Come scegliere i migliori vini al supermercato Basta cercare il bollino Vinialsuper
Scegliere e riconoscere i migliori vini al supermercato diventa più semplice in Italia. A partire da oggi, il bollino di Vinialsuper, aiuterà i clienti a districarsi tra le migliaia di etichette presenti sugli scaffali delle insegne della Grande distribuzione organizzata (Gdo).
Gli sticker, di colore rosso e bianco come il logo della testata, ma personalizzabili a seconda delle etichette, risultano ben visibili su alcune delle bottiglie premiate nella Guida Migliori Vini al Supermercato di Vinialsupermercato.it, edita ogni anno dalla redazione.
Hanno già aderito all’iniziativa diverse aziende italiane. In primis Cantine Settesoli, che si è aggiudicata il premio di Miglior cantina Gdo 2021, grazie soprattutto alla linea di vini “Collezione“, da varietà autoctone siciliane.
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Risalendo la penisola ecco Piccini, realtà della Toscana che ha ceduto lo scettro di miglior cantina d’Italia operante in Gdo proprio alla cooperativa siciliana di Menfi: sugli scudi i vini toscani targati “Collezione Oro“.
Al nord, per l’esattezza nel Piemonte delle Langhe, ecco Teo Costa, cantina a gestione famigliare con sede a Castellinaldo d’Alba (CN) che è riuscita a classificarsi nella Guida Migliori Vini al Supermercato 2021 con il Barolo Docg 2015, il Barbaresco Docg 2017 e il Roero Arneis Docg 2019 della linea “Ligabue“.
Per la Lombardia esporrà il bollino-sticker di Vinialsuper una piccola realtà dell’Oltrepò pavese, ovvero la cantina guidata da Giorgio Perego a Rovescala (PV). Il vino premiato è la Croatina “Myrtò” di Perego & Perego. Si tratta dell’unico vino (bio e vegan) venduto al supermercato dall’azienda, in particolare negli store Esselunga.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
EDITORIALE – La forma a grappolo d’uva è un invito sulla cartina geografica. Eppure, l’Oltrepò pavese è ancora sconosciuto a gran parte dei milanesi. Vino e ospitalità, col passare degli anni, si sono fusi sempre più in quello che potrebbe essere uno dei paradisi dell’enologia italiana.
Oggi, le nuove formule di turismo di prossimità, dettate dall’emergenza Coronavirus, mettono involontariamente gli abitanti di Milano nell’angolo. Basta scuse, insomma. È ora di scoprire, anche solo per un weekend o una gita fuori porta, le bellezze di una terra che dista un’ora dal capoluogo della Lombardia.
Il biglietto da visita è fatto di numeri. L’Oltrepò conta 13.500 ettari di vigneti e 1.700 aziende vitivinicole, molte delle quali a conduzione famigliare, capaci di produrre oltre il 60% del vino lombardo. Il tutto lungo l’asse magico del 45° parallelo, che accomuna le migliori aree vinicole del mondo.
Ce n’è per tutti i gusti: dall’eleganza assoluta dello spumante Metodo classico a base Pinot Nero, ottenuto con la stessa tecnica dello Champagne, passando per i preziosi vini rossi da lungo affinamento, come il Buttafuoco Storico.
L’Oltrepò è anche terra di bianchi, grazie alla coltivazione di Riesling Renano e Italico, nonché del dolce Moscato. Spazio anche agli autoctoni come la Croatina e l’Ughetta di Canneto, dal nome del borgo alle porte di Pavia. Ecco una lista di cantine in cui scoprire la meraviglia dell’Oltrepò pavese. Dentro e fuori dal calice.
Siamo a Santa Giuletta, a circa 20 chilometri da Piemonte ed Emilia Romagna e a 50 dalla Liguria. “700 Enolocanda” è l’ultima sfida di Stefano Milanesi, vignaiolo che ha voluto creare “un posto in cui star bene, mangiare bere e dormire senza pensieri, in cui potersi sentire a casa”. Quattro le camere, tutte doppie, messe a disposizione da “700 Enolocanda” per il pernotto. Una proposta che ben si abbina a quella gastronomica dell’annesso ristorante.
700 Enolocanda
via Castello 31 27046 Santa Giuletta (PV) 0383 899137 info@700enolocanda.it
Storica realtà dell’Oltrepò pavese, Frecciarossa ha da poco celebrato 100 anni di orgoglio e rigore nella conduzione dell’azienda, avviata nel 1919. Tutti aspetti che la famiglia Radici Odero sa tramettere in ogni goccia dei propri vini, la cui punta di diamante è costituita proprio dal Pinot Nero. Frecciarossa è di fatto una delle aziende imperdibili per gli amanti del grande vitigno francese, così ben acclimatatosi in provincia di Pavia. Dal punto di vista dell’ospitalità, all’elegante “Villa Odero”, che può essere affittata per matrimoni ed eventi, Frecciarossa affianca “La Casina”, una casa vacanza con due camere da letto, a Casteggio (PV).
Frecciarossa Società Agricola Via Fratelli Vigorelli, 141 27045 Casteggio (PV)
+39 3939103208 info@frecciarossa.com
Questo il nome scelto per l’agriturismo da Amedeo Pietro Quaroni, attuale sindaco di Montù Beccaria (PV), ma ancor prima produttore di vino in Oltrepò pavese. Per l’esattezza siamo a Zenevredo. La Casa dei Nonni, oltre a un ristorante in cui gustare le prelibatezze enogastronomiche pavesi, mette a disposizione 5 camere da letto.
La Casa dei Nonni
Frazione Poalone, 6
27049 Zenevredo (PV)
Una formula ben rodata, quella dell’accoglienza di Montelio in Oltrepò pavese, certificata dal marchio Agriturismo Italia del Mipaaf. Ogni anno sono infatti 1.500 i visitatori, provenienti da tutto il mondo. All’interno di uno dei cortili sono state ristrutturate quelle che nel 1800 erano le case dei braccianti agricoli, per un totale di 6 comodi appartamenti completi di cucina, tutti arredati con l’elegante semplicità della campagna lombarda.
Azienda Agricola Montelio di C. e G. Brazzola via Domenico Mazza, 1
27050 Codevilla (PV) 0383 373090 cantine@montelio.it
Tra le realtà più giovani del vino dell’Oltrepò pavese, Tenuta Quvestra conta 12 ettari nel territorio di Santa Maria della Versa, patria degli spumanti italiani ottenuti da uve Pinot Nero. Lo staff ha puntato sin dagli esordi sul binomio tra ospitalità e produzione di vini di alto profilo, con la consulenza enologica di Mario Maffi. “Wine & Hospitality”, insomma, è molto più di uno slogan.
Un credo da portare avanti assieme alla scommessa sul territorio pavese, attraverso 6 soluzioni per il soggiorno: Bordolese, Renana, Jeroboam, Magnum, Balthazar e la maestosa Villa Magna. Tutte case-appartamento con piscina privata, da un minimo di 2 posti letto a un massimo di 12.
Tenuta Quvestra Società Agricola
Località Case Nuove, 9 – SP. 189
27047 Santa Maria della Versa (PV) +39 347 601 4109 info@quvestra.it
Circondata da boschi e vigneti, Tenuta Travaglino mette a disposizione un’accogliente struttura di charme: un ristorante con quattro eleganti camere e una suite con vista sul meraviglioso paesaggio collinare, lungo la strada che dal centro di Calvignano conduce a Casteggio. Il ristorante offre piatti della tradizione pavese, con rivisitazioni in chiave moderna attente agli abbinamenti con i vini del territorio.
Sono 32 le stanze dell’Agriturismo Torrazzetta a Borgo Priolo, nelle tipologie Standard, Superior e Suite famigliare. Nel complesso anche una piscina, un campo da tennis e calcetto e la possibilità di far visita agli animali della fattoria. Non manca ovviamente la proposta enologica, con i vini biologici prodotti secondo canoni vicini al mondo dei “naturali”. Non a caso Torrazzetta è la prima cantina certificata bio dell’Oltrepò pavese, sin dal 1984.
Due vocazioni per Torre degli Alberi: la produzione di “bollicine” e l’ospitalità. Siamo a Ruino, per un’offerta particolare. La struttura agrituristica viene infatti affittata a soli gruppi autogestiti, a disposizione di coloro che volessero visitare l’azienda, assaggiare gli spumanti e trascorrere un weekend o un soggiorno più lungo in campagna. La casa, denominata “Costantina”, è isolata e dista 300 metri dal piccolo paese. Ospita un massimo di 24 persone, distribuite in cinque stanze con letti a castello.
Torre Degli Alberi – Azienda Agricola Camillo e Filippo Dal Verme 27040 Ruino (Pv) 0385 955905 – 335 1320166 info@torredeglialberi.it
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
monferrato rosso uceline uvalino cascina castlet famiglia borio enologo Giorgio Gozzelino resveratrolo vino rosso salute 2
EDITORIALE – Altro che “tipicità” e “terroir”. L’emergenza Coronavirus sembra illuminare la strada verso una nuovaenologia, legata a doppio filo alla salute delle persone. Resveratrolo is the new “senza solfiti aggiunti“, si potrebbe sintetizzare.
La moda del “biologico”, riversatasi con tutta la sua potenza nel marketing – tanto da spingere colossi come Pasqua Vigneti e Cantine a produrre un “vino naturale” (sic!) – è sfociata negli ultimi anni nella proposta sempre più massiccia di vini più “sani” (o meno “dannosi”, secondo i punti di vista), prodotti senza l’addizione di solforosa, uno dei conservanti del vino.
Con l’imperversare di Covid-19, produttori ed enologi sembrano aver trovato nei “livelli di resveratrolo” dei loro vini una nuova forma di comunicazione. Forse, addirittura, una nuova frontiera per la promozione e la vendita delle loro etichette.
Qualcosa capace di cambiare radicalmente il concetto stesso di vino, accostato (definitivamente?) al concetto di “benessere“. Peccato si ometta un particolare fondamentale: il resveratrolo è presente nella maggior parte dei vini rossi in quantità talmente ridicole da rendere inutile l’assunzione del nettare di Bacco “a fini salutistici”.
Berne tanto vino per “bere” tanto resveratrolo causerebbe altri problemi. Non ultimo l’alcolismo. Da qui, la domanda su cui potrebbe giocarsi una buona fetta del futuro dell’enologia internazionale: è possibile “creare” vini che facciano bene se consumati senza eccessi, concentrando scientificamente i livelli di resveratrolo?
LA RICERCA È la grande sfida che si sono posti Roberto Polidoro e Antonella Spacone, marito e moglie, lui sommelier, lei medico dell’Unità Operativa Complessa Pneumologia dell’ospedale Santo Spirito di Pescara.
La rivista scientifica britannica EC Nutrition (Ecnu), specializzata in ricerche che mirano al progresso nel campo della nutrizione e delle scienze alimentari, ha ospitato il 26 febbraio 2020 i risultati dello studio “Is moderate daily consumption of red wine a good solution?“, condotto dai due italiani.
Proprio mentre Covid-19 iniziava silenziosamente a insinuarsi nelle case e nei luoghi di lavoro di tutto il mondo, senza risparmiare l’Italia, la dottoressa Spacone – assieme al compagno – toccava un tema caldissimo: “Il consumo quotidiano moderato di vino rosso è una buona soluzione?”.
“Sebbene lo sfruttamento delle proprietà antiossidanti del resveratrolo attraverso il consumo di vino non abbia valore scientifico – si legge sulla pubblicazione della rivista scientifica EC Nutrition – è lecito chiedersi se un consumo moderato di questa bevanda abbia effetti positivi sulla salute umana”.
“A questo proposito – continua la ricerca – non è possibile dare una risposta definitiva perché, partendo dal presupposto che l’alcol è una sostanza oncogenetica, alcuni studi hanno confermato i benefici del vino per la salute”. Sì, ma in che dosi?
“Per quanto riguarda il consumo di vino – risponde la dottoressa Spacone – sono stati fissati limiti ragionevoli di assunzione a basso rischio. In genere 24-30 g di alcol al giorno per gli uomini e 12-15 g al giorno per le donne, pari a 1-2 bicchieri di vino, ovvero 150-300 ml“.
“Proprio a questo proposito – spiega Roberto Polidoro a WineMag.it – le evidenze del nostro studio meritano ulteriore approfondimento, al fine di comprendere, in collaborazione con qualche cantina italiana o internazionale, se sia possibile concentrare le quantità di resveratrolo prodotte naturalmente dalla vite e ‘creare’ così dei vini che consentano di godere dei benefici del resveratrolo, senza i danni provocati dall’abuso di alcol”.
Non a caso, risale ai giorni scorsi la notizia di uno studio in corso all’ospedale di Napoli, dove due medici stanno somministrando un estratto dai semi della varietà di uva Aglianico ad alcuni pazienti affetti da Coronavirus: resveratrolo in aerosol. Uno studio che ha aperto le danze, in Italia, sulla caccia al vitigno coi livelli più alti di questo polifenolo.
In Puglia, diversi esponenti del mondo del vino (tra cui l’ex presidente di Assoenologi Puglia, Calabria, Basilicata, Massimiliano Apollonio) hanno rilanciato una notizia dell’edizione di Bari de La Repubblicarisalente al 2011, in cui si lodava il vitigno Negroamaro per la “concentrazione della sostanza dalle proprietà antiossidanti e anticancerogene”.
“Dalle analisi – si legge nell’articolo – è emerso che nel Negroamaro esistono quantità di resveratrolo comprese tra 0.3 e 6,8 ng/ml e, considerato che la concentrazione di 1 ng/ml viene considerata già utile, è chiaro che i numeri del vino salentino sono molto positivi”.
Sulle proprietà “benefiche” del resveratrolo è intervenuto anche Stefano Cinelli Colombini, titolare della cantina Fattoria dei Barbi, in Toscana. “Ieri una amica, la professoressa Zinnai dell’Università di Pisa – ha scritto il produttore di Montalcino su Facebook – mi ha parlato di una loro ricerca: pare che il vino, forse grazie al resveratrolo o chissà per cos’altro, abbia un potente effetto contro i Coronavirus. Vorrebbe studiarlo come disinfettante per ambienti, e anche del cavo orale. E così mi è venuta in mente una cosa molto, molto strana”.
“Benvenuto Brunello si è tenuto dal 21 al 24 febbraio, quando il virus già ben presente in Italia. Abbiamo avuto migliaia di ospiti da ogni parte del mondo, compreso un gruppo da Codogno (guarda un po’!) che dopo è venuto alla Fattoria dei Barbi”.
C’era una folla incredibile – prosegue sui social Cinelli Colombini – tutti appiccicati per giorni con vino sputato nei secchi e goccioline nell’aria a non finire. Considerando quanto è contagioso il Covid-19, ci sarebbe dovuto essere un massacro come quello della festa di Wuhan. Eppure nulla. Assolutamente nulla. È assurdo credere che in mezzo a quella folla non ci fosse almeno un contagiato, il virus già girava assai. Ma niente”.
“A pensarci bene, in tutta la catena delle Anteprime in giro per la Toscana ci sono stati tantissimi presenti e potenzialmente untori, ma nulla: non hanno portato la malattia. Tra i ‘vinicoli’ che erano a quegli eventi non si conta un malato. Strano, non è vero?”. Una curiosa provocazione, cui Stefano Cinelli Colombini ha dato un titolo: “Il paradosso di Benvenuto Brunello e del Covid-19. Un piccolo mistero”.
RESVERATROLO RECORD IN OLTREPÒ E MONFERRATO
Eppure, in Italia, esistono due etichette di vino con livelli di resveratrolo molto alte. Certificate. Si tratta del Bonarda dell’Oltrepò pavese Doc 2015 “Giubilo” di Giorgio Perego e del raro “Uceline” 2012, Monferrato Rosso di Cascina Castlet, prodotto col vitigno autoctono Uvalino.
Due vini che collocherebbero alla destra orografica del fiume Po l’epicentro del resveratrolo italiano, come dimostrano le approfondite analisi compiute dalle rispettive cantine. In particolare, il primato assoluto spetterebbe – almeno a livello storico – alla winery piemontese della famiglia Borio.
“Gli studi sul nostro vitigno Uvalino – spiega l’enologo di Cascina Castlet, Giorgio Gozzelino – sono stati compiuti dal professor Rocco di Stefano, dal 1996 al 2000. Il suo pensionamento ha interrotto le analisi, riprese poi sulle annate più recenti del Monferrato Rosso ‘Uceline'”.
“Quella sulla vendemmia 2012, annata in commercio al momento, assieme alla 2013 – precisa Gozzelino – conferma i riscontri precedenti, con una presenza di resvetrarolo molto alta, pari a 16,2 mg/l, anche se il record assoluto fu registrato nel 2000, quando superammo i 30 mg/l“.
A provarlo è il rapporto del laboratorio d’analisi del Consorzio per la Tutela dell’Asti, datato 30 giugno 2017. Centoventi chilometri più a est, a Rovescala, in provincia di Pavia, si trova la cantina di Giorgio Perego, “Mr. Croatina“.
“Il discorso resvetrarolo nel vino – spiega il vignaiolo oltrepadano – mi ha sempre incuriosito. Così ho fatto fare delle analisi sul mio Bonarda ‘Giubilo’ 2015: i risultati hanno confermato i livelli altissimi di questo polifenolo, ben 18,90 mg/l. Trattandosi di un vino a base Croatina, credo sia corretto considerare questo vitigno, spesso sottovalutato, ancora più straordinario”.
Ma cos’hanno in comune questd due etichette? “Uceline” (25 euro) e “Giubilo” (18 euro) non subiscono filtrazione né chiarifica. “Le analisi fatte sui polifenoli di un’altra etichetta che produco – spiega Perego – dimostrano quanto questo tipo di pratiche di cantina incidano negativamente sui livelli del vino finito”.
Si tratta inoltre di due vini rossi ottenuti tramite una lunga macerazione sulle bucce, dove si “annida” appunto il resveratrolo: “Ritengo tuttavia che l’estrazione di questo composto non necessiti di tempi lunghissimi – commenta l’enologo Gozzelino – ma non abbiamo a disposizione analisi relative a vinificazioni diverse da quelle con cui viene storicamente prodotto Uceline”.
È comprovata, invece, l’estrema variabilità dei livelli di resveratrolo, di annata in annata. “Più la pianta è sotto stress – spiega il vignaiolo Giorgio Perego – più ne produce, per difendersi soprattutto contro la Botrytis cinerea o la mancanza di acqua. Riuscire a concentrarlo sarebbe rivoluzionario per il mondo del vino italiano”.
IL PUNTO DI ASSOENOLOGI
Il discorso resveratrolo, di per sé, non convince appieno il numero uno degli enologi italiani, il presidente di Assoenologi Riccardo Cotarella (nella foto). “Non trovo corretto, o quantomeno un po’ fuori posto – dichiara a WineMag.it – sostenere che un vino piuttosto che un altro abbia qualità superiori“.
“In questo modo si cerca forse di accattivarsi il mercato – prosegue – portando alla nascita di contrapposizioni. Sostenere che un vitigno particolare, di un posto particolare, presenti più resveratrolo di un altro, è un’ipotesi che merita ancora il dovuto approfondimento scientifico”.
Il focus, secondo Riccardo Cotarella, dovrebbe restare sul vino. Tout court. “Secondo luminari delle medicina come Jennifer Hah, Thomas J. Sweet, Anna Teresa Palamara, Lucia Nencioni e Giovanna De Chiara – spiega Cotarella – il resveratrolo ha importanti proprietà antivirali e il vino rosso, in generale, lo contiene”.
È in grado, e cito sempre questi luminari, di interferire con la replicazione di virus erpetici come il cytomegalovirus, i virus influenzali, gli adenovirus e il virus respiratorio sincinziale. Svolge inoltre, sempre secondo questi medici, azione anti virale, anti infiammatoria ed è un potente antiossidante, superiore a vitamina C, E e betacarotene”.
Una premessa utile al presidente di Assonologi per esprimere un concetto più ampio: “Il vino, se fa bene, fa bene da sempre. Non a caso ha accompagnato la storia dell’uomo. Tanta letteratura medica sostiene il contrario, ed è per questo che nel numero di maggio della nostra rivista ‘L’enologo’ chiederemo ufficialmente all’Istituto superiore della Sanità di esprimersi in maniera univoca sull’argomento vino e salute”.
Sempre secondo Cotarella, Covid-19 non cambierà solo l’enologia o il marketing, ma tutta la filiera del vino italiano, dal campo al consumatore. “L’enologia cambierà radicalmente – dichiara il presidente di Assoenologi a WineMag.it – certi valori formali andranno a cadere: la bottiglia pesante, il tappo a volte più ‘lungo’ della bottiglia, le cantine architettoniche dalle luci psichedeliche… È finita e dico per fortuna”.
Cambieranno gli enologi, l’approccio dei produttori, delle guide, dei giornalisti, perché cambierà il consumatore. Fondamentale, in questo quadro, sarà anche la crisi economica che andremo ad affrontare al termine dell’emergenza”.
Cambieranno così anche i vini. “I vini che secondo me avranno più spazio – riferisce Cotarella a WineMag.it – saranno quelli dall’ottimo rapporto qualità prezzo, il che non significa che costeranno meno, o poco”.
Sarà il momento dei vini non ‘conditi’ o ‘incorniciati’ da materiali costosi, che incidono sul prezzo, come il vetro fantasia, la bottiglia pesante, la capsule laminata ‘d’oro’. Tutto ciò che è edonismo e superfluo andrà a cadere“.
La new wave del vino dopo Coronavirus, sempre secondo Riccardo Cotarella, “aumenterà l’interesse per il vino in sé, in senso assoluto”. “Noi enologi – spiega – saremo chiamati, come dopo lo scandalo metanolo, a dare una nuova svolta al settore, imparando a seguire le tendenze per dare vita a vini gradevoli, che si bevono bene, vini importanti, ben fatti, espressione del territorio e dell’uva, nonché dei proprietari delle cantine, ben assistiti da bravi enologi”.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Più che un vino, una dichiarazione d’amore e d’orgoglio. Frecciarossa compie 100 anni e li celebra con una nuova etichetta, che sa di tradizione e futuro: Anamari 2017, Rosso Riserva Oltrepò Pavese Doc. Un vino legato a doppio filo al territorio pavese, ottenuto con le uve autoctone Croatina, Barbera, Uva rara e Vespolina. Solo 2297 bottiglie, più 50 magnum.
Una chicca che esalta le potenzialità dell’Oltrepò e dà il via a un progetto che potrebbe coinvolgere altri produttori. A spiegarlo è proprio Valeria Radici Odero, quarta generazione della famiglia di origini genovesi arrivata a Casteggio (PV) nel 1919: “La nostra zona ha bisogno di un vino identitario forte, che provenga esclusivamente da qui”.
Il Pinot Nero, pur importante per l’Oltrepò e per la nostra azienda, cresce in Oregon, in Borgogna, in Alto Adige. Croatina, Barbera, Uva rara e Vespolina sono nostri, sono solo qui. Per questo dobbiamo valorizzarle e puntarci. Sono uve che danno vini rossi da lungo affinamento, con un potenziale infinito”.
Parole che assumono un’importanza ancora più marcata, se si considera quanto Frecciarossa – azienda di 20 ettari complessivi, più 3 pronti ad essere impiantati – sia legata al Pinot Nero. Non ultimo con eccellenze mondiali come l’etichetta “Giorgio Odero“, Noir di rara finezza e longevità.
“Pensando ai nostri cent’anni e all’identità forte di cui ha bisogno l’Oltrepò pavese – chiosa Valeria Radici Odero – siamo tornati a fare questo vino di cui avvertiamo la necessità, assieme a un altro ristretto gruppo di produttori”.
Tra le ipotesi, anche quella di trovare un nome comune per tutti i vini ottenuti dall’uvaggio tipico oltrepadano. Del resto, Anamari 2017 non è un vino totalmente nuovo. Piuttosto un ritorno di fiamma.
“Lo produceva mio nonno – precisa Radici Odero – poi è stato ripreso da mia madre Margherita col nome di ‘Villa Odero‘. Fino al 1997, quando abbiamo preso la decisione di vinificare i singoli vitigni in purezza, rinunciando all’uvaggio”.
Anche il nuovo corso dell’etichetta, col suo nome che rievoca i popoli Celti che abitavano l’Oltrepò, è un mix di tradizione e novità. A curarlo sono i due enologi piemontesi di Frecciarossa: il veterano Gianluca Scaglione, in forza da vent’anni alla cantina di Casteggio, e la giovane new entryCristiano Garella.
Un vino, Anamari 2017, vinificato in tini troncoconici, utili a far esplodere il varietale, il frutto, il terroir, senza snaturare l’uva con i sentori di legno. Gran beva per la nuova etichetta di Frecciarossa, che si conferma ad altissimi livelli anche nel campo dei vini potenzialmente “al bicchiere” al ristorante, visto il sorso tutto sommato semplice, ma mai banale.
Convince Anamari, sopratutto per la lettura del tannino della Croatina: presente in chiusura, ma preso per le briglie da un frutto preciso, croccante. Oltre che da una salinità concentrata, che invita al calice successivo.
“Un vino dalla leggerezza moderna“, come lo descrive Valeria Radici Odero. Parere confermato da Armando Castagno, ospite delle celebrazioni per i cent’anni di Frecciarossa andate in scena ieri a Villa Odero, splendida dimora in stile Liberty di proprietà della famiglia, immersa tra i vigneti di Casteggio.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Croatina Myrto Giorgio Perego provincia di Pavia Igt
(5 / 5) Si conferma uno dei migliori vini qualità-prezzo-territorio al supermercato la Croatina “Myrtò” della cantina Perego & Perego di Rovescala (PV). Un Provincia di Pavia Igt prodotto “Mr Croatina” Giorgio Perego in una delle aree più vocate della Lombardia e d’Italia per i vini rossi: l’Oltrepò pavese. Non a caso, l’etichetta è tra i “Migliori vini al supermercato” del 2019 di Vinialsuper. Un esempio virtuoso anche sul fronte della valorizzazione del territorio oltrepadano, in Gdo: il prezzo, rispetto alle scorse vendemmie, è cresciuto di circa 30 centesimi. Non è poco.
LA DEGUSTAZIONE Iniziamo col precisare che la Croatina Myrtò di Perego & Perego ha parecchio in comune col più noto “Bonarda” dell’Oltrepò Pavese, prodotto (appunto) per un minimo dell’85% con uve Croatina. Aspetto e profumi sono quelli attesi. Porpora impenetrabile. Naso di frutta rossa (amarena) e fiori di viola.
Al palato, un rosso che si scopre leggermente mosso. Un brio subito placato dal tipico tannino ruggente della Croatina. Per il resto, un concerto di frutta rossa fine, nel quale si distinguono gli acuti dell’amarena e della mora. La chiusura di bocca tende invece a un piacevole amarognolo, che chiama il sorso successivo.
La Croatina Myrtò di Perego & Perego trova sulla tavola molti alleati. Perfetta a tutto pasto, accompagna bene salumi, affettati e preparazioni di carne non troppo elaborate. Massimo dei voti nella speciale scala di valutazione di Vinialsuper, con un punteggio di 5 su 5. Prezzo eccezionale per un vino così “pulito” e capace di non stancare mai.
LA VINIFICAZIONE
Vinificazione molto semplice per ottenere Myrtò. Le uve di Croatina vengono raccolte e pigiate. Il mosto viene quindi messo in botti d’acciaio a temperatura controllata, per un tempo che varia (a seconda dell’annata) dai 7 ai 10 giorni.
In questo periodo vengono eseguiti continui rimontaggi, in modo da tenere sempre bucce (cappello) bagnate e per “caricare” il vino di colore e profumi. Finita questa fase, il mosto viene svinato e le bucce pressate in maniera soffice.
La fermentazione alcolica e malolattica prosegue in botti di acciaio, a temperatura controllata. Una volta terminata si procede al travaso, per separare il vino dalla feccia (residuo di fermentazione). L’affinamento prosegue in acciaio per circa 6-8 mesi, prima di essere pronto per la bottiglia.
“Tengo a precisare che viene aggiunta solforosa durante la vinificazione – commenta Giorgio Perego – ma non lieviti selezionati, né altri tipi di sostanze chimiche. Le chiarifiche vengono fatte solo con bentonite”.
“Per quanto riguarda la dicitura ‘qualità vegetariana’ – aggiunge il titolare della cantina pavese – si tratta di un marchio che certifica il non utilizzo di generi derivati da animali (albumine, caseine o gelatine che generalmente vengono utilizzate per le chiarifiche)”.
“Oltre a questo – continua Giorgio Perego – vengono certificati anche gli imballaggi (colle delle etichette e colle dei tappi, qualora venissero utilizzati gli agglomerati). Siccome pensiamo che il vino nasca ‘vegano’, facciamo il possibile per mantenerlo tale e ci teniamo che il consumatore lo sappia”.
“Per questo motivo – aggiunge il titolare della cantina dell’Oltrepò pavese – abbiamo pensato di appendere al collo della bottiglia e di far stampare sulla retro etichetta un qr code, grazie al quale l’acquirente può trovare tutte le informazioni utili. Siamo arrivati al punto di pubblicare la tracciabilità del prodotto, partendo dalle vigne alla bottiglia finita, in modo che il consumatore abbia un’idea precisa di come venga prodotto il nostro vino”.
LA CANTINA
“Tradizione” e “innovazione” sono le parole d’ordine della Perego & Perego. A dirigere la cantina è Giorgio Perego, che ha deciso di rifondare l’azienda agricola del bisnonno Ernesto. Siamo a Rovescala, sulle colline dell’Oltrepo Pavese.
Un territorio tutto da scoprire per gli enoappassionati lombardi e italiani. E anche per la Gdo, raramente impegnata a scovare “chicche” nella nuvola di fumo creata dai grandi gruppi e dagli imbottigliatori. Polvere nella quale si distingue, certamente, questa ottima Croatina.
Trentamila le bottiglie di Myrtò che finiscono sugli scaffali del colosso milanese della grande distribuzione, su una produzione complessiva di 70 mila bottiglie per la la cantina Perego & Perego. Un rapporto, quello con la Gdo, avviato nel 2004.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Solo 1.330 bottiglie, zero solfiti aggiunti e un livello di anidride solforosa “ridicolo”, pari a 0,002 grammi litro. Eppure, descrivere il Vino rosso 2016 “Il Barocco” di Perego & Perego come un vino semplicemente “sano”, è ampiamente riduttivo.
Siamo in Oltrepò pavese, per l’esattezza a Rovescala (PV), per un blend che ha nella Croatina il suo forte (50%), completato da un 40% tra Moradella e Vespolina e da un 10% di Barbera. Si tratta del fiore all’occhiello della gamma del vulcanico vignaiolo Giorgio Perego: “Mr Croatina”, per l’abilità di dare del tu al vitigno.
LA DEGUSTAZIONE
Alla vista si presenta di un viola impenetrabile, che rimanda in maniera coerente alla carica di antociani – ovvero le componenti che determinano il colore del vino – della varietà. Al naso è l’alcol (15,2% vol.) a spingere verso l’esterno del calice il ricco bouquet di “Barocco”.
Un naso coi fronzoli della viola mammola e il frutto che richiama la mora, ma anche gli agrumi come il bergamotto, dalla buccia al succo. I terziari sono disegnati da una trama di spezia nera (pepe), calda (cannella) e per certi versi orientale (the verde) oltre che dal cuoio e dal fumo di pipa.
L’ossigenazione aiuta questo vino rosso oltrepadano nell’espressione delle sue sfumature più nude e crude, commoventemente tipiche dei vitigni che compongono il blend e, in particolare, della Croatina: quel richiamo selvatico che impreziosisce l’olfatto, senza far arricciare il naso.
E poi la liquirizia, il suo cuore, nelle migliori espressioni pure, calabresi. In bocca, l’ingresso è fruttato e piuttosto agile, su una nota diretta sulla mora e sulla prugna disidratata. Ma dura un attimo. Il corredo si amplia ai terziari.
È il centro bocca il momento esatto in cui “Barocco”di Perego & Perego diventa “barocco”. Guadagnando in larghezza e lunghezza, con le sue tinte di liquirizia, spezia, macchia mediterranea e leggero sale.
Il tannino gioca un ruolo fondamentale, nel suo essere ancora giovane e in fase di integrazione, ma non disturbante. Lascia una traccia in chiusura, dove il marcatore della regolizia scura si fa radice. Lungo il retro olfattivo, dove la novità sono le sensazioni fumè, tra la brace e l’incenso.
Perfetto l’abbinamento con le carni, in particolare con la selvaggina (delizioso immaginarlo col cinghiale, d’inverno, davanti a un caminetto). Una piccola versione di Brunello – concedete il paragone – prodotta in Oltrepò pavese.
LA VINIFICAZIONE
Dieci giorni di appassimento in pianta per tutte le uve che compongono il blend di “Barocco”. Un’operazione delicatissima, che evidenzia la maestria – oltre alla pazienza – di Giorgio Perego.
Quando Croatina, Moradella, Vespolina e Barbera sono mature, il vignaiolo schiaccia con un’apposita pinza dal lungo becco l’apice superiore di ogni singolo grappolo, in modo da inibire parzialmente il passaggio linfatico.
Un intervento chirurgico, dall’effetto assimilabile a quello di un laccio emostatico. Serve a ottenere la corretta concentrazione degli aromi di ogni acino, senza ricorrere all’appassimento sui graticci, che risulterebbe molto più invasivo in termini organolettici. Una volta in cantina, la massa macera un mese sulle bucce.
Seguono due settimane in acciaio. La fermentazione alcolica si conclude in tonneau, dove si svolge anche la malolattica. Il vino riposa sempre in tonneau, per circa un anno. Dopo un mese in acciaio, utile all’illimpidimento naturale, “Barocco” viene travasato e imbottigliato, senza filtrazione.
***DISCLAIMER: La recensione di questa etichetta non è stata richiesta a WineMag,it dall’inserzionista. È stata redatta in totale autonomia dalla nostra testata giornalistica, nel rispetto dei lettori e a garanzia dell’imparzialità che caratterizza i nostri giudizi, anche quando la recensione viene richiesta da una cantina***
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Calinverno in verticale come cambia il gioiello di Montezovo dal 98 al 2015 6
MILANO – Un vino alla seconda. Per il doppio appassimento delle uve, prima in pianta e poi in fruttaio. Ma anche per le due “marce” che ne connotano il sorso, nel gioco tra la moderna ed internazionale piacevolezza glicerica e la gran freschezza. Monte Zovo ha scelto Milano, città dinamica e all’avanguardia, per presentare la nuova bottiglia e la nuova etichetta del suo vino simbolo, Calinverno (precedentemente Galinverno e Ca’linverno).
Un’occasione per mostrare alla stampa di settore le ottime capacità di affinamento del blend di Corvina, Corvinone, Rondinella, Cabernet Sauvignon e Croatina, attraverso una verticale dal 1998 al 2015 condotta da Doctor Wine, Daniele Cernilli, al Park Hyatt Milan. Ottima la risposta del calice, che in verità ha dato il meglio di sé nelle prime tre annate in degustazione: 1998, 2003 e 2009.
La sfida del doppio appassimento è iniziata solo dalla vendemmia 2013, che ha completato la batteria assieme alle annate 2014 e 2015. La cantina di Caprino Veronese, per iniziativa del patron Diego Cottini e dei figli Mattia e Michele, ha voluto dare così “un ulteriore tocco personale” alle uve appassite nei 12 ettari della tenuta.
Una scelta che ha reso le ultime vendemmie di Calinverno più immediate e adatte a un pubblico internazionale. Non a caso è la 2014 a sorprendere più della 2013 e della 2015. L’annata difficile, certamente più fresca delle altre, ha reso il gioiello di Monte Zovo equilibrato e verticale.
Un vino che risponde bene agli effetti standardizzanti del doppio appassimento, capace di raccontare in maniera perfetta il particolare microclima in cui crescono le uve. Ci troviamo sulle colline dell’anfiteatro morenico di Rivoli, a circa 300 metri sul livello del mare.
Un luogo accarezzato dai venti, come testimonia la presenza di numerose pale eoliche, dove il bacino del Garda incrocia la Valle dell’Adige. La composizione del terreno è prevalentemente ciottolosa, calcarea, tendenzialmente povera. E la conduzione del vigneto avviene in regimo biologico.
Calinverno – ha commentato Diego Cottini – viene prodotto solo nelle annate migliori sin dal 1998. Un vino di cui andiamo fieri, che ben rappresenta la nostra volontà di raccontare il territorio che amiamo con un linguaggio nuovo.
Un prodotto che ci ha regalato grandi soddisfazioni in tutto il mondo, ma che oggi crediamo sia giunto il momento di far conoscere di più anche in casa nostra, convinti che possa trovare una propria collocazione nel novero dei grandi vini rossi italiani”.
Curiosa la genesi del nome Calinverno, che deriva da “calinverna” o “galaverna“, la brina ghiacciata che ricopre i campi nei mesi invernali. La nuova etichetta illustra il vigneto nella stagione autunnale, in cui avviene la raccolta. Calinverno viene prodotto solo nelle annate migliori, con un numero di bottiglie che varia tra le 30 e le 40 mila.
E la sfida della famiglia Cottini non finisce qui. Sono stati infatti impiantati 20 nuovi ettari di vitigni resistenti (i cosiddetti Piwi) in particolare con le varietà Solaris, Johanniter e Aromera. Nel 2018 sono state effettuate le prime prove di vinificazione, propedeutiche alla commercializzazione delle prime etichette.
LA DEGUSTAZIONE
Verona Igt 2009 “Galaverno”, Monte Zovo: 90/100 Rosso mediamente trasparente, con unghia granata. Al naso un bel frutto rosso maturo (ciliegia, lampone) ma anche una spezia leggera, in un contorno di macchia mediterranea. Un vino che, nonostante l’età, evidenzia una gran freschezza al palato, connotato da un’ottima corrispondenza gusto olfattiva. Lo rendono ancora più complesso note di tamarindo e ginger, oltre ai richiami fumé e a una buona vena salina.
Verona Igt 2003 “Ca’linverno”, Monte Zovo: 89/100 Colore rosso più profondo del precedente. Al naso, oltre all’atteso frutto rosso, ecco terziari evidenti di zafferano. Un vino che vira in maniera netta sulla spezia, pur conservando succosi ricordi di tamarindo e arancia. Al palato la freschezza è meno affilata delle vendemmia 2009, lasciando la scena a un lampone che tende alla confettura, senza scomporsi. Ritorni salini nel retro olfattivo di lunghezza più che sufficiente.
Verona Igt 2009 “Ca’linverno”, Monte Zovo: 87/100 Rosso rubino carico, pressoché impenetrabile. Al naso frutti di bosco maturi, oltre a una nota netta di amarena. Il Cabernet risulta più in evidenza rispetto agli altri assaggi, con i suoi descrittori “verdi”, pur garbati. Al palato il tannino si rivela meno dolce e ancora in fase di integrazione, in un gioco che lo vede prevalere sulla frutta matura.
Verona Igt 2013 “Ca’linverno”, Monte Zovo: 86/100 Primo naso sui terziari, tra la vaniglia, la caramella mou e il caffè in polvere. Poi frutto, spezia e cioccolato. L’ossigenazione dà modo al frutto di esprimersi ancora meglio, attraverso ricordi di ciliegia appena matura. In bocca il nettare si rivela molto beverino, sin dall’ingresso. La chiusura è di nuovo appannaggio dei terziari, con ritorni di vaniglia e una chiusura di sipario salina.
Verona Igt 2014 “Calinverno”, Monte Zovo: 88/100 Rosso rubino piuttosto concentrato. Naso verde e speziato, cui non manca il frutto, con la ciliegia in gran vista. Completano il quadro olfattivo preziosi richiami fumè e di liquirizia dolce. Morbido, di fatto, l’ingresso di bocca, pronto però a verticalizzarsi su una freschezza piacevolissima. La bella salinità e il tannino di prospettiva, oltre alla precisione delle note fruttate, ne fanno un grande vino ottenuto in una vendemmia certamente difficile.
Verona Igt 2015 “Calinverno”, Monte Zovo: 87/100 Colore rosso rubino intenso. Un vino che, a quattro anni dalla vendemmia, mostra il perfetto equilibrio tra tutte le sue componenti, in particolare tra frutto e freschezza, morbidezze e durezze. Il naso di ciliegia, su spezia e terziari, è impreziosito da richiami alla radice di liquirizia. L’alcol un po’ invadente, assieme al tannino giovane ma elegante, mostrano le ottime prospettive di affinamento di Calinverno 2015.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Daniele Carlo Ricci Timorasso Derthona Colli Tortonesi Piemonte vino naturale 4 1024x768
COSTA VESCOVATO – Che poi, la vita, è un po’ per tutti come un’autostrada: piena di caselli. Ti fermi. Paghi. Se ti va bene ti danno il resto. E riparti. Altrimenti rimani lì. Fregato. Un infinito susseguirsi di stop and go. Da una parte chi dà. Dall’altra chi riceve. Fino alla prossima sbarra abbassata.
I panni del casellante, Daniele Ricci, se li è tolti volentieri. Nei primi anni Duemila. Per inseguire – fuor di metafora – un sogno chiamato Timorasso. Oggi, il 55enne vignaiolo è tra i riferimenti assoluti della piccola Denominazione piemontese portata in auge negli anni Novanta dal pioniere Walter Massa. Siamo sui Colli Tortonesi, in provincia di Alessandria. Per l’esattezza a Costa Vescovato.
Un campanile segna il paesaggio, all’orizzonte, tra le vigne appese alle colline che si alternano al bosco. Qualche sali e scendi e un tratto sterrato che macchia le gomme dell’auto di bianco, prima di raggiungere Daniele Ricci all’Agriturismo Cascina San Leto. Il “giocattolo” di famiglia, che suggella una vita di sacrifici, aperto due giorni a settimana, solo nel weekend.
I vini di Ricci, che oltre a diverse tipologie di Timorasso produce Barbera, Croatina e Nebbiolo, sono tra i più “naturali” della zona. Ma senza alcuna bandiera ideologica: “Avrei aderito alla Fivi – chiosa il vignaiolo – soprattutto per via dell’amicizia con Walter. Ma ultimamente hanno un po’ perso lo spirito iniziale e preferisco starne fuori, come sto fuori da qualsiasi altra associazione”.
Nessuna aggiunta di solforosa in cantina e rispetto massimo per il vigneto, con trattamenti che si riducono a rame e zolfo. Ma non è sempre andata così per il vignaiolo, che arriva all’appuntamento in pantaloncini corti e canottiera bianca, dalla vigna.
“Quando facevo ancora il casellante e la viticoltura era un’attività per così dire ‘secondaria’, portata avanti con mio padre – racconta Daniele Ricci – si lavorava come lavoravano gli altri: con la testa nel sacco. Senza porsi alcun problema ‘filosofico’. Non dimentichiamoci che siamo gente degli anni Ottanta, che ha bruciato tutto quello che poteva bruciare”.
“Io sono figlio del consumismo più sfrenato. Mio padre Filippo lavorava al Consorzio agrario. E per lui la novità erano i diserbanti ultimo modello, tutti i prodotti di sintesi che pensava fossero il meglio”
“Poi – continua il vignaiolo – il mio fisico particolarmente sensibile ha iniziato a dare i primi segni di cedimento. Davo i sistemici e sentivo una pressione al petto. Davo il diserbante nel grano e stavo male, pur indossando il casco per non respirarlo”. Ma la vera svolta è avvenuta alla nascita di Matteo (nella foto, sotto).
Oggi ha 22 anni e studia brillantemente enologia. “Da piccolo girava per i nostri campi, attorno all’attuale agriturismo. E io lo riprendevo: non puoi, non puoi! Una volta mi ha chiesto: perché non posso uscire? E da lì mi è scattata una molla. Ho detto basta. Succeda quel che succeda, basta con questi prodotti”.
“Ci dicevano che tutto sarebbe seccato – continua Ricci – senza l’aiutino dei sistemici. Ma era una balla. Era terrorismo. Ma fare vini naturali, per qualcuno, voleva dire fare vini con difetti. E ancora adesso, in certi contesti, essere biologici è penalizzante”.
Per questo non è presente alcun bollino sulle etichette dei vini di Daniele Ricci. Eppure l’azienda (15 ettari di cui 10 vitati, per 40 mila bottiglie complessive) è certificata biologica dallo scorso anno, al termine dei tre anni di conversione.
GLI ESORDI AL SUPERMERCATO
Nel percorso che ha portato Daniele Ricci ai fasti attuali, con la presenza di alcune sue etichette nelle carte del vino di molti ristoranti stellati, c’è anche un periodo nella Grande distribuzione organizzata.
“Erano gli anni Novanta – ricorda Ricci -. Grazie all’intermediazione di un broker abbiamo iniziato a lavorare con Finiper, ovvero Iper, la Grande i, che aveva capito l’importanza di avere in assortimento prodotti locali, quando ancora non era di moda al supermercato”.
Punti vendita come quelli di Tortona, Rozzano e Serravalle Scrivia, aiutano Ricci a farsi conoscere. “Ma mi sono accorto che non era il mio mondo. E ne sono uscito piuttosto velocemente, in quattro o cinque anni”.
“Nello stesso periodo, un’altra piccola catena di supermercati di Roma, oggi assorbita da Conad, volle i nostri vini. Il proprietario aveva anche un paio di enoteche nella capitale e ci commissionò due etichette diverse per i due canali, per lo stesso vino: un Timorasso”.
“Siamo andati avanti così, ancora per qualche anno. Tutto faceva mucchio: si portavano a casa due soldini e si reinvestivano. Tanto lo stipendio da casellante c’era. Mia moglie era tranquilla. Un anno compri la terra, un altro il trattore, un altro lo cambi: sempre senza soldi. Adesso è comico parlarne, ma allora no”.
Una svolta “naturalista”, quella di Daniele Ricci, che si può definire completata dalla realizzazione di una tettoia, immersa nel vigneto, sotto alla quale sono state interrate tre anfore da 10 ettolitri.
“La mia idea, anzi la mia fissa, era quella di fare il vino nella vigna. Fondamentale l’incontro con Josko Gravner, da cui andai negli Novanta, proprio con Walter Massa”
L’uva, raccolta nei vigneti attigui, viene diraspata e vinificata a “Chilometro zero” nei tre recipienti di terracotta di fabbricazione toscana, originari di Impruneta (FI). Nasce così “Io cammino da solo“, il Timorasso in anfora di Daniele Ricci. Cento giorni di macerazione sulle bucce e 12 mesi di affinamento ulteriore in botti di castagno.
Un vino non filtrato, non chiarificato. Ottenuto ovviamente con lieviti indigeni, così come tutti quelli di Daniele Ricci e della sua Azienda agricola di Costa Vescovato. Il tempo, sotto a quella tettoia, sembra essersi fermato al 1929.
L’anno in cui i nonni del vignaiolo, Carlo e Clementina, cominciarono a coltivare i terreni di marne Tortoniane di San Leto. Una calamita che ha riportato Daniele Ricci tra il verde dov’era cresciuto. Strappandolo anno dopo anno dall’asfalto del’autostrada.
LA DEGUSTAZIONE VsQ Metodo classico 2014 “Donna Clem”. Metodo classico base Timorasso, 36 mesi sui lieviti, dosaggio zero. La base è ottenuta dalla cuvée dalle uve di due cru: San Leto (vigne vecchie) e Giallo di Costa (90 giorni di macerazione sulle bucce).
Ad occuparsi della spumantizzazione è Dogliotti Vini 1870, cantina di Castagnole delle Lanze (AT) che ha nel suo portafoglio diverse realtà dell’Alta Langa. Le prove sono iniziate nel 2009, ma l’uscita sul mercato (con appena 2 mila bottiglie) risale al Vinitaly 2017.
Perlage fine, che stuzzica il palato in un gioco curioso con la “grassa” abbondanza del Timorasso. Il sorso, grazie al non dosaggio, mantiene tuttavia la verticalità che ci si deve aspettare dall’uvaggio. Finale amarognolo e salino, che racconta la fase fenolica di raccolta di un Timorasso spumantizzato ancora in fase di evoluzione.
Derthona 2016. Vinificato con macerazione di 3 giorni sulle bucce e affinamento di 12 mesi in botti di acacia da 700 litri. E’ il vino d’ingresso nell’universo di Daniele Ricci, che non a caso ha il colore dell’oro.
Un Eldorado chiamato Timorasso che qui mostra la sua faccia più giovane, ma non per questo timida. Darà il meglio di sé a partire dai prossimi tre-quattro anni, ma già oggi comincia a mostrarsi per quel che sarà.
Colli Tortonesi Doc 2013 “San Leto”. Eccolo qui, sua maestà il Timorasso. Vinificato con macerazione di 3 giorni sulle bucce, 12 mesi sulle fecce nobili e almeno 24 mesi di ulteriore affinamento in bottiglia.
Naso che si spinge a toni netti di idrocarburo che sono la cifra del vitigno. Un Timorasso giocato su una balsamicità che, per certi versi, ricorda quelli prodotti nell’unica sottozona della Denominazione, la Val Borbera (600 metri slm). Conservando tuttavia gli sbuffi florali tipici della media collina (300 metri slm).
Un palato che si diverte a esaltare a corrente alternata salinità e grassezza balsamica, evidenziando fasi larghe (quasi morbide) e fasi acide (dure) del sorso. Sinonimo di un nettare che migliorerà ulteriormente in vetro, ma solo per chi avrà il coraggio di conservarlo in cantina.
Giallo di Costa 2013. Il vino a cui è più affezionato il produttore. Timorasso vinificato con macerazone di 90 giorni sulle bucce a cappello sommerso e 24 mesi di affinamento in bottiglia.
Ci sentiamo di concordare con Ricci, perché quest è un vino che fa facilmente innamorare di questa straordinaria uva a bacca bianca autoctona dei Colli Tortonesi.
Un Timorasso semplice, tutto sommato. Giocato su intensi sentori erbacei, agrumati e di radice di liquirizia, con ottima corrispondenza naso-bocca. Pregevole la chiusura, carica e salina.
Rispetto 2017. Novanta per cento Sauvignon Blanc, completato da un 10% di Riesling italico. Tra le sperimentazioni del vignaiolo Daniele Ricci, anche questa, riuscitissima. Dimenticatevi, però, i tipici tratti del Sauvignon.
Soprattutto al naso, l’ottimo grado di maturazione di uve alla raccolta ha giocato in maniera fondamentale nella riuscita di un bouquet davvero seducente, quasi femminile. Si tratta, di fatto, del vino dalla beva più “easy” di Daniele Ricci.
Un complemento di gamma che non snatura la filosofia del produttore piemontese, dal momento che la macerazione di 20 giorni sulle bucce resta parte integrante della vinificazione.
Colli Tortonesi Doc 2012, Io Cammino da solo. Vinificato con macerazione di 100 giorni sulle bucce in anfore di terracotta interrate e ulteriore affinamento in botti di castagno, per 12 mesi. E’ l’orange wine di casa Ricci. Il vino, che al momento, sorprende di più.
Al naso l’impronta ossidativa è netta, ma integrata alla perfezione in un corredo di . Netti anche i sentori di legno, che contribuiscono a rendere avvolgente, anche al palato, questo orange di carezzevole potenza.
DUE NOVITA’ IN ARRIVO
In quel laboratorio a cielo aperto che sono le vigne di Daniele Ricci, sono due le novità in arrivo. La prima sarà “C.C.C.”, che sta per “Come un Cane in Chiesa”. “E’ come mi hanno fatto sempre sentire, anche prima di trasformarmi in una specie di santone. Io ero, sono e resterò sempre un cretino: un uomo semplice!”, spiega il vignaiolo.
Vendemmia 2011 per il Timorasso “C.C.C.”, che sarà imbottigliata a febbraio. Si tratterà del capitolo 2, dopo “Rebus”, l’etichetta enigmatica che riportava gli anni di nascita dei componenti della famiglia Ricci (in quel caso di trattava di un Timorasso in magnum, dimenticato in cantina, al buio completo, per 8 anni).
La seconda novità si tinge di rosso. Sarà un Nebbiolo particolare. “Una prova”, che aspira a sondare le capacità dei Colli Tortonesi di produrre etichette in grado di fronteggiare le Langhe, in termini di finezza. Un’evoluzione, insomma, dell’attuale Nebbiolo “San Martino” di Daniele Ricci.
L’affinamento in 14 barrique delle vendemmie 2016 e 2017 è tuttora in corso: il vino non sarà messo in commercio prima di 4 anni. Per assaggiarlo, dunque, bisognerà attendere il 2020. Non resta che aspettare.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
NOVARA – Si è svolta lo scorso weekend, al Castello di Novara, la seconda edizione di “Taste Alto Piemonte”, evento dedicato alle dieci denominazioni delle provincia di Novara, Biella, Vercelli e Verbanio-Cusio-Ossola organizzato dal Consorzio di Tutela Nebbioli Alto Piemonte.
Nessuna nuvola su questa manifestazione in cui, anche nei momenti di maggiore affluenza – duemila presenze registrate complessivamente nei tre giorni di degustazione – si è respirata curiosità e letizia.
Cinquanta produttori presenti, con 150 vini in assaggio. Tutti dritti verso l’obiettivo di valorizzare i prodotti di un territorio che nulla ha da invidiare a zone più “blasonate” del Piemonte.
Vitigni protagonisti principalmente Vespolina, Uva Rara, Croatina e Nebbiolo in tutte le sue sfumature. Espressioni di un terroir unico, diviso tra zone alluvionali e zone vulcaniche, interpretazioni tanto diversamente affascinanti.
I MIGLIORI ASSAGGI Il nostro tour inizia al banchetto dell’azienda agricola Tiziano Mazzoni di Cavaglio d’Agogna in provincia di Novara con la degustazione del Colline Novaresi Doc Vespolina il Ricetto 2017.
Una Vespolina in purezza che fa solo acciaio. Di un bel colore rosso porpora, ha un naso intenso di fragolina di bosco. Un vino giovane che però resta teso e gustoso fino alla fine. Ha la giovialità di un Grignolino.
Della stessa azienda livello molto interessante anche per il Ghemme 2013 “Ai livelli”, un vino nato nel 2007 con una produzione di 1500 bottiglie. Solo sette mesi dall’imbottigliamento, ma già molto piacevole.
Diciotto mesi di tonneau e altrettanti di botte grande. Un naso fruttato che spazia dalla mora alla fragola, note balsamiche fin da subito e spezie. Freschezza, tannino intenso, ma maturo ed equilibrato. Lungo al retrolfattivo. Interessante il prezzo in cantina di 25 euro.
Poco più in là il banchetto di un’altra azienda di pregio, La Prevostura di Lessona in provincia di Biella. Colline di antiche sabbie marine, limi e argille sulle quali il Nebbiolo è perfettamente a suo agio. Un fuoriclasse il Lessona Doc 2014.
Nebbiolo 100%, fermentato in acciaio ed affinato in legno di secondo passaggio per circa 20 mesi per non snaturarlo. Una produzione di 2900 bottiglie. Non particolarmente intenso al naso, ma in bocca touché. Una mineralità ed una finezza da godere tutta.
#EPCI. E poi c’è Ioppa. Ne abbiamo parlato ampiamente già due anni fa, durante la manifestazione i Rossi del Rosa. Una tappa pressoché obbligata.
Al banchetto una selezione suddivisa tra vini più semplici, acciaio, fermentazioni veloci e poi vini più importanti: una Vespolina in purezza e tre Ghemme (85% Nebbiolo e 15% Vespolina) fermentazioni naturali, lunghe macerazioniche, quattro anni di legno e un anno / due in bottiglia.
Primo assaggio il Colline Novaresi Doc Rusin 2017. Un rosato da migliaia e migliaia di bottiglie che va all’estero prodotto con uve Nebbiolo.
Ha ancora una certa pungenza, ma resta un vino molto equilibrato e piacevole, comprensibile il suo successo. Siamo certi che in Italia, con una fetta di salame, sarebbe un temibile antagonista del Prosecco.
Il secondo assaggio è il Colline Novaresi Doc Vespolina 2012 Mauletta. Un vino prodotto da un vitigno sul quale Ioppa ha deciso di scommettere. Ampelografia e clima gli sono venuti incontro. Romagnano è il primo paese della Valsesia, gode tutto l’anno di un microclima particolare, di un venticello che giova particolarmente a quest’autoctono.
Tante ore in vigneto per questa uva, il doppio di quelle che servono per il Nebbiolo: foglioline piccole, grappoli che si intrecciano e vanno liberati e defogliati per far prendere luce e aria. Lavoro che regala però tanta soddisfazione in bottiglia. L’annata 2012 ha sei anni sulle spalle non sentiti. Molto giovane, molto fresco.
Sembra un Barbera. L’olfatto regala mirtilli, frutti rossi giovani, ma anche note floreali e spezie. Al palato ha una grande struttura: corpo deciso, tannino presente, ma pulito. Grande equilibrio e finezza. Dimostrazione che la Vespolina ha un grandissimo potenziale: non è solo un vino aspro, semplice, d’annata o da taglio, ma può regalare emozioni. Tanto di cappello.
Bella sorpresa (ritrovata) il Ghemme Docg Bricco Balsina e Santa Fe. Entrambi annata 2012. Balsina nasce da un vigneto giovane sito su un terreno sciolto di sabbia e sassi “marci” che si sgretolano, radici che affondano in profondità. Mineralità e ferrosità dal terroir all’assaggio. Il Balsina è dritto ed austero, con un tannino percepibile: vino “wow” dal finale lunghissimo. Il Santa Fe è ancora più corposo, rispetto al Balsina è spostato verso la morbidezza, finale di sottobosco.
Ci spostiamo da Ca’ Nova, azienda di circa dieci ettari ai piedi del Monte Rosa, a Bogogno. Un battaglione di vini meritevoli, con una menzione speciale per il Colline Novaresi Doc Nebbiolo San Quirico 2010.
Direttamente dalla vigna che l’azienda ritiene più territoriale, un cru. Naso molto sul frutto e sulla spezia, palato più ferroso e minerale. Un vino ematico. Nonostante gli 8 anni sulle spalle il tannino si fa sentire, non graffiante, ma polveroso.
Estremamente gradevoli anche il Ghemme Docg e Riserva dell’azienda. Azienda da approfondire, con una visita in cantina.
Proseguiamo gli assaggi memorabili di questa edizione di Taste Alto Piemonte. Si fa apprezzare anche la “neonata ” cantina Pietraforata che si trova nell’antico ricetto di Ghemme:, attività cominciata solo nel 2012, un futuro promettente.
Il calice d’entrée è rosè. Si tratta del Colline Novaresi Doc Orezza. Un nebbiolo rosato che con la vendemmia 2016 è stato premiato con la medaglia d’argento all’International Rosè Championship. 5000 bottiglie prodotte per quello che si rivela un ottimo vino estivo, fresco.
Pulito ed agrumato e con una bella sapidità. Di poca persistenza forse, ma che importa:beva talmente piacevole da immaginarla in cambusa in barca a vela. Sognante.
L’ ultimo assaggio è eccezionale e lo facciamo in provincia di Vercelli da Mauro Franchino, “vestale” al maschile del Gattinara. In degustazione la 2012. Vino fermentato in cemento che fa 4 anni di botte.
Naso sontuoso e sinuoso: un tripudio di frutti e spezie: ribes, fragola, mora, mirtillo cui si aggiungono note speziate di pepe e chiodi di garofano e anche un accenno balsamico. E’ con che ritmo incede al palato! In punta di piedi, elegante come una ballerina. Un crescendo rossiniano. Emozionante.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
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SANTA GIULETTA – Eno Artigiano. Stefano Milanesi ama definirsi proprio così. E lo mette anche sull’etichetta dei suoi vini. Di un Oltrepò pavese “alternativo”.
Te ne accorgi da come t’accoglie per la visita programmata per un sabato mattina uggioso di fine febbraio: affettando salame e coppa. Siamo a Santa Giuletta, in provincia di Pavia. Sui primi dislivelli che si incontrano venendo dalla piatta metropoli Milanese.
Una passione, quella per il vino, che Stefano Milanesi ha ereditato dalla sua famiglia di viticoltori da molte generazioni. Certificato Bioagricert già da 10 anni, quando ancora del tanto modaiolo termine “Vini Naturali” e “Biologici” non si sentiva quasi parlare.
Qui la filosofia è chiara: niente diserbo chimico, solo rame e zolfo contro Oidio e Peronospora. Poi, tanta cura sulla pianta. “Perché non è vero che l’intervento dell’uomo deve essere il minor possibile”. Ci sediamo al tavolo per iniziare la degustazione.
Partiamo con il Pinot Nero Metodo classico. Non c’è un limite di permanenza sulle proprie fecce di fermentazione. E’ l’annata che decide. E poi è Stefano a spingersi oltre. La sboccatura non avviene mai prima dei 36 mesi.
In degustazione le vendemmie 2013 e 2010 ma in cantina c’è anche la 2007, sboccata a novembre 2017. I colori ovviamente solo diversi. Si va dal giallo paglierino intenso al dorato. Tutti vini che non subiscono chiarifiche, filtrazioni e acidificazioni.
LA DEGUSTAZIONE
I sentori al naso sono comuni e incredibili. Si va dal biancospino (aroma per Stefano che meglio rappresenta il Vesna Nature) ai sentori di fiori di campo e di frutta a polpa bianca. E poi uva spina, mela. Ma anche agrumi e pasticceria.
A un certo punto, dopo più di 2 ore, a bicchiere ormai vuoto, il naso rimanda note da Sauvignon Blanc, nello stupore generale del tavolo. Perlage di buona persistenza e finezza, complesso e fresco, sapido e minerale . Nel complesso una gran bella bollicina.
Si prosegue con Poltre bianco da uvaggio misto locale: Cortese, Riesling italico, Pinot nero, Trebbiano e Sauvignon. Un bianco da pasto, caratterizzato da una macerazione di 5 giorni che lo rende di un giallo dorato.
Il corredo olfattivo, tutto tranne che banale. Frutta matura a polpa gialla, frutta secca, qualche richiamo al miele millefiori. Freschezza da vendere. Sorso piacevole.
Poltre rosso è invece ottenuto da uve Croatina, Barbera e Uva Rara in percentuali maggiori. Macerazione un po’ più spinta del bianco e vino da complessità aromatica anche qui interessante. Forse qualche nota surmatura ad inizio bicchiere. Ma poi il vino si distende e il corredo aromatico si ingentilisce.
Si passa poi a quella che rimane la miglior espressione di casa Milanesi: il Neroir, Pinot nero in purezza di eleganza e finezza poco comuni. E’ un vino timido, si scopre piano. Pressatura soffice, macerazione di qualche ora, poi il cemento.
Il colore è scarico, da Pinot nero d’Oltralpe. E l’aroma spazia dalla piccola frutta rossa, come la visciola, ai fiori, come la violetta. Sul lungo dà il meglio di sé. Un vino fatto per stupire.
I CRU Si assaggia anche la Croatina OPpure e la Barbera Elisa. Annata 2009. Monovitigni per questi due cru, che dopo una macerazione di qualche giorno vanno in affinamento in legno, barrique e tonneaux di rovere francese e bulgaro.
L’acidità della Barbera e il tannino della Croatina rappresentano la base di questi due ottimi cru aziendali.
Ma il corredo aromatico e gustativo è complesso, armonico, forse più bilanciato sulla Croatina dove il frutto maturo, le note boisé e la spezia si fondono meravigliosamente.
Qui siamo sui 2 grappoli per pianta: rese bassissime, spinte alla maturazione perfetta. Vini da invecchiamento , con tanto corpo e tanta materia, da permetterne splendide evoluzioni.
La prova la abbiamo quando Stefano mette a tavola una bottiglia nuda , senza etichetta. Una bordolese, quindi capiamo che siamo andati indietro negli anni. E’ un blind taste questo. E Stefano ci invita a provare a scoprire cosa degustiamo.
Il naso non tradisce. E’ lo stesso di qualche bicchiere fa: è Barbera. Acidità e tanto corpo, ma ancora note calde in bocca, a prevalere sul terziario. Azzardiamo un’annata calda: la 2003. Bingo!
Ci alziamo soddisfatti dal tavolo: Stefano Milanesi vuole mostrarci la cantina, dove sono custodite le bottiglie e le barrique. Quello che colpisce di più, però, solo le pupitres in cui il giorno prima Stefano ha posizionato il suo Pinot nero atto a divenire Vesna. Il colpo d’occhio è ipnotizzante. Non ci si staccherebbe mai.
L’Eno Artigiano Stefano Milanesi è un vignaiolo a 360 gradi. La conduzione “familiare” della cantina è l’impronta tangibile del suo Dna. Il rispetto per la pianta e per il suo frutto, la sua impronta personale. Il resto, lo fa il suo istinto. Il suo azzardo. Il suo naso. E il suo palato.
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Fiano del Salento Igt passito 2016 Galadino. E Croatina Provincia di Pavia Igt 2016 Cantina Clairevue. Cos’hanno in comune questi due vini in vendita negli Md discount? Entrambi si sono aggiudicati 96 dei 99 punti sulla scala di valutazione del noto critico Luca Maroni, autore dell’Annuario dei Migliori Vini Italiani.
“Galadino” e “Cantina Clairevue”, inoltre, sono due linee del colosso Schenk Italian Wineries di Ora (Bolzano), che figura sulle retro etichette come Casavin. Schenk imbottiglia sia il Fiano sia la Croatina pavese, prodotta tuttavia dal Consorzio Vitivinicolo Piemontese-Lombardo-Veneto, con sede a Pavia.
Come accade sempre più spesso, è su richiesta degli attenti lettori di viniasuper che ci siamo spinti nella degustazione di questi due vini. “Sono stati recensiti bene da Luca Maroni, voi cosa ne pensate?”, ci scriveva Giacomo, il 24 gennaio scorso.
Una domanda che ci inorgoglisce. Consci che, nella giungla del web, sia passato il concetto che i degustatori di vinialsuper non abbiano padroni. Lungi da noi, al contempo, giudicare il giudice.
Ma questo è quello che pensiamo di due etichette, il Fiano e la Croatina, in vendita da Md discount rispettivamente a 4,99 euro e 2,99 euro. Punteggi meritati quelli assegnati da Luca Maroni?
FIANO DEL SALENTO IGT PASSITO 2016, GALADINO (5 / 5) Giallo dorato limpidissimo, nel calice, questo Fiano del Salento Igt ottenuto da uve leggermente appassite. Al naso l’impronta netta di questa tecnica, che consiste nel raccogliere le uve leggermente in ritardo rispetto alla completa maturazione. Con la conseguente presenza di una maggiore concentrazione zuccherina negli acini.
Dunque frutta esotica (melone giallo e ananas su tutti), ma anche pesca a polpa gialla matura, papaya e banana, uniti a richiami salini e vegetali importanti. Passiamo all’assaggio, insomma, dopo un’analisi olfattiva davvero suadente.
L’ingresso in bocca rispetta le attese: morbido, sulla scia dei sentori di frutta matura avvertiti all’olfatto. Poi, questo Fiano sembra vivere un moto d’orgoglio. Accendendosi di un’acidità calda e regalando, infine, una chiusura dominata da piacevolissime note a metà tra il salmastro e il fruttato maturo di banana.
Bel vino, insomma. Soprattutto nel rapporto qualità prezzo. Se “la qualità del vino è la piacevolezza del suo sapore, ovvero la sua fruttosità”, assunto da cui prende il via il metodo di valutazione dei vini di Luca Maroni, anche noi di vinialsuper ci troviamo perfettamente in linea con la valutazione di 96/99.
CROATINA PROVINCIA DI PAVIA IGT 2016, CANTINA CLAIREVUE (2,5 / 5) Rosso carico con riflessi violacei impenetrabili per questa Croatina che, all’esame visivo, mostra una certa consistenza. Al naso, il piatto forte non è certo l’eleganza. Ma da un vitigno ruvido come questo, e per 2,99 euro, si può anche non aspettarsela.
Il punto è che naso e bocca paiono piuttosto corrispondenti. Frutti rossi come amarena e mora vengono sotterrati da richiami di cuoio, tabacco e incenso, pesanti come macigni. L’ossigenazione fa guadagnare qualcosa a questa Croatina, che pare davvero molto chiusa in se stessa.
Interessante, forse, riassaggiarla tra qualche anno. Ma senza troppe velleità, al cospetto di un vino che lascia a desiderare in quanto a “consistenza” del sorso. Ingresso e beva esile, su cui si innesta – peraltro – una vena vagamente zuccherina, pensata forse per alleggerire la beva.
Una vena “bonardizzante”, per usare un neologismo, che certamente apprezza il consumatore medio. Il retro olfattivo è fruttato e presenta una chiusura leggermente speziata, con gli sbuffi di pepe nero tipici del vitigno.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Provincia di Pavia Igt Croatina Myrto Perego Perego
(4,5 / 5) “Qualità vegetariana”. Il “bollino” presente sulla retro etichetta della Croatina “Myrtò” di Perego & Perego attira l’attenzione di molti.
A noi che di slogan, certificazioni e medaglie interessa ben poco, sorge spontanea una domanda: cosa racconterà il calice di questo vino prodotto in provincia di Pavia?
LA DEGUSTAZIONE Iniziamo col precisare che la Croatina Myrtò di Perego & Perego ha parecchio in comune col più noto “Bonarda” dell’Oltrepò Pavese, prodotto (appunto) per un minimo dell’85% con uve Croatina. Aspetto e profumi sono quelli attesi. Porpora impenetrabile. Naso di frutta rossa (amarena) e fiori di viola.
Una Croatina, Myrtò di Perego & Perego, che rivela all’olfatto una parte “verde”, vicina alle foglie del geranio. Al palato, un rosso che si scopre leggermente mosso. Un brio subito placato dal tipico tannino ruggente della Croatina. Per il resto, un concerto di frutta rossa abbastanza fine, nel quale si distinguono gli acuti dell’amarena e della mora. La chiusura di bocca tende invece a un piacevole amarognolo.
La Croatina Myrtò di Perego & Perego trova sulla tavola molti alleati. Perfetta a tutto pasto, accompagna bene salumi, affettati e preparazioni di carne non troppo elaborate. Nella speciale scala di valutazione di vinialsuper, sfiora la vetta con un punteggio di 4,5 su 5. Prezzo eccezionale per un vino così “pulito” e capace di non stancare mai.
LA VINIFICAZIONE
Vinificazione molto semplice per ottenere Myrtò. Le uve di Croatina vengono raccolte e pigiate. Il mosto viene quindi messo in botti d’acciaio a temperatura controllata, per un tempo che varia (a seconda dell’annata) dai 7 ai 10 giorni.
In questo periodo vengono eseguiti continui rimontaggi, in modo da tenere sempre bucce (cappello) bagnate e per “caricare” il vino di colore e profumi. Finita questa fase, il mosto viene svinato e le bucce pressate in maniera soffice.
La fermentazione alcolica e malolattica prosegue in botti di acciaio, a temperatura controllata. Una volta terminata si procede al travaso, per separare il vino dalla feccia (residuo di fermentazione). L’affinamento prosegue in acciaio per circa 6-8 mesi, prima di essere pronto per la bottiglia.
“Tengo a precisare che viene aggiunta solforosa durante la vinificazione – commenta Giorgio Perego – ma non lieviti selezionati, né altri tipi di sostanze chimiche. Le chiarifiche vengono fatte solo con bentonite”.
“Per quanto riguarda la dicitura ‘qualità vegetariana’ – aggiunge il titolare della cantina pavese – si tratta di un marchio che certifica il non utilizzo di generi derivati da animali (albumine, caseine o gelatine che generalmente vengono utilizzate per le chiarifiche)”.
“Oltre a questo – continua Giorgio Perego – vengono certificati anche gli imballaggi (colle delle etichette e colle dei tappi, qualora venissero utilizzati gli agglomerati). Siccome pensiamo che il vino nasca ‘vegano’, facciamo il possibile per mantenerlo tale e ci teniamo che il consumatore lo sappia”.
“Per questo motivo – aggiunge il titolare della cantina dell’Oltrepò pavese – abbiamo pensato di appendere al collo della bottiglia e di far stampare sulla retro etichetta un qr code, grazie al quale l’acquirente può trovare tutte le informazioni utili. Siamo arrivati al punto di pubblicare la tracciabilità del prodotto, partendo dalle vigne alla bottiglia finita, in modo che il consumatore abbia un’idea precisa di come venga prodotto il nostro vino.
LA CANTINA
“Tradizione” e “innovazione” sono le parole d’ordine della Perego & Perego. A dirigere la cantina sono i due fratelli Marco e Giorgio Perego, che hanno deciso di rifondare l’azienda agricola del bisnonno Ernesto. Siamo a Rovescala, sulle colline dell’Oltrepo Pavese.
Un territorio tutto da scoprire per gli enoappassionati lombardi e italiani. E anche per la Gdo, raramente impegnata a scovare “chicche” nella nuvola di fumo creata dai grandi gruppi e dagli imbottigliatori. Polvere nella quale si distingue, certamente, questa ottima Croatina.
Trentamila le bottiglie di Myrtò che finiscono sugli scaffali del colosso milanese della grande distribuzione, su una produzione complessiva di 70 mila bottiglie per la la cantina Perego & Perego. Un rapporto, quello con la Gdo, avviato nel 2004.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
(4,5 / 5) Impresa non impossibile trovare un buon Bonarda al supermercato. Ma bisogna sapere dove andarlo a cercare. Un porto sicuro è quello offerto dall’Azienda agricola Fiamberti di Canneto Pavese.
Una delle prime cantine a entrare nella galassia Esselunga, al momento dello sbarco del colosso della Gdo in provincia di Pavia.
Sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper, in particolare, il Bonarda dell’Oltrepò pavese Doc 2016 “Vigna Bricco della Sacca”. Un “cru” di uve Croatina, dal quale Fiamberti trae in edizione limitata il vino rosso del pavese più noto al grande pubblico dei supermercati.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, questo Bonarda è perfettamente conforme alle caratteristiche espresse dal disciplinare di produzione. Colore rosso intenso, impenetrabile. E unghia purpurea, vivacizzata al momento del servizio da una spuma generosa, che svanisce in fretta. Lasciando così spazio al tuffo del naso.
I sentori parlano di un’uva raccolta a perfetta maturazione: caratteristica essenziale per la produzione di un ottimo Bonarda, che si stacchi dalla media di quelli prodotti senza troppa attenzione al risultato finale (tanto, poi, andranno a scaffale in Gdo a 2 euro, magari pure a volantino).
A una temperatura di servizio di 14-15 gradi, le note fruttate di ciliegia e lampone sono nette e perfettamente definite. La complessità non è una caratteristica del Bonarda, che deve restare un vino semplice, ma pulito. Qui, l’obiettivo è centrato. Perde un po’ di finezza, “Vigna Bricco della Sacca”, con la permanenza nel calice.
A una temperatura di 18°, peraltro suggerita dal produttore in etichetta, ciliegia e lampone perdono parte della loro gentilezza. Sfociando nel ribes da un lato (accentuato dalla leggera percezione del tannino, evidente a temperature più basse) e nella mela gialla matura dall’altro (il residuo zuccherino, non stucchevole, sembra divertirsi a controbilanciare il tannino).
Note che ritroveremo in un retro olfattivo di sufficiente persistenza, ma di nuovo non all’altezza della finezza espressa in ingresso. D’altro canto tutto tranne che sentori fastidiosi. Peraltro prevedibili in una vendemmia anomala e calda come la 2016, in occasione della quale si è fatto comunque un buon lavoro in casa Fiamberti, visti i risultati in bottiglia.
Mezzo punto in più (da 4 a 4.5) nella speciale scala di valutazione di vinialsupermercato.it per il prezzo fortemente concorrenziale del prodotto, nettamente superiore ad altri della stessa tipologia, dal punto di vista qualitativo. Un affare l’acquisto in occasione di promozioni da parte di Esselunga.
Vino a tutto pasto per antonomasia, il Bonarda Doc 2016 “Vigna Bricco della Sacca” non fa eccezioni. Dà il meglio di sé con antipasti a base di salumi e primi piatti non troppo elaborati. Da provare – per chi ama giocare con gli abbinamenti in cucina – con gli spätzle, i tipici gnocchetti tirolesi agli spinaci, con panna e fiammiferi di speck dolce.
LA VINIFICAZIONE
Se c’è un aspetto che salta all’occhio nella degustazione della Bonarda Fiamberti “Vigna Bricco della Sacca”, è l’indubbia attenzione nella selezione delle uve del “cru” e nella tecnica di vinificazione.
La Croatina viene pigiata non appena raccolta, al fine di evitare indesiderate fermentazioni. La temperatura stessa fermentazione, in cantina, viene costantemente controllata. Avviene a contatto delle bucce, secondo l’antica tradizione. L’affinamento avviene esclusivamente in acciaio, per preservare le caratteristiche varietali del vitigno.
L’azienda agricola Fiamberti di Canneto Pavese è una delle aziende più antiche dell’Oltrepò Pavese e dell’intera Lombardia. Nel 2014 ha festeggiato i 200 anni dalla sua fondazione. “Il vino è storia e geografia liquida – sintetizza Giulio Fiamberti, oggi alla guida dell’impresa di famiglia – e non si fa senza terreno e tradizione. Lavoreremo con entusiasmo e attenzione affinché chi beve i nostri vini sappia sempre da dove vengono”.
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Questione d’accenti. Te ne accorgi provando a pronunciarlo alla francese: Fabiò Marassì. Suonerebbe così, forse un po’ d’antan, ma più che mai intonato, il nome di Fabio Marazzi tra le colline dello Champagne.
Non foss’altro che Cantina Scuropasso si adagi sulle colline dell’Oltrepò pavese. Frazione Scorzoletta di Pietra de’ Giorgi. Trentacinque minuti a Sud di Pavia. Un’ora abbondante da Milano.
Non esattamente nei pressi di Châlons-en-Champagne, Reims, Troyes o Charleville-Mézières. Eppure, nella casa-cantina di questo appassionato vignaiolo lombardo, sembra sin da subito che la geografia ti stia prendendo per il culo. Rouler dans la farine, se preferite un’espressione d’Oltralpe.
La “r” moscia. L’eleganza dei modi che fa dimenticare – subito – che a parlare è un contadino con la camicia blu a quadrettoni. Un’attaccamento viscerale alla terra e alle vigne. La cocciutaggine nel difendere storia e valori di un territorio sfracellato dagli scandali, maltrattato dai burattini (e dei burattinai) della politica e dei Consorzi. L’agire, sempre, nel nome di un vino che deve parlare, prima di tutto, di natura e di passione. Sin dal colore. Fabio Marazzi è il francese d’Oltrepò. Monsieur Scuropasso.
LA VISITA Un vignaiolo strappato agli studi (e alle cravatte) di Economia e commercio. Scuropasso, fondata nel 1962 dal padre Federico e dal prozio Primo, svolta con Fabio nel 1988. Da vero e proprio “serbatoio” per le basi spumanti da Pinot Nero destinate ai grandi nomi della Franciacorta e del Piemonte (Guido Berlucchi, Carlo Gancia, Cinzano e Fontanafredda), la cantina inizia a produrre una propria etichetta. E’ il 1991. Il Metodo Classico Brut Pinot Nero Scuropasso segna l’avvio di una nuova era.
“Star vicino a enologi del calibro di Franco Ziliani, Lorenzo Tablino e Livio Testa, tutti formatisi in Francia, imparando sul campo dai vigneron dello Champagne, ha fatto in modo che la mia passione si tramutasse in un vero e proprio amore per il Pinot Nero, per le basi spumante, per il Metodo Classico”, spiega Marazzi.
Nel 1998 prende vita “Roccapietra”, la linea di spumanti Metodo Classico di Cantina Scuropasso. Un modo per unire i nomi delle due località simbolo per la produzione di Pinot Nero nella Valle Scuropasso: Rocca e Pietra de’ Giorgi.
Oggi l’azienda può contare su quindici ettari di proprietà. Centomila, circa, le bottiglie prodotte all’anno, anche grazie al contributo di alcuni storici conferitori, tenuti lontano dalle cantine sociali. Parte da leone spetta al Bonarda: 30 mila bottiglie del “vino da tavola” che consente a Cantina Scuropasso di reinvestire utili nella produzione della vera eccellenza: le 15 mila bottiglie di Metodo Classico da uve Pinot Nero.
Sempre più spazio, nell’assortimento di casa Marazzi, anche per il Buttafuoco, il vino rosso da lungo affinamento dell’Oltrepò Pavese. La recente acquisizione di “Pian Long”, vigna di un ettaro confinante per tre lati con i terreni dell’Azienda Agricola Francesco Quaquarini, fa entrare di diritto Scuropasso nell’olimpo del Buttafuoco Storico.
LA DEGUSTAZIONE Roccapietra Brut 2010 (sboccatura ottobre 2015). Cinquantadue mesi sui lieviti. Giallo paglierino brillante, perlage finissimo Balsamico e assieme fruttato, con ricordi d’agrumi ben definiti. Quello che, all’estero, definirebbero senza giri di parole “vino gastronomico”. Lunghissimo nel retro olfattivo. Un 100% Pinot Nero oltrepadano in pieno stile Montagne di Reims.
Pas Dosè 2009 magnum (sboccatura novembre 2016). Settantotto mesi sui lieviti. Un Pas Dosè nudo e crudo, ottenuto colmando con lo stesso vino. Naso di limone, lime, arancia, su sfondo di miele. Uno splendido spunto erbaceo montano, che ricorda l’arnica, copre i tipici sentori Champenoise di crosta di pane e lieviti. Sempre al naso, in continua evoluzione su un perlage da ammirare per finezza, spruzzi di vaniglia Bourbon.
Un Pinot Nero che sfida il tempo e la logica: auguratevi di non trovarlo mai in batteria alla cieca, col rischio di ringiovanirlo almeno di 3 anni, scambiandolo addirittura per un rosso. Lunghissimo il finale, tutto giocato tra balsamico e agrumi. Un capolavoro da godersi, a tavola, con un bel Parmigiano 39 mesi (minimo). Chapeau, Marassì.
Cruasè 2011 (sboccatura marzo 2017). Sessanta mesi sui lieviti. Le uve Pinot Nero a contatto con le bucce 10-12 ore regalano un “rosato troppo rosato” per i disciplinari. “Ma a me piace così. E continuerò a farlo così, perché è una scelta che si basa sull’essenza del frutto”, assicura il produttore durante la degustazione.
Parole che raccontano il calice meglio di qualsiasi altra prosopopea. E disquisizioni inutili di fronte a un grande rosato che l’Oltrepò del vino rischia di perdere, formalizzandosi sull’aspetto più che sull’anima dell’ennesimo signor Pinot Nero di casa Scuropasso.
Buttafuoco Docg 2009. Meticolosa scelta delle uve per assicurare uniformità nel raccolto e nella vinificazione delle varietà Croatina, Barbera, Uva Rara e Ughetta di Canneto nei vigneti della Garivalda. Quindici giorni in vasche di cemento, poi passaggio in acciaio.
Un anno in botte grande, poi botte piccola. Altri 365 giorni di ulteriore affinamento in bottiglia, prima della commercializzazione. Un Buttafuoco dall’acidità spiccata, non retta da un tannino efficace, forse per via di un legno usato in maniera troppo invasiva. Ma se queste sono le prove per la prima vendemmia a Pian Long, la strada segnata è certamente quella giusta, anche per il rosso principe di Cantina Scuropasso.
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(4 / 5) E’ uno dei prodotti di punta della casa vinicola Sartori, nel mondo della Grande distribuzione organizzata. Il Valpolicella Superiore Doc Ripasso Valdimezzo, spesso soggetto a promozioni nelle varie catene di supermercati, è un ottimo prodotto di avvicinamento ai grandi vini della Valpolicella, area nota soprattutto per la produzione dell’Amarone.
Di fatto, il Ripasso è un “cugino” del grande vino del Veneto, portabandiera del Made in Italy nel mondo. Il nome “Ripasso” è dovuto alla particolare tecnica di produzione, che prevede un periodo di macerazione del vino a contatto con le vinacce fermentate di uve atte alla produzione di Amarone (o di Recioto).
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il Valpolicella Superiore Doc Ripasso Valdimezzo 2014 Sartori si presenta di un rosso rubino tendente al granato, impenetrabile. Al naso richiami inconfondibili e tipici di frutti di bosco, tra cui dominano quelli a bacca rossa (ribes e lamponi), senza tuttavia coprire i sentori di mora. Anche i terziari sono evidenti all’olfatto: a tre anni dalla vendemmia, ricordano soprattutto il tabacco, ma anche lo stecco di liquirizia. Con l’ossigenazione, il Valpolicella Superiore Doc Ripasso Valdimezzo Sartori guadagna un pregevole spunto di rosmarino.
L’ingresso al palato è caldo, corrispondente all’olfatto nei richiami ai frutti rossi di bosco. Bocca che poi vira sulla sapidità, che assieme a una equilibrata acidità contribuisce a regalare una beva seriosa ma tutto sommato facile, su piatti di media elaborazione a base di carne e selvaggina. Più che sufficiente la persistenza nel retro olfattivo, dove si assiste al ritorno piuttosto prepotente dei frutti di bosco, questa volta in veste più simile alla confettura.
LA VINIFICAZIONE Il Valpolicella Superiore Doc Ripasso Valdimezzo 2014 Sartori è prodotto con uve Corvina (55%), Corvinone (25%), Rondinella (15%) e Croatina (5%), allevate nella zona collinare attorno alla città di Verona. Le radici affondano in terreni di tipo argilloso-calcareo.
In seguito alla selezione delle uve nel vigneto, viene eseguita una delicata pigia-diraspatura e fermentazione a temperatura controllata, per 8-10 giorni. La fase che caratterizza il prodotto, come anticipato, è quella del successivo “ripasso” del vino sulle vinacce dell’Amarone. Un’operazione condotta nel mese di febbraio.
Una seconda fermentazione che favorisce sia l’estrazione dei tannini, sia la longevità, sia l’estrazione degli aromi tipici dell’Amarone. Dopo la fermentazione malolattica inizia l’affinamento di circa 12-18 mesi, che prevede anche un passaggio in botti di medie e grandi dimensioni. Dopo l’imbottigliamento il vino riposa per almeno 6 mesi in bottiglia.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Rifermentazioni indesiderate in bottiglia, acidità volatili altissime, difetti derivanti da macerazioni forzate, ossidazioni incontrollate. Please: reset. E’ tutto quanto ormai relegato al passato. Se il vino biologico galoppa (e in salita) tra le scelte dei consumatori moderni, il merito è di chi sperimenta, innova. Ammoderna e comunica bene la “nicchia”. Nella settimana che incorona il Veneto capitale del vino italiano, con tre eventi di assoluto valore in programma tra le province di Verona e Vicenza tra il 7 e il 12 aprile, una fetta da assoluta protagonista spetta – di fatto – all’edizione numero quattordici di Villa Favorita – Vinnatur 2017.
Qualità media altissima tra i vini dei 170 produttori provenienti da Italia, Austria, Francia, Germania, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia e Spagna. E una promessa che sa di vittoria per Angiolino Maule: dotare i vignaioli associati a Vinnatur di un vero e proprio disciplinare di produzione. “L’obiettivo iniziale di mettere assieme diverse culture, in modo tale che ognuno si arricchisse di quella dell’altro – spiega il presidente Vinnatur – è stato ampiamente raggiunto già nei primi anni 2000. A quel punto abbiamo capito di essere ormai all’interno del piccolo grande ‘orticello’ del cosiddetto ‘vino bio’. Ora non ci resta che lavorare a un disciplinare, sostenuto da un vero e proprio piano di controlli. Partiremo con una quindicina di aziende pilota, per vedere i punti deboli e quelli forti. Entro il 2018 intendiamo offrire ai consumatori la tracciabilità di tutte le aziende del circuito Vinnatur, dal germogliamento della vite alla messa in bottiglia”.
Si parla di un totale di 1800 ettari, in grado di garantire una produzione di circa 3,5 milioni di bottiglie. Pezzi unici, diversi di vendemmia in vendemmia. Perché il nemico numero uno di chi lavora nel “bio” è la standardizzazione. E tra gli alleati di Vinnatur, anche l’Università. Come quella di Verona, che con le 52 micro vinificazioni condotte per tre anni sui “campioni” della “banda Maule”, ha consentito di studiare da vicino i meccanismi che, oggi, consentono ai vignaioli di produrre vini naturali equilibrati, longevi. E soprattutto privi di difetti. Passi da gigante, insomma, a poco più di dieci anni dalla prima ricerca sulla fertilità biologica dei suoli, condotta nel 2006.
I MIGLIORI VINI DEGUSTATI E allora citiamoli, uno per uno, i migliori vini degustati all’edizione 2017 di Villa Favita – Vinnatur 2017. La palma assoluta va a Podere Sequerciani di Gavorrano, Toscana grossetana. Divino il Vermentino, di cui vengono prodotte circa mille bottiglie l’anno. Affinamento in acciaio e giare di terracotta, con un piccola percentuale affidata invece alla barrique. Di colore giallo oro, offre una complessità aromatica memorabile, sia al naso sia al palato. Da provare anche due rossi di questa cantina della Maremma, specializzata nella coltura (e nella cultura) dei vitigni autoctoni: il Foglia Tonda, uva simile al Sangiovese, che affina per il 70% in giare di terracotta e il Pugnitello, che ricorda vagamente un Montepulciano, affinato invece per la maggior parte in barrique.
Sul podio anche l’Azienda Agricola Davide Spillare di Gambellara (VI), con il suo Bianco Rugoli 2015. Si tratta di un Veneto Igt da 12,5%, ottenuto dalla fermentazione spontanea di uve Garganega e Trebbiano. Un naso difficile da dimenticare e un palato rigoglioso, pieno, ampiamente soddisfacente di sorso in sorso. Un vero e proprio outsider, Davide Spillare, nella terra del Prosecco di massa. “Cerco di ottenere vini che valorizzino al meglio l’autenticità del territorio in cui sono cresciuto”, sostiene il giovane viticoltore cresciuto sull’esempio del pioniere del movimento Vinnatur, Angiolino Maule.
Indimenticabile anche il Sauvignon 2010 di Franco Terpin, azienda agricola friulana di San Floriano Del Collio, al confine con la Slovenia. Al naso incenso, lavanda, timo, verbena, sentori che sembrano librarsi nell’aria, attorno al calice, tanto delicati quanto netti e schietti. Una bocca quasi densa, per quanto corposa e ricca. Un Sauvignon che del Sauvignon “classico” ha ben poche rimembranze, se non per le tenui note erbacee che conferiscono morbidezza alla beva.
Bene, benissimo, anche l’intera produzione di Etnella Società Agricola Presa di San Gregorio di Catania. Siamo in Sicilia, alle pendici del vulcano Etna. Un’azienda condotta magistralmente da Davide Bentivegna, ex impiegato Siemens col pallino della viticoltura naturale. Uno con cui staresti a parlare per ore, davanti a un bicchiere di vino. Notti Stellate è il primo vino prodotto dalla sua cantina, nel 2010. Vigne di 70 anni, con una resa di 25 quintali per ettaro. Dodici giorni sulle bucce per le uve Nerello Mascalese e affinamento in tonneaux da 125.
Un vino di grandissima prospettiva (per la vendemmia 2015 segnare sull’agenda: ‘da riaprire fra 3 anni’) che già oggi si fa apprezzare per la pulizia delle note fruttate, piene, sia al naso sia al palato e la preziosa mineralità, prima soffusa e poi ben presente, soprattutto nel retro olfattivo. Stupendo anche Petrosa, altro rosso, da uve Nerello Cappuccio e Nerello Mascalese cresciute a 800 metri di altezza, su piante di 120 anni. Un signor vino dell’Etna.
Spicca, tra i produttori di spumanti italiani, Cà del Vent di Campiani di Cellatica, Brescia. Il VSQ 2014 Brut Rosè 2010 (sboccatura 2014), ottenuto da uve Cabernet Sauvignon e Sauvignon, regala un naso salino e di grafite, cui risponde un palato tra l’erbaceo e lo speziato: una “bollicina” unica nel suo genere, nel panorama di una Franciacorta che, ultimamente, tende alla standardizzazione.
IL RESTO DELLA PENISOLA Tra gli altri italiani, memorabili anche il Pecorino Doc 2015 Machaon di Ausonia di Atri, Teramo: fermentazione spontanea delle uve Pecorino d’Abruzzo, naso tra l’erbaceo dei fiori secchi e l’etereo dell’arnica e dell’anice, ben calibrati su note agrumate, nonché palato meravigliosamente giocato tra il balsamico e il minerale, su note predominanti d’arnica e di candido verde dalla straordinaria persistenza; il “base” di Musto Carmelitano, Maschito (PZ), Basilicata, vendemmia 2014, è uno dei vini qualità prezzo migliori in assoluto degustati a Villa Favorita – Vinnatur 2017 (9,50 euro), ottenuto in purezza da uve Aglianico.
Menzione anche per la Falanghina Maresa Roccamonfina 2015 di Masseria Starnali, Galluccio, provincia di Caserta: semplice nella sua schiettezza ma tutt’altro che banale, un vino quotidiano per palati fini; risalendo la penisola, uno spazio di diritto spetta all’Emilia Romagna con l’Ortrugo Doc Ciano dell’Azienda agricola Lusenti di Ziano Piacentino, Piacenza: chi conosce e apprezza questo vitigno per la facilità di beva rimarrà colpito dalla pienezza delle note fruttate e da una bocca un po’ ruffiana (viene aggiunto mosto dolce prima dell’imbottigliamento), ma ben calibrata.
Chiude il quadro idilliaco di Villa Favorita – Vinnatur 2017 l’Oltrepò pavese, con l’intera linea Gaggiarone dell’Azienda agricola Alziati Annibale di Scazzolino di Rovescala, Pavia: Riserva, Vigne Vecchie e Dintorni sono tutti Bonarda Doc ottenuti da uve Croatina, capaci di far scordare per un momento il concetto di vino “brioso e quotidiano” legato al rosso oltrepadano più comune, addentrandosi nel mondo dei vini importanti e da lungo affinamento.
Il Gaggiarone Riserva 2005 conserva un tannino aggressivo e ci si chiede tra quanti anni (e se) potrà ammansirsi, mentre la vedemmia 2015 sarà da ricordare per la piacevolezza delle note di frutti rossi, prima che l’onnipresente tannino esca dalla tana, a sgagnarti le gengive; splendido anche il Riesling Vigneto del Pozzo 2012 di Piccolo Bacco dei Quaroni, azienda di Montù Beccaria (PV) che regala un bianco degno dei parenti d’Oltralpe (tedeschi e francesi): interessante valutare nei prossimi anni l’ulteriore evoluzione di un naso tutto idrocarburo, fiori e spezie, cui fa eco un palato di consistenza finemente minerale.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Bottiglie “fasciate” con la stagnola e lista “muta” dei vini in batteria. Tante conferme e qualche sorpresa alla degustazione alla cieca di vini dell’Oltrepò pavese organizzata dal Consorzio di Tutela oltrepadano. Ospiti del direttore Emanuele Bottiroli, abbiamo testato 57 referenze destinate agli scaffali dei supermercati italiani.
Quindici le tipologie: spumanti bianchi, rosati, Pinot nero vinificato in bianco, Pinot grigio, Bianco Provincia di Pavia, Riesling, Pinot nero vinificato in rosa, Bonarda, Rosso Oltrepò pavese, Pinot nero vinificato in rosso, Barbera, Buttafuoco, Moscato e, infine, Sangue di Giuda. Ecco dunque, suddivisi per categoria, i vini migliori per ognuna delle categorie. Al servizio Gaia Servidio, della Segreteria del Consorzio.
Spumanti bianchi (prima batteria): Brut Castel del Lupo s.a. Spumanti bianchi (seconda batteria): Gianfranco Giorgi 2013, Cantine Giorgi (vincitore assoluto di categoria)
Spumanti rosati (charmat): V.S.Q. Extra Dry Cuvée Eleonora, Giorgi Spumanti rosati (metodo Classico): Maison Royale 2012, Az. Agr. Tenuta Elisabet di Pagani Elisabetta (Terre Lombardo Venete Group) Spumanti rosati (menzione speciale): Rosé Mornasca, Cascina Gnocco
Pinot Nero vinificato bianco: Cantine Francesco Montagna (Broni)
Pinot Grigio e Bianco Provincia di Pavia: presenti solo – rispettivamente – La Diana di Cantine Giorgi e il Bianco di Tenuta Elisabet
Riesling: Giorgi 2015
Pinot nero vinificato rosa: Cantine Francesco Montagna (Broni)
Bonarda (batteria 2016): Bronis 2016, Terre d’Oltrepò (la spunta nel testa a testa con C’era una volta di Losito e Guarini); menzione speciale per La Brughera di Cantine Giorgi
Bonarda (batteria 2015, pari merito): Quaquarini e Conte Vistarino
Rosso Oltrepò Pavese: Avalon 2015, Tenuta Elisabet
Pinot nero in rosso: 7 stelle 2014, Az. Agr. Torti
Barbera: Az. Agr. Torti, vendemmia 2015; menzione speciale per Le Vignole della Società Agricola Fratelli Guerci di Guerci Claudio Cesare & C., Casteggio.
Buttafuoco: Quaquarini 2015
Moscato: Guarini per tipicità; La Signora 2016 di Castel Del Lupo (Calvignano)
Sangue di Giuda: Losito e Guarini
IL COMMENTO DEL CONSORZIO “Abbiamo registrato una grande adesione di aziende a questa degustazione con vinialsupermercato.it – dichiara il direttore Emanuele Bottiroli (nella foto, a sinistra), direttore del Consorzio di tutela vini Oltrepò pavese – sia perché è un media molto seguito, sia perché oggi la presenza in Gdo dei vini dell’Oltrepò pavese è ancora tutta da spiegare. Molte volte non viene percepita per come effettivamente si presenta a scaffale: ovvero con grandi produttori che abbinano un rapporto qualità prezzo eccezionale, e lo garantiscono al consumatore. Invece l’Oltrepò si vede ancora purtroppo per quei fenomeni di taglio prezzo sui quali anche il Consorzio è concentrato, con l’obiettivo di renderli sempre più un fenomeno residuale, accendendo l’attenzione rispetto alla qualità che invece in grande distribuzione organizzata i produttori, in particolare quelli di filiera, portano con le loro referenze”.
“Referenze – continua Bottiroli – che partono dal Bonarda dell’Oltrepò pavese Doc che all’anno rappresenta 23 milioni di bottiglie, per finire poi in altri ambiti di alta gamma, rappresentati dal Metodo classico, dal Pinot nero e da vini dal profilo qualitativo molto interessante come il Buttafuoco e il Buttafuoco storico, che in Gdo si colloca quasi alla stregua dell’enoteca. Per non dimenticare i Riesling, venduti a un rapporto qualità prezzo vantaggioso per chi acquista”.
Per il Consorzio di tutela Vini Oltrepò pavese, la Gdo è “un’opportunità”. “Perché si può fare story telling territoriale”, spiega Bottiroli. “Per farlo – spiega il direttore – bisogna lavorare molto sul brand. Il brand Oltrepò pavese dev’essere la garanzia di questo terroir di 13.500 ettari di vigneti, 1.700 aziende vinicole impegnate e, per lo più, una tradizione contadine che è anche valoriale. Dentro una bottiglia in Gdo di Oltrerpò pavese, c’è la storia di tante famiglie che, da generazioni, coltivano i vigneti per fare qualità. La grande distribuzione è quindi certamente il mercato del futuro. Un luogo, questi supermercati, dove si incontra il cliente che purtroppo si incontra sempre meno in enoteca e si incontra, con ulteriore difficoltà, nella ristorazione”. Ed è su questa “sfida” che si concentra gran parte dell’impegno del Consorzio Oltrepò pavese. Su quella che, per dirla con Bottiroli, è la “percezione delle nostre etichette”.
Ma come si garantiscono, assieme, gli interessi di chi vede la Gdo come la gomorra del vino e chi, invece, con la Gdo campa? “Fortunatamente – risponde Emanuele Bottiroli – il nostro territorio presenta diversi modelli aziendali. C’è chi coltiva l’esclusivo interesse di posizionarsi nel mercato dell’Horeca e chi ha bisogno di lavorare nella Grande distribuzione in equilibrio tra vini quotidiani e vini di fascia medio-alta. Per tutti il Consorzio sta cercando di dotare tutta la sua Doc di fascetta di Stato: uno strumento che è garanzia per il consumatore, in termini di tracciabilità e di autenticità. Il nostro Cda ha già approvato questo iter nell’ambito di una revisione dei disciplinari che è un piano molto ampio che sta arrivando a compimento. L’altro tema è cercare di smettere di demonizzare un canale in sé e per sé: oggi in grande distribuzione ci sono grandi Champagne, grandi bollicine italiane, grandi vini da lungo affinamento. E dunque è ora di smettere di dire che soltanto le enoteche o il ristoratore stellato può proporre vini di qualità”.
E-COMMERCE E GDO A CONFRONTO
E l’e-commerce del vino? “E’ un fenomeno – commenta Bottiroli – che vedo con un po’ di preoccupazione. E’ completamente spersonalizzante. Oggi è ormai comune vedere catene come Esselunga, Iper o Carrefour che dedicano corsie molto belle e molto attrezzate nell’ambito della comunicazione dei vini e dei loro abbinamenti in cucina, addirittura con indicazioni sulla temperatura di servizio. L’e-commerce rischia invece, al contrario, di allontanare una zona rurale come la nostra dal consumatore, lavorando solo sui brand. Credo che in questa Italia che guarda sempre più all’estero, ci sia un modo per valorizzare il vino agli occhi del consumatore italiano, anche dicendo alla casalinga di Voghera che può bere spendendo il giusto, non pensando però di comprare sempre vini in taglio prezzo al posto di vini venduti al giusto prezzo. Un dialogo che va cercato con strumenti e intensità nuova”.
LA DEGUSTAZIONE Parole tutte condivisibili, quelle di un direttore e di un Consorzio che, dal giorno seguente l’attentato alle Cantine Vistarino, sembrano aver preso in mano con il giusto piglio la situazione. E finalmente. Dalla parte dell’ente di via Riccagioia 48 a Torrazza Coste (Pv), l’indubbia qualità del vino oltrepadano. Espressa fuori e dentro la Gdo. Sugli scaffali dei supermercati italiani si trovano prodotti di assoluto valore come quelli di Cantine Giorgi. Lo spumante Metodo classico Pinot nero Docg Gianfranco Giorgi si porta a casa con 14,60 euro in Gdo. Un regalo. E’ ottenuto da uve Pinot Nero 100% provenienti dalle zone più vocate, nei comuni di Montecalvo Verseggia, Santa Maria Della Versa, Rocca De Giorgi, ad un’altitudine compresa tra i 250 e i 400 metri sul livello del mare, in terreni calcarei argillosi.
Ottimo anche, per rimanere tra i vini migliori decretati da vinialsuper nella categoria “Spumanti bianchi”, lo Charmat proposto da Castel del Lupo, azienda agricola di Calvignano che, per il suo Pinot Noir Brut biologico, fa seguire alla fermentazione delle uve in vasche d’acciaio un ulteriore affinamento sui lieviti di circa quattro mesi in autoclave, dopo la presa di spuma. Prezzo? 7,50 euro al supermercato.
Cambiamo categoria per assistere a un altro trionfo di Cantine Giorgi. Tra gli “Spumanti rosati Extra Dry” dell’Oltrepò la spunta Cuvée Eleonora: 7,90 euro il costo di un nettare fragrante come un biscotto.
Tra i Metodo classico Rosè ecco spuntare il Cruasè Maison Royal 2012 dell’azienda agricola Tenuta Elisabet di Pagani Elisabetta, gruppo Terre Lombardo Venete Spa. Un 100% Pinot nero proveniente dai vigneti di Borgo Priolo, Montebello della Battaglia e Torrazza Coste. Raccolta manuale, pressatura soffice dei grappoli anticipata da una preziosa criomacerazione delle uve a 5 gradi. Lieviti selezionati e fermentazione in acciaio per 20 giorni, prima dell’affinamento della durata di 6 mesi, sempre in acciaio, malolattica, tiraggio a marzo e maturazione sur lies per almeno 36 mesi. Uno spumante cremoso, dalla bollicina finissima, suadente già dai riflessi aranciati di cui colora il calice. Prezzo folle (in positivo, ovviamente): solo 8 euro al supermercato.
Menzione speciale (e approfondiremo quanto prima il discorso) per il Rosè Mornasca Spumante Metodo Classico Igt di Cascina Gnocco. Questa cantina di Mornico Losana stupisce con uno dei suoi prodotti di punta del Il “Progetto Autoctoni”, che “nasce dal desiderio di raccontare il territorio utilizzando solo uve originarie dell’Oltrepò Pavese, e in particolare una varietà di uva rossa, la Mornasca, che alcuni secoli fa si sviluppò in alcuni vigneti siti nel comune di Mornico Losana. Con questa idea in mente, da qualche anno abbiamo abbandonato la produzione di altri vini che, seppur ottimi e di gran successo, ottenevamo con uve non autoctone dell’Oltrepò Pavese”. Chapeau. E una promessa: verremo presto a farvi visita, in cantina.
Cantine Francesco Montagna di Broni sbaraglia la concorrenza alla cieca nella categoria Pinot nero vinificato in bianco. Da dimenticare c’è solo il packaging, che fa eco a un sito web di difficile lettura. Ma se ciò che conta è il vino, non si discute: il prodotto, sullo scaffale per soli 4,99 euro, è validissimo. Sottile e finemente fruttato. Un vino in giacca e cravatta, seduto alla tavola di tutti i giorni.
Il Pinot grigio è di Giorgi: La Diana 2016 è in vendita a 7,60 euro. Il Bianco Provincia di Pavia 2015 di Tenuta Elisabeth: bel bere, per meno di 3 euro.
Nella categoria “Riesling”, il 2015 delle onnipresenti Cantine Giorgi (euro 6,90) la spunta per un soffio sul frizzante 2016 della linea Bronis, Terre d’Oltrepò.
Il miglior Pinot nero vinificato in rosa è quello di Cantine Montagna. Del pack abbiamo già parlato. Del vino non ancora: gioca “facile” in batteria con la referenza proposta dall’azienda agricola Losito e Guarini, che con l’intera linea “Le Cascine” si gioca letteralmente la faccia in Gdo (ed è uno di quei marchi che non fanno certo il gioco dell’Oltrepò pavese, con continui tagli prezzo sotto i 2 euro). Meglio parlare, dunque, di chi trionfa. Il Pinot nero vinificato resè Op Doc di Cantine Montagna è un dignitosissimo vino da tavola, dal bouquet fruttato ed aromatico di sufficiente qualità. Prezzo: 4,99 euro.
Lunghissima, invece, la lista di Bonarda proposti in degustazione. La spunta, per la vendemmia 2016, l’azienda agricola Quaquarini Francesco di Canneto Pavese (5 euro), a cui è andato il riconoscimento come “Miglior cantina Gdo 2016” di vinialsuper. La consegna della pergamena a Umberto Quaquarini è avvenuta in Consorzio, proprio in occasione della degustazione. Nello specifico del tasting alla cieca di Bonarda, si tratta di un pari merito con Conte Vistarino di Pietra de’ Giorgi (prezzo che si aggira tra i 5,90 e i 5,95 euro al supermercato). Menzione speciale, tra i 2015 degustati, per il Bonarda Bronis: altro riconoscimento, dunque, per questa linea di Terre d’Oltrepò. E sorprende il Bonarda La Brughera di Giorgi, cui sentiamo di riconoscere il premio della critica, scevro dalle logiche della Gdo: vino, addirittura, di ossimorica prospettiva. Provate a scoprirne il tannino.
Passiamo alla categoria “Rosso Oltrepò pavese” per trovare sul gradino più alto del podio lo strepitoso Rosso Op 2015 Avalon di Tenuta Elisabet. Sapiente mix di Barbera e Croatina da terreno calcareo argilloso. Il segreto sta nell’affinamento, che avviene solo parzialmente in inox per 12 mesi, mentre il resto destinato a tonneau e botte grande. Segue assemblaggio e chiarifica, prima dell’imbottigliamento. Sullo scaffale per poco più di 2 euro: provatelo.
Il miglior Pinot nero vinificato in rosso è dell’azienda agricola Torti. “L’eleganza del vino”, è il claim della cantina di frazione Castelrotto 6, a Montecalvo Versiggia. Uno charme che si esprime nella vendemmia 2014 del Pinot nero Op Doc 7 Stelle. Un nobile, tra i nobili dell’Oltrepò: profumo etereo e buona complessità al palato lo rendono un vino degno di piatti importanti, anche al di là di quelli della tradizione oltrepadana. Prezzo: dai 9,50 ai 12 euro.
Altro successo per Torti nella categoria Barbera Doc, in vendita dai 9 agli 11,50 euro. La vendemmia premiata è la 2015. Menzione particolare per il Barbera Op Doc 2011 Le Vignole della Società Agricola Fratelli Guerci di Guerci Claudio Cesare & C. (Località Crotesi 20, Casteggio). Otto euro il prezzo a scaffale di questa vera e propria gemma, la cui vinificazione prevede una macerazione sulle bucce di 15 giorni. “Un tempo il vigneto più piccolo era anche il più curato e prezioso tanto da essere affettuosamente chiamato Vignola. Oggi in questo amato terreno la famiglia Guerci produce con passione la sua Barbera. Un vino profumato, di carattere. Un vino di cui innamorarsi”. Nulla di più vero delle parole usate dalla stessa azienda, per presentare il proprio rosso.
Per il Buttafuoco si presenta in degustazione il solo Quaquarini (dov’è Fiamberti?) con la vendemmia 2015. Il premio per il miglior Moscato si divide tra la tipicità di Losito & Guarini – che guadagna punti in Gdo con tutta la linea “C’era una volta”, capace di spuntarla nel tasting anche nella categoria “Sangue di Giuda” – in vendita tra i 5,90 e i 6,90 euro, e il caratteristico taglio del Moscato 2016 La Signora della società agricola Castel del Lupo di Calvignano (prezzo: 6,50 euro). Un taglio, per intenderci, che lo avvicina di molto a quello piemontese.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Cisterna DAsti Doc Superiore 2011 prodotta dalla Azienda Vitivinicola Mo 1024x982 5
Cisterna d’Asti è una Doc piemontese praticamente sconosciuta, situata tra Asti, Cuneo e il Roero, con pochissimi produttori rimasti a imbottigliare vino con questa denominazione. Per disciplinare, le uve base devono essere minimo 80% Croatina, vitigno autoctono molto presente anche nell’Oltrepò Pavese e nel Piacentino. Una piccola perla nascosta, dunque, capace di emozionare. Ne è un esempio la versione Superiore 2011 prodotta dalla Azienda Vitivinicola Mo.
Nel bicchiere il vino presenta un colore rosso granato di media intensità e trasparenza, con buona consistenza. Il naso è intenso e complesso, con note fruttate di marasca, more e scorza di arancia, floreali di glicine e lavanda; successivamente incalzano sentori balsamici mentolati e di erbe aromatiche, con l’alloro in prima linea. In bocca regna un ottimo equilibrio, grazie alla buona struttura e a soddisfacente morbidezza, ben contrastate da tannino fine e gradevoli acidità e sapidità.
Buona la persistenza, con note finali di frutta e erbe aromatiche. Vino maturo e molto interessante, da degustare a una temperatura di 16°C in calici di media ampiezza e da abbinare a primi con ragù di carne o a formaggi di media stagionatura.
LA VINIFICAZIONE
Il vino è prodotto da uve Croatina in purezza, dai vigneti siti in Cisterna d’Asti e in Canale coltivati su terreni sabbiosi-argillosi. Dopo la fermentazione alcolica e malolattica, affina per almeno 12 mesi in acciaio, per poi venire imbottigliato. L’azienda Vitivinicola Mo è attiva dagli anni ’60 e si è da sempre dedicata alla coltivazione di vitigni quasi esclusivamente autoctoni, con grande passione e dedizione.
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E’ il “Cru” di Casa Testa, il vino più “esclusivo”. Quello nato da vigneti che godono della migliore esposizione. Parliamo del Gutturnio Superiore Doc la Gobba, prodotto e imbottigliato all’origine dalla Casa Vinicola Cav. Italo Testa Snc di Castell’Arquato, in provincia Piacenza. Abituati dai supermercati – specie nel Nord Italia – a vini Gutturnio mossi, spesso venduti a prezzi risicati che ne denotano la scarsissima qualità, il passaggio a un Gutturnio Superiore, senza “effervescenza”, può costituire un’esperienza unica per i winelovers meno esperti. Una sorta di scoperta delle potenzialità di uvaggi spesso bistrattati, per logiche di commercio, come Croatina e Barbera. Chiariamo, innanzitutto, che al contrario dei “cugini effervescenti”, il Gutturnio Superiore Doc si presta a diversi anni di invecchiamento, proprio perché vinificato alla maniera dei grandi rossi italiani.
Sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it finisce, di fatto, la vendemmia 2011. Tredici gradi e mezzo il titolo alcolometrico. Vino importante, dunque. Che si presenta nel calice di un rosso tra il rubino e il porpora, con riflessi granati. Al naso è schietto, mediamente fine: gli uvaggi si distinguono chiaramente, attraverso note che risultano pulite, nonostante il tempo trascorso in bottiglia. E’ il primo segnale della sublimazione di un prodotto storicamente “contadino” come il Gutturnio, vino della tradizione piacentina, che con il Superiore La Gobba si toglie di dosso le vesti polverose. E indossa la cravatta della domenica.
Al naso fa eco un palato di grande energia. Buona struttura, buon corpo. Con i profumi di ciliegia e prugna che si tramutano in gusto, giocando testa a testa con i fiori di viola e le note evolute di sottobosco (mirtillo, lampone maturo). Spazio, con l’ossigenazione, anche per terziari raffinati di vaniglia e cioccolato, avvolti al palato in tannini morbidi ma tutt’altro che spenti, uniti alla grande freschezza (e chi se l’aspettava, ancora?) conferita da un’acidità autorevole. L’idillio piacentino, da affiancare a importanti portate di carne rossa, dall’arrosto alla cacciagione, passando per la griglia. Alla temperatura dei grandi rossi: 18-20 gradi.
LA VINIFICAZIONE
Non è un caso se il Gutturnio Superiore Doc La Gobba della Casa Vinicola Testa viene prodotto solo nelle annate climaticamente fortunate. Quelle in cui il blend ottenuto al 70% da uve Barbera e al 30% da uve Croatina (Bonarda), garantisce i risultati migliori in bottiglia. I vigneti sono di tipo argilloso e calcareo, con esposizione privilegiata a Sud. L’allevamento a Guyot semplice. La tecnica di vinificazione prevede una pigiadiraspatura delle uve, accuratamente raccolte a mano, la fermentazione con lieviti selezionati in tini di acciaio a temperatura controllata e la macerazione per circa 20 giorni.
L’estrazione di colore, aromi e struttura tannica sono garantiti da rimontaggi giornalieri che evitano la creazione di sgradevoli sentori. L’affinamento si protrae per almeno 38 mesi, con passaggio di 4-6 mesi in botti di rovere di Slavonia, prima di un ulteriore affinamento in bottiglia che precede la commercializzazione. Ottimo vino, il Gutturnio Superiore La Gobba, dopo i 4-5 anni dalla vendemmia.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Quattrocentocinquanta espositori tra cantine e aziende produttrici di attrezzature professionali e commerciali di prodotti alimentari. Questo e molto altro è stata Cosmofood, manifestazione svoltasi dal 12 al 15 novembre a Vicenza, di cui vinialsupermercato.it è stata partner. Un pubblico di 42 mila persone ha è stato coinvolto in un ricco programma di oltre cento eventi e corsi semi professionali. Senza dimenticare degustazioni e seminari con ospiti illustri del mondo del food, come Ernst Knam.
Ma partiamo nel nostro raccontò tra le varie aziende di vino e non, addentrandoci nel mondo della birra. Due le realtà degne di nota tra quelle “industriali” e “garage”: il birrificio Engel e Tum. Il birrificio Engel, naturalmente di nazionalità tedesca, ha una produzione industriale che definiremmo “limitata”: la grande richiesta di questa birra di qualità ne limita la disponibilità. Un birrificio molto ricercato e in crescita, che sfodera interessanti Pils, Bock, Hell, oltre alla pluripremiata Gold.
L’azienda agricola Tum, di provenienza piemontese, più precisamente di Cavour, in provincia di Torino, si presenta con una base birra molto chiara e acida, sulla tendenza di birre antiche. Ma con un concetto giovanile e versatile: miscelare questa birra con vari sciroppi e aromatizzazioni.
Finito questo piccolo passaggio nel mondo delle birre ci avviciniamo naturalmente a ciò che più cattura il nostro interesse: il vino e i suoi produttori. Un viaggio che non poteva che iniziare da una bollicina, tra le più rappresentative della regione ospitante, il Veneto. Ci troviamo nello stand dell’azienda San Gregorio in Valdobbiadene, che produce Prosecco e non solo da generazioni. Un’azienda che ben si distingue con una sorpresa di ottima fattura. Una Docg ferma, ai più sconosciuta: la denominazione Prosecco Tranquillo, vino 100% Glera che si presenta al naso con tutte le caratteristiche olfattive di un Prosecco, ma che esalta la parte gustativa spesso celata, nel Prosecco “tradizionale”, dalla carica invasiva di anidride carbonica.
Superata la parte delle bollicine Charmat, ci avviciniamo a una delle bollicine italiane più in voga del momento: quella Franciacorta. Anche qui, ecco la sorpresa: quella di un’azienda che propone un ‘Metodo Solera’ per la produzione dei propri vini. Parliamo di Riva di Franciacorta. Naturalmente produttori delle varie declinazioni di Franciacorta, ben si fa apprezzare il Satén.
Ci spostiamo poi nel cuore dell’enologia italiana. Siamo in Umbria per conoscere la storia del Montefalco Sagrantino e delle cantine Rialto. Una realtà attiva dagli anni Cinquanta, che con passione coltiva non un vitigno ma una pianta definita ‘Sacra’, il Sagrantino appunto, capace di dare vita a una versione passita tradizionale, per poi essere “trasformata” anche nella classica versione secca.
Il viaggio enologico prosegue poi in Calabria, regione sempre poco citata, ma che produce ottime varietà, incontrando iGreco: azienda di qualità, si è fatta conoscere e premiare per i propri vini sul palcoscenico nazionale. Originaria di Cariati, in provincia di Cosenza, si presenta con diverse etichette tra cui spiccano alcuni spumanti di Greco bianco e Gaglioppo, oltre alle declinazioni classiche di bianco fermo di Greco e Nero di Calabria. Questa interessante azienda calabrese produce anche una versione di Gaglioppo che entra nel marchio WRT- Wine Researcher Team, un protocollo di vini con un regime rivolto alla naturalezza e alla chimica ridotta all’osso, sia in vigna che cantina.
Concludiamo il nostro tour al cospetto di sua maestà, l’Amarone. Vino della tradizione veneta, ma vinialsupermercato.it ama stupire. Segnalando questa volta un’azienda con uno sguardo rivolto al futuro di questo vino. Parliamo de Le Calendre, produttori in Valpolicella che si rendono protagonisti di un concetto di vino fresco e moderno, ma allo stesso tempo con la voglia di riscoprire vitigni antichi, che possono differenziare la produzione. Una riscoperta che punta a integrare uvaggi come la Corbina, la Croatina e la Turchetta, vinificati in cemento vetrificato e sottoposti a leggeri filtraggi, solo nel pre imbottigliamento.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Il figliol prodigo dell’Oltrepò pavese. Il Davide oltrepadano. Da sempre contrapposto, per stile e filosofia, al gigante Golia, che dalle parti di Pavia prende il nome di Bonarda. E’ il Buttafuoco storico, vino rosso da invecchiamento dell’Oltrepò Pavese. Una produzione limitata che, secondo gli ultimi dati, si assesta sulle 65 mila bottiglie. Numero che sale a 360 mila considerando l’intera Doc, che comprende un 25% di vino frizzante. Nulla a che vedere, insomma, con i 20 milioni di bottiglie di Bonarda che ogni anno escono dalle cantine pavesi. Ma per il Buttafuoco, e in particolare per il Buttafuoco storico, il 2016 potrebbe essere l’anno della riscossa. L’intitolazione di una piazza a Canneto Pavese (PV), avvenuta sabato 22 ottobre per volere dall’Amministrazione comunale guidata dal sindaco Francesca Panizzari, è solo uno degli indicatori della crescente attenzione verso questo nobile blend, ottenuto con sapienza dai vitigni Croatina, Barbera, Ughetta e Uva Rara. La vera rivoluzione parte dalla vigna. E arriva sino ai supermercati Esselunga, l’insegna del compianto Bernardo Caprotti. Da qualche settimana, infatti, è possibile trovare il Buttafuoco Storico Doc “Vigna Sacca del Prete” dell’azienda agricola Giulio Fiamberti in tutti e 90 i punti vendita Esselunga dotati di enoteca con servizio sommelier, dislocati sul suolo nazionale. Fa eccezione la sola regione Toscana, dove la catena milanese sta puntando sulla valorizzazione di altri nobili vini locali. Ad annunciarlo è proprio Giulio Fiamberti, non a caso presidente del Club del Buttafuoco storico.
“Negli ultimi anni – dichiara il viticoltore – siamo riusciti a imprimere una decisiva accelerata alle attività del Club, dando forma a una serie di progetti commerciali e di valorizzazione che erano in cantiere da un po’ di tempo. Un interesse sempre maggiore da parte delle istituzioni, complice probabilmente la scarsa forza dell’Oltrepò pavese in generale, che ha permesso di valorizzare ulteriormente alcune eccellenze che sono ormai da anni in controcorrente, oltre a una certa voglia e necessità di avere un prodotto bandiera che indichi una linea di qualità per tutta l’area oltrepadana, sono gli ingredienti del successo del Buttafuoco storico”. Risultati sotto gli occhi di tutti. Che gli attenti buyer di Esselunga non si fanno sfuggire.
“Quello con la catena di Caprotti – commenta ancora Fiamberti – è un rapporto che affonda le radici nei primi anni del 2000, quando è stato inaugurato il punto vendita di Broni, qui in Oltrepò pavese. La mia azienda è stata selezionata in quanto in grado di assicurare tutta la gamma di vini locali e, in più, anche il Buttafuoco storico e il Sangue di Giuda. In particolare, il Buttafuoco fu introdotto in 20 punti vendita. Poi il numero fu ridotto a 10, limitandosi alle province di Milano e Pavia. Arriviamo così sino ad oggi, con il cru ‘Sacca del Prete’ acquistabile in tutti e 90 i punti vendita Esselunga che possono vantare il servizio dei sommelier Ais all’interno delle loro enoteche”. Fiamberti, di fatto, è il maggiore produttore di Buttafuoco storico dell’Oltrepò pavese, con le sue 3.873 bottiglie. Il posizionamento del prodotto in Gdo è – per ora – lievemente sotto standard. “Si parla di 17,50 euro – ammette Fiamberti – ma il prezzo è destinato ad assestarsi, nei prossimi mesi, sui 18,50 euro circa”. In generale, il Buttafuoco storico si aggira tra i 16 e i 20 euro al pubblico, in enoteca. Mentre le cifre salgono a un minimo di 30 euro, grazie ai (grassi) ricarichi applicati dalla ristorazione locale. Mentre a livello nazionale, le carte dei vini sembrano quasi disconoscere il Buttafuoco.
“La produzione, complice la crescente richiesta non solo in Lombardia e in Italia ma anche e soprattutto all’estero, dal Canada alla Cina, è volata dalle 30-35 mila bottiglie del 2010 alle 65 mila potenziali del 2016”, aggiunge Armando Colombi, direttore del Club del Buttafuoco storico. “La superficie vitata è di circa 10 ettari – spiega – ma anche questo numero è destinato a salire. Uno dei progetti più importanti del Club è infatti quello di mappare nuove superfici, recuperando vigne abbandonate e valorizzando i terreni più vocati. I Vignaioli del Buttafuoco storico, che contribuiscono alla produzione del ‘cru dei cru’ consortile, vedono inoltre riconosciuto un valore commerciale di 3 volte superiore alle loro uve: questo perché il Buttafuoco necessita dell’apporto e dell’esperienza di tutti per diventare qualcosa di importante ed affermarsi, non solo come prodotto di nicchia, a livello nazionale e internazionale”.
Grande anche il lavoro sulla comunicazione del marchio. “Chi produce Buttafuoco storico – evidenzia Armando Colombi – non si pone più di tanto il problema di comunicare il prodotto, in quanto la produzione è talmente limitata da risultare sold-out in pochi mesi. Per questo il Club si sta concentrando sulla promozione del Buttafuoco storico nei confronti di chi si occupa di realizzare guide del vino e, in generale, nei confronti di tutti i comunicatori del settore”. Gomiti alti in area di rigore, insomma, per uno dei prodotti della viticoltura italiana più sottovalutati. Almeno nel Belpaese.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Come sarà la vendemmia di Pinot Nero in Oltrepò Pavese? La risposta sta nelle foglie. Lo assicura l’agronomo ed enologo di fama nazionale Giulio Vecchio, in occasione di un sopralluogo tra i vigneti lombardi. Buone, anzi buonissime notizie quelle che arrivano dalle terre di uno dei Metodo Classico migliori d’Italia. La vendemmia 2016, per il Pinot Noir, sarà da ricordare. Per qualità.
“Quest’anno – spiega Vecchio – il Pinot Nero ha avito delle condizioni di maturazione vantaggiosissime. Non si sono mai superati, se non per qualche ora, i 35 gradi di temperatura durante la fase di maturazione. Questo ha consentito alle foglie di svilupparsi in modo ideale, accumulando zuccheri e mantenendo sopratutto l’acidità, che è uno dei fattori fondamentali per la realizzazione di un Metodo Classico di qualità, soprattutto nell’ottica di una sua preservazione nel tempo”.
Il meteo, del resto, è stato clemente in provincia di Pavia. “Si sono registrate grandi piovosità a ridosso dell’arco alpino – evidenzia ancora Giulio Vecchio – ma la zona appenninica, che riguarda maggiormente l’Oltrepò Pavese, è stata risparmiata. Grazie anche alle temperature medio basse, le piante oggi registrano una maturazione perfetta e foglie perfettamente verdi. Una condizione che difficilmente si realizza. Foglia verde significa una fabbrica che sta lavorando a pieno ritmo per garantire tutti gli elementi di qualità nel nostro grappolo di Pinot Nero”.
IL CONSORZIO: “QUALITA’ ASSICURATA”
La vendemmia, insomma, entra nel vivo in Oltrepò Pavese: 13.500 ettari a vigneto, patria del Pinot nero Metodo Classico italiano dal 1865 e primo terroir viticolo di Lombardia. Sono impegnate 1700 aziende e un totale di circa 8 mila addetti tra imprenditori agricoli, agronomi, enologi, consulenti, operatori addetti alla raccolta e dipendenti delle cantine. Oltre al Pinot Nero, sulle colline oltrepadane si allevano Croatina, Barbera, Riesling e Moscato.
Il presidente del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese, Michele Rossetti, enologo della scuola di Alba, conferma le previsioni di Giulio Vecchio. E preannuncia che sarà “una campagna vendemmiale qualitativa, con rese in linea o leggermente inferiori sul 2015”.
“Abbiamo iniziato la raccolta delle basi spumante – annuncia Rossetti – per l’Oltrepò Pavese Metodo Classico Docg. L’annata è contraddistinta da un’eccezionale salubrità delle uve e un andamento climatico nel complesso positivo. Dai primi campionamenti si prevede, sulla carta e sulla base delle analisi, un’annata molto buona. Le uve denotano buone acidità e buon grado zuccherino. In merito alle rese una prima stima lascia supporre quantità in linea con quelle dello scorso anno o in leggero calo”.
In sintesi per le uve da Metodo Classico il quadro del Consorzio è positivo per l’Oltrepò Pavese. “Si prevede una vendemmia eccellente per nostre basi spumante”, riassume Rossetti. In merito alle uve bianche, il presidente chiarisce: “Gli ultimi giorni si sono contraddistinti per un’escursione termica tra giorno e notte particolarmente accentuata, foriera di una differenziazione degli aromi delle uve bianche che ci daranno vini particolarmente profumati”. L’ultima vendemmia in Oltrepò sarà quella delle uve rosse.
“Qui è prematuro fare delle previsioni su base scientifica – spiega Rossetti – ma al momento i grappoli si presentano sani e hanno beneficiato di un andamento climatico favorevole. Sarà un anno particolarmente importante per le uve Croatina, da cui in particolare nascono ogni anno 20 milioni di bottiglie di Bonarda dell’Oltrepò Pavese DOC. Per le altre uve rosse siamo in attesa dei primi dati che ci diranno cosa ci dovremo aspettare ma si parte anche qui da ottime premesse”.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
(3,5 / 5) Anche Milano ha la sua Denominazione di origine controllata. La Doc meneghina è quella che risponde al nome di San Colombano al Lambro, piccolo Comune alle porte del capoluogo lombardo, a cavallo tra le province di Lodi e Pavia. Proprio qui viene prodotto il Rosso di Valbissera San Colombano Doc 2013 Poderi di San Pietro della Neuroni Agrari Società Agricola Srl. Un vino ottenuto dal blend tra Croatina (45%), Barbera (45%) e Uva Rara (10%), che nel calice si presenta di un rosso rubino intenso, con riflessi violaceo. Il profumo è prettamente fruttato.
Frutti rossi, in particolare maturi: lampone, ribes. Sullo sfondo una vena speziata di liquirizia. In bocca, Rosso di Valbissera San Colombano Doc Poderi di San Pietro presenta una buona struttura generale, di corpo. Alcolicità calda, piacevole avvolgenza. Più fresco che sapido, per un residuo zuccherino che torna a farsi sentire nella parte finale della beva, iniziata con toni decisamente più caldi, vicini alla spaziatura. Il tannino è giunto a una maturazione ottimale e l’equilibrio generale, seppur vagamente ‘infastidito’ da una leggera predominanza della Croatina sul Barbera, è sufficiente. È da evidenziare che annate precedenti, come per esempio la 2011, non presentassero questa caratteristica all’esame gustativo.
L’intensità retro olfattiva è normale, mediamente fine la qualità. La persistenza sufficiente, per una bottiglia che definiremmo matura, pronta quindi per essere servita al meglio in abbinamento a salumi, carni e formaggi stagionati. La tecnica di vinificazione del Rosso di Valbissera San Colombano Doc Poderi di San Pietro prevede, dopo la raccolta manuale delle uve tra la terza settimana di settembre e la prima settimana di ottobre mediante l’ausilio di carri frigoriferi, una fermentazione in vasche in acciaio inox con meccanismo di rimontaggio automatizzato, controllo della temperatura e scarico delle vinacce. La fermentazione alcolica avviene sempre in inox, mentre la malolattica viene svolta in barrique, dove il vino matura poi per altri 18 mesi. La Neuroni Agrari Srl è un’azienda agricola nata nel 1998, che può contare oggi su una superficie vitata di 65 ettari e una cantina di 4 mila metri quadrati dotata tra l’altro di pannelli solari.
Prezzo pieno: 6,49 euro
Acquistato presso: Il Gigante
Vini al supermercato è la rubrica dedicata al vino in vendita nelle maggiori insegne di supermercati presenti in Italia. Nella Gdo viene venduta la maggior percentuale di vino italiano. Qui potrai trovare recensioni, punteggi e opinioni sui migliori vini in vendita nella Grande distribuzione organizzata, valutati con cognizione di causa, spirito critico costruttivo e l’indipendenza editoriale che ci caratterizza. Inoltre, una rubrica sempre aggiornata sui migliori vini in promozione presenti sui volantini delle offerte delle maggiori insegne di supermercati italiani. Vini al Supermercato è la guida autorevole ai vini in vendita in Gdo, con una pubblicazione annuale delle migliori etichette degustate alla cieca dalla nostra redazione. Seguici anche su Facebook ed Instagram. Sostieni la nostra testata giornalistica indipendente con una donazione a questo link.
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