolo alla “novarese”. Alla scoperta del regno di Alberto Arlunno

Umiltà e semplicità. Sono le caratteristiche con le quali Alberto Arlunno dirige una delle più importanti cantine di Ghemme. Siamo in Piemonte, poco al di là del confine con la Lombardia, in provincia di Novara. Terra dove l’uva Nebbiolo viene trasformata pazientemente in vino dai viticoltori locali.

Il signor Alberto ci accoglie con un sorriso che metterebbe a proprio agio anche il più timido dei visitatori. Il sorriso di chi ti apre le porte del suo mondo. Di casa sua. Perché è qui che abita il cuore di quest’uomo: alla cantina Antichi Vigneti di Cantalupo. Tutt’attorno, le “figlie” putative di Alberto Arlunno: le vigne.

“Andiamo in vigna, che preferisco”, dice appunto. Ci accompagna, sulla collina che sovrasta la collina, a bordo della sua Fiat Multipla che segna inesorabili 376.000 chilometri di fatiche. Il vignaiolo accosta su un crostone di terreno. ‘Va che bello! Prima fotografate la terra”, esordisce. Gli occhi brillano, come se fosse per lui la prima volta. Poi prosegue: ”Questa è una collina fluvio glaciale creata dai detriti accumulati dallo scioglimento di un ghiacciaio ed in parte trasportati dal fiume Sesia. Non è il mio vigneto di punta, ma è sicuramente tra i migliori”.

La nostra intervista non poteva sperare in teatro migliore. Una camminata tra i filari, allevati a Guyot. Alberto passeggia, ogni tanto si ferma ad ammirare una legatura, a controllare un palo, si stupisce di fronte ai rami di vite che gli sembrano uno stemma araldico. Guarda la sua vigna, con l’espressione di chi non smette di sorprendersi, centimetro dopo centimetro, di qualcosa che in fondo conosce come le sue tasche.

”Quante volte passa di qui il sottoscritto? Ogni volta – ammette – c’è un particolare nuovo che mi affascina”. ”Guarda che bello qui, con il prato appena tagliato. Sembra una vigna inglese”. E fa una fotografia. ”…Poi quando intorno è spenta ogni altra face, e tutto l’altro tace, odi il martel picchiare”, non manca neppure una citazione leopardiana dal Sabato del villaggio.

LA STORIA

Antichi Vigneti di Cantalupo è un’azienda vinicola di 35 ettari, ”tutto Nebbiolo al 105%”, scherza Alberto, fissandoti col piglio di chi s’aspetta che quella battuta, studiata e ripetuta chissà quante volte, faccia ridere di volta in volta nuovi interlocutori. E così succede.

”Cantalupo – spiega – è una trasformazione di un’azienda di famiglia. Quando è arrivata la Doc Ghemme si è pensato di rinnovare i vigneti, di ampliarli, di rifare la cantina nuova. chiamandola con quello che era il nome di un vigneto, il Cantalupo”.

Antichi Vigneti di Cantalupo nasce nel 1977, ma la famiglia Arlunno è a Ghemme dalla notte dei tempi. I nuovi impianti sono del 1970, il primo vino a “marchio” Cantalupo invece è del 1974.

Oggi l’azienda produce circa 180.000 bottiglie. Tre impiegati lavorano quotidianamente tra vigna e cantina, con picchi che raggiungono la ventina di persone, durante potatura e vendemmia. A proposito di potatura: essendo sul finire di febbraio, chiediamo ad Alberto come procedono i lavori. Ci risponde, in piemontese, che da quelle parti si dice ”chi ha la vigna sua va a potarla al mese di marzo”.

Ma loro, con i 35 ettari vitati, se andassero al mese di marzo “dovrebbero spararsi”! Noi che arriviamo dalla grande città proviamo a volte invidia per chi ha la possibilità di lavorare in mezzo alla natura. ”C’è un grande lavoro?” chiediamo ad Alberto. ”Abbastanza… Sufficiente…”, ride. Poi prosegue: ”Ogni tanto viene voglia di scappare!”. Ma Alberto, anzi, resta. E inizia a raccontarci del vitigno.

”Il Nebbiolo è importante ed è interessante anche per il fatto che puoi fare di tutto – spiega – anche la bollicina con un metodo Charmat, senza andare troppo lontano. Abbiamo fatto una prova di Metodo Classico, è lì dal 2002 che dorme: due esperimenti, uno in rosato e una prova di bianco, poca roba, ma non so dirvi com’è, non l’ho ancora assaggiata”.

Di fronte al vigneto c’è una collina dalla forma particolare, è l’occasione per Alberto di farci una vera e propria lezione di geologia sulla Valsesia. ”Quella montagna che sembra un panettone Galup, è la reliquia dell’oceano: la Tetide era l’oceano che divideva l’Africa dall’Europa. Quando, per effetto dei movimenti della crosta terrestre, l’Africa ha perso l’America Meridionale, si è creato un baratro enorme”.

L’Africa si è scontrata con l’Europa, la famosa deriva dei continenti. A partire da 60 milioni di anni fa è cominciato il processo che ha dato origine tra le varie cose alla catena delle Alpi”.

In corrispondenza di questa zona, c’è stato un rovesciamento a 90 gradi della crosta terrestre, “un ricciolo di burro” lo definisce Alberto, che ha fatto riemergere un vulcano fossile  scoppiato ai tempi della Pangea.

”Il Monte Rosa – continua Alberto Arlunno – fa parte della zolla europea. In Valsesia, dopo Varallo c’è Balmuccia, praticamente l’ultimo paese ‘africano’. Scopa invece è il primo paese ‘europeo’. Si passa anche senza passaporto”. Alberto non perde occasione di scherzare.

UN TERROIR UNICO

L’area di Ghemme, fa parte di quello che oggi è un geo parco Unesco. Il Super Vulcano è una scoperta relativamente recente, frutto di un lavoro di 36 anni del professore Sinigoi dell’Università di Trieste, con la collaborazione di un luminare dell’Università di Dallas.

Per Alberto, è una grande fortuna avere qui questo vulcano fossile che in termini di terroir ha creato una varietà incredibile. ”Gattinara – commenta il vignaiolo – ha i vigneti sulle colline, sulla parte vulcanica riemersa. Boca ha una zona vulcanica, mentre una parte del territorio è alluvionale, dovrebbe avere un’altra Doc. La collina di Ghemme è il compendio delle mineralità della Valsesia, qui c’è la macedonia Valsesiana, la sommatoria di tutto quello che si trova in Valsesia”.

Stesso vitigno, su terreni diversi anche a poca distanza, che dà frutto a vini completamente diversi. Mentre torniamo verso la cantina cambiamo discorso, parliamo della zona dal punto di vista turistico e del mercato. Questa è un’area poco valorizzata, ma Alberto dice di aver letto su una rivista di settore che “nell’Ottocento Ghemme e Gattinara erano l’epicentro qualitativo dei vini piemontesi”.

Poi sono successe molte cose, le due guerre, le leggi sulle denominazioni, le mode dei vitigni alloctoni, dei Merlot e dei Supertuscan. Mentre loro andavano avanti a Nebbiolo, “nel quale la gente non trovava il colore impenetrabile”. Poi un’inversione di tendenza: in Italia si sono accorti delle potenzialità dei vitigni autoctoni.

Barolo e Barbaresco nelle Langhe, dove si beveva solo Dolcetto, hanno saputo prendere un treno che invece questa zona ha perso. Slow Wine e il Gambero Rosso gli hanno dato una bella mano. I turisti in zona sono sempre venuti, molti dall’estero: Europa, anche dall’Est, Belgio, Germania altalenante.

Quando i tedeschi avevano il Marco – spiega Alberto Arlunno – prendevano i vini più importanti, poi con la crisi hanno tirato un po’ i remi in barca, preferendo poche bottiglie di alta gamma e acquistandone molte di fascia media”.

E poi molti svizzeri, qualche francese, giapponesi e norvegesi. Con la Cina un principio di business dieci anni fa, ma poi non ci sono stati sviluppi. La sorpresa maggiore è quella dei turisti provenienti dalla Norvegia, così com’è norvegese la proprietà di un’altra cantina della zona.

Antichi Vigneti di Cantalupo dal 92 produce un vino che va alla grande in Norvegia, un rosato (ebbene sì) differente da quelli che forse abbiamo nel retro cranio. Un rosato di Nebbiolo che ha la struttura di un rosso. ”C’è gente che non vuole saperne di rosato e poi tra le varie cose lo assaggia in cantina e lo porta a casa”, commenta Alberto Arlunno.

LA CANTINA, LA DEGUSTAZIONE

Le pareti esterne della cantina sono un museo a cielo aperto, numerosi fonti storiche sono in bella mostra. Ghemme, ma anche i vigneti di Cantalupo hanno uno stretto legame con i monaci cluniacensi dell’Abbazia di Cluny.

I monaci hanno saputo mantenere viva la viticultura anche in periodi difficili come il Medioevo, epoca di carestie, guerre, invasioni, calamità naturali. Nel 1600 erano proprio loro con le Colline Novaresi a fornire una buona parte del vino al Ducato Milanese che aveva mantenuto stretti legami con l’Abbazia di Cluny.

Il vigneto di Cantalupo è intitolato proprio ad uno degli abati di Cluny più importanti, San Maiolo. E Ghemme fa parte dei siti cluniacensi di un grande itinerario culturale, al quale Alberto Arlunno ha dedicato addirittura un vino Colline Novaresi, l’Abate di Cluny. Alberto Arlunno è davvero un’enciclopedia vivente, un motore di ricerca sul qualche si può ricercare qualsiasi informazione.

Un uomo di una cultura sopraffina in tante materie. Scienze, geografia, storia, geologia, ma anche arte. Arte, quella che si respira nella cantina che sembra un teatro, un anfiteatro fatto di gradoni che si sviluppano sulla collina, sui quali riposano botti di diverse dimensioni. Uno spettacolo che lascia senza fiato.

Poi la chicca. Una porticina che sembra la cella di un monastero ci conduce in un corridoio sul quale affacciano altrettante piccole celle, dove possono riposare fino a 5000 bottiglie a regime. Ogni cella è un cru. Le bottiglie restano lì per almeno un anno. Tutte dormono su drappi di velluto rosso. Questo angolo della cantina rappresenta un infernot moderno.

Dei vini di Antichi Vigneti di Cantalupo che abbiamo degustato non vogliamo parlare, vi basti sapere che è davvero imbarazzante decidere quali bottiglie portare a casa. Sarebbe troppo banale celebrare le qualità di ognuna, dalla base fino a quello che potremmo definire “top di gamma”. Di certo sono tutte produzioni che, pur mostrando grande carattere già ai nostri giorni, rendono merito alla grandezza del Nebbiolo come vitigno da “invecchiamento”.

La vera sfida, infatti, sarà degustare anche tra 10 anni le bottiglie che oggi potreste assaggiare, guidati dal titolare di questa splendida realtà vitivinicola novarese. Andare a conoscere Alberto Arlunno e visitare gli Antichi Vigneti di Cantalupo vuol dire arricchirsi d’una bellissima esperienza. Nozioni, emozioni indelebili.

Gli Antichi Vigneti di Cantalupo oltre che sui libri del mondo del vino dovrebbero essere riportati anche sulle mappe turistiche, sui luoghi assolutamente da visitare anche da non eno appassionati. Addirittura da chi si trova in zona perché attirato esclusivamente dal “Super Vulcano”.

Anzi, diciamola tutta: il vero Super Vulcano della Valsesia è Alberto Arlunno. Un vulcano effusivo in continuo fermento. La sua cultura, le sue vaste conoscenze sono tutte lì nella camera magmatica della cantina Antichi Vigneti di Cantalupo. Pronte a risalire lungo il ‘camino’.

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Vini al supermercato

Gewurztraminer Sudtirol Alto Adige Doc, Viticoltori Alto Adige

(4,5 / 5) Neppure 6 euro per il Gewurztraminer Sudtirol Alto Adige Doc della cantina Viticoltori Alto Adige. E’ la sorprendente promozione messa in atto dalla catena Ipercoop, per smaltire quelli che – evidentemente – erano dei “fondi” di magazzino dell’annata 2012.

Attualmente in commercio in Gdo, come spiega Stefan Unterhauser, Sales Assistant Germania e Unione Europea della cantina di Appiano, Bolzano, c’è già la vendemmia 2015, mentre la 2013 non è stata prodotta.

Ne approfittiamo per proporvi l’esito di una degustazione sorprendente, che dimostra come l’evoluzione in bottiglia di un bianco di tendenza come il Gewurztraminer, solitamente reperibile in pronta beva sugli scaffali dei supermercati italiani – dunque con annate più recenti, come la 2014 o, ormai, la 2015 – regali invece emozioni inaspettate, almeno ai più.

LA DEGUSTAZIONE
Di un giallo dorato acceso con riflessi verdolini, il Gewurztraminer Sudtirol Alto Adige Doc dei Viticoltori Alto Adige mostra già di aver passato indenne gli anni nei magazzini e sugli scaffali del supermercato. Al naso, alcun segno di appassimento sgradito.

Anzi: è spiccatamente fruttato, aromatico per la precisione: a note ancora fresche di litchi e pesca fanno eco quelle più strutturate dal tempo, di albicocca sciroppata e pera matura. Ecco poi le spezie: chiodi di garofano, zenzero, una punta di cannella, in piacevole contrasto con la freschezza conferita dai sentori di mentuccia.

Un naso davvero complesso. Che, solo per intenderci, avvicina questo Gewurztraminer alle percezioni olfattive di certi passiti. Al palato, poi, risulta rotondo, grazie evidentemente al buon apporto della glicerina, sostanza che conferisce morbidezza alla beva.

A dominare sono nuovamente le sensazioni fruttate e speziate già ritrovate al naso, in perfetta armonia tra loro. Un Gewurztraminer che, giunto a questa fase di maturazione ottimale, possiamo definire strutturato, molto caldo in termini di alcolicità, ma anche fresco (acidità) e sapido. Tutti elementi in perfetto equilibrio tra loro.

Ottimo anche il quadro retro olfattivo: molto intenso, spiccato e penetrante, fine e persistente. L’abbinamento perfetto è quello con il sushi. Ma restando in Italia, è ottimo non solo come aperitivo, ma anche per accompagnare secondi a base di pesce, crostacei o pietanze molto saporite e piccanti. Importante servire a una temperatura di 10-12 gradi.

LA VINIFICAZIONE
Ci ha sorpreso constatare, visto l’esito della degustazione, che la cantina Viticoltori Alto Adige consigli di consumare questo prodotto entro 2-3 anni dalla data di vendemmia: noi di vinialsupermercato.it ci sentiamo di regalare a questo prodotto almeno altri 12 mesi di “vita”, certo consapevoli che la bottiglia diventi appannaggio di bevitori più esperti e consapevoli delle potenzialità del vitigno.

E a proposito, parliamo di un vitigno aromatico, autoctono del Sudtirol, come tiene a specificare la cantina sociale bolzanina, che raggruppa “circa 2.000 piccoli produttori locali, per lo più aziende agricole a conduzione familiare da tante generazioni che sono associate alle diverse cantine di spicco della Regione”.

La vite viene allevata col sistema della controspalliera, nei terreni compatti e ad alto contenuto di materiali calcarei e argillosi dell’Oltradige. La pigiatura avviene in maniera delicata, per non disperdere gli aromi. La decantazione è statica, con fermentazione a temperatura controllata. Il vino matura dunque 6 mesi in vasche di acciaio, prima di essere commercializzato.

Cosa ci insegna il Gewurztraminer Sudtirol Alto Adige Doc 2012? Che non tutti i bianchi “invecchiano” male. Anzi: se il supermercato vuole liberarsi degli avanzi con promozioni come questa (45% di sconto sul prezzo pieno) è bene approfittarne. Purché si sappia distinguere il “pacco” dall’affare. E anche per questo ci siamo noi ad aiutarvi.

Prezzo pieno: 10,90 euro
Acquistato presso: Ipercoop

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Vini al supermercato

Chianti Classico Docg 2012, Lamole di Lamole Santa Margherita

(4 / 5) Qualche perplessità per una capsula di sughero con un anomalo intaglio, nella parte a contatto con il vino, subito fugata dall’analisi olfattiva e gustativa. Ci siamo avvicinati così, con la paura di rimanere delusi dallo scherzo di un “tappo”, al Chianti Classico Docg 2012 Lamole di Lamole prodotto dal Gruppo Vinicolo Santa Margherita di Greve in Chianti, Firenze. Ai dubbi iniziali fa spazio, entro breve, la soddisfazione di aver trovato sugli scaffali della grande distribuzione organizzata italiana l’ennesimo prodotto “degno” di recare la fascetta Docg. E soprattutto di aver scovato (vera rarità) un ottimo Chianti – più in generale, un buon toscano – al supermercato. Passiamo dunque all’esame. Nel calice, il Chianti Classico Docg 2012 Lamole di Lamole si presenta di un rosso rubino accesso, con unghia tendente al granato. Al naso è eccezionale: un crescendo di percezioni, mentre il vino si apre col passare dei minuti, a contatto con l’ossigeno. Si passa da un’iniziale predominanza floreale e fruttata, di viola mammola, ciliegie e piccoli frutti a bacca rossa, all’evoluzione progressiva dei sentori terziari. Su uno sfondo speziato di zafferano, ecco sopraggiungere le erbe aromatiche: origano e alloro secco. Questo Chianti Classico diviene ancora più affascinante quando il Cabernet Sauvignon (utilizzabile da disciplinare per un massimo del 20%, in blend col vitigno principe del Chianti, il Sangiovese) fa bella mostra di sé, sfoderando la sua carica olfattiva caratteristica: il peperone verde. Una grande intensità ed eleganza che speriamo di ritrovare anche al palato. E non restiamo certo delusi: gran sapidità, anche se prevale un’acidità fresca che fa salivare, invitando alla beva. Di calda ma sontuosa alcolicità, il Chianti Classico Lamole di Lamole Santa Margherita regala anche in bocca le note tipiche dei piccoli frutti rossi e una tannicità giusta, ottimale. Un gusto dunque armonico, raffinato. A questo punto non può che chiudere il cerchio un retro olfattivo intenso, fine; e una Pai sufficientemente persistente, per una vendemmia 2012 pronta, con ulteriore margine di miglioramento in bottiglia. L’abbinamento perfetto? Quello con gli affettati e la carne alla brace in generale. Una sfida? Provarlo con la faraona alla birra.

LA VINIFICAZIONE

La vinificazione viene effettuata con macerazione di circa 7-10 giorni a una temperatura controllata di 24-26 gradi, in ambiente ridotto, con intervento di microssigenazione. Dopo 6 mesi in acciaio il vino viene immesso in botti grandi di rovere, dove affina. Le uve provengono ovviamente dall’area del Chianti Classico, a un’altitudine che varia tra i 350 e i 500 metri sul livello del mare. Il sistema di allevamento delle vigne è a cordone speronato e archetto chiantigiano: le radici affondano in un terreno ricco di scisti e arenarie di galestro, dunque di natura sedimentaria. La densità d’impianto varia dalle 3.300 alle 5.128 piante per ettaro, vendemmiate dal periodo che corre tra la fine di settembre e quella di ottobre. Alla storica cantina e vinsantaia, collocata su uno dei magazzini del Castello di Lamole, edificio risalente alla metà del Trecento, il Gruppo Vinicolo Santa Margherita ha negli anni realizzato una seconda cantina di vinificazione più moderna in Lamole, a poche decine di metri dalla piazza dominata dalla chiesa romanica di San Donato, oltre al nuovo polo produttivo di Greti in Chianti. Tradizione e futuro che, in questo angolo di Toscana, procedono di pari passo.
Prezzo pieno: 11,90 euro
Acquistato presso: Il Gigante
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news ed eventi

Vino, poco ma buono: consumi dimezzati in Italia in 30 anni. Cresce l’enoturismo

Dallo scandalo del metanolo ad oggi i consumi di vino degli italiani si sono praticamente dimezzati passando dai 68 litri per persona all’anno del 1986 agli attuali 37 litri che rappresentano il minimo storico dall’Unità d’Italia nel 1861. E’ quanto affermano la Coldiretti e la Fondazione Symbola sulla base del Dossier ‘Accadde domani. A 30 anni dal metanolo il vino e il made in Italy verso la qualità’. Il risultato è che la quantità di vino Made in Italy
consumato all’interno dei confini nazionali è risultata addirittura inferiore a quella nel resto del mondo. In Italia si beve meno, ma si beve meglio con il vino che si è affermato nel tempo come l’espressione di uno stile di vita “lento” attento all’equilibrio psico-fisico che aiuta a stare bene con se stessi in alternativa agli eccessi. In Italia si stima la presenza di 35mila sommelier, ma un numero crescente di giovani ci tiene ad essere informato sulle caratteristiche dei vini e cresce tra le nuove generazioni la cultura della degustazione consapevole con la proliferazione di wine bar e un vero boom dell’enoturismo, dalle strade alle città del vino, che è una realtà consistente in Italia dal 1994, quando intorno a “Cantine aperte” nacque un movimento che oggi registra circa 3 milioni di turisti l’anno, per un giro d’affari che si attesta intorno ai 4 miliardi.

I NUMERI

Il 73% dei consumatori di vino lo bevono in casa, prevalentemente durante i pasti, apprezzando in otto casi su dieci più il vino rosso rispetto al bianco o alle bollicine che invece sono preferiti da chi lo consuma fuori casa per il 62%, secondo una recente indagine dell’Osservatorio vino dalla quale emerge che cresceranno di oltre l’8% i consumi di vino al ristorante nei prossimi due anni, per lo più al bicchiere, dove avranno la meglio le etichette locali o regionali per il 94,5% dei consumatori. Il vero cambiamento rispetto al passato si registra infatti nelle scelte di consumo con i vini del territorio che fanno registrare i maggiori incrementi della domanda a livello nazionale dove, a fronte di una stagnazione dei consumi, è boom per gli acquisti di vini autoctoni dal Pecorino al Pignoletto, dalla Falanghina al Negroamaro. Nel tempo della globalizzazione gli italiani bevono locale con il vino a “chilometri zero” che è il preferito nelle scelte di acquisto in quasi tutte le realtà regionali.

L’ENOTURISMO
La domanda sostenuta di vini di produzione locale ha spinto la nascita a livello regionale di numerose realtà per favorirne la conoscenza, la degustazione e l’acquisto. Sono molte le aziende vitivinicole che aprono regolarmente o in speciali occasioni le porte ai visitatori per far conoscere la propria attività con i metodi di produzioni dal vigneto alla cantina. Sono oltre 1000 i produttori di vino certificati che fanno parte della rete di vendita diretta di Campagna Amica attraverso punti vendita e mercati degli agricoltori dove vengono offerti vini locali a chilometri zero.

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Vini al supermercato

Soave Doc Classico Terre del Vulcano, Corte Allodola Cantina Lidl

(4,5 / 5) Eccolo qui – ma non ditelo a Slow Food & Co. – un altro valido prodotto della cantina vini Lidl. Parliamo del Soave Doc Classico Terre del Vulcano, prodotto e imbottigliato all’origine dalla società agricola Corte Allodola di Monteforte d’Alpone, in provincia di Verona. La vendemmia sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it è la 2014.

LA DEGUSTAZIONE
Il Soave Doc Classico Terre del Vulcano Corte Allodola si presenta nel calice di un giallo paglierino con lievi riflessi verdognoli. Limpido, trasparente e intenso il colore che espirme. Come intenso risulta al naso: pulito, esente da anomalie, nonché elegante. La natura dei profumi va dal florale al fruttato.

Chiari i richiami a un delicato e fresco biancospino, ma anche alla margherita. Presenti anche note agrumate di limone, in uno sfondo minerale che sfocia – a vino ormai ben ‘aperto’ nel calice – in un punte speziate di zenzero che ci portano a definire l’olfatto complesso.

Ottime premesse, dunque, quelle che conducono all’esame gustativo. Al palato il corpo è buono, l’alcolicità calda. Il Soave Doc Classico Terre del Vulcano Corte Allodola risulta morbido, secco, leggermente più sapido che fresco: aspetto che ci porta a definire comunque la beva equilibrata, considerato che siamo di fronte a una tipologia di vino che fa della mineralità un’arma vincente.

In bocca troviamo mela, Pera Kaiser, mandorla. Ma a incuriosire è una curiosa nota di liquirizia dolce, che ci conduce verso un finale nuovamente fresco e sapido, di sufficiente persistenza. Fine e intenso anche il retro olfattivo. Maturo lo stato evolutivo per la vendemmia 2014. L’abbinamento in cucina? Ottimo come aperitivo, può essere servito in accompagnamento a piatti a base di pesce e verdura.

LA VINIFICAZIONE
La zona di origine di produzione del Soave Doc Classico Terre del Vulcano è quella del Comune di Monteforte D’Alpone e Soave, dove si trovano parte dei 40 ettari totali in conduzione dell’azienda agricola Corte Allodola.

Il suolo è di origine vulcanica, così come suggerisce lo stesso nome di fantasia assegnato a questo Soave Doc Classico realizzato in esclusiva per la catena di supermercati Lidl. La forma di allevamento prevalente è la tradizionale Pergoletta Veronese.

Le uve utilizzate, come da disciplinare, sono la Garganega e il Trebbiano di Soave, quest’ultimo addizionato con una percentuale del 15% rispetto all’uvaggio principe della zona. Corte Allodola, per i curiosi, è una società commerciale fondata nel 2013, cui rispondono due società agricole a conduzione famigliare, giunte alla quarta generazione.

Dai 40 ettari vitati, collocati interamente sul territorio del Veneto, provengono le uve che finiscono poi trasformate in un volume d’affari che si aggira sulle 600 mila bottiglie l’anno. Per Lidl, Corte Allodola non realizza solo il Soave ma anche il Pinot Grigio Veneto, il Rosso Veneto Igt, l’Amarone e il Ripasso.

Prezzo pieno: 3,99 euro
Acquistato presso: Lidl

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Vini al supermercato

Ribolla Gialla Doc Collio, Cantina Produttori Cormòns

(3 / 5) Sono forse un po’ troppi 13 euro per le emozioni che è in grado di regalare la Ribolla Gialla Doc Collio Cantina Produttori Cormòns. La vendemmia sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it è la 2014. Non certo un’annata felicissima, ma non per questo il vino in questione ha subito un deprezzamento sugli scaffali dei supermercati italiani, che lo espongono in sell out tra i 12 e i 14 euro. Di colore giallo paglierino intenso, con riflessi verdognoli, la Ribolla Gialla Doc Collio Cantina Produttori Cormòns si presenta limpida e trasparente. All’esame olfattivo risulta intensa, di carica “normale”. E’ la complessità che lascia qualche perplessità, parendo pressoché monocorde sul tema floreale, con qualche vena di limone a far capolino sullo sfondo. Definire “elegante” tale percezione ci sembra fuorviante. Al palato prevale su tutto una buona sapidità, ben calibrata con le note agrumate. Di fresca acidità, si fa desiderare in quanto a corpo e alcolicità. Aspetti che ci condono a giudicare “debole”, complessivamente, la beva: sufficientemente equilibrata. Il retro olfattivo si conferma leggero, mediamente fine. Poco persistente, per una vendemmia 2014 che speriamo di poter definire pronta, anche se i margini di miglioramento non sembrano poi così evidenti, visti i presupposti. Un vino, la Ribolla Gialla Doc Collio 2014 della Cantina Produttori Cormòns, che suggeriamo di abbinare ad antipasti leggeri e delicati. Oppure a primi come la zuppa di pesce e a secondi semplici (filetto di salmone o di trota salmonata), nonché alle carni bianche. Va prestata particolare attenzione alla temperatura di servizio: in inverno tra i 12 e i 14 gradi, mentre in estate non deve superare gli 8-10 gradi.

LA VINIFICAZIONE
La Ribolla Gialla Doc della Cantina Produttori Cormòns è ottenuta mediante vinificazione in purezza delle uve Ribolla gialla, la cui vendemmia inizia nelle prime settimane di settembre. Le uve vengono diraspate e macerate a freddo, al fine di conservare gli aromi. Segue poi la fermentazione a una temperatura controllata di 16 gradi, della durata di 15-20 giorni. Il vino viene quindi lasciato riposare per alcuni mesi, microfiltrato e dunque imbottigliato. L’affinamento avviene in gradi botti di acciaio. Nata sul finire degli anni Settanta, la Cantina Produttori Cormons è oggi costituita da oltre centocinquanta viticoltori che operano in una delle zone vitivinicole più vocate al mondo, il Friuli Venezia Giulia dalle zone vitivinicole più pregiate del mondo.

Prezzo pieno: 13,49
Acquistato presso: Iper

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