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Vini al supermercato

Vini al super e pandemia: torna di moda il bottiglione e crescono i vini di fascia alta

“Vecchio bottiglione, quanto tempo è passato. Quanti ricordi fai rivivere tu, quante canzoni…”.  Avesse avuto una colonna sonora, quella dell’incontro “Vino e grande distribuzione di fronte al cambiamento” avrebbe suonato, più o meno, così. A dire che sulla tavola degli italiani torna di moda il bottiglione da 1,5 litri, ancor più di quanto crescano i vini di fascia alta, è una ricerca condotta da Iri sugli acquisti di vini al super – ovvero nel canale Gdo – nei primi 10 mesi del 2020.

Un focus sui riflessi dell’emergenza Covid-19 sui consumi di vino “pop” e non solo nel Bel paese, in un periodo segnato da misure restrittive che hanno coinvolto quasi esclusivamente l’Horeca, lambendo solo di striscio alcune insegne del retail, in alcune regioni (vedi il clamoroso caso della Lombardia).

Inevitabile, dunque, la crescita della Gdo. Ma fino a che punto? A rispondere, durante l’incontro digital organizzato nell’ambito di Wine2WineVinitaly 2020, è stato Virgilio Romano, Business Insight Director di Iri.

La crescita rispetto al 2019 è stata del 5,3% per il vino fermo e del 10,4% per gli spumanti. In leggera crescita i prezzi medi registrati a scaffale nei primi 10 mesi del 2020: +1,4%. La crescita maggiore del segmento si è registrata nel primo semestre, che non a caso è coinciso con il primo lockdown da Coronavirus.

A luglio, agosto e settembre, il trend si è riallineato non solo al 2019, ma agli anni precedenti. La seconda ondata di positivi al Covid-19, a ottobre è coinciso col nuovo balzo in avanti del vino al supermercato, rispetto all’anno precedente. Curva del virus e Horeca ridotto all’osso, insomma, hanno inciso sulle performance enologiche della Grande distribuzione.

Il dato complessivo recisa un + 6,9% a valore + 5,3% a volume, nei primi 10 mesi del 2020. Nei mesi di marzo, aprile, maggio e giugno, gli italiani hanno acquistato 20 milioni di litri in più rispetto a 2019 in Gdo.

Cifre sbalorditive anche per gli spumanti, tra croce e delizia: le bollicine italiane vendute dai retailer, sempre secondo la ricerca Iri, sono riuscite a ribaltare il dato negativo (2 milioni di litri in meno) del periodo pasquale (meno aggregazione, meno feste in famiglia, meno brindisi a causa di Covid-19 e relativi Dpcm) e sarebbero in corsa per il record assoluto di consumi in questo 2020.

Curiosa anche la crescita del libero servizio piccolo, ovvero dell’acquisto a scaffale in punti vendita di superficie compresa tra i 100 e i 400 metri quadrati: questo il “cluster” che è cresciuto di più, grazie alla presenza di numerosi punti vendita nei centri urbani, facilmente raggiungibili anche a fronte delle misure restrittive.

Il libero servizio piccolo, grazie alla pandemia cresce del 3,2% da inizio anno. Quanto alle categorie merceologiche, sono i vini da tavola quelli che hanno registrato l’incremento maggiore delle vendite. Al contempo, le prime cinque categorie prezzo (a partire dal top di gamma) sono quelle che hanno perso di più.

Crescono in misura maggiore – e questa è una buona notizia per il potenziale ingresso in Gdo di vini sino ad ora riservati esclusivamente all’Horeca dalle cantine italiane – i vini tra i 3 e i 10 euro, quelli cioè nella pancia dell’assortimento di un supermercato medio.

Alto trend positivo quello della marca del distributore (Mdd), ovvero la Private label. Le insegne che vi hanno investito negli ultimi anni (Coop e Gruppo Selex, per citarne due) hanno registrato durante i primi 10 mesi del 2020 la crescita più alta assoluta: + 8,7% vino e + 10,8% gli spumanti. Tra i formati, a colpire è la crescita del bottiglione: + 29,6% il formato da 1,50 litri, in calo vertiginoso negli ultimi 10 anni.

La ricerca presentata da Virgilio Romano ha messo in luce anche l’aumento delle vendite online. Lo studio condotto da Iri con l’Università Cattolica di Milano ha dimostrato che il 52,1% degli acquisti sul canale è stato compiuto per la prima volta assoluta da molti utenti durante la pandemia.

Tra questi, la metà continuerà a fare acquisti online. L’e-commerce pesava nel 2019 lo 0,6% delle vendite di vino: nei primi dieci mesi del 2020 vale l’1,1%. Un dato che le imprese del settore più attente non possono più mettere sotto lo zerbino. Se non altro in un ottica di diversificazione, resa ancora più necessaria dalle chiusure dell’Horeca, a livello internazionale.

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Assoenologi, un posto a tavola nella lotta a Covid-19 “per il bene del vino italiano”

Assoenologi vuole un posto a tavola nella lotta al Covid-19. Non certo sul fronte dell’operatività sanitaria. La disponibilità dell’associazione che raggruppa 5 mila enologhi ed enotecnici italiani è quella di “collaborare con tutte le Regioni italiane, con l’intero mondo istituzionale, ad iniziare, come per altro abbiamo sempre fatto, dal Governo nazionale“.

“Tutti uniti ce la faremo a superare questa drammatica emergenza”, scrive Cotarella nella sua seconda lettera indirizzata in pochi giorni al governatore della Regione Lombardia, Attilio Fontana.

È in questa missiva che il numero uno di Assoenologi allarga il mirino, dopo aver contribuito a contrastare l’ordinanza che vietava la vendita di vino e alcolici dopo le ore 18 negli esercizi commerciali pubblici della Lombardia, compresi i supermercati.

Dall’inizio della pandemia, Assoenologi è in prima fila per ribadire la propria vicinanza al mondo produttivo. Fecero clamore, nella comunità medica, le dichiarazioni di Cotarella relative ai benefici del consumo moderato di vino e alcol.

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Analisi e Tendenze Vino

Vendite spumanti italiani salde all’epoca Coronavirus: l’indagine Ovse-Ceves

Bene gli spumanti italiani nel primo semestre 2020, senza variazioni sostantive su base annua, in particolare per il Prosecco Doc e Docg e gli Charmat. Subiscono i maggiori cali (anche del 40-45%) i vini italiani riservati al settore Horeca, come vini rossi importanti, bollicine esclusive metodo tradizionale e lo Champagne (calo del 75% in Italia).

Crescono gli acquisti in Gdo (+16%), mentre l’e-commerce raddoppia i volumi ma non il fatturato. La miglior performance è quella dei vini a costo medio-basso. È quanto emerge dall’analisi Ovse-Ceves.

“Il calo di vendite-consumi di vini spumanti italiani sul mercato interno ed estero – spiega il fondatore Giampietro Comolli (nella foto) – è molto più contenuta e più differenziata rispetto alle dichiarazioni altisonanti lette tempo fa”.

Discorso totalmente diverso per vini tranquilli, seppur fortemente diversi tipologia per tipologia. Gli stessi dati della Gdp (canale nazionale che copre l’acquisto di 6 bottiglie su 10) confermano un incremento di acquisti e di atti di acquisto a livello nazionale in confronto con lo stesso periodo 2019, seppur con cali evidenti per certe tipologie, etichette, denominazioni”.

Sempre secondo i dati Ovse-Ceves, “fino al 10 marzo tutte le spedizioni programmate dalle cantine sono arrivate a destinazione, in pieno lockdown è scattata la corsa all’acquisto online e con il delivery conseguente, poi si sono riaperte le cantini per gli acquisti diretti diventando una fuga o scusa di riscatto dalle chiusure domestiche”.

Un altro dato interessante valutato da Ovse sono i metodi produttivi e i rispettivi volumi delle bollicine italiane pronte per il consumo durante i 100 giorni delle limitazioni degli spostamenti e della gestione d’impresa.

“Nei primi mesi dell’anno i vini spumanti ottenuti con il metodo italiano (Prosecco, Valdobbiadene, Lambrusco, Durello, Malvasia, Ortrugo, Muller, Pinot) sono già in spedizione – evidenzia Comolli – e per questo non hanno risentito del calo dei consumi, anzi”.

Viceversa i vini ottenuti con il metodo tradizionale classico (Franciacorta, Alta Langa, Trento, Monti Lessini, ecc..), fatto eccezione per i millesimi riserva e selezioni disponibili in cantina oppure già presso i distributori o clienti, solitamente vengono imbottigliati a primavera e le massicce spedizioni iniziano da maggio-giugno (bolle e dogana)”.

Un segnale positivo arriva dai primi Paesi importatori di vini spumanti: Usa, Uk e Giappone segnano una crescita in volumi (+2,5% sul 2019), a valori stabili. Un segnale reale e allarmante arriva dalla Francia per lo Champagne, che registra, sempre nei primi 100 giorni di emergenza Coronavirus, un calo dei consumi sul mercato interno pari a circa l’55% rispetto allo stesso semestre del 2019 e un calo del 45% per le spedizioni all’estero.

Su base annua le Case di Champagne stimano una perdita del 27-28% dei volumi e un danno economico di circa 1,7 mld/euro

In sintesi la ricerca di Ovse-Ceves (luglio 2020) sul comportamento degli italiani in generale rispetto all’acquisto e consumo di vino in periodo Covid (100 giorni, dal 9 marzo al 30 giugno) evidenzia:

  • Meno consumo di vini sostenibili e quelli più cari in senso generale
  • Più consumo di vini locali facili da trovare, più pubblicizzati e anche autoctoni
  • Più bottiglie a prezzo contenuto (limite sono i 10-11 euro a bottiglia su scaffale o in cantina)
  • Più vini di cantine grandi, note, diffuse che danno garanzie
  • Più acquisti online e eno-commerce
  • Meno acquisti diretti in cantina soprattutto nei territori e grandi DO dove avvenivano eventi, fiere, degustazioni, primeur
  • Più delivery
  • Meno acquisto di Champagne
  • Più acquisto di Prosecco Superiore Docg e Prosecco Doc (molti in abbinamento con Aperol o Campari)
  • Più vini bianchi tranquilli noti e di annata recente
  • Meno vini rossi tranquilli top selezionati riserve e più noti dell’alta gamma
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Esteri - News & Wine

Approvata dall’Ue la distillazione di crisi per 3,3 milioni di ettolitri di vino francese

La Commissione europea ha autorizzato la Francia a fornire ulteriore sostegno ai produttori di vino, attraverso la distillazione di crisi. Il provvedimento, secondo le stime transalpine, dovrebbe interessare un totale di 3,3 milioni di ettolitri di vino, che saranno tolti dal mercato francese.

“Questa misura mira a ridurre le scorte di vino, liberare capacità di stoccaggio e ripristinare l’equilibrio tra domanda e offerta sul mercato vinicolo nazionale, colpito dalla crisi del Coronavirus“, giustifica l’Ue.

La Francia ha introdotto la distillazione del vino in caso di crisi nel suo programma nazionale di sostegno al settore vitivinicolo per il 2020. Tuttavia, la riduzione della produzione di un milione di ettolitri è stata insufficiente. Grazie alla decisione odierna, i sussidi nazionali copriranno i costi del volume aggiuntivo per la distillazione di crisi.

La consegna del vino alle distillerie sarà comunque volontaria. Il vino sarà distillato in alcool utilizzato per scopi industriali, compresa la disinfezione, o per scopi farmaceutici o energetici. Il pagamento, secondo indiscrezioni, dovrebbe essere fissato a 83 euro per ettolitro di vino a denominazione di origine protetta o a indicazione geografica protetta.

Saranno riconosciuti invece 63 euro per ettolitro di vino senza denominazione di origine protetta o indicazione geografica protetta. Questa decisione si aggiunge a una serie di misure di sostegno eccezionali per il settore vitivinicolo adottate dalla Commissione europea il 7 luglio 2020.

In quella data, la Commissione ha autorizzato gli Stati membri a versare anticipi agli operatori, che possono coprire fino al 100% dei costi e consentiranno agli Stati membri di utilizzare appieno i fondi del Programma nazionale di sostegno relativo al 2020.

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Mercato Fivi 2020, oggi le iscrizioni dei vignaioli dopo il flop del 22 luglio

Tra le mille incertezze del 2020 del vino italiano, c’è anche quella sull’effettivo svolgimento del Mercato Fivi 2020 di Piacenza Expo, in programma – Coronavirus permettendo – da sabato 28 novembre a lunedì 30 novembre. Alle ore 9.00 odierne, 28 luglio 2020, si aprono per la seconda volta le iscrizioni dei vignaioli all’evento clou degli “Indipendenti“.

I posti a disposizione sono “circa 640”, come annuncia testualmente il management Fivi, rispondendo alle decine di domande e reclami giunti dopo il clamoroso flop della prima sessione di iscrizioni alla X edizione del Mercato piacentino, il 22 luglio 2020.

“Se la situazione dovesse cambiare nei prossimi tempi e non ci fossero più le condizioni, il Mercato non si farà, fermo restando che le quote versate dai Vignaioli verranno restituite – precisa Fivi in una mail inviata ai soci – ma per ora andiamo avanti con l’organizzazione impegnandoci a prevedere tutto quanto riportato nel protocollo Covid-19“.

Dal canto suo, Piacenza Expo sta adottando i protocolli e le misure previste dalle linee guida della Conferenza delle Regioni e dal Dpcm del 14/07/20, che disciplinano l’organizzazione di fiere e congressi nei quartieri fieristici.

“Precisiamo che la situazione è in completo divenire – continua la direzione Fivi – in funzione dell’andamento epidemiologico”. In ogni caso, quello del 2020 sarà un Mercato di Piacenza sui generis.

Tra le novità, come previsto dalle normative anti Coronavirus, la differenziazione degli accessi in entrata e in uscita; la promozione ‘prenotazione online della visita‘ da parte dei visitatori; l’accesso contingento nelle aree comuni; la segnaletica orizzontale per favorire il distanziamento sociale.

E ancora: la presenza di personale a presidio dell’osservanza delle disposizioni in vigore; l’intensificazione delle pulizie e dell’ igienizzazione degli spazi comuni e dei servizi igienici; l’obbligatorietà dell’accesso al padiglione con mascherina; la possibilità di effettuare le degustazioni attraverso il mantenimento del distanziamento sociale.

“Di pari passo agli adeguamenti normativi – conclude Fivi nell’ultima comunicazione inviata agli iscritti – sta partendo, come sempre, la campagna di comunicazione quest’anno potenziata, rivolta a Italia ed Europa nell’ottica di mantenere e migliorare la qualità dei visitatori e degli operatori del settore”.

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Via libera alla vendemmia verde: 100 milioni di euro per la campagna 2020/2021

Con un investimento pari a 100 milioni di euro, la Conferenza Stato-Regioni ha sancito oggi l’intesa sul decreto Mipaaf, da adottare di concerto con il Mef, che attiva per la campagna 2020/2021 la misura della vendemmia verde, per la riduzione volontaria della produzione di uve destinate a vini a denominazione di origine ed a indicazione geografica.

Un intervento molto atteso dalla filiera vitivinicola, che si aggiunge alla misura distillazione di crisi del vino comune già attivata a fine giugno, per 50 milioni di euro. Si punta così a dare “risposte concrete ad un settore duramente colpito dall’emergenza Coronavirus, soprattutto per il blocco del canale Horeca”.

La riduzione volontaria delle uve di vini Do e Ig oltre ad avere come obiettivo il riequilibrio di un mercato in difficoltà, evidenzia la Ministra Bellanova, “punta a migliorare la qualità del nostro vino, per renderlo più competitivo su di un mercato che purtroppo sarà in sofferenza anche il prossimo anno”.

“Con le risorse messe a disposizione – prosegue Bellanova – puntiamo a coinvolgere una superficie di circa 140 mila ettari, vale a dire il 40% della superficie viticola italiana destinata a vini di qualità e a ridurre mediamente di 3 milioni di quintali l’uva destinata alla vinificazione della prossima campagna, cui corrispondono circa 2 milioni di quintali di vino”.

I produttori che decideranno di aderire alla misura avranno a disposizione un modello di domanda estremamente semplificato e pre-compilato, nel quale saranno quantificati gli obiettivi produttivi che ogni azienda dovrà raggiungere per ottenere il premio previsto.

“Dopo la distillazione di crisi – conclude Bellanova – prosegue quindi con grande determinazione l’impegno del Ministero per garantire risposte concrete alla filiera vitivinicola, Questo provvedimento attuativo arriva infatti ancora prima della conversione in legge del DL 34/2020 che ha stanziato le risorse destinate alla misura”.

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Usa, la scure dei dazi di Trump sul vino italiano

Confermati i timori dell’Italia. Il vino è stato incluso nella lista definitiva dei prodotti oggetto dei nuovi dazi del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Interessati i 2/3 del valore dell’export agroalimentare che si estende tra l’altro vino, olio e pasta Made in Italy oltre ad alcuni tipi di biscotti e caffe esportati negli Stati Uniti per un valore complessivo di circa 3 miliardi di euro.

Lo rende noto la Coldiretti nel sottolineare l’avvenuta ufficializzazione sul sito del Dipartimento del Commercio statunitense (USTR) dell’inizio il 26 giugno della procedura pubblica di consultazione per la revisione delle tariffe da applicare e della lista di prodotti europei colpiti da dazi addizionali a seguito della disputa sugli aiuti al settore aereonautico.

Nell’ambito del sostegno Ue ad Airbus gli Usa sono stati autorizzati ad applicare sanzioni all’Unione Europea per un limite massimo di 7,5 miliardi di dollari dal Wto, che dovrebbe però a breve esprimersi sulla disputa parallela per i finanziamenti Usa a Boeing la quale darebbe a Bruxelles margini per proporre contromisure.

“Occorre impiegare tutte le energie diplomatiche per superare inutili conflitti che rischiano di compromettere la ripresa dell’economia mondiale duramente colpita dall’emergenza coronavirus” ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolinerare l’importanza della difesa di un settore strategico per l’Ue che sta pagando un conto elevatissimo per dispute commerciali che nulla hanno a che vedere con il comparto agricolo.

Con la nuova consultazione gli Usa minacciano di aumentare i dazi fino al 100% in valore e di estenderli a prodotti simbolo del Made in Italy, dopo l’entrata in vigore il 18 ottobre 2019 delle tariffe aggiuntive del 25% che hanno colpito per un valore di mezzo miliardo di euro specialità italiane come Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Gorgonzola, Asiago, Fontina, Provolone ma anche salami, mortadelle, crostacei, molluschi agrumi, succhi e liquori come amari e limoncello.

L’export del Made in Italy agroalimentare in Usa nel 2019 è risultato pari a 4,7 miliardi ma con un aumento del 10% nel primo quadrimestre del 2020 nonostante l’emergenza coronavirus. Il vino con un valore delle esportazioni di oltre 1,5 miliardi di euro, è il prodotto agroalimentare italiano più venduto negli States mentre le esportazioni di olio di oliva sono state pari a 420 milioni ma a rischio è anche la pasta con 349 milioni di valore delle esportazioni. Un settore fino ad ora in crescita nel 2020 nonostante l’emergenza coronavirus con un aumento del 10,3% nel primo quadrimestre dell’anno.

Gli Stati Uniti sono il principale consumatore mondiale di vino e l’Italia è il loro primo fornitore con gli americani che apprezzano tra l’altro il Prosecco, il Pinot grigio, il Lambrusco e il Chianti che a differenza dei vini francesi erano scampati alla prima black list scattata ad ottobre 2019. Se entrassero in vigore dazi del 100% ad valorem sul vino italiano una bottiglia di prosecco venduta in media oggi al dettaglio in Usa a 10 dollari ne verrebbe a costare 15, con una rilevante perdita di competitività rispetto alle produzioni non colpite.

Allo stesso modo si era salvato anche l’olio di oliva Made in Italy anche perché la proposta dei dazi aveva sollevato le critiche della North American Olive Oil Association (NAOOA) che aveva avviato l’iniziativa “Non tassate la nostra salute”. Ora però Trump in piena campagna elettorale sembra ignorare le sollecitazioni dall’interno e dall’esterno degli Usa mettendo a rischio il principale mercato di sbocco dei prodotti agroalimentari Made in Italy fuori dai confini comunitari e sul terzo a livello generale dopo Germania e Francia.

“L’Unione Europea – ha aggiunto Prandini – ha appoggiato gli Stati Uniti per le sanzioni alla Russia che come ritorsione ha posto l’embargo totale su molti prodotti agroalimentari, come i formaggi, che è costato al Made in Italy 1,2 miliardi in quasi sei anni ed è ora paradossale che l’Italia si ritrovi nel mirino proprio dello storico alleato, con pesanti ipoteche sul nostro export negli Usa”.

“Al danno peraltro si aggiunge la beffa poiché il nostro Paese – ha concluso il presidente – si ritrova ad essere punito dai dazi Usa nonostante la disputa tra Boeing e Airbus, causa scatenante della guerra commerciale, sia essenzialmente un progetto francotedesco al quale si sono aggiunti Spagna ed Gran Bretagna”.

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Gli Editoriali news news ed eventi

Bussinello ha ragione: “I consumi di vino ripartono da casa”. È #buonsensoitaliano

Olga Bussinello è la direttrice del Consorzio Tutela Vini Valpolicella. Una donna di grande classe, dall’outfit che non passa mai inosservato, come direbbero quelli che parlano bene di moda, abbinato a una grande dinamicità e concretezza, negli intenti e nelle dichiarazioni. Insomma: una di quelle figure istituzionali mai scontate, da cui attendersi chiarezza e pochi giri di parole.

È sua una delle riflessioni più sensate – e per nulla “precompilate” – di questo periodo nero che sarà ricordato da intere generazioni di addetti ai lavori del vino italiano prima per la spada di Damocle dei dazi Usa promossi da Donald Trump (argomento tornato più che mai attuale, proprio in questi giorni) e poi a causa dell’emergenza Coronavirus e del lockdown: “Facciamo ripartire il vino italiano partendo da casa. Per me casa è sicuramente #ValpolicellaWines! Cin Cin“, scrive di fatto Bussinello sui social.

Al di là del comprensibile focus sui vini della Valpolicella, la direttrice del Consorzio veneto ha posto l’accento su un tema centrale per il futuro del vino italiano: la necessità di tornare a guardare al mercato interno, per trovare nuovi sbocchi utili ad attutire il contraccolpo dei dazi (di Trump o di chicchessia) nonché di nuove ondate di Covid-19, che costringeranno tutti a trascorrere molto più tempo tra le mura domestiche e a riorganizzare la quotidianità.

Cosa serve, per raggiungere questo obiettivo? Solidità, prima di tutto. Delle imprese italiane, del mondo del lavoro. Perché la solidità genera fiducia e la fiducia (ri)attiva i consumi. In secondo luogo, investimenti. Sul Made in Italy, in Italia. Campagne di comunicazioni forti, che facciano da amplificatore alla necessità (mai così urgente) di riscoprire il nostro Paese, se non altro perché l’estero gioca al rimpiattino col nostro Paese.

Occorre poi lavorare quotidianamente tutti nella stessa direzione, affinché il consumatore sia sempre più consapevole delle proprie scelte, quando decide di portare qualsiasi alimento in tavola: il consumo consapevole è cultura.

Quanti italiani investono su un buon vino da condividere con la famiglia o il proprio partner, effettuando tale scelta con la corretta cognizione di causa? Ancora troppo pochi. Quanto margine di crescita ha il vino italiano, in Italia? Inimmaginabile, attraverso i corretti accorgimenti. Nulla di semplice o scontato, come tutte le vere sfide.

La bottiglia di vino, del resto, può essere la migliore scusa per raccontare una storia: di un territorio, di un produttore, del vignaiolo, così come di una cooperativa di viticoltori che tiene viva l’anima agricola di una fetta del nostro Paese, oppure di un’uva antica recuperata dall’oblio, solo per citare qualche esempio. Non è protezionismo o nazionalismo enologico, ma buonsenso: #buonsensoitaliano. Cin, cin.

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Banche, fondi e prestiti nel settore del vino: scarsa fiducia tra i piccoli produttori

Due ricerche a confronto (una italiana, l’altra francese) per sostenere una tesi: il settore del vino italiano dovrebbe dare più credito a banche, fondi, garanzie e prestiti. Il webinar organizzato ieri pomeriggio da Foragri sul binomonio vino e finanza, oltre a confermare la solidità delle imprese italiane del settore vitivinicolo – anche a fronte dell’emergenza Coronavirus – ha evidenziato la scarsa fiducia nei confronti del credito da parte dei piccoli produttori.

A sottolinearlo, quasi involontariamente, sono stati gli interventi di Alessandro Giacometti, responsabile area Strategie commerciali di Banca Monte dei Paschi di Siena ed Emanuele Fontana, responsabile Servizio Agri-Agro di Crédit Agricole Italia. Solo il 3-5% dei clienti titolari di aziende agricole si è rivolto agli sportelli per un prestito. Dato che sale al 10-15% per i titolari di imprese attive in altri settori produttivi.

Ciliegina sulla torta le parole di Walter Ricciotti. Indicando come esempio virtuoso quello di Prosit, holding che può contare sul fondo di private equity Made in Italy Fund, il co-fondatore e Ceo di Quadrivio Group ha di fatto chiarito quali siano i profili più adatti al binomio vino e finanza.

Ovvero aziende interessate a crescere nel medio e lungo periodo, implementare la produzione e puntare dritto sull’estero, con operazioni di branding. Addirittura aggregandosi tra loro, proprio come avvenuto con Prosit. Qualcosa di ancora molto lontano dal mondo e dalla progettualità delle piccole imprese a conduzione famigliare e dei vignaioli. Illuminanti, in questo senso, i numerosi interventi di esponenti del mondo della produzione.

La presidente Fivi Matilde Poggi, rivolgendosi al Sottosegretario del Ministero per le Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Giuseppe L’Abbate, non ha fatto alcun accenno al sistema del credito. Confermando, piuttosto, la preferenza di misure per lo stoccaggio privato e la richiesta di abbassare l’aliquota Iva sul vino dal 22 al 10%, passando dall’ordinaria all’agevolata almeno per i prossimi tre anni e mezzo.

Un’ipotesi sul tavolo dei ministri Teresa Bellanova e Roberto Gualtieri già da fine maggio, che non gode tuttavia del pieno appoggio della base della Federazione di “indipendenti”, dubbiosa sugli effettivi benefici del provvedimento, giudicato persino deleterio per le piccole imprese.

Sul fronte dell’Iva anche la “provocazione” – così è stata definita dallo stesso relatore – di Davide Gaeta, professore associato del dipartimento di Economia aziendale dell’Università degli studi di Verona: “È davvero un tabù la riduzione dell’imposta sul valore aggiunto, oppure può essere uno strumento, seppur temporaneo, per l’incentivazione dei consumi nazionali?”.

Tra i produttori, emblematico l’intervento di Sandro Boscaini, titolare di Masi Agricola, nonché presidente di Federvini. Anche in questo caso, nessun accenno al credito. Piuttosto, un appello accorato alle istituzioni.

“Oltre al tema della liquidità – ha sottolineato – il problema nel medio e lungo termine è quello di riequilibrare domanda e offerta nel settore del vino. Vendemmia verde, distillazione e riduzione rese sono tutte belle cose, necessarie come un ‘cerotto’. Ma non dobbiamo mai dimenticare che, al di là dell’emergenza, noi produciamo per vendere“.

L’attivazione della domanda ci serve per mantenere sano il flusso del nostro business, in Italia come all’estero. C’è necessità assoluta di intervenire, di aiutare chi ha sofferto di più il lockdown da Coronavirus, ovvero il mondo della ristorazione e, in generale, dell’Horeca. Va inoltre riattivato il turismo, che ogni anno genera un indotto straordinario attorno al vino”.

Non ultimo l’export: “Mi sento di spendere parole forti su questo fronte – ha sottolineato Sandro Boscaini – bisogna riattivare subito le esportazioni, farlo adesso, con mezzi immediati. Abbiamo già perso un mucchio di opportunità, compreso Vinitaly. C’è la necessità di stanziare fondi ad hoc e di fare promozione al Made in Italy“.

Sulla stessa linea il presidente di Assoenologi, Riccardo Cotarella: “Come categoria – ha dichiarato – ci sentiamo molto vicini e solidali al mondo della ristorazione e condividiamo l’urgenza e la priorità di interventi utili a ridare al vino il suo teatro: i ristoranti sono il palcoscenico in cui il vino italiano è attore protagonista”.

Tra i relatori anche Raffaele Borriello: “Non bisogna solo aspettare che riaprano i canali tradizionali come la ristorazione, ma dobbiamo piuttosto iniziare a ragionare tutti su un mondo nuovo, lasciatoci in eredità da Coronavirus”, ha avvertito il direttore generale dell’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare.

Sul fronte delle garanzie, Ismea ha garantito alle imprese agricole 215 milioni di euro complessivi, dal 22 di aprile al 16 giugno. In chiusura, Borriello ha evidenziato il successo della misura della cambiale agraria da 30 milioni di euro, augurandosi che venga rifinanziata tra le misure del Decreto Rilancio.

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Spirits

Campari punta sulla Cina per recuperare il calo dovuto al lockdown

Campari punta sulla Cina nel tentativo di ravvivare le vendite colpite dalla crisi del coronavirus avviando dei test per portare l’Aperol, il prodotto di punta dell’azienda, nel paese simbolo dei mercati orientali. “I test sono iniziati poche settimane fa e andranno avanti fino alla fine del primo trimestre del prossimo anno” – ha detto Kunze-Concewitz, Amministratore Delegato della società, aggiungendo che i test sono in corso in più di cinque delle maggiori città della Cina.

L’ingrediente principale del popolare cocktail Aperol Spritz, ha guidato le crescite dell’azienda nel corso degli ultimi anni anche grazie alla popolarità tra i consumatori che postano sui social media. La sua espansione, tuttavia, si è arrestata bruscamente nel primo trimestre, a causa della crisi del coronavirus, con vendite in calo del 5,3%. Le vendite di Aperol sono diminuite dello 0,2% su base annuale, dopo aver riportato una crescita del 20,5% nel 2019.

“Una grande fonte di domanda per Aperol è la ricerca di un’alternativa alla birra e la Cina rappresenta un enorme mercato della birra. È per questo che crediamo fortemente che ci sia un’opportunità per lo sviluppo di Aperol in Cina” – ha detto Kunze-Concewitz. Secondo Campari infatti in molti paesi i consumatori si sono spostati dalla birra all’Aperol Spritz.

Ora il gruppo milanese intende raggiungere lo stesso obiettivo in Cina, facendo leva sulla popolarità dell’Aperol come prodotto simbolo dello stile di vita italiano, che i turisti possono assaggiare solo durante le loro vacanze in Europa. Le vendite di Campari in Cina nel 2019 ammontavano a meno dell’1% del fatturato totale dell’azienda (pari a 1,843 miliardi di euro).

 

 

Campari ha recentemente acquisito il 49% di Tannico, piattaforma di e-commerce italiana di vini e premium spirit, impegnandosi così a sviluppare vendite al di là dei punti vendita per prodotti alimentari e bevande, per far fronte ai cali dovuti alla chiusura dei bar e dei ristoranti nei suoi mercati tipici, investendo sul’e-commerce e di digital marketing.

Negli Stati Uniti, il mercato principale di Campari, le cosiddette vendite “off-premise” sono aumentate tra il 50% e 60% ad aprile e maggio, su base annuale, compensando quindi le contrazioni delle vendite nei bar e ristoranti. Ciò è avvenuto anche in Canada, Australia, Germania e Nord Europa.

In Italia, il secondo maggior mercato di Campari, l’incremento delle vendite nei supermercati e via e-commerce visto ad aprile e a maggio non è stato sufficiente a compensare il calo del consumo nell’horeca. Di conseguenza, il coronavirus infliggerà ulteriori danni nel secondo trimestre, durante l’alta stagione per gli aperitivi.

“Il coronavirus avrà un impatto negativo maggiore sulle nostre operazioni nel secondo trimestre, anche se il consumo negli ultimi mesi è incoraggiante” secondo l’Amministratore Delegato.

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Web Tax 2020 e ritorsioni Usa: timori per nuovi dazi sul vino. Agosto mese “caldo”

Prevenire anziché combattere. C’è preoccupazione nella filiera del vino italiano per l’apertura di nuove indagini degli Stati Uniti sulla Web Tax, provvedimento al vaglio di molti Paesi dell’Unione europea per regolamentare la tassazione di colossi americani del web come Google, Amazon e Facebook.

L’Italia ha già inserito la Web Tax nel testo della Legge di Bilancio 2020, prevedendo maggiori introiti per oltre 100 milioni di euro. Alto, dunque, il rischio di ritorsioni. Donald Trump potrebbe infatti imporre nuovi dazi sul vino e su altri prodotti Made in Italy, come successo in Francia con lo Champagne.

Sarebbe una vera e propria stangata per il Bel paese in un momento già drammatico per le esportazioni, che risultano in calo del 43,4% ad aprile a causa del lockdown utile ad arginare la pandemia Coronavirus.

A condividere la preoccupazione dei produttori del settore vitivinicolo sono Coldiretti e Unione italiana vini (Uiv). La federazione guidata da Ettore Prandini è stata la prima a fare esplicito riferimento all’apertura di nuove indagini sulle tasse sui servizi digitali da parte dell’Ufficio del Rappresentante al Commercio degli Stati Uniti.

Si tratta appunto dell’Ustr, lo stesso organismo che ad agosto 2020, alla scadenza del Docket Ustr-2019-0003 relativo al contenzioso Boeing-Airbus, potrà nuovamente mettere in discussione la lista di prodotti italiani da sottoporre a una tassazione maggiore. Includendo questa volta anche il vino italiano.

“Le difficoltà economiche – denuncia Coldiretti – sembrano far riemergere tentazioni protezionistiche da parte del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, già in difficoltà per le proteste in atto in tutto il paese per la morte dell’afroamericano George Floyd, soffocato durante un arresto a Minneapolis il 25 maggio scorso”.

La minaccia riguarda direttamente l’Italia e l’Unione Europea che nell’ambito del nuovo piano di aiuti da 750 miliardi di euro, il cosiddetto Fondo per la Ripresa o ‘Next Generation Eu, potrebbe anche includere una nuova tassa sul digitale, la cosiddetta Web Tax”.

La nuova guerra commerciale rischia di avere effetti devastanti sul settore agroalimentare Made in Italy, già penalizzato dall’entrata in vigore dei dazi il 18 ottobre 2019, con l’applicazione di tariffe aggiuntive del 25% su circa mezzo miliardo di euro di esportazioni di prodotti agroalimentari nazionali.

Si parla di prodotti come Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Gorgonzola, Provolone, Asiago, Fontina, ma anche salami, mortadelle, crostacei, molluschi agrumi, succhi e liquori come amari e limoncello.

“Gli Stati Uniti sono il principale mercato di sbocco dei prodotti agroalimentari Made in Italy fuori dai confini comunitari e il terzo a livello generale dopo Germania e Francia – denuncia il presidente della Coldiretti Ettore Prandini – occorre dunque impiegare tutte le energie diplomatiche per superare inutili conflitti che rischiano di compromettere la ripresa dell’economia mondiale duramente colpita dall’emergenza Coronavirus”.

Sulla possibilità di nuovi dazi sul vino italiano vigila anche Unione italiana vini (Uiv). “Siamo molto preoccupati dall’apertura negli Usa della nuova indagine sulle tasse sui servizi digitali Web Tax perché rischia di colpire i nostri vini, come successo con gli Champagne nell’analoga vicenda subita dalla Francia”, commenta il segretario generale Paolo Castelletti (nella foto) interpellato da WineMag.it

La coincidenza temporale tra questa nuova ‘indagine’ e la riapertura della public consultation del rappresentante del commercio americano (Ustr) sulla vicenda Airbus-Boeing, che porterà a metà agosto al prossimo ‘carosello’ daziario al quale il vino italiano è scampato lo scorso febbraio, rischia di creare una situazione ulteriormente sfavorevole, che dobbiamo in ogni modo disinnescare“.

“Il vino non può pagare il prezzo di dispute estranee al settore – aggiunge Castelletti – tanto più in questa fase così delicata dei mercati, in cui dobbiamo ricostruire in tempi rapidi quel posizionamento internazionale che la vicenda Covid ha indebolito”.

Unione Italiana Vini si è mobilitata con i suoi partner importatori americani. L’obiettivo è quello di pianificare una serie di interventi nelle prossime settimane, utili a scongiurare l’ipotesi di nuovi dazi.

“Siamo in contatto, altresì, con il nostro governo e l’Ambasciata d’Italia a Washington per avere maggiori informazioni sullo stato dell’arte di queste nuove iniziative che potrebbero creare nuovi ostacoli al commercio dei nostri prodotti negli Stati Uniti”, annuncia ancora Paolo Castelletti a WineMag.it.

Non hanno abbassato la guardia neppure i vignaioli italiani promotori di una raccolta firme durante la prima tornata di paventati dazi, a inizio 2020. Le firme dei produttori, giunte a Roma e Bruxelles, sono servite a fare pressioni sul governo americano e oggi tornano utili.

Così la portavoce Marilena Barbera a WineMag.it: “La nuova tornata di investigazioni da parte dell’Amministrazione Trump sulle digital tax non ci coglie di sorpresa, come accadde invece all’inizio di quest’anno. L’esperienza acquisita sul campo, nell’attività di sensibilizzazione e mobilitazione dell’opinione pubblica e degli esponenti politici sia italiani che europei, gioca a nostro favore”.

Giocano a nostro favore anche i risultati positivi che abbiamo ottenuto: quasi 25 mila firme sulla nostra petizione, consegnata a metà gennaio nella mani della Ministra Teresa Bellanova, la risposta diretta e positiva del Presidente del Parlamento Europeo David Sassoli, il coordinamento con un gruppo molto attivo di importatori americani, con i quali abbiamo condiviso la battaglia sulle due sponde dell’oceano. Risultati importanti, che hanno contribuito a risparmiare al vino italiano l’imposizione di dazi che ancora gravano, invece, sui vini francesi”.

“Il fatto che la procedura sia ancora agli inizi – ammonisce Marilena Barbera – non deve far assopire la nostra attenzione, al contrario! È proprio questo il momento di agire, coinvolgendo nuovamente tutti gli attori che hanno reso possibile il successo della nostra prima iniziativa, presentandoci compatti ai tavoli delle trattative e chiedendo ai nostri rappresentanti istituzionali di essere determinati, oggi come ieri, in difesa del Made in Italy e del nostro lavoro”.

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Fivi, Iva al 10% sul vino e fatture dividono i vignaioli. Ma la lettera è già a Roma

È un coro di no quello che arriva dalla “base” di Fivi in merito all’ipotesi di riduzione dell’Iva sul vino al 10%, rispetto all’attuale 22%. La proposta di passare dall’aliquota ordinaria a quella semplificata fino al 31 dicembre 2023 è contenuta in una lettera indirizzata a Roma dalla Federazione italiana vignaioli indipendenti, all’attenzione dei ministri Bellanova e Gualtieri. La missiva, firmata dalla presidente Matilde Poggi, è tuttavia al centro di un acceso dibattito tra gli associati Fivi, dalla Sicilia al Trentino.

Oltre al ribasso dell’imposta sul valore aggiunto, non convince la richiesta di poter emettere la fattura all’incasso, al posto che al momento della consegna o della spedizione del vino. Un’ipotesi che rischia di generare “zone d’ombra nei rapporti con l’Horeca”. In altre parole del “nero“, come sostiene qualche produttore.

Il più duro nei confronti di Fivi è il vignaiolo toscano Edoardo Ventimiglia, tra i più attivi della neocostituita Rete #ilvinononsiferma: “L’associazione di cui faccio parte non mi può mettere le mani in tasca in un momento così delicato – attacca il titolare di Sassotondo – o pensare che un ddt possa assumere valore legale in caso di mancati pagamenti o di necessità di credito bancario: senza una regolare fattura emessa prima o al momento della consegna e della spedizione, la merce è ancora in carico al vignaiolo”.

La riduzione al 10% dell’Iva, pensata per risollevare il settore, non avrebbe inoltre alcun risvolto sui consumatori, in quanto i vini sarebbero a scaffale allo stesso prezzo. Non è chiaro, poi, quali compensazioni dovrebbero essere utilizzate per evitare perdite ai vignaioli.

Il dibattito sulla fiscalità è corretto, ma va affrontato in un contesto più organico e allargato. Meglio sarebbe intervenire, allora, con accordi strutturali sulla scontistica a scaffale, tangibili dal pubblico”.

Fa eco Luigi De Sanctis, vignaiolo Fivi del Lazio: “Avrei consultato dei tributaristi, dei commercialisti, o comunque degli esperti in materia fiscale prima di mettere sul tavolo dei ministri Bellanova e Gualtieri una proposta di riduzione dell’aliquota Iva sul vino, in un momento così delicato per il nostro Paese”.

Con questa proposta non si risolve nulla, anzi ci si perde su un argomento molto scivoloso. Sarebbe stato meglio continuare a insistere sul problema dello stoccaggio: chi produce vini di qualità sa quanto il tempo sia utile per i corretti affinamenti e quanto invece deleteria l’ipotesi della distillazione.

La mancanza di spazi invoglia a vendere il vino prima del necessario. Con l’Horeca ferma, le annate rischiano di sommarsi in cantina e un aiuto dal Governo su questo fronte sarebbe davvero auspicabile”.

Anche la vignaiola siciliana Marilena Barbera esprime diverse perplessità sulla lettera di Fivi: “L’iniziativa è lodevolissima – commenta – perché mira a favorire la ripresa dei consumi e dell’Horeca, ma non si può dire altrettanto delle argomentazioni. Con la riduzione dell’aliquota al 10%, i vignaioli si troverebbero a perdere anzi dei soldi, senza benefici reali né per loro né per il resto della filiera, compreso il consumatore”.

In un momento in cui l’Italia fa appello al Mes perché non ha più soldi per pagare la cassa integrazione e le Regioni non hanno abbastanza liquidità per comprare le mascherine utili a contrastare Coronavirus, come si può ipotizzare una riduzione del prelievo fiscale?

Mettere mano oggi al meccanismo, comporterebbe conseguenze gravissime sull’Iva complessiva percepita dallo Stato alla fine del processo produttivo, ovvero al momento del consumo”.

“Il destinatario dell’abbassamento dell’aliquota – aggiunge Marilena Barbera – è il ristoratore e l’enotecario: la proposta non prevede alcun beneficio per il cliente finale, che si troverebbe a pagare la stessa Iva prevista oggi sui suoi acquisti, sia in enoteca, sia al ristorante. Molto più sensato proporre degli sconti agli operatori per organizzare assieme eventi e degustazioni, anche se questo non risolve del tutto i problemi”.

Una proposta simile è stata annunciata ieri da Regione Lombardia, che si prepara a mettere sul piatto un bando da 3 milioni di euro per rilanciare i consumi, dal mese di giugno. Gli operatori Horeca saranno incentivati all’acquisto di vini lombardi, grazie a uno sconto del 10% in cambio dell’allestimento di vetrine che promuovano il vino – e più in generale l’agroalimentare – Made in Lombardia.

Ancora più a nord, è il vignaiolo trentino Francesco De Vigili, una delle voci più giovani e autorevoli del mondo del vino italiano, ad avanzare dubbi sulla lettera di Fivi. “Si tratta di una ipotesi che non condivido e che, nel merito, non ha alcun senso: pare quasi una boutade“, chiosa dalla capitale del Teroldego, Mezzolombardo (TN).

“La riduzione dell’Iva dal 22% al 10% – precisa De Vigili – toglierebbe liquidità alle cantine in un momento già di per sé critico, per via del lockdown dell’Horeca. Sarebbe più utile l’esenzione dell’Iva sugli acquisiti dei beni”.

Tra le perplessità, anche quelle di Walter Massa: “Per quanto riguarda la mia azienda, e le aziende a regime ordinario, l’Iva non è un costo, semplicemente una partita di giro. Per le aziende a regime speciale è una fonte speculativa, voluta da certe centrali di potere per umiliare l’agricoltore e l’agricoltura italiana“.

Il vignaiolo di Monleale aggiunge: “Per la ristorazione compra al 22% ed emette ricevute fiscali al 10%, ognuno può trarre le sue considerazioni. Per il consumatore finale più l’aliquota è bassa e meglio è. Per lo Stato, con tutto quello che in un momento come questo c’è da fare , sostenere, meno so cambia e più introiti si possono avere è meglio è. Per le associazioni che vanno chiedendo questo, spero si siano appoggiate ad un pool di grandi economisti e fiscalisti, oppure è meglio che si affidino ai servizi sociali, non occuparsi di cose sociali”.

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Follia in Sudafrica: da 7 settimane vietato consumo, produzione ed export di vino

Tra le misure del lockdown pensate per arginare Coronavirus, il governo del Sudafrica ha inserito il divieto di consumo, produzione ed export di vino. L’industria vitivinicola del Paese africano, già provata dal blocco della vendemmia revocato nel giro di 48 ore, è messa in ginocchio da un provvedimento che dura ormai da 7 settimane. Dovevano essere tre, stando ai primi proclami di Pretoria.

Secondo le stime dell’organizzazione locale Vinpro, un numero compreso tra 60 e 80 cantine – per la maggior parte a conduzione famigliare – rischiano la chiusura. Quattordicimila le persone che potrebbero perdere il lavoro. Una follia “proibizionista” che coinvolge grandi e piccole aziende del Sudafrica, Paese che esporta annualmente il 50% del vino prodotto.

Le misure del governo alimentano peraltro il contrabbando di alcolici in Sudafrica. E il blocco dell’export, oltre a costituire un unicum tra le misure messe in campo per contrastare Coronavirus a livello internazionale, fa perdere ai produttori gli spazi sugli scaffali delle distribuzioni internazionali, in favore di altri Paesi. Difficoltà che si riverberano anche sugli importatori italiani.

È il caso di Fabio Albani (nella foto) che dal quartier generale di Muggiò, a pochi chilometri da Milano, vende ogni anno in Italia circa 75 mila bottiglie di vino sudafricano. Una passione, quella per il Sudafrica, nata da una semplice vacanza, nel 2003. Afri Wines e l’e-commerce ViniSudafrica.it vengono fondati 6 anni più tardi, nel 2009.

Trenta aziende a catalogo, per un totale di oltre 200 etichette, destinate principalmente all’Horeca. “Le misure messe in atto dal Governo in Sudafrica – commenta Albani a WineMag.it – segnano non poco anche il nostro business e ci fanno rimanere con gli occhi aperti, aspettando che la situazione migliori”.

Se il blocco totale delle attività lavorative, in una fase cruciale per la vendemmia in Sudafrica come il mese di marzo, si è protratto solo per 2 giorni, dura invece da 7 settimane il divieto per le aziende di imbottigliare ed esportare le nuove annate, proprio quando sarebbe stata ora di presentarle.

Tutto è legato al fatto che l’ente certificatore dei vini del Sudafrica, Sawis, è chiuso e dunque i vini non possono essere sottoposti ai controlli previsti dalle normative internazionali in materia di origine, salubrità e analisi organolettica”.

 

La situazione, per Fabio Albani, è surreale. “Stiamo cercando di capire quanta merce è disponibile – spiega l’importatore a WineMag.it – per chiudere l’ordine di un container. Le vendite perdute ammontano a circa 5-6 mila bottiglie. Alla situazione in Sudafrica si è infatti aggiunta quella in Italia, con un ordine rimasto bloccato un mese al porto di Genova per carenza di personale deputato ai controlli, dirottato su altri tipologie di merce”.

Nel mese di aprile, Albani ha registrato gli stessi volumi degli anni scorsi. “Il fatto di esserci strutturati sin dagli albori con un e-commerce – spiega l’importatore – ci sta aiutando non poco, nonostante l’Horeca sia ferma. Stiamo anzi assistendo a un exploit in termini di valore, data la marginalità superiore che ha l’online”.

Il timore è che il Governo di Pretoria non faccia presto marcia indietro. “L’autunno in Sudafrica è ormai arrivato – conclude Fabio Albani – e secondo i virologi il freddo favorisce la proliferazione di Coronavirus. La curva dei contagi, di fatto, si sta pericolosamente alzando”. Meglio affrettarsi, dunque, per assaggiare un vino sudafricano.

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Mario Piccini rompe il muro tra Horeca e Gdo: 8 vini delle Tenute al supermercato

Chiamiamolo pure “test“. Anche se, forse, sarebbe meglio parlare dell’inizio di una vera e propria rivoluzione, che potrebbe dare il “la” a molti produttori italiani di vino di qualità. Mario Piccini rompe il muro tra Horeca e Gdo con la decisione di destinare otto vini di quattro delle sue Tenute alla vendita al supermercato. Prima di oggi, le etichette premium in questione erano destinate solo a ristoranti, hotellerie, wine bar ed enoteche.

Sono interessate dal progetto Fattoria di Valiano, situata nel cuore del Chianti Classico e casa della famiglia Piccini, Tenuta Moraia in Maremma, Regio Cantina nel Vulture e la tenuta siciliana Torre Mora, sul versante nord dell’Etna. Resta esclusa, al momento, solo Villa al Cortile, la “boutique winery” di Montalcino.

Mosso dalle altrettanto rivoluzionarie dichiarazioni rilasciate a WineMag.it dal buyer Vini di Coop Francesco Scarcelli – pronto al dialogo con i vignaioli e a sedersi a un tavolo di lavoro ad hoc al Mipaaf – Mario Piccini ha trovato il coraggio di mettere nero su bianco quello che, forse, gli frullava nella testa già da un po’ di tempo.

Pensieri che l’emergenza Coronavirus e il conseguente lockdown dell’Horeca hanno solo accelerato. Nulla di ufficiale, ma l’interlocuzione tra il patron del colosso del vino toscano e il direttore vendite Gdo, Maurizio Rossi, deve aver sollevato Piccini da qualsiasi ulteriore perplessità. Nell’intervista esclusiva, tutti i dettagli.

Mario Piccini, quali sono le etichette interessate dal progetto?

Abbiamo selezionato due prodotti per ciascuna delle nostre tenute. Si tratta di referenze premium solitamente destinate al canale Horeca o, più in generale, referenze dedicate a tutti gli appassionati di vino che ricercano non solamente la qualità, ma desiderano anche scoprire la cantina che li produce e il territorio dove il vino nasce.

Qual è il numero di bottiglie prodotte per etichetta?

Se rapportate ai numeri della Grande distribuzione, si parla di produzioni davvero ristrette. Basti pensare che le bottiglie in questione non superano le 50 mila unità per tipologia, salvo una sola eccezione.

Può entrare ancor più nel dettaglio?

Le referenze in questione vengono prodotte dalle nostre Tenute, tutte realtà medio piccole, a conduzione biologica, dai 13 ai 75 ettari vitati. Tutte le etichette fanno già parte dell’attuale offerta del ‘mondo Piccini’. Per questo motivo la percentuale destinata alla Gdo verrà costantemente monitorata, in modo da poter garantire ai nostri clienti storici, nel momento della loro ripresa a regime, la qualità e quantità di sempre.

Quali sono le ragioni di questa scelta?

L’emergenza in corso ha accelerato il processo di evoluzione del mondo del commercio e della comunicazione, cambiando anche i paradigmi delle informazioni che vengono consumate.

Dal punto di vista commerciale non ha senso privare i clienti dei supermercati dei vini di qualità delle aziende agricole, anche se è bene precisare che la provenienza da un’azienda agricola non è per forza sinonimo di vino di qualità, come del resto non è vero l’esatto contrario.

La nostra filosofia aziendale e comunicativa si basa su questa trasparenza: sul diritto e la libertà che offriamo al consumatore di scegliere una referenza piuttosto che un’altra e di consumarle in assoluta tranquillità a casa.

La qualità deve essere fruibile dal maggior numero di persone possibile e più permettiamo alle persone di incontrarsi con la qualità, più questa può entrare nelle loro vite, determinando un vero e proprio cambiamento e miglioramento.

È l’inizio di una manovra di avvicinamento che interesserà tutta la linea Horeca?

Non interesserà tutta la linea Horeca, ma solo alcune selezioni. Prodotti che sono parte del core range delle nostre Tenute e che convivranno su entrambi i canali. Azione che a nostro avviso è assolutamente possibile se si lavora con trasparenza.

Il nodo cruciale nei rapporti delle aziende del vino col mondo della Gdo sono le politiche di prezzo e la scontistica adottata dalle varie insegne di supermercati. Qual è il vostro piano d’azione, su questo fronte?

Le politiche di prezzo si basano su di un posizionamento corretto del prodotto piuttosto che su logiche di scontistica. Siamo aperti a dialogare con tutte quelle insegne che vorranno mostrare il loro interesse ed apprezzamento verso determinati prodotti.

Il primo passo deve venire da noi produttori, che dobbiamo liberarci da questi timori e muoverci in sinergia, uniti. Dall’altra parte le insegne devono dare il giusto spazio alle etichette, incentivando anche l’inserimento di personale qualificato in grado di consigliare il consumatore e di raccontare vini e territori legati ad una selezione di referenze premium.

Il valore e la percezione della qualità di queste selezioni dovranno rimanere insomma intatte, rispettando le piccole aziende nei prezzi, in una sezione concepita come luogo di scoperta e non di affari a basso prezzo. Per far questo è necessario un grande senso di responsabilità da parte delle insegne pronte a compiere questo passo.

Non ha paura di “ferire” la sensibilità di qualche cliente Horeca?

Probabilmente una scelta di questo tipo potrà allontanare qualcuno, ma siamo sicuri che gran parte dei nostri partner ha sposato non un’etichetta, bensì un progetto. In tal senso questa scelta è perfettamente allineata con la nostra filosofia aziendale e per questo non mi aspetto grandi sconvolgimenti.

Gdo e Horeca, come auspicato nei nostri editoriali e articoli inerenti a un potenziale ‘Patto sul vino di qualità’, possono avvicinarsi per il bene dell’intero settore, a vantaggio delle produzioni di nicchia e di qualità premium. Siamo dei visionari, dei folli o c’è del concreto?

Sono convinto di questo. Il consumatore è sempre più interessato alle produzioni locali, al biologico, alla qualità. E le insegne stanno rispondendo con rapidità a questa rinnovata esigenza. Acquisti con assegnazioni regionali se non provinciali, come auspicato da Francesco Scarcelli di Coop Italia nell’intervista rilasciata a WineMag.it, vanno sicuramente nella direzione giusta.

Mario Piccini, l’ultima sfida al mondo del vino sembrava l’avventura sull’Etna: qualcosa che avvicina ancor più sua personalità al vulcano siciliano. Oggi questa novità, che potrebbe costituire l’esempio e l’avvio di una vera e propria rivoluzione. Come la vive? È solo un’operazione commerciale, o c’è anche della filosofia sotto (o, ancor meglio, sopra)?

Come spiegato in precedenza, alla base di questa sfida c’è e rimane la nostra filosofia aziendale di trasparenza e di voglia di far conoscere ad un numero sempre maggiore di consumatori le eccellenze dei vari territori dell’Italia del vino.

Grazie alle nostre tenute che sono dislocate sul territorio nazionale e a questa operazione, possiamo portare al consumatore un esempio del vino di territorio e questo è assolutamente in linea con la nostra mission.

Tanti suoi colleghi, pure tra i vicini di casa toscani, sembrano vergognarsi di comunicare alla stampa o ai propri clienti i dettagli del loro rapporto con la Grande distribuzione, pur traendone ampi vantaggi, sfruttando abbondantemente le strategie legate alla leva promozionale, in voga in Gdo: cosa nasconde davvero, secondo lei, una tale ipocrisia nel mondo del vino italiano?

A nostro avviso si tratta di timore e non di ipocrisia. Il mondo del vino è estremamente conservatore, sia tra le fila di noi produttori che nella distribuzione. Il problema della Gdo, così come lo era per l’online fino a pochi giorni fa, è legato al timore di un giudizio negativo da parte del cliente finale Horeca.

Lamentele legate al prezzo finale della bottiglia di vino ricadono giocoforza sull’immagine del ristoratore, piuttosto che sul produttore. Noi siamo convinti che oggi il consumatore sia in buona misura più pronto a comprendere ed accettare il costo maggiorato di un vino servito nell’Horeca.

Al giorno d’oggi c’è la consapevolezza che, in gran parte, questi costi sono legati alla distribuzione, allo stoccaggio e al mantenimento di personale qualificato: tutti aspetti che incidono notevolmente sul prezzo finale.

Vuole lanciare un ulteriore messaggio al mondo del vino italiano?

Alcuni consorzi stanno rivedendo le loro strategie e rivalutando la Grande distribuzione. Spero che saranno in molti ad abbracciare questo cambiamento. Azioni solitarie, o fatte in ordine sparso, difficilmente potrebbero far cambiare approccio e mentalità al mondo del vino.

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Nuovo record storico per l’agroalimentare italiano. Coldiretti: “Serve regia nazionale”

Nuovo record storico a marzo per l’agroalimentare italiano, dopo i 44,6 miliardi di euro nel 2019. A sottolineare il balzo in avanti è Coldiretti, che parla di aumenti per il cibo e le bevande italiane negli Usa (+10,4%), in Germania (+24,9%), In Gran Bretagna (+3,9%) ed anche in Francia (+9,5%), su base tendenziale. Ma avverte: “Al Made in Italy all’estero serve una regia nazionale”.

“Infatti si tratta purtroppo di una fiammata non confermata nei mesi successivi – evidenzia Coldiretti – con il propagarsi della pandemia in tutto il pianeta con la chiusura delle frontiere e le misure per contenimento che hanno determinato il brusco freno al commercio a livello globale”.

Il risultato è che in Italia 3 aziende agroalimentari su 4 (74%) registrano un calo delle vendite all’estero per effetto di una pioggia di disdette provenienti dai clienti di tutto il mondo, secondo l’indagine Coldiretti/Ixe’.

A pagare il conto più pesante in Italia sono il vino, che realizza più della metà del fatturato all’estero, ma anche il florovivaismo, l’ortofrutta, i formaggi e i salumi. “Serve ora un robusto piano di promozione per sostenere il vero Made in Italy all’estero”, ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini.

“Per favorire l’internazionalizzazione – ha aggiunto – occorre superare l’attuale frammentazione e dispersione delle risorse puntando, in primo luogo, ad una regia nazionale attraverso un’Agenzia unica che accompagni le imprese in giro nel mondo, con il sostegno delle Ambasciate dove vanno introdotti anche adeguati principi di valutazione delle attività legati, per esempio, al numero dei contratti commerciali”.

“Nell’emergenza in atto e in un’ottica futura di ripresa delle normali attività commerciali sarà fondamentale”, conclude Prandini – impiegare tutte le energie diplomatiche per superare i dazi Usa e l’embargo russo.”

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Enoturismo

I piccoli comuni turistici italiani chiedono aiuto al Governo: “Siamo in ginocchio”

Ventotto Comuni italiani, da San Gimignano ad Amalfi, da Barolo a Porto Venere, da Montalcino e Positano a Portofino e Otranto, hanno inviato al presidente del Consiglio Giuseppe Conte un appello per “Salvare i gioielli turistici d’Italia“.

“Siamo in ginocchio – spiega Andrea Marrucci, sindaco di San Gimignano tra i promotori dell’appello – Le nostre entrate sono ai minimi, è a rischio la tenuta sociale ed economica dei nostri territori, tanto da minacciare gli stessi servizi essenziali. Sappiamo già che non troveremo nei nostri bilanci le risorse per far fronte alla riduzione delle entrate di parte corrente, che vanno dal 20% fino al 50% in alcuni casi”.

“Troppo esigui i nostri bilanci – prosegue Marrucci – troppo esigue le nostre unità di personale. A rischio è anche la cura del nostro straordinario patrimonio artistico, culturale, monumentale, architettonico, che è patrimonio di tutta Italia. Al Governo chiediamo di non lasciarci soli, perché vediamo già che anche per gli Enti locali gli effetti non saranno per tutti uguali. I grandi comuni avranno bilanci più ampi per poter reggere un po’ meglio l’impatto, seppure con sacrifici. I nostri comuni non avranno neppure questa possibilità”.

Fra le richieste l’istituzione di un fondo che copra la riduzione delle entrate direttamente connesse con il turismo anche dei piccoli e medi comuni turistici, possibilità di attingere non solo all’avanzo di amministrazione di parte libera e destinata, ma anche a quello vincolato per affrontare con tutti gli strumenti la crisi in atto.

Inoltre la possibilità di trattenere il gettito Imu destinato allo Stato e di stabilire una “soglia di solidarietà” al Fondo per lo sviluppo e la coesione, oltre la quale bloccare il contributo dei singoli comuni, specie costieri e turistici. Risorse e strumenti per gli investimenti in manutenzione del patrimonio architettonico, monumentale ed artistico che è il valore aggiunto dell’Italia

Nel documento i sindaci chiedono che ad una situazione straordinaria seguano strumenti per i comuni altrettanto straordinari tra cui la semplificazione delle procedure per gli investimenti locali, la semplificazione degli affidamenti, la semplificazione dei procedimenti di appalto ed esecuzione dei lavori. Inoltre si chiedono interventi nazionali per la dinamica degli affitti commerciali, alberghieri, artigianali, extralberghieri che caratterizza in modo marcato i nostri comuni.

“Non avremo la possibilità, con i nostri soli bilanci – spiegano i sindaci nel documento – di finanziare in modo autonomo fondi di sostegno per gli operatori locali. Servono misure nazionali, a partire da una norma nazionale blocca affitti che possa consentire la pace sociale tra locatori e locatari, dando certezza del diritto, evitando contenziosi e scongiurando, in contesti di pregio come i nostri, azioni di speculazione finanziaria”.

Tra le altre richieste il rinvio del metodo di calcolo Arera e norme speciali per l’abbattimento dei costi della Tari per i comuni turistici, potendone così apprezzare la riduzione già nella bollettazione 2020. Con un duplice positivo effetto: poter applicare la riduzione dei servizi non più necessari, per la mancanza di turismo, già nel saldo di dicembre alle imprese che hanno subito la perdita di fatturato a causa del coronavirus.

Evitare che i piccoli e medi comuni turistici si trovino stretti nella morsa di dover pagare comunque le rate al gestore senza avere gli stessi flussi di entrata degli anni precedenti, basti pensare alla prevedibile esplosione del “non riscosso” e alle conseguenze in termini di accantonamento al Fondo crediti di dubbia esigibilità.

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Wine Bond: Tibor Gál Jr è tra i primi a lanciarli in Europa da Eger, in Ungheria

Bond. Wine Bond. Poco o nulla in comune col più famoso James – il personaggio nato dall’immaginazione di Ian Fleming e divenuto un cult internazionale – se non la capacità di rendere possibile un’impresa. Nello specifico, i Wine Bond consentono a chiunque di investire denaro in una cantina, vedendo crescere un tasso di interesse riscattabile in bottiglie di vino, tour guidati o degustazioni. Tra i primi a crederci in Europa, per l’esattezza in Ungheria, è Tibor Gál Jr, figlio del noto enologo magiaro che ha affiancato gli Antinori nella creazione del mito dell’Ornellaia.

Così come ha fatto il padre, nella Toscana anni Novanta, Gál Junior sta provando a illuminare la strada a tanti colleghi costretti a fare i conti con il lockdown da Coronavirus. Riadattando in chiave “enologica” il sistema dei Dining Bond, vero e proprio fenomeno negli Usa, scelto da molti ristoranti anche in Italia, negli ultimi mesi.

La cantina di Eger mette a disposizione tre diversi pacchetti con la formula dei Wine Bond. Fino al 31 maggio, per esempio, con 100 mila fiorini ungheresi (282,09 euro) è possibile acquistare un “bond” a un tasso di interesse di 20 mila fiorini per un anno (56,42 euro) e di 50 mila fiorini per 2 anni (141,04 euro).

Una volta scaduto, il “buono” può essere utilizzato per una cena per due persone al Gál Tibor Fúzió, il ristorante e winebar aperto nel centro della cittadina famosa per la produzione dell’Egri Bikavér, il “Sangue di toro” di Eger. Il denaro maturato dall’acquisto del wine bond può essere riscattato anche in vino, comprese le vecchie annate.

“Riteniamo che questo non sia solo un buon investimento per i clienti – commenta Tibor Gál a WineMag.it – ma anche un serio contributo alla conservazione di una cantina che può vantare 27 annate alle proprie spalle”.

“Come è ormai chiaro a molti –  precisa il vignaiolo ungherese – stiamo attraversando una strada sconnessa e la vendemmia 2020 promette di essere una grande sfida. A causa del Coronavirus, tutti i nostri canali di vendita, ovvero ristoranti, enoteche e wine bar, sono stati chiusi”.

Ma la vita in vigna non si è fermata. È arrivata la primavera, le viti si sono risvegliate e abbiamo i germogli. Per portare a termine l’annata 2020, i lavoratori devono essere pagati. Abbiamo bisogno di risorse per finanziare il lavoro e raccogliere il futuro, superando questo periodo di transizione”.

“Con questo spirito – conclude Gál – abbiamo dato vita ai Tibor Gál Wine Bond: una sorta di prefinanziamento per un servizio futuro. Un ‘buono’, da redimere in vino o nell’esperienza diretta nella nostra cantina di Eger”. Qualcosa di unico in Europa, che anche l’Italia prova a imitare.

A fine aprile, infatti, la Strada del Sagrantino ha dato vita alla “Sagrantino Experience – Holidaybond“. Lo scopo è quello di promuovere cantine, aziende agricole, frantoi, alberghi e ristoranti associati, in cui sarà possibile recarsi al termine dell’emergenza Covid-19. La gift-card è acquistabile fino al 31 agosto 2020 sul sito web delle aziende aderenti (elenco completo sul portale della Strada) e sarà spendibile entro un anno.

“Ci siamo domandati a lungo come sarà il futuro per il nostro comparto agricolo e turistico e quali sono le modalità con cui potremo tornare a parlare di enoturismo – spiega Serena Marinelli, presidente della Strada del Sagrantino – e non avendo una risposta immediata e plausibile crediamo sia importante continuare a dare segnali positivi e attivi, per prospettare una ripresa”.

“L’Umbria è una regione ricca di emozioni, fatta di piccoli borghi caratteristici e di eccellenze agroalimentari – aggiunge Marinelli – ideali per un turismo lento, di qualità e non di massa, attento alla natura. Nelle prossime fasi quando, con le dovute cautele, si cercherà di dare spazio a un turismo di prossimità, vogliamo far conoscere sì al turista lontano, ma oggi ancor di più al turista vicino, all’umbro il nostro distretto del buon vivere”.

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Analisi e Tendenze Vino

Mondial des vins Extrêmes 2020: aperte le iscrizioni al concorso enologico internazionale dei vini eroici

Sono aperte le iscrizioni per la 28esima edizione del Mondial des vins Extrêmes, l’unica manifestazione enologica mondiale interamente dedicata ai vini prodotti in zone caratterizzate da viticolture eroiche. Le selezioni dei vini, da parte di commissioni composte da enologi e tecnici, sono in programma in Valle d’Aosta dal 16 al 18 luglio, nel rispetto delle attuali norme per il contenimento dell’emergenza sanitaria Coronavirus.

“Seppur in una situazione di emergenza sanitaria – sottolinea il presidente Cervim, Roberto Gaudio – stiamo lavorando per lo svolgimento in sicurezza e nel rispetto delle diverse disposizioni, delle selezioni della 28esima edizione del Mondial des vins Extrêmes. Un concorso che valorizza ed esalta autentiche isole della biodiversità viticola, oltre a salvaguardare dei paesaggi unici. Il Mondial, ha ormai raggiunto una crescita importante in termini di numeri e di visibilità”.

Nell’edizione 2019 sono stati assaggiati e selezionati 920 vini di cui 442 italiani e 478 esteri, provenienti da 339 aziende vitivinicole, di cui 168 italiane e 171 estere. “La crescita costante dei partecipanti e dei vini iscritti al Concorso – aggiunge Gaudio – anno dopo anno, va in parallelo con la grande e crescere qualità dei vini eroici sempre più apprezzati dai winelovers e consumatori in Italia ed a livello internazionale”. Fra le novità dell’edizione 2020 il Premio Speciale VinoFed per il miglior punteggio fra vini Bianchi, Rosati e Rossi.

La particolarità del Mondial des Vins Extrêmes è dovuta principalmente alla varietà dei vini in degustazione, prodotti per lo più da vitigni autoctoni, caratterizzati da terroir unici che segnano indelebilmente i profumi e i sapori e che rendono questo Concorso unico nel panorama dei concorsi enologici mondiali. Questa particolarità richiama l’interesse degli esperti che numerosi ogni anno si candidano per partecipare alle selezioni, che come ogni anno si tengono in Valle d’Aosta nel mese di luglio.

Sono ammessi al Mondial des Vins Extrêmes 2020 soltanto i vini prodotti da uve di vigneti che presentano almeno una delle seguenti difficoltà strutturali permanenti:

  • altitudine superiore ai 500 m s.l.m., ad esclusione dei sistemi viticoli in altopiano;
  • pendenze del terreno superiori al 30%;
  • sistemi viticoli su terrazze o gradoni;
  • viticolture delle piccole isole.

Al termine delle degustazioni viene stilata la lista dei vini selezionati. In base al punteggio acquisito, i premi vengono suddivisi in Gran Medaglia d’Oro, Medaglia d’Oro e Medaglia d’Argento, oltre a ulteriori premi speciali.

Il “Premio Speciale Cervim 2020” che verrà assegnato all’azienda di ogni Paese (rappresentato da almeno 5 cantine) che ottiene il miglior risultato; il “Gran Premio Cervim” sarà assegnato al vino che ha ottenuto il miglior punteggio assoluto; il Premio “Cervim Eccellenza 2019” verrà attribuito al miglior vino di ogni Paese partecipante con almeno 8 cantine iscritti; il Premio “Cervim Futuro” verrà attribuito all’azienda under 35 anni.

Quindi il Premio “CervimBio”; “Piccole Isole”; “Donna Cervim” ed il Premio “Mondial des Vins Extrêmes 2020” che verrà attribuito alla zona viticola o regione che presenti al Concorso il maggior numero di campioni. Infine è previsto il Premio “Originale” che verrà assegnato al miglior vino prodotto con uve provenienti da vigneti a piede franco.

Il Concorso enologico internazionale è organizzato dal Cervim in collaborazione con l’Assessorato al Turismo, Sport, Commercio, Agricoltura e Beni Culturali della Regione Autonoma Valle d’Aosta, l’Associazione Viticoltori Valle d’Aosta (Vival VdA) e l’Associazione Italiana Sommelier – Sezione Valle d’Aosta, con il patrocinio dell’O.I.V. (Organisation Internationale de la Vigne et du Vin). Il concorso autorizzato dal Ministero delle Politiche Agricole, fa parte di VinoFed, la Federazione dei Grandi Concorsi enologici, che raggruppa 17 tra i più importanti concorsi internazionali.

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Vinitaly-Nomisma Wine Monitor: dazi e inizio covid-19 decisivi su export extra-ue nel trimestre

 

Marzo spartiacque per il commercio mondiale del vino, con l’Italia protagonista in positivo nei primi 2 mesi del 2020 ma in ritirata a marzo, dopo la fine delle scorte anti-dazi statunitensi e in corrispondenza con l’inizio del lockdown da Coronavirus. È quanto rileva l’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor nel focus rilasciato oggi sulle vendite di vino nei Paesi extra-Ue nel primo trimestre 2020.

Nel complesso, le elaborazioni svolte su base doganale segnano un andamento globale a due facce tra i top buyer mondiali. Con gli Stati Uniti che, in previsione dell’aumento dei dazi aggiuntivi, fanno precauzionalmente incetta di prodotto e chiudono il trimestre con le importazioni dal resto del mondo a +10,9% a valore, mentre la Cina – in piena emergenza Covid-19 – segna un decremento delle importazioni che sfiora il 20% rispetto al pari periodo 2019.

Segue, stabile, la domanda mondiale di vino da Canada e Giappone e, in rosso, dalla Svizzera (-10,8%). In tutto ciò l’Italia perde di meno in Cina (-13,3%) e guadagna di più negli Usa (+16,8%), con le vendite in Canada e Giappone ancora in terreno positivo dopo gli exploit del 2019, e con la domanda svizzera stabile.

“Due fattori esogeni come i dazi e la pandemia hanno prima favorito e poi penalizzato la crescita delle nostre esportazioni di vino – ha detto il direttore generale di Veronafiere, Giovanni Mantovani – Basti pensare come negli Stati Uniti si sia passati da un incremento record a valore del 40% del primo bimestre a una contrazione del 17,4% a marzo”.

“Nei prossimi mesi – ha proseguito Mantovani – l’impatto della pandemia sui mercati internazionali sarà ancora più evidente, ma auspichiamo che questo autunno l’Italia possa essere la prima a ripartire proprio in Cina, laddove è iniziato con effetto domino il lockdown sull’on-trade del vino. In programma, la prima edizione del Wine to Asia di Shenzhen (9-11 novembre), oltre agli eventi di Vinitaly Hong Kong (5-7 novembre), e Chengd”.

Per il responsabile dell’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor, Denis Pantini “Le vendite di vini fermi italiani nell’off-trade (gdo e liquor store) statunitense hanno raggiunto i 94 milioni di litri, che rappresentano solo il 40% delle importazioni totali della tipologia. Ora il quesito si pone su che fine farà l’altro 60% di vino fermo italiano e soprattutto se l’on-trade sarà in grado di ripartire con i ritmi precedenti. Da qui la necessità, specie per la fascia premium che è maggiormente penalizzata, di lavorare su un mix di canali che vedano protagonisti anche quelli dell’e-commerce, in forte crescita non solo negli Usa”.

E sono proprio i vini di qualità superiore che sembrano accusare maggiormente la variazione negativa di marzo: in Svizzera il lockdown della ristorazione ha infatti portato a una contrazione del prezzo medio all’import del 14,6% rispetto allo stesso mese dello scorso anno, negli Stati Uniti un calo del 10,5%, nella Cina del 9,5%, in Norvegia dell’11,5%. Una tendenza al ribasso, come riscontrato anche nella gdo italiana con la recente analisi voluta da Vinitaly, che vede in crescita i vini di fascia medio-bassa allo scaffale ma un progressivo ridimensionamento del valore medio alla bottiglia.

Quanto ai competitor, se l’off-trade è un terreno di agguerrita concorrenza con i vini australiani, cileni e statunitensi, la market leader Francia sembra accusare la congiuntura con maggiori difficoltà rispetto all’Italia, complice l’acuirsi delle difficoltà in Cina (-37,2% nel trimestre), la forte perdita in Svizzera (-24,6%) e la virata in negativo del Giappone. Bene invece, grazie agli sparkling, negli Usa, dove il timore dei dazi al 100% ha fatto lievitare le importazioni di Champagne a +93%.

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Enoturismo

Coronavirus, sondaggio ristoranti aperti oggi: il 54% degli italiani non ci andrebbe

Domanda secca, risposta che divide: “Se domani aprisse il tuo ristorante preferito, ci andresti entro la prossima settimana?”. Il risultato del sondaggio condotto sulla pagina Facebook di WineMag.it e Vinialsuper.it si è concluso con un 46% di “, senza dubbio” e un 54% di “No, farei comunque passare più di una settimana. Al momento Coronavirus mi preoccupa e spaventa”.

Per l’esattezza, su un campione di 201 votanti, 109 si sono espressi per il “No”. Poco meno le persone che tornerebbero al ristorante senza farsi troppe domande, fiduciose nonostante tutto: 92.

Nei commenti al post, tutta l’incertezza della situazione della ristorazione italiana e dell’Horeca, alle prese con l’emergenza Covid-19 e con gli interrogativi – o meglio la necessità, per la sopravvivenza stessa delle aziende del comparto – di una riapertura pressoché immediata. Senza aspettare giugno, come disposto dal Governo.

“Dal mio punto di vista – scrive Gaetano R. – posso solo sperare in un atteggiamento responsabile e consapevole da parte di tutti. Da un lato ambienti puliti e utilizzo di dpi che rassicurino il cliente, dall’altro clienti che capiscano che sedersi tra tavoli distanziati in ambienti puliti può essere più sicuro che andare al supermercato, per esempio”.

Davide B. aggiunge: “Abbiamo due problemi. Quello più importante deriva dal fatto che i più non percepiscono reddito da 2 mesi, e quindi la vedo dura che abbiano la possibilità; il secondo è l’effettivo pericolo di contagio.
Ora sul secondo sta nel ristoratore ispirare fiducia nel consumatore. Sul primo non c’è molto da fare”.

“Ho timore del Coronavirus e non andrò per un bel po’ al ristorante”, commenta Vittorio C.. “Sì andrei – risponde Lori R. – magari non potrò più permettermi un pranzo completo ma ci andrei per incoraggiare la categoria. Andrei anche al bar e dal parrucchiere. E poi fino a poco fa ci ammassavamo nei supermercati, cosa ci stiamo raccontando? Comunque il gestore mi deve dare fiducia“.

Andrea è tranchant: “Senza pagliacciate di mascherine, plexiglas ecc, ecc, senza dubbio”. Gli fa eco Roberto G.: “Se per andare al ristorante bisogna indossare mascherina, guanti e stare tra lastre di plexiglas allora no, preferisco aspettare ancora quando si potrà andare normalmente“.

“Andrei subito perché ho piena fiducia nella ristorazione di qualità”, commenta Piero C., mentre Mony R. non aspetta altro che “fiondarsi subitamente nel bar per un buon espresso, per il ristorante aspetterei”. Lia M. è in linea con questo parere: “Aspetterei”.

Fanno seguito un elenco di no. “Con quali soldi?”, si chiede Gabriele C.. “No, non riuscirei a gustare un pranzo in modo rilassato”, fa eco Giovanni F.. Nessun dubbio anche per Gian Paolo G.: “No – scrive – andrei al mare”.

Un pubblico eterogeneo quello della pagina Facebook delle nostre due testate. Diecimila persone circa, tra consumatori abituali di vino nell’Horeca e in Gdo, amanti dei cosiddetti “vini naturali”, professionisti e operatori del settore Food & Beverage come sommelier ed enologi, ma anche colleghi della stampa.

Sui risultato del sondaggio, tutto sommato prevedibile, incidono le tempistiche di un ritorno alla cosiddetta normalità, davvero inimmaginabili con esattezza. D’altro canto, non è solo la paura del contagio a far titubare il pubblico Facebook di Vinialsuper WineMag.

Ad aleggiare c’è anche la perplessità verso le nuove “restrizioni”. Non aiuta il fronte “portafoglio“, con la crisi economica che ha toccato in molti. Dipendenti posti in cassa integrazione che all’orizzonte intravedono un possibile licenziamento, ma anche liberi professionisti “liquidati” con 600 euro dall’Inps.

Siamo pronti (forse) a riprendere la vita di prima. Ma a piccoli passi, soprattutto in uno scenario completamente diverso. Quella libertà tanto reclamata durante la quarantena spaventa e frena i consumi. Chi immaginava che la luce si riaccendesse improvvisamente, come dopo un blackout, non può che essere rimasto deluso.

Appare sempre più evidente che non sarà così, ancora per molto. E in questo contesto tornano in mente le parole del “Signor G.”, Giorgio Gaber: “La libertà non è star sopra un albero, non è neanche il volo di un moscone, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”.  Perché senza la consapevolezza della nostra libertà non possiamo davvero sentirci liberi.

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Coronavirus, Consorzio Vini Frascati bacchetta Governo: “Dobbiamo fare presto”

Dobbiamo fare presto. Il comparto vitivinicolo ha bisogno al più presto di strumenti economici concreti per poter contenere le ingenti perdite subite finora e poter impostare la ripresa”. Così Felice Gasperini, presidente del Consorzio Vini Frascati, nel commentare il difficile momento del vino italiano al cospetto dell’emergenza Coronavirus. Il numero uno dell’ente laziale indica “vendemmia verde parziale e distillazione volontaria quali strumenti per salvare l’annata 2020, utili soprattutto per le piccole aziende vitivinicole”.

“Sono queste realtà – ricorda Gasperini – che salvaguardano i paesaggi storici e impediscono lo spopolamento dei territori e l’urbanizzazione. Attendiamo le risposte del Governo nazionale e regionale”.

La posizione del Consorzio Tutela Denominazione Vini Frascati, uno dei primi a nascere in Italia, è già sul tavolo del Ministero delle Politiche Agricole, espressa tramite Federdoc. Tra le misure richieste, la cancellazione dell’Imu 2020 per i fabbricati legati alla filiera vitivinicola.

Chiesta poi la “tutela dei crediti legati al canale Horeca, con particolare attenzione ai crediti dei clienti che chiuderanno l’attività, e la restituzione dei prestiti per liquidità a 20 anni, con almeno 2 anni di preammortamento”.

“Infine – sottolinea Gasperini – sarebbe fondamentale la sospensione, per tre anni, dei pignoramenti sui fabbricati dei terreni agricoli, sulle macchine e le attrezzature strumentali che servono in villa e in cantina”. L’ente ha pensato anche ad alcune misure locali, auspicando l’intervento di Regione Lazio.

In particolar è stata chiesta la riduzione del 20% delle rese per ettaro su tutto il territorio regionale. Una misura valida per i vini Doc, Docg, Igt e per il vino da tavola. Il Consorzio ha chiesto inoltre lo stanziamento di fondi aggiuntivi per sostenere la vendemmia verde nei vigneti iscritti a Doc e Docg.

Medesima richiesta riferita alla distillazione dei vini atti a divenire Doc e Docg, con riferimento ai prezzi di mercato. “Inoltre, sempre a livello regionale – aggiunge il presidente Felice Gasperini – sarebbe importante conservare il bonus di 3 mila euro anche per chi estirpa e non reimpianta subito il vigneto”.

“Sarebbe una misura di tutela dei territori e un incentivo ad investire se anche per due anni di seguito i vigneti non fossero messi a coltura. Infine, servirebbe anche aumentare i finanziamenti sul vino e sui vigneti, per finanziare le domande di impianto di nuovi insediamenti”, sostiene il numero uno del Consorzio Vini Frascati.

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Coronavirus, Fivi rumors: salta il Mercato 2020 dei Vini dei Vignaioli di Piacenza?

Il Mercato dei Vini dei Vignaioli indipendenti Fivi di Piacenza 2020 potrebbe essere l’ultima vittima illustre di Coronavirus, tra le manifestazioni a carattere enologico. Il direttivo della Federazione italiana vignaioli indipendenti sta infatti valutando l’ipotesi di organizzare una “fiera virtuale”, al posto della X edizione all’Expo di via Tirotti (28-30 novembre).

Una soluzione alternativa a una kermesse che, di anno in anno, straccia i record di presenze. Ben 22.500 gli ingressi, tra professionisti e winelovers, alla tre giorni del Mercato di Piacenza 2019 (23-25 novembre), con un giorno in più a disposizione dei vignaioli per far esibire i loro gioielli artigianali (qui i migliori assaggi). Nel 2018 erano stati 18.500 gli accessi, mentre nel 2017 15 mila.

A contribuire alla ricerca di una soluzione alternativa sarebbero soprattutto i numeri relativi ai contagi registrati in Emilia Romagna, al terzo posto in Italia tra le regioni più colpite dalla pandemia Coronavirus, al terzo posto dopo Lombardia e Piemonte.

Quanto alla maggiore delle fiere del vino italiano annullate, Vinitaly 2020, i soci Fivi sono ancora in attesa di una risposta da parte di Veronafiere per la restituzione delle quote. Dopo la richiesta ufficiale di annullare l’edizione della fiera di Verona, presentata l’11 marzo 2020, la Federazione italiana vignaioli indipendenti ha aperto il dialogo con il Cda del gruppo veronese.

La richiesta è quella di restituzione delle quote a saldo già versate dai soci che avrebbero partecipato alla collettiva Fivi di Vinitaly 2020, mentre l’acconto potrà essere trattenuto per l’edizione 2021. Al silenzio di Veronafiere, la Federazione italiana vignaioli indipendenti ha risposto inoltrando nuovamente la lettera, il 22 aprile scorso.

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Analisi e Tendenze Vino

Indicazioni geografiche, ministro Bellanova: “Dop e Igp perno politiche agroalimentare”

 

OriGin Italia (l’Associazione Italiana Consorzi Indicazioni Geografiche) sottolinea come l’azzeramento del canale Horeca a causa dell’emergenza sanitaria da Covid-19 stia provocando gravi ripercussioni alle produzioni Dop e Igp italiane. Ad oggi non è possibile valutare con certezza i tempi della Fase 2 ma la filiera Horeca (Ristorazione-Turismo) sarà enormemente condizionata almeno fino a fine 2020.

Si prevedono, già a breve termine, filiere di produzioni Dop Igp con cali delle vendite anche oltre il 50% a 3 mesi, improvvisa difficoltà per l’export e decine di imprese specializzate con cali ancora superiori. Nel lungo periodo invece ci sarà da fare i conti con la concorrenza di prezzo di prodotti sostitutivi.

Questa l’analisi della situazione delle Indicazioni Geografiche contenuta in un documento presentato alla ministra delle Politiche agricole Teresa Bellanova durante una video chat alla presenza dei Consorzi di tutela e dell’europarlamentare Paolo De Castro.

Nel documento le proposte a supporto del sistema italiano delle Dop e Igp da sviluppare nei prossimi mesi. Fra queste: una campagna di promozione del Governo per il consumo di prodotti DopP e Igp nel mercato italiano; un’azione straordinaria attraverso il ritiro di prodotti ad Indicazione Geografica eccedenti; l’ammasso privato di prodotti Dop e Igp per conservare il valore delle produzioni Made in Italy di qualità ed evitarne la svalutazione.

Indicazioni Geografiche italiane che con 825 prodotti, grazie al lavoro di oltre 180mila operatori e l’impegno dei 285 Consorzi di tutela riconosciuti, hanno portato la DopEconomy a valere oltre 16,2 miliardi di euro alla produzione, con un peso del 20% del valore agroalimentare nazionale, con un export che supera i 9 miliardi di euro pari al 21% nell’export agroalimentare italiano.

“I Consorzi di tutela – ha sottolineato il presidente di OriGin Italia Cesare Baldrighi – hanno un ruolo primario anche in questa fase di ripartenza del Paese, essendo il sistema di riferimento per la filiera produttiva, operano su base collettiva, hanno la conoscenza diretta di tutti gli operatori e delle azioni di mercato. È fondamentale in questa fase prevedere una semplificazione delle procedure amministrative, in coerenza con le attuali limitazioni e sfruttando al meglio le possibilità tecnologiche e di comunicazione agile”.

“Il sistema delle Indicazioni Geografiche – ha detto la ministra Teresa Bellanova – resta il perno fondamentale delle politiche di sviluppo agroalimentare del Paese. E su questo chiedo una collaborazione da parte di tutti, del mondo associativo, dei consorzi e delle singole imprese, perché dobbiamo lavorare insieme per rafforzare le filiere e i rapporti fra i produttori primari ed i trasformatori proprio per mettere a valore il sistema geografico. Ma dobbiamo pensare anche al mondo dopo il Covid e le vostre proposte sono importanti e da quelle dobbiamo trovare una sintesi”.

“Non c’è la giusta consapevolezza della crisi dei prodotti di alta qualità ed Indicazioni Geografiche – ha affermato Paolo De Castro, Coordinatore S&D commissione agricoltura del Parlamento Europeo – è opportuno anche in Europa rendere più chiara la situazione, sia per il canale Horeca sia per l’export. Necessario inoltre in questa fase fare alcuni aggiustamenti sull’ammasso privato dei prodotti Dop e Igp, con fondi adeguati, misure di mercato e la necessaria flessibilità”.

“E’ necessario attivare al più presto un tavolo tecnico-consultivo fra i Consorzi di tutela, attraverso OriGIn Italia, ed i responsabili degli uffici Mipaaf e altri enti preposti, per affrontare la situazione specifica delle varie filiere Dop e Igp – ha precisato Baldrighi – Ma anche incentivare la Gdo a promuovere e privilegiare non solo i prodotti nazionali  ma a creare delle specifiche piattaforme Dop e Igp che presentino in maniera ben riconoscibile i prodotti italiani di origine certificati. Prevedere infine uno studio sul cambiamento dei consumi per capire al meglio le diverse evoluzioni e dei comportamenti di acquisto e prepararsi per rispondere adeguatamente alle richieste di mercato”.

Fra gli aspetti organizzativi per far ripartire il settore, il supporto all’innovazione digitale delle piccole imprese in modo da favorire un loro adeguamento all’attuale scenario di mercato, recuperare una parte delle perdite sul fronte Horeca sul mercato on-line e consentire un rilancio più rapido nel post-emergenza.

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Gli Editoriali news news ed eventi

No, regalare vino ai ristoranti non salverà l’Horeca dalle conseguenze di Coronavirus

EDITORIALE “Un arcobaleno di bollicine per dire ‘andrà tutto bene‘. XXXX solidale con il canale Horeca italiano. L’azienda trevigiana produrrà centomila bottiglie a sostegno di bar e ristoratori duramente colpiti dal Coronavirus“. Ha dell’incredibile l’iniziativa di una casa spumantistica della provincia di Treviso, che ha deciso di produrre 100 mila bottiglie di vino da regalare ai propri clienti Horeca.

“Ogni punto di consumo – si legge sul comunicato della cantina, che eviteremo di citare per non fare pubblicità – riceverà una scatola omaggio della bottiglia griffata da XXXX: bottiglie speciali che avranno sull’etichetta l’arcobaleno e lo slogan che ha accompagnato questi giorni di lockdown, ‘Andrà tutto bene’, e anche l’hashtag #XXXX che sarà presente sul collarino del prodotto. Ma non solo: ogni bottiglia avrà una capsula colorata di rosso, bianco o verde, per formare un autentico tricolore di bollicine“.

La nostra azienda – dice XXXX, ideatore del progetto – vuole far sentire il proprio appoggio al mondo Horeca, canale sul quale abbiamo costruito la nostra realtà. Grazie ai fornitori e ai distributori raggiungeremo con un messaggio di forza e coesione i nostri consumatori all’interno dei punti di consumo sparsi su tutto il territorio nazionale. È un’iniziativa solidale in cui XXXX crede come valore per la ripartenza, insieme all’intera filiera di settore. Insieme siamo più forti”.

Qualcosa da aggiungere? Evidentemente sì. “Insieme siamo tutti più forti”, solo se riapriamo tutti. Solo se ristoranti ed enoteche che a causa di Coronavirus chiuderanno bottega pagheranno i vignaioli e le cantine che hanno fornito loro il vino, nei mesi scorsi. Vino non pagato ma magari già bevuto da qualche cliente, prima che scattasse il lockdown, viste le norme attuali sui pagamenti delle fatture.

La crisi del settore vino si supera (anche) grazie a un ragionamento sulle regole complessive di un “gioco” che costringe i viticoltori a fare da banche ai ristoratori. La crisi si supera tutti assieme, vero. Ma solo se non si approfitta della situazione per fare concorrenza (sleale) ai colleghi. E senza regali agli amici, per 5 minuti di popolarità. Cin, cin.

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Fase 2, filiera del vino italiano compatta: “Riapertura giugno go? Duro colpo all’Horeca”

“Ripartire il prima possibile, pur nel pieno rispetto di tutte le misure di sicurezza e di distanziamento. Altrimenti per molte imprese del canale Horeca e cantine italiane non ci sarà alcuna fase 2“. Così la filiera del vino italiano, nel commentare la riapertura delle attività ristorative al 1° giugno, definita “un altro duro colpo per il settore”.

L’appello rivolto al Governo da parte della filiera vino – che riunisce le principali organizzazioni del settore Confagricoltura, Cia, Copagri, Unione italiana Vini, Federvini, Federdoc e Assoenologi – a pochi giorni dall’adozione delle misure contenute del nuovo Dpcm che dà il via libera alla cosiddetta fase 2 dell’emergenza Coronavirus, è unanime.

“Oggi più che mai il canale Horeca è di vitale importanza per le aziende vitivinicole, che hanno già perso irreversibilmente almeno il 30% delle vendite con danni permanenti”, sottolinea la filiera del vino.

Le disposizioni sull’allentamento del lockdown non contemplano una rapida ripresa delle attività di bar, enoteche e ristoranti, “con conseguenze disastrose non solo per gli operatori del settore, ma anche per le migliaia di piccole e medie imprese del comparto vitivinicolo nazionale già alle prese con un export quasi completamente bloccato e costrette a ricorrere alle vendite online come unica, ove possibile, via per la sopravvivenza”.

Nell’esprimere “piena solidarietà e sostegno agli operatori dell’Horeca e alle loro famiglie duramente colpite dal lockdown”, la filiera auspica dunque che il Governo, “pur nel rispetto delle indicazioni espresse dal Comitato tecnico scientifico, tenga conto delle urgenti richieste di ripartenza di questo canale e prenda in seria considerazione un ripensamento dell’impianto normativo recentemente proposto per dare una risposta concreta ad uno dei comparti più strategici e decisivi per l’economia e il turismo italiani”.

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Coronavirus: l’alcol sequestrato dalla Guardia di Finanza diventa gel disinfettante

Dal malaffare alla solidarietà il passo è breve. Il Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Bari ha donato allo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze 4.700 litri di alcol etilico per la produzione di gel disinfettante utili all’emergenza Coronavirus. Si tratta di una partita di merce di contrabbando sequestrata nel 2017 dai finanzieri della Compagnia di Monopoli, nel corso di un’operazione di polizia a contrasto del traffico illecito di prodotti alcolici.

La merce era destinata ad essere immessa al consumo nella provincia di Bari, in totale evasione d’imposta. Il Comando Provinciale ha colto dunque l’opportunità per dare il proprio contributo alla forte domanda di prodotti di questo genere.

Lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze ha verificato la possibilità di riconversione dell’alcol sequestrato, dopo aver informato la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bari e la competente Direzione dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, che hanno immediatamente concesso il loro nulla osta affinché l’operazione si potesse perfezionare.

Un vettore specializzato ha ritirato presso la Compagnia di Monopoli la partita di alcol che sarà entro breve utilizzata per la produzione di gel disinfettanti a “costo zero” per lo Stato, a beneficio della collettività.

“Nell’attuale situazione emergenziale correlata alla diffusione del nuovo  Coronavirus – commenta il Comando Generale – la Guardia di Finanza è impegnata nel far rispettare le misure di contenimento introdotte dal Governo, nel contrasto manovre speculative sui prezzi al pubblico dei prodotti anti-contagio e di prima necessità, ma anche fornendo il proprio contributo anche a diverse iniziative di solidarietà”.

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Resveratrolo is the new senza solfiti: così Coronavirus ispira enologia (e marketing)

EDITORIALE – Altro che “tipicità” e “terroir”. L’emergenza Coronavirus sembra illuminare la strada verso una nuova enologia, legata a doppio filo alla salute delle persone. Resveratrolo is the new “senza solfiti aggiunti“, si potrebbe sintetizzare.

La moda del “biologico”, riversatasi con tutta la sua potenza nel marketing – tanto da spingere colossi come Pasqua Vigneti e Cantine a produrre un “vino naturale” (sic!) – è sfociata negli ultimi anni nella proposta sempre più massiccia di vini più “sani” (o meno “dannosi”, secondo i punti di vista), prodotti senza l’addizione di solforosa, uno dei conservanti del vino.

Con l’imperversare di Covid-19, produttori ed enologi sembrano aver trovato nei “livelli di resveratrolo” dei loro vini una nuova forma di comunicazione. Forse, addirittura, una nuova frontiera per la promozione e la vendita delle loro etichette.

Qualcosa capace di cambiare radicalmente il concetto stesso di vino, accostato (definitivamente?) al concetto di “benessere“. Peccato si ometta un particolare fondamentale: il resveratrolo è presente nella maggior parte dei vini rossi in quantità talmente ridicole da rendere inutile l’assunzione del nettare di Bacco “a fini salutistici”.

Berne tanto vino per “bere” tanto resveratrolo causerebbe altri problemi. Non ultimo l’alcolismo. Da qui, la domanda su cui potrebbe giocarsi una buona fetta del futuro dell’enologia internazionale: è possibile “creare” vini che facciano bene se consumati senza eccessi, concentrando scientificamente i livelli di resveratrolo?

LA RICERCA
È la grande sfida che si sono posti Roberto Polidoro e Antonella Spacone, marito e moglie, lui sommelier, lei medico dell’Unità Operativa Complessa Pneumologia dell’ospedale Santo Spirito di Pescara.

La rivista scientifica britannica EC Nutrition (Ecnu), specializzata in ricerche che mirano al progresso nel campo della nutrizione e delle scienze alimentari, ha ospitato il 26 febbraio 2020 i risultati dello studioIs moderate daily consumption of red wine a good solution?“, condotto dai due italiani.

Proprio mentre Covid-19 iniziava silenziosamente a insinuarsi nelle case e nei luoghi di lavoro di tutto il mondo, senza risparmiare l’Italia, la dottoressa Spacone – assieme al compagno – toccava un tema caldissimo: “Il consumo quotidiano moderato di vino rosso è una buona soluzione?”.

“Sebbene lo sfruttamento delle proprietà antiossidanti del resveratrolo attraverso il consumo di vino non abbia valore scientifico – si legge sulla pubblicazione della rivista scientifica EC Nutrition – è lecito chiedersi se un consumo moderato di questa bevanda abbia effetti positivi sulla salute umana”.

“A questo proposito – continua la ricerca – non è possibile dare una risposta definitiva perché, partendo dal presupposto che l’alcol è una sostanza oncogenetica, alcuni studi hanno confermato i benefici del vino per la salute”. Sì, ma in che dosi?

“Per quanto riguarda il consumo di vino – risponde la dottoressa Spacone – sono stati fissati limiti ragionevoli di assunzione a basso rischio. In genere 24-30 g di alcol al giorno per gli uomini e 12-15 g al giorno per le donne, pari a 1-2 bicchieri di vino, ovvero 150-300 ml“.

“Proprio a questo proposito – spiega Roberto Polidoro a WineMag.it – le evidenze del nostro studio meritano ulteriore approfondimento, al fine di comprendere, in collaborazione con qualche cantina italiana o internazionale, se sia possibile concentrare le quantità di resveratrolo prodotte naturalmente dalla vite e ‘creare’ così dei vini che consentano di godere dei benefici del resveratrolo, senza i danni provocati dall’abuso di alcol”.

Non a caso, risale ai giorni scorsi la notizia di uno studio in corso all’ospedale di Napoli, dove due medici stanno somministrando un estratto dai semi della varietà di uva Aglianico ad alcuni pazienti affetti da Coronavirus: resveratrolo in aerosol. Uno studio che ha aperto le danze, in Italia, sulla caccia al vitigno coi livelli più alti di questo polifenolo.

In Puglia, diversi esponenti del mondo del vino (tra cui l’ex presidente di Assoenologi Puglia, Calabria, Basilicata, Massimiliano Apollonio) hanno rilanciato una notizia dell’edizione di Bari de La Repubblica risalente al 2011, in cui si lodava il vitigno Negroamaro per la “concentrazione della sostanza dalle proprietà antiossidanti e anticancerogene”.

“Dalle analisi – si legge nell’articolo – è emerso che nel Negroamaro esistono quantità di resveratrolo comprese tra 0.3 e 6,8 ng/ml e, considerato che la concentrazione di 1 ng/ml viene considerata già utile, è chiaro che i numeri del vino salentino sono molto positivi”.

Sulle proprietà “benefiche” del resveratrolo è intervenuto anche Stefano Cinelli Colombini, titolare della cantina Fattoria dei Barbi, in Toscana. “Ieri una amica, la professoressa Zinnai dell’Università di Pisa – ha scritto il produttore di Montalcino su Facebook – mi ha parlato di una loro ricerca: pare che il vino, forse grazie al resveratrolo o chissà per cos’altro, abbia un potente effetto contro i Coronavirus. Vorrebbe studiarlo come disinfettante per ambienti, e anche del cavo orale. E così mi è venuta in mente una cosa molto, molto strana”.

Benvenuto Brunello si è tenuto dal 21 al 24 febbraio, quando il virus già ben presente in Italia. Abbiamo avuto migliaia di ospiti da ogni parte del mondo, compreso un gruppo da Codogno (guarda un po’!) che dopo è venuto alla Fattoria dei Barbi”.

C’era una folla incredibile – prosegue sui social Cinelli Colombini – tutti appiccicati per giorni con vino sputato nei secchi e goccioline nell’aria a non finire. Considerando quanto è contagioso il Covid-19, ci sarebbe dovuto essere un massacro come quello della festa di Wuhan. Eppure nulla. Assolutamente nulla. È assurdo credere che in mezzo a quella folla non ci fosse almeno un contagiato, il virus già girava assai. Ma niente”.

“A pensarci bene, in tutta la catena delle Anteprime in giro per la Toscana ci sono stati tantissimi presenti e potenzialmente untori, ma nulla: non hanno portato la malattia. Tra i ‘vinicoli’ che erano a quegli eventi non si conta un malato. Strano, non è vero?”. Una curiosa provocazione, cui Stefano Cinelli Colombini ha dato un titolo: “Il paradosso di Benvenuto Brunello e del Covid-19. Un piccolo mistero”.

RESVERATROLO RECORD IN OLTREPÒ E MONFERRATO

Eppure, in Italia, esistono due etichette di vino con livelli di resveratrolo molto alte. Certificate. Si tratta del Bonarda dell’Oltrepò pavese Doc 2015 “Giubilo” di Giorgio Perego e del raro “Uceline2012, Monferrato Rosso di Cascina Castlet, prodotto col vitigno autoctono Uvalino.

Due vini che collocherebbero alla destra orografica del fiume Po l’epicentro del resveratrolo italiano, come dimostrano le approfondite analisi compiute dalle rispettive cantine. In particolare, il primato assoluto spetterebbe – almeno a livello storico – alla winery piemontese della famiglia Borio.

Gli studi sul nostro vitigno Uvalino – spiega l’enologo di Cascina Castlet, Giorgio Gozzelino – sono stati compiuti dal professor Rocco di Stefano, dal 1996 al 2000. Il suo pensionamento ha interrotto le analisi, riprese poi sulle annate più recenti del Monferrato Rosso ‘Uceline'”.

“Quella sulla vendemmia 2012, annata in commercio al momento, assieme alla 2013 – precisa Gozzelino – conferma i riscontri precedenti, con una presenza di resvetrarolo molto alta, pari a 16,2 mg/l, anche se il record assoluto fu registrato nel 2000, quando superammo i 30 mg/l“.

A provarlo è il rapporto del laboratorio d’analisi del Consorzio per la Tutela dell’Asti, datato 30 giugno 2017. Centoventi chilometri più a est, a Rovescala, in provincia di Pavia, si trova la cantina di Giorgio Perego, Mr. Croatina.

“Il discorso resvetrarolo nel vino – spiega il vignaiolo oltrepadano – mi ha sempre incuriosito. Così ho fatto fare delle analisi sul mio Bonarda ‘Giubilo’ 2015: i risultati hanno confermato i livelli altissimi di questo polifenolo, ben 18,90 mg/l. Trattandosi di un vino a base Croatina, credo sia corretto considerare questo vitigno, spesso sottovalutato, ancora più straordinario”.

Ma cos’hanno in comune questd due etichette? “Uceline” (25 euro) e “Giubilo” (18 euro) non subiscono filtrazionechiarifica. “Le analisi fatte sui polifenoli di un’altra etichetta che produco – spiega Perego – dimostrano quanto questo tipo di pratiche di cantina incidano negativamente sui livelli del vino finito”.

Si tratta inoltre di due vini rossi ottenuti tramite una lunga macerazione sulle bucce, dove si “annida” appunto il resveratrolo: “Ritengo tuttavia che l’estrazione di questo composto non necessiti di tempi lunghissimi – commenta l’enologo Gozzelino – ma non abbiamo a disposizione analisi relative a vinificazioni diverse da quelle con cui viene storicamente prodotto Uceline”.

È comprovata, invece, l’estrema variabilità dei livelli di resveratrolo, di annata in annata. “Più la pianta è sotto stress – spiega il vignaiolo Giorgio Perego – più ne produce, per difendersi soprattutto contro la Botrytis cinerea o la mancanza di acqua. Riuscire a concentrarlo sarebbe rivoluzionario per il mondo del vino italiano”.

IL PUNTO DI ASSOENOLOGI

Il discorso resveratrolo, di per sé, non convince appieno il numero uno degli enologi italiani, il presidente di Assoenologi Riccardo Cotarella (nella foto). “Non trovo corretto, o quantomeno un po’ fuori posto – dichiara a WineMag.it – sostenere che un vino piuttosto che un altro abbia qualità superiori“.

“In questo modo si cerca forse di accattivarsi il mercato – prosegue – portando alla nascita di contrapposizioni. Sostenere che un vitigno particolare, di un posto particolare, presenti più resveratrolo di un altro, è un’ipotesi che merita ancora il dovuto approfondimento scientifico”.

Il focus, secondo Riccardo Cotarella, dovrebbe restare sul vino. Tout court. “Secondo luminari delle medicina come Jennifer Hah, Thomas J. Sweet, Anna Teresa Palamara, Lucia Nencioni e Giovanna De Chiara – spiega Cotarella – il resveratrolo ha importanti proprietà antivirali e il vino rosso, in generale, lo contiene”.

È in grado, e cito sempre questi luminari, di interferire con la replicazione di virus erpetici come il cytomegalovirus, i virus influenzali, gli adenovirus e il virus respiratorio sincinziale. Svolge inoltre, sempre secondo questi medici, azione anti virale, anti infiammatoria ed è un potente antiossidante, superiore a vitamina C, E e betacarotene”.

Una premessa utile al presidente di Assonologi per esprimere un concetto più ampio: “Il vino, se fa bene, fa bene da sempre. Non a caso ha accompagnato la storia dell’uomo. Tanta letteratura medica sostiene il contrario, ed è per questo che nel numero di maggio della nostra rivista ‘L’enologo’ chiederemo ufficialmente all’Istituto superiore della Sanità di esprimersi in maniera univoca sull’argomento vino e salute”.

Sempre secondo Cotarella, Covid-19 non cambierà solo l’enologia o il marketing, ma tutta la filiera del vino italiano, dal campo al consumatore. “L’enologia cambierà radicalmente – dichiara il presidente di Assoenologi a WineMag.it – certi valori formali andranno a cadere: la bottiglia pesante, il tappo a volte più ‘lungo’ della bottiglia, le cantine architettoniche dalle luci psichedeliche… È finita e dico per fortuna”.

Cambieranno gli enologi, l’approccio dei produttori, delle guide, dei giornalisti, perché cambierà il consumatore. Fondamentale, in questo quadro, sarà anche la crisi economica che andremo ad affrontare al termine dell’emergenza”.

Cambieranno così anche i vini. “I vini che secondo me avranno più spazio – riferisce Cotarella a WineMag.it – saranno quelli dall’ottimo rapporto qualità prezzo, il che non significa che costeranno meno, o poco”.

Sarà il momento dei vini non ‘conditi’ o ‘incorniciati’ da materiali costosi, che incidono sul prezzo, come il vetro fantasia, la bottiglia pesante, la capsule laminata ‘d’oro’. Tutto ciò che è edonismo e superfluo andrà a cadere“.

La new wave del vino dopo Coronavirus, sempre secondo Riccardo Cotarella, “aumenterà l’interesse per il vino in sé, in senso assoluto”. “Noi enologi – spiega – saremo chiamati, come dopo lo scandalo metanolo, a dare una nuova svolta al settore, imparando a seguire le tendenze per dare vita a vini gradevoli, che si bevono bene, vini importanti, ben fatti, espressione del territorio e dell’uva, nonché dei proprietari delle cantine, ben assistiti da bravi enologi”.

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Vini a denominazione, lettera di Efow all’Ue: “Situazione drammatica”

L’European Federation of Origin Wines (Efow, Federazione europea dei vini d’origine) ha scritto al commissario per l’Agricoltura dell’Ue Janusz Wojciechowski per denunciare la “drammatica situazione delle denominazioni vinicole in seguito allo scoppio della crisi Covid-19“.

L’esortazione alla Commissione europea è quella di “agire rapidamente attraverso misure normative e di mercato concrete per aiutare gli operatori a navigare in queste acque agitate”. Un invito simile è stato mosso nei giorni scorsi dalla Confédération européenne des vignerons indépendants (Cevi), che riunisce i vignaioli europei.

“L’emergenza Coronavirus – spiega presidente di Efow, Bernard Farges – si aggiunge alle altre crisi in atto che il settore vitivinicolo deve affrontare nei mercati di esportazione, in particolare il 25% dei dazi statunitensi ad valorem e le difficoltà incontrate nei paesi asiatici”.

Si è già verificata una significativa perdita di vendite e ed entrate causata dalla chiusura di Horeca e di altri canali di distribuzione. Gli unici canali ancora attivi nella maggior parte degli Stati membri sono i rivenditori all’ingrosso e il commercio elettronico”.

“Tuttavia – prosegue Farges – molti operatori di denominazione del vino non sono presenti nei supermercati e il canale di e-commerce è ancora molto sottosviluppato nel nostro settore. Molti operatori di vini a indicazione geografica stanno a malapena movimentando la merce, tranne per operazioni di esportazione occasionali”.

“La crisi – precisa il presidente European Federation of Origin Wines – ha anche un impatto devastante sui mercati di esportazione del vino, sulle attività dei produttori di vino e sul settore enoturistico”.

I membri di Efow desiderano che vengano implementate rapidamente una serie di misure normative, per aiutare gli operatori ad adattarsi a questa nuova realtà. Inoltre, invitano la Commissione europea a “fornire agli Stati membri piena flessibilità riguardo all’uso degli strumenti e del bilancio disponibili nei programmi di sostegno nazionali per il vino”.

Considerando l’enorme impatto della crisi, Efow sottolinea anche la necessità di un sostegno finanziario specifico per attuare misure di mercato. “Devono essere immediatamente adottate misure rapide e coraggiose per evitare il peggior scenario possibile per molti operatori del settore vitivinicolo”, afferma Bernard Farges.

“I responsabili politici dell’Ue devono tenere presente che ci sono molte zone rurali dell’Ue in cui non esiste alternativa alla produzione di vino. Gli operatori hanno bisogno di un sostegno immediato per sopravvivere a questa crisi”.

“Gli strumenti – evidenzia il presidente di Efow – sono disponibili nel regolamento dell’organizzazione comune dei mercati, quindi speriamo che la Commissione europea ne faccia pieno uso senza indugio. Il futuro del nostro settore dipende da questo”.

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Nomisma: Osservatorio Lockdown per la ripresa economica

Lo scenario determinato dall’emergenza sanitaria legata al Coronavirus ha imposto agli italiani drastici cambiamenti: nel breve volgere di un mese, infatti, la popolazione è stata costretta a mutare profondamente i propri stili di vita in funzione del distanziamento sociale reso necessario dalla lotta al Covid-19.

Nelle ultime settimane sono nate nuove routine, dal modo di fare la spesa, ai canali d’acquisto, passando per nuove modalità di comunicazione e sistemi valoriali.

Per questo Nomisma ha avviato l’Osservatorio “Lockdown. Come e perché sta cambiando le nostre vite“, un’indagine settimanale che prende in esame parametri come lo stato d’animo, i consumi, le caratteristiche della quarantena e i desideri degli italiani con l’intento di monitorare in maniera continuativa (per almeno 12 settimane) opinioni e trend e comprendere le trasformazioni in atto, quanto saranno profonde e quanto resteranno in modo strutturale anche nel “post-Coronavirus“.

OSSERVATORIO LOCKDOWN: UNO STRUMENTO PER AZIENDE E ISTITUZIONI
In questo momento per aziende ed istituzioni è cruciale il monitoraggio del mercato a partire dalla lettura delle trasformazioni della domanda. In questo senso, l’Osservatorio Lockdown di Nomisma può supportare le scelte strategiche e di marketing, oltre che individuare le più efficaci modalità di comunicazione delle imprese italiane.

L’Osservatorio si rivolge, in particolare, a quelle aziende che stanno cominciando a programmare il post-lockdown e, avvertendo i mutamenti intercorsi in queste settimane, sentono la necessità di una “bussola” che li aiuti a guidare il proprio operato nella delicata fase di ripresa.

Proprio a loro l’Osservatorio Lockdown intende fornire risposte puntuali e precise, utili per correggere in corso d’opera le azioni previste all’interno dei piani marketing e individuare le corrette strategie di comunicazione.

L’OBIETTIVO: INTERCETTARE LE TRASFORMAZIONI PER ORIENTARE LA RIPRESA
Attraverso questo Osservatorio, Nomisma mette in campo strumenti di monitoraggio per garantire un tracking continuativo sulla domanda. L’obiettivo è intercettare le trasformazioni in atto e dimensionare gli effetti della “shut in economy” (l’economia legata all’isolamento a causa del Coronavirus), definendo azioni prioritarie per retail, industria e istituzioni.

Il monitoraggio di Nomisma prende in esame questi quattro ambiti:

  • opinioni, preoccupazioni, tematiche prioritarie
  • comportamenti d’acquisto
  • abitudini quotidiane e tempo libero
  • previsioni per il post-lockdown.

Analisi e approfondimenti possono inoltre essere “personalizzati” in base al settore in cui opera l’impresa, alle esigenze specifiche del committente e calibrate su determinate fasce d’età e aree geografiche, usership di un prodotto, altri target d’interesse.

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