(4 / 5) Un perfetto incontro tra “vicini di casa” quello tra il Montepulciano e il Sangiovese, protagonisti del blend del Rosso Piceno Superiore Doc Brecciarolo di Velenosi, annata 2014.
La Doc che a breve festeggerà i 50 anni dal riconoscimento, nella versione Superiore si produce solo in una ristretta area identificata ad alta vocazione vinicola, zona di straordinaria bellezza paesaggistica.
LA DEGUSTAZIONE
Rosso rubino leggermente tendente al granato, il Rosso Piceno Superiore Doc 2014 Brecciarolo di Velenosi si presenta ampio e intenso avvicinando il naso al bicchiere.
Il Montepulciano si esprime nettamente con la marasca e la liquirizia, così come si fa vivo il Sangiovese con intense nuances di ciliegia e prugna, ma anche con i tipici profumi di violetta. I sentori terziari sono altrettanto importanti e così, tra la speziatura di vaniglia (prevalente) si fanno strada anche cannella e pizzichi di noce moscata.
Una ricchezza olfattiva che si rispecchia al palato una volta degustato: il sorso è pieno, caldo, impegnativo, ma carezzevole. L’acidità ben si sposa alle morbidezze e la trama tannica è addolcita dal passaggio in legno, binomio che rende il Brecciarolo equilbrato ed elegante.
LA VINIFICAZIONE
Prodotto con uve Montepulciano per il 70% e con Sangiovese per il restante 30%. I vitigni sono dislocati tra i comuni di Offida e Ascoli Piceno, ad un’altezza di 200-300 mt s.l.m. su terreni prevalentemente argillosi e tendenzialmente calcarei. Il sistema di allevamento adottato è il Guyot con densità di impanto di 5.000 ceppi per ettaro, rese per ettaro di 110 q.li di uva circa.
La vendemmia è effettuata a mano, la mattina presto o nel tardo pomeriggio di metà ottobre. Realizzata attraverso piccole cassette riposte, prima di arrivare in cantina, in celle frigorifere. Dopo la diraspatura, le uve vengono convogliate in fermentini in acciaio da 200 Hl, muniti di un sistema per rimontaggi con controllo della temperatura. La macerazione sulle bucce dura circa venti giorni.
Dopo la fermentazione, il vino viene messo in barriques di secondo passaggio, dove l’anno precedente sono stati i vini destinati alla produzione del Roggio (Rosso Piceno Superiore) e Ludi (Offida Docg prodotto con Montepulciano 85 %, Cabernet Souvignon / Merlot 15%).
Velenosi Vini è una delle cantine più famose ed affermate della regione Marche, Nata nel 1984 due anni prima della prima vendemmia imbottigliata del Rosso Piceno Superiore Doc Brecciarolo (1986). Attualmente tra vigneti di proprietà ed in affitto dispone di circa duecento ettari.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
(3,5 / 5) Di mezzo cestello più bassa la valutazione per la Ribolla Gialla Venezia Giulia Igt annata 2016 di Puiatti: prezzo a scaffale “alto” rispetto a quanto riesca a esprimere, poi, il calice. Impresa difficile trovare, ad oggi, una Ribolla davvero emozionante sul lineare dei vini della Gdo. Ma vinialsuper non demorde.
LA DEGUSTAZIONE
La Ribolla Gialla Venezia Giulia Igt 2016 di Puiatti veste il calice giallo paglierino chiaro, con riflessi verdolini.
Un naso schietto, leggero e semplice si delinea tra nespola, pesca noce, note citrine e fiori di tiglio.
Di ingresso morbido al palato, la Ribolla Gialla Venezia Giulia Igt di Puiatti risulta gradevole al gusto grazie alla nota agrumata che gli conferisce una buona freschezza accompagnata da una leggera sapidità.
Equilibrata, senza stonature ha un retrogusto “amarognolo” di discreta persistenza. Di “amaro” però resta anche la sensazione di non essere completamente soddisfatti. “Dove vien meno l’interesse, vien meno anche la memoria” scriveva Goethe e così anche questo vino finisce sulla lista dei vini degustati e “passati”.
LA VINIFICAZIONE
Prodotto con uve 100% Ribolla. Puiatti Vigneti si trova a Romans d’Isonzo, in provincia di Gorizia. Nata nel 1967, dal 2010 fa parte del gruppo Tenimenti Angelini. Lo stile di vinificazione dell’azienda si sviluppa in quattro “NO”: no all’utilizzo di legno per garantire la pura essenza del vitigno, no alla surmaturazione per mantenere basse gradazioni alcoliche, no alla macerazione per assicurare un carattere fresco e pulito e no ad ossidazioni per avere fragranza e freschezza.
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Il Cabernet Sauvignon e il Merlot sono due tra i principali vitigni rossi internazionali (assieme al Syrah) che hanno contribuito a plasmare il gusto internazionale del vino. Non a caso sono i protagonisti di due veri big mondiali: il Bordeaux e i cosiddetti Supertuscan.
LA DEGUSTAZIONE
Proprio da questi due vitigni nasce il Maldafrica di Cos, Terre siciliane Igp che con la vendemmia 2013 si presenta nel calice di un rosso rubino fitto, intenso e luminoso. Il naso alterna note di frutta fresca, lampone, ribes e ciliegia a floreali di rosa, fino a sentori mediterranei e speziati di rosmarino, cioccolato, liquirizia.
In bocca è di medio corpo, estremamente scorrevole, fresco e croccante di frutta fresca. A discapito del nome sembra un vino del nord. Il tannino è un poco verde (il Cabernet Sauvignon è presente più in bocca che al naso), ma la morbidezza del frutto compensa egregiamente rendendo questo Maldafrica dannatamente piacevole.
È piuttosto corto, scivola via veloce, ma altrettanto velocemente chiama un nuovo sorso.
Si consiglia di degustarlo a non più di 12-14 gradi per esaltarne le note più fresche. Probabilmente si tratta di uno di quei vini che sfidano le rigide temperature di servizio “da manuale” e potrebbe addirittura essere servito dopo una sosta in frigorifero.
LA VINIFICAZIONE
Il Maldafrica è un blend in parti uguali di Merlot e Cabernet Sauvignon, da agricoltura biologica come tutti i prodotti della cantina Cos. Fermenta a contatto con le bucce, in anfore di terracotta su lieviti indigeni. Prima della commercializzazione riceve un affinamento in botti di Slavonia e poi in bottiglia.
Cos nasce nel 1980 a Vittoria, in provincia di Ragusa, quasi sulla punta sud orientale della Sicilia, dove i profumi e i colori dell’Africa si mescolano con fascino alla nostra tradizione. Gianbattista Cilia, Giusto Occhipinti e Cirino Strano, i tre amici fondatori, ne danno il nome.
I due capisaldi della produzione di Cos sono l’agricoltura biodinamica, e la vinificazione in anfore di terracotta. Nel 2005 è la prima cantina a vendemmiare rispettando la neonata Docg Cerasuolo di Vittoria, di cui Cos rappresenta un punto di riferimento imprescindibile.
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(1,5 / 5) Dire Merlot è un po’ come dire Veneto (e viceversa). Alla base di numerose Doc, Docg, Igp, vinificato in purezza o assemblato con altri vitigni si produce principalmente nella parte centro orientale della regione.
Ma è solo uno e mezzo il “cestello della spesa” nella scala di valutazione di vinialsuper per il Merlot del Veneto Igp della Casa Vinicola Zaramella 2016, oggi sotto la nostra lente di ingrandimento.
LA DEGUSTAZIONE
Un rosso che si presenta limpido nel calice. Al naso è semplice, con sentori di frutti rossi, oltre a una nota vegetale di peperone verde. Una semplicità che si ritrova tutta al palato, dove si conferma un vino moderato dal punto di vista dell’alcolicità (11,5% alcol), della freschezza e della tannicità.
Coerente per fascia prezzo, tecnicamente esente da difetti, è da relegare a quel mondo d’oblio dei vini “ordinari” del supermercato. Il Merlot in cucina si accosta a risotti, paste asciutte, selvaggina, arrosto di pollame ed ai formaggi in genere.
LA VINIFICAZIONE Il vino Merlot del Veneto Igp prodotto dalla Casa Vinicola Zaramella è ottenuto da una selezione delle uve Merlot, raccolte in Veneto a metà settembre. La fermentazione avviene in serbatoi di acciaio inox con macerazione delle vinacce per 10 giorni.
La Casa Vinicola Zaramella è situata in Veneto, a Cadoneghe, in provincia di Padova. Opera nel settore vinicolo dal 1890. Da quasi un secolo è condotta dalla famiglia Fabbro, che seleziona e imbottiglia vini ad Indicazione Geografica Tipica (Igp) e a Denominazione di Origine Controllata (Doc) ottenuti da vitigni come Merlot, Raboso, Garganega, Cabernet franc, Chardonnay e Sauvignon provenienti dalle numerose regioni italiane.
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Sembra di vederlo, assaporando il “Morinaccio… sui lieviti”, il suo autore: Gianluca Morino. Già, perché il “Morinaccio”, forse, è il vino di Cascina Garitina che meglio esprime il carattere dell’appassionato vignaiolo Fivi di Castel Boglione, borgo di 600 anime in provincia di Asti, in Piemonte.
Un vino con cui divertirsi seriamente, il “Morinaccio… sui lieviti”. Un po’ come si può fare con Gianluca Morino. Un coerente ossimoro enologico. A partire da quella retro etichetta, in cui il produttore consiglia una temperatura di servizio tra i 4 e gli 8 gradi.
Assieme a Niades, il “Morinaccio… sui lieviti” è il “vino estivo” di Garitina. Il resto dell’assortimento della cantina, religiosamente incentrato sulla Barbera, è costituito da vini più impegnativi: “da carne” o da “meditazione”, volendo semplificare il concetto.
E allora lo ascolti, Gianluca Morino, all’inizio del tête-à-tête col “Morinaccio”. Siete tu e lui. E lui, il Morinaccio, è stato appena versato nel calice a 6 gradi. Un gioco serio non può che iniziare alle regole dell’autore dell’opera. Rosso porpora pressoché impenetrabile, ma con unghia rubino, riempie il vetro di una spuma generosa, che si dissolve in qualche secondo. Liberando al naso fiori e frutta. C’è la viola, qualche richiamo pulito alle erbe di campo.
LA DEGUSTAZIONE
C’è il contorno vinoso e grezzo di una Barbera ruvida, pensata per dissetare nelle calde giornate estive, accentuato dalla scelta (un tocco d’autore) di aggiungere una piccola percentuale di Freisa al momento dell’imbottigliamento (una tradizione che Morino porta avanti ancora oggi, conferendo nuova vita, di vendemmia in vendemmia, all’intuizione di un nonno reso così immortale).
Il gioco continua, ma cambiano le regole. La bottiglia è sul tavolo, priva di glacette o di qualsiasi accorgimento utile al mantenimento della temperatura (bassa) originaria. E appena il “Morinaccio… sui lieviti” inizia a scaldarsi, fino a raggiungere la temperatura di 15 gradi, il divertimento continua. Sul serio.
Al posto di perdere quel po’ di eleganza-grezza delle Barbere “mosse”, il calice comincia a gettare fuori sentori di bosco fini, netti, chiari. Puliti. Il vino si fa più morbido: al naso il sentore nuovo è quello della fragola matura, che si scopre corrispondente al palato.
Così come risultano vicini, naso e bocca, anche nello zafferano. Buona la persistenza, tutta giocata tra la frutta rossa e le cinghiate di un cuoio che riporta tutto sul piano dell’ossimoro. Un gioco che non vorresti finisse mai, per quanto serio e godurioso allo stesso tempo.
Morale: prendere sul serio Gianluca Morino è giusto. Ma con la consapevolezza che neppure lui lo fa sempre, con se stesso. D’altronde, da uno che passa sui social 23 delle 24 ore di cui si compone l’umana giornata, non t’aspetti certo vini così buoni.
LA VINIFICAZIONE
“Morinaccio… sui lieviti”, come detto, è un 100% Barbera ottenuto da piante di età compresa fra i 31 e 48 anni. L’allevamento è a Guyot basso, con una densità di 4-4,5 mila ceppi per ettaro, a 280-310 metri sul livello del mare. La resa è di 9 tonnellate per ettaro su unterreno di medio impasto, tende all’argilloso.
La vendemmia avviene manualmente, in piccole ceste. La vinificazione prevede diraspapigiatura, fermentazione e macerazione a cappello sommerso per un totale di 5-6 giorni. Dopo la svinatura, Gianluca Morino cerca di conservare nel vino quei 7-8 grammi residui di zuccheri che torneranno utili per la rifermentazione naturale in bottiglia.
Al momento dell’imbottigliamento si aggiunge un 2-3% di Freisa dolce, come un tempo faceva il nonno. Il vino non ha solfiti aggiunti e non viene filtrato né chiarificato. L’imbottigliamento avviene nella settimana santa, ovvero in occasione della prima luna dopo l’equinozio di primavera, momento in cui avviene il risveglio vegetativo dei lieviti naturali. Il “Morinaccio… sui Lieviti” affina poi in bottiglia, per un minimo di due mesi.
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Roberto Gatti: chi è davvero? Momento verità. Consentiteci una parentesi che non avremmo mai voluto aprire. E che speriamo di chiudere in fretta, con questo articolo. Ci tocca dedicare qualche riga a un fatto increscioso, che vede come malaugurata protagonista la nostra testata – un milione di letture in un anno non potevano che esporci (anche) ad inconvenienti come questo – e un produttore dell’Oltrepò pavese, caduto nella trappola di un sedicente “giornalista Free Lance, socio FLIP, presidente di Commissione Concours Mondial de Bruxelles, gestore di rubriche di degustazione vino/olio” e “collaboratore” di due portali online a tema enogastronomico: [omissis].
IL CASO ROBERTO GATTI Un curriculum da brividi quello di un tale che, sul web, si presenta come Roberto Gatti (sopra, probabilmente, una fotografia che lo ritrae). Brividi spessi come il pelo sullo stomaco di cui sembra essere dotato. Ecco il testo della mail ricevuta da Luca Padroggi dell’Azienda Agricola La Piotta, una delle realtà più giovani e promettenti della viticoltura dell’Oltrepò Pavese.
“Gentile produttore – scrive il sedicente Roberto Gatti a Luca Padroggi – ho pubblicato un articolo che vi riguarda e mi complimento per gli esiti della degustazione, consultabile al link: [omissis]. Mi farebbe piacere ricevere alcune campionature di questo spumante ed altre tipologie che lascio alla Vostra libera scelta. Ne scriverò gratuitamente in internet nel corso dei prossimi mesi. In calce il recapito per la spedizione. Grazie della collaborazione ed a presto”.
Il sedicente Roberto Gatti abita in provincia di Ferrara. Il suo indirizzo è in bella evidenza, assieme al suo presunto numero di cellulare (320/273XXXX), in calce alla mail inviata alla cantina La Piotta di Montalto Pavese. Qual è il problema? Ve lo spieghiamo subito.
Gatti ha pensato bene di copiare e incollare sul sito di cui dichiara di essere “conduttore” (non lo citiamo per non offrire ulteriore visibilità a questo personaggio dalla discutibilissima deontologia professionale) l’articolo di vinialsupermercato.it relativo alla degustazione alla cieca organizzata in esclusiva per la nostra testata dal Consorzio di Tutela Vini Oltrepò Pavese, lunedì 18 settembre (qui l’articolo).
Nella mail inviata alla cantina La Piotta dice di aver “pubblicato un articolo” che la riguarda, spacciandosi in qualche modo per l’autore e “complimentandosi per l’esito della degustazione”, al solo scopo di ricevere gratis, a casa sua, altri campioni dello spumante premiato in realtà da vinialsuper. E chiedendo, come se non bastasse, “altre tipologie che lascio a Vostra libera scelta”.
In calce viene indicata la fonte, “vinialsupermercato”, ma senza alcun link che rimandi alla nostra testata. Siamo venuti a conoscenza di questo “magheggio” grazie allo stesso Luca Padroggi, incontrato quest’oggi tra i produttori presenti al Giro d’Italia in 80 vini, all’Iper Portello di Milano. Dallo stesso Padroggi abbiamo appreso che la campionatura è ormai giunta a casa del furbissimo destinatario, scambiato per l’autore dell’articolo quale protagonista della degustazione alla cieca.
La redazione di vinialsuper, nel dichiararsi pronta ad azioni legali nei confronti del sedicente giornalista, augura a Roberto Gatti una lunga e contorta digestione intestinale delle bottiglie omaggiate dal produttore oltrepadano. Auguri, ovviamente, gratuiti.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Può darsi che gli Champagne siano già, per qualcuno, una piacevole consuetudine. L’ impressione è quella di averli sempre conosciuti, gustati ed apprezzati nei momenti più felici della vita.
Ma a quale categoria di appassionati appartenete? Quanto tempo dedicate ad osservare il colore dello Champagne che state per degustare? Ad apprezzarne l’aroma? A interpretare il sapore che percepite sul palato? Non ci pensate?
Non osate? Credete che sia troppo difficile? Che questi siano riti riservati ai soliti specialisti? In realtà gli Champagne sono dei vini.
E le cose sono più semplici di quel che forse credete. Tanto semplici quanto le risposte a questo breve test, magari prima di Modena Champagne Experience, la più grande degustazione di “bollicine francesi” in programma per oggi e domani in Emilia Romagna.
IL TEST Riesco a distinguere ad occhi chiusi il profumo di una rosa da quello di una viola? Colgo la differenza di sapore tra un croissant normale e uno farcito? Trovo che le acque minerali abbiano tutte lo stesso gusto?
Vedo la differenza di colore tra l’oro bianco, l’oro giallo e l’oro rosso? Può il mio palato confondere la consistenza della banana e quella dell’ananas? Mi accorgo subito se la persona che amo ha cambiato profumo? La maggior parte di noi è in grado di apprezzare queste differenze con una certa facilità.
Esistono molte altre sensazioni nel mondo degli Champagne che, in modo semplice e divertente, voglio aiutarvi a scoprire; la varietà dei loro aromi, dei sapori, delle sfumature di colore e l’arte di abbinarli sempre nel modo migliore.
E’ sufficiente prendere una bottiglia di Champagne a vostra scelta, mettervi comodi, da soli (o da sole) o con qualche amico o amica e seguirmi in questo percorso. Che cosa vedete? Dal giallo lunare all’oro verde, dal giallo paglierino al giallo dorato e all’oro antico, al rosa tenero e al rosa salmone la scala cromatica degli Champagne può comprendere tutte queste sfumature.
La vostra vista vi fa percepire un universo di colori. Tra di loro cercate di individuare la tonalità del colore del vostro Champagne. Definitele e poi chiedetevi se il vino è luminoso, satinato o brillante.
IL PERLAGE
E le bollicine? Sono briose, fini, vivaci o esuberanti? Formano in superficie un autentico “collier di perle”? Sono fugaci o persistenti? Attenzione! Il calice gioca un ruolo importante nella valutazione.
Anche per l’effervescenza. Se le bollicine si spengono rapidamente, non pensate che lo Champagne sia “piatto”: forse è meglio cambiare bicchiere. E, comunque, assaporate un sorso di vino e chiudete gli occhi: sentirete subito l’effervescenza, pronta a stimolare il vostro palato.
I PROFUMI Che profumi sentite? Lo Champagne è un vino il cui bouquet, ricco di aromi e di profumi, merita tutta la nostra attenzione. Terminato l’effetto della prima effervescenza, avvicinate il bicchiere e annusate. Lentamente, a lungo. E ricominciate di nuovo.
Che profumi percepite? Appartengono alla grande famiglia dei profumi floreali o di quelli fruttati? A quella dei vegetali o della frutta secca o ancora delle ghiottonerie di pasticceria? O piuttosto a parecchie famiglie nello stesso tempo?
I SAPORI
Che sapori sentite? E’ in bocca che il vostro Champagne esprime al meglio la sua personalità. Sorbitene un sorso, trattenetelo per qualche istante e poi fatelo scorrere lungo il palato: solo così si possono apprezzare appieno le sensazioni gustative. Come in ogni vino sentirete una nota dominante. Vediamo i tipi di sapore.
Di corpo: potenza, struttura, intensità. Siete nell’universo degli Champagne de corps (cacao, funghi, fieno, pepe, albicocche secche) Di spirito: vivacità, delicatezza, leggerezza, definiscono gli Champagne d’esprit (agrumi, lime, seta, felce) D’anima: maturità, complessità, ricchezza, caratterizzano gli Champagne d’ame (brioche, licis, pesca, rose)
Quali sensazioni percepite? Adesso cercate di definire con precisione l’ impressione che il vostro Champagne vi suggerisce (charme, tenerezza, sensualità) degustandolo ancora a piccoli sorsi. A queste sensazioni potrete collegare i tipi di Champagne che più frequentemente vi ispirano.
LE ETICHETTE Brut o demi-sec, vini di diverse annate o vino di una sola vendemmia, Blanc de Blancs, Blanc de noirs o assemblage di uve bianche e nere o dominante da Chardonnay, Pinot nero o Meunier, giovane, maturo o di grande struttura: solo per citare alcune tipologie.
In questo modo potrete meglio interpretare le indicazioni riportate in etichetta o quelle che vi darà un sommelier. E, naturalmente, La Maison che elabora il vostro Champagne. Saprete così orientare le vostre preferenze e le vostre scelte nel mondo degli Champagne.
Un ultimo consiglio: sappiate che lo Champagne evolve col passare degli anni, sia che si trovi nelle cantine della Champagne, sia presso il negoziante, che a casa vostra. Perciò anche la sua posizione sulla mappa delle sensazioni, può mutare nel tempo.
AD OGNUNO IL SUO CHAMPAGNE Scegliete uno Champagne d’esprit per la sua vivacità, la sua luminosità, la sua finezza e delicatezza e servitelo con brio e originalità, abbinandolo a degli stuzzichini sfiziosi, a delle tartine appetitose, a dei canapé invitanti.
Se ci si incontra a tavola per uno scambio di idee, per fare conoscenza o concludere un affare, è meglio preferire cibi gustosi ma leggeri, che i ristoratori di oggi propongono a chi avrà poi un pomeriggio molto impegnato.
Gli Champagne de corps, pieni e ricchi ma sempre molto eleganti, sono degli alleati perfetti, che accompagnano al meglio i cibi senza appesantire noi e i nostri ospiti.
Non vi piace arrivare a mani vuote? Mostrate le vostre preferenze, rivelate la vostra cultura enologica e offrite ai vostri migliori amici uno Champagne inatteso e particolare: sarà un regalo sempre gradito! Gli Champagne d’annèe – come una storia, una complessità o una maturità che li rendono vere opere uniche – vi danno l’occasione di aggiungere al gesto, un’anima.
Il bouquet degli aromi e la complessità di un grande Champagne meritano più di una banale confezione. Offrite le bottiglie di Champagne sempre ben fresche (l’ideale sarebbe consegnarle in una glacette, da lasciare in dono!).
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Marsala visita alle Cantine Florio storia modernità 6 1
Marsala val bene un viaggio. Anche solo per scoprire che l’omonimo “vino dolce”, utilizzato da migliaia di casalinghe per sfumare le scaloppine, è molto più di quello che siamo abituati a pensare.
Le cantine Florio sono lì anche per questo. Sin dall’ingresso, l’azienda manifesta tutta la sua imponenza. Siamo in un luogo strategico, a separarla dal mare vi è solo la strada principale.
Non è difficile immaginare il trambusto del passato, quando venivano caricati sulle navi i barili contenenti il Marsala, in viaggio verso l’Inghilterra. L’azienda è stata fondata nel 1832 da Vincenzo Florio. Eppure, per la prestigiosa cantina di Marsala, ancora oggi protagonista di importanti pagine di storia e di grandi vini, non è stato facile imporsi.
Si è dovuto attendere fino al 1832 per vedere entrare un italiano nella scena del Marsala. Quell’italiano è proprio Vincenzo Florio – abile commerciante originario di Bagnara Calabra, già affermato mercante di spezie e discendente di una delle famiglie più prestigiose e ricche dell’Italia di quei tempi – che decide di fondare il proprio “baglio” proprio in mezzo a quelli di due inglesi: John Woodhouse e Benjamin Ingham.
Cosa ci facevano due inglesi a Marsala? Semplice. Furono proprio loro a “scoprire” il Marsala come vino “fortificato” con acquavite, portandolo dalla città siciliana sino in Inghilterra, dove piacque (e piace ancora, persino a Buckingham Palace) molto.
Il contributo di Vincenzo Florio per lo sviluppo e l’immagine del Marsala fu notevole. Ben presto, da vino destinato ai marinai delle flotte inglesi, divenne un vino apprezzato e ricercato dalle corti nobili di tutta Europa. L’abilità e il successo dei Florio e dei loro vini sembrano inarrestabili e nel 1904 fondano, insieme ad altri imprenditori di Marsala, la S.A.V.I (Società Anonima Vinicola Italiana) che in pochi anni acquisisce gli stabilimenti di Woodhouse e di Ingham-Whitaker.
Nel 1924, a causa della mancanza di eredi maschi, i Florio decidono di vendere la cantina di Marsala alla Cinzano, altra importante famiglia nella storia del vino italiano. Nel corso dell’ultimo conflitto mondiale, a causa dei bombardamenti delle aviazioni alleate, le cantine Florio furono gravemente danneggiate, tanto che la ricostruzione dello stabilimento richiese un lunghissimo periodo. La ristrutturazione sarà completata solo nel 1984.
Nel gennaio 1998 il controllo delle cantine Florio passa alla ILLVA Saronno Holding, che già nel 1987 possedeva il 50% della società, iniziando quindi un nuovo e importante capitolo di questa storica azienda vinicola.
Si introducono infatti importanti e fondamentali cambiamenti nella gestione aziendale e commerciale, affidando la direzione della produzione all’enologo Carlo Casavecchia.
Grazie alle sue competenze e capacità, Casavecchia contribuirà in modo fondamentale alla rinascita del Marsala Florio – e all’immagine qualitativa del Marsala in generale – operando scrupolose selezioni in ogni fase della produzione e introducendo criteri produttivi di indiscussa qualità.
Il risultato del lavoro di Carlo Casavecchia e della Florio sono oggi incontestabili: il Marsala è tornato a splendere come ai gloriosi fasti di un tempo e il nome Florio è ovunque nel mondo sinonimo di Marsala di qualità.
LA DEGUSTAZIONE Tanti i vini in degustazione alla Florio, ma uno davvero spiazzante e capace di rubare il cuore. E’ il Marsala Terre Arse (Grillo 100%). Al colore si presenta ambrato, compatto.
Al naso cattura per i suo profumi freschi, agrumati, di limone, arancia candita, miele e vaniglia. In bocca i 19% di alcol in volume si integrano bene. E’ un vino secco, che invita a ripetere l’assaggio. Non stanca mai il palato.
I produttori consigliano di berlo ad 8-10°C, in un calice a tulipano, come aperitivo, accompagnato da un Parmiggiano Reggiano di media stagionatura.
LA STORIA DEL MARSALA
La storia del vino di Marsala è fra le più affascinanti che si conoscano, non solo perché si tratta di un vino nato come conseguenza di un episodio non programmato dal suo “inventore”, ma soprattutto per il fatto di essere uno dei più grandi vini italiani.
In tempi passati, il Marsala è stato capace di confrontarsi e vincere la sfida con quelli che erano considerati i migliori vini del mondo: Jerez e Madeira. Dopo vicende alterne di prestigio e decadenza, oggi il Marsala sta vivendo una nuova e sfolgorante esistenza, dove finalmente la qualità è tornata ad essere la protagonista principale, lasciando alle spalle – e si spera per sempre – gli errori e le leggerezze commesse dai tanti produttori per troppi anni.
Nel corso degli ultimi venti anni, lo sforzo dei produttori è stato considerevole per restituire, finalmente, la dignità che questo grande vino merita, ponendo maggiore attenzione sulle pratiche di produzione e sulla qualità.
Oggi si può infatti affermare che il celebre “Victory wine”, così caro all’ammiraglio Orazio Nelson, è finalmente tornato.
La storia racconta che nel 1773, a causa di una tempesta, il mercante inglese John Woodhouse fu costretto ad approdare nel porto di Marsala anziché in quello di Mazara del Vallo, dove era diretto per affari.
Sceso a terra, entrò in una bettola per cercare ristoro e qui ebbe l’opportunità di assaggiare il vino locale. Gli fu infatti servito il “Perpetuum”, il vino che tradizionalmente si produceva a Marsala.
Il “Perpetuum” – o “Perpetuo” – si produceva riempendo la botte con il vino dell’ultima vendemmia e quindi prelevato quando necessario, per poi riempire nuovamente la botte (che contiene ancora il vino delle annate precedenti) con vino nuovo. Un vino che, pertanto, subisce una naturale ossidazione con il progressivo svuotamento e riprende “nuova vita” con l’aggiunta del vino della nuova vendemmia.
Woodhouse trovò particolarmente buono quel vino, anche perché gli ricordava i celebri vini di Madeira e Jerez, tanto apprezzati nella sua patria. Da bravo commerciante quale egli era, decise di spedire una partita di quel vino in Inghilterra sperando di avviare un florido commercio. Poiché Woodhouse era consapevole delle avverse condizioni alle quali il vino era sottoposto nelle stive delle navi, decise di aggiungere dell’alcol ad ogni botte così da assicurare una migliore conservazione.
Woodhouse tornò quindi in Inghilterra con il suo prezioso carico e, giunto a destinazione, si accorse che quel vino rinforzato era diventato migliore di quando era partito: fu un grande successo. Il mercante inglese tornò quindi in Sicilia e fondò il suo stabilimento per la produzione di vino.
In pochi anni il suo Marsala si affermò in Inghilterra e divenne presto il vino principalmente consumato nelle navi della flotta di Sua Maestà Britannica. Si dice che Orazio Nelson – grande appassionato di Marsala – fosse solito festeggiare le vittorie delle sue battaglie con questo vino. Così il Marsala diventa il “Victory wine”, il “Vino della vittoria”.
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Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Iper la Grande I al Portello la degustazione Grandi Vigne 1
La quarta e penultima tappa del Giro d’Italia in 80 vini Grandi Vigne 2017 di Iper, La grande i tocca Piazza Portello Milano con una tre giorni di iniziative pensate per un pubblico appassionato di vini.
In programma – da oggi a domenica 8 ottobre -incontri specializzati, degustazioni, tour guidati e la consulenza di Personal Wine Shopper (qui i dettagli). Sarà un’immersione nel mondo del vino all’interno del punto vendita Iper di via Don Luigi Palazzolo 20, tra le casette di legno che creano un villaggio ospitale nella piazza del centro commerciale.
Un tour enologico durante il quale il pubblico potrà incontrare i produttori dei vini Grandi Vigne e ricevere consigli da esperti e sommelier Fisar. Tutto per conoscere e apprezzare al meglio il marchio Grandi Vigne – creato 11 anni fa da Iper, La grande i – che riunisce produttori italiani d’eccellenza.
NON SOLO DEGUSTAZIONI
Tutte le degustazioni saranno accompagnate da prodotti firmati il Viaggiator Goloso, il brand premium del Gruppo Finiper. Sarà anche possibile acquistare il Menù Degustazione al prezzo di 5,90 euro, per gustare i piatti tipici dellatradizione culinaria italiana preparati con prodotti il Viaggiator Goloso e abbinati a un calice di vino.
Gli Incontri con degustazione “Produrre grandi vini oggi”, condotti dall’enologo Fabrizio Stecca, sono un concentrato di informazioni e nozioni, approfondimenti e tecniche di degustazione deliziato da assaggi e abbinamenti speciali.
Rivolti a un pubblico evoluto e curioso in tema di uve e vini, rappresentano un viaggio essenziale nel mondo enologico contemporaneo. Un percorso organico che tocca argomenti inerenti alla coltivazione della vite e alla produzione di vini di qualità. Ogni incontro si focalizzerà su 4 prestigiosi vini – presenti i produttori – scelti tra le denominazioni più significative del nostro Paese, e avrà la durata di 90 minuti.
La quota di partecipazione di 10 euro include il kit di degustazione del valore 3 euro, utile per proseguire in autonomia il tour in piazza. Necessaria l’iscrizione, inviando una email all’indirizzo eventi@iper.it.
IL PERSONAL WINE SHOPPER
Il Personal Wine Shopper, altra novità della tappa milanese, offre una consulenza mirata a chi ha esigenze specifiche. Permette di creare, con il supporto-guida di un enologo, un itinerario di acquisti su misura e di vivere una shopping experience unica.
Sono previste anche liste a tema – come vini per l’inverno, per brunch e aperitivi, per cene a base di carne e pesce – per orientarsi nella vasta offerta Grandi Vigne. La consulenza è gratuita ma è necessario prenotarsi alla Cassa Bicchieri di Piazza Portello o scrivendo a eventi@iper.it.
Con i Tour guidati, tenuti da uno specialista del marchio Grandi Vigne, i visitatori in possesso del kit di degustazione andranno alla scoperta dei vini seguendo un percorso logico e a tema scandito da notizie, curiosità, tecniche di degustazione, come in una narrazione “dal vigneto al bicchiere”.
I tour, con partenze sabato 7 e domenica 8 alle ore 12 e 16, sono gratuiti ma è richiesta la prenotazione all’indirizzo eventi@iper.it oppure presso la Cassa Bicchieri di Piazza Portello almeno 30 minuti prima della partenza.
Il kit di degustazione consente a clienti e visitatori di assaggiare tutti i vini che desiderano lasciandosi guidare dall’ispirazione e dai consigli dei sommelier. Il kit costa 3 euro e comprende, oltre alle consumazioni, un bicchiere di vetro, una sacca porta-bicchiere da collo, materiale informativo e un taccuino di degustazione con matita.
GLI SCONTI SUI VINI I titolari di Carta Vantaggi potranno usufruire, fino al 22 ottobre, di uno sconto del 30% su tutti i vini Grandi Vigne. Con una scelta di 80 vini creati da 35 produttori, Grandi Vigne rappresenta una delle linee d’eccellenza della produzione vitivinicola nazionale presente sugli scaffali della grande distribuzione organizzata.
Bianchi e rosati, rossi giovani e fruttati, fermi o mossi, tutti d’annata e affinati in acciaio. Ma anche rossi di struttura e da invecchiamento affinati in legno, dalla botte grande al tonneaux e alla barrique. Non mancano sparkling wines, vini da dessert e grappe affinate in botte o distillate con alambicchi di rame.
PROSSIMA TAPPA: “IL CENTRO” DI ARESE Dopo Milano Portello, “Il Giro d’Italia in 80 Vini” Grandi Vigne, chiuderà l’edizione 2017 ad Arese, il 21 e 22 ottobre.
“Una storia di cultura e rispetto – evidenzia Finiper in una nota a vinialsuper – creata da un’azienda alla ricerca dell’eccellenza, da vitivinicoltori con alti standard etici e qualitativi e da consumatori che apprezzano valori e sapori di questi vini grandiosi”.
Grandi Vigne è un progetto unico nel panorama della Gdo europea che riunisce agricoltori e produttori di vini eccellenti nelle rispettive aree di produzione, con particolare attenzione alle aziende di piccole dimensioni.
In undici anni, Grandi Vigne ha riunito 35 fornitori provenienti dalle regioni italiane a più alta vocazione vitivinicola e ha permesso ad aziende, che diversamente sarebbero state escluse da un rapporto diretto con la distribuzione organizzata, di crescere professionalmente ed economicamente.
“L’organizzazione del progetto – precisa Finiper – collabora assiduamente con ciascuna di queste realtà produttive: controlla le forniture, migliora i processi, organizza la produzione e verifica il rispetto del rigoroso capitolato che regola l’igiene, la salubrità e le caratteristiche qualitative. Grandi Vigne è un’idea che cresce costantemente nei numeri e in qualità.
Nel gennaio 2012 è stata presentata la prima linea di vini biologici certificati ICEA, nel 2016 è stata lanciata una nuova linea di vini senza solfiti aggiunti”.
Iper, La grande i rappresenta una delle più importanti realtà nel panorama nazionale della Grande Distribuzione Organizzata, tra le poche interamente di proprietà italiana. Con 27 punti vendita in 7 regioni, fa parte del Gruppo Finiper, nato nel 1974 ad opera dell’imprenditore Marco Brunelli. La mission del Gruppo Finiper è “rendere la qualità accessibile a tutti”. “Ampiezza dell’assortimento, qualità, sostenibilità, convenienza e italianità” sono i principi ispiratori che guidano le scelte di Iper, La grande i.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Un ingresso in bocca elegante, col vino che scivola sul palato in maniera suadente, senza spigoli. Il primo bacio con il Brunello di Montalcino Docg 2006 di Pian dell’Orino è dritto, morbido.
Una leggera sensazione calda accarezza il palato. Tannino vellutato, sensazioni di frutta cotta ben bilanciata tra acidità e zucchero. Chiude come un grande Sangiovese deve fare dopo 11 anni: nelle morbidezze.
Il retro olfattivo è invece incentrato sulla spezia, a completare il quadro di un grande Brunello.
LA VINIFICAZIONE
Il Brunello di Montalcino si ottiene da un unico vitigno, il Sangiovese grosso. Le uve per questo vino vengono dai vigneti “Pian Bassolino” e “Cancello Rosso”, a Castelnuovo dell’Abate, frazione di Montalcino. Prima della vendemmia l’uva viene controllata direttamente sul tralcio per raccogliere un prodotto perfettamente integro e un livello ottimale di maturazione.
Le uve subiscono una seconda selezione manuale prima della diraspatura. Il processo di vinificazione avviene in tini d’acciaio inox dotati di un sistema di controllo della temperatura. A una prima fase di macerazione prefermentativa a freddo segue la fermentazione alcolica con fermenti indigeni a temperatura controllata non superiore a 34°C.
La macerazione postfermantativa, della durata di 2-3 settimane, conferisce al vino le caratteristiche strutturali idonee ad un lungo invecchiamento. Terminata la fermentazione il vino viene travasato in botti di rovere da 25 hl, dove avviene la fermentazione malolattica.
Dopo la permanenza in botte, per un periodo di 2-3 anni, quando il vino ha raggiunto un buon livello di affinamento, viene imbottigliato senza essere filtrato. Il Brunello rimane in bottiglia ancora un anno prima di essere etichettato e commercializzato.
PIAN DELL’ORINO
Sono circa 6 gli ettari su cui può contare Pian dell’Orino. La cantina si trova a pochi metri dalla Tenuta Greppo di Biondi Santi, proprio in località Piandellorino, a Montalcino. Un’azienda agricola fondata su un profondo studio della natura dei terreni e delle loro caratteristiche.
L’obiettivo, più che centrato, è quello di produrre vini di Toscana “dalla personalità molto spiccata, che riflettono il carattere di ogni vigneto in modo netto e riconoscibile”.
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Verdicchio dei Castelli di Jesi Santa Barbara e1507154778276
(3,5 / 5) Torniamo ancora una volta sullo scaffale dei vini bianchi per pescare, tra le referenze della regione Marche, un’altra espressione del suo vitigno simbolo.
Finisce così sotto la nostra lente di ingrandimento il Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc vendemmia 2016 prodotto dall’azienda Santa Barbara di Stefano Antonucci.
Fondata nel 1984, con l’obiettivo di produrre vini per bevitori, per amanti del vino, la storia di Stefano Antonucci parte da un invidiabile impiego in banca che non lo appaga più e arriva ad un cantina da 900 mila bottiglie con vini serviti in prima classe sui voli internazionali Bristish Airways. Il “posto fisso” Antonucci lo voleva nel cuore delle persone (con i suoi vini) come canta Marracash.
LA DEGUSTAZIONE Il Verdicchio dei Castelli di Jesi Doc 2016 prodotto da Santa Barbara si presenta nel calice limpido e trasparente. Al naso è delicato, con profumi leggeri di frutta a polpa gialla e accenni floreali.
In bocca l’assaggio è morbido, giocato su note agrumate e rimandi di ananas. Fresco e sapido, nella sua semplicità e nel suo equilibrio si fa apprezzare stuzzicando la beva col suo piglio sapido. Perfetto con uno spaghettino alle vongole si accosta in generale al pescato. Da provare anche con la pizza ai formaggi.
LA VINIFICAZIONE Prodotto con uve Verdicchio da vigneti che si trovano su terreni tufacei sabbiosi a 250 mt s.l.m allevati col sistema del controspalliera capovolto. La vinificazione è tradizionale in bianco, in serbatoi d’acciaio a temperatura controllata con una durata media di due settimane e ausilio di lieviti selezionati.
La cantina di Santa Barbara si divide tra due anime: una parte moderna con cisterne d’acciao e cemento termocontrollate e la barricaia, all’interno dell’ex monastero del borgo.
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Il Pinot Grigio (Pinot Gris) è una mutazione del più celebre Pinot Noir, da cui eredita la capacità di stupire per finezza e profondità olfattiva.
Lo si trova prevalentemente in Alsazia (fino al 1984 chiamato Tokay d’Alsace), in Italia (Alto Adige, Friuli e Veneto soprattutto) e in Germania (Grauburgunder se secco o Ruländer nelle versioni dolci), anche se negli ultimi anni si sta diffondendo (evviva!) anche in Nuova Zelanda, Argentina e California.
Basta uno sguardo per notare la decisa consistenza di questo Unterebner, che si presenta giallo paglierino brillante e luminoso. Il naso è intenso, di grande complessità e finezza. Si parte con le note fruttate di pera, pesca e agrume leggero.
Con un po’ di pazienza arrivano spezie dolci, in particolare vaniglia, e poi camomilla e fieno caldo. Infine, come a benedire il sorso, una nota balsamica di tè e incenso.
L’ingresso in bocca è potente, caldo, di grande struttura ed equilibrio. Morbido e succulento, conserva grande piacevolezza grazie soprattutto alla sapidità. Lunghissimo, lascia la bocca pulita e calda, e torna il tè. Davvero difficile non finire la bottiglia una volta iniziata.
LA VINIFICAZIONE
L’uva raccolta interamente a mano svolge la sua fermentazione in botti di legno e parzialmente in tonneaux, dove avviene anche la fermentazione malolattica. Affina in grandi botti e in parte in tonneaux, sempre a contatto con i lieviti, fino ad agosto e riposa in bottiglia altri 4 mesi almeno prima della commercializzazione.
Tramin è una delle più antiche cantine sociali dell’Alto Adige, con sede a Termeno, sulla strada del vino, meta obbligata di ogni winelover che si rispetti! Proprietari della cantina sono 300 contadini viticultori che lavorano la terra nelle microzone di Termeno, Ora, Egna e Montagna su una superficie totale di circa 260 ettari, 15 dei quali sono oggi coltivati secondo i disciplinari biologici e biodinamici.
Tutti i vini top di gamma della cantina, quindi anche l’Unterebner, provengono da terreni nei quali, dal 2007, non viene utilizzato alcun diserbante, e la mission aziendale è quella di estendere l’abolizione degli erbicidi a tutti i 260 ettari di coltivazione.
Un progetto ambizioso che che ci auguriamo possa prendere forma al più presto per fare di Tramin davvero un “laboratorio permanente di viticoltura illuminata”.
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(4 / 5) Sotto la lente di vinialsuper il Pecorino Terre di Chieti Igt 2016 Val di Fara di cantine Spinelli, già affrontata per la recensione del rosso Montepulciano.
Un’azienda nata nel 1973 grazie a Vincenzo Spinelli, oggi nelle mani dei figli Carlo e Adriano. Attualmente i volumi produttivi si attestano attorno ai 5 milioni di bottiglie.
La zona di produzione è l’Abruzzo, nel cuore della provincia di Chieti, tra il massiccio della Maiella e il mare Adriatico. Un territorio particolarmente vocato alla coltivazione della vite. Cinquanta gli ettari di proprietà di cantine Spinelli, che può anche contare su 30 in affitto.
LA DEGUSTAZIONE Nel calice, Pecorino Terre di Chieti Igt Val di Fara 2016 si presenta di un giallo paglierino brillante e abbastanza consistente. Al naso è intenso e complesso, con un bouquet che spazia dalla frutta esotica matura (ananas) alla pesca a polpa bianca, passando per i fiori gialli come la mimosa.
Al gusto, il Pecorino Igt di cantine Spinelli si rivela caldo, morbido, ma con una piacevole freschezza nel finale. Un vino abbastanza persistente che potremmo definire “pronto”: capace dunque di evolversi ulteriormente in bottiglia. Ottimo come aperitivo, si abbina bene con tutta la cucina a base di pesce, pietanze delicate a base di carne e verdure con cotture semplici.
LA VINIFICAZIONE Pecorino in purezza, vitigno autoctono abruzzese, coltivato in terreni collinari di tipo argilloso e calcareo, con altitudine media di 250 metri. Dopo una breve macerazione a freddo del mosto, si procede con la pigiatura soffice e la fermentazione a temperatura controllata in serbatoi di acciaio inox. La commercializzazione inizia dal gennaio dell’anno successivo a quello di vinificazione.
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Quarantasette campioni in gara alla degustazione alla cieca organizzata dal Consorzio di tutela vini Oltrepò Pavese per vinialsupermercato.it.
Focus assoluto sul Pinot Nero pavese, in versione Charmat e Metodo Classico. Teatro del tasting, lunedì 18 settembre, il Centro Riccagioia di Torrazza Coste, in provincia di Pavia.
In batteria non solo referenze destinate ai supermercati. Una degustazione in pieno “stile vinialsuper”. Testata impegnata ormai da un anno e mezzo in un progetto culturale che mira ad “allargare la mente” di chi acquista il vino esclusivamente in Gdo.
Sul podio dei Metodo Classico, per due volte Cantina Scuropasso di Fabio Marazzi, con Pas Dosè e Cruasè della linea “Roccapietra”. Prodotti che si confermano straordinari, a un prezzo (Horeca) facilmente rivedibile al rialzo.
Benissimo la Francesco Quaquarini di Canneto Pavese, non a caso premiata “Miglior cantina Gdo 2016” da vinialsuper: scacco matto alla concorrenza nelle categorie “Metodo Classico” e “Charmat – Martinotti”, rispettivamente con “Classese” 2009 (perché non chiamarlo “fuoriclassese”?) e Pinot Rosè Brut (Vsqprd).
Convince anche Monsupello, con il Metodo Classico Brut (90% Pinot Nero, 5% Chardonnay affinato in acciaio, 5% Chardonnay affinato in legno). Travaglino di Calvignano migliore nella sua batteria da 7 calici con il Metodo Classico Docg “Monte Ceresino” Cruasè (Rosè): menzione tra i “big”.
L’Azienda agricola Padroggi – La Piotta, con il suo “Talento” Brut Docg 2013, è l’altra sorpresa tra gli “Champagne d’Oltrepò”, assieme al bel Vsq Nature della Rossetti e Scrivani e al Cruasè 2011 di Rebollini.
Terre degli Alberi 2014 – Camillo dal Verme è il vero fuoriprogramma nel complesso della degustazione alla cieca. Bello Charmat “lungo” Brut dal colore dorato, perlage su cui si può lavorare ancora in termini di finezza della grana.
Ma naso e palato da applausi, capaci di spaziare, intensi, da note di bergamotto e zafferano a quelle di zenzero. Da bere a Capodanno, senza spendere una fortuna: 9,50 euro spesi benissimo.
Si tratta tra l’altro di un “biologico”, che fa il paio con quello de La Piotta e con i fuoriclasse di Quaquarini. L’ennesima conferma di “movimento” che sta andando nella direzione giusta, anche in Oltrepò Pavese, con prodotti di qualità sempre più riconoscibile. Anche alla cieca.
Tra le cantine più in evidenza, l’Azienda Agricola Alessio Brandolini di San Damiano Al Colle (frazione Boffalora), con ottimi punteggi per i Metodo Classico Rosè “Note d’agosto” (terzo, alla spalle di Roccapietra e Travaglino) e con “Luogo d’Agosto”, altro Metodo Classico Docg 100% Pinot Nero. Brandolini è la cantina che, con Scuropasso e Quaquarini, esce a testa alta dalla degustazione. Desaparecida – e non è la prima volta – la Conte Vistarino.
I MARTINOTTI
Se il quadro degli Champenois è a tinte chiare e definite, in un Oltrepò Pavese di cui si parla sempre troppo poco in Italia, per quanto capace di valorizzare il Pinot Nero in versione sparkling come in pochi terroir al mondo – specie se tra le mani di alcuni grandi interpreti – è sugli Charmat che il cammino sembra ancora lungo, verso le punte di qualità espresse da altre regioni del Belpaese.
Si salvano Finigeto di Montalto Pavese, con la Pinot Noir Cuvée “Extrà”. San Giorgio di Perdomini con il Pinot Nero Doc “Magnificat”. E Terre Bentivoglio di Santa Giuletta, con la Cuvée di Pinot 98 Extra Dry. Troppo poco.
Per dirla tutta, tra gli assaggi, tanti tentativi (andati storti) di scimmiottare il re dei Martinotti, il Prosecco veneto. “Zucchero” a cucchiai. E sentori di frutta matura che stancano il naso ancor prima di avvicinare il calice alla bocca.
Tratti che non giovano a un mercato che potrebbe dare tanto (di più). E fare da traino alle “bolle” oltrepadane più complesse. L’entrée mancato, insomma.
Controindicazioni di un mercato Glera-centrico che guarda al gusto esotico dell’export. E fa male, in un’Italia – e a ribadirlo è il Rapporto Coop 2017 – in cui il consumatore vuole bere bene (e sempre meglio) anche al supermercato.
Luogo per antonomasia (o forse non più?) in cui trovare spumanti di pronta beva. Facili, beverini. Da buttare giù d’estate, al posto della birra. O a casa, per accompagnare il sushi acchiappato al volo al take away dell’Esselunga.
Semplice e un po’ banale, per dirla alla Mina-Celentano, è un ritornello che stona nell’enomondo moderno. E allora il menu per un Oltrepò che merita di sfondare definitivamente nell’Olimpo del mercato del vino è servito in tavola, fumante.
Studiare meglio l’antipasto (tradotto: gli Charmat) per far leva sui “primi” e “secondi” piatti d’eccellenza (i Metodo Classico da Pinot Nero, of course) di cui è ricca la tavola dell’Oltrepò. Un grande chef non serve se la mise en place lascia a desiderare.
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Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Un seminario sull’interpretazione delle bollicine in biodinamica e cinque masterclass a tema vino. Il programma di Milano Golosa 2017, tra gli oltre 200 espositori artigiani presenti, offre anche una proposta importante per tutti gli appassionati di vino.
Si tratta della sesta edizione della manifestazione ideata dal “gastronauta” Davide Paolini. In programma al Palazzo del Ghiaccio di Milano, dal 14 al 16 ottobre 2017.
Il seminario B&B Bollicine e Biodinamica è in programma lunedì 16 ottobre alle 13 in Sala WineMi. Tema dell’incontro è l’interpretazione delle bollicine in biodinamica nei territori di Valdobbiadene, Franciacorta, Oltrepò Pavese. Per l’occasione saranno presenti tre cantine simbolo di questi territori: Cà del Vent per la Franciacorta (da assaggiare il Brut Rosè Pas Operé 2010, tra i migliori vini selezionati da vinialsuper a VinNatur – Villa Favorita 2017) Cà dei Zago per Valdobbiadene, Andi Fausto per Oltrepò Pavese.
Proprio le parole di Andi, dal suo quartier generale di Moriano di Montù Beccaria (PV) sintetizzano lo spirito del seminario: “Il rapporto tra uomo e natura è la base di un’essenziale ricerca da cui parte l’impegno a intervenire sulla campagna facendo proprie consuetudini, nuove tecniche, ricerca di una dimensione etica che sostiene un progetto di armonia ed equilibrio”.
Oltre al seminario, in programma cinque masterclass pensate in collaborazione con WineMi, la rete che raggruppa 5 enoteche storiche milanesi, simbolo della cultura del bere bene meneghino: Enoteca Eno Club, Cantine Isola, La Cantina di Franco, Enoteca Ronchi, Radrizzani Drogheria Enoteca, in partnership con alcune importanti cantine italiane.
LE DEGUSTAZIONI
1) La prima degustazione in programma sabato 14 ottobre alle 15, sempre in Sala WineMi, è Forza 5: viaggio nella Sicilia di Planeta in 5 tappe (Etna, Menfi, Noto, Vittoria, Milazzo). Una degustazione attraverso cinque territori dell’isola per approfondire la più antica tradizione enologica siciliana, alla scoperta di un patrimonio di varietà indigene e della biodiversità.
2) Sempre sabato, alle 17, in programma invece Col D’Orcia: il grande rosso di Montalcino. Col d’Orcia presenta una verticale del Rosso di Montalcino per dimostrare l’ottima evoluzione che questo grande vino possiede.
3) Altro appuntamento domenica 15 ottobre alle 13 con Villa Bucci: Le Marche, il Verdicchio e le vigne vecchie. Un approfondimento su un vitigno fortemente identitario, il Verdicchio, che trova la sua massima espressione nei vini Villa Bucci.
4) Alle 15.30 si continua con Les Cretes: i vini eroici della montagna valdostana. Les Cretes presenta i suoi vini estremi, provenienti da vitigni che crescono in terre impervie, strappate alla montagna. Zone morfologicamente disagiate, in cui diventa fondamentale la tenacia e la passione del vignaiolo.
5) Infine, alle 17.30, c’è Non c’è Rum senza Zafra. Una degustazione del padre di tutti i rum, nato vent’anni fa dalle sapienti mani di Mastro Ronero che ha saputo trasformare la canna da zucchero, raccolta unicamente a mano, in un distillato unico che vanta un invecchiamento in botti di Bourbon Americano.
Le degustazioni avranno una durata di circa un’ora e mezza e saranno guidate dagli esperti delle case vinicole in questione. “Sono pensati come approfondimenti – sottolineano gli organizzatori – che avvicineranno i visitatori alle più pregiate etichette e annate. A queste proposte si aggiunge la presenza tra i banchi d’assaggio di numerose cantine selezionate da tutta Italia”.
ORARI E BIGLIETTI DI MILANO GOLOSA
L’evento sarà aperto al pubblico sabato 14 ottobre (dalle 12 alle 20.30), domenica 15 ottobre (dalle 10 alle 20.30) e lunedì 16 ottobre (dalle 9 alle 17). Tanti gli eventi che coinvolgeranno anche altri luoghi – ristoranti ed enoteche del centro – con il programma di Fuori Milano Golosa.
Il biglietto d’ingresso, come nelle passate edizioni, sarà di 10 euro a persona, 5 euro per i bambini dai 6 ai 12, bambini minori di 6 anni gratuito. Il programma sarà presto disponibile sul sito della manifestazione (www.milanogolosa.it).
MILANO GOLOSA IN BREVE 14-15-16 OTTOBRE 2017 Palazzo del Ghiaccio | Via G. B. Piranesi 14, Milano (02-86462555/1919); info@milanogolosa.it; www.milanogolosa.it. Facebook: @MilanoGolosa; Twitter: @ilgastronauta; Instagram: @gastronauta_official ORARI AL PUBBLICO
Sabato: 12.00 – 20.30
Domenica: 10.00 – 20.30
Lunedì: 09.00 – 17.00
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Pomino bianco Doc 2016 Castello di Pomino Frescobaldi
(5 / 5) Preziosa etichetta quella che la catena di supermercati Il Gigante ha “in carta” ormai da diversi anni. Parliamo del Pomino Bianco Doc Frescobaldi, da qualche mese reperibile anche nelle “enoteche” dei punti vendita Esselunga più “attrezzati”.
LA DEGUSTAZIONE
Di un giallo paglierino carico con vaghi (ma accesi) riflessi verdolini, Pomino è uno di quei vini che invogliano la beva, già dal colore. Al naso sentori di frutta esotica (banana e papaya su tutti), ma anche di mela cotogna e agrumi come il cedro.
Conferiscono freschezza i richiami ai fiori di gelsomino e biancospino. Non manca una vena più “austera”, che ricorda la nocciola. Profumi che si rincorrono nel calice. Un’analisi olfattiva da promuovere a pieni voti per la finezza che è capace di esprimere.
Al palato, il Pomino Bianco Doc Frescobaldi conferma le attese e rincara la dose con la consueta eleganza. Sapidità e acidità molto ben bilanciate: una “salinità” che sboccia subito, in ingresso, per lasciare poi spazio a un sottofondo fruttato finissimo, esotico.
Il fin di bocca, leggermente amarognolo, completa una beva raffinatissima. Perfetto come aperitivo d’eccezione, questo vino bianco della cantina toscana Frescobaldi si abbina a piatti a base di verdure e pesce, non troppo elaborati.
LA VINIFICAZIONE
Il Pomino Bianco Doc Castello di Pomino Frescobaldi è prodotto in una delle zone della Toscane più vocate alla coltivazione delle varietà di uva a bacca bianca. Si ottiene dal blend di Chardonnay e Pinot Bianco, completato da altre varietà complementari.
I vigneti si trovano a un’altitudine di 700 metri sul livello del mare. La tecnica di vinificazione è particolare. La fermentazione di gran parte del mosto avviene in serbatoi di acciaio inox. Un’altra porzione fermenta invece in barrique, dove si svolge anche la malolattica, ovvero la trasformazione dell’acido malico in acido lattico, utile a conferire tinte più “morbide” al nettare.
Anche l’affinamento avviene in acciaio, per una durata complessiva di quattro mesi. Prima di essere messo in commercio, il vino affina in bottiglia per un altro mese.
Il Pomino Bianco Doc di Frescobaldi prende il nome dal Castello di Pomino. Una splendida tenuta della famiglia dei Marchesi de’ Frescobaldi, nel cuore della campagna fiorentina. Vigneti che si arrampicano fino a un’altitudine di 700 metri sul livello del mare, strappati a un bosco di sequoie, abeti e castagni.
Prezzo: 8,49 euro
Acquistato presso: Il Gigante / Esselunga
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Utilizzare l’anfora, il contenitore più antico della storia dell’uomo, per affinare il vino è una pratica ormai nota ed accettata, ma utilizzarla per i distillati è possibile? E con che risultato?
Ha provato a dare una risposta la distilleria Marzadro di Nogaredo (TN) con la sua “Anfora. Grappa affinata in terracotta”, 43%.
LA DEGUSTAZIONE
Incolore, perfettamente trasparente e brillante. Intensa e pulita al naso, emergono da subito note di erba tagliata e un bel bouquet floreale, con sentori di calendula in primo piano. Più in profondità si colgono profumi fruttati sia di frutti a polpa bianca sia di piccoli frutti rossi.
In bocca, la grappa affinata in terracotta “Anfora” delle distillerie Marzadro, entra morbida. L’alcolicità è presente ma non fastidiosa, ben integrata nel corpo vellutato della grappa. Una leggera dolcezza iniziale che lascia subito spazio a tutti i profumi sentiti al naso, che si percepiscono chiaramente nel retronasale. Piena ed armonica, chiude con una leggera nota amaricante ed una lunga persistenza.
LA PRODUZIONE
Sul collo della bottiglia è apposta la fascetta con il marchio “Trentino Grappa”, rilasciato dall’Istituto Tutela Grappa del Trentino, che certifica l’utilizzo di solo vinacce della provincia per “offrire al consumatore la garanzia di una qualità certificata dall’Istituto Agrario di San Michele all’Adige, attraverso analisi di laboratorio, e della Camera di Commercio di Trento presso la quale è operante una commissione per l’analisi organolettica”.
Una grappa al 100% figlia del territorio, quindi, per la quale viene utilizzato un blend di uve: 80% da vitigni a bacca rossa (Teroldego, Marzemino, Merlot) e 20% a bacca bianca (Chardonnay, Müller Thurgau, Moscato). Base molto simile a quella di un grande classico di casa Marzadro, la “Diciotto Lune”.
Come per tutte le grappe di Marzadro, la distillazione avviene solo nei cento giorni fra settembre e l’inizio del mese di dicembre, con vinacce fresche di spremitura. La distillazione segue i canoni della tradizione, con alambicco discontinuo a bagnomaria. Alambicchi in rame costruiti artigianalmente ma dotati di controlli computerizzati per impedire sbalzi di temperatura e salvaguardare gli aromi, la fragranza e la morbidezza tipici della grappa trentina. Artigianalità e tecnologia a braccetto.
La grappa riposa per minimo 10 mesi in anfore da 300 litri, realizzate con creta e argilla, che giungono da Montelupo e da Impruneta, località toscane note fin dal Medioevo per la lavorazione della terracotta.
Queste anfore garantiscono una micro ossigenazione doppia rispetto a quella che avviene con l’uso della botte. La grappa si arricchisce in eleganza e morbidezza, regalando così le caratteristiche tipiche dell’invecchiamento senza però ricevere profumi, sapori e colore dal legno.
LA DISTILLERIA
Nata sul finire degli anni ’40 a Brancolino (TN) per volere dei fratelli Sabina ed Attilio Marzadro, la distilleria si contraddistinse subito per la qualità della propria produzione e negli anni ’50 e ’60 divenne sinonimo stesso di “grappa trentina”.
Dall’introduzione nel 1975 della prima grappa da monovitigno autoctono trentino (il Marzemino) l’azienda è cresciuta costantemente, con nuovi alambicchi negli anni ’80 ed i primi distillati di frutta, fino alla realizzazione della nuova e moderna sede di Nogaredo (ad 1 Km da dove nacque) nel 2004.
Giunta alla terza generazione, Marzadro oggi offre 46 etichette di grappa differenti (fra bianche, affinate, monovitigno ed aromatizzate) e 28 etichette di liquori, coniugando una capacità produttiva industriale con l’attenzione artigianale, utilizzando quasi esclusivamente materie prime del territorio.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
È un brand immediatamente riconoscibile sugli scaffali dei supermercati, anche dai non appassionati di birra. La gamma di Leffe è ricca e varia, vi parliamo oggi della Royale Whitbread Golding.
LA DEGUSTAZIONE Stile Belgian Strong Ale, 7,5%. Biondo dorato carico, tendente all’ambrato. Molto limpida nel bicchiere e sovrastata da un bel cappello di spuma color crema. Perlage abbastanza fine e piuttosto persistente.
Elegante al naso, di media intensità, si percepiscono sentori floreali e di frutta bianca matura, seguiti da note speziate e resinose con una punta agrumata che dona freschezza.
In bocca scopriamo una piacevole evoluzione di Leffe Royale. L’ingresso è morbido e sembra quasi prevalere la dolcezza, senza però perdere di equilibrio con l’amarezza dei luppoli e l’acidità.
Proseguendo emerge una leggera astringenza, che riporta in primo piano le note speziate. Di media persistenza, chiude ricordando sia le note fruttate che le luppolate.
Una birra elegante e pulita per chi cerca qualcosa di diverso e raffinato, senza spingersi fino alle trappiste o alle artigianali. Di corpo leggero, Leffe Royale si abbinata a piatti di pesce leggermente affumicato come il salmone, a formaggi non troppo stagionati o anche a pasticceria secca.
LEFFE Prodotta con tecnica di dry hopping (luppolatura a freddo) vengono utilizzate tre varietà di luppolo, di cui quella prevalente è il whitbread golding, coltivato nelle fiandre che è il responsabile delle note citriche e resinose.
Fondata nel 1152, l’abbazia di Notre Dame de Leffe a Leffe, oggi quartiere di Dinant in Vallonia, iniziò a produrre birra nel 1240 con lo scopo di ottenere una bevanda sana in un periodo di continue e pericolose epidemie. L’abbazia conobbe periodi di crescita e splendore fino alla rivoluzione francese durante la quale il birrificio venne distrutto.
La produzione di birra ripartì solo nel 1952 grazie alla collaborazione con un birrificio di Bruxelles, birrificio successivamente acquisito dalla multinazionale AB InBev (leader mondiale della produzione di birra). Seppur non più prodotte nel monastero le birre Leffe mantengono una loro precisa identità.
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(4,5 / 5) Giallo paglierino lucente, con sfumature verdoline. Quante degustazioni di vino bianco iniziano così? Molte. Ma l’Umbria Igt 2016 di Cantine Bigi offre anche altro.
Un’ottima etichetta nel rapporto qualità prezzo, reperibile sugli scaffali di diversi supermercati. Tra cui Carrefour ed Esselunga.
LA DEGUSTAZIONE
Definito il colore, l’analisi si focalizza sulla parte olfattiva. Il naso della Vipra Bianca Bigi striscia, suadente, tra sentori di frutta tendente al maturo (pesca gialla, albicocca), agrumi (arancia e bergamotto) e fiori di ginestra.
La mandorla accompagna sino a richiami minerali salini, sempre più evidenti col permanere del vino nel calice. Al palato, Vipra Bianca si rivela fresca e succosa in ingresso, sfoderando poi tutta la mineralità dei vitigni con cui viene prodotta da Cantine Bigi.
Solo in apparenza sensazioni contrastanti: in realtà, il quadro è quello di una morbidezza di eleganza esemplare, vero punto forte di questo vino umbro. Un po’ come bere velluto. Corrispondenti al naso le percezioni gustative, con la frutta a polpa gialla e la mandorla di nuovo evidenti (quest’ultima, in particolar modo, nel retro olfattivo).
Vipra Bianca 2016 di Cantine Bigi è un ottimo vino da aperitivo, abbinabile alla perfezione con salumi, primi piatti a base di pesce, nonché carni bianche e formaggi non stagionati.
LA VINIFICAZIONE
Vipra Bianca è un blend costituito per il 60% da uve Grechetto e per il 40% da Chardonnay, principale “responsabile” della parte ammandorlata sopra descritta. Le vigne si trovano a 300 metri di altitudine, nel circondario di Orvieto.
Vigne che vengono selezionate di anno in anno tra quelle con esposizione a Sud-Ovest. Densità di 4.500 piante per ettaro per le viti, allevate a cordone speronato e Guyot su terreni di natura argilloso sassosa. La resa in vino è di 56 ettolitri per ettaro.
Giunte in cantina, le uve Grechetto e Chardonnay fermentano in acciaio, per tre settimane su lieviti selezionati, a una temperatura di 14-16 gradi. Segue un ulteriore affinamento in acciaio di 5 mesi, prima dell’imbottigliamento.
La vendemmia 2016 ha segnato per Cantine Bigi (oggi parte integrante di Giv, Gruppo italiano vini) i 10 anni dall’inizio della produzione di Vipra Bianca.
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(4 / 5) Non tutti gli studiosi sono d’accordo sull’origine della parola Arneis. C’è chi la fa risalire a Renexij, antico nome della località Renesio di Canale. Chi alla parola dialettale piemontese arneis (“indumento”, “veste”).
In seguito arneis ha assunto anche il significato di arnese, attrezzo, e da arneis derivano anche espressioni come mal an arneis, “male in arnese”, ovvero “mal vestito”, “mal equipaggiato”.
LA DEGUSTAZIONE L’Arneis di Enrico Serafino è di un bel giallo paglierino con riflessi verdolini, cristallino, vivo. Il naso è semplice, fruttato e floreale avvolto in una nota agrumata, delicato e fine. Se i profumi mancano di un po’ di intensità, la stessa cosa non si può dire del sapore. In bocca entra deciso, caldo, morbido, succoso e di buon corpo.
Si consiglia di berlo a una temperatura non superiore agli 8-10 gradi, per smorzare la nota alcolica leggermente sopra le righe. Nel complesso è un vino semplice ma assolutamente godibile, che potrebbe accompagnare molto bene dei ravioli di magro conditi con burro e salvia.
LA VINIFICAZIONE
Dopo la spremitura soffice delle uve (100% arneis), la fermentazione avviene in vasche d’acciaio inox a temperatura controllata. Anche l’affinamento avviene esclusivamente in vasche d’acciaio. I vini della cantina Enrico Serafino, nata nel lontano 1878, sono divisi tra “Cantina Maestra”, “Vini classici” e spumanti.
Caratteristica che accomuna tutti i vini classici, di cui fa parte questo Arneis, è la bottiglia dalla forma inusuale, via di mezzo tra la classica albesia delle Langhe, e l’anfora di Provenza. Un tocco in più di originalità sulla tavola.
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Venti bottiglie di Prosecco in degustazione “alla cieca”, per decretare il migliore presente sugli scaffali delle maggiori catene di supermercati italiani.
Da Esselunga a Iper Coop, passando per Auchan, Carrefour, Iper – la grande I, Penny Market e Lidl, senza dimenticare insegne importanti come Il Gigante, Unes e Despar.
Tre i Prosecco che la spuntano, adatti ad accompagnare dall’aperitivo alle carni bianche, passando – perché no? – anche da piatti di pesce non troppo elaborati.
Tre prodotti capaci di accontentare ogni tipo di palato: da quello di neofiti e bevitori occasionali, a quello di chi pretende di più, anche da un “semplice” Prosecco.
I MIGLIORI PROSECCO AL SUPERMERCATO 1) Bel perlage, profumati invitanti. Zucchero dosato al punto giusto, tanto da non stancare mai la beva e chiamare un sorso dopo l’altro. Sul podio dei Prosecco in vendita al supermercato finisce il Prosecco Doc Superiore di Martini & Rossi (gruppo Bacardi). Un Extra Dry da 11,5% vol.
E’ questo il miglior Prosecco “pop”, secondo la redazione di vinialsuper. Rappresenta, cioè, esattamente quello che ci si deve aspettare da un (buon) Prosecco. Semplicità, dunque. Ma anche un certo carattere. Peraltro una bottiglia dall’ottimo rapporto qualità prezzo (5,50 euro circa), in tutte le catene di supermercati che lo espongono in vendita.
Giallo paglierino con riflessi verdolini velati, bollicina fine nel calice, anche se la persistenza delle “catenelle” non è da superstar. Naso tipico, intenso e pulito, che lascia spazio anche a sorprendenti note esotiche di mango, banana e mandarino.
Palato corrispondente dal punto di vista degli aromi, con spuma satinata e cremosa che accompagna, verso la chiusura, un’acidità ben dosata. Buona anche la persistenza, agilmente sopra le soglie della sufficienza.
2) Il Prosecco Superiore Conegliano Valdobbiadene Docg di Carpenè Malvolti è la “bollicina” veneta consigliata a chi, al Prosecco, chiede qualcosa di più. Anche in questo caso siamo di fronte a un Extra Dry, mentre la percentuale d’alcol in volume scende di mezzo grado rispetto al Prosecco Doc Martini, assestandosi sugli 11.
L’etichetta, del resto, parla da sola: svecchiata rispetto all’originale, senza perdere tuttavia l’eleganza che contraddistingue da sempre la casa spumantistica di Conegliano (TV). Che di questo Prosecco ha fatto un’icona.
Giallo paglierino con riflessi dorati, il Prosecco Superiore Docg di Carpenè Malvolti sfodera un naso da Metodo classico (la tecnica utilizzata per la produzione dello Champagne). Roba da far sospettare di non essere di fronte a una bottiglia del più venduto degli Charmat al mondo.
Miele d’acacia, fruttato elegante di ananas, una punta di lime. Note che arrivano a sfiorare anche l’idrocarburo. Che ci sia dell’ottimo Chardonnay nel blend con la Glera? Il disciplinare, del resto, lo consentirebbe.
Ingresso di bocca morbido, sul filo di una corrispondenza gusto olfattiva pregevole. L’acidità non manca, anzi. Anticipa (e controbilancia) una sapidità capace di conferire ulteriore “gusto” al sorso. La chiusura richiama ancora una volta il nobile vitigno di origine francese, con le sue percezioni ammandorlate. Chapeau.
3)Last but not least, come direbbero gli inglesi che del Prosecco ne hanno fatto ormai un’ossessione (in Inghilterra lo spumante veneto fa ormai a gara con la birra locale), il Prosecco Superiore Valdobbiadene Docg di un altro colosso del Wine in Italy, Santa Margherita Spa di Fossalta di Portogruaro (VE). Questa volta siamo di fronte a un Prosecco più secco, un Brut, da 11,5% vol.
Giallo paglierino con riflessi oro, spuma creosa che si dissolve lenta. Fine e persistente il perlage. Dal calice di Prosecco Superiore Docg Santa Margherita si elevano note fruttate dalla leggerissima vena “dolce”, come da attese per uno spumante dal grado zuccherino più modesto rispetto a quello dei compagni Prosecco Extra Dry.
Un naso di eccellente finezza quello del Valdobbiadene Santa Margherita. Lasciato a “riposo” per qualche minuto, l’olfatto arriverà a donare sentori pregevoli di foglia secca di pomodoro. Al palato dominano la morbidezza e la tipicità del Prosecco. Con l’aggiunta di un pizzico di mineralità, che sboccia soprattutto nel retro olfattivo assieme alla pera Williams. Facile berne un bicchiere dietro l’altro, senza mai stancarsi.
A UN PASSO DAL PODIO
A un passo dal podio il Prosecco Doc Zonin: naso elegante, bolla satinata, acidità giocata su note d’arancia, prima di una chiusura lunga. Non male al palato Bellussi (U2 – Unes): bocca pulita, acidità e mineralità piacevolissime, ma solo dopo un naso piuttosto costruito. Olfatto che è anche la croce del Prosecco Doc Mionetto, che invece al palato regala un frutto piacevole e uno zucchero ben dosato, così come una buona persistenza retro olfattiva.
I PEGGIORI Tra i Prosecco degustati, ci sentiamo di sconsigliarne (tassativamente, o quasi) due in particolare. Ad accomunarli – oltre al costo al limite del sotto-costo – un perlage grossolano, una spuma degna d’una birra, un naso citrico e un palato tra il piatto e l’artificiale.
Si tratta del Prosecco Superiore Valdobbiadene Docg “Villa de’ Bruni”, in vendita negli storePenny Market, e il Prosecco Doc Allini della catena tedesca di supermercati Lidl.
Male anche alcuni Prosecco di nomi importanti: insufficiente l’Extra Dry di Cescon, così come il Prosecco Superiore Valdobbiadene Docg “Col del Sol” di Ca’ del Sole Vini, in vendita nei supermercati Il Gigante. Male entrambi i Prosecco (Doc e Docg Valdobbiadene) della linea “Il Viaggiator Goloso” (Finiper – Unes).
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(3,5 / 5) Tre parole: colline fertili, lavoro e passione. Da qui nascono i vini di Umberto Cesari, una sfida iniziata negli anni Sessanta con venti ettari di vigneto nei terreni collinari al confine tra l’Emilia e la Romagna.
Sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper finisce oggi il Sangiovese Doc di Cesari, vendemmia 2014, in vendita nei supermercati Interspar.
LA DEGUSTAZIONE Il vino si presenta limpido, color rubino vivace, consistente nel calice. Al naso si percepisce intenso e piuttosto complesso, bouquet fruttato e floreale con frutti maturi di ciliegia e frutti di bosco e fiori come la violetta, sentori di marmellata e marasca e spezie tostate come tabacco e caffè.
In bocca, il Sangiovese Iove di Umberto Cesari è caldo, morbido, pieno ed elegante, abbastanza fresco, leggermente tannico. Di corpo, risulta avvolgente e armonico nel complesso. Piuttosto duttile nell’abbinamento, è particolarmente consigliato con piatti saporiti di carne e selvaggina, ma anche con formaggi stagionati, salumi o primi piatti di pasta ripiena.
LA VINIFICAZIONE
Il vino è classificato come Romagna Doc Sangiovese, ottenuto da uve 100% Sangiovese, con titolo alcolometrico di 12,5%. L’affinamento avviene in vasche di acciaio per 3 mesi.
Le uve usate per produrre Iove Sangiovese Doc vengono raccolte interamente nel podere Parolino, che copre due versanti di una stessa collina, con un’esposizione ottimale tutto l’anno. Nel Podere Parolino si coltivano anche Merlot, Trebbiano e Sauvignon Blanc.
La grande ricchezza dell’azienda sono di fatto 6 poderi (Ca’ Grande, Liano, Laurento, Tauleto, Casetta e Parolino). La Umberto Cesari consta di 175 ettari di vigneti, una cantina di 18 mila metri quadrati, nonché una sede aziendale che accoglie il wine shop e la sala degustazione.
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(3,5 / 5) Il fiume Tanaro divide due delle zone maggiormente vocate alla viticultura di tutto il Piemonte: le Langhe, sulla riva destra, e il Roero sulla riva sinistra.
Il vitigno principe è lo stesso, il Nebbiolo. Mentre il territorio è molto diverso: calcareo e argilloso nelle Langhe, soffice e sabbioso sull’altra sponda.
LA DEGUSTAZIONE
Il Roero Teo Costa ha un bel colore luminoso, granato con ancora un ricordo rubino. La trasparenza è quella che ci si aspetta dal Nebbiolo. Il naso è intenso, abbastanza complesso, fine. Il frutto resta sullo sfondo per lasciare spazio a sensazioni erbacee un po’ troppo in evidenza, assieme a leggere note floreali e ferrose.
Più sapido che fresco, ha un buon ingresso in bocca, subito scalzato però dal tannino ancora troppo verde. Una caratteristica che andrà ad ammorbidirsi col trascorrere dei mesi in bottiglia, rendendo il Roero Teo Costa più apprezzabile dal prossimo anno. Il finale, ad oggi, risulta quindi non così piacevole. Può essere comunque un buon compagno di una succulenta bistecca.
LA VINIFICAZIONE
La tecnica di vinificazione è quella tradizionale in rosso e segue i dettami della Denominazione di origine controllata e garantita Roero. Si tratta dunque di un Nebbiolo in purezza, con 20 mesi di affinamento di cui almeno 6 in legno.
Teo Costa è un’azienda storica piemontese, nata verso la fine del 1800. Possiede circa 50 ettari di vigneto su entrambe le rive del Tanaro, potendo quindi offrire due diverse interpretazioni dello stesso vitigno, il Nebbiolo dei comuni di Treiso e Novello, e il Roero di Castellinaldo e Castagnito.
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“Calici di stelle”, una delle manifestazioni estive dedicate al mondo del vino più attese dai “winelovers”, che abbraccia lo stivale da nord a sud.
A organizzarla è il Movimento Turismo del Vino in collaborazione con l’Associazione nazionale Città del Vino.
Obiettivo: promuovere e far conoscere aziende e vini dei diversi territori, in un contorno animato da musiche e deliziato dai sapori tipici di ogni zona.
Quest’anno vinialsupermercato.it era in provincia di Padova, ad Arquà Petrarca, località rinomata per nel panorama della viticoltura dei Colli Euganei veneti.
LA DEGUSTAZIONE Primo assaggio degno di nota è il Pinot bianco dell’Azienda agricola Rossato Giuliano: estremamente interessante, con le sue accattivanti note d’agrumi e fiori bianchi. Un piccolo produttore di Cinto Euganeo (PD), che per filosofia fonda tutto su vini vinificati esclusivamente in acciaio e solo di annata.
Il secondo “calice stellare” è invece quello di un nome più blasonato, garanzia di vini di qualità. Parliamo di Cà Lustra di Francesco Zanovello e del suo Olivetani, interessante progetto di vinificazione di ben cinque vitigni: Tai, Moscato, Pinot Bianco, Sauvignon e Garganega, a rappresentare la Doc più antica dei Colli Euganei, ai piedi del monte Venda.
Complice anche la temperatura molto piacevole iniziamo questa volta ad avvicinarci ai rossi scelti per la manifestazione, partendo da un classico taglio bordolese: “Volo”, dell’azienda Il filò delle vigne. Un vino giovane e vigoroso, che regala note interessanti di sottobosco. Ben rappresenta la filosofia dei vini di questa azienda.
Diverso ma di eccellente qualità anche l’autoctono di casa Reassi, il “Vin Bastardo”, prodotto da uve 100% Marzemina nera bastarda, una delle uve recuperate tra i colli vulcanici.
Non mancano in questa manifestazione alcuni produttori di vini bio e naturali. Interessanti quelli dell’Azienda Agricola Alla Costiera. Oltre al Bianco sur lie, ottimo il Rosso Riserva a base Cabernet Sauvignon “Vo’ Vecchio”, che prende il nome dal luogo di origine dell’azienda.
Chiudiamo con l’azienda Conte Emo di Capodilista – Azienda Agricola La Montecchia, aderente alla Federazione italiana Vignaioli Indipendenti (Fivi), che si fa apprezzare per un vitigno ancora poco presente nei Colli Euganei, ma che vive una fase di rivalutazione: il Carmenère Igt Veneto chiamato, appunto, “progetto Recupero”.
Prodotto da solo uve Carmenère, regala intensità e profondità al gusto, mantenendo comunque eleganza e una certa facilità di beva. Degno di menzione anche il Cabernet Franc prodotto da Conte Emo di Capodilista.
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Come dice Rocco Papaleo in un noto film “Si, la Basilicata esiste. Esiste! È un po’ come il concetto di Dio, ci credi o non ci credi. Io credo nella Basilicata.” È vero. E non solo esiste ed è una terra affascinante, ma esiste anche una Basilicata brassicola.
Undici le realtà birraie presenti nella regione (dati Microbirrifici.org). Oggi vi raccontiamo il Birrificio Birfoot di Matera, nato ad ottobre 2016 per mano del giovane mastro birraio Giovanni “Uacezza” Pozzuoli (leva 1992).
IL BIRRIFICIO Giovanni, dopo lunga esperienza come home-brewer, stage in birrifici e il conseguimento di diverse qualifiche professionali, ha preso coraggio e ha aperto il proprio micro birrificio. Con l’obbiettivo di esternare la propria passione per la buona birra.
Capacità produttiva di sette ettolitri, cura manicale per i dettagli, attenta selezione delle materie prime: questi gli elementi fondanti, i “core assets”, di Birfoot. Infatti, chiacchierando con Giovanni, emerge quanto lui sia consapevolmente convinto che “solo curando in modo rigoroso ogni singola fase del processo produttivo si possa ottenere e replicare un prodotto di qualità”.
Badare alla freschezza di tutte le materie prime selezionandole con attenzione diviene così un must irrinunciabile. Tre al momento le birre prodotte e commercializzate da Birfoot: una Blanche, una Apa ed una Strong Ale. Le abbiamo degustate tutte e tre.
LA DEGUSTAZIONE Albus. Blanche da 4,8%. Nella ricetta anche scorze d’arancia, coriandolo e pepe rosa. Colore giallo paglierino scarico, leggermente velata. Schiuma bianca fine e persistente.
Al naso è fresca ed agrumata, semplice quel tanto da invitare subito alla beva e complessa quel poco da creare un bella aspettativa. In bocca è scorrevole, la spiccata carbonazione non è fastidiosa e la rende setosa al tatto. Emergono le note dolci dei cereali, la leggera speziatura ed ancora un sentore di agrumi.
Finale mediamente persistente, fresco. Unico difetto, ma davvero piccolo piccolo, l’acidità non è molto sostenuta visto la tipologia di birra. Un poco in più avrebbe contribuito positivamente alla sensazione di freschezza. Nel complesso un buon prodotto.
Hop Jungle. American Pale Ale da 5,4%. Giallo dorato carico con riflessi che tendono all’aranciato. Schiuma abbondante, bianca e molto persistente.
Al naso è intensa. La luppolatura (ci dice Giovanni che sono stati utilizzati luppoli tedeschi ed americani) dona piacevoli profumi floreali ed una leggera nota agrumata cui si affiancano piacevoli sentori di frutta esotica matura. In bocca l’effervescenza è moderata e lega bene col gusto secco e pulito della birra. Sul finale, di media persistenza, emergono le gradevoli note amare tipiche dello stile.
Aztec. Strong Ale da 7.4%. Di ispirazione inglese si presenta con un bel colore ambrato, carico e luminoso, ed una schiuma fine e compatta. Complessa al naso con note di caramello e di frutta matura che lasciano presagire morbidezza al palato.
L’assaggio conferma l’intuizione del naso; è corposa e morbida con delicate note maltate e fruttate che portano il sorso verso una dolcezza non eccessiva, tipica per lo stile così come la lieve carbonazione. Buona persistenza.
Tre prodotti ben riusciti, in grado di coprire una buona gamma di gusti. E un produttore giovane, che non ha puntato sull’effetto moda delle “Ipa”, sviluppando invece birre con una propria identità e in grado di legarsi anche alla cucina del territorio. Albus, Hop Jungle e Aztec possono infatti accompagnare trasversalmente la tavola, dalle crudità di mare ai piatti di carne insaporiti alle erbe, dalle verdure fritte ai salumi più saporiti.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
(3 / 5) Rosato un po’ (troppo) salato. Una sintesi che racchiude bene l’assaggio del Bardolino Classico Chiaretto Dop 2016 dell’Azienda Agricola Conti Guerrieri Rizzardi, in vendita nei supermercati Esselunga.
Un calice che non soddisfa appieno, proprio per la preponderanza, al palato, di una nota salina che disturba la beva. Rendendo peraltro difficile l’abbinamento di questo vino rosato veneto con la cucina. Eppure le premesse sono ottime.
Il Chiaretto Guerrieri Rizzardi si presenta di un apprezzabilissimo rosato brillante, tipico della denominazione. Gli fa eco un naso elegante, altrettanto caratteristico, tra il floreale di violetta e il fruttato di fragola, lampone e ribes. Prestando ancora più attenzione, ecco la nota di “soluzione salina” che ritroveremo di lì a poco al palato.
In bocca, le percezioni fruttate che contraddistinguono il vino in ingresso vengono poi sovrastate dal sale. Quello che è uno dei tratti distintivi del Bardolino – descritto sin dalle cronache del 1935 come vino “grazioso e lieve”, ma soprattutto “salatino” – risulta la nota stonata nel calice del Chiaretto Guerrieri Rizzardi. Per eccessiva amplificazione. Una durezza che neppure la buona acidità riesce a controbilanciare.
LA VINIFICAZIONE
Sono diversi i vigneti dai quali la cantina Guerrieri Rizzardi ottiene il Chiaretto in vendita nei supermercati Esselunga. Due sono situati a Bardolino (località Campagnole e vigneto Vegro). Altri due nel Comune di Cavaion Veronese (vigneto Vignai, vigneto Cà dell’Ara). Sono 75 mila, in totale, le bottiglie prodotte.
Le viti, allevate a pergola semplice e doppia e guyot con una densità d’impianto variabile tra i 1.720 e i 5 mila ceppi per ettaro, affondano le radici in terreni di tipo ciottoloso, argilloso e calcareo di origine morenico glaciale. Il blend del Bardolino Classico Chiaretto Guerrieri Rizzardi è ottenuto prevalentemente dai vitigni Corvina (65%) e Rondinella (20%), a cui viene aggiunto un 15% tra Molinara e Negrara. Piante di età variabile tra i 5 e i 30 anni, con una produzione media per ettaro di 130 quintali (12.100 bottiglie).
La vinificazione prevede l’iniziale diraspataura e pigiatura delle uve. Segue il riempimento delle vasche di fermentazione e la svinatura, dopo circa 12 ore. La vinificazione in bianco avviene in ambiente ridotto, per preservare le caratteristiche delle uve ed evitare ossidazioni.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
(3,5 / 5) Bio e Vegan il Prosecco Millesimato Doc annata 2016 di 47 Anno Domini, oggi sotto la nostra lente di ingrandimento. Accoppiata, quella bio e vegan, che in qualche contesto scatenerebbe una disputa tra intransigenti integralisti enoappassionati o vignaioli.
Scelta etica o commerciale oppure combinazione delle due? Poco importa, fatto sta che negli ultimi anni è cresciuto in Italia il numero di consumatori di prodotti biologici ed il numero di persone che scelgono l’alimentazione vegana. L’ offerta del vino si è adeguata.
La menzione vegan, certificata da Vegan Society in questo caso, garantisce il non utilizzo, lungo tutta la filiera produttiva, di materiali o coadiuvanti di origine animali (come le colle utilizzate per la filtrazione).
LA DEGUSTAZIONE
Il Prosecco Millesimato Doc Bio Vegan 2016 di 47Annodomini si presenta nel calice color giallo paglierino. Una spuma vaporosa e compatta si sviluppa nel calice con bollicine di media finezza discretamente persistenti.
Dal punto di vista olfattivo è un vino semplice con il frutto a far da padrone. Un naso intenso con i sentori tipici di mela e pera Williams corredati da ricordi floreali. Di alcolicità moderata il Prosecco Millesimato Doc Bio Vegan di 47 Anno Domini ha una buona freschezza che si bilancia al residuo zuccherino regalando un aperitivo gradevole, equilibrato coerente per la tipologia di prodotto.
Se siete vegani il suo posizionamento nella Gdo tradizionale è assolutamente vantaggioso (circa tre euro in meno) rispetto a quello praticato da note catene specializzate, piattaforme online o siti affini a prodotti biologici e vegani.
LA VINIFICAZIONE Il Prosecco Millesimato Doc Bio Vegan di 47 Anno Domini è imbottigliato dall’azienda Vinicola Tombacco di Trebaseleghe in Provincia di Padova, di cui fa parte anche la Tenuta 47 Anno Domini, nata nel 1919 con all’attivo già tre generazioni.
E’ prodotto con uve 100% Glera bio da vigneti della provincia di Treviso. Le uve, accuratamente selezionate, vengono sottoposte a spremitura soffice e quindi a fermentazione in vasche di acciaio per dieci giorni.
Seguono travasi per rendere limpido il vino che diverrà spumante con rifermentazione secondo il metodo Charmat, in autoclave. Valoritalia, società specializzata nella certificazione della qualità delle produzioni aziende vitivinicole si occupa di verificare il rispetto dei protocolli biologici.
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Contrada Piana, Comune di Ponte, provincia di Benevento. In piena campagna, nei pressi della ferrovia, sorge il birrificio artigianale Maltovivo. Una grande struttura, dove ad accoglierci è il direttore marketing, Antonio Orlacchio: una persona estrosa ed istrionica. Quasi un poeta alla Oscar Wilde.
La visita al birrificio si svolge in modo del tutto originale, con la degustazione delle birre, ancor prima di visitare l’edificio. Con il boccale di birra in mano si iniziano a scoprire tutti i processi produttivi. Nel percorrere le varie sale, Orlacchio non si interrompe un attimo nel raccontare del progetto imprenditoriale e di come nascono le piccole creature Maltovivo.
L’amore per le birre artigianali ha portato giovani imprenditori beneventani a cimentarsi in questo ambizioso progetto. Le birre prodotte da Maltovivo sono ottenute da ingredienti selezionati, con metodi rispettosi dell’ambiente, della genuinità e della bontà del prodotto, secondo le migliori tradizioni tedesche. Lazio e Campania i mercati di riferimento per il birrificio artigianale Maltovivo.
LA DEGUSTAZIONE
A colpire è Noscia ti seduce per il suo cappello di schiuma bianchissimo e compatto. La birra è di colore ambra scuro. All’olfatto libera profumi di fiori bianchi e gialli, erba secca, piccole bacche rosse poco mature.
Al gusto si è colpiti dalla morbida avvolgenza della schiuma, seguita da una nota amaricante data dal luppolo, note tostate e di cioccolato. Il finale chiude su note vagamente dolci, che ricordano il miele di castagne.
La birra Noscia di Maltovivo va servita a una temperatura di 8-10 gradi. Accompagna carni grigliate, formaggi a pasta molle o semi stagionati.
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Salvatore Cheraglia di Think Quality Grandi Vigne Iper la grande I vino
Il “Giro d’Italia in 80 vini” sbarca a Savignano sul Rubicone. L’appuntamento “vacanziero” con i vini della linea “Grandi Vigne” è per venerdì 11 e sabato 12 agosto nel punto vendita Iper della provincia di Forlì, all’interno del centro commerciale Romagna Shopping Valley.
Si tratta della seconda tappa del tour, iniziato il 13 e 14 maggio al centro commerciale Fiordaliso di Rozzano, nell’hinterland milanese. Poi toccherà all’Iper Seriate (BG) il 9-10 settembre, all’Iper Portello di Milano il 6-7-8 ottobre e all’Iper di Arese (MI), il 21-22 ottobre.
DEGUSTAZIONE E SCONTI
Superato il giro di boa dei 10 anni, l’evento di degustazione è diventa un tour che nell’arco di 6 mesi invita clienti e appassionati del vino alla scoperta della private label Grandi Vigne. Non solo informazioni e consigli di enologi e produttori aderenti al progetto, ma anche un kit di degustazione e sconti per i possessori di Carta Vantaggi.
Grandi Vigne, marchio creato da Iper La grande i, riunisce “i vini d’eccellenza di piccoli produttori italiani”. Il “Giro d’Italia in 80 vini” è una vera e propria immersione nell’affascinante mondo del vino, in un’ambientazione accurata e con postazioni accoglienti, prevalentemente all’aperto.
Un tour enologico durante il quale il pubblico potrà incontrare i produttori aderenti al marchio Grandi Vigne e farsi consigliare dai sommelier presenti ai banchi di degustazione.
Si potrà assaggiare tutti i vini acquistando un kit di degustazione (3 euro) che comprende, oltre alle consumazioni, un bicchiere di vetro, una sacca porta-bicchiere da collo, materiale informativo e un taccuino di degustazione con matita. I titolari di Carta Vantaggi potranno inoltre usufruire di uno sconto del 20 o 30% su tutti i vini Grandi Vigne.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Questione d’accenti. Te ne accorgi provando a pronunciarlo alla francese: Fabiò Marassì. Suonerebbe così, forse un po’ d’antan, ma più che mai intonato, il nome di Fabio Marazzi tra le colline dello Champagne.
Non foss’altro che Cantina Scuropasso si adagi sulle colline dell’Oltrepò pavese. Frazione Scorzoletta di Pietra de’ Giorgi. Trentacinque minuti a Sud di Pavia. Un’ora abbondante da Milano.
Non esattamente nei pressi di Châlons-en-Champagne, Reims, Troyes o Charleville-Mézières. Eppure, nella casa-cantina di questo appassionato vignaiolo lombardo, sembra sin da subito che la geografia ti stia prendendo per il culo. Rouler dans la farine, se preferite un’espressione d’Oltralpe.
La “r” moscia. L’eleganza dei modi che fa dimenticare – subito – che a parlare è un contadino con la camicia blu a quadrettoni. Un’attaccamento viscerale alla terra e alle vigne. La cocciutaggine nel difendere storia e valori di un territorio sfracellato dagli scandali, maltrattato dai burattini (e dei burattinai) della politica e dei Consorzi. L’agire, sempre, nel nome di un vino che deve parlare, prima di tutto, di natura e di passione. Sin dal colore. Fabio Marazzi è il francese d’Oltrepò. Monsieur Scuropasso.
LA VISITA Un vignaiolo strappato agli studi (e alle cravatte) di Economia e commercio. Scuropasso, fondata nel 1962 dal padre Federico e dal prozio Primo, svolta con Fabio nel 1988. Da vero e proprio “serbatoio” per le basi spumanti da Pinot Nero destinate ai grandi nomi della Franciacorta e del Piemonte (Guido Berlucchi, Carlo Gancia, Cinzano e Fontanafredda), la cantina inizia a produrre una propria etichetta. E’ il 1991. Il Metodo Classico Brut Pinot Nero Scuropasso segna l’avvio di una nuova era.
“Star vicino a enologi del calibro di Franco Ziliani, Lorenzo Tablino e Livio Testa, tutti formatisi in Francia, imparando sul campo dai vigneron dello Champagne, ha fatto in modo che la mia passione si tramutasse in un vero e proprio amore per il Pinot Nero, per le basi spumante, per il Metodo Classico”, spiega Marazzi.
Nel 1998 prende vita “Roccapietra”, la linea di spumanti Metodo Classico di Cantina Scuropasso. Un modo per unire i nomi delle due località simbolo per la produzione di Pinot Nero nella Valle Scuropasso: Rocca e Pietra de’ Giorgi.
Oggi l’azienda può contare su quindici ettari di proprietà. Centomila, circa, le bottiglie prodotte all’anno, anche grazie al contributo di alcuni storici conferitori, tenuti lontano dalle cantine sociali. Parte da leone spetta al Bonarda: 30 mila bottiglie del “vino da tavola” che consente a Cantina Scuropasso di reinvestire utili nella produzione della vera eccellenza: le 15 mila bottiglie di Metodo Classico da uve Pinot Nero.
Sempre più spazio, nell’assortimento di casa Marazzi, anche per il Buttafuoco, il vino rosso da lungo affinamento dell’Oltrepò Pavese. La recente acquisizione di “Pian Long”, vigna di un ettaro confinante per tre lati con i terreni dell’Azienda Agricola Francesco Quaquarini, fa entrare di diritto Scuropasso nell’olimpo del Buttafuoco Storico.
LA DEGUSTAZIONE Roccapietra Brut 2010 (sboccatura ottobre 2015). Cinquantadue mesi sui lieviti. Giallo paglierino brillante, perlage finissimo Balsamico e assieme fruttato, con ricordi d’agrumi ben definiti. Quello che, all’estero, definirebbero senza giri di parole “vino gastronomico”. Lunghissimo nel retro olfattivo. Un 100% Pinot Nero oltrepadano in pieno stile Montagne di Reims.
Pas Dosè 2009 magnum (sboccatura novembre 2016). Settantotto mesi sui lieviti. Un Pas Dosè nudo e crudo, ottenuto colmando con lo stesso vino. Naso di limone, lime, arancia, su sfondo di miele. Uno splendido spunto erbaceo montano, che ricorda l’arnica, copre i tipici sentori Champenoise di crosta di pane e lieviti. Sempre al naso, in continua evoluzione su un perlage da ammirare per finezza, spruzzi di vaniglia Bourbon.
Un Pinot Nero che sfida il tempo e la logica: auguratevi di non trovarlo mai in batteria alla cieca, col rischio di ringiovanirlo almeno di 3 anni, scambiandolo addirittura per un rosso. Lunghissimo il finale, tutto giocato tra balsamico e agrumi. Un capolavoro da godersi, a tavola, con un bel Parmigiano 39 mesi (minimo). Chapeau, Marassì.
Cruasè 2011 (sboccatura marzo 2017). Sessanta mesi sui lieviti. Le uve Pinot Nero a contatto con le bucce 10-12 ore regalano un “rosato troppo rosato” per i disciplinari. “Ma a me piace così. E continuerò a farlo così, perché è una scelta che si basa sull’essenza del frutto”, assicura il produttore durante la degustazione.
Parole che raccontano il calice meglio di qualsiasi altra prosopopea. E disquisizioni inutili di fronte a un grande rosato che l’Oltrepò del vino rischia di perdere, formalizzandosi sull’aspetto più che sull’anima dell’ennesimo signor Pinot Nero di casa Scuropasso.
Buttafuoco Docg 2009. Meticolosa scelta delle uve per assicurare uniformità nel raccolto e nella vinificazione delle varietà Croatina, Barbera, Uva Rara e Ughetta di Canneto nei vigneti della Garivalda. Quindici giorni in vasche di cemento, poi passaggio in acciaio.
Un anno in botte grande, poi botte piccola. Altri 365 giorni di ulteriore affinamento in bottiglia, prima della commercializzazione. Un Buttafuoco dall’acidità spiccata, non retta da un tannino efficace, forse per via di un legno usato in maniera troppo invasiva. Ma se queste sono le prove per la prima vendemmia a Pian Long, la strada segnata è certamente quella giusta, anche per il rosso principe di Cantina Scuropasso.
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