Il Grüner Veltliner è la varietà di vitigno più coltivato in Austria, ma al di fuori del territorio austriaco è poco noto e diffuso.
In Italia è allevato soprattutto in Valle Isarco (BZ). All’interno dell’omonima Doc si è guadagnato la menzione di vitigno in etichetta. Assaggiamo oggi proprio il Grüner Veltliner prodotto dall’Abbazia di Novacella, linea “Praepositus”, annata 2015.
LA DEGUSTAZIONE Colore paglierino carico, riflessi dorati. Fresco ed al contempo complesso al naso. Da subito si sente una piacevole nota agrumata di pomplemo che invoglia ad una beva immediata e spensierata.
Ma prontamente ecco arrivare bei sentori di frutta matura, come mela golden e melone che arricchiscono lo spettro olfattivo.
Seguono sentori erbaceo-floreali, di erbe aromatiche o “di campo”, ed una speziatura di pepe bianco. Sul finale avvertiamo una leggera nota fumè che completa un quadro intrigante e ci fa sospettare una piacevole longevità di questo vino.
In bocca è caldo, forte dei suoi 14 gradi dichiarati in etichetta, ma anche ben scorrevole grazie alla fresca acidità. La sapidità non manca in un sorso di grande mineralità. Un vino ricco, pulito e dalla buona persistenza.
Ottimo bevuto oggi, a tre anni dalla vendemmia, siamo curiosi di riassaggiarlo fra qualche tempo, sicuri che il tempo gli donerà ulteriore profondità.
L’ABBAZIA DI NOVACELLA Fondata nel 1140 dal Beato Hartmann, monaco Agostiniano eletto Vescovo di Bressanone, a pochi chilometri dalla cittadina, l’Abbazia Agostiniana di Novacella (Augustiner Chorherrenstift Neustift) produce vini sin dal 1142.
I possedimenti introno all’abbazia, con la loro altitudine compresa fra i 600 ed i 900 metri, il clima fresco ed i terreni ricchi di minerali, costituiscono un ottimo territorio per le varietà a bacca bianca (Sylvaner, Müller Thurgau, Kerner, Gewürztraminer, Veltliner), mentre le varietà a bacca rossa (Lagrain, Schiava, Pinot Nero, Moscato Rosa) vengono coltivate più a sud, nell’area fra Bolzano ed Appiano.
Passata attraverso vicissitudini alterne, dal periodo di massimo splendore nel XVI secolo fino ai saccheggi durante le rivolte Alto Atesine, alla devastazione delle tre guerre di coalizzazione contro la Francia (1792-1805), finanche alla secolarizzazione nel 1807, l’Abbazia di Novacella fu rifondata nel 1812.
Tornata ai sui antichi splendori è oggi non solo un punto di riferimento nell’enologia Atesina, ma col suo complesso badiale anche uno dei più bei monumenti della regione.
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VENEZIA – I sommelier di AIS Veneto portano a Venezia la tradizione vetraria dell’azienda Riedel con l’evento RIEDEL: il bicchiere, uno strumento di precisione.
In programma per mercoledì 17 gennaio 2018 presso il Novotel Venezia Mestre Castellana, la degustazione ospiterà i vini delle aziende vitivinicole californiane Robert Mondavi e Gallo, e della cantina australiana Penfolds.
La scelta del calice sarà il fulcro del tasting condotto da Georg Riedel, proprietario dell’omonima azienda austriaca che da dieci generazioni è un’autorità nel mondo dell’arte vetraria per la ristorazione e la sommelierie.
Proprio Riedel è colui che, più di trent’anni fa, ha ideato la serie Vinum, prima linea di bicchieri realizzati a macchina pensati per le diverse tipologie di vino. I partecipanti alla degustazione avranno a disposizione tre calici della linea Riedel Veritas realizzati per Cabernet/Merlot, Pinot Nero New World e Syrah Old World.
I tre vini proposti durante il tasting saranno: Napa Valley Cabernet Sauvignon 2013 dell’azienda Robert Mondavi, Bin 128 Coonawarra Shiraz 2014 del produttore Penfolds, e Signature Series Santa Lucia Highlands Pinot Noir 2013 della cantina Gallo. In conclusione, una bollicina “inaspettata”.
“Scopo dell’evento – spiega Gianpaolo Breda, Delegato AIS Veneto della Provincia di Venezia – è quello di analizzare quanto il bicchiere può fare la differenza durante una degustazione. Siamo felici di poter ospitare un’eccellenza in questo campo come Georg Riedel per analizzare uno strumento a cui non sempre il consumatore dà la giusta importanza”.
La degustazione avrà inizio alle 19.45 ed è rivolta prevalentemente ai degustatori ufficiali e al gruppo servizi AIS, dato il carattere formativo dell’evento, ma anche ai soci e ai simpatizzanti. Info e prenotazioni sul sito di AIS Veneto: www.aisveneto.it.
INFO IN BREVE | RIEDEL – Il bicchiere, uno strumento di precisione
Data: mercoledì 17 gennaio 2018
Luogo: Novotel Venezia Mestre Castellana, Mestre (VE), Via Ceccherini, 21
Info: www.aisveneto.it
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Pensi alla Puglia del vino e si materializzano Primitivo e Negroamaro. In realtà, nel Tacco d’Italia, c’è un altro vitigno che merita grande attenzione: il Nero di Troia. Ne abbiamo assaggiati tre, in vendita in enoteca.
Lo spumante metodo classico Brut Nature Rosè 2013 di Alberto Longo, il Puglia Igt 2014 “Mille Ceppi” di Michele Biancardi e il Castel del Monte Doc 2014 “Parco Marano” di Giancarlo Ceci.
Autoctono pugliese, il Nero di Troia deve il suo nome alla cospicua presenza di polifenoli, composti che determinano il colore del vino. Talmente presenti da colorare di “nero” il vino ottenuto dall’uva di Troia. Tante, però, le differenze nei tre assaggi. Ecco i dettagli.
Spumante metodo classico Brut Nature Rosè 2013, Alberto Longo Il colore invitante è il primo elemento che colpisce chi si accinge alla degustazione di questo spumante. Un rosa intenso, luminoso, spezzato come un fulmine da un perlage fine e persistente. Un ricordo tutt’altro che malinconico della vividezza cromatica dell’Uva di Troia.
Al naso, immediata la croccantezza del ribes, del melograno e della ciliegia. Sentori che ritroviamo anche in un palato fin da subito gustoso, tattile. Sembra di masticarla quella frutta, che s’impreziosisce nel finale di percezioni minerali, iodiche.
Il risultato è il perfetto equilibrio in uno spumante dal sorso mai troppo morbido o troppo acido. Il Rosè del compromesso. Quello che in pochi, in Puglia, sanno fare così bene. Un Bru Nature dritto, conciso, autentico. Bravo Longo, vero e proprio vanto enologico della città di Lucera (Foggia).
Nero di Troia Puglia Igt 2014 “Mille Ceppi”, Michele Biancardi Ci spostiamo più a sud, a Cerignola. Restiamo dunque in Daunia. Il produttore consiglia un consumo precoce di questa etichetta: “Berla subito”. Noi arriviamo tardi (vendemmia 2014). E sarà forse per questo che “Mille Ceppi” non ci entusiasma appieno.
Intendiamoci: nessun difetto, il vino ha retto benissimo la guerra col tempo, è perfetto, privo di qualsivoglia difetto. Michele Biancardi lo produce da una selezione accurata dei migliori ceppi del suo Nero di Troia, affinati 8 mesi in anfore di terracotta.
L’effetto ricercato non è quello delle ossidazioni alla “georgiana”, anzi. Biancardi punta tutto sulla freschezza del “frutto”, tipica del vitigno.
L’anfora serve dunque a non snaturare il vino e a favorire una perfetta elevazione del varietale. Di fatto, a quattro anni dalla vendemmia, è “solo” il frutto che resta.
Oltre a una percezione zuccherina degna dei vini “commerciali”. Un prodotto che, certo, accontenta appieno chi cerca palati “morbidi” e facilità di beva. Ma bisogna poterselo permettere (costo attorno ai 20 euro).
Castel del Monte Doc 2014 “Parco Marano”, Giancarlo Ceci Cambiamo provincia, rotta verso Sud. Ci fermiamo ad Andria, più esattamente in Contrada Sant’Agostino, per il racconto del Nero di Troia di Giancarlo Ceci.
Piccola premessa: questa cantina, all’ottava generazione, ci ha già convinto ampiamente al Merano Wine Festival 2017 (pur non risultando tra i migliori assaggi assoluti).
L’azienda di Giancarlo Ceci è Agrinatura e opera in regime biologico dal 1988. Nel 2011 il grande passo verso il biodinamico. Braccio destro di Ceci è l’affermato enologo Lorenzo Landi.
“Parco Marano”, a differenza dei precedenti, compie un passaggio in barrique di rovere francese (14 mesi), prima di un ulteriore affinamento in acciaio e in bottiglia. Il risultato è un Nero di Troia complesso ma sottile.
Il legno, utilizzato in maniera magistrale, non “uccide” il varietale. Anzi. Al naso si esaltano i sentori “terrosi” che costituiscono il fil rouge dell’intera produzione di Giancarlo Ceci. Un altro “vino vero” questo “Parco Marano”, frutto di una Puglia che ha tantissimo da dare all’enologia italiana. Anche in genuina purezza.
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Il vino oggi sotto la nostra lente di ingrandimento è il frutto dell’amore nato tra Claudia e Pablo in quel di Montalcino, sul finire degli anni 80.
Un rapporto nato tra colleghi, dipendenti di un’azienda del posto, che si è trasformato in un percorso di vita comune. Suggellato da tre figlie, dall’acquisto del podere Pascena e dalla costruzione della loro cantina, nel 2002.
Da allora hanno cominciato la loro produzione di vini di gran pregio, dalla personalità sorprendente, ma fortemente legata alla tradizione.
LA DEGUSTAZIONE
10.149 bottiglie prodotte per questo ottimo Sangiovese in purezza, che al calice esprime un bellissimo rosso rubino con un leggero riflesso violaceo.
Al naso è intenso e complesso con i caratteristici sentori di viola ed amarena cui segue un leggero richiamo morbido di camomilla e, sul finale, un richiamo più energico di chiodi di garofano.
In bocca esprime la sua personalità: in un perfetto matrimonio tra morbidezze e durezze, la sapidità leggera si accompagna ad un tannino moderato e vellutato. La sensazione pseudocalorica è appagante assieme alla rotondità del vino.
La persistenza al palato richiama dolci ricordi di sottobosco regalando lunghi secondi di piacere prima di riappoggiare le labbra al calice per il sorso successivo. Se si accompagna il tutto con un bel tagliere di formaggi o un maialino arrosto, il quadro si completa.
LA VINIFICAZIONE
Prodotto con uve Sangiovese provenienti dal vigneto Pascena sito ad un altitudine di 250 metri sul livello del mare su terreno collinare ricco di argilla a bassa fertilità. La vinificazione avviene in acciaio con fermentazione delle bucce per 9 giorni a temperatura controllata inferiore ai 28°, per poi procedere all’invecchiamento di 12 mesi in botte, acciaio inox e barrique usate.
L’Azienda Agricola Claudia Ferrero si trova nel Podere Pascena, tra Sant’Angelo in Colle e Sant’Angelo in Scalo. Dispone di 5,5 ha di vigneto, di cui 3 a Montalcino metà iscritti a Brunello e metà a Rosso di Montalcino e 2,5 a Montenero d’Orcia, a pochi km da Montalcino ma già nella Maremma Toscana nei quali si coltivano Alicante, Montepulciano, Merlot, Cabernet e Sangiovese.
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(4,5 / 5) Si avvicina al massimo dei voti – pardon, dei “cestelli della spesa” – il Sauternes 2011 Grande Réserve di Chateau Haut Monteils, passito francese in vendita nei supermercati Carrefour Italia. Già perché “passito”, in Francia, è sinonimo di Sauternes.
Un vino unico, ottenuto grazie a particolari condizioni microclimatiche e all’azione di una muffa “buona”, la Botrytis Cinerea. Dei dettagli parleremo tra poco, quando approfondiremo la tecnica di vinificazione di questa etichetta. Facciamo prima parlare il calice.
LA DEGUSTAZIONE Un bell’oro sgargiante, limpido, luminoso, colora il vetro che si riempie del Sauternes 2011 Grande Réserve di Chateau Haut Monteils. Al naso è più complesso che intenso. La nota principale è quella della frutta a polpa gialla matura, sotto sciroppo: pesca, albicocca. La vena dolce, mielosa, è quella attesa.
Buona la finezza dei sentori che, man mano, emergono dal calice. Primi fra tutti quelli che portano la mente alla terra bagnata, al muschio e al sottobosco, appena dopo la pioggia. Ma anche alla maggiorana.
Percezioni che “rinfrescano” il naso, in piacevole contrasto con quelle “calde” del miele millefiori e dei frutti maturi. Un corredo, quest’ultimo, reso ancora più ricco dai richiami ai datteri freschi e al burro d’arachidi e di nocciole.
E anche se non manca una certa pungenza, riconducibile a spezie come lo zafferano, sono i ricordi di idrocarburo a rendere ancora più tipico questo Sauternes Grande Reserve 2011. Della componente Sauvignon del blend percepiamo chiaramente il caratteristico “bosso” e il floreale di ginestra.
Al palato, il nettare entra con meno incisività rispetto al previsto. Il calore è contenuto e l’intensità dei sentori (oltre alla loro natura, a metà tra la frutta matura e il balsamico) risulta corrispondente al naso: non certo esplosiva. Nel retro olfattivo, ricordi di camomilla in infusione e richiami erbacei freschi, di angelica.
Un Sauternes garbato, in definitiva, questo Grande Réserve di Chateau Haut Monteils, che di corrispondente ha anche il prezzo, commisurato al suo valore. Pochi euro per un prodotto “d’ingresso” in un mondo infinitamente complesso, soprattutto per i portafogli dei più.
Consigliamo di abbinare questo Sauternes a dei bocconcini di pane e gorgonzola, a formaggi erbonati oppure a dolci come le crostate di frutta, anche se a fine pasto non stanca da solo. Perfetto con foie gras, pollame, carni bianche, pesce in salsa e Roquefort.
LA VINIFICAZIONE
Come tutti i Sauternes, anche il Grande Réserve 2011 è ottenuto da uve Sémillon, Sauvignon e Muscadelle. La tecnica di vinificazione prevede un parziale affinamento delle uve in barrique. Uve che vengono pressate mediante l’utilizzo di una pressa pneumatica. Il succo ottenuto viene raffreddato, al fine di conservare gli aromi e facilitare la sedimentazione, senza l’apporto di solfiti.
Una parte del raccolto viene vinificata in tini di acciaio a temperatura controllata. Un’altra parte affina minimo 24 mesi in vasche di cemento. La terza ed ultima, proveniente dalle vigne migliori, è interamente vinificata in botte.
Ancora più importante sono le condizioni di arrivo delle uve in cantina. La raccolta, fatta esclusivamente a mano, inizia di solito a metà settembre e può concludersi a novembre.
A seconda della stagione sono necessari da 3 a 6 tentativi per selezionare solo le uve migliori, colpite dalla Botrytis Cinerea, la cosiddetta “muffa nobile”.
Giornate soleggiate e notti umide favoriscono il proliferare di questo fungo, che attaccando la buccia contribuisce ad “asciugare” gli acini e a concentrare gli zuccheri. La Botrytis, tuttavia, non si sviluppa in maniera omogenea su tutto il grappolo.
Per questo sono necessari diversi passaggi di raccolta. Alla fine della vendemmia, ogni vite produce da 1 a un massimo di 3 bicchieri di vino. Solo cinque Comuni della zona Sud di Bordeaux possono fregiarsi dell’Aoc: Sauternes, per l’appunto, Fargues-de-Langon, Bommes, Preignac (dove si trova Chateau Haut Monteils) e Barsac.
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Senza mezzi termini, uno dei migliori vini bianchi italiani qualità prezzo (attorno ai 10 euro) presenti sul mercato Horeca. E’ il Biferno Bianco Doc 2015 Kantharos di Angelo D’Uva. Una delle innumerevoli prove che il Molise “esiste”. E che il Molise “del vino”, esiste eccome.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, questo blend di Trebbiano e Malvasia si presenta, a due anni dall’imbottigliamento, di un giallo dorato, simile a quello della camomilla. Al naso è particolarmente intenso e complesso. Dapprima emergono note esotiche e di frutta matura, albicocca sciroppata, ananas, melone giallo.
Sorprendono i richiami a frutta a polpa rossa come l’amarena e il lampone stramaturo, di quello che si spappola appena lo prendi in mano. Il sottofondo, olfattivo e musicale, è quello di un sottile miele millefiori, corroborato da una preziosa vena campagnola, conferita dalla foglia di pomodoro rinsecchita.
L’ingresso in bocca è corrispondente al palato, più morbida che dura. Poi l’acidità accende il sorso, d’un tratto. Caldo per l’alcolicità, il Biferno Bianco Kantharos Angelo D’Uva trova un perfetto equilibrio al palato, grazie al calibro di un’acidità che sembra dosata col misurino.
Retro olfattivo sullo stesso fil rouge, citrico, tutto giocato su note di lime e pompelmo. Una chiusura austera rispetto alla “grassezza” e all’opulenza del primo bacio col nettare. Un vino, questo Kantharos di D’Uva, che alla cieca potrebbe essere scambiato per un Gewurztraminer di ottima fattura. Filo conduttore, l’aromaticità che accomuna Traminer e Malvasia.
In cucina, questo ottimo vino del Molise, perfettamente maturato in bottiglia – anche se non si tratta, formalmente, di un pensato per lunghi affinamenti – si presta bene all’accompagnamento di piatti della cucina asiatica, speziati, o di carni leggere.
LA VINIFICAZIONE
Sono Trebbiano (90%) e Malvasia (10%) a comporre il delizioso blend molisano Kantharos. Milleseicento ceppi per ettaro la densità d’impianto delle viti, che affondano le radici in un suolo argilloso e calcareo. La vinificazione prevede diraspatura e pressatura soffice delle uve.
Segue la chiarifica con flottazione. La fermentazione avviene invece alla temperatura controllata di 15 gradi. Il Biferno Doc Bianco Kantharos affina poi in acciaio per 4 mesi e riposa in bottiglia diverse decine di giorni prima di essere commercializzato.
Angelo D’Uva è uno di quelli che si fa chiamare ancora “vignaiuolo”. Con quel “iu” che sottolinea, forse, ancora meglio il concetto. La sua terra è Larino, in Molise: regione che ha tanto da dare all’enologia italiana. La storia della cantina “è una storia di famiglia”.
Fu il nonno Angelo a piantare i primi vigneti, negli anni Quaranta. Il figlio Sebastiano, negli anni 60-70 contribuisce alla crescita della cantina. Ad Angelo, l’attuale titolare, si deve la definitiva consacrazione. Un percorso iniziato nel 2001, anno in cui dà avvio alla trasformazione diretta delle proprie uve e alla produzione di vini Doc e Igt.
“Coniugare l’esperienza contadina e le moderne conoscenze e tecnologie enologiche” è il credo di Angelo D’Uva, condiviso dal suo giovane enologo Donato Di Tommaso. Per entrambi “un buon vino inizia da un frutto sano e la vinificazione deve essere semplice ed essenziale. Perché il vino sia una sincera e schietta espressione della sua terra”.
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Dicembre è il mese principe per le “Winter Beer”, le birre invernali o “Birre di Natale”. Prodotti stagionali che hanno lunga tradizione nel mondo brassicolo nord europeo ma che negli ultimi anni hanno trovano interessanti riscontri anche da parte di birrifici italiani. È il caso della “Invern Ale”, simpatico gioco di parole che identifica la birra di Natale di Birra del Borgo.
LA DEGUSTAZIONE 8,5% per questa birra dal colore rubino scuro, luminoso nei riflessi, sormontata da un piacevole cappello di schiuma bianca, fine e compatta.
Al naso evidenzia subito una speziatura leggera che rapidamente lascia il posto a note di scorza d’arancia ed uvetta. Seguono sentori di frutta matura e miele che addolciscono la nota di frutta secca.
In bocca è calda e piacevolmente avvolgente. L’iniziale morbidezza del malto, molto presente, lascia spazio a sentori di frutti rossi freschi (ribes) ed uvetta. Il sorso si chiude su note leggermente amaricanti di tostatura e fava di cacao che sostengono la non lunghissima ma piacevole persistenza.
Una birra molto versatile che possiamo semplicemente degustare in compagnia di amici, che possiamo abbinare a piatti di carne rossa non troppo saporiti e speziati o, perché no, che possiamo provare ad accostare al tipico dolce delle feste: il Panettone. La leggera dolcezza maltato-fruttata della birra sosterrà l’abbinamento.
BIRRA DEL BORGO Birra del Borgo nasce nel 2005 per mano del giovane Mastro Birraio Leonardo di Vincenzo. A Leonardo l’idea frullava già in testa dal 1999 ma è solo dopo studi, esperimenti ed esperienze che ha potuto dare inizio all’attività fondando il birrificio a Borgorose (RI), comune che da accesso alla Riserva Naturale dei Monti della Duchessa. E proprio “Duchessa” si chiama la birra che ha reso famoso il birrificio, fatta col farro coltivato sui Monti della Duchessa e con lieviti autoctoni.
Grande la crescita negli anni, senza mai perdere la voglia di ricercare e sperimentare che ha portato Birra del Borgo a creare nel 2009 “L’Equilibrista”, birra dallo stile tutto italiano. Stile riconosciuto nel 2015 dal BJCP (Beer Judge Certification Program) come IGA: Italian Grape Ale.
La crescita, per qualità e volume, non è però passata inosservata e così nella primavera del 2016 Birra del Borgo fu il primo marchio artigianale italiano ad essere ceduto ad una multinazionale.
Al momento dell’acquisizione AB Inbev rassicurò il mercato sostenendo l’autonomia produttiva di Birra del Borgo. Ciò che possiamo dire oggi, calice alla mano, è che Invern Ale è una birra ben fatta, pulita e che presenta tutte le caratteristiche che il consumatore si aspetta da un prodotto artigianale.
Forse un poco meno intensa e persistente di alcune sue “competitor”, ma in questo più beverina. Caratteristica che da sempre contraddistingue molte delle produzioni di Birra del Borgo.
Prezzo: 5.90 euro (75cl)
Acquistata presso: Tigros
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MILANO– Nel 2017 si può essere “Valpolicella” senza cadere nella trappola dei residui zuccherini e della piacioneria. Come? Contrapponendo al “Marmellata style” il “Chianti Style”. Chiedere per credere a Luciano Begnoni di Santa Sofia Wines.
Cantina che, dalla frazione Pedemonte di Valpolicella di San Pietro in Cariano (VR) esporta fuori dall’Italia l’86% della produzione totale, pari a 600 mila bottiglie.
Nord Europa, Usa e Canada sono mercati “maturi” per questa storica realtà veneta a conduzione famigliare. Sulla scia di brand come il “Chianti”, Begnoni & Company propongono a un portafoglio di 120 importatori – erano solo 4 fino a metà degli anni Novanta – dei vini di una Valpolicella raccontata col garbo e l’eleganza che distingue i vini toscani. Senza perdere d’occhio, anzi valorizzando, la tipicità della Valpolicella.
Nei vini di Santa Sofia, dunque, si trova innanzitutto il frutto. La spezia tipica della Corvina. Il colore, tutt’altro che impenetrabile e cupo, degli Amarone in giacca e cravatta. L’apoteosi, l’emblema, il simbolo fulgido di questa filosofia è l’Amarone “Gioè”, vendemmia 1997.
Un vino tanto aristocratico quando democratico. Ancora lì, ad esibirsi dopo 20 anni, come un ventenne, sul palco della degustazione organizzata nel pomeriggio al ristorante Non solo lesso di Milano. Un viaggio che sorprende dal primo all’ultimo assaggio, per la precisa scelta stilistica della cantina veronese, che trova perfetto riscontro in ogni calice.
Del resto, Luciano Begnoni e il giovane enologo Matteo Tommasi – classe 1991 entrato in organico in occasione dell’ultima vendemmia – raccontano bene il il fil rouge che accomuna i vini Santa Sofia. “Eleganza e bevibilità di prodotti pensati per poter essere stappati e consumati per intero, a tavola, da due persone. Senza lasciarne un goccio”. Confermiamo.
LA DEGUSTAZIONE Valpolicella Doc Classico 2016. Chiudete gli occhi e immaginate di non sapere cosa ci sia nel calice. La delicatezza delle note fruttate e la loro eleganza porterà dappertutto, tranne che ai confini della Valpolicella. Almeno di quella che siamo abituati a riscontrare, nel 90% dei casi.
Già, perché questo “Classico” veronese di Santa Sofia è un rosso non convenzionale. E non v’è dubbio, ad occhi aperti. Ma si comporta come un grandissimo rosato. Di Puglia, per dirla tutta. Di quelli fini.
Di quelli che non s’abbandonano alle regole del mercato, che vogliono rosè di pronta beva, facili, piacioni. Ci ricorda, per dirla tutta, quel gran pezzo di bravura di Severino Garofano che è “Girofle”.
Il primo impatto con i vini di Valpolicella di Santa Sofia, di fatto, è una botta in testa dalla quale ti riprendi solo al termine, al Recioto. Vini che fanno perdere la memoria. Anzi, meglio: vini capaci di ricodificare le coordinate geografico-gustative di chi vi si accinge per la prima volta.
Il Valpolicella Doc Classico di Santa Sofia è una sorta di microchip essenziale, innestato sottopelle dal chirurgo Begnoni, per proseguire il resto del tasting. I sentori sono pennellate leggere di fiori freschi, di frutta a bacca rossa come ribes e melograno, di lamponi appena colti e capaci di tingere di rosa anche il tipico pepe della Corvina. Un capolavoro di ossimorica leggerezza e sostanza, considerato che si tratta del vino d’entrée.
Valpolicella Ripasso Doc Superiore 2015. Dopo tanta grazia, non tragga in inganno il naso più “grasso” del secondo vino proposto da Santa Sofia. Si passa a un Ripasso che di scolastico ha ben poco, se non il nome. In realtà, più che un “Ripasso”, il calice evidenzia quanto già scritto in precedenza: ovvero che si può essere Valpolicella con garbo.
Qui il corpo è quello di un vino che segue il Valpolicella “base”, ma che non precede l’Amarone, come accade nel 90% dei Ripassi in circolazione. Dunque ancora spazio per un’eccellente bevibilità, tutta giocata sulla freschezza e sulle note di spezia dell’uvaggio.
Il passaggio in legno di 9 mesi è chiaramente pensato per ammorbidire il verde dei tannini. E favorire così, ulteriormente, il prevalere della frutta. Ancor più al sorso che al naso.
Valpolicella Doc Classico Superiore 2015 “Montegradella”. Eccolo qui, il “Baby Amarone” di Santa Sofia. Un vino, questo sì, pensato per un buon “invecchiamento” in bottiglia. Del resto, Montegradella è il vino storico della casa vinicola di San Pietro in Cariano.
La maggiore concentrazione delle uve – allevate nell’omonimo vigneto con esposizione a Sud – è evidente alla vista e all’olfatto. Non a caso, la vinificazione prevede un appassimento sulla pianta di 40-45 giorni, seguita da un passaggio in legno di 8-12 mesi. Altri 6 mesi di affinamento in bottiglia, poi la commercializzazione.
Ne scaturisce un rosso di 14 gradi (abbondanti), ben integrati in un sorso che fa però intendere d’avere ancora molto da esprimere, nell’alleanza con il tempo.
Amarone della Valpolicella Docg Classico 2012. Frutta, eleganza, coerenza. Il fil rouge di Santa Sofia non si spezza neppure a tirarlo forte, fin sulle vette della gamma. In passerella, quest’Amarone 2012 si fa notare per la pacatezza della propria complessità, in un perfetto mix tra muscoli e raffinatezza.
Alle note fruttate di ribes e prugna fanno eco freschi sentori erbacei di rabarbaro e mentuccia. Pennellate che sembrano messe lì apposta ad attutire lo spirito bollente e il calore che contraddistingue il vino rosso simbolo della Valpolicella.
L’affinamento di 36 mesi in botti di rovere di Slavonia, oltre alla perfetta maturazione e concentrazione delle uve, regala richiami di incenso, liquirizia, cioccolato dolce e (di nuovo) pepe nero. La beva non ne risente, anzi: un sorso tira l’altro, sempre in un quadro di perfetto equilibrio tra le note tendenti al dolce (mai stucchevoli) e i preziosi “sbuffi” di zenzero fresco.
Amarone della Valpolicella Doc Classico 1997 “Gioè”. Signori e signore, giù il cappello. “Gioè” è assieme la sorpresa e l’atteso compimento della degustazione odierna dei vini di Santa Sofia. Perché se l’Amarone lo sai fare, la 1997 te l’aspetti esattamente così.
Il colore tiene (eccome), ed è il minimo. Il naso, a più di due ore dall’apertura della bottiglia, si presenta ancora timido. Aiutiamo il nettare ad aprirsi e attendiamo. Eccolo lì. Sotto all’alcol si scorge una corazza animale, quasi grezza, che poi a sua volta si scansa. Lo fa lentamente, uscendo da un letargo ventennale.
E’ la volta delle percezioni più profonde, quelle che aspettavamo. Arriva al naso la macchia mediterranea, unita a una balsamicità quasi montana: resina, eucalipto, note leggere di miele d’acacia e liquirizia dolce. Frutti rossi di una marmellata “secca”, contraddistinta da uno zucchero dosato col contagocce.
Il palato scherza a fare il timido in ingresso, giusto per imitare il naso. Poi s’accende, con sorprendente corrispondenza, sorretto da acidità e alcol. Si lascia alle spalle le percezioni più grezze, per mostrare la potenza della frutta sotto spirito, in particolare i mirtilli. Seguono note dolci di fico secco, che accompagnano un sorso lungo.
Prima annata nel 1964 per “Gioè”. Da allora, ne sono state prodotte solo 17 annate. Diciasette. In cinquant’anni. Qualcosa vorrà pur dire. Ma possiamo ritenerci fortunati. L’ultima è la 2011. La 2013 è in preparazione. E, con buone probabilità, poi toccherà alla 2017. Ti aspettiamo, Gioè.
Recioto della Valpolicella Docg / Doc Classico 2011 / 2001. Se Gioè commuove, il Recioto di Santa Sofia è lì per asciugare le lacrime, con la carezzevole avvolgenza delle note mature di frutta rossa. Un vino rosso “passito” che non ha mai trovato – chissà perché? – la sua giusta collocazione nell’Olimpo dell’enologia mondiale. Merce rara, al pari dei Sagrantino di Montefalco e dei Moscato di Scanzo, per citare altri rossi “dolci” tanto rari quanto preziosi.
Per dirla tutta, la figura migliore la fa la 2001. Ed è tutto un dire. Ancora piuttosto “verde” il Recioto 2011, surclassato nel calice (addirittura in termini di pienezza) da un 2001 da sballo: piccola frutta rossa e nera vestita della consueta eleganza, balsamicità di resina e menta pestata che, unita al pepe, chiama il sorso successivo. C’è tutto: un vino che non stanca mai.
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(4,5 / 5) C’è uva e uva. E c’è uva di Troia e uva di Troia. Lo sa bene Alberto Longo, che con le sue Cantine di Terravecchia porta sugli scaffali di Penny Market un Rosso Puglia Igp da Uve di Troia dall’invidiabilissimo rapporto qualità prezzo. Senza pari nel calice, in confronto alla concorrenza.
Chiedere per credere al lavandino che si è bevuto, tutto d’un sorso, il Nero di Troia Daunia Igp “Capitolo” della Cantina Sociale di San Severo. Stesso uvaggio, stessa vendemmia (la 2013). Stesso prezzo. Stesso istante di apertura della bottiglia. Battaglia impari.
E non si tratta di tenuta della singola bottiglia. Ma di un preciso discorso di selezione. A partire dal tappo di sughero col quale le due bottiglie sono state tappate. Grossolana la qualità di quello della Cantina Sociale di San Severo.
Lungimirante il cork di Terravecchia, cantina concentrata (evidentemente) più sulle potenzialità d’invecchiamento del vitigno che su un canale distributivo da molti considerato “di serie B”, come la Gdo: dove tutto, o quasi, dev’essere bevuto “entro 6 mesi”. Tutt’altro. Tant’è, alla prova del calice.
LA DEGUSTAZIONE Il Rosso Puglia Igp Uva di Troia 2013 Citerna delle Agricole Alberto Longo – Cantine di Terravecchia si presenta di un rosso rubino intenso con riflessi violacei, poco trasparente. Un colore che evidenzia, sin da subito, la buona tenuta del nettare in bottiglia. Mentre lo si versa, ancor prima di avvicinare il calice al naso, nell’aria si dipana il profumo tipico dell’Uva di Troia.
Quello dei piccoli frutti rossi in tinta balsamica, impreziositi da note vegetali (peperone verde e macchia mediterranea, in particolare rosmarino) e di spezia piccante (pepe nero). Corrispondenti le percezioni in un palato che regala un’acidità piuttosto viva. La beva è fresca e il sorso è invogliato dalla pulizia delle note fruttate, unite a una vena sapida piacevolissima.
Siamo davvero di fronte una vendemmia 2013, da meno di 4 euro? Pare di sì. Tutto bellissimo, ancor più se accompagnato dal piatto adeguato in abbinamento. Il Rosso Puglia Igp Uva di Troia 2013 Citerna delle Agricole Alberto Longo Terravecchia è da provare, per esempio, con una buona pizza salsiccia al finocchietto e gorgonzola.
LA VINIFICAZIONE
L’Uva di Troia che dà vita a questo vino rosso cresce in un vigneto di proprietà delle Cantine di Terravecchia, nei pressi di Lucera. Siamo nel cuore della Daunia, in provincia di Foggia. Le radici delle viti affondano in un terreno mediamente calcareo a tessitura franco-sabbiosa.
L’allevamento è a spalliera (cordone speronato), con densità d’impianto di 5.600 piante per ettaro e una resa per ceppo di 2,5 chilogrammi, corrispondente a circa 130/140 quintali di uva per ettaro.
La vendemmia avviene a piena maturazione, nella seconda decade di ottobre, mediante selezione e raccolta meccanica. La fermentazione alcolica avviene in vasi vinari di acciaio inox a temperatura controllata, favorendo il prolungato contatto delle bucce con il mosto.
La fermentazione malolattica si svolge nel mese di novembre, subito dopo la fermentazione alcolica. L’affinamento del vino avviene dapprima in vasi vinari di acciaio inox, poi per almeno tre mesi in vasche di cemento ed in seguito in bottiglia per un periodo minimo di tre mesi.
Alberto Longo ha scelto di recuperare, nella sua Lucera, un’azienda agricola dell’Ottocento come sede della propria attività collaterale a quella professionale vera e propria. Un casale ristrutturato “con l’obiettivo di produrre vini di qualità e offrire un’accoglienza qualificata e professionale”. Una mission che trova nell’Horeca terreno fertile, senza tuttavia disdegnare la tanto bistrattata Gdo.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
BREGANZE – Un ricco programma attende gli appassionati di vino nel terzo week end di gennaio a Breganze (Vicenza). Da quasi un quarto di secolo infatti, la Doc Breganze celebra in queste date il suo vino più prestigioso con la Prima del Torcolato (giunta quest’anno alla XXIII° edizione).
La Prima di domenica 21 gennaio sarà preceduta sabato 20 alle ore 16.30 dalla Master Class Breganze chiama Bordeaux, un curioso confronto tra quattro Chateaux francesi e quattro vini della DOC Breganze ottenuti da vitigni internazionali.
La degustazione, aperta al pubblico, sarà condotta da Luca Gardini, Miglior Sommelier del Mondo del 2010. Curatore della rubrica vino per GazzaGolosa su Gazzetta dello Sport e della guida vini del Corriere della Sera con Luciano Ferraro, è il promotore insieme ad Andrea Grignaffini del Biwa, il Best Italian Wine Awards.
Domenica 21 sarà invece interamente dedicata alla celebrazione del Torcolato. Al mattino e nel pomeriggio nelle diverse aziende del Consorzio i visitatori potranno partecipare al Fruttaio Tour – Scopri come e dove nasce il Torcolato dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 17.00 alle 19.00.
Dalle ore 14.30, nella piazza centrale del paese, si svolgerà la Cerimonia di investitura dei nuovi confratelli della Magnifica Fraglia del Torcolato e la coreografica torchiatura dei primi grappoli appassiti di uva Vespaiola conferiti da tutte le cantine del Consorzio. I più fortunati potranno assaggiare il mosto appena spremuto.
Per tutti sarà invece possibile degustare il torcolato nelle casette del Consorzio Tutela e acquistare i prodotti tipici della Strada del Torcolato. Anche quest’anno, verrà riproposta l’iniziativa Brindisi in campanile: a piccoli gruppi, si potrà salire sulla cima della Torre Diedo, uno dei campanili più alti del Veneto, e assaggiare un calice di Torcolato godendosi la vista sulle colline circostanti. Info e prenotazioni: www.stradadeltorcolato.it – mail: stradadeltorcolato@gmail.com – Tel/Fax 0445 300595
Prima del Torcolato in breve:
Quando: domenica 21 gennaio 2018
Dove: Piazza Mazzini – Breganze (VI)
Orario Fruttaio Tour: dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 17.00 alle 19.00
Orario Cerimonia: ore 14.30
Parcheggio: gratuito
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BARD – Il concorso enologico “Mondial des Vins Extremes” è giunto quest’anno alla 25esima edizione. Per la seconda volta la sede della premiazione, avvenuta domenica 26 novembre, è stata il Forte di Bard, in Valle d’Aosta.
La manifestazione è stata caratterizzata da diverse forme di eroismo: l’eroismo dei produttori che, lavorando in condizioni estreme (altezze proibitive, grandi pendenze, terrazze o gradoni, piccole isole con difficoltà logistiche), dimostrano più di altri quanto contino passione e sacrificio nel duro mestiere del viticoltore.
Spiace notare che come ulteriore prova di eroismo i viticoltori presenti siano stati costretti a sopportare due giorni di freddo intenso, sotto a una struttura temporanea allestita al centro di uno spazio aperto, in balia del vento gelido. La temperatura da vin brulè non facilitava purtroppo gli assaggi di vini che normalmente richiedono almeno 10 gradi. In compenso, bianchi e spumanti non avevano nessun bisogno di glacette.
Davanti al banco di assaggio di un vino Palestinese, i cui vigneti sorgono a 5 Km da Betlemme, abbiamo avuto l’occasione di porre la questione all’assessore all’agricoltura e risorse naturali della regione Valle d’Aosta Alessandro Nogara.
“La viticoltura eroica – ha evidenziato – storicamente non ha mai avuto momenti di valorizzazione così importanti come in questi ultimi anni e che ulteriori sforzi saranno fatti per crescere ancora”. La richiesta che più spesso gli arriva dai produttori valdaostani è “il miglioramento della viabilità, visto che in molti casi l’unico modo per raggiungere i terrazzamenti è a piedi”.
LA DEGUSTAZIONE “ESTREMA”
Gli oltre 200 vini premiati erano tutti degustabili in due banconi, uno per i bianchi e uno per i rossi, all’interno di una chiesa del forte, le cui pareti candide si sono rivelate ottime alleate per la valutazione dei colori. Grazie anche alla prontezza dei Sommelier Ais che hanno servito i vini, non si sono registrati particolari problemi logistici durante le due giornate-
Ma la degustazione meriterebbe spazi più ampi, augurandosi che il numero dei visitatori cresca sempre di più. Molto apprezzabile l’idea della guida ai vini premiati, distribuita gratuitamente ai visitatori. Peccato che non contenga note di vinificazione che avrebbero reso la degustazione più completa e che la “navigazione” non sia semplicissima.
Il primo vino degustato non poteva che essere quello ritenuto il migliore in assoluto degli oltre 740 presentati al concorso: il Tornicher Ritsch Riesling Beerenauslese 2006 di Weingut Geiben. Si tratta di un vino dolce botritizzato proveniente dalla zona della Mosella tedesca (premiata con ben 23 vini).
Il bel giallo dorato parla di muffa nobile, di lunga evoluzione e di grande consistenza, ma la brillantezza è quella di un ragazzino scalpitante, davvero notevole. Il naso è un tripudio di opulenza: pesca gialla, ananas, bergamotto, e poi miele, zafferano, spezie dolci, fiori.
L’ingresso in bocca è straordinariamente equilibrato, la sensazione è più di aromaticità che di stucchevole dolcezza, la spalla acida fa il suo dovere rendendo questo vino scorrevole dal primo all’ultimo sorso. Il finale è lunghissimo, di mandorla e spezie. Sconsigliatissima la mezza bottiglia, anche se si è da soli.
Per la prima volta quest’anno è stato istituito il premio Cervim Originale al miglior vino a piede franco. Il riconoscimento è andato alla Falanghina del Sannio Vendemmia Tardiva “Donnalaura” 2016 di Masseria Frattasi (Montesarchio, Campania), segnalata proprio da vinialsuper, tra i migliori assaggi al Merano Wine Festival 2017.
Dopo l’opulenza del muffato tedesco occorre qualche minuto di piacevoli chiacchiere per poter apprezzare il bouquet di questa Falanghina, che di certo non ha nell’intensità olfattiva il suo principale pregio. Profuma delicatamente di mela e pera mature, di fiori gialli, di miele e di buccia d’uva.
L’ingresso in bocca è caldo, la freschezza giunge poco dopo in allungo. È sapido e minerale, lungo ed equilibrato, e conferma il Sannio come culla di grandi bianchi italiani!
Santo Wines, cantina dell’isola greca di Santorini piazza ben 4 medaglie d’oro con tutta la gamma di Assirtiko: base, reserve e grand reserve, e con il “Nykteri”, blend di Assirtiko, Athiri e Aidani. Ci dicono i colleghi sommelier che i vini greci siano anche particolarmente richiesti dal pubblico.
È un crescendo, dalla versione base dell’Assirtiko, fresco, agrumato, semplice e minerale (l’unico vinificato completamente in acciaio), al reserve, nel quale inizia a fare capolino una leggera nota vanigliata, molto sullo sfondo, fino al grand reserve, che sosta 12 mesi in barriques francesi e altri 12 riposa in bottiglia.
Quest’ultimo è ovviamente il più complesso: alle note fresche agrumate e floreali di tutte e tre le versioni, qui sono evidenti le tracce di miele, tè e vaniglia. Il bocca è caldo e morbido, ma il legno, pur evidente, è sempre ben integrato e sostenuto dalla buona sapidità e dalla freschezza citrina. Una bella scoperta!
Il blending conferisce al Nykteri un pizzico di struttura e complessità olfattiva in più. Alla frutta gialla croccante si aggiungono sentori vegetali mediterranei e un pizzico di vaniglia. Buon equilibrio e acidità sempre piacevole.
Siamo in Val d’Aosta, i sommelier sono di qui, e così ci facciamo raccontare Nathan, un Blanc de Morgex et la Salle del 2014 che Ermes Pavese ha dedicato al figlio e che ha conquistato la medaglia d’oro nella categoria dei vini bianchi tranquilli di vendemmia 2014 o precedenti.
Da vigneti di Priè Blanc a piede franco vecchi 60 anni che arrivano a 1200 metri di altitudine, questo vino matura in barrique di primo, secondo e terzo passaggio per un anno, e poi viene assemblato con il 30% di fermentato in acciaio.
Giallo paglierino luminoso è tutto giocato sulla finezza: la mela matura, la mineralità dell’ardesia, il legno appena accennato e le nota di frutta secca sono tutte sussurrate.
In bocca è morbido nonostante il legno sia appena accennato, ha grande equilibrio e buona struttura, e dona una sensazione leggermente astringente che ricorda il tè. Probabilmente il posto ideale dove degustarlo è nella sua vigna, a 1200 metri, dove c’è pace e silenzio.
LA SORPRESA PORTOGHESE Il vino che ha impressionato maggiormente è stato tuttavia il portoghese Douro Doc Busto Reserva Branco, 2016 dell’azienda Quinta da Barca, premiato con la gran medaglia d’oro nella categoria dei vini bianchi tranquilli del 2016.
La valle del Douro, coltivata a terrazzamenti con muretti a secco e dal terreno scistoso ci regala un grandissimo vino, giallo paglierino tenue, di grande finezza.
Il naso ha note di frutta matura, erbe aromatiche e una balsamicità ben percepibile e dal grande fascino. In bocca è fresco e aromatico, per via retronasale torna la sensazione balsamica di aghi di pino. Lungo, fine ed equilibrato. Grandissima sorpresa, bravi!
Concludiamo l’assaggio dei vini bianchi con una bollicina che viene dalla liguria. Medaglia d’oro nella categoria dei vini spumanti, il “Bàsura Riunda” dell’Azienda Agricola Durin, di Ortovero (Savona) è un metodo classico 100% Pigato.
Particolarità di questo vino (oltre al vitigno inusuale per uno spumante, anche se Durin non è l’unico a usarlo, come abbiamo evidenziato di recente tra i migliori assaggi al Mercato Fivi) è il fatto che la sosta sui lieviti che dura fino a 60 mesi avviene all’interno delle grotte di Toirano.
Il Bàsura (“strega” in dialetto ligure, da non confondersi con “la basura”, spazzatura in spagnolo) è un vino leggero, spigliato, verticale. Le note di evoluzione, crosta di pane e frutta secca, sono appena accennate, e fanno da sfondo alle erbe aromatiche e alla croccantezza fruttata. In bocca è fresco, dritto, equilibrato, abbastanza persistente e si fa bere a grandi sorsi. Leggiadro.
IL GEORGIANO Per quanto riguarda i vini rossi l’attenzione generale è stata catalizzata dal georgiano Saperavi Reserve 2010 di Badagoni, gran medaglia d’oro per la categoria dei vini rossi tranquilli con vendemmia 2014 o precedenti.
La zona è il Kakheti, parte orientale della Georgia confinante con l’Azerbaijan, circondata dal Caucaso, con terreni vitati che arrivano ai 1000 metri sul livello del mare. Una zona che noi di vinialsuper abbiamo visitato e che vi racconteremo nel dettaglio, quanto prima.
In questi territori (nei quali si coltivava la vite già nel IV millennio a.C.) sono ancora presenti esemplari di Vitis Vinifera Silvestris, capostipite di tutte le varietà di vite.
Opera del pluri premiato enologo monferrino Donato Lanati, questo Saperavi (dal nome del vitigno, uno degli oltre 500 autoctoni georgiani) ha un colore rosso rubino ancora giovane sebbene un poco spento.
Il naso è abbastanza intenso, vegetale (ricorda vagamente il Cabernet Sauvignon) e di piccoli frutti rossi, pepe e fiori. In bocca il frutto è ancora croccante, il tannino vispo e un poco verde, e i 3 anni di legno dichiarati dal produttore stentano a sentirsi.
Premio Cervim Bio per l’Aoc Collioure “Terre des Oms” 2015, di Terres des Templiers. Si tratta di un blend di Grenache noir, Carignan e Mourvèdre che arriva dalla zona di Banlyus, nel sud della Francia al confine con la Spagna, caratterizzata da 6000 km di muretti a secco a incorniciare i vigneti.
Rosso granato profondo, al naso è intenso, di frutti rossi sotto spirito, pepe, chiodo di garofano e sottofondo vegetale. Ha grande struttura, è caldo e morbido, con un tannino ben integrato, più sapido che fresco, e con un finale lungo nel quale la frutta sparisce quasi completamente per lasciar comparire note scure di cioccolato. Gli manca un pizzico di freschezza per essere un gran vino, soprattutto in prospettiva.
LA SARDEGNA EROICA
Purtroppo solo al freddo del padiglione esterno abbiamo assaggiato Kent’annos, della Cantina del Mandrolisai, 2013. Le condizioni non ottimali per la degustazione sono state ampiamente compensate dalla disponibilità e dalla simpatia dei rappresentanti della cooperativa, che ci raccontano come l’uomo più vecchio d’Italia, morto qualche anno fa a 113 anni, era originario proprio di queste zone.
Kent’annos è un blend di cannonau, bovale sardo e monica che matura quasi 3 anni in botti di rovere e barrique. Bocca e naso mostrano uguale intensità. È complesso e strutturato, morbido, speziato e particolarmente lungo. Per spiegare dove si trova la cantina ci dicono di tracciare una “X” sulla Sardegna, all’incrocio ci sono loro, nell’esatto centro. Pare che il mare non sia l’unica attrazione della Sardegna.
Dal parcheggio, la salita fino alla cima del Forte di Bard richiede quasi 10 minuti e il cambio di 4 ascensori. L’uomo moderno percorre questo dislivello con disinvoltura. E quasi maledice i brevi spostamenti a piedi da un ascensore all’altro.
Ma per un viticoltore eroico, di quelli che vendemmiano sdraiati sotto pergole alte pochi centimetri, o che trasportano gerle cariche d’uva per mulattiere impervie, o che usano solo mani dove altri possono usare trattori, probabilmente è solo una passeggiata.
Sono uomini e donne che dovrebbero insegnare all’uomo moderno il valore della fatica, del sacrificio, dell’amore per la propria terra e per il proprio lavoro. Per questo ci auguriamo che iniziative come questa continuino e crescano sempre di più. Anche perché, dettaglio tutt’altro che trascurabile, producono molti vini dannatamente buoni. Chapeau!
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(5 / 5) Belisario è sinonimo di Matelica, che è sinonimo di Verdicchio. Potremmo andare avanti per ore a cercare analogie linguistiche, prima di arrivare al punto.
Il Verdicchio di Matelica Docg Riserva 2013 “Cambrugiano” è uno dei bianchi migliori presenti sugli scaffali dei supermercati italiani. Non solo nel rapporto qualità prezzo.
A produrlo è una cooperativa, Belisario per l’appunto. Ennesima dimostrazione di come si possano fare grandi vini senza essere (necessariamente) “piccoli produttori”. O vignaioli di nicchia.
Trecento ettari vitati e una cantina da 30 mila ettolitri di capienza. I numeri di un business che non poteva non sfociare nella Grande distribuzione organizzata di qualità. Con vini “di stile” e non “di moda”.
LA DEGUSTAZIONE
Il Verdicchio di Matelica Docg Riserva 2013 “Cambrugiano” si presenta all’appuntamento col calice vestito di un giallo dorato elegante, con tanto di papillon. Al primo giro di walzer nella gabbia di vetro, il nettare punta le mani sul bordo, nell’estremo tentativo di liberarsi. E ci riesce. Buttando l’anima oltre l’ostacolo.
Inebrianti sentori di frutta matura, pesca gialla, nettarina, una lieve nota d’idrocarburo, che poi lascia spazio a un appiccicoso miele millefiori, su cui sembrano incollarsi pistilli e petali ingialliti di camomilla secca.
All’alba dell’assaggio, inizia la scalata. In bocca, il Verdicchio di Matelica Docg Riserva 2013 “Cambrugiano” entra dritto, salato, caldo e intenso. Si stiracchia, sui gradini di un sorso verticale. Poi rallenta, come nella morsa dell’acido lattico. Ecco, corrispondenti all’olfatto, le note di miele e frutta che allentano la morsa delle durezze. Ammorbidendo il sorso.
La scala su cui Cambrugiano ti conduce è lunga, come il retro olfattivo che regala ritorni di note citriche e amaricanti, quasi piccanti. Posi il calice, soddisfatto. Prendi fiato. Il boccone perfetto per accompagnare questo Verdicchio di Matelica Riserva è da ricercare in piatti complessi a base di pesce e carni bianche.
Meglio se particolarmente conditi, per esempio con salse “acide”, a base di pomodoro. Formaggi (pecorino fresco) e salumi come il marchigiano Ciauscolo sono altri ottimi amici di Verdicchio come “Cambrugiano” 2013.
LA VINIFICAZIONE Si tratta, di fatto, del primo “Verdicchio di Matelica” prodotto nella tipologia “Riserva”. L’anno del battesimo è il 1988 e la tecnica utilizzata, sin da allora, è la criomacerazione, utile alla conservazione degli aromi dell’uva.
I vigneti dai quali si ottiene “Cambrugiano” si trovano in contrada Balzani, a Matelica. Sono stati impiantati nel 1981, a quattrocento metri sul livello del mare, con esposizione sud. La densità d’impianto delle viti di Verdicchio (clone matelicese a grappolo serrato) varia dai 1.666 ai 2600 ceppi per ettaro. Venti gemme per ceppo, le prime 4 delle quali sterili.
L’epoca di vendemmia varia ovviamente in base all’annata, ma la raccolta delle uve avviene tassativamente in cassette da 20 chilogrammi. Le uve, portate nella vicina cantina, a una decina di minuti dai vigneti, vengono oggi vinificate in parziale criomacerazione a 0 gradi, per 18 ore.
Per la fermentazione viene utilizzato il lievito Saccharomiyces bayanus, una tipologia molto resistente alle concentrazioni alcoliche, tanto agli stress termici. La fermentazione avviene poi alla temperatura di 16 gradi, per 25 giorni, in serbatoi di acciaio inox da 300 ettolitri, termocondizionati.
Due le epoche di maturazione. Per l’80%, il Verdicchio di Matelica Docg Riserva “Cambrugiano” matura per 12 mesi in serbatoi acciaio inox. Per il restante 20%, sempre per 12 mesi, in barrique da 225 litri. L’imbottigliamento avviene dopo 13 mesi di maturazione complessiva, senza chiarifiche. La produzione, ad oggi, si assesta sulle 50 mila bottiglie complessive di “Cambrugiano”.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Calato il sipario su Vi.Vite, prima (riuscitissima) manifestazione enoica delle cantine cooperative promossa dall’Alleanza Cooperative Agroalimentari, tenutasi lo scorso weekend nel salone delle Cavallerizze del Museo della Scienza e della Tecnologia Leonardo Da Vinci di Milano. Un evento in stile “happening”, conviviale, dove nulla è stato lasciato al caso o all’improvvisazione.
Un piacere aggirarsi lungo il percorso ordinato di cinque sale dedicate a diverse regioni di Italia che ha guidato i winelovers da nord a sud: dal Piemonte, Lombardia e Trentino della sala 1, attraverso il Veneto, unica regione con una sala tutta sua e con ben 11 cantine presenti.
Un giro in Friuli Venezia Giulia e Emilia Romagna (quest’ultima seconda in termini di presenza numerica), poi giù verso il centro Italia con Toscana, Umbria, Marche e Lazio per finire, nella sala 5, tra le cooperative di Abruzzo, Sicilia, Sardegna e Puglia.
Una contrapposizione divertente, ma significativa quella tra la “tradizione” impersonata dal contadino Antonio (seppur “tatuato” ed evoluto uomo selfie testimonial), la modernità delle cooperative e l’allestimento tecnologico dell’evento.
Numeri impressionanti quelle delle cantine presenti e del mondo delle cooperative in generale. Una quota di mercato pari al 60% della produzione di vino nazionale (52% delle Dop e 65% delle Igp) ed oltre 1/3 dell’export del settore vitivinicolo.
E lì, sul palco di Vi.vite, “dove il vino parla la lingua di tutti”, di fatto, il plotone schierato dei proprietari del “territorio”, i detentori (grazie alla base soci) di enormi “capitali” da investire in tecnologia. I big, per dirla alla sanremese.
I MIGLIORI ASSAGGI Friuli Venezia Giulia – Cantina Rauscedo: nata nel 1951 per volontà di 130 soci oggi è la più importante realtà cooperativa del Friuli con oltre 400 soci per 1600 ha distribuiti in 32 comuni del Friuli.
Una produzione per il 96% a bacca bianca (principalmente Glera, Sauvignon e Pinot Grigio). La Cantina Rauscedo opera su due sedi nella capitale mondiale della barbatella di vite: produce infatti oltre 100 milioni di innesti per 100.000 combinazioni diverse.
Una cooperativa importante che si trova nel anche nel comune delle cooperative (4800 abitanti per oltre 6000 cooperatori). Al banco di assaggio, a servire i vini è il sindaco, ma non subiamo il “fascino del potere”, qui comandano i vini. In degustazione, molto piacevole, la Ribolla spumantizzata.
Gradevole al naso dove spiccano note fruttate di mela verde in bocca ha una bolla fine e cremosa. Ma è il Sauvignon 2016 (premiato al Concours Mondial du Sauvignon) a “stendere”. Naso molto elegante ed intenso, grande aromaticità con note di frutta tropicale e vegetali di peperone verde. Ammaliante.
Friuli Venezia Giulia – Viticoltori Friulani La Delizia: cooperativa di oltre 450 soci per 2000 ettari specializzati nella spumantizzazione (principalmente Prosecco e Ribolla Gialla).
Tra i migliori assaggi di Vi.Vite una menzione speciale al loro Pinot Grigio Doc Friuli 2012 “Sass Ter” (presente nella masterclass “Identità di un vino. Verso il nuovo Pinot Grigio Doc delle Venezie) e guidata da Daniele Cernilli.
Giallo paglierino con riflessi verdolini al naso ha i sentori tipici di pera e pesca bianca. In bocca si distingue per una nota salina intensa ed una freschezza rinfrescante. Da appuntare anche Naonis, Jader Cuvèe Brut metodo charmat, uno dei vini più apprezzati al banco.
Mix di tre uvaggi Glera, Pinot Grigio e Chardonnay egualmente distribuiti intensamente fruttato al naso con note agrumate e floreali di gelsomino. Complice la gradazione leggera 12,5%, la cremosità della bollicina e la freschezza è impossibile non gustarlo.
Lazio- Viticoltori dei Colli Cimini: realtà di 300 soci proprietari di vigneti sui siti sui colli dei monti Cimini, nella provincia di Viterbo, al confine con Umbria per una produzione di 14.000 ettolitri di vini prodotti.
Un bilancio positivo quello di Vi.Vite per la cantina, nonostante una diffidenza iniziale nei confronti della regione Lazio, lo scetticismo è stato spazzato dalle chicche portate in assaggio. Ottimo il Vignanello Doc Rosso Riserva 2010 “Rulliano” (blend 80% Sangiovese e 20% Merlot).
Ottenuto da uve selezionate dopo una prolungata macerazione termina la fermentazione in piccoli recipienti di acciaio. Nella primavera successiva il vino è messo in barrique dove rimane per circa 7 – 8 mesi. Segue maturazione in acciaio ed un affinamento di un anno in bottiglia prima di essere posto in vendita. Buona freschezza, tannino presente, ma non invasivo. Un vino da amatori.
Sorprendentemente piacevole anche Molesino Colli Cimini Igt 2015, blend di Merlot e Petit Verdot vinificato in acciaio. Prodotto solo nelle annate favorevoli è stato premiato recentemente al concorso vini di Pramaggiore.
Abruzzo – Citra Vini: 6000 viticoltori per 3000 ha Citra ha un estensione di 40 km dal mare alla Maiella. Maggior produttore delle doc Abruzzesi e delle Igp è tra le prime realtà in Italia. Leader della Gdo che rappresenta il 35% del loro fatturato.
Anche Citra a Vi.Vite sfoderato tutti vini destinati al mercato horeca. Eccezionale e, non a caso il loro top di gamma, il Montepulciano Riserva Dop Laus Vitae. Prodotto con una selezione delle migliori uve, resa 110 qli/ha con vigneti di oltre 40 anni viene vinificato in acciaio, fermentato in barrique per circa 12 mesi e affinato per ulteriori 18 mesi in bottiglia distesa.
Un prodotto che valorizza appieno vino e vitigno. Molto intenso al naso e al palato con sentori di piccoli frutti rossi e confettura intervallati da note di pepe nero e vaniglia che non prevarica assolutamente il frutto. Pieno in bocca, regala un sorso straordinario. Calice super gratificante quasi da meditazione.
Marche – Colonnara Viticoltori in Cupramontana: cooperativa nata nel 1959 vanta ad oggi 110 soci. Al banco d’assaggio di sabato solo bianchi. Spicca indubbiamente il Cuvèe Metodo Classico Luigi Ghislieri Brut, 100% Verdicchio con sosta di 30 mesi sui lieviti, sboccatura aprile 2017.
Dedicata a Luigi Ghislieri, secondo Presidente di Colonnara che acquistò le attrezzature per la spumantizzazione sul finire degli anni 60. Nel calice giallo paglierino con riflessi verdolini ha un perlage fine e persistente.
Al naso è schietto ed elegante con note fruttate di pesca, agrumi e fiori bianchi che prevalgono su lieviti e crosta di pane. Bella avvolgenza al palato. L’accoppiata sapidità e freschezza dona slancio alla bevuta.
Toscana – Le Chiantigiane: consorzio di viticoltori fondato nel 1967 conta ad oggi 2000 soci per una superficie vitata di 2500 ha nella zona del Chianti/Chianti Classico e di ulteriori 500 ha in maremma dove produce principalmente Morellino di Scansano, Rigoverno e Supertuscan.
Molto forti a livello nazionale in Gdo, il lor Chianti è il numero uno in termini di vendite. Colpisce il Morellino di Scansano Docg 2015 Alborense, linea Alberese. Blend 95% Sangiovese e 5% Merlot affinato per 18 mesi in barrique di rovere francese con un ulteriore affinamento in acciaio di qualche mese prima di passare in bottiglia.
Una buona intensità di frutti rossi al naso, prugna, amarene e ciliegie su tutti, ma anche lievi speziature di liquirizia e noce moscata e fresche note balsamiche di macchia mediterranea. Di buona rotondità e pienezza al palato è davvero una sorpresa, uno dei migliori Morellino di Scansano in circolazione, per fascia prezzo.
SegnalazioniToscana – Cantina Sociale dei Colli Fiorentini: fondata nel 1972, 1500 ha di superficie vitata nel Chianti Classico, una produzione di circa 400.000 bottiglie ed un potenziale di 15 milioni di bottiglie se fosse tutto imbottigliato. Distribuiti nel gruppo Panorama con l’etichetta Rifugio del Vescovo.
Degustiamo il ColleRosso, Chianti dei Colli Fiorentini 2013, blend 90% Sangiovese, Malvasia Nera e Canaiolo, 12 mesi di barrique. Molto rotondo, con lievi note speziate, un entry level che si fa ricordare. Molto piacevole anche il Chianti Classico Docg 2014, taglio 95% Sangiovese e Canaiolo Nero, che fa anche un veloce passaggio in botte. Al naso spiccano prugna e accenni di liquirizia. Rotondo quanto basta, bello sprint ruspante.
Piemonte – Cantina Alice Bel Colle. Storie di vini e storie di Vite ce le offre anche questa cooperativa del Monferrato con 370 ha di proprietà diffusa tra circa 100 viticoltori. Specializzati in vini dolci (Moscato d’Asti e Brachetto d’Acqui) fino a poco tempo fa non credevano molto nel raggiungere l’utente finale, ma piano piano hanno intrapreso un percorso inverso (e difficile) in un contesto di competizione elevata.
Testimoni di Vi.vite anche per questo. Una loro scommessa, si rivela per noi un assaggio en primeur (senza etichetta) del novello nato in casa Asti Docg.: la versione secca.
Il naso ha il profumo tipico del Moscato di pesca, albicocca e ananas con nuances di salvia: molto fine ed elegante resta comunque impresso. Facile da bere, con solo 17 grammi/litro di residuo zuccherino, ha il finale con la scia leggermente dolce che regala una beva di bella scorrevolezza. Poco impegnativa, un gusto atto ad una vasta platea.
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Vinaccero di Cantina Coppi è ottenuto da uve Aleatico 100%, coltivate in contrada Marchione, a Conversano, in provincia di Bari. Contrada molto nota, per via del famoso Castello Marchione, residenza estiva del Conte di Conversano.
Il terreno di quest’areale è quello tipico della valle d’Itria: calcareo-carsico, ben drenato. Il vino nel bicchiere si presenta di colore rosso scuro molto compatto, che ricorda la buccia della melanzana.
La fermentazione è controllata, con il contatto del mostro con le bucce, in modo da poter cedere il colore ed il tannino. L’affinamento avviene in acciaio, per 18 mesi. Ma risultano fondamentali i successivi 2 anni, in botte. La lavorazione del vino viene perfettamente letta nelle fasi di degustazione.
LA DEGUSTAZIONE All’olfatto il vino è austero, complesso, spiccano i sentori di frutti rossi, ribes, amarene, more, ciliegie mature. Seguono le sensazioni di spezie come la cannella. Al gusto è abboccato, caldo, con un tannino ben presente ma elegante, che si integra perfettamente nella struttura del vino. Vinaccero di Cantina Coppi chiude con una leggera nota minerale.
Un vino da tutto pasto, ideale con i primi piatti conditi da sughi importanti (come le tagliatelle ai funghi porcini). Accompagna bene anche zuppe di legumi e cereali o dolci come la crostata ai frutti rossi. Si consiglia di aprirlo con largo anticipo o decantarlo, per apprezzarne gli aromi.
LA CANTINA
L’azienda Coppi nasce nel 1882. Nel 1966 entra in azienda un giovane enologo, innamorato del suo territorio ed appassionato del suo lavoro: è Antonio Coppi. Nel 1979 rileva la cantina che, a tutt’oggi, è di proprietà della famiglia.
Essendo tra i primi viticoltori della regione, Antonio compie immensi sacrifici per far conoscere i vitigni pugliesi e i suoi vini in tutto il territorio nazionale e non solo. Gli anni Settanta sono quelli in cui le uve pugliesi arricchivano i vini del nord e della Francia.
L’enologo Coppi è stato tra i primi a comprare un’imbottigliatrice, fermamente convinto della valore del suo lavoro e della sua terra. Un amore trasmesso anche agli eredi dell’azienda: i figli Lisia, Miriam e Doni.
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(3,5 / 5) Torniamo in Trentino con questa recensione: nel calice di vinalsuper la Nosiola di cantina La Vis, prodotta dall’omonimo ed unico vitigno autoctono a bacca bianca della regione. La vendemmia in degustazione è la 2016.
LA DEGUSTAZIONE
La Trentino Doc Nosiola “Storie di vite” si presenta alla vista di un giallo paglierino tenue e brillante con sfumature verdi.
Il profilo olfattivo è delicato, ma al contempo fine ed elegante. Avvicinando il naso al bicchiere si percepiscono sentori fruttati di pesca e mela verde, scorza d’arancia e limone e lievi sfumature di nocciola.
Al palato è un vino secco e piacevole che si distingue in freschezza. Nonostante un leggero sbilanciamento verso le durezze dato dalla spiccata acidità concede una beva facile e soddisfacente.
Ideale come aperitivo, il Trentino Doc Nosiola si sposa perfettamente anche a primi delicati, formaggi freschi o grigliate a base di pesce d’acqua dolce.
LA VINIFICAZIONE
Storie di vite è prodotto nella Valle di Cembra da uve Nosiola 100% da vigneti esposti a sud-ovest a 400 m sul livello del mare. La composizione del terreno è sia di natura siltosa, mediamente profondo e fertile, sia di natura porfirica, poco profondo.
I vigneti sono allevati a pergola semplice trentina, con densità di impianto di 4.500 ceppi/ha. Le uve sono raccolte manualmente nella prima decade di ottobre, successivamente sottoposte a pressatura soffice in atmosfera inerte, decantazione statica dei mosti, fermentazione a temperatura controllata (18°C) in serbatoi d’acciaio inox, affinamento sulle lisi per 5/6 mesi circa, prima dell’imbottigliamento.
La cooperativa vinicola di La Vis nasce nel 1850: inizialmente di proprietà della famiglia Cembran, negli anni si fonde con la cooperativa altoatesina di Salorno che il marchio Durer-Weg ancora rappresenta. Nel 2001 acquista anche la casa spumantistica trentina Cesarini Sforza. Il nome La Vis trae origine dal torrente Avisio, dal latino Vis, sinonimo di forza, situato nella Valle di Cembra in Trentino.
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MILANO – Una degustazione di alcune tra le migliori etichette di vino presenti al supermercato scovate da vinialsupermercato.it, con premiazione della “Miglior cantina Gdo 2017”, che presenterà al pubblico i suoi vini.
Ingresso a 15 euro, comprensivo di calice per la degustazione e assaggi di formaggi e salame dell’Oltrepò pavese. Disponibile menu alla carta.
I DETTAGLI
Vinialsupermercato.it, testata giornalistica giovane e dinamica con base a Milano, è l’unico sito in Italia che aiuta a scegliere il vino presente sugli scaffali delle maggiori insegne della Grande distribuzione organizzata.
Con un voto espresso in “cestelli della spesa” all’inizio di ogni recensione, rendiamo immediata la comprensione del “valore” assegnato a ogni singola bottiglia, soprattutto in un’ottica qualità prezzo.
Ma non solo. Raccontiamo anche le piccole realtà: piccole cantine che – per scelta o per dimensioni limitate – non presentano le proprie etichette al supermercato, scegliendo di vendere solo in enoteca. Spazio anche al racconto delle nuove frontiere del wine: vini naturali, biologici e biodinamici.
Una sezione di news sul mondo del vino, delle birre e dei distillati, oltre a una rubrica di cucina, completano l’offerta ai lettori. Non mancano le sezioni dedicate ai “Wine tour”: i nostri viaggi, in Italia e all’estero, a caccia di eccellenze enologiche da scoprire.
La speranza è quella di incontrarvi presto, in occasione del nostro primo evento pubblico! Ti aspettiamo sui Navigli di Milano, al Movida, il 29 ottobre. Non mancare!
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Il Milano Whisky Festival (lo scorso 11 e 12 novembre, presso l’Hotel Marriott di via Washington) si conferma essere il vero punto di riferimento per operatori ed appassionati del settore. Cresciuto negli anni, l’evento ha raggiunto nell’edizione 2017 la sua massima estensione tanto per “superficie” quanto per numero e tipologia di etichette rappresentate. Da quest’anno, infatti, l’evento non è più solo dedicato ai whisky (con una comparsata dei Rum, nelle ultime due edizioni) ma anche a molti altri Spirits: Cognac, Armagnac, Calvados, Applejack, Brandy etc.
La disposizione della sala, la presenza di produttori distributori e imbottigliatori indipendenti e la grande offerta di assaggi disponibili ha permesso a chiunque di organizzarsi il proprio percorso tematico per esplorare il mondo dei distillati secondo il proprio gusto, le proprie esigenze, desideri e curiosità. Tanti spunti di riflessione, dunque. Tra conferme e novità.
IL TOUR
Partiamo quindi dal classico dei classici, Macallan, che a fianco dei “soliti” Amber e Sienna ripropone qui la versione Fine Oak, linea di single malt (lanciata nel 2004) invecchiati in tre tipi di legno diversi (ex-sharry di rovere europeo, ex-sharry di rovere americano ed ex-bourbon). 12yo e 15yo in un crescendo di sensazioni fino al 18yo che col suo colore ambrato, i suoi profumi dolci di frutta (mela ed ananas), d’agrume e di spezie, il suo ingresso in bocca morbido ed il suo corpo con note di cioccolato e vaniglia ci ricorda perché Macallan, è Macallan.
Glenfiddich propone la verticale del proprio single malt (da 12yo a 26yo, tutti puliti e distintivi della distilleria), ma a cogliere la nostra attenzione è IPA Experiment.
Si tratta di un single malt no age che ha trascorso gli ultimi 3 mesi in affinamento in botti che hanno contenuto una birra IPA (Indian Pale Ale). Al naso dolcezza di malto, mela verde e pera con una nota erbacea di erba tagliata.
In bocca è vivace, con note di agrumi e vaniglia ed una nota verde forse dovuta ai luppoli della birra. Buona la persistenza.
Dalmore si conferma un riferimento per le Highlands centrali; tutti e tre i drum presentati (12yo, 15yo, 18yo) mostrano grande equilibrio olfattivo e gustativo. Stessa conferma per i 5 drum di Glenrothes.
Jura, a fianco del delicato Orign, dei torbati Superstition e Prophecy e del fruttato Elixir, presenta Diurach Own un 16yo che fra 14 anni dotti ex bourbon e 2 in botti ex sharry oloroso. Il risultato è un bicchiere dal profumo di agrumi, di mela e di cioccolato, un corpo dolce e resinoso con note speziate di chiodo di garofano ed un finale secco.
Presenti all’evento tutte e tre le distillerie di Campbeltown: Springbank, Kilkerran e Hazelburn. Tre distillerie vicine di casa, in un territorio difficile e dalle vicende alterne, con tre diverse filosofie produttive.
Se Springbank fa della torba “dolce” il suo marchio di fabbrica, Kilkerran alleggerisce le note di torba aprendo su sentori di frutta secca e caramello, mentre Hazelburn non fa uso di torba ed è una delle rare realtà scozzesi ad usare la tripla distillazione. Il risultato è uno scotch molto fruttato con una punta di spezie.
Conferme e certezze anche Balvenie e Tomatin, che presenta qui sia i classici spayside che il lievemente torbato Cù Bòcan. Ma lo scettro di Re della torba spetta anche quest’anno alla distilleria Bruichladdich col suo Octomore: 5 anni di invecchiamento e 208ppm di torba, è come mettere un caminetto che brucia legni aromatici dentro un bicchiere.
Buona anche la prova di Glenfarclas, verticale dai 10yo ai 25yo. Il 23yo ed il 25yo risultano rotondi e strutturati ma è il 15yo a sorprendere. Forse più “piacione”, più immediato e facile, dei fratelli maggiori ma dotato di grande equilibrio e di una nota cioccolatosa tanto al naso quanto in bocca che piacerà a buona parte dei consumatori, siano essi neofiti o esperti.
Sul fronte dei blended spicca Johnnie Walker che qui presenta i due nuovi Blenders Batch, Espresso Roast e Rum Cask Finish: note più tostate per il primo, maggiore dolcezza per il secondo.
Interessante anche la limited editon di Douglas Laing’s “Big Peat”, un blended Islay Malt ricco di note aromatiche.
L’Irish Whiskey si conferma un prodotto in crescita. Immancabile la presenza di Connemara, l’unico peated a doppia distillazione dell’isola, diventato ormai un’icona. Bushmills da un panorama completo dell’Irlanda del nord coi due blended, 1608 e Black Bush, e coi Single Malt da 10yo a 16yo.
Ma è Teeling a segnare il passo dell’Irish Whiskey. Single Malt (ormai un riferimento), Single Grain, Small Batch, Single Cask ed un interessantissimo Single Malt maturato in Stout Cask, botti che hanno contenuto la famosa birra scura irlandese. Se in bocca è pulito e non tradisce il suo essere un whiskey morbido, al naso e nel retronasale rivela tutte le note di tostatura tipiche della birra. Una pinta fatta whiskey.
A tenere alta la bandiera dei whiskey d’oltre oceano ci pensano la distilleria Harven Hill, con il suo Rittehouse, e la distilleria Elijah Craig. Rittenhouse è un Rye Bottled in Bond dal naso fresco, fruttato e poco speziato, scorrevole e leggero in bocca con un finale abbastanza persistente di pepe bianco.
Elijah Craig (nella foto, sotto) affianca al famoso 12yo, un Bourbon barrel proof da 68% (136 proof) che a dispetto della gradazione non è esageratamente forte al naso e quindi perfettamente godibile. Sentori di sciroppo d’acero e note legnose di vaniglia presenti tanato al naso quanto in bocca. Al palato rivela inoltre una piacevole nota di frutta secca ed un corpo pieno e vellutato. Lunga la persistenza.
Fra i paesi che solo recentemente si sono affacciati alla produzione di whisky restano in prima fila Taiwan ed India. La prima con la distilleria Kavalan che conferma la grande pulizia ed eleganza dei suoi prodotti, differenti per invecchiamento ma accomunati da piacevoli sentori floreali.
Dall’India ecco invece la distilleria Paul John, con tre prodotti fra cui spicca Edited un single malt figlio dell’elevato angle share della regione che presenta colore ambrato, naso di cereali, agrumi e spezie, palato caldo altrettanto agrumato ed una speziatura quasi piccante.
L’Italia è ben rappresentata da Puni, l’unica distilleria di whisky del bel paese. Quattro le proposte fra cui poniamo l’accento su Nero, un 3yo limited edition invecchiato esclusivamente in botti ex Pinot Nero dell’Alto Adige. Ambra chiaro con profumi di frutti rossi, sottobosco ed una nota di rovere. Palato caldo e giovane con note leggermente agrumate. Finale mediamente persistente con richiamo alla mora ed all’uva passa.
Si potrebbe continuare a lungo a parlare di tutti i prodotti presenti alla manifestazione, ma il modo migliore di esplorare il mondo degli spirits resta quello di munirsi di un bicchiere e trovare la propria strada, ricordando lo slogan che Dalmore ha scelto per l’evento: “Sometimes just raising a glass is a priviledge”. “A volte anche solo alzare un bicchiere è un privilegio”.
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E’ la “fiera” nel cuore di tanti amanti della viticoltura “autentica”, “naturale”. Siamo a Fornovo di Taro, in provincia di Parma, per “Vini di vignaioli – vins des vignerons”. Una rassegna giunta ormai alla sedicesima edizione.
La fiera dei vignaioli artigiani si tiene sempre nello stesso tendone. La differenza è che, negli anni, è sempre più affollato. Di appassionati, sì. Ma anche di produttori. Sempre più “vignaioli” e sempre meno “imprenditori del vino”. Perché a Fornovo, il vino è inteso come risorsa alimentare corroborante e salutare, come è stata riconosciuta nei secoli. E non come bevanda che può essere alterata e corretta correggendo i costituenti.
La giornata di lunedì 6 novembre è uggiosa. Piove, come capita spesso nel periodo di inizio novembre. Il tendone posizionato all’inizio del paese, sulle sponde del Taro, è fatiscente. In alcuni angoli piove dentro. Ma lo spazio, quest’anno, è meglio distribuito e l’organizzazione ha apportato qualche modifica che rende la disposizione dei vignaioli più confortevole per i visitatori: 163 produttori, di cui 9 stranieri. Questi i nostri migliori assaggi. O, meglio, i più interessanti.
Manzoni bianco Fontanasanta 2016. macerazione di 5/7 giorni, poi affinamento in legno di acacia per 12 mesi. Colore giallo paglierino intenso, naso esplosivo di fiori e frutta bianca, con inserti di note tropicali. Al palato rimane concorde: bel glicine e continua frutta a polpa bianca e gialla, un discreto sale e un legno ancora da amalgamare.
Pinot grigio Fuoripista 2016. Macerazione in anfora per 8 mesi, poi un rapido passaggio in vasca solo per la decantazione. Vino dal colore rosa tenue tendente al chiaretto, sorprendentemente limpido e trasparente. Al naso fragoline e spezie in un mix quasi orientale. La bocca è complessa e lunga, fresca e avvolgente. Un leggero tannino accarezza le mucose e chiude il sorso lasciando la bocca immediatamente pulita. Dalla prima annata, la 2014 – tra l’altro non proprio facile, bisogna riconoscerlo – ad oggi, l’evoluzione di Elisabetta Foradori è convincente.
Perciso 2016. Elisabetta, insieme ad altre 10 aziende (Castel Noarna, Cesconi, Dalzocchio, Eugenio Rosi, Maso Furli, Mulino dei lessi, Gino Pedrotti, Poli Francesco, vignaiolo Fanti e Vilar) ha formato un consorzio, “I dolomitici”, con l’intento di valorizzare l’originalità e la diversità dell’agricoltura trentina. Nell’ambito di questo progetto nasce il “Perciso”, vino dedicato a Ciso, contadino locale che ha consegnato nelle mani di questi 11 amici una vigna di Lambrusco a foglia frastagliata a piede franco, i cui 727 ceppi sono stati piantati ad inizio 1900.
Vino ottenuto da lunga macerazione e affinamento per 10 mesi in legno grande. Un vigneto storico, un’uva rara, espressione di quella tipicità trentina che il Consorzio punta a valorizzare. Con successo. Vino dal colore rosso porpora carico , limpido. Naso di frutta rossa di sottobosco, non ha mezze misure e in bocca è dritto, schietto, con una discreta acidità e freschezza e una buona persistenza. Si fa bere facile, non è per niente segnato dal legno. Molto interessante. Considernado gli esemplari in commercio (2500) una vera e propria chicca.
Agr. Radikon , Gorizia (GO), Friuli Venezia Giulia
Ribolla 2010. Sasa Radikon qui non sbaglia mai. La vinificazione dei bianchi di casa Radikon è la stessa per tutte le uve: 4 mesi di macerazione, più 4 anni di affinamento in botte, più 2 anni di bottiglia. L’orange wine per definizione dopo quelli di Josko Gravner. Il colore è un giallo carico, dorato. Profumi di spezie, fiori appassiti, frutti canditi, miele, albicocca matura, rabarbaro e un accenno di zafferano. La compessità olfattiva accontenterebbe di per sè già il più scettico dei degustatori. Ma in bocca si completa. Di sottofondo il retro olfattivo aromatico. E in prima linea un tira e molla tra acidità, freschezza e tannino. Con chiusura sapida e minerale. Una meraviglia. Stop.
Agr. Ausonia , Atri (TE), Abruzzo
Qui ci imbattiamo in una mini verticale di Cerasuolo, annate 2016 , 2015 e 2014. Il Cerasuolo di Simone e Francesca, due giovani mantovani con la passione per l’agricoltura e per il vino, è una storia meravigliosa.
Simone lascia la farmacia e Mantova e insieme alla compagna si trasferisce in Abruzzo, dove dal 2008 inizia l’avventura. Siamo ad Atri, nell’entroterra teramano, a 270 metri sul livello del mare. Dodici ettari piantati a Trebbiano, Montepulciano e Pecorino.
Il Cerasuolo effettua una macerazione velocissima, di poche ore, massimo 10 (la 2014, “annata scarica”, ha fatto una notte intera in macerazione, ci racconta Simone) per poi passare senza bucce per la fermentazione in acciaio, dove completa anche la malolattica.
L’annata che convince di più è la 2015: meglio delle altre esprime le caratteristiche splendide di questo vino. Il colore rosato, quasi lampone (un rosa “Big Babol” ). Naso di piccoli fruttini rossi, lampone appunto, ma anche ribes, fragoline e sfumature di violetta. Bocca sapida, fresca e minerale. Uno di quei vini da scolarsi senza ritegno, in estate, a bordo piscina. O in spiaggia.
Az- Agr. Franco Terpin, San Fiorano al Collio (GO), Friuli Venezia Giulia
Qui, dal buon Franco Terpin, ci accoglie la moglie. Già è di poche parole lui. Lei? Gli fa un baffo. Versa, versa e versa. Ma non fatele troppe domande. Assaggiamo Sauvignon 2011 e Pinot grigio 2012, senza rimanere a bocca aperta come invece ci era capitati a VinNatur per il Sauvignon 2010. Il colpo arriva quando meno te lo aspetti. Mentre stai andando via, un po’ deluso, vedi spuntare una magnum con etichetta tutta nera e orange, con un disegno stile “gta”. Lì si fermano tutti.
Compresi quelli di spalle, pronti ad abbandonavano il banchetto. I malfidenti. Si sente sollevarsi un “Oooh, mmmh, wow”, dai pochi rimasti lì davanti. Il gioco è fatto appena metti il naso nel bicchiere. Parolaccia. Clamoroso. Ci dicono Malvasia, ma da un’attenta ricerca il Bianco Igt delle Venezie “il legal” esce senza specifiche di vitigno. Anzi, una specifica c’è. E’ il bianco fatto da uve “non so”:a base Malvasia, sicuramente. Ma con altri uvaggi che non ci è dato sapere.
Il naso è di quelli ipnotici, magnetici, non riesci a staccarlo dal bicchiere. Uno di quei vini che ti accontenti anche solo di annusare, non importa la bocca, talmente è appagante l’olfazione. Non serve altro. Proviamo a dare qualche descrittore. Non sappiamo nulla della vinificazione, dell’affinamento. Il naso inizia sull’uva sultanina, poi frutta bianca matura, pesca, albicocca secca.
Ma anche miele e note di caramello. In bocca, a dir la verità, ha convito meno tutta la platea, peccato. Bella acidità e mineralità, ma chiude forse troppo corto per l’aspettativa che aveva creato nel pubblico estasiato. E’ giovane e “si farà”. I presupposti ci sono tutti. Comunque il naso più roboante dell’intera giornata.
Agr. Eno-Trio, Randazzo (Ct), Sicilia
Giovane cantina, nata nel 2013. Fino a qualche hanno fa conferiva le uve ad altri produttori. Siamo in contrada Calderara, una delle più vocate del versante nord dell’Etna. Si coltiva Nerello mascalese, Pinot nero, Carricante e Traminer aromatico, Grenache e Minnella nera. Un bel mix. Il Traminer prende vita a 1100 metri sul livello del mare, i rossi più in basso. Le vigne di Nerello sono tutte pre filossera a piede franco, con più di cento anni di vita. Ottima tutta la gamma.
Il Pinot nero 2015, viti di quasi 40 anni, macerazione per 6-8 giorni, dopo la fermentazione e la svinatura passa in acciaio per completare la malolattica. Affina in barrique e tonneau per 16 mesi. Colore porpora con unghia violacea, naso bellissimo di marasca e frutti rossi. In bocca è fresco, non si sente per niente il legno, bella acidità, chiusura morbida, avvolgente. Chi dice che l’Etna è la nostra Borgogna non sbaglia, davanti a vini come questo. Un vino incantevole.
Il botto arriva però col Nerello mascalese 2014, 18 mesi di barrique e tonneau. Rubino fitto, naso commovente, frutto dolce e spezia. Ciliegia matura, prugna, mora, china su tutti, ma anche pepe e balsamico. Sorso appagante, fresco, tannino morbido, levigato, bel corpo sostenuto nel centro bocca e un finale persistente. Grande vino.
Az. Agr Stefano Amerighi, Poggio bello di Farneta – Cortona (AR), Toscana
Stefano Amerighi, l’uomo che ci regala il Syrah più buono dello stivale, non lo scopriamo certo adesso e soprattutto non grazie a chi lo ha premiato quest’anno come “vignaiolo dell’anno”. Amerighi è da tempo una garanzia. Lui e il suo Syrah.
Apice 2013. La selezione è un mostro che potrebbe tenere testa a qualche rodano importante. Complesso, spezia, fumé, frutta, non ti stancheresti mai di berlo. In bocca è talmente equilibrato e armonico che non finisce mai di farti scoprire piccole sfaccettature. Lunghissimo.
Az . Agr. La Stoppa , Rivergaro (PC) , Emilia Romagna
La realtà di Elena Pantaleoni è ormai conosciuta oltre i confini nazionali, specie per gli ottimi vini rossi a base soprattutto Barbera e Bonarda e per il noto Ageno, vino a lunga macerazione da un uvaggio di Trebbiano, Ortrugo e Malvasia di Candia.
Noi però siamo qui per uno dei vini più incredibili della fiera e dello stivale in toto: il Buca delle canne. Il vino prende il nome da una conca, appunto la “buca delle canne”, dove Elena ha piantato Semillon, tanto per intenderci l’uva principe da cui si ricava il Sautern.
Qui, a causa proprio della conformazione geografica e pedoclimatica, in alcuni anni le uve vengono colpite dalla muffa nobile, la Botrytis cinerea. Pigiatura solo degli acini colpiti dalla muffa, con torchio verticale idraulico, 10 mesi di barrique di rovere francese e almeno 2 anni di bottiglia per una produzione annua di soli 500 esemplari in bottiglia da 0,50 litri.
Giallo dorato con riflessi ambrati, il naso è ciclopico così come la bocca, tutta la gamma della frutta passita in una sola olfazione. Fichi secchi, canditi, agrumi, scorza d’arancia e poi zafferano, curcuma, mallo di noce. Esplosivo. In bocca sontuoso, ma di una freschezza imbarazzante, potente e armonico. Uno dei migliori vini dolci prodotti in italia, senza se e senza ma.
Agr. Cinque Campi, Quattro Castella (RE) Emilia Romagna
Questa forse una delle sorprese più belle incontrate. La soffiata arriva girando tra la fiera: “Assaggiate la Spergola, ragazzi!”. Questa cantina del reggiano a conduzione famigliare coltiva autoctoni come il Malbo gentile , la Spergola, il Lambrusco Grasparossa e in più qualche uvaggio internazionale come Sauvignon, Carmenere e Moscato.
Puntiamo alla soffiata e ci viene servito il Particella 128 Pas dose 2016, metodo classico di Spergola 100%, macerazione sulle bucce per 3 giorni, 6 mesi in acciaio e poi presa di spuma con 8 mesi di sosta sui lieviti. Una bolla allegra, spensierata, gradevole al palato. Con una nota fruttata gialla e citrica invitante la beva e un bouquet di fiori di campo ben in evidenza. Bella acidità e bevibilità.
Il secondo convincente assaggio è L’artiglio 2014, Spergola 90% e Moscato 10%. Altro metodo classico non dosato. Qui siamo sui 36 mesi sui lieviti ed è stato sboccato giusto, giusto per la fiera. La piccola percentuale di Moscato ne fa risaltare il naso e in bocca ananas, frutta bianca, pompelmo rosa ed erbe aromatiche. Una bellissima “bolla”. “Cinque campi”, nome da tenere a mente.
Lui lo puntavamo. Trebbiano modenese degustato al ristorante, volevamo vederlo in faccia. Uomo schivo, di poche parole, quasi infastidito al banchetto. Si direbbe un garagista del Lambrusco.
Tarbianein 2016. Trebbiano di Spagna, non ci dice altro sulla vinificazione. Sappaimo solo che sono tutti rifermentati in bottiglia. Il colore è un giallo paglierino torbido, il naso è dolce, richiama quasi lo zucchero filato e il candito da panettone. Poi agrume e fiori. E’ un naso straordinario. In bocca una bollicina morbida, il sorso è corposo e fresco. Bel finale ammandorlato e sapido.
Lambruscaun 2014. Lambrusco Grasparossa, capito bene, 2014. Un Lambrusco. Colore porpora carico, dai sentori di frutta matura, prugna, fragola, in bocca morbido, dal tannino composto e dalla bevibilità infinita. La freschezza e l’acidità sono ottimamente armonizzate dal tannino vellutato. Chiude la bocca lasciandola perfettamente pulita. Un grandissimo Lambrusco.
Agr. Praesidium, Prezza (AQ), Abruzzo
Entroterra abruzzese. Siamo ai piedi della Majella e del Gran Sasso, a 400 metri sul livello del mare. Qui, dopo una veloce macerazione sulle bucce del Montepulciano, nasce lo splendido Cerasuolo d’Abruzzo di Praesidium. Nell’annata in degustazione esce come Rosato Terre Aquilane 2015. Una caramellina, un confetto.
Colore rosato carico, sembra di avere nel bicchiere un rosso a tutti gli effetti. Limpido e trasparente. Il naso è un’esplosione di frutti rossi, fragolina di bosco, lampone, melograno, rosa e note di spezie e minerali. Il sorso è appagante, richiama tutto quello che l’olfazione ti trasmette. Ottima acidità e freschezza. La forte escursione termica della vigna rende questo vino di una acidità ben integrata al fine tannino derivante dal Montepulciano. Da riempirsi la cantina.
Occhipinti Andrea , Gradoli (VT) , Lazio
Siamo sulle sponde del lago di Bolsena, a 450 metri sul livello del mare. Terroir caratterizzato da terreno di lapillo vulcanico.
Alea viva 2015.Da uve Aleatico 100%, vinificato in secco. Una settimana di macerazione sulle bucce e fermentazione in cemento, poi passaggio in acciaio fino all’imbottigliamento. Color porpora, naso di rosa e viola, gelso e ciliegia. Bocca fresca e appagante. Pulito. Vino dell’estate.
Rosso arcaico 2016. Grechetto 50%, Aleatico 50%. Macerazione di un mese sulle bucce, fermentazione in anfore di terracotta, dove il vino poi affina per almeno 6 mesi. Rubino, naso di rabarbaro, albicocca e spezia con finali note di erbe officinali. In bocca morbido e fresco.
Agr Francesco Guccione, San Cipirello (PA), Sicilia
Territorio di Monreale, 500 metri sul livello del mare. Voliamo nella Valle del Belice, in contrada Cerasa a San Cipirello, provincia di Palermo.
“C” Catarratto 2015. Qualche giorno di macerazione, il giusto, poi solo acciaio. Nel calice è color oro, naso balsamico, di the, agrume. Un richiamo di idrocarburo e tanto iodio. In bocca salinità e freschezza e il retro olfattivo che torna sulla frutta. Grande acidità e spinta. Un prodotto notevole.
“T” Trebbiano 2015. Anche qui qualche giorno di macerazione, poi viene affinato in legno piccolo usato e acciaio. Color oro e un naso che non stanca mai. Camomilla, fiori di campo, fieno, frutta gialla e agrume. Poi ginestra. La bocca è piena, rotonda e morbida . Persistenza infinita. Ricorda tanto, ma proprio tanto, certi trebbiani storici per il nostro paese.
Medico per vocazione e sommelier per passione. Mi sono poi riscoperto medico per passione e sommelier per vocazione. Sostieni il nostro progetto editoriale con una donazione a questo link.
(4,5 / 5) “Pizza fredda e birra calda”. E’ quello che si augura ad un amico quando gli si vuole rovinare la serata. Non ci occuperemo di pizza in questo contesto. Ma sulla temperatura della birra le cose non sono semplici come si crede. E questa Bière de Garde ne è un esempio.
LA DEGUSTAZIONE La “3 Monts” Grande Reserve si presenta di un bel color ambra chiaro, che vira decisamente verso l’arancione. La schiuma non è particolarmente densa né persistente.
Molto profumata, al naso la prima sensazione (che rimarrà durante tutto l’assaggio) è amaricante di scorza di arancia, e ricorda un celebre aperitivo dello stesso colore, poi sensazioni di mela, malto e spezie in perfetto equilibrio. L’ingresso in bocca è fresco e amarognolo.
Nonostante gli 8,5 gradi alcolici, la birra risulta piuttosto leggera e conserva una buona facilità di beva grazie al ritorno delle sensazioni aromatiche di agrumi e bitter già apprezzate al naso. Grande finale, lungo, aromatico, piacevolissimo, che lascia la bocca pulita, fresca e profumata.
Il mastro birraio consiglia di degustare 3 Monts Grande Reserve a circa 10-12 gradi, che è bene ricordare, è circa il doppio della temperatura dei nostri frigoriferi, quindi nessuna paura a tirarla fuori un po’ prima del servizio. Con gli abbinamenti ci si può sbizzarrire: non disdegna né un panettone con dei buoni canditi né un’anatra all’arancia.
LA PRODUZIONE
La Brasserie de St Sylvestre si trova a Saint Sylvestre Cappel, nel Nord-Pas-de-Calais, al confine col Belgio.
Secondo i documenti conservati nel Municipio di questo piccolo comune (poco più di un migliaio di abitanti) un birrificio esisteva già prima della Rivoluzione Francese, sebbene solo negli anni 60 dell’800 Louis Devrière acquistò la Brasserie dalla famiglia Cordonnier ridando vita ad una tradizione antica.
La 3 Monts è una birra ad alta fermentazione che appartiene allo stile “Bière de Garde”, tipico della regione di Calais. Si tratta di birre “da conservazione”, tradizionalmente prodotte in primavera e conservate in cantine fresche per essere bevute durante l’estate. In genere sono birre artigianali, ma vi sono anche versioni industriali di questo stile, di cui la 3 Monts è senz’altro un ottimo esempio.
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Sufficienza abbondante solo per tre dei 24 vini della linea “Integralmente prodotto” di Eurospin. Questo il responso della degustazione effettuata ieri dalla nostra redazione. In batteria, tutti i vini sponsorizzati per il secondo anno consecutivo dall’ex campione del mondo dei sommelier, Luca Gardini.
Un carrello della spesa pieno di delusioni, anche a fronte di una spesa complessiva di appena 60 euro. Ma allora chi ha bisogno di chi? Gardini di Eurospin? O Eurospin di Gardini? Senza dubbio la seconda delle ipotesi. “Integralmente prodotto” risulta una linea debole alla prova del calice. Il marketing creato ad hoc nei punti vendita e sui social network, attorno alla figura del noto sommelier, solleva (anche se di poco) l’asticella.
A caccia della campionatura necessaria alla degustazione, ci siamo imbattuti peraltro in annate diverse della stessa tipologia di vino. Segno che l’operazione Eurospin-Gardini è utile anche come “svuota magazzino”. Caso esemplare quello del Merlot Doc Friuli Grave “Il Greto” – prodotto dalla Viticoltori Friulani La Delizia Sca di Casarsa – presente a scaffale con diversi cartoni della vendemmia 2013, oltre alla 2014.
La scarsa riconoscibilità della maggior parte dei vitigni inseriti nella linea “Integralmente prodotto”, inoltre, non fa bene al consumatore. Neppure a quello sprovvisto di palato critico: quello a cui immaginiamo si rivolga Eurospin. Il quadro è quello di un pericoloso appiattimento della qualità media espressa sullo scaffale vini dell’insegna.
Eppure non mancano i nomi noti neppure tra i produttori ai quali si è rivolta la catena Gdo per questa sorta di Private label mascherata. Oltre alla già citata “Delizia La Casarsa,” troviamo la cooperativa pugliese Due Palme per Negroamaro e Primitivo, la Cooperativa di Sant’Antioco per il Carignano del Sulcis, Cantina Valpolicella Negrar per il Bardolino e l’onnipresente Cantina di Soave per il Soave. Tutte etichette bocciate.
Escono meglio la siciliana Cantine Settesoli con il Grillo, e la lombarda Cantina di Casteggio (Terre d’Oltrepò), in Oltrepò pavese, con lo spumante Metodo Classico di Pinot Nero Docg. Prodotti che si aggiudicano una stiracchiata sufficienza gusto-olfattiva, visto anche il rapporto qualità prezzo.
Di seguito le nostre note di degustazione dell’intera linea di vini “Integralmente prodotti”, con relativa valutazione in “cestelli della spesa”, anticipate dalla descrizione dell’ufficio marketing-pubblicità di Eurospin.
LA DEGUSTAZIONE
Müller Thurgau Vigneti delle Dolomiti Igt 2016 “Poderi di Enrico II”
Giallo paglierino scarico con riflessi verdognoli. Il green feeling del colore rimane anche al naso, in cui alla frutta bianca si accompagna una nota leggermente muschiata. Bocca agile, dinamica, agrumata non troppo impegnativa, ma neppure troppo complicata.
(2 / 5) Giallo paglierino scarico, riflessi verdolini. Naso di frutta a polpa bianca matura, litchi, ananas, papaya matura. Ingresso morbido, frutto maturo, che vira su sensazioni talco e mentuccia. Corto di persistenza, chiude leggermente amarognolo.
Soave Doc 2016 “La Pieve”
Agrumi e frutta bianca al naso. In fase di assaggio il refrain non cambia, almeno nella parte iniziale e centrale del sorso. Il finale invece è caratterizzato da toni sapidi che donano al sorso una discreta persistenza post assaggio.
(2 / 5) Giallo paglierino scarico, un po’ velato. Naso morbido, pesca gialla matura. Alla corretta temperatura viene fuori il minerale, qualche nota vegetale, un filo leggero di pepe bianco e buccia di pompelmo. Ingesso morbido al palato, sulla frutta a polpa bianca. Svolta prima acido-agrumata, poi sapida. Persistenza tutta sul sale, comunque corta. Un vino duro.
Verduzzo Veneto Igt frizzante 2016 Meolo
Profumi di frutta bianca e una leggera nota che ricorda la salvia. In bocca le sensazioni paiono decisamente più agrumate. A non cambiare invece è la nota piacevolmente balsamica che si avvertiva anche al naso. Molto versatile in fase di abbinamento.
(2,5 / 5) Bianco carta. Pera kaiser al naso, pesca bianca. Corrispondente in bocca. Grande morbidezza al palato, dovuta a un residuo zuccherino piuttosto evidente.
Pinot Grigio Vigneti delle Dolomiti Igt 2016 “Poderi di Enrico II”
Al naso parte delicato con profumi fruttati, in particolare su quelle tonalità che fanno ricordare la frutta a polpa bianca. Il sorso si muove sulle stesse coordinate del naso, aggiungendo tuttavia sensazioni agrumate e lievemente balsamiche.
(3,5 / 5) Colore giallo paglierino. Naso di banana, non molto intenso, in un contorno leggero di talco e mineralità salina. Qualche richiamo ai profumi terrosi del bosco, dopo la pioggia. Morbido in ingresso, al palato. Fresco, poi sapido. Più che sufficiente la persistenza. Una delle etichette che convincono nella linea di vini “Integralmente prodotti” di Eurospin.
Pignoletto Reno Doc Vino frizzante 2016 “Corte del Borgo”
Paglierino con riflessi verdolini. I profumi ricordano i fiori bianchi e gli agrumi. In bocca ritorna l’agrume, asciutto e non troppo aspro, in questa fase alternato a un certo green feeling che non sa di acerbo ma di aromatico.
(1,5 / 5) Paglierino. Naso di mela gialla matura e uva spina. In bocca disarmonico, a dir poco: lotta continua tra la parte morbida, zuccherina, e la parte salata. Squilibrato.
Falanghina del Sannio Dop 2016 La Guardiense
Profumi freschi di grande pulizia. Ci sono gli agrumi, la frutta bianca, oltre a quelle delicate sensazioni balsamiche e quasi mentolate che in bocca donano, specie sul finale del sorso, una bella verve e una rinfrescante bevibilità.
(3 / 5) Giallo paglierino, riflessi dorati. Naso che ha bisogno della corretta temperatura per esprimersi. Agrumi, talco. In bocca la classica tensione acida della Falanghina giovane. Non molto elegante, ma sufficientemente persistente.
Vermentino di Gallura Docg 2016 “Costa Dorada”
Ti porta ai tropici con i profumi fruttati, tanto mango, per poi farti atterrare, questa volta durante l’assaggio, in un clima più mediterraneo. Il sorso rimane centrato sulla sfera fruttata con agrumi dolci e qualche lampo di macchia mediterranea.
(3 / 5) Calice giallo paglierino. Ananas, miele, un minimo di mineralità al naso. Poco intenso, nel complesso, al naso. Bocca corrispondente, con richiami esotici di papaya e ananas e chiusura amarognola tipica. Voto sufficiente ma stiracchiato.
Grillo Terre Siciliane Igt 2016 “Isola del sole”
Colore giallo paglierino. Attacca, al naso, facendo ricordare gli agrumi mescolati con toni lievemente tropicali, mai troppo dolci. La bocca è una fedele trasposizione del naso a base di agrumi e frutta gialla matura. La sapidità qui ha contorni quasi iodati.
(3,5 / 5) Giallo paglierino. Naso giocato tra iodio, macchia mediterranea, agrume maturo (bergamotto), foglia di pomodoro e the nero. Bocca acida, pulita, sapida, corrispondente sugli agrumi. Sufficientemente persistente. Un Il secondo vino della linea “Integralmente prodotto” Eurospin che si discosta dalla media.
Oltrepò Pavese Metodo Classico Pinot nero Docg Spumante Brut “
Il frutto, nota dominante al naso, ricorda in particolar modo il lampone e la mela. La bocca ritorna sulla sensazione di mela, anche se in questa fase le affianca una nota di susina gialla, completata dalle classiche note di lievito. Sottofondo agrumato.
(3 / 5) Giallo paglierino. Perlage mediamente fine, persistente. Al naso crosta di pane caratteristica dei lieviti, agrumi, frutta a polpa bianca (pesca, mela) e uva spina. Una punta di balsamico. Un naso che perde eleganza nella permanenza nel calice. In bocca bollicina un po’ aggressiva in ingresso, ma pronta a distendersi nel sorso. Palato dominato dagli agrumi. Chiude, sempre “duro”, sull’arancia e sul lime. Retrolfattivo sul pompelmo. Un prodotto che non sfodera certo l’eleganza dei Pinot Nero oltrepadani, ma che neppure sfigurerebbe su una tavola poco pretenziosa.
Prosecco Doc Vino frizzante
Il tris di fiori bianchi, frutta a polpa bianca e note di lievito determinano il bouquet di profumi. In bocca le sensazioni aumentano non tanto di numero, quanto in definizione e realismo. Buone doti di beva.
Non valutato: stock assente
Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Doc 2016 Ccm Montecarotto
Mela verde e agrumi fanno capolino al naso. In bocca ritorna la parte fruttata con sentori esotici portati in dote da sensazioni dolci-acide di ananas fresco. Finale sapido come vuole il vitigno.
(3,5 / 5) Giallo paglierino, riflessi dorati. Bel naso, caratteristico, minerale, erbaceo. In bocca conferma la mineralità, salina. Chiude fresco, acido, e sapido. Terzo vino convincente della linea “Integralmente prodotto” Eurospin.
Orvieto Doc 2016 “Loggia delle Poste”
Leggera nota floreale di fiori bianchi, seguita da più evidenti note fruttate, soprattutto agrumate. Dopo l’identikit dei profumi, il sorso mette in luce una bocca piuttosto snella e tesa, tutta bergamotto, lime e sale.
(3 / 5) Paglierino. Naso di erba giovane, appena tagliata. Un filo di mineralità leggera. Buccia di pompelmo. Bocca tutta sapida e di limone. Un vino che forse troverà nei prossimi mesi un definitivo equilibrio.
Cerasuolo d’Abruzzo Dop Co.ci Ortona
Colore rosa antico. La rosa, in questo caso il fiore, è la prima sensazione che si avverte al naso, insieme a quella parte fruttata che rimanda al frutto rosso. In bocca proprio la ciliegia fresca diventa protagonista, garantendo freschezza e bevibilità.
Non giudicabile: bottiglia difettata (acido acetico)
Barbera d’Asti Superiore Docg 2015 Cantina Sociale di Castel Boglione
La frutta rossa mescolata a tonalità speziate caratterizza il naso. La bocca riparte dalle sensazioni olfattive, anche se il frutto, acido e succoso, domina la prima parte del sorso, mentre la spezia, cannella e pepe rosa, caratterizza il finale.
(2,5 / 5) Rosso rubino impenetrabile, denso. Naso da sondare con la torcia. Sentori poco fini di frutta rossa, tra cui spicca il ribes. Qualche richiamo animale e di straccio bagnato. Al palato note sapide in disarmonia con il quadro fruttato.
Merlot Friuli Doc “Il Greto” La Delizia di Casarsa
Naso quasi vellutato con frutto scuro e qualche nota balsamica per nulla pungente. In bocca ha una bella trama fruttata, supportata da un corpo mai eccessivo. Nel finale si avverte una piacevole nota amarotica, oltre a un tannino di natura sapida.
– (2,5 / 5) 2014: Rosso rubino poco trasparente. Naso tipico: vegetale, frutto rosso, nota dolce tra la confettura e il miele, disturbata da una percezione di smalto. In bocca corrispondente.
– (3 / 5) 2013: Rosso rubino denso, quasi impenetrabile. Naso di liquirizia, evoluto, erbaceo. Fumè. In bocca manca un po’ di corpo, ma sapidità e frutto sempre presenti. Bottiglia giunta però al culmine della curva evolutiva, senza emozionare.
Chianti Riserva Docg 2014 Loggia delle Poste
Il frutto rosso che mette in evidenza il naso è in prevalenza fresco, anche se non manca qualche tono di confettura di amarena. In bocca è succoso, snello, dotato di una speziatura che ricorda il pepe rosa e il chiodo di garofano. Tannino dolce.
(3 / 5) Rosso rubino impenetrabile. Altro vino dal naso piuttosto debole. Frutto rosso, macchia mediterranea, talco. Al palato appare corrispondente, ma non è un Chianti da ricordare.
Bardolino Doc 2016 Gran Signoria
Intensi profumi di frutti rossi. In bocca è asciutto e molto realistico, specie su quelle sensazioni, avvertibili fino a metà bocca, che ricordano la ciliegia e l’amarena. Finale delicatamente speziato. Grande facilità di abbinamento.
(2 / 5) Entry level a dir poco. Naso e bocca piatti, su tinte di ciliegia e amarena. Persistenza sconosciuta. Vino da tavola senza minime pretese.
Lambrusco Grasparossa Doc Frizzante 2016 Amabile Corte del Borgo
Bello il colore viola che riprende, cromaticamente, alcune tra le sensazioni (viola e mora) che più fanno capolino sia al naso sia in bocca. Se poi all’assaggio ci aggiungi anche la morbidezza un po’ zuccherosa della confettura di ciliegia, ecco che l’identikit di questo vino può dirsi completo.
(1,5 / 5) Rosso impenetrabile. Naso di mela matura, rossa. Bocca corrispondente. Al limite della bevibilità, se trattato alla stregua del vino.
Morellino di Scansano Docg 2016 Poggio d’Elci
Rosso e nero, parlo di frutto, sono i protagonisti del naso. In bocca il vino si manifesta sulle stesse sensazioni, inserendole in un sorso dal corpo medio. La descrizione dell’assaggio non rimane circoscritta al frutto, mettendo in luce una discreta varietà di piante aromatiche. Tannino potente.
(2 / 5) Rosso rubino piuttosto trasparente. Naso di frutta, lampone e rosa. Un poco di mineralità sapida. Frutto che pecca in finezza, tannino non pervenuto. Corto.
Syrah Terre Siciliane 2016 Poderi Ciacaranni
Profuma in prevalenza di frutto scuro anche se non manca, sempre al naso, un delicato sottofondo speziato di chiodo di garofano e pepe nero. In bocca la parte del frutto scuro, un mix tra mora e ciliegia fresca, lascia spazio alle spezie piccanti specie nel finale del sorso.
(3 / 5) Rosso rubino poco trasparente. Frutto rosso e spezie: pepe nero. Bella bocca piena, di nuovo di frutto rosso. Un filo di troppo di residuo zuccherino, che copre e disturba la sapidità, pur non andando a contrastarla.
Carignano del Sulcis 2016 Isolasarda
Profumi di frutti neri accompagnati da note terrose. In bocca entra con note di gelso, rimanendo poi comunque sul frutto scuro grazie a tonalità che ricordano nitidamente la mora. Finale leggeremente vegetale, completato da note di grafite. Tannino salato.
(2 / 5) Rosso rubino impenetrabile. Naso flebile frutta rossa, più balsamico ed erbaceo. In bocca il calore tipico del Carignano è smorzato dall’eccessivo residuo zuccherino.
Chianti Classico 2015 Montostoli
Floreale (viola) e fruttato (melograno e ciliegia) al naso. In bocca la parte fruttata prende il sopravvento, grazie a un frutto rosso fresco, succoso, ma anche leggermente alcolico. Dalla seconda metà dell’assaggio compare una sottile trama balsamica. Tannino acido.
(3 / 5) Rosso rubino impenetrabile. Naso di melograno e ciliegia, una punta spezie (pepe nero). Prima volta che si percepisce il tannino in un vino Eurospin. Da abbinare, facile, alla carne.
Primitivo Salento 2016 Solemoro
Floreale (viola) e fruttato (melograno e ciliegia) al naso. In bocca la parte fruttata prende il sopravvento, grazie a un frutto rosso fresco, succoso, ma anche leggermente alcolico. Dalla seconda metà dell’assaggio compare una sottile trama balsamica. Tannino acido.
(2,5 / 5) Rosso rubino poco trasparente, quasi impenetrabile. Frutta matura, erbe. Un residuo zuccherino che piacerà forse alle donne, ma che in fin dei conti appesantisce la beva. Prodotto da relegare alla categoria dei “piacioni”.
Negroamaro Salento 2016 Solemoro
Olfatto fruttato. Nonostante questo sia il tema principale il naso non manca di complessità, per merito di una bella alternanza di frutta a polpa gialla e bacche fresche. Il sorso si discosta da quest’abbondanza di sensazioni fruttate, grazie anche a note di carruba, frutta secca e spezie scure.
(2,5 / 5) Rosso impenetrabile. Naso di marmellata, prugna, ciliegia, amarena. In bocca il classico “dolcione pugliese”. Ma di quelli di una volta. Perché oggi, in Puglia, si beve di gran lunga meglio. Anche senza spendere tanto di più.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Se nel video vi è sembrato di vedere delle mutandine da donna, un reggiseno e delle collant…beh, consultate un buon medico. Qui si parla solo di vino 😉. Stasera degusteremo l’intera linea di vino “Integralmente prodotto” di Eurospin Italia.
Quello promosso per il secondo anno consecutivo da Luca Gardini, (ex) miglior sommelier del mondo. Nel frattempo…vi rinfreschiamo la memoria con l’intervista in esclusiva dello scorso anno: http://wp.me/p7zTxF-1Ms. A presto!
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
(5 / 5) L’Abruzzo del vino deve il suo successo, specie negli ultimi anni, al Pecorino (oltre al classico Montepulciano). Ma sul mercato si fa largo un vitigno autoctono abruzzese a bacca bianca: la Cococciola. E’ Auchan a portarlo alla ribalta sui propri scaffali. Obiettivo centrato non solo nello straordinario rapporto qualità prezzo.
La valorizzazione dei vitigni autoctoni da parte delle insegne di supermercati è un aspetto che troppi buyer ancora sottovalutano. Giù il cappello per il coraggio dimostrato dalla catena francese del gruppo Adeo. Ennesima riprova delle positive ricadute di una “buona Gdo” sul tessuto vitivinicolo.
LA DEGUSTAZIONE
Sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper finisce così la Cococciola 2016 “Niro” di Citra Vini, consorzio di 9 cantine sociali che ha come obiettivo quello di “selezionare, controllare e valorizzare la migliore produzione enologica della provincia di Chieti”.
Nel calice, il vino si presenta di un giallo paglierino limpido dai riflessi dorati. Al naso, la Cococciola parla una lingua esotica, capace di scaldare il cuore: una spremuta d’agrumi, papaya e pesche. Un olfatto ammiccante, reso più serioso da evidenti note minerali e da interessanti richiami di foglia di pomodoro secca.
L’ingresso in bocca di “Niro” è morbido e fa pensare a quel 13% d’alcol in volume indicato in etichetta. Una percezione che limita a tradursi in seta per il palato, carezzevole, tutt’altro che stordente. Poi arriva il pizzicotto dell’acidità e della sapidità. Durezze perfettamente equilibrate in un sorso che si fa sempre più interessante.
Non stiamo certo parlando di un vino particolarmente “complesso” in termini d’aromi. Quel che colpisce è la sua evoluzione fatta di gradini netti e ben definiti, come l’incedere dei capitoli di un libro che svela piccoli segreti, prima della verità finale. Frutta e i richiami floreali freschi. Poi l’acidità. Quindi la sapidità.
Prima della scritta “the end”, la Cococciola 2016 di Citra Vini regala una lunga chiusura su note piacevolmente fresche e agrumate, capaci di chiamare il sorso successivo e di accompagnare il piatto in maniera quasi spasmodica.
Accompagnamento perfetto, quest’autoctono Igp Terre di Chieti, per piatti a base di mare: dalle insalate ai crudi, passando per i crostacei. Da provare con il sushi. Un’etichetta che non disdegna neppure la carne bianca. Purché si badi a una temperatura di servizio tra i 10 e i 12 gradi.
LA VINIFICAZIONE
Di Cococciola, in Abruzzo, non ce n’è molta. Che la si chiami così, oppure “Cacciola” o “Cacciuola”, si parla di poco meno di 500 ettari. Citra Vini seleziona i grappoli e li raccoglie a mano. La tecnica di vinificazione di “Niro” prevede una pressatura soffice degli acini. Il mosto viene lasciato decantare diverse ore, prima della fermentazione a temperatura controllata.
Operativa dal 1973 in Contrada Cacullo a Ortona, in provincia di Chieti, Citra Vini si pone come “punto di riferimento” in un’area in cui la viticoltura è il pane quotidiano per molte famiglie. Non a caso, Chieti è la seconda provincia italiana (la prima in Abruzzo) per quantità di uva raccolta di vendemmia in vendemmia.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Louis Roederer è una delle poche Maison de Champagne ancora gestita dalla famiglia fondatrice. Una storia che affonda le radici nel lontano 1776, a Reims. La cantina ottiene il nome attuale nel 1833, quando viene ereditata da Louis Roederer, che intraprende un percorso di crescita e ristrutturazione in controtendenza rispetto alle altre realtà della regione.
A differenza di altre Maison (i cosiddetti Négociant Manipulant) che acquistano uve da altri vignaioli, Louis è convinto che il segreto di un grande vino risieda nella terra. Inizia così a investire nell’acquisto di vigne nei territori dei Grand Cru e Premier Cru. Un approccio da piccolo vignaiolo (Récoltant Manipulnat, come si dice Oltralpe) ma su larga scala.
Nel 1850, la Maison Roederer può contare su 100 ettari di proprietà. Oggi su oltre 240 ettari, suddivisi in 410 appezzamenti fra la Montagne de Reims, la Cote de Blancs e la Vallée de la Marne. Unica nel suo genere, la cantina coniuga in sé tanto l’abilità enologica propria delle grandi Maison quanto l’attenzione alla viticoltura tipica dei Vigneron.
Per dar modo di conoscere ed approfondire gli Champagne di Louis Roederer lo scorso 20 ottobre la sezione Onav di Varese ha organizzato un’interessante degustazione.
LA DEGUSTAZIONE Sette le proposte. Apre la serata il Brut Premier, il “base” di casa Roederer, lo champagne pensato per dare continuità alla Maison dopo la prima guerra mondiale.
Vinificazione in fusti di rovere per la cuvée composta dal 40% di Pinot Noir, 40% di Chardonnay e 20% di Pinot Meunier. Tre anni di affinamento sui lieviti, 6 mesi di riposo in bottiglia dopo la sboccatura, 9 g/l di dosaggio.
Giallo paglierino brillante, perlage piuttosto fine. Molto pulito al naso con note fruttate di mela, di agrume, vegetali di fieno ed una dolcezza di crema pasticcera. In bocca il perlage è un poco aggressivo. Grande acidità e buona sapidità. Evidente la presenza del Meunier. Equilibrato con una dolcezza di miele e camomilla che accompagna la breve persistenza.
Brut Rosè Vintage 2011. Annata difficile con inverno secco, primavera calda ed estate fresca e piovosa che costrinse a vendemmia anticipata. 63% Pinot Noir, 37% Chardonnay. Il 22% dello Chardonnay è vinificato fusti di rovere mentre il 13% fa fermentazione malolattica. Quattro anni di affinamento e 6 mesi di riposo in bottiglia dopo sboccatura. 9 g/l il dosaggio zuccherino.
Color buccia di cipolla brillante, il perlage è piuttosto fine e persistente. Al naso è più timido del brut con note di melograno, gesso e salmastre di ostrica seguite da una speziatura di pepe bianco.
Un poco aggressivo il perlage, di buona acidità, chiude su di una nota amarognola forse dovuta al residuo zuccherino.
Blanc de Blanc Vintage 2008. Annata con primavera molto piovosa ed estate secca che hanno dato una maturazione lenta e progressiva delle uve. 100% Chardonnay, il 15-20% vinificato in botti di rovere con battonage settimanale e nessuna fermentazione malolattica, 5 anni di affinamento sui lieviti ed un dosaggio zuccherino di 8-10 g/l.
Paglierino con riflessi dorati al naso è molto fine, delicato. Uno champagne che non urla i propri sentori ma che sussurra note floreali e fruttate contornate da un profumo di erba tagliata. Molto elegante in bocca non rivela il proprio dosaggio zuccherino forte di una grande mineralità. Lunga la persistenza.
Brut Nature 2009 e Brut Nature 2006. Una mini verticale. Il Brut Nature 2009 nasce in un’annata ricordata come una delle migliori in Champagne, con inverno rigido e secco ed estate soleggiata ed asciutta. 70% di Pinot Noir e Pinot Meunier, 30% Chardonnay. 25% della vinificazione in rovere, nessuna malolattica, nessun dosaggio zuccherino.
Colore paglierino con riflessi dorati. Naso molto espressivo ove si riconoscono note floreali di ginestra, frutta bianca, agrumi, mandorla e marzapane ed una nota di tabacco da pipa. Al palato il perlage è molto piacevole in contraltare con la schietta acidità del pas dosé.
Il 2006 è l’anno che suggella le varie prove della Maison, iniziate nel 2003, per la realizzazione del primo Brut Nature. 70% di Pinot Noir e Pinto Meunier, 30% Chardonnay. Fermentazione spontanea del 100% dei vini in botti di legno. Nessun dosaggio.
Colore più carico rispetto al 2009 al naso è più chiuso con sentori simili a quelli del 2009 contornati da una nota dolce di confetto. In bocca è teso e pulito con una grande mineralità.
Vintage 2009. 70% Pinot Noir, 30% Chardonnay. 30% circa dei vini vinificati in legno. 9 g/l di dosaggio. Color giallo dorato con perlage molto fine e persistente. Estremamente pulito al naso con note di cera d’api, di frutta disidratata, note di spezie, di tostatura e di pasticceria.
Finissimo in bocca col perlage che accarezza il palato, uno champagne rotondo con acidità e mineralità perfettamente bilanciate. Lunga la persistenza.
Chiude la degustazione Cristal 2007. Annata con primavera calda ed estate fresca chiusa da una vendemmia in condizioni ideali. La cuvée, ottenuta da vecchie viti, si compone del 58% Pinot Noir e 48% Chardonnay con il 15% dei vini vinificati in rovere. 9,5 g/l il dosaggio.
Colore dorato con perlage finissimo. Pulizia assoluta al naso con agrume maturo, tostatura che vira al fumé e note minerali di pietra focaia. Bocca equilibrata ed estremamente armonica. Finale lungo.
LA STORIA DEL CRISTAL Correva l’anno 1867 quando la Maison Roederer confezionò una versione speciale della propria Cuvée de Prestige per lo Zar di Russia Alessandro II.
A causa di tensioni nazionali ed internazionali si temevano attentati alla vita dello Zar e così, in occasione della “Cena dei tre imperatori” cui Alessandro II avrebbe partecipato (insieme a Guglielmo I di Prussia ed al principe Otto von Bismarck) venne realizzata una bottiglia particolare.
La bottiglia era in cristallo trasparente (da cui il nome) per garantire che al suo interno vi fosse champagne e non qualche liquido infiammabile o esplosivo.
Allo stesso modo il fondo della bottiglia era piatto per evitare che vi si potessero nascondere altre minacce. La bottiglia così nata, adornata da una etichetta dorata che ne esalta l’eleganza, divenne un’icona a tal punto da essere oggi considerata dagli economisti un “bene di Veblen”.
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Voliamo in Grecia per il racconto di Melissanthi 2016, vino bianco biologico prodotto da Porto Carras nell’area della Denominazione di origina controllata Meliton Slopes (Protected Designation of Origin, “Pdo”). Un blend di uve autoctone della Macedonia, allevate sulla penisola centrale della Calcidica.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, Melissanthi 2016 si presenta di un giallo dorato. Naso dall’impronta minerale netta, come nelle migliori delle aspettative per un vino greco. Il contorno è piacevole, tra la la frutta esotica, l’agrume maturo e il melograno.
Non mancano i richiami vegetali alla macchia mediterranea, soprattutto al rosmarino. Completa l’olfatto di Mellisanthi una nota di miele millefiori, che avanza nel calice grazie all’ossigenazione, assieme a ricordi di cera d’api e liquirizia dolce.
Un olfatto complesso, dunque. Al palato, questo blend di Porto Carras risulta tagliente, per la buona acidità espressa, ma in netto equilibrio con le altre componenti. Melissanthi gioca quasi esclusivamente su note agrumate, dall’ingresso sino al fin di bocca. Intervallate da percezioni erbacee già apprezzate all’olfatto.
La chiusura, amarognola, ricorda quella di certi vermentini sardi. Questo bianco greco si abbina con piatti di mare, primi leggeri a base di pasta, carni bianche e cucina orientale.
LA VINIFICAZIONE
Mellissanthi 2016 è ottenuto da uve Athiri, Assyrtiko e Roditis allevate nella Pod Meliton Slopes. Si tratta di piante di 45 anni di età, situate a un’altezza compresa fra i 300 e i 400 metri sul livello del mare. Le viti affondano le radici in terreni prettamente sabbiosi.
Uva volta raccolte le uve, la tecnica di vinificazione prevede un contatto del mosto con le bucce a bassa temperatura. La fermentazione avviene in acciaio, con l’aggiunta di lieviti selezionati, alla temperatura di 16-18 gradi. Il vino matura in seguito sulle bucce per diversi mesi, prima della filtrazione e dell’imbottigliamento che anticipano la commercializzazione.
Domaine Porto Carras vanta il più grande vigneto in Grecia atto alla produzione di “organic wines”, vini biologici. Quattrocentocinquanta gli ettari a disposizione della cantina di Sithonia, realizzata nel 1970. E’ al noto enologo Émile Peynaud, professore dell’Università di Bordeaux, che si deve parte del successo di Porto Carras. Oggi vengono allevate 26 differenti varietà di uva.
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Nove euro per un Barolo. Tigros batte tutti, nelle settimane in cui impazzano le promozioni sul vino al supermercato. Sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper il Barolo Docg 2011 Le Calende, imbottigliato (attenzione non “prodotto”) da quella che in etichetta si presenta come “Co. Tra. Pro Soc. Coop. Agr. Castiglione Falletto – Italia”.
Una sigla dietro la quale si cela la Cantina Terre del Barolo di via Alba 8, a Castiglione Falletto. Una Cooperativa agricola piemontese con un fatturato vicino ai 18 milioni di euro (dato 2015), spesso premiata dalle guide internazionali. Ma non per questo prodotto.
LA DEGUSTAZIONE (2 / 5) Nel calice, il Barolo Docg 2011 Le Calende si presenta di un rosso granato con unghia aranciata. A un’ora abbondante dall’apertura della bottiglia, il vino ha ancora bisogno di aprirsi per mostrare appieno i suoi aromi.
Al naso, la percezione monocorde è quella di legno e resina adesiva, unita alla “botta” dell’alcolicità. Timidissimi sentori fruttati e terziari di zafferano interrompono la monotonia, col passare dei minuti. Non demordiamo. E a due ore dall’apertura della bottiglia, il Barolo Le Calande mette sul piatto altri sentori: rosmarino, alloro. Una punta di ginepro. E’ ora di tirare le somme, per una parte olfattiva che non soddisfa affatto, in quanto a finezza.
In bocca operiamo alla stessa maniera, con assaggi ripetuti a distanza di tempo. Il primo e il secondo equivalgono a una bocciatura senza condizioni. Quel che è peggio è che il Barolo Le Calende finisce con lo scomporsi ancora di più, col passare dei minuti.
Un Barolo, in definitiva, sconsigliato a chi conosce le punte di qualità che può raggiungere sul medio-lungo periodo l’uva Nebbiolo: sinonimo di finezza, compostezza, eleganza ed equilibrio fra tutte le componenti.
Per la qualità espressa in degustazione, Le Calende risulta in perfetta armonia con il suo prezzo pieno (14,99 euro), largamente al di sotto della media dei Barolo presenti sugli scaffali della grande distribuzione.
Il taglio del 40% operato sul volantino promozionale dei supermercati Tigros, promosso dalla buyer Francesca Macchi, lo sottodimensiona ulteriormente.
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(3,5 / 5) Un metodo classico Trento Doc a meno di dieci euro, dai vigneti delle Dolomiti alla lente di ingrandimento di vinialsuper e sullo scaffale della maggior parte dei supermercati.
Prodotto “entry level” della linea Rotari, marchio del Gruppo Mezzacorona, si trova spesso anche in offerta.
LA DEGUSTAZIONE Lo Spumante Trento Doc Brut Rotari all’esame visivo si presenta giallo paglierino con un perlage fine e persistente. Le note di lieviti sono inizialmente predominanti, ma non disturbano. Poco dopo, sotto la crosta di pane emergono anche fresche note fruttate di mela Golden, agrumi ed erbe fini di campo.
Il perlage vellutato dona una bella cremosità al palato. Dosaggio zuccherino non pervenuto. Per il brut deve essere compreso fra i 6 e il 12 g/l, ma, nel caso del Trento Doc, complice anche la morbidezza sembra spinto più verso l’estremo della scala alta del dosaggio. Uno spumante di facile lettura, che fa il suo lavoro e che con la sua leggerezza (12,5%) ed il suo sorso fresco e disteso pulisce la bocca offrendo una beva disinvolta e perfetta per un aperitivo o a tutto pasto.
LA VINIFICAZIONE Blanc de Blancs di uve Chardonnay vendemmiate a mano dai vigneti sulle Dolomiti riposa in bottiglia due anni. Rotari Trento Doc è un marchio del Gruppo Mezzacorona. realtà cooperativa sita a Mezzacorona in provincia di Trento, azienda con un fatturato di circa 164 milioni di euro.
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(4,5 / 5) Impresa non impossibile trovare un buon Bonarda al supermercato. Ma bisogna sapere dove andarlo a cercare. Un porto sicuro è quello offerto dall’Azienda agricola Fiamberti di Canneto Pavese.
Una delle prime cantine a entrare nella galassia Esselunga, al momento dello sbarco del colosso della Gdo in provincia di Pavia.
Sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper, in particolare, il Bonarda dell’Oltrepò pavese Doc 2016 “Vigna Bricco della Sacca”. Un “cru” di uve Croatina, dal quale Fiamberti trae in edizione limitata il vino rosso del pavese più noto al grande pubblico dei supermercati.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, questo Bonarda è perfettamente conforme alle caratteristiche espresse dal disciplinare di produzione. Colore rosso intenso, impenetrabile. E unghia purpurea, vivacizzata al momento del servizio da una spuma generosa, che svanisce in fretta. Lasciando così spazio al tuffo del naso.
I sentori parlano di un’uva raccolta a perfetta maturazione: caratteristica essenziale per la produzione di un ottimo Bonarda, che si stacchi dalla media di quelli prodotti senza troppa attenzione al risultato finale (tanto, poi, andranno a scaffale in Gdo a 2 euro, magari pure a volantino).
A una temperatura di servizio di 14-15 gradi, le note fruttate di ciliegia e lampone sono nette e perfettamente definite. La complessità non è una caratteristica del Bonarda, che deve restare un vino semplice, ma pulito. Qui, l’obiettivo è centrato. Perde un po’ di finezza, “Vigna Bricco della Sacca”, con la permanenza nel calice.
A una temperatura di 18°, peraltro suggerita dal produttore in etichetta, ciliegia e lampone perdono parte della loro gentilezza. Sfociando nel ribes da un lato (accentuato dalla leggera percezione del tannino, evidente a temperature più basse) e nella mela gialla matura dall’altro (il residuo zuccherino, non stucchevole, sembra divertirsi a controbilanciare il tannino).
Note che ritroveremo in un retro olfattivo di sufficiente persistenza, ma di nuovo non all’altezza della finezza espressa in ingresso. D’altro canto tutto tranne che sentori fastidiosi. Peraltro prevedibili in una vendemmia anomala e calda come la 2016, in occasione della quale si è fatto comunque un buon lavoro in casa Fiamberti, visti i risultati in bottiglia.
Mezzo punto in più (da 4 a 4.5) nella speciale scala di valutazione di vinialsupermercato.it per il prezzo fortemente concorrenziale del prodotto, nettamente superiore ad altri della stessa tipologia, dal punto di vista qualitativo. Un affare l’acquisto in occasione di promozioni da parte di Esselunga.
Vino a tutto pasto per antonomasia, il Bonarda Doc 2016 “Vigna Bricco della Sacca” non fa eccezioni. Dà il meglio di sé con antipasti a base di salumi e primi piatti non troppo elaborati. Da provare – per chi ama giocare con gli abbinamenti in cucina – con gli spätzle, i tipici gnocchetti tirolesi agli spinaci, con panna e fiammiferi di speck dolce.
LA VINIFICAZIONE
Se c’è un aspetto che salta all’occhio nella degustazione della Bonarda Fiamberti “Vigna Bricco della Sacca”, è l’indubbia attenzione nella selezione delle uve del “cru” e nella tecnica di vinificazione.
La Croatina viene pigiata non appena raccolta, al fine di evitare indesiderate fermentazioni. La temperatura stessa fermentazione, in cantina, viene costantemente controllata. Avviene a contatto delle bucce, secondo l’antica tradizione. L’affinamento avviene esclusivamente in acciaio, per preservare le caratteristiche varietali del vitigno.
L’azienda agricola Fiamberti di Canneto Pavese è una delle aziende più antiche dell’Oltrepò Pavese e dell’intera Lombardia. Nel 2014 ha festeggiato i 200 anni dalla sua fondazione. “Il vino è storia e geografia liquida – sintetizza Giulio Fiamberti, oggi alla guida dell’impresa di famiglia – e non si fa senza terreno e tradizione. Lavoreremo con entusiasmo e attenzione affinché chi beve i nostri vini sappia sempre da dove vengono”.
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Torniamo ad occuparci delle bollicine di Capitanata, torniamo a parlare di Cantine d’Araprì. Dopo il Metodo Classico Brut Rosè degustiamo oggi il Gran Cuvée XXI Secolo, millesimo 2009.
LA DEGUSTAZIONE
Giallo dorato luminoso con riflessi brillanti presenta un perlage molto fine con catenelle lente e persistenti. Al naso si presenta fine ed intenso.
Apre su note agrumate, scorza d’arancia e mandarino, per evolversi su note di frutta bianca matura come albicocca e pesca. Chiude su note terziarie di pane tostato e tabacco con un leggero sentore di miele. Un ventaglio olfattivo complesso ed elegante.
In bocca è ampio ed il fine perlage dona cremosità ed ulteriore spessore, mentre la vivace acidità sostiene il sorso donando piacevolezza ed agilità al sorso. Uno spumante tutt’altro che banale, “per intenditori”, ma immediato e dotato di grande facilità di beva.
LA VINIFICAZIONE Gran Cuvée XXI Secolo è un millesimato (spumante in cui i vini base provengono da un’unica vendemmia) prodotto solo nelle annate migliori, quando le uve esprimono a pieno il loro potenziale.
Ottenuto da assemblaggio di uve Bombino Bianco, Pinot Nero e Montepulciano vendemmiate separatamente per cogliere la migliore maturazione delle uve. Fine agosto per il Pinot Nero, metà settembre per il Bombino Bianco, fine settembre/inizio ottobre per il Montepulciano.
Raccolta e selezione dei grappoli manuale. Lungo affinamento sui lieviti, minimo 60 mesi, e basso dosaggio zuccherino (4g/l) completano il processo produttivo.
LA CANTINA Buone escursioni termiche, clima mitigato dal vicino mare e dal promontorio del Gargano, terreni argillo-calcarei con presenza di limo e sabbia. Ecco i segreti di questo terroir, scelto nel ormai lontano 1979 da tre amici, Girolamo d’Amico, Louis Raspini e Ulrico Priore (“d’Araprì”, dalle iniziali dei cognomi), che decisero di fondare in San Severo l’unica realtà vinicola pugliese specializzata in metodo classico.
Gran Cuvée XXI Secolo è il primo prodotto millesimato da lungo affinamento editato da questa cantina. Prodotto che sembra aver vinto la sfida del tempo presentandosi armonico e complesso, in grado di reggere l’abbinamento con strutturate preparazioni di pesce ma anche in grado di esaltare con la sua freschezza le semplici preparazione delle cucina del territorio, come il “pane e pomodoro” o i formaggi stagionati.
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(4 / 5) Castel del Monte è un’icona del turismo meridionale. Federico II di Svevia andava a caccia con il falcone nei terreni circostanti il suo celebre maniero ottagonale. In queste stesse terre produce i propri vini la cantina Rivera, di proprietà della famiglia De Corato da tre generazioni.
LA DEGUSTAZIONE
Il Falcone, blend “antico” di uve rosse autoctone, è da più di 40 anni il vino simbolo dell’azienda di Andria. Nel calice si presenta rosso granato compatto. All’olfatto sprigiona tutta la sua signorilità, catturando il naso con profumi di frutti rossi maturi, cuoio, datteri, cioccolato fondente, giustificati dalla permanenza per 14 mesi del 50% del prodotto in rovere francese ed il restante 50% in botti da 30 ettolitri.
Per chi li sa ricercare regala anche lievi profumi mentolati. In bocca presenta un tannino elegante e vellutato perfettamente integrato. È un vino secco, con 6 anni di vita, ma che presenta tutte le caratteristiche per potersi ancora evolvere nel tempo. Si consiglia di accompagnarlo a carne di selvaggina, formaggi stagionati, grigliata di carne rossa.
LA VINIFICAZIONE
Il Castel del Monte Rosso Riserva Docg “Il Falcone” 2011 dell’Azienda vinicola Rivera è ottenuto dalla vinificazione di Nero di Troia (70%) e Montepulciano (30%). Le uve vengono vendemmiate tra la terza e la quarta
settimana di ottobre. La macerazione dura 15 giorni in vinificatori di acciaio con delestage e frequenti rimontaggi allo scopo di ottenere una migliore estrazione di sostanze aromatiche e coloranti e al tempo stesso
ammorbidire il tannino.
Il Falcone matura per 14 mesi in legno: metà in barrique di rovere francese di primo, secondo e terzo passaggio e metà in botti di rovere francese da 30 ettolitri. Un ulteriore affinamento di almeno un anno in bottiglia completa la sua maturazione, prima della commercializzazione.
Il Castel del Monte Docg di Rivera viene prodotto nel territorio del Comune di Andria, nella zona dell’omonima Denominazione di origine controllata e garantita. I vecchi vigneti affondano le radici in terreni tufacei profondi, a un’altitudine di 200 metri sul livello del mare.
Il metodo di allevamento è quello del cordone speronato con una densità di 4.800 viti per ettaro. Le rese sono
mantenute entro i 90-100 quintali di uva per ettaro.
LA CANTINA
Rivera è un marchio molto noto già negli anni Cinquanta e Sessanta. Il nonno di Sebastiano De Corato (erede in carica) iniziò l’avventura piantando uve tipiche della zona di Castel del Monte. Per primo il Bombino Nero, oggi Docg, con cui si producevano rosati meno “carichi” dei salentini.
Il successo commerciale arrivò abbastanza presto. Nel 1971, in omaggio a Federico II di Svevia, la cantina scelse il nome “Il Falcone” per il suo vino simbolo. È ancora oggi il portabandiera dell’azienda, che mantiene invariate le proporzioni del blend di Uva di Troia e Montepulciano.
Il Falcone è uno dei grandi vini del Sud Italia presenti sugli scaffali dei supermercati, grazie a un microclima particolare: la Murgia alle spalle e l’Adriatico immediatamente di fronte. I venti freddi dai Balcani e quelli caldi mediterranei che si alternano garantiscono un’ottimale maturazione delle uve, dando al vino eleganza e complessità.
Approdata per caso nel mondo dell’enogastronomia. Il connubio tra tavola e vino diventa da subito la mia più grande passione, utile a migliorarmi di continuo grazie all’attività di sommelier. Amante dei viaggi e sportiva più per dovere che per piacere. Sostieni la nostra testata indipendente con una donazione a questo link.
Un’accoglienza genuina e spontanea quella di Davide Spillare, giovane classe ’87. Un vignaiolo vero, che t’accoglie dalla campagna, con le mani (pulite) di terra. Mentre s’avvicina, il panorama si apre alle sue spalle: vista mozzafiato dall’azienda agricola fondata 10 anni fa, frutto di una tradizione di famiglia.
Siamo a Gambellara, in provincia di Vicenza. A sinistra si ergono i Colli Berici, a destra si distende la Valchiampo e la Valpolicella. A Davide si deve la virata radicale dell’azienda, trasformata in una delle più fulgide realtà italiane della viticoltura biodinamica. Una svolta abissale: il bisnonno Cristiano, infatti, conferiva le uve alla cantina sociale del posto.
I vigneti di pianura, a 180 metri sul livello del mare, si nutrono di terreni argillosi, molto ricchi. Quelli in collina mangiano tufo, detto “togo” nel dialetto locale: forte componente rocciosa e vulcanica, che dà vita a vini con una spiccata mineralità. Le rese si aggirano sugli 80 quintali per ettaro in pianura e 30-40 quintali per ettaro in collina.
Dopo la scuola di Agraria, Davide Spillare si cimenta nel mondo del vino grazie agli insegnamenti del maestro Angiolino Maule, oggi patron di VinNatur, e parte per il suo viaggio sperimentale ricco di soddisfazioni, ma anche di alcune delusioni. Ad oggi può vantare rapporti commerciali ed esportazioni in Canada, Giappone, Danimarca, Svezia, USA, Londra e Parigi.
La sua filosofia segue i canoni dell’agricoltura biodinamica del ‘900, basata sulle teorie di Rudolf Steiner. “Una dottrina che dev’essere comunque rivisitata – spiega Spillare – poiché la terra di oggi non è la terra di cent’anni fa”. Davide lavora la terra in modo “non convenzionale”, ossia “naturale”. Evitando l’uso dei diserbanti chimici e limitandosi a trattamenti con rame e zolfo in basse concentrazioni, solo fino alla fioritura, per combattere il temuto oidio.
LA DEGUSTAZIONE La degustazione avviene in una piccola cantina, tra le barrique in legno di rovere usate, disposte sul perimetro. Al centro una botte su cui poggeranno i calici. Il primo vino è uno spumante, “L1“, dedicato alla vertebra fratturata durante un incidente in vigna su un trattore, dove Davide rischiò la vita.
“L1” è ottenuto al 95% da uva Garganega e al 5% da Durella, che conferisce acidità. Dopo la prima fermentazione, il mosto è posto in bottiglia a rifermentare per un anno. I lieviti sono ovviamente indigeni. La beva è semplice e scorrevole: un vino fresco, adatto a un aperitivo.
Si prosegue con un bianco fermo, “Crestan“, dal nome del bisnonno: Garganega in purezza da uve di pianura, pressatura diretta e fermentazione in acciaio, 11.31% vol. Nel calice si presenta di colore dorato, al naso intenso, con un bouquet che spazia da note speziate a note floreali. Al palato corrispondente, sulla linea di una semplicità non banale.
Il terzo calice è di “Rugoli” 2016, nome ispirato dalla strada del Rugolo: Garganega proveniente da collina, di cui il 70% effettua una fermentazione in acciaio e pressatura diretta.
Il restante 30% esegue una macerazione per 5 giorni a contatto con le bucce e affinamento in legno per circa 10 mesi (12.8% vol).
Al naso si presenta più complesso del precedente, mantenendo però una buona spalla acida e una spiccata mineralità.
Si prosegue con “Vecchie Vigne“, in onore della vigna più vecchia su cui può contare Davide Spillare: 60 anni di età. Macerazione di 5 giorni e poi un breve passaggio in legno. Affinamento in bottiglia per un anno. Naso complesso, sentori di caramello, note leggermente tostate.
Il “Rugoli 2007” è una chicca dell’azienda: al naso si percepisce intenso e complesso con sentori di castagna e uva passa, Pieno e avvolgente al palato. Una piacevole sorpresa.
Il rosso dell’azienda si chiama “Rosso Giaroni“, ottenuto da uve Merlot in purezza. Al naso si avvertono sentori erbacei e legnosi, al palato risulta fresco e sapido, ben equilibrato.
Concludiamo la degustazione didattica con la ciliegina sulla torta, il “Racrei”: deriva dall’anagramma di “Creari”, comune di Vicenza. Vino dolce, Garganega in purezza, 4 mesi di appassimento.
Tra un calice e l’altro, una riflessione di Davide Spillare sintetizza lo spirito della sua cantina: “La terra mi è stata prestata e io la dovrò restituire integra o migliore”. Il manifesto di un’azienda agricola divenuta uno dei punti di riferimento del panorama dei vini naturali italiani.
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