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Analisi e Tendenze Vino

25 milioni di euro alla filiera vitivinicola: raggiunto l’accordo Stato-Regioni

Raggiunta in Conferenza Stato Regioni l’intesa sul decreto che assegna 25 milioni di euro alla filiera vitivinicola. Lo stanziamento è previsto all’interno del Fondo per lo Sviluppo e il Sostegno delle Filiere Agricole, della Pesca e dell’Acquacoltura.

I fondi dovranno essere impiegati per la realizzazione di campagne divulgative, formative e informative con il canale Horeca e della distribuzione. Potranno essere destinati anche al finanziamento di campagne di informazione, azioni in materia di promozione e pubblicità.

IL RUOLO DEI CONSORZI DELLE DOP E IG

Il decreto – spiega il Mipaaf – è volto a sostenere e incrementare le esportazioni dei prodotti vitivinicoli all’estero e, nel contempo, attrarre verso i prodotti vitivinicoli un sempre maggiore numero di consumatori extra-Ue. E accrescere la consapevolezza di un consumo di qualità dei prodotti Dop e Ig, ancora in contrazione a causa della pandemia da Covid-19».

Nell’ambito della filiera vitivinicola, i Consorzi di tutela delle Dop e Ig sono stati individuati come «i soggetti che attueranno le campagne di divulgazione e informazione, per le loro specifiche funzioni di tutela, di promozione, di valorizzazione, di informazione del consumatore e di cura generale degli interessi relativi alle denominazioni».

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Esteri - News & Wine

Australia, export vino a picco nel 2021

Export del vino dell’Australia a picco nel 2021. Lo rivela l’ultimo report sulle esportazioni di Wine Australia, indicando nella pandemia e nei dazi imposti dalla Cina le cause della débâcle. I numeri parlano chiaro: – 30% in valore (2,03 miliardi di dollari) e -17% in volume (619 milioni di litri). Una crisi che, secondo gli analisti locali, non si risolverà prima della fine del 2022.

«La pandemia – evidenzia Rachel Triggs, direttrice generale di WA – sta ancora sconvolgendo il settore Horeca. La crisi globale dei trasporti continua a causare ritardi nelle spedizioni e un aumento dei costi di trasporto. C’è stata una crescita dell’export verso molte destinazioni, ma ci vorrà del tempo per compensare la perdita del commercio verso la Cina».

Non è qualcosa che accadrà da un giorno all’altro, né entro un anno. Ma il settore vinicolo australiano è resistente, e ci sono i primi segni che il duro lavoro di espansione e diversificazione dei mercati sta pagando».

Nel dettaglio, le esportazioni verso la Cina continentale sono diminuite del 97% in valore a 29 milioni di dollari. Consistente anche il buco in volume: -93%, a 6,4 milioni di litri. Una perdita di quasi 1 miliardo di dollari in valore e 90 milioni di litri in volume rispetto all’anno solare 2020, in cui le spedizioni sono rimaste esenti da dazi per la maggior parte dell’anno.

Escludendo la Cina continentale, il quadro si fa meno negativo. L’export dei vini australiani nel 2021 ha segnato un +7% in valore (2 miliardi di dollari). Diminuzione in volume ridotta al 6%, a 613 milioni di litri. «Dal 2009 – evidenzia ancora Rachel Triggs – è la prima volta che le esportazioni, esclusa la Cina continentale, raggiungono i 2 miliardi di dollari in un anno solare».

I mercati più performanti per il vino australiano nel 2021 sono stati Singapore (+108% a 166 milioni di dollari), Hong Kong (+45% a 191 milioni di dollari), Corea del Sud (+74% a 47 milioni di dollari), Taiwan (+65% a 31 milioni di dollari) e Thailandia (+31% a 28 milioni di dollari).

Le esportazioni valutate a più di 10 dollari al litro Fob sono aumentate in valore del 49%, se si esclude la Cina continentale. «Dando positivi segnali sul fronte della diversificazione del mercato – evidenzia la direttrice generale di Wine Australia – grazie alle richieste pervenute su prodotti che, senza la pressione dei dazi, sarebbero stati esportati in Cina».

Il calo dei volumi, esclusa sempre Cina continentale, ha riguardato soprattutto le spedizioni verso il Regno Unito, gli Stati Uniti e il Canada. Tra le cause del tonfo, anche le tre vendemmie che hanno preceduto la 2021, caratterizzate da una scarsa produzione. In particolare, la vendemmia 2020 è stata la più scarsa del vino australiano dal 2007.

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Piemonte, vignaiolo viola la zona rossa: «Sfiniti da gelate, cinghiali e ordinanze»

«Mi sono rotto i co*****i, venitemi a prendere». Durissima presa di posizione del vignaiolo del Piemonte Gianluigi Mignacco, che nel primo primo pomeriggio odierno ha violato la zona rossa disposta contro la peste suina e si è avventurato nei boschi della Val Borbera, in provincia di Alessandria, «per un’escursione».

Durante la camminata ha registrato un video, postato sui social, in cui spiega le ragioni del gesto. Dal 2017 ad oggi, la cantina non avrebbe ricevuto alcun sussidio, né per i danni da gelate, né per il raccolto mangiato dai cinghiali, né per il Covid-19.

«Nel 2017 – spiega Gianluigi Mignacco – a causa di una devastante gelata abbiamo perso tutto il raccolto: più di 100 quintali d’uva e circa 3 mila piante. Nonostante le promesse di assessori e varie figure non abbiamo ricevuto nessun tipo di aiuto. Nemmeno una pacca sulle spalle. Abbiamo cercato di rimetterci in piedi a nostre spese, nel silenzio»

In tutti questi anni abbuiamo subito danni da cinghiali, continuamente. In occasione della scorsa vendemmia abbiamo perso il 30% raccolto, ovvero il 30% del nostro potenziale utile. Qualunque azienda non riuscirebbe a stare in piedi. Un danno da nessuno riconosciuto. Sempre a nostre spese abbiamo appena intentato una causa civile».

Gianluigi Mignacco affronta poi il capitolo Covid-19 e ristori mancati: «Con la mia famiglia abbiamo seguito tutte le indicazioni di isolamento, vaccino, terza dose. Siamo stati sempre ligi alle normative. La nostra azienda agricola non ha ricevuto nessun tipo di aiuto. Neanche la sospensione di contribuiti. Lo stesso vale per il mio ufficio, dove svolgo attività da libero professionista».

«Dopo questa scellerata ordinanza che, a mio avviso, è priva di ogni fondamento scientifico e che cala in zona rossa tutto il nostro territorio, mentre si stava a fatica risollevando da una situazione devastante, posso dire con estrema pacatezza che mi sono rotto i co*****i, venitemi a prendere», prosegue Mignacco riferendosi all’ordinanza anti peste suina diramata nelle scorse ore.

Oggi, 14 gennaio 2022, sono le ore 14.30, sto violando l’ordinanza. Sarà un gesto che ai più apparirà ridicolo. Lungi da me chiedere a chi mi sta guardando di fare altrettanto e attenzione perché questo è un reato. Sono in un comune nel quale è vietata ogni forma di escursionismo e sono a camminare. E sapete cosa vi dico? Venitemi a prendere»

Raggiunto telefonicamente da WineMag.it, il vignaiolo Gianluigi Mignacco aggiunge rammarico al suo sfogo: «Non ho altro da dire, se non che fare viticoltura nel nostro territorio è già di per sé complicato, visto che in val Borbera la viticoltura era praticamente estinta fino ai primi anni 2000». Oggi, uno sparuto gruppo di produttori sta tentando di risollevarla (qui la notizia). Tra mille difficoltà.

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Omicron, aziende del vino in ginocchio: «Dipendenti a casa in malattia, produzione in stallo»

Aziende del vino in ginocchio al cospetto della variante Omicron. Oltre all’aumento dei costi delle materie prime, le cantine stanno facendo i conti con una drastica riduzione del personale. Con i dipendenti a casa in malattia, a rischio c’è la produzione.

L’allarme vale per tutto il Paese, ma a parlare è il titolare di una delle aziende della zona del Prosecco. «Il virus e il sistema delle quarantene – sottolinea l’imprenditore – mette in malattia, a rotazione, dal 10 al 20% del personale di tutte le aziende, con gli ovvi problemi di produzione collegati».

«TRA I RISCHI, LA PERDITA DELLA CLIENTELA»

Questi non comportano solo un danno economico diretto come la mancanza delle consegne, ma in alcuni casi si presentano danni ben più gravi come il deterioramento delle materie prime fresche o la perdita della clientela.

Come le mucche devono essere munte ogni giorno, anche il vino quando è pronto deve essere imbottigliato. E le vigne devono essere potate. Al tempo stesso, se la grande distribuzione si trova con gli scaffali vuoti si rivolge a un altro fornitore».

CAPITOLO REDDITO DI CITTADINANZA

«Non va dimenticato – continua l’imprenditore veneto – che fino al 2021 i costi di queste assenze sono stati a carico delle imprese. Nel 2022 ancora non si sa. Per esempio, per ciò che riguarda la nostra azienda si tratta di circa 6/7.000 ore all’anno, di cui una parte importante nell’ultimo mese dopo l’esplosione della variante Omicron».

A peggiorare la situazione è anche la mancanza di manodopera. «Non si riesce a trovare sostituti perché il reddito di cittadinanza, pur encomiabile nello spirito, disincentiva molte persone ad accettare un lavoro», denuncia il produttore.

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Enoturismo

Green pass per visite in cantina, degustazioni ed eventi: cosa prevede il decreto 30 dicembre 2021?

Visite in cantina, degustazioni ed eventi: cosa prevedono le misure del governo per arginare il Covid-19 e la variante Omicron? Se già il decreto legge n.172 del 26 novembre 2021 sanciva l’obbligo del green pass rafforzato per visite e degustazioni in cantina a partire dal 6 dicembre 2021, il dl n. 229 del 30 dicembre (qui il documento ufficiale) ne proroga l’applicazione. Con ulteriori provvedimenti relativi ai servizi all’aperto.

Fino alla fine dello stato d’emergenza, fissato al 31 marzo 2022, il green pass rafforzato sarà necessario per il consumo al banco, al chiuso, nei servizi di ristorazione in tutte le zone (bianca, gialla, arancione).

Dal 10 gennaio, inoltre, anche in zona bianca e gialla, sarà richiesto il green pass rafforzato per il consumo al banco all’aperto. Consentito, invece, fino al 9 gennaio, senza green pass o con la sola certificazione base.

SAGRE, EVENTI, FIERE CONGRESSI E CORSI DI FORMAZIONE

L’ingresso a sagre, fiere e congressi, anche su aree pubbliche, sarà riservato a coloro che dispongono del super green pass. Sia all’aperto che al chiuso e con mascherina FFP2.

Impatti anche sui corsi di formazione privati. Se in zona bianca o gialla per partecipare ad un corso di formazione privata in presenza sarà sufficiente il green pass base in zona arancione servirà il super green pass.

SERVE IL GREEN PASS PER LE DEGUSTAZIONI IN CANTINA?

Visitando i siti web delle cantine italiane, anche di grandi dimensioni, oppure i siti web di associazioni di formazione, si trovano spesso informazioni non aggiornate sui protocolli di sicurezza Covid. Comprensibile, considerato il susseguirsi di nuove norme con soppressione di appendici delle precedenti.

Il consiglio ai winelovers è di verificare sempre con la cantina la normativa e il protocollo vigente, oltre al colore della zona in cui si trova la cantina che si intende visitare.

LE SCELTE DEI BIG: BERLUCCHI, BANFI E DONNAFUGATA

Resta comunque sempre consentito – al momento – l’accesso al negozio della cantina. Quanto alle cantine, aziende come Berlucchi, in Franciacorta, spiegano chiaramente le misure anti Covid-19 sul proprio sito web.

In Toscana, Banfi rassicura clienti del resort e winelovers sul rispetto delle misure e sulla formazione costante del proprio personale. Nel Sud-Italia, cantine ben strutturate come Donnafugata ricorrono invece a un popup a comparsa al momento dell’accesso sul portale aziendale.

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Enoturismo

Agriturismi, pioggia di disdette a causa della variante Omicron

Pioggia di disdette anche negli agriturismi italiani a causa della variante Omicron. «Nonostante fosse stata già considerata l’assenza di ospiti stranieri – spiega Augusto Congionti, presidente di Agriturist-Confagricoltura – le premesse erano decisamente buone con molte strutture al completo fin dopo Capodanno. In soli due giorni la situazione si è ribaltata e molti agriturismi, affogati dagli annullamenti delle prenotazioni, hanno deciso di chiudere per l’ultimo dell’anno».

Nel Lazio circa un terzo delle strutture è rimasto chiuso. Quelle aperte hanno registrato un calo dal 70 all’80% per Natale. Non Meglio il Capodanno: meno 50% per la ristorazione e 20% per gli alloggi. Per l’Epifania il crollo è maggiore, con punte che arrivano al 90%.

Bene, invece, le cene da asporto. La Lombardia ha registrato un meno 40% per la ristorazione. Una perdita compensata in parte dall’aumento del 20% della vendita di prodotti per cesti natalizi e regali aziendali. Sono cresciute, in controtendenza, tra il 10 e il 15% le richieste di alloggio per il fine anno. Si tratta di chi ha dovuto rinunciare ai viaggi all’estero.

CONFAGRICOLTURA: «SERVE STRATEGIA TURISTICA»

In Toscana gli operatori degli agriturismi hanno lavorato molto a Natale. Ci si aspettava un Capodanno all’insegna del tutto esaurito, invece è stato un continuo di sospensioni e cancellazioni. Molte le strutture salvate da conferme e prenotazioni dell’ultimo minuto.

In Puglia si è registrato un Natale positivo. Poi sono fioccate le disdette, soprattutto da ospiti provenienti dal Nord Italia. Veglioni all’80% della capienza con il turismo di prossimità, un meno 40% per il primo dell’anno. Lentissima l’Epifania, con un’occupazione delle strutture che arriva al 30-40%.

La Sicilia rileva un crollo per Capodanno, dopo un Natale con presenze diminuite di circa un terzo. Molti agriturismi rimasti chiusi, in particolare le strutture più piccole. I più grandi, con un Natale che ha segnato un meno 20%, sono rimasti comunque aperti, pur lavorando al di sotto delle aspettative. Male anche a Bologna dove, a Capodanno, gli agriturismi rimasti aperti sono riusciti a malapena ad arrivare al 30% della capienza.

«La situazione – aggiunge Augusto Congionti – continua ad essere difficile e la ripartenza per gli operatori agrituristici non deve rappresentare né una strada sempre in salita né, tantomeno, un miraggio. Occorre predisporre una concreta strategia turistica per il Paese, capace di agevolare il ritorno degli ospiti internazionali, con un tavolo di consultazione stabile tra tutti gli attori della filiera. Le istituzioni considerino l’importanza del settore turistico, all’interno del quale gli agriturismi sono una componente fondamentale per l’economia e il futuro dell’Italia».

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news ed eventi Wine Calendar

Annullata ViniVeri Assisi 2022: appuntamento a Cerea dall’8 al 10 aprile

ViniVeri Assisi 2022 è stata annullata. Salta così l’appuntamento fissato per il prossimo 17 gennaio, a causa della nuova impennata di casi di Covid-19 in Italia. Per incontrare i produttori bisognerà attendere la XVII edizione di ViniVeri a Cerea (VR), dall’8 al 10 aprile 2022.

«Abbiamo aspettato fino all’ultimo – ammette l’organizzazione attraverso un comunicato ufficiale – prima di prendere una decisione definitiva. Eravamo pronti ad accogliere, dopo due anni dall’ultimo appuntamento in presenza ad Assisi, i tanti appassionati del “vino secondo natura” che con costanza e dedizione ci seguono e ci sostengono».

Stavamo contando i giorni che ci separavano dal primo evento in programma per il prossimo 17 gennaio. Ci avrebbe visto, finalmente, incontrare e degustare tutti insieme dopo questi due lunghissimi e pesanti anni di pandemia e restrizioni».

IMPENNATA DI CASI COVID-19: ANNULLATA VINIVERI ASSISI 2022

«I numeri record registrati nella diffusione del virus in tutto il mondo e l’esplosione dei contagi in Italia dovuti alla variante Omicron, con il picco previsto dall’Organizzazione mondiale per la sanità proprio entro gennaio, non ci permettono altra scelta che quella di annullare il nostro atteso appuntamento di inizio anno di ViniVeri Assisi 2022», si legge nel comunicato.

Una decisione, quella di cancellare ViniVeri Assisi 202, dettata dalla volontà di «far prevalere il massimo senso di responsabilità verso la sicurezza e la salute di tutti noi, vignaioli, winelovers, enotecari e ristoratori»

«Non demordiamo – sottolineano ancora gli organizzatori – la voglia di condividere il frutto del nostro quotidiano lavoro in vigna e in cantina è più forte delle attuali avversità. Recupereremo eventi ed incontri non appena la situazione tornerà alla normalità, con la volontà di poterci vedere a Cerea (VR) dall’8 al 10 aprile 2022 per la XVII edizione di ViniVeri».

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Enoturismo

Decreto Festività, discoteche chiuse a Natale e Capodanno: dura reazione di Fipe

Fipe Confcommercio esprime «solidarietà e forte preoccupazione» per le discoteche chiuse a Natale e Capodanno, causa Covid-19. «Non si possono trattare imprese e lavoratori in questo modo», sintetizza la Federazione Italiana Pubblici Esercizi. commentando il provvedimento inserito nel Decreto Festività.

Le imprese e i lavoratori meritano rispetto e il governo con la decisione di chiudere le discoteche fino al 31 gennaio, ha dato il colpo di grazia a migliaia di imprese e ai lavoratori di tutto l’indotto. Un fatto grave nei tempi e nei modi, arrivato come un fulmine a ciel sereno.

Una decisione comunicata in una conferenza stampa, non preannunciata e non accompagnata da misure compensative, che rischia di produrre effetti disastrosi su un comparto appena ripartito oltre che favorire abusivismo e pericolose situazioni di aggregazione nelle città».

COVID-19, FIPE: «DISCOTECHE CHIUSE ALL’IMPROVVISO»

Le anticipazioni prevedevano che si potesse continuare a frequentare i locali con doppia vaccinazione e tampone rapido. «D’improvviso – continua Fipe – la retromarcia del governo. Con l’effetto paradossale di mettere in discussione proprio la campagna vaccinale».

Una scelta che la Federazione Italiana Pubblici Esercizi definisce «inopportuna». «Anche perché – spiega – diretta contro un unico settore, il più bersagliato in questi mesi di pandemia, che contava già perdite superiori ai 4 miliardi».

Una decisione che vanifica acquisti di merce, di assunzioni di personale, di artisti scritturati. Ma soprattutto annunciata senza nessun riferimento a misure economiche compensative che andavano identificate ed erogate contestualmente».

«Oltre al danno economico – conclude Fipe – la beffa di dover assistere impotenti la notte del 31 a feste in case private o in locali abusivi, dove si ballerà in assenza di qualsiasi forma di controllo. La misura è colma».

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Allarme Federvini su costo materie prime e nuova impennata Covid-19: «Ripartenza a rischio»

Federvini lancia l’allarme sul costo dell’energia e i prezzi di materie prime quali zucchero (+30%), carta (+35-40%) e vetro (+10%). Senza tralasciare l’incognita pandemia Covid-19, che sembra riprendere vigore, per esempio nel Regno Unito. A preoccupare sono anche i costi e i rallentamenti delle catene globali di trasporto e logistica, strategici per l’export del Made in Italy.

«Viviamo un momento molto delicato – dichiara Micaela Pallini, Presidente di Federvini – e non possiamo nascondere l’entità delle minacce che gravano su un settore così rilevante per l’interscambio commerciale del Paese in particolare con gli Stati Uniti, nostro primo mercato di sbocco internazionale.

«Le aziende, soprattutto in questo scorcio di fine anno – conclude Pallini – stanno realizzando in pieno la portata del problema che mette seriamente a rischio la concreta ripartenza di tutto il comparto. In gioco vi sono i fatturati di migliaia di imprese e il futuro di centinaia di migliaia di lavoratori».

FEDERVINI: «A RISCHIO LA RIPARTENZA»

Federvini da riferimento a diversi fattori. Non ultimo gli aumenti dei noli di container tra l’Europa e l’Asia, che a giugno hanno fatto registrare un + 600%. I picchi delle ultime settimane hanno raggiunto il + 2.000%. Nel trimestre in corso, i trasporti hanno aggiunto solo il 4% di capacità extra alle rotte est-ovest rispetto allo stesso periodo dell’anno precedete. Nello stesso periodo la crescita dei traffici è aumentata del 9,5%.

Difficoltà altrettanto importanti si stanno riscontrando nella catena logistica tra Europa e Stati Uniti, mercato di sbocco fondamentale per l’export italiano del settore. Nel complesso, ciò determina rischi estremamente preoccupanti per molte imprese e per l’intera filiera di riferimento.

Sul mercato interno, Federvini registra inoltre ritardi preoccupanti sul fronte delle infrastrutture fisiche e digitali. Le imprese del Nord-Est, dove si concentra una rilevantissima produzione di vini e spiriti, sono ancora gravemente penalizzate da un sistema viario del tutto insufficiente e ancora in troppe zone del Paese le aziende faticano a realizzare innovazione a causa della mancanza di reti digitali adeguate.

PREOCCUPAZIONI CONDIVISE

Una preoccupazione, quella di Federvini, condivisa anche dall’Alleanza Cooperative Agroalimentari. «Da un’indagine interna al segmento cooperativo – evidenzia il coordinatore del settore Vitivinicolo, Luca Rigotti – icosti dei materiali necessari per l’impianto dei vigneti, come legno, cemento, ferro ed alluminio hanno avuti incrementi fino al 70%».

Un aumento che erode reddito ai produttori e rende la situazione difficile in termini di tenuta economica e competitività delle imprese. I rincari, tuttavia, benché assolutamente rilevanti, non hanno avuto riflessi sui prezzi di vendita perché di fatto sopportati, nei segmenti a monte della distribuzione, dai produttori».

Anche l’Alleanza Cooperative Agroalimentari pone l’accento non solo sull’aumento dei costi di produzione, ma anche sul forte incremento dei costi dei noli marittimi e la carenza e il rincaro che ha riguardato anche i container trasportati via nave. Secondo il Global index Freightos il costo medio di un container ha quasi raggiunto 10 mila dollari, cioè 4 volte in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

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Gli Editoriali news news ed eventi

La Terra Trema 2021 salta per “colpa” di tamponi, vaccini, QRcode e Green pass

EDITORIALE – La Terra Trema 2021 «non avrà luogo». L’annuncio arriva dagli organizzatori ed è motivato da un lungo post pubblicato sul sito web della “Fiera feroce di vini, cibi e cultura materiale“. Tra le righe sembra rivivere il dramma di quella famiglia di pescatori di Aci Trezza, costretta ad arrendersi al destino dopo aver tentato di emanciparsi dalla povertà, mettendosi in proprio (leggi I Malavoglia di Giovanni Verga o vedi l’omonimo film, firmato Luchino Visconti). Là, una tempesta in mare. Al Leoncavallo di Milano le misure anti Covid-19 del governo, a rompere le uova nel paniere.

Tamponi, vaccini, QRcode e Green pass, per citarne solo alcuni degli elementi ostativi, oggetto delle critiche di La Terra Trema. Gente che non accetta di vestire i panni del “controllore” (termine troppo vicino ad altri ancora più invisi da queste parti, come “polizia“). Neppure se si tratta di garantire la pubblica sicurezza e salute. Meglio, allora, far saltare tutto. E mettere da parte, per una volta, pure l’antagonismo.

«Riteniamo prioritario fermarci, alimentando confronto, relazioni e pensiero critico. Riteniamo necessario sottrarci. Non ci avventureremo in percorsi obbliganti imbastiti dalle istituzioni, dai governi, dalla politica e dalla canea mediatica, in special modo da “social” e da “web”», si legge… online. «Non ci avventureremo nella torsione identitaria della nostra storia e di noi stessi», continua il post de La Terra Trema.

IL POST DEGLI ORGANIZZATORI

Non costruiremo un “evento” secondo le normative anti Covid, non chiederemo il Green pass, il tampone negativo, una o due dosi di vaccino. Non controlleremo che siano indossate adeguatamente le mascherine, non misureremo la temperatura, non chiederemo di effettuare prenotazioni.

Non contingenteremo gli ingressi, non regoleremo flussi, non cronometreremo entrate e uscite, non redarguiremo sul mantenimento della debita distanza. Non forniremo la possibilità di tamponi gratuiti o a prezzi calmierati. Non scaricheremo l’app per i nostri iPhone per inquadrare QRcode»

La Terra Trema 2021, continuano gli organizzatori, «non ha motivo di accadere a queste condizioni». «Non è necessaria, non è un supermercato, non vuole persone in fila, in attesa di degustare, scegliere, consumare, pagare. Di torsioni identitarie ne vediamo accadere già troppe, qui non vogliamo subirne e non vogliamo attuarne», continua il post de La Terra Trema.

«Si delega pericolosamente l’onere del controllo, della cosiddetta pubblica sicurezza – recita ancora il comunicato – si mette a portata di mano, nelle tasche di tutti, nella videocamera di un qualunque smartphone. Non troviamo condizioni per mettere in atto una manifestazione come La Terra Trema nei modi diversi da quelli in cui questa fiera è avvenuta per anni».

Poi, l’arrivederci all’edizione 2022. «Rinviamo a tempi più felici, per tutti e se ci saranno i presupposti. Presupposti sociali e politici prima che normativi. Non è nella spunta verde della scansione di un QR Code l’indice di salubrità di un luogo, non è l’ammasso controllato, verificato tramite un’applicazione digitale che salvaguardia la salute collettiva. Ne abbiamo preso atto».

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Analisi e Tendenze Vino Esteri - News & Wine

Vino: il Covid non scalfisce il mercato globale

Nonostante il calo a doppia cifra percentuale del Pil delle principali economie mondiali, l’impatto complessivo del Covid-19 sul mercato globale del vino nel 2020 non è stato così grave come ci si sarebbe aspettati. Il consumo di vino è infatti diminuito di meno del 7% in volume e di circa il 5% in valore, secondo dati IWSR.

«Il mondo ha bevuto meno vino nel 2020 – osserva Lulie Halstead, Ceo di Wine Intelligence – ma ha speso relativamente di più rispetto agli anni precedenti. Questo ha portato profitti inaspettatamente forti alle aziende meno focalizzate sulla ristorazione o che sono rapidamente passate all’e-commerce».

I PRINCIPALI MERCATI MONDIALI

I principali mercati del vino, UK e Stati Uniti, hanno visto una crescita dei volumi nel 2020, nel caso del Regno Unito invertendo un trend di declino durato 10 anni. Ma non solo. Anche molti dei mercati vinicoli mondiali hanno registrato una significativa crescita. Fra essi Germania, Corea del Sud, Canada, Irlanda, Singapore e tutti i paesi scandinavi.

In Brasile e Colombia i consumatori durante la pandemia si sono rivolti maggiormente verso vini fermi e frizzanti allontanandosi dal consumo di bevande locali come rum e cachaça. Ed anche se in alcuni casi si tratta di cambiamenti a breve termine, destinati ad un ritorno alle tendenze pre-pandemiche, il 2020 ha segnato una svolta nel panorama del consumo mondiale.

Ad aver sofferto maggiormente le restrizioni ed i lockdown sono stati i mercati che più dipendono dal turismo ed i cui consumi interni sono più legati alla ristorazione. Paesi come Spagna, Francia, Portogallo e Cina hanno guidato i cali. Anche Sudafrica e la Russia hanno subito forti contrazioni. Il primo a causa dei divieti temporanei sulla vendita di alcolici, mentre la Russia come conseguenza di un significativo calo del potere d’acquisto del rublo.

LA TOP 15 DEI MERCATI PIÙ VINICOLI ATTRAENTI

Gli Stati Uniti sono ancora una volta in cima alla lista dei mercati vinicoli più attraenti del mondo, anche se si è ridotto il loro vantaggio sulla seconda classificata Corea del Sud. Al di sotto di questi due “non-mover”, la top 15 si è notevolmente modificata.

Il Regno Unito sale al terzo posto, nonostante la Brexit. Irlanda, Norvegia e Svezia entrano per la prima volta nella top 10. La Cina perde ben 13 posizioni classificandoli al 17° posto, appena sopra la Francia, 16°, che perde ben 7 posizioni. La Russia cede 12 posizioni finendo 22°, mentre la Spagna si classifica 25° (-11 posizioni).

L’attrattività del mercato, misurata da Wine Intelligence, non riguarda solo le variazioni di volume nel consumo di vino. Il modello esamina il valore per bottiglia, l’accesso al mercato, la facilità di fare affari, la redditività degli attori della catena di approvvigionamento. Sono inoltre considerati i fattori socio-economici e demografici più ampi, come le tendenze di crescita della popolazione.

LE MOTIVAZIONI DEI CAMBIAMENTI

Molti i fattori che stanno guidando il comportamento dei consumatori. Gli Stati Uniti confermano la loro posizione anche grazie alle efficaci politiche di stimolo della spesa da parte del Governo. Inoltre, a livello globale, la spinta culturale verso un consumo consapevole di alcol ha spinto in alto il consumo di vino.

L’ondata di e-commerce durante i lockdown è stata positiva anche per il vino, in particolare nei paesi dove la regolamentazione sulla vendita a distanza di alcolici è permissiva o è stata allentata specificamente a causa del Covid, come nel caso della Corea del Sud. I dati della ricerca suggeriscono che i bevitori di vino continueranno ad acquistare online anche quando le restrizioni verranno definitivamente revocate.

I MERCATI EMERGENTI

Guardando al futuro, alcuni dei cambiamenti nella demografia e nelle economie faranno sentire il loro impatto. Ad esempio, quest’anno la Polonia è scesa al 12° posto nella classifica dell’attrattività del mercato, ma a lungo termine è progredita costantemente in classifica dal 2016, quando era 19°.

Il motore della Polonia risiede nella crescita economica dell’ultimo decennio, combinata al ritorno dei lavoratori espatriati. Persone che hanno portato a casa le abitudini di consumo di vino apprese in altri stati UE.

Più in basso nella classifica, buone opportunità emergono dall’Africa sub-sahariana. La popolazione adulta della Nigeria, secondo gli studi delle Nazioni Unite, è aumentata di 16 milioni negli ultimi 5 anni ed è destinata a crescere esponenzialmente nei prossimi 30 anni, .

Il vino è attualmente un attore marginale nella scena alcolica nigeriana, ma i volumi di vino stanno crescendo, facendo debuttare la Nigeria nella top 40 nel 2021 (+9 posizioni a 39).

IL CASO DELLA COREA DEL SUD

In Corea del Sud il Governo ha autorizzato l’acquisto di alcolici online solo a metà del 2020. Da allora un bevitore di vino sudcoreano su cinque ha sperimentato l’acquisto online almeno una volta negli ultimi sei mesi.

La legge attualmente consente solo il ritiro degli ordini online da un negozio o un ristorante locale, vietando ancora la consegna a domicilio. Tuttavia, la combinazione fra il boom del consumo domestico causato dalle restrizioni ed un generale allontanamento dalle categorie tradizionali come il soju, hanno spinto in alto le vendite di vino.

Il vino fermo in Corea del Sud segue un trend al rialzo già da diversi anni, soprattutto da parte dei giovani adulti. Una crescita iniziata nel 2016 ma che ha visto un +25% solo nell’ultimo anno, secondo i dati IWSR. Ciò nonostante il vino resta una componente di minoranza nel consumo nazionale di alcol.

Culturalmente il vino non fa parte della vita di tutti i giorni. Solo il 13% degli adulti (4 milioni) afferma di bere vino su base settimanale, dato in aumento rispetto ai 3 milioni nel 2017. La categoria vino storicamente ha faticato ad attrarre i bevitori più giovani in un mercato in cui birra e soju sono le principali bevande sociali.

UNA NUOVA OPPORTUNITÀ DI MERCATO

Sebbene la categoria del soju rimanga la più consumata, la sua stretta connessione con la ristorazione ne ha provocato un calo di volume nel 2020, con il vino il principale beneficiario.

«Il vino è cresciuto in modo eccezionale, trainato dall’aumento del consumo domestico e raggiungendo un massimo storico. Tutti i paesi di origine sono cresciuti, ma i vini cileni sono stati il ​​principale motore», osserva Tommy Keeling, direttore della ricerca presso IWSR.

Secondo Keeling la tendenza a lungo termine sarà ulteriormente in crescita. I consumatori desiderano sperimentare il vino, visto come una bevanda sofisticata, nonché un’opzione relativamente salutare rispetto ad altre forme di alcol. Una tendenza in cui le scelte dei consumatori saranno con ogni probabilità maggiormente influenzate dal marchio piuttosto che dalla tipologia o dal “terroir” del vino.

«Quando prendono la decisione di acquisto, i consumatori sudcoreani sono meno influenzati dal paese e dalla regione di origine rispetto al 2017. Il mercato sudcoreano è in questo molto più orientato al brand», osserva Halstead.

I dati di Wine Intelligence stimano un aumento di poco meno di un milione di bevitori di vino dal 2017, circa la metà dei quali ha un’età compresa tra 19 (età legale) e 24 anni. Il futuro sembra quindi piuttosto incoraggiante per i produttori di vino che intendono investire in Corea del Sud.

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Green Pass, privacy e visite in cantina: cosa prevede il decreto legge valido dal 6 agosto 2021

Serve il Green Pass per le visite in cantina? La risposta arriva dal Decreto legge n. 105 del 23 luglio 2021 che determina i criteri di accesso da parte di visitatori ed enoturisti, pubblicato in Gazzetta ufficiale (n.175  23 luglio 2021) e valido dal 6 agosto 2021. Il provvedimento varato dal Governo riguarda, più in generale, le “Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19 e per l’esercizio in sicurezza di attività sociali ed economiche”.

SERVE IL GREEN PASS PER VISITARE LE CANTINE ITALIANE?

La risposta ai tanti winelovers, ma anche ai professionisti del settore del vino interessati a visitare le aziende, sono racchiuse all’articolo 3 del Decreto legge. Il testo in vigore recepisce alcune modifiche al DL 22 aprile 2021, n. 52, a sua volta ritoccato dalla legge 17 giugno 2021, n. 87.

Le cantine non vengono menzionate esplicitamente, ma il provvedimento riguarda attività assimilabili. In sostanza, si rende obbligatorio l’«impiego di certificazioni verdi Covid-19» per le aree chiuse, anche in cantina. L’ingresso «è consentito in zona bianca esclusivamente ai soggetti muniti di una delle certificazioni verdi Covid-19».

Le attività menzionate sono i «servizi di ristorazione svolti da qualsiasi esercizio, per il consumo al tavolo, al chiuso; spettacoli aperti al pubblico, eventi e competizioni sportivi; musei, altri istituti e luoghi della cultura e mostre; piscine, centri natatori, palestre, sport di squadra, centri benessere, anche all’interno di strutture ricettive, limitatamente alle attività al chiuso; sagre e fiere, convegni e congressi».

GREEN PASS IN CANTINA ANCHE IN ZONA GIALLA, ARANCIONE E ROSSA

E ancora: «Centri termali, parchi tematici e di divertimento; centri culturali, centri sociali e ricreativi, limitatamente alle attività al chiuso e con esclusione dei centri educativi per l’infanzia, compresi i centri estivi, e le relative attività di ristorazione; attività di sale gioco, sale scommesse, sale bingo e casinò; concorsi pubblici».

Le disposizioni si applicano anche nelle zone gialla, arancione e rossa, «laddove i servizi e le attività siano consentite e alle condizioni previste per le singole zone». Come recita ancora il Decreto legge n. 105 del 23 luglio 2021, «le disposizioni non si applicano ai soggetti esclusi per età dalla campagna vaccinale e ai soggetti esenti sulla base di idonea certificazione medica rilasciata secondo i criteri definiti con circolare del Ministero della salute».

GREEN PASS E PRIVACY

Capitolo a parte quello della privacy dei clienti delle attività, comprese le cantine italiane, ai tempi del Green Pass. «Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato di concerto con i Ministri della salute, per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale, e dell’Economia e delle finanze, sentito il Garante per la protezione dei dati personali – recita ancora il DL – sono individuate le specifiche tecniche per trattare in modalità digitale le predette certificazioni, al fine di consentirne la verifica digitale, assicurando contestualmente la protezione dei dati personali in esse contenuti».

Nelle more dell’adozione del predetto decreto, per le finalità di cui al presente articolo possono essere utilizzate le certificazioni rilasciate in formato cartaceo. I titolari o i gestori dei servizi e delle attività sono tenuti a verificare che l’accesso ai predetti servizi e attività avvenga nel rispetto delle prescrizioni».

Le verifiche delle certificazioni verdi Covid-19 (Green Pass) sono effettuate con le modalità indicate dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri adottato ai sensi dell’articolo 9, comma 10. Il Ministro della salute, mediante ordinanza, può infine «definire eventuali misure necessarie in fase di attuazione del presente articolo».

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Addio a Pio Boffa, decano del Barolo con Pio Cesare

Pio Boffa, alias Pio Cesare, una delle cantine più note non solo del Piemonte ma d’Italia e del mondo, è morto all’età di 66. Era ricoverato da due settimane nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Verduno, in provincia di Cuneo, per Covid-19. I funerali si terranno domani, lunedì 19 aprile, alle ore 10 nel Duomo di Alba.

Boffa, storico produttore di Barolo e Barbaresco e rappresentante della quarta generazione della famiglia, era a capo della cantina-brand di Alba che conta oltre 70 ettari di vigneti, nel cuore delle Langhe.

Il marchio Pio Cesare stava celebrando i suoi 140 anni di vita, con i vini esportati ormai in 50 Paesi del mondo «per affermarli e farli riconoscere agli appassionati di vino, ai ristoranti ed enoteche». Pio Boffa lascia la moglie Nicoletta Gandini, la figlia Federica Rosy e il nipote Cesare Benvenuto, già attivi in azienda da diversi anni.

La Pio Cesare nasce nel 1881 quando l’omonimo imprenditore Cesare Pio decide di produrre per sé, per la propria famiglia e per i suoi clienti una piccola e ricercata quantità di bottiglie di vini delle Langhe, in particolare Barolo e Barbaresco.

Ben presto il sogno diviene realtà e cresce sino a diventare una vera e propria realtà produttiva, capace di affermarsi nel panorama dei vini piemontesi anche grazie alla seconda generazione guidata dal figlio di Cesare, Giuseppe Pio.

La famiglia Boffa entra in questa storia a partire dal 1940, anno in cui Rosy Pio, figlia unica di Giuseppe Pio – scomparsa nel 2020 all’età di 98 anni – sposa Giuseppe Boffa, affermato ingegnere di Alba, dirigente di una grande azienda a Milano.

Sono gli anni della Seconda guerra mondiale quando Boffa decide presto di abbandonare Milano e la sua professione per dedicarsi cuore e anima alla Pio Cesare. Il brand raggiunge così una notorietà nazionale e internazionale, affermandosi soprattutto grazie al Barolo.

Nascono proprio in quegli anni i tre figli di Rosy Pio e Giuseppe Boffa: Cesare e Federica e Pio Boffa, strappato ai suoi cari e al mondo del vino italiano troppo presto, dal Covid-19.

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Lombardia, zero contagi ai corsi sommelier Ais 2020. L’appello: «Torniamo in classe»

Tornare in classe il prima possibile, in presenza, forti dei dati arrivati dai corsi sommelier Ais 2020: zero contagi registrati nella finestra di riapertura, da giugno a ottobre. Hosam Eldin Abou Eleyoun, presidente Ais Lombardia, manda così un messaggio al governo e un segnale di speranza ai tanti aspiranti sommelier di Milano e delle altre province d’Italia.

Ospite di Lombardia Notizie Online in occasione della diretta Facebook utile alla presentazione dello “stato di salute” dei Consorzi del vino lombardo, Eldin Abou Eleyoun è andato dritto al punto.

«Il dato significativo dei nostri corsi, in cui da giugno non si è registrato neanche un caso di Covid-19 – ha sottolineato – sta lì a dire che si può tornare alla normalità, magari graduale. Questa normalità può essere garantita dal rispetto rigido delle distanze di sicurezza e delle misure che il governo e la Regione hanno messo a disposizione».

Il ritorno alla normalità – ha aggiunto Hosam Eldin Abou Eleyoun – è quello che auspichiamo tutti quanti, perché è davvero triste camminare a Milano, così come nelle altre città, e vedere tutti questi ristoranti, bar, enoteche, wine bar e pub chiusi, un intero comparto bloccato. Il primo sbocco per le cantine è l’Horeca: se questa non lavora, tutta la filiera si blocca».

Il presidente Ais Lombardia Eldin Abou Eleyoun ha poi invitato i vari protagonisti del settore all’unità: «Oggi è il 17 Marzo – ha ricordato – data in cui ricorre l’anniversario dell’Unità d’Italia. Questa parola oggi ha un peso maggiore e ancora più preciso: possiamo venire fuori da questa situazione tutti assieme, nell’unità d’intenti tra politica, divulgatori della cultura, produttori e consumatori. Uniti saremo più affrontare quello che verrà».

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Covid-19 e ristorazione: la classifica delle città italiane con i maggiori rincari o ribassi

L’Unione Nazionale Consumatori ha stilato la classifica completa delle città con i maggiori rincari o ribassi del 2020 – anno segnato dall’emergenza Covid-19 – per i principali beni e servizi, tra cui la ristorazione, sulla base dell’inflazione media rilevata dall’Istat.

A fronte di un Paese in deflazione, -0,2%, alcune città registrano aumenti considerevoli su alcuni gruppi di prodotti, con notevoli disparità territoriali. Il capoluogo che nel 2020 ha il maggiore rialzo per quanto riguarda i prodotti alimentari è Caltanissetta con un’inflazione pari a +4,2%, al secondo posto Trieste, Grosseto e Trapani (tutte a +3,1%), poi Perugia con +2,9%.

Dall’altra parte della classifica Parma, unica città in deflazione, -0,1%, poi Siena con +0,1% e al terzo posto Macerata, +0,3%. La media italiana è +1,5%, pari ad un incremento della spesa alimentare, senza bevande, di 77 euro per una famiglia tipo. Tra le grandi metropoli si segnala Genova, in 7° posizione con +2,6% e, sull’altro fronte, Milano, 4° tra le migliori con +0,5%, un terzo del dato italiano.

Limitati, causa Covid, i rincari dei servizi di ristorazione, ossia ristoranti, pizzerie, bar, pasticcerie, prodotti di gastronomia e rosticceria. Al primo posto Grosseto (+3,7%), al 2° Pordenone (+3,3%), al 3° Trapani (+3,1%). Inaspettatamente, però, in deflazione ci sono solo Bergamo (-0,7%) e La Spezia (-0,2%).

«Quando i ristoratori hanno potuto riaprire, non hanno abbassato i prezzi che in media nazionale segnano anzi un +1,2%, incidendo sul bilancio di una famiglia per 16,50 euro, chiusure a parte», evidenzia l’Unione nazionale consumatori.

Le cose vanno ancora decisamente diversamente per i servizi di alloggio, ossia alberghi, pensioni, bed and breakfast e villaggi vacanze. Per via del lockdown e del crollo della domanda turistica, ben 42 città su 68 sono in deflazione.

Il record per Venezia, dove i listini degli alberghi precipitano nel 2020 del 10,4%, al secondo posto Trapani, -8,5%, al terzo un’altra città turistica per eccellenza, Firenze con -7,6%. Sul fronte opposto salgono a Cosenza (+4,2%), Terni (+3,6%) e al 3° posto Napoli (+3,1%).

In Italia scendono dell’1,6%. Tra le città virtuose, Bologna (4° con -6%), Verona e Lucca (seste con -5,6%), Roma (11° con -4,3%), Rimini (12° con -3,9), Milano (13° con -3,8%) e Siena (15° con -3%).

«L’Italia non è tutta uguale – afferma Massimiliano Dona (nella foto, sopra) presidente dell’Unione Nazionale Consumatori. Queste differenze sono dovute a tanti fattori che cambiano a seconda delle città e del tipo di bene e servizio. La deflazione più alta in alcune città d’arte, ad esempio, dipende certo dal crollo dei turisti, in altri casi dalla maggiore flessione della domanda registrata in alcuni territori più colpiti dalla recessione».

I rialzi più rilevanti, invece, sono spesso dipesi dai diversi effetti che il lockdown e la ridotta mobilità dei consumatori ha prodotto in quel territorio per via della minore concorrenza. Laddove le famiglie avevano scarse possibilità di scelta, i prezzi sono saliti in modo più marcato».

«Quando invece, pur non potendo uscire dalla città, avevano a disposizione alternative, potendo scegliere tra più forme distributive, ipermercati, supermercati, discount, negozi di vicinato, mercati – conclude Dona – i rincari sono stati più contenuti e le speculazioni non sono state possibili».

LA TABELLA DEI RINCARI NELLA RISTORAZIONE

N Città Inflazione media 2020
1       Grosseto 3,7
2       Pordenone 3,3
3       Trapani 3,1
4       Benevento 2,8
5       Bolzano 2,4
5       Udine 2,4
7       Cagliari 2,3
8       Arezzo 2,2
8       Perugia 2,2
8       Siracusa 2,2
11       Novara 2,1
12       Rimini 2
13       Bologna 1,9
13      Avellino 1,9
13       Bari 1,9
16       Napoli 1,6
16       Messina 1,6
18       Milano 1,5
18       Lodi 1,5
18       Vicenza 1,5
21       Trento 1,4
21       Rovigo 1,4
21       Ravenna 1,4
24       Modena 1,3
24       Firenze 1,3
24       Pescara 1,3
24       Catanzaro 1,3
24       Reggio Calabria 1,3
  ITALIA 1,2
29       Biella 1,2
29       Brescia 1,2
29       Cremona 1,2
29       Treviso 1,2
29       Padova 1,2
29       Forlì-Cesena 1,2
29       Lucca 1,2
29       Roma 1,2
37       Cuneo 1,1
37       Mantova 1,1
37       Gorizia 1,1
37       Cosenza 1,1
37       Sassari 1,1
42       Verona 1
42       Venezia 1
42       Trieste 1
42       Ascoli Piceno 1
46       Alessandria 0,9
46       Genova 0,9
46       Pavia 0,9
49       Terni 0,8
49       Caltanissetta 0,8
51       Varese 0,7
51       Belluno 0,7
51       Potenza 0,7
54       Torino 0,6
54       Ferrara 0,6
54       Siena 0,6
57       Vercelli 0,5
57       Pistoia 0,5
57       Palermo 0,5
60       Lecco 0,4
60       Parma 0,4
60       Reggio Emilia 0,4
60       Catania 0,4
64       Ancona 0,3
65       Livorno 0,2
65       Macerata 0,2
65       Viterbo 0,2
68       Aosta 0,1
69       La Spezia -0,2
70       Bergamo -0,7
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Esteri - News & Wine news news ed eventi

Sudafrica, divieto vendita e consumo vino: i produttori portano il Governo in Tribunale

Finisce in Tribunale la querelle che vede protagonisti i produttori di vino del Sudafrica e il governo guidato dal presidente Matamela Cyril Ramaphosa. Stremata da mesi di “proibizionismo”, o meglio dal divieto di vendita e consumo di alcolici intimato da Pretoria nell’ambito delle misure anti Covid-19, l’industria vitivinicola sudafricana ha deciso di prendere di petto la situazione. Passando alle vie legali.

È atteso per il 5 febbraio 2021 il pronunciamento dell’Alta corte di giustizia del Western Cape a cui si è rivolta Vinpro, associazione che raccoglie 2.575 produttori di vino del Sudafrica.

La non-profit di Paarl chiede «urgenti provvedimenti provvisori» che darebbero al premier del Capo Occidentale, Alan Winde, esponente di spicco dell’Alleanza Democratica sudafricana, il potere di adottare «misure ad hoc per consentire la vendita e il consumo di alcolici» in casa, ma anche nei ristoranti e nei supermercati.

Solo la prima tappa, il Western Cape, per poi procedere alla medesima richieste nei tribunali delle altre province. Gioca a favore di Vinpro il numero di nuove infezioni, casi attivi e ricoveri ospedalieri, che sta diminuendo rapidamente in tutto il Paese. In particolare proprio nel Capo Occidentale.

«In queste circostanze – sottolinea l’associazione guidata dal managing director Rico Basson – il divieto su vino e alcolici non è più giustificato nel Western Cape. Se sarà ancora in vigore entro il 5 febbraio, l’Alta Corte del Capo Occidentale dovrà a nostro avviso invalidare il divieto del ministro della Salute, Nkosazana Dlamini-Zuma, con effetto immediato».

La partita è aperta proprio sul fronte dei dati divergenti che arrivano dalle varie province. «È necessario un approccio più flessibile e agile, basato su dati empirici credibili – sottolinea Vinpro – grazie al quale l’esecutivo provinciale potrebbe fare da garante sulla vendita al dettaglio, per il resto della pandemia».

Sebbene il divieto di alcolici sia stato introdotto affinché gli ospedali abbiano la capacità di curare i pazienti, la pandemia colpisce le province in modo diverso e le capacità di reazione degli ospedali sono quindi diverse di zona in zona.

Nonostante ciò, il governo non ha mai differenziato le province nell’attuare o revocare il divieto sugli alcolici. Ha invece imposto un divieto a livello nazionale, poi lo ha nuovamente revocato e reintrodotto, senza riguardo per le circostanze nelle singole province».

Una situazione che sta mettendo a rischio centinaia di cantine e attività che operano nel settore della ristorazione e del turismo. «Oltre al divieto di vendita di vino e alcolici che interessa tutti i canali, dai ristoranti ai supermercati sudafricani – sottolinea l’importatore italiano di Vinisudafrica.it, Fabio Albani (nella foto sopra) – il Paese ha dovuto addirittura fare i conti con la chiusura delle spiagge».

«In Sudafrica l’estate sta ormai volgendo al termine – aggiunge – e la vendemmia 2021 è alle porte. Ma è come se la stagione estiva non fosse mai iniziata, con misure che hanno fortemente condizionato la vita di molte aziende operanti nel settore dell’Horeca. Molte cantine non sopravviveranno a questa crisi e dovranno chiudere».

Le misure del Governo potrebbero avere riflessi anche sull’export: «Ci aspettiamo listini al rialzo nei prossimi mesi del 2021 – preannuncia Albani – e ulteriori contraccolpi sia a livello locale che internazionale per i vini del sudafrica. Lo smart working di questi mesi ha peraltro rallentato ulteriormente la velocità di risposta e ‘reazione’ di molte aziende, in un Paese in cui la popolazione è abituata di per sé a vivere senza troppa fretta».

I numeri della crisi dell’industria del vino sudafricano, settore in grado di generare 55 miliardi di Rand all’anno in valore (2,9 miliardi di euro) parlano chiaro. Le restrizioni dettate dall’emergenza Covid-19 hanno causato una perdita di oltre 8 miliardi di Rand (oltre 435 milioni di euro) nelle vendite dirette.

A rischio, secondo Vinpro, 27 mila posti di lavoro. E con il Paese ormai pronto alla vendemmia si contano 640 milioni di litri in giacenza (la capacità produttiva del Sudafrica è pari a circa un sesto di quella dell’Italia) di cui 300 milioni non contrattualizzati.

«Ciò rappresenta un rischio non indifferente – sottolinea la non-profit – per via dell’insufficienza di spazi per la lavorazione e lo stoccaggio delle uve del nuovo raccolto, da parte di molte cantine. In pericolo c’è la sostenibilità di tutta l’industria del vino sudafricano. Anche per questa ragione i divieti a livello nazionale non possono che essere giudicati eccessivi, non necessari, ingiustificati e, in definitiva, controproducenti».

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Il sommelier guarito dal Covid: «Vaccinatevi e pensate alla salute, non allo shopping»

L’ultimo vino bevuto prima del ricovero all’ospedale di Borgosesia, Corrado Pasqualin, sommelier e docente Fisar, se lo ricorda benissimo: «Un Tenuta Guado al Tasso del 2000, niente male direi». Sorride, il 53enne della provincia di Vercelli, oggi che «il peggio è passato» e «la strada verso la completa guarigione dal Covid è ormai in discesa».

«Spero nei prossimi giorni di riuscire finalmente a ritornare a casa e riabbracciare mia moglie Monica e la mia figlia 20enne Giulia, che non vedo da parecchio tempo», ammette. «La sensazione è ancora quella di un senso di svuotamento, unita alla consapevolezza che tutto può succedere a tutti: nessuno è intoccabile».

Guardando i notiziari è tanta la tristezza e la superficialità con cui la situazione della pandemia viene affrontata. Alla stragrande maggioranza della popolazione sembra più stare a cuore la movida e fare shopping che non preservare la propria salute. Sono favorevole al vaccino, mi sembra sia una delle poche armi che abbiamo a disposizione per difenderci».

In attesa del primo tampone negativo, Corrado Pasqualin non può fare a meno che ripensare al calvario iniziato poco prima di Natale 2020. «Ho scoperto di essere positivo il 19 dicembre – racconta – a seguito di un tampone molecolare. Il mio sospetto è nato alcuni giorni prima, per presenza di una leggera febbre”.

Lo stesso giorno, il sommelier Fisar vercellese è stato ricoverato all’ospedale Santi Pietro e Paolo di Borgosesia, il comune in cui vive con la famiglia, cittadina a metà strada tra Varese e Biella, a cavallo tra Lombardia e Piemonte.

«I medici mi hanno messo subito in terapia intensiva – spiega – intuendo che la situazione sarebbe peggiorata. Dopo febbre e spossatezza, non avrei mai immaginato di finire in poco tempo in una situazione davvero angosciante, che in alcuni momenti mi ha fatto anche pensare al peggio».

Ora sono in via di guarigione, ma i primi giorni di ricovero mi hanno obbligato ad indossare un casco con supporto di ossigeno. Ho passato 7 giorni senza mangiare, bevendo acqua tramite cannuccia ovviamente con il supporto del personale ospedaliero. Un’esperienza terribile e disarmante».

«La terapia mi ha messo in difficoltà dal punto di vista psicologico – racconta ancora il sommelier Fisar – poi il quadro clinico fortunatamente è migliorato, con diminuzione progressiva della quantità di ossigeno».

Con i medici, Pasqualin ha stretto «un rapporto umano» che definisce senza mezzi termini «incredibile». «Ci tengo a ringraziare di cuore tutto il personale dell’ospedale di Borgosesia che si è adoperato nella mia assistenza in condizioni, credetemi, davvero difficili, mettendomi sempre in una posizione psicologica favorevole».

Quella del 53enne vercellese è una vita ormai cambiata per sempre, a causa del Covid-19. «Il lungo periodo in ospedale – spiega – mi ha portato a riflettere su come è sottile il filo che ci lega a questa vita terrena e ai nostri cari, la famiglia, gli amici. Adesso credo di avere riscoperto e riassaporato  alcuni valori importanti della vita».

Tra i vizi (e le virtù) a cui ha dovuto rinunciare durante la degenza, come nella più scontata delle attese per un sommelier che sta affrontando il Covid, c’è anche quello di un buon calice di vino.

«Devo dire che in questi ultimi giorni la voglia di bere un buon bicchiere è tanta –  ammette Pasqualin – personalmente sono di larghe vedute e bevo un po’ di tutto, anche se sono particolarmente legato al vitigno della mia zona: il Nebbiolo. Il primo calice mi concederò? Un bel Metodo classico, ne ho la cantina piena! Cosa di meglio per festeggiare alla salute?».

In attesa del «momento fatidico» del primo tampone negativo, utile a mettere la parola fine al ricovero in ospedale, al 53enne sommelier resta una consolazione: «Fortunatamente il Covid non mi ha causato la perdita di gusto e olfatto – dichiara sollevato – addirittura alcuni giorni prima del ricovero ho condotto delle lezioni Fisar in via telematica, senza nessun problema in fase di degustazione». Un motivo in più per brindare. Al più presto.

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Il Chianti brinda alle vendite 2020: “Salvati dalla grande distribuzione, ma non basta”

Uno dei Consorzi che ha alzato maggiormente la voce – specie nei confronti del Governo – sin dagli esordi dell’emergenza Covid-19, oggi tira “un sospiro di sollievo” e ringrazia la grande distribuzione, ovvero il mondo dei supermercati. A brindare (senza esagerazioni) alle “primissime stime di fine anno” è il Consorzio Vino Chianti.

Secondo l’ente di Viale Belfiore, “le vendite confermano il dato del 2019, anzi lo superano leggermente: da 670 a 690 mila ettolitri“. “Viste le restrizioni all’attività dei ristoranti e delle strutture ricettive e il crollo del canale Horeca – dichiara Marco Bani, direttore del Consorzio – sono state soprattutto le vendite nella grande distribuzione a salvare la situazione”.

Il riferimento è “a quei produttori del Consorzio che si rapportano con questo importante segmento di mercato, ma che purtroppo non rappresentano la totalità della Denominazione”. “Questi dati ci regalano un pizzico di ottimismo, per affrontare con rinnovata energia il 2021”, aggiunge Marco Bani.

L’anno che sta per iniziare richiede anche la soluzione a problemi che non hanno trovato risposta nei mesi scorsi: “Il Governo – torna alla carica il presidente del Consorzio, Giovanni Busi – aveva detto che entro dicembre sarebbero arrivati i contributi per la ‘vendemmia verde’ che invece forse arriveranno a gennaio, ma non è detto”.

Consorzio Vino Chianti: “Caro Governo, così moriamo tutti”

Le aziende al 31 dicembre hanno tutte le scadenze che non potranno rispettare, anche perché molte banche non hanno accettato la proroga delle scadenze. Serve dunque un efficace sostegno per dare liquidità alle aziende, per il loro accesso al credito e per le attività di promozione sui mercati esteri”.

“Rileviamo, inoltre, inaspettate carenze di risorse – fa eco Bani – nell’Ocm ristrutturazioni vigneti e nell’Ocm investimenti, sui bandi attivati dalla Regione Toscana, cosa di cui ci auguriamo il sistema se ne faccia pieno carico andando a recuperare nuove risorse o quelle risorse, attualmente non spese, da parte delle regioni con meno o più lenta capacità di spesa, a favore di quelle regioni più virtuose e veloci nella spesa”.

In un momento come questo, dove, nonostante le gravi difficoltà generali, rileviamo una enorme volontà di investire e crescere, nell’attesa di una pronta ripresa dei mercati nell’anno che sta per iniziare, la politica regionale e nazionale devono farsi carico di trovare le risorse necessarie e le vie brevi e concrete per immettere liquidità in questo settore trainante dell’economia toscana”.

“Siamo stanchi di misure che non risolvono i problemi alle aziende – conclude il direttore del Consorzio Vino Chianti – come quelle della riduzione volontaria delle rese vendemmia 2020, la distillazione di crisi, lo stoccaggio, il pegno rotativo, che servono solo a fare notizia. Urgono ulteriori interventi con adeguate disponibilità finanziarie per dare ossigeno ed un futuro alle imprese”.

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Vini al supermercato

Vini al super e pandemia: torna di moda il bottiglione e crescono i vini di fascia alta

“Vecchio bottiglione, quanto tempo è passato. Quanti ricordi fai rivivere tu, quante canzoni…”.  Avesse avuto una colonna sonora, quella dell’incontro “Vino e grande distribuzione di fronte al cambiamento” avrebbe suonato, più o meno, così. A dire che sulla tavola degli italiani torna di moda il bottiglione da 1,5 litri, ancor più di quanto crescano i vini di fascia alta, è una ricerca condotta da Iri sugli acquisti di vini al super – ovvero nel canale Gdo – nei primi 10 mesi del 2020.

Un focus sui riflessi dell’emergenza Covid-19 sui consumi di vino “pop” e non solo nel Bel paese, in un periodo segnato da misure restrittive che hanno coinvolto quasi esclusivamente l’Horeca, lambendo solo di striscio alcune insegne del retail, in alcune regioni (vedi il clamoroso caso della Lombardia).

Inevitabile, dunque, la crescita della Gdo. Ma fino a che punto? A rispondere, durante l’incontro digital organizzato nell’ambito di Wine2WineVinitaly 2020, è stato Virgilio Romano, Business Insight Director di Iri.

La crescita rispetto al 2019 è stata del 5,3% per il vino fermo e del 10,4% per gli spumanti. In leggera crescita i prezzi medi registrati a scaffale nei primi 10 mesi del 2020: +1,4%. La crescita maggiore del segmento si è registrata nel primo semestre, che non a caso è coinciso con il primo lockdown da Coronavirus.

A luglio, agosto e settembre, il trend si è riallineato non solo al 2019, ma agli anni precedenti. La seconda ondata di positivi al Covid-19, a ottobre è coinciso col nuovo balzo in avanti del vino al supermercato, rispetto all’anno precedente. Curva del virus e Horeca ridotto all’osso, insomma, hanno inciso sulle performance enologiche della Grande distribuzione.

Il dato complessivo recisa un + 6,9% a valore + 5,3% a volume, nei primi 10 mesi del 2020. Nei mesi di marzo, aprile, maggio e giugno, gli italiani hanno acquistato 20 milioni di litri in più rispetto a 2019 in Gdo.

Cifre sbalorditive anche per gli spumanti, tra croce e delizia: le bollicine italiane vendute dai retailer, sempre secondo la ricerca Iri, sono riuscite a ribaltare il dato negativo (2 milioni di litri in meno) del periodo pasquale (meno aggregazione, meno feste in famiglia, meno brindisi a causa di Covid-19 e relativi Dpcm) e sarebbero in corsa per il record assoluto di consumi in questo 2020.

Curiosa anche la crescita del libero servizio piccolo, ovvero dell’acquisto a scaffale in punti vendita di superficie compresa tra i 100 e i 400 metri quadrati: questo il “cluster” che è cresciuto di più, grazie alla presenza di numerosi punti vendita nei centri urbani, facilmente raggiungibili anche a fronte delle misure restrittive.

Il libero servizio piccolo, grazie alla pandemia cresce del 3,2% da inizio anno. Quanto alle categorie merceologiche, sono i vini da tavola quelli che hanno registrato l’incremento maggiore delle vendite. Al contempo, le prime cinque categorie prezzo (a partire dal top di gamma) sono quelle che hanno perso di più.

Crescono in misura maggiore – e questa è una buona notizia per il potenziale ingresso in Gdo di vini sino ad ora riservati esclusivamente all’Horeca dalle cantine italiane – i vini tra i 3 e i 10 euro, quelli cioè nella pancia dell’assortimento di un supermercato medio.

Alto trend positivo quello della marca del distributore (Mdd), ovvero la Private label. Le insegne che vi hanno investito negli ultimi anni (Coop e Gruppo Selex, per citarne due) hanno registrato durante i primi 10 mesi del 2020 la crescita più alta assoluta: + 8,7% vino e + 10,8% gli spumanti. Tra i formati, a colpire è la crescita del bottiglione: + 29,6% il formato da 1,50 litri, in calo vertiginoso negli ultimi 10 anni.

La ricerca presentata da Virgilio Romano ha messo in luce anche l’aumento delle vendite online. Lo studio condotto da Iri con l’Università Cattolica di Milano ha dimostrato che il 52,1% degli acquisti sul canale è stato compiuto per la prima volta assoluta da molti utenti durante la pandemia.

Tra questi, la metà continuerà a fare acquisti online. L’e-commerce pesava nel 2019 lo 0,6% delle vendite di vino: nei primi dieci mesi del 2020 vale l’1,1%. Un dato che le imprese del settore più attente non possono più mettere sotto lo zerbino. Se non altro in un ottica di diversificazione, resa ancora più necessaria dalle chiusure dell’Horeca, a livello internazionale.

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Parola di mastro birraio: “Il Governo si è dimenticato della Birra Artigianale”

“Non si vive nemmeno più alla giornata. Si vive all’ora. Con questa sorta di nuovo lockdown anti Covid-19 si ricomincerà a fare quel poco di delivery, ma con una condizione molto diversa da marzo. Perché se allora un po’ di fieno in cascina magari c’era, adesso non ce n’è più. Il delivery sono briciole, ci copri un po’ i costi vivi ma non ci ripaghi gli investimenti“.

A parlare a Giancarlo ‘Giamma’ Longhi, mastro birraio del giovane micro birrificio Beer Farm Hoppy Hobby di Legnano, tra Milano e Varese. In un’intervista rilasciata a WineMag.it, denuncia la situazione in cui versa il settore della Birra Artigianale a fronte dell’ultimo Dpcm.

Confermando, di fatto, quanto sottolineato da tante sigle Horeca come Italgrob, Assobibe e Assobirra, oltre a Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi) e Gh: le misure hanno quasi azzerato il mercato. Nelle parole di Longhi, tutto lo sconforto di una categoria che si sente “dimenticata dalle istituzioni”.

Eravamo in piazza a Milano con Fipe mercoledì scorso (28 ottobre) quando sono arrivate le prime notizie ufficiali sul DL Ristori con le indicazioni dei codici Ateco. Fra questi non figuravano i produttori di birra o di vino.

Ma come? Chiudi pub e birrerie perché lavorano la sera dopo le ore 18, limiti tantissimo ristoranti ed enoteche, chiudi definitivamente le tap room e non contempli negli aiuti i maggiori fornitori di queste categorie?.

Vi è un bonus di Regione Lombardia, una sorta di ticket di 150 euro, di cui possono usufruire i ristoratori per l’acquisto di vini della regione. Un aiuto nato per supportare i produttori di vino. E i produttori di birra? Niente“.

Uno scenario pesante quello descritto dal mastro birraio Giancarlo Longhi. Dopo un settembre in cui si avvertiva una cauta ripresa, con i clienti che avevano iniziato ad avanzare ordini interessanti, anche in vista di un presunto trend di crescita autunnale, ecco arrivare il nuovo improvviso giro di vite. Un Dpcm che ha bloccato la ristorazione, canale di vendita prevalente della Birra Artigianale.

Col primo lockdown ho perso circa il 20% dei clienti – sottolinea il titolare del birrificio milanese – adesso quanti ne perderò? Ma non penso solo a me, la situazione è analoga per i miei colleghi.

Per esempio Orso Verde di Busto Arsizio (VA) ha una produzione molto grossa e due tap room, una a Milano e l’altra a Varese. Loro fanno infustamento isobarico ed avevano in affinamento circa 5 mila litri di birra già pronti: adesso che fanno? I fusti a chi li vendono? Li tengono fermi per mesi?”.

Analoga situazione per il Birrifico War di Cassina de’ Pecchi (MI), che “ha messo in cassa integrazione i birrai dipendenti proprio perché sanno che non venderanno nulla, da qui a chissà quanto”, riferisce ‘Giamma’ Longhi.

“La Birra Artigianale – evidenzia ancora – è un prodotto fresco: puoi tenerne alcune tipologie in cella, per un po’ di mesi, ma non si va molto lontano. Birrificio Italiano alla sua Tipopils (storia ed icona della birra artigianale italiana nel mondo, ndr) dà 6 mesi di scadenza proprio per avere un prodotto perfetto”.

“Stiamo parlando di prodotti di eccellenza, per i quali la freschezza viene prima di tutto. Se blocchi questo processo uccidi la qualità del prodotto ed il concetto stesso di artigianalità. I pub, ora, dovranno svuotarle i loro fusti e buttare le birre. Piange il cuore a pensare a tutto questo. C’è sconforto. C’è tanto sconforto“.

Nelle parole di Longhi si ritrova anche l’incertezza di chi è impossibilitato a pianificare il proprio lavoro, alle porte di un Natale 2020 che si preannuncia in sordina, dal punto di vista commerciale: “Basti pensare all’organizzazione prenatalizia. Ho dei clienti che ogni anno fanno le cassette personalizzate per i loro clienti”.

“Quest’anno, se chiudono tutto, le cassettine le regaleranno lo stesso? Forse no. Però io le devo preparare in anticipo, le devo preparare adesso. Cosa faccio? compro le cassette, compro le bottiglie, faccio le cotte personalizzate per poi magari sentirmi dire ‘Giancarlo mi dispiace, è tutto chiuso l’ordine non mi serve più’?”.

Siamo nel periodo in cui, dopo la crisi del 2008, ci si stava risollevando proprio grazie allo spirito artigianale. L’Italia è stata resa grande dagli artigiani. Senza andare troppo lontano da Legnano e da Milano, pensiamo a Parabiago ‘Città della calzatura’. Cambiamo regione, andiamo in Piemonte: lì ‘Ferrero’ ti inventa la ‘Nutella’. Senza citare poi tutte le eccellenze nel caffè e nell’enogastronomia”.

Pensiamo a tutti questi grandi artigiani che sono diventati specialisti nella propria nicchia, o grandissimi nomi del proprio settore. Se ammazzi questa gente, cosa trovi poi? Cosa ti resta?

Sono anni in cui sono nate tante nuove cose bellissime: birre, agricoltura di precisione, amari, distillati e via dicendo. Giovani ragazzi che hanno iniziato ed investito, credendo in un progetto che è anche culturale: tutte persone che, adesso, sono seriamente in pericolo”.

Non meno importante, la paura di perdere non solo gli “artigiani del gusto” ma anche il consumatore. Quel consumatore sempre più attento che è stato, ed è, motore del mercato artigianale. Lo stesso che ora, a fronte delle restrizioni e delle difficoltà finanziarie, rischia di “regredire” e interrompere il proprio percorso di crescita. L’orizzonte è oscuro, insomma. Da una parte e dell’altra del boccale.

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Sagna (Club Excellence): “Regioni emettano deroghe al Dpcm per salvare ristorazione”

Deroghe delle Regioni all’ultimo Dpcm del governo Conte, per salvare ristoranti, enoteche e i pubblici esercizi (Horeca) messi in ginocchio dalle restrizioni anti Covid-19. È l’invito rivolto a tutti i Governatori regionali da Massimo Sagna, numero uno del Consorzio Club Excellence che raggruppa 18 grandi firme della distribuzione di vini di qualità in Italia.

“Rivolgiamo un appello ai Presidenti delle Regioni – dichiara Sagna – affinché prendano in considerazione la possibilità di emettere deroghe al Dpcm per consentire un più regolare svolgimento delle attività laddove ne ricorrano i presupposti. Siamo inoltre disponibili a partecipare a un tavolo di confronto con le istituzioni e gli altri attori della filiera, per definire misure più congrue in linea con l’attuale scenario economico e sanitario”.

Il modello indicato da Sagna pare essere l’Alto Adige. La Provincia autonoma di Bolzano ha infatti varato un’ordinanza con delle deroghe al Dpcm sull’apertura di bar, ristoranti e cinema.

I bar rimarranno aperti fino alle 20 e i ristoranti fino alle ore 22, a differenza della chiusura delle 18 prevista dal Dpcm nazionale. Misure che saranno valide sino al 24 novembre, al pari di quelle di Roma. Una manovra, va ricordato, resa possibile dall’autonomia regionale.

I grandi investimenti e i sacrifici di cui tutto il settore Horeca si è fatto carico sin dallo scorso giugno – attacca Massimo Sagna – tra cui riduzione del numero dei coperti, distanziamento tra commensali, riorganizzazione di spazi e strutture, oggi vengono completamente azzerati e, di fatto, si rischia di condannare alla definitiva chiusura migliaia di attività di questo settore”.

“Non possiamo condividere questa decisione – continua il presidente di Club Excellence – frutto di mancanza di programmazione e visione a lungo termine nell’affrontare un’emergenza che dura da più di 8 mesi e che, molto probabilmente, non vedrà la sua fine nel volgere di un breve periodo”.

Sempre secondo Massimo Sagna, “il nuovo Dpcm crea una discriminazione nei confronti di un settore evidentemente considerato non solo superfluo e non necessario, ma quasi, a torto, una delle principali fonti del contagio“.

E sugli aiuti promessi dal premier Giuseppe Conte: “I contributi e i sostegni economici a fondo perduto che il governo ha intenzione di predisporre – ammonisce Sagna – non possono rappresentare una soluzione e rischiano di non sortire gli effetti desiderati, vale a dire la sopravvivenza di un comparto condannato all’estinzione proprio da chi vorrebbe aiutarlo”.

Grossisti Horeca: “Ulteriore perdita di un miliardo di euro con chiusura ristorazione”

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Nuovo Dpcm, ristorazione in ginocchio: Fipe scende in piazza il 28 ottobre

A nulla sono valsi gli appelli del settore della ristorazione e del vino italiano. In base al nuovo Dpcm del 24 ottobre, gli esercizi commerciali dovranno chiudere alle ore 18. Sul nuovo provvedimento interviene anche la presidenza Fipe-Confcommercio, riunitasi d’urgenza ieri.

Il 28 ottobre, la Federazione sarà presente in 21 piazze d’Italia “per ribadire i veri valori del settore (economici, sociali, culturali ed antropologici) messi in seria discussione dagli effetti della pandemia da Covid-19, che sta mettendo a repentaglio la tenuta economica del settore, l’occupazione (a rischio oltre 350 mila posti di lavoro) e il futuro di oltre 50 mila imprese“.

“Fipe – si legge in una nota – esprime nuovamente perplessità e contrarietà alla chiusura dei pubblici esercizi alle ore 18. Per la ristorazione è impedita l’attività del servizio principale della giornata, mentre per i bar si tratta di un’ulteriore forte contrazione dell’operatività“.

La contrarietà si aggiunge alla consapevolezza che non esiste connessione tra la frequentazione dei Pubblici Esercizi e la diffusione dei contagi, come dimostrato da fonti scientifiche, che attribuiscono piuttosto ad altri fattori -mobilità, sistema scolastico e mondo del lavoro- le principali fonti di contagio”.

La Federazione ha preso atto delle dichiarazioni del Presidente del Consiglio Conte relativi ad interventi urgenti e specifici a favore del settore. “Pur apprezzando l’impegno dal Governo”, continua la presidenza Fipe, la Federazione si è “immediatamente attivata affinché gli stessi siano economicamente significativi, certi e immediatamente esigibili per tutte le imprese del settore”.

Anche Coldiretti chiede interventi mirati. “Le limitazioni alle attività di impresa – sottolinea il presidente della Ettore Prandini – devono dunque prevedere un adeguato sostegno economico lungo tutta la filiera e misure come la decontribuzione protratte anche per le prossime scadenze superando il limite degli aiuti di Stato”.

Era stato lo stesso premiaer Giuseppe Conte, il 18 ottobre, a confermare l’intenzione del Governo agli aiuti ai settori più colpiti dall’emergenza Covid-19, come turismo e ristorazione. In particolare, Conte ha annunciato “strumenti di tutela dagli effetti economici della crisi”, nella Legge di Bilancio 2021.

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Assoenologi, un posto a tavola nella lotta a Covid-19 “per il bene del vino italiano”

Assoenologi vuole un posto a tavola nella lotta al Covid-19. Non certo sul fronte dell’operatività sanitaria. La disponibilità dell’associazione che raggruppa 5 mila enologhi ed enotecnici italiani è quella di “collaborare con tutte le Regioni italiane, con l’intero mondo istituzionale, ad iniziare, come per altro abbiamo sempre fatto, dal Governo nazionale“.

“Tutti uniti ce la faremo a superare questa drammatica emergenza”, scrive Cotarella nella sua seconda lettera indirizzata in pochi giorni al governatore della Regione Lombardia, Attilio Fontana.

È in questa missiva che il numero uno di Assoenologi allarga il mirino, dopo aver contribuito a contrastare l’ordinanza che vietava la vendita di vino e alcolici dopo le ore 18 negli esercizi commerciali pubblici della Lombardia, compresi i supermercati.

Dall’inizio della pandemia, Assoenologi è in prima fila per ribadire la propria vicinanza al mondo produttivo. Fecero clamore, nella comunità medica, le dichiarazioni di Cotarella relative ai benefici del consumo moderato di vino e alcol.

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Migliori vini Colli Euganei 2020, ecco i premiati. Calaon: “Ora serve fare sistema”

C’è anche un vino premiato nella Top 100 Migliori vini italiani 2021 di WineMag.it tra quelli usciti vincitori dalla “Selezione Consorzio” 2020Rossi a Denominazione di Origine Colli Euganei. Si tratta del Colli Euganei Merlot 2018Poggio alle Setole” di Vigne al Colle, cantina di Rovolon (Padova) guidata dal vignaiolo Fivi Marino Benato.

La degustazione, che ha interessato un totale di 46 etichette nelle varie tipologie degustate da enologi, giornalisti e sommelier ( si è svolta nel pieno rispetto delle normative anti Covid-19, lunedì 19 ottobre 2020 nella sede del Consorzio Vini Colli Euganei.

“La degustazione – commenta a WineMag.it il presidente dell’ente, Marco Calaon – offre uno spaccato preciso delle aziende che lavorano in un’ottica di qualità nel nostro piccolo territorio. I Colli Euganei contano solo mille ettari rivendicati a Doc su un totale di 2.300 ettari e questo ci fa capire quanto sia davvero ricercata la produzione locale”.

“Il successo della Denominazione – ammonisce Calaon – non passerà però soltanto dalle aziende che lavorano bene nella produzione di vino. Come ho ribadito oggi in una chiamata all’assessore regionale, occorre sviluppare forme di sinergia sempre più efficaci tra produttori vitivinicoli e realtà dell’ospitalità, dagli hotel alle cure termali, oltre che della ristorazione. Sperando che Covid-19 ci lasci tornare a lavorare a pieno regime, al più presto”.

LA LISTA DEI VINI PREMIATI PER TIPOLOGIA

Colli Euganei Rosso
ULTIME DUE ANNATE
Primo premio:
Colli Euganei Rosso 2018, Il Pianzio – Galzignano Terme
Menzione:
Colli Euganei Rosso 2018 “Tre Frazioni”, Reassi – Rovolon

ANNATE PRECEDENTI
Primo premio e medaglia d’oro:
Colli Euganei Rosso 2011 “Arquà”, Vignalta – Arquà Petrarca
Menzione ex equo:
Colli Euganei Rosso Riserva 2017 “Notte di Galileo”, Cantina Colli Euganei – Vo’
Colli Euganei Rosso 2015 “Triangolo”, Terre Gaie – Vo’


Colli Euganei Merlot
ULTIME DUE ANNATE
Primo premio:
Colli Euganei Merlot 2018 “Poggio alle Setole”, Vigne al Colle – Rovolon
Menzione:
Colli Euganei Merlot 2018 “Rialto”, Cantina Colli Euganei – Vo’

ANNATE PRECEDENTI
Primo premio:
Colli Euganei Merlot Riserva 2017 “Luigi Cristofanon”, Cristofanon Montegrande – Rovolon
Menzione:
Colli Euganei Merlot Riserva 2015, Vignalta – Arquà Petrarca


Colli Euganei Cabernet
ULTIME DUE ANNATE
Primo premio ex equo:
Colli Euganei Cabernet sauvignon 2018 “Coldivalle”, Borin Vini & Vigne – Monselice
Colli Euganei Cabernet 2018, Bacco e Arianna – Vo’
Menzione:
Colli Euganei Cabernet 2018 “Espero”, Vigna Roda – Vo’

ANNATE PRECDENTI
Primo premio:
Colli Euganei Cabernet Riserva 2017 “Magnificat”, Alla Campagnola – Vo’
Menzione:
Colli Euganei Cabernet 2017 “Palazzo del Principe”, Cantina Colli Euganei – Vo’

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Vini al supermercato

Lombardia, Covid-19: chiusa la corsia di vino, birra e alcolici al supermercato

Bianco e rosso. Non il colore del vino ma quello del nastro segnaletico che dalle ore 18 di oggi, 17 ottobre 2020, limita l’accesso alle corsie di vino, birra e alcolici dei supermercati, in Lombardia. È entrato in vigore da poche ore uno dei provvedimenti dell’ordinanza regionale n. 620 per contrastare la diffusione del Covid-19 e scongiurare la possibilità di un nuovo lockdown. Un colpo durissimo, che le attività produttive non potrebbero sopportare.

Almeno dal 17 ottobre al 6 novembre è quindi stretta su ristoranti, pub, bar, enoteche, pasticcerie, chioschi, ambulanti e anche supermercati. Tutte attività “vittime” delle norme anti movida, che prevedono tra le altre limitazioni il divieto di vendita di qualsiasi bevanda alcolica dopo le 18. Resta consentita la ristorazione con consegna a domicilio.

La somministrazione di bevande su area pubblica e privata sarà possibile solo fino alle 24 e dalle 18 esclusivamente con consumo al tavolo. Chiusi anche i distributori di alimenti confezionati e bevande dalle 18 alle 6 del mattino, se con accesso dalla strada.

In Lombardia è vietata nella stessa fascia oraria la consumazione di alimenti e bevande su aree pubbliche e resta sempre valido il divieto di consumo di alcolici di qualsiasi gradazione nelle aree pubbliche, compresi parchi, giardini e ville aperte al pubblico.

Il bilancio dei nuovi positivi registrati nella giornata odierna si assesta su 2664 persone, pari al 9,1% dei tamponi effettuati (29.053). La provincia di Milano è quella più colpita, con oltre la metà dei casi (+1.388).

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Abbona (uiv): appello all’Ue, per la Brexit serve un paracadute normativo sugli scambi

“Il nulla di fatto nell’ultimo ciclo di negoziati sulla Brexit è motivo di forte preoccupazione per il futuro del vino italiano in un mercato fondamentale per il nostro export”, ha detto oggi il presidente di Unione Italiana Vini (Uiv), Ernesto Abbona, in merito alla chiusura senza risultati dei negoziati tra Ue e Regno Unito sulle future relazioni in regime di Brexit.

“Con un no deal – prosegue Abbona – si rischia, nella migliore delle ipotesi, una babele burocratica senza precedenti negli scambi; nella peggiore, diverse regole per l’etichettatura fino all’adozione di possibili dazi. Per questo ci appelliamo all’Unione europea affinché sia disposto un paracadute normativo transitorio per mantenere lo status quo negli scambi per un periodo di 12-18 mesi, vista l’impossibilità un adeguamento normativo in tempi così stretti”.

Per, Paolo Castelletti, segretario generale Uiv, “L’incertezza sulle regole da adottare in tempi brevissimi sta generando fortissime preoccupazioni tra le imprese del vino in un mercato che rappresenta il terzo sbocco al mondo per il nostro export e che sta già pagando un prezzo molto alto al Covid-19. Nel primo semestre 2020, secondo i dati Istat rilasciati ieri ed elaborati dal nostro Osservatorio, la contrazione export a valore del vino made in Italy in Gran Bretagna è stata pari a quasi il 10% sullo stesso periodo 2019, con gli sparkling a -19,8%”.

Nel periodo in calo anche il prezzo medio, per un valore delle esportazioni che Oltremanica ha sfiorato i 310 milioni di euro. Nel 2019 il Regno Unito – secondo Paese importatore al mondo dopo gli Usa – ha acquistato vino dall’estero per quasi 4 miliardi di euro complessivi.

Secondo il Wsta, che rappresenta il mercato del vino in Uk, ad oggi il prodotto enologico proveniente dall’Europa non è soggetto ai test di laboratorio e ai controlli per il certificato export vino (VI-1) previsti per i Paesi terzi – il 55% del vino consumato nel Regno Unito è importato dall’Ue – ma tutte le regole di certificazione cambieranno, con o senza accordo, dal 1 gennaio 2021, quando tutto il vino importato dall’Europa sarà invece soggetto a questi controlli.

Si prevede che l’aumento di burocrazia che ne deriverà genererà più di 600 mila documenti cartacei – un incremento triplo per gli ispettori del settore – e costerà al commercio di vino britannico 70 milioni di sterline in più all’anno, con conseguenti rincari sul prezzo del vino e una caduta del potere di scelta dei consumatori. Secondo l’Osservatorio Uiv, che ha elaborato i dati Istat del primo semestre, anche l’Italia, come la maggior parte dei Paesi produttori di vino, sperimenta a giugno un arretramento delle esportazioni.

Da gennaio a giugno il saldo a volume segna infatti -2,1%, a 10 milioni di ettolitri, per un valore sceso del 4,1%, a 2,9 miliardi di euro. Dal 2010, è la prima volta che il valore delle spedizioni registra il segno negativo nel primo semestre, accompagnato per ora da una meno drastica limatura dei listini, scesi in media del 2%. A soffrire è proprio la componente valore, che intacca sia gli spumanti (-8%), sia i vini fermi (-3%), in particolare quelli veicolati sul settore Horeca, che ha patito in questi mesi i lockdown decisi dai vari Paesi.

Se Spagna e soprattutto Francia sommano al Covid-19 le problematiche in America (tariffe) e Cina, l’Italia – meno esposta sulla piazza cinese e per ora graziata dall’applicazione di nuove imposte in Usa – sconta per ora i soli effetti della pandemia sui consumi, che si stanno traducendo nella penalizzazione dei vini destinati alla ristorazione compensata in parte dall’aumento dei prodotti più presenti sul circuito della grande distribuzione, con l’effetto”insicurezza” che spinge il consumatore a ricercare vini e brand già noti, a discapito della voglia di nuovo o di speciale.

Ecco spiegati gli impatti pesanti per i rossi Dop, in particolare toscani e piemontesi, che segnano cali anche sulla componente volumica (-7%), mentre per ora i bianchi a denominazione compensano sul valore con l’aumento delle forniture a volume (+5%), trainati dalle buone performance del “rassicurante” Pinot grigio in Usa e UK. Discorso analogo per la spumantistica, dove se il Prosecco contiene le perdite a valore a -4% (con cali sia in Usa che in UK), i Dop – quindi metodo classico e affini – vanno sotto addirittura del 40%. In controtendenza positiva i frizzanti (+5% volumico e +2% valore), che si confermano prodotto domestico e da tutti i giorni, indenne quindi dalle vicissitudini del canale Horeca.

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Grandine e vento sulla Valpolicella, il Consorzio: “5-6 milioni di euro di danni”

Nel disastro, un sorriso a mezza bocca per i viticoltori della Valpolicella. Il nubifragio di ieri pomeriggio poteva infatti causare conseguenze ancora più devastanti. “L’epicentro della tempesta di grandine e vento, o meglio la sua ‘supercella‘, come la chiamano tecnicamente i meteorologi – commenta a WineMag.it Christian Marchesini, fresco di nomina alla presidenza del Consorzio Tutela Vini Valpolicella – era collocato sul centro di Verona. Se fosse stato sui vigneti, oggi staremmo parlando del disastro più totale“.

I danni ammonterebbero a 5-6 milioni di euro, solo sul fronte delle aziende vitivinicole colpite. Secondo le prime stime degli agronomi del Consorzio, all’opera sin da ieri assieme a quelli di Regione Veneto, la superficie danneggiata sarebbe piuttosto limitata. “Si parla di 300, massimo 400 ettari – precisa Marchesini – dunque dal 3 al 5% dei vigneti a Denominazione“.

Va detto però che, dove grandine e vento hanno colpito, come nel Comune di San Pietro in Cariano, hanno fatto danni davvero ingenti, cancellando dal 70 al 100% della produzione“.

Già definita la tabella di marcia delle prossime ore. “I nostri tecnici – spiega il presidente Marchesini (nella foto)- stanno individuando e delimitando le aree colpite, alle quali sarà assegnata una resa ad hoc: 0, 10, o 50, valuteremo. Procederemo poi alla richiesta dello stato di calamità, nella speranza che i produttori danneggiati da questa terribile ondata di vento e grandine siano assicurati”.

Nel frattempo, sempre secondo il numero uno del Consorzio Tutela Vini della Valpolicella, “la Denominazione ha reagito bene nei primi mesi del 2020, segnato dalla stangata del Covid-19“.

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“Continuano gli imbottigliamenti – riferisce Marchesini a WineMag.it – con cali non superiori al 7-8% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Quello che abbiamo perso davvero dall’inizio dell’anno è la ‘biodiversità’ della Denominazione, intendendo con questo termine i numerosi piccoli produttori della Valpolicella”.

Con l’avvento del Covid-19 le vendite si sono concentrate soprattutto sulla Grande distribuzione organizzata, essendo l’Horeca chiusa. Ma tra le oltre 300 aziende della Valpolicella, sono solo una trentina quelle capaci di tenere il ritmo della Gdo”.

“Per questo – annuncia Marchesini a WineMag.it – stiamo cercando di preservare la ‘biodiversità’ assicurata dai piccoli produttori, invitando i maggiori player della Valpolicella ad acquistare da loro lo sfuso“. Una soluzione volta anche ad evitare le svendite di vini della Valpolicella nei supermercati, sulla scia dell’ultimo appello dell’ex presidente del Consorzio, Andrea Sartori.

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Montefalco e i suoi “Abbinamenti”: la festa del vino e della gastronomia è in Umbria

L’Umbria si prepara ad Abbinamenti evento dedicato ai vini del territorio di Montefalco e Spoleto, tra gastronomia d’eccellenza, musica dal vivo, appuntamenti con l’arte, cultura del buon vivere, degustazioni, laboratori ed iniziative in cantina al calar del sole, dal 18 al 20 settembre a Montefalco (PG).

Il borgo famoso come “Ringhiera dell’Umbria” ospiterà un banco con oltre 20 cantine al Chiostro Sant’Agostino. Sicurezza e rispetto delle misure anti Covid-19 garantite, grazie all’accesso in fasce orarie della durata massima di un’ora e mezza, contingentato e su prenotazione disponibile dal 1° settembre sul sito web del Consorzio vini Montefalco.

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Covid-19, Sudafrica: industria del vino sul piede di guerra per divieto vendita alcolici

Continua il braccio di ferro tra l’industria del vino e il governo del Sudafrica. Per limitare l’abuso e il consumo di alcol, considerato d’ostacolo alle cure contro Covid-19, il presidente Cyril Ramaphosa ha introdotto alla fine di marzo 2020 il divieto di vendita di bevande alcoliche in tutto il Paese. Nel mirino anche la vendemmia 2020 e le esportazioni, poi riattivate da Pretoria su pressione delle associazioni di categoria.

“L’industria del vino sudafricana, incluso il turismo del vino, è in uno stato di disastro – denuncia Rico Basson (nella foto, sotto) amministratore delegato dell’ente dell’industria vinicola Vinpro – è necessario un intervento urgente, altrimenti una delle industrie agricole più antiche del paese non sopravviverà”.

Molte aziende vinicole hanno già chiuso a causa delle restrizioni commerciali precedenti e attuali, e il resto del settore semplicemente non sopravviverà al prolungarsi del divieto di alcol, lasciando decine di migliaia di dipendenti senza alcun reddito, possibilità o speranza”.

L’industria del vino sudafricano è favore “a riaprire il commercio interno e la distribuzione con tutte le norme di salute e sicurezza necessarie, concentrandosi sul cambiamento dei comportamenti in merito alla produzione, promozione, commercio e consumo responsabili”.

Una posizione che trova d’accordo, a livello istituzionale, il governo del Western Cape, il Capo Occidentale del Sudafrica, che ha chiesto “la riapertura sicura di tutte le attività commerciali e la vendita interna di alcolici, insieme a interventi mirati”.

Il premier locale, Alan Winde, è convinto che questa sia una soluzione ottimale: “Fintanto che il Western Cape può garantire l’accesso alle strutture sanitarie per tutti i pazienti con Covid-19, il divieto temporaneo di vendita di alcol dovrebbe essere revocato immediatamente, in concomitanza con l’implementazione di interventi intelligenti per frenare gli impatti negativi dell’alcol nel medio-lungo termine”.

Vinpro prosegue dunque le trattative con il governo centrale avviate sin da marzo 2020: in discussione, all’inizio del lockdown, erano state messe anche le operazioni legate alla vendemmia, ormai alle porte.

“Da quando è stato annunciato lo stato di crisi e l’intero Paese è stato completamente bloccato – sottolinea ancora Rico Basson di Vinpro – abbiamo negoziato con il governo per consentire all’industria del vino di completare la vendemmia 2020 e quindi di consentire le esportazioni e il commercio interno”.

Comprendiamo la gravità della situazione allora e adesso e abbiamo sostenuto e ancora sosteniamo gli sforzi del governo per salvare vite umane. Ci impegniamo al contempo a garantire che l’industria del vino aderisca a tutte le normative, con le informazioni e i protocolli di sicurezza necessari”.

“Salvare vite umane, tuttavia – continua Basson – deve essere in attento equilibrio con il salvataggio dei mezzi di sussistenza delle persone. Il vino è un prodotto agricolo, è stagionale, il che significa che le viti non aspettano che vengano tolte le restrizioni commerciali prima di produrre uva”.

In Sudafrica risultano quasi 300 milioni di litri di vino in eccedenza, in giacenza della cantina. “Molti potrebbero non avere spazio per il nuovo raccolto. La situazione è disastrosa”, denuncia Basson.

“Anche per questo motivo Vinpro, insieme al resto della filiera – annuncia l’ad dell’associazione di categoria sudafricana – ha lavorato per stabilire un nuovo patto sociale che perfezioni soluzioni a breve, medio e lungo termine e interventi mirati alle sfide sociali legate all’abuso di alcol e al suo impatto nel settore sanitario”.

“In qualità di custodi dell’industria vinicola sudafricana, ci sforziamo di garantire il futuro della nostra industria per le generazioni a venire. Scegliamo quindi di lavorare con il governo su soluzioni che stabilizzeranno il settore in questo momento, lo ricostruiranno a medio termine e faranno crescere il settore a lungo termine”.

L’industria del vino del Paese africano ha richiesto e analizzato i dati empirici su cui è stata formulata la decisione di divieto di vendita del vino e delle altre bevande alcoliche.

Vinpro ha proposto e accettato una serie di condizioni che sarebbero servite come prerequisiti per revocare il divieto, inclusi impegni su progetti di sostegno del sistema sanitario, azioni di marketing e promozione sulle conseguenze dell’abuso di alcol, nonché la creazione di un “pool” che sorvegli sull’attuazione delle norme a breve, medio e lungo termine.

“Un patto sociale è un accordo tra varie parti, non una decisione unilaterale. È un dare e avere. Al momento siamo frustrati dalla mancanza di impegno da parte del governo sui prossimi passi d’azione”, denuncia Rico Basson.

Nuove decisioni del governo sono attese dal 15 agosto, una data che potrebbe rivelarsi decisiva per le sorti future dell’industria del vino del Sudafrica. Secondo stime di Vinpro, il divieto iniziale di nove settimane sulle vendite locali e il divieto di cinque settimane sulle esportazioni comporteranno il fallimento di oltre 80 aziende vinicole e 350 produttori di uva da vino.

Una tragedia che si ripercuote sull’occupazione, con la potenziale perdita di oltre 21 mila posti di lavoro in tutta la filiera. Cifre che potrebbero salire drasticamente nei prossimi 18 mesi, qualora il divieto di consumo di vino e bevande alcoliche non fosse eliminato in Sudafrica.

Come sottolinea il presidente di Vinpro, Anton Smuts, l’industria del vino sudafricano è dominata da piccole imprese – il 40% degli agricoltori produce meno di 100 tonnellate di uva e un ulteriore 36% meno di 500 tonnellate – di cui la maggioranza “non dispone di finanziamenti temporanei sufficienti per ovviare alle mancate vendite e all’attuale siccità finanziaria”.

“La viticoltura – continua Smuts – è una delle industrie agricole più antiche del Sudafrica, le nostre uve sono coltivate da 2873 agricoltori e dai loro 40 mila dipendenti e i nostri vini sono prodotti da enologi esperti e dai loro assistenti nelle nostre 533 cantine, con molti più fornitori di input e fornitori di servizi nel la catena del valore dipende dalla riapertura del mercato”.

Per ogni posto di lavoro in un’azienda agricola, vengono creati altri 10 posti di lavoro nel resto della catena del valore. Siamo stufi della situazione. Il divieto è servito allo scopo e dovrebbe essere revocato immediatamente”. 

L’ad Basson ricorda inoltre che “l’industria del vino comprende che la situazione attuale rimane estremamente complessa, ma a causa del calo del tasso di contagi nel Western Cape e in altre province, l’aumento della capacità negli ospedali e le proposte concordate, non c’è assolutamente alcun motivo per mantenere l’attuale divieto di vendita di vino in atto”.

Quando è troppo è troppo – conclude – anche perché, pensandoci razionalmente, il divieto non ha più senso. Abbiamo fatto del nostro meglio per salvare vite umane. Ora è giunto il momento di salvare i mezzi di sussistenza delle persone che lavorano e dipendono dall’industria del vino sudafricana”.

 

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Mercato Fivi 2020, oggi le iscrizioni dei vignaioli dopo il flop del 22 luglio

Tra le mille incertezze del 2020 del vino italiano, c’è anche quella sull’effettivo svolgimento del Mercato Fivi 2020 di Piacenza Expo, in programma – Coronavirus permettendo – da sabato 28 novembre a lunedì 30 novembre. Alle ore 9.00 odierne, 28 luglio 2020, si aprono per la seconda volta le iscrizioni dei vignaioli all’evento clou degli “Indipendenti“.

I posti a disposizione sono “circa 640”, come annuncia testualmente il management Fivi, rispondendo alle decine di domande e reclami giunti dopo il clamoroso flop della prima sessione di iscrizioni alla X edizione del Mercato piacentino, il 22 luglio 2020.

“Se la situazione dovesse cambiare nei prossimi tempi e non ci fossero più le condizioni, il Mercato non si farà, fermo restando che le quote versate dai Vignaioli verranno restituite – precisa Fivi in una mail inviata ai soci – ma per ora andiamo avanti con l’organizzazione impegnandoci a prevedere tutto quanto riportato nel protocollo Covid-19“.

Dal canto suo, Piacenza Expo sta adottando i protocolli e le misure previste dalle linee guida della Conferenza delle Regioni e dal Dpcm del 14/07/20, che disciplinano l’organizzazione di fiere e congressi nei quartieri fieristici.

“Precisiamo che la situazione è in completo divenire – continua la direzione Fivi – in funzione dell’andamento epidemiologico”. In ogni caso, quello del 2020 sarà un Mercato di Piacenza sui generis.

Tra le novità, come previsto dalle normative anti Coronavirus, la differenziazione degli accessi in entrata e in uscita; la promozione ‘prenotazione online della visita‘ da parte dei visitatori; l’accesso contingento nelle aree comuni; la segnaletica orizzontale per favorire il distanziamento sociale.

E ancora: la presenza di personale a presidio dell’osservanza delle disposizioni in vigore; l’intensificazione delle pulizie e dell’ igienizzazione degli spazi comuni e dei servizi igienici; l’obbligatorietà dell’accesso al padiglione con mascherina; la possibilità di effettuare le degustazioni attraverso il mantenimento del distanziamento sociale.

“Di pari passo agli adeguamenti normativi – conclude Fivi nell’ultima comunicazione inviata agli iscritti – sta partendo, come sempre, la campagna di comunicazione quest’anno potenziata, rivolta a Italia ed Europa nell’ottica di mantenere e migliorare la qualità dei visitatori e degli operatori del settore”.

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