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Vendemmia 2020: taglio del 20% delle rese nel Collio. La decisione del Consorzio

Anche il Consorzio di Tutela Vini Collio abbassa le rese per la vendemmia 2020, di una percentuale pari al 20% per tutti i vitigni disciplinati dalla Doc Collio: Pinot Bianco, Sauvignon, Friulano, Malvasia e Ribolla Gialla, per citarne alcuni.

L’ente, che comprende circa 300 produttori tra viticoltori e imbottigliatori per una superficie di 1500 ettari di vigneti collinari, ufficializza oggi la decisione dopo l’assemblea di martedì 30 giugno.

“Il compito del Consorzio – spiega David Buzzinelli, Presidente del Consorzio di Tutela Vini Collio – è quello di essere un organo di tutela del territorio, il nostro asset più importante. In un momento così delicato l’ascolto dei soci è stato fondamentale per indirizzare le nostre scelte verso la soluzione di abbassare le rese”.

“Questa decisione – aggiunge il numero uno del Consorzio di Tutela Vini Collio – ha l’obiettivo di supportare i viticoltori in difficoltà a causa dell’evento pandemico in corso e del conseguente calo delle vendite, mantenendo al contempo elevata la qualità dei nostri vini, riconosciuti in tutto il mondo per la loro eccellenza”.

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Covid-19 in Alto Adige, giù le rese del vigneto. Ritoccati anche Pinot Grigio e Schiava

“Meno uva, più qualità”. Anche l’Alto Adige riduce le rese in vigneto per la vendemmia 2020, a partire dai vitigni più coltivati nella regione: Pinot Grigio e Schiava. A deciderlo è stata l’Assemblea generale del Consorzio Vini Alto Adige con oltre il 70% di voti a favore, dopo il consulto con il Südtiroler Beratungsring, il Centro di Consulenza per la fruttiviticoltura. Il taglio, voluto anche per arginare le conseguenze di Covid-19 sul settore vitivinicolo altoatesino, si assesta su una percentuale compresa tra il 15 e il 30%, a seconda del vitigno.

In particolare, tra le varietà a bacca bianca, il Pinot Grigio passa dal da 130 a 115 quintali per ettaro (- 12%). Il Gewürztraminer subisce una riduzione del 25%, passando da 120 a 90 quintali. Per il Pinot Bianco un calo del 19%: si passa da 130 a 105 quintali ettaro. Stessa percentuale di decrescita (- 19%) per lo Chardonnay: da 130 a 105.

Quanto alle rese dei vitigni a bacca rossa, per la Schiava è stato deciso un taglio dell’11%, ovvero da 140 a 125 quintali per ettaro. Tra i vitigni che subiranno un “taglio” più marcato in vigneto per la vendemmia 2020 c’è il Pinot Nero: riduzione del 25% per il pregiato rosso dell’Alto Adige, che passa da 120 a 90 quintali ettaro.

“La riduzione delle rese – spiega il Direttore del Consorzio Vini Alto Adige Eduard Bernhart – ha un duplice effetto perché, se da una parte viene da anni già portata avanti autonomamente da moltissime cantine del territorio”.

Le aziende hanno compreso l’importanza di un calo della produzione allo scopo di ottenere vini di maggiore qualità, dall’altra ci aspettiamo possa dare respiro a tutte quelle realtà che a causa del Covid-19 hanno registrato un calo importante del mercato“.

Per far fronte a questa situazione, il Consorzio altoatesino ha deciso di guardare all’esempio di altri territori. “Ci siamo messi anche in ascolto di altri territori – evidenzia Bernhart – e abbiamo avanzato questa proposta di riduzione delle rese per la vendemmia 2020 che si inserisce quindi in un momento di forte cambiamento dei mercati. Era necessario agire in maniera rapida e proattiva, per sostenere i viticoltori altoatesini nel particolare contesto che stiamo vivendo”.

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Roero in ascesa: Francesco Monchiero riconfermato presidente del Consorzio

Il Consorzio Tutela Roero riconferma per un nuovo mandato il presidente Francesco Monchiero, già in carica da sette anni. Una scelta pressoché scontata, motivata dall’ascesa di una Denominazione che ha registrato un aumento delle vendite del 38% in volume e in valore, un diffuso incremento di valore del terreno, l’accorta politica di gestione della crescita, arrivata a 1200 ettari vitati con un piano per gli impianti volto a garantire un aumento controllato e progressivo.

Un approccio che ha portato Monchiero ad affrontare in modo attivo anche un momento difficile come quello determinato dal Covid 19, proponendo e ottenendo dalla Regione il finanziamento di interventi strutturali indirizzati a superare la complessa situazione sui mercati.

Al momento del rinnovo delle cariche, nessun altro associato si è pertanto candidato e la richiesta di restare è stata unanime. Il prossimo triennio si presenta altrettanto intenso: “Il primo obiettivo sarà quello di creare una sede del Consorzio strutturata con un direttore, a cui si affiancheranno i progetti di promozione in Italia e all’estero, in particolare negli Stati Uniti e in Svizzera”.

La prossima iniziativa in questo senso sarà in autunno il Roero Wine Week, settimana di promozione che coinvolgerà ristoratori del Piemonte e di tutta Italia. Tornerà nel 2021, invece, Roero Days, la più importante manifestazione della denominazione, che si svolgerà alla Reggia di Venaria Reale ad aprile.

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Spumanti spacciati per Prosecco Rosé, parla il Consorzio: “Leggete le etichette”

“Che il nome di un prodotto di successo diventi il sinonimo della ‘tipologia’ (nello specifico ‘spumante’, ndr) non è di certo una novità: importanti vini francesi ce lo dimostrano. Dal canto nostro vi è un impegno costante su questo fronte, sia come Consorzio che come Sistema Prosecco, ma la lotta è davvero impari: per ogni comportamento scorretto o illecito che riusciamo a contrastare ce ne vengono segnalati ‘n’. E il commercio online ha solo ampliato o, forse, fatto emergere in modo più eclatante, il fenomeno”.

È il commento di Luca Giavi, direttore generale del Consorzio di Tutela del Prosecco Doc, in seguito alle rivelazioni di WineMag.it, secondo cui i casi di spumanti rosati generici venduti online come “Prosecco Rosé” siano aumentati, dopo l’approvazione della modifica del disciplinare che sancisce il matrimonio tra Glera e Pinot Nero.

“L’invito che mi sento di rivolgere ai consumatori – prosegue Giavi – è quello di leggere attentamente quello che viene riportato sulla bottiglia in etichetta, ma il problema non nasce dalla nostra richiesta di modifica del disciplinare che introduce la tipologia rosé”.

Non è da adesso che succede questo, è da anni che sull’e-commerce, sugli scaffali dei supermercati e sui menù dei ristoranti, molto spesso, viene chiamato ‘Prosecco Rosè’, qualsiasi spumante rosato, replicando quanto avviene, peraltro, per la tipologia vinificata totalmente in bianco, prescindendo, in molti casi, dal territorio di produzione”.

Un errore, sottolinea ancora il direttore del Consorzio di Tutela veneto, “ampiamente documento anche nella relazione allegata alla modifica del disciplinare del Prosecco Doc, trasmessa alle autorità lo scorso anno”.

“La nostra scelta – sottolinea Giavi – è stata proprio tesa ad evitare questo problema quantomeno per  il nostro sistema produttivo, che ora avrà modo, una volta entrato in vigore il nuovo disciplinare, di scegliere se garantire ai propri consumatori un vino ottenuto in un determinato territorio, con una base ampelografica specifica, con tempi di spumantizzazione precisi e che, legittimamente, possa  fregiarsi della Denominazione di origine Prosecco”.

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Gli Editoriali news news ed eventi

Ogni spumante rosé adesso è Prosecco rosé: nuova deriva delle bollicine del Veneto

EDITORIALE – C’è una nuova, preoccupante deriva che interessa lo spumante del Veneto per eccellenza, ovvero il Prosecco. La recente approvazione della modifica del disciplinare che dovrebbe autorizzare, dal mese di ottobre 2020, la commercializzazione del Prosecco Rosé, sta già avendo risvolti devastanti per l’immagine della nuova tipologia “in rosa” della Doc Prosecco.

Il web, infatti, è inondato di decine di proposte di “Prosecco Rosé”. Si tratta in realtà di spumanti rosati comuni, che non possono fregiarsi della Denominazione di origine controllata in questione, riservata solo ai Martinotti (Metodo italiano o Charmat) prodotti in Veneto e in Friuli Venezia Giulia.

In alcuni casi, la dicitura “Prosecco Rosé” viene addirittura accostata al Prosecco Superiore di Conegliano Valdobbiadene, Docg che non ha nulla a che fare col via libera alla tipologia “Prosecco Rosé” da parte del Comitato Nazionale Vini del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, che riguarda appunto solo la Doc.

Per dirla tutta, più che a una nuova deriva siamo di fronte a una vera e propria involuzione del marketing legato al noto spumante italiano. Se fino a ieri non si poteva usare la formula “Prosecco Rosé“, perché ancora non ufficialmente approvato il matrimonio tra Glera e Pinot Nero, le nozze tra i due vitigni hanno aperto le porte ai farabutti del web, pronti a sfruttare la leva della notorietà del brand “Prosecco” per spingere le vendite di qualsiasi altro spumante rosato.Caso eclatante quello che appare sull’e-commerce “Negozio del vino“, dove il Vsq Rosé Brut “Faìve” della nota cantina Nino Franco di Valdobbiadene viene “spacciato” per Prosecco Doc Rosé (nel link, nel titolo e nella scheda descrittiva) pur essendo prodotto con uve Merlot e Cabernet Franc vinificate in rosa.

Più ingegnoso un altro e-commerce, “Wine Point“. Qui, il Vsq Rosé Brut “Roseo” della cantina Le Manzane di San Pietro di Feletto (TV) viene descritto come “Prosecco Superiore Metodo Charmat”. Non solo: viene utilizzato il vecchio nome della Glera, ovvero Prosecco, per trarre in inganno l’ignaro consumatore.

“La qualità del prodotto – si legge – è certificata dall’uso in prevalenza di uvaggio Prosecco, nella sua qualità autoctona Glera, che compone il 95% dell’etichetta. Il restante 5% deriva invece da uve Merlot, che vanno a conferire il classico colore rosato all’etichetta”. Lo stesso avviene per il Brut di Pinot della cantina Ruggeri.

Segue a ruota l’e-shop di vino online “BierreStore“, che nel pubblicizzare il Brut Rosato “Il Fresco” di Villa Sandi, parla di “Prosecco Rose”. Manca l’accento, ma il senso è quello e gioca sulla scarsa esperienza del consumatore che si imbatte nella scheda, per l’acquisto.

Vale la pena di citare anche il caso, sottile, del presunto “Prosecco Valdobbiadene Brut Rosé Doc” della cantina Col Sandago, tra i veri e propri fake che interessano la nuova tipologia del Prosecco Doc. Tutto, sin dal link, riconduce al taroccamento da parte dell’e-commerce “Di-vinità – di cibo, vino e altre storie“. Ecco, sono le “altre storie” che preoccupano chi ha a cuore il Made in Italy.

Concludo con un appello: la redazione di WineMag.it invita i lettori a segnalare ai Consorzi di Tutela tutti i link alle recensioni di “non Prosecco”, nonché di “Prosecco Rosé” tarocco scovate sul web. Questi gli indirizzi email a cui rivolgersi: info@consorzioprosecco.it e info@prosecco.it. Cin, cin.

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Analisi e Tendenze Vino

Vernaccia, calo 21% imbottigliamenti nel 2020 ma c’è fiducia: “Bentornati turisti”

Nei primi cinque mesi del 2020, gli imbottigliamenti della Vernaccia di San Gimignano sono calati del 21%. Lo rende noto il Consorzio di Tutela del noto vino bianco toscano, che accoglie con entusiasmo la riapertura delle strutture recettive: “La ripresa del turismo è un fattore determinante, dal momento che circa un quinto della produzione di Vernaccia di San Gimignano è venduta in loco, anche se i quasi tre milioni di turisti del 2019 sono un traguardo irraggiungibile nel 2020″.

Come San Gimignano, anche il resto dell’Italia e del mondo stanno ripartendo. L’export assorbe circa il 52% della produzione di Vernaccia di San Gimignano, i mercati internazionali si stanno lentamente riprendendo dopo un calo forse minore rispetto a quello italiano. In particolare, il Consorzio guarda a quello tedesco e statunitense, “che hanno subito un lockdown meno duro rispetto a quello italiano”.

“Misure come la distillazione di crisi delle giacenze in cantina o la vendemmia verde non sono adeguate ad una Docg di nicchia come la nostra, che produce poco più di 5 milioni di bottiglie”, sottolinea il Consiglio di Amministrazione del Consorzio del Vino Vernaccia di San Gimignano.

“Un vino bianco longevo, che con l’affinamento in cantina o bottiglia può solo migliorare le sue perfomance qualitative ed esaltare le sue caratteristiche organolettiche. Quello che oggi serve è un sostegno economico e finanziario alle aziende, per superare il momento di crisi, per affrontare gli inevitabili costi di produzione per la prossima vendemmia e di stoccaggio dei vini”.

Tra le misure auspicate, anche quelle “per la digitalizzazione e per il cambio di strategia comunicativa necessari per sostenere il brand Vernaccia di San Gimignano, oltre agli eventi ‘in presenza’ e quelli on-line e sui social media. In due parole, dei costi necessari per trasformare la crisi creata dall’epidemia da Covid19 in un’opportunità di cambiamento radicale”.

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Amarone, Famiglie Storiche: “Necessario differenziare le rese di collina e pianura”

“Salvaguardare la reputazione e la riconoscibilità di uno dei vini simbolo del made in Italy nel mondo, l’Amarone della Valpolicella, attraverso la zonazione e la differenziazione di resa e cernita tra le aree collinari e di pianura“. È una vera e propria revisione del disciplinare di produzione del re dei vini della Valpolicella quella che chiedono le Famiglie Storiche. Una reazione decisa alle recenti misure intraprese dal Consorzio Tutela Vini della Valpolicella, anche a fronte dell’emergenza Covid-19.

Alberto Zenato, presidente dell’Associazione che complessivamente commercializza 2,2 milioni di bottiglie di Amarone, circa il 16% della produzione totale, per un fatturato complessivo di 70 milioni di euro, il 20% del totale delle vendite della Docg, di cui l’80% destinate all’export, non gira attorno al concetto.

È necessaria una differenziazione di resa e di conseguenza di cernita tra le aree collinari e di pianura. Siamo favorevoli a rese di 100 quintali per ettaro con una maggiore cernita di uva per Amarone nelle zone collinari, e a rese di 120 quintali per ettaro con una minor cernita in quelle pianeggianti”.

La collina, infatti, è maggiormente predisposta alla cernita perché, ricordano le Famiglie Storiche, “l’ambiente è più ventilato e quindi l’uva posta a riposo nel fruttaio è meno soggetta alle patologie”. In pianura, invece, dove i terreni sono più fertili, “si possono ottenere produzioni maggiori ma con un rischio superiore di incorrere in patologie che possono compromettere la qualità delle uve”.

Ci siamo sempre battuti e continueremo a farlo per la valorizzazione delle zone più vocate alla produzione dei grandi rossi della Valpolicella – evidenzia Zenato – e per questo riteniamo indispensabile la zonazione, per ridefinire attraverso un approccio multidisciplinare i fattori caratteristici di un terroir che ha una vocazionalità antichissima alla coltivazione della vite, e che oggi rischia di risentire di scelte che tengono conto solo del rapporto tra domanda e offerta, senza proporre nel contempo iniziative idonee a migliorare la qualità del prodotto”.

Alberto Zenato e le Famiglie Storiche ritengono sia “ormai imprescindibile una visione di lungo termine“. “Non possiamo dover gestire continuamente cambiamenti tecnici in corso d’opera – spiega l’associazione – perché in questo modo si danneggiano soprattutto i produttori che avrebbero invece bisogno di indicazioni chiare e stabili nel tempo per poter lavorare con maggior serenità e garantire la qualità dei propri prodotti”.

Tutto ciò mette a rischio l’equilibrio fisiologico della vigna stessa, oltre che la qualità del vino. È una questione di responsabilità nei confronti del territorio, da cui tutti dipendiamo, e nei confronti di tutti i produttori che qui hanno investito dai tempi più remoti”.

L’Associazione auspica una revisione condivisa dei disciplinari della Valpolicella: “Riteniamo che sia fondamentale riunire intorno a un tavolo tutti gli attori del mondo vitivinicolo del territorio e aggiornare il disciplinare, tenendo conto del consistente ampliamento delle superfici vitate soprattutto nella parte orientale della denominazione Valpolicella con conseguente aumento delle giacenze dei vini. Dobbiamo, inoltre, considerare le differenze qualitative tra le aree di collina e quelle di pianura in base alle nuove esigenze e tempistiche produttive”.

Conclude Zenato: “I nostri associati ricevono ogni anno attestazioni nazionali ed internazionali che testimoniano una produzione d’eccellenza che rappresenta un valore aggiunto importante anche sul piano economico nazionale. Abbiamo dato vita a questa Associazione proprio per contribuire a diffondere questo patrimonio con impegno, in Italia e nel mondo, e strenuamente intendiamo difenderlo”.

Alle Famiglie Storiche aderiscono le aziende venete Allegrini, Begali, Brigaldara, Guerrieri Rizzardi, Masi, Musella, Speri, Tedeschi, Tenuta Sant’Antonio, Tommasi, Torre d’Orti, Venturini e Zenato.

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Enoturismo

Grana Padano, nuovo Consiglio. Nel 2019 oltre 5 milioni di forme e boom export

VERONA – È stato un 2019 in crescita per il Grana Padano, che si conferma il prodotto Dop più consumato al mondo con un totale di 5.164.759 forme prodotte (+4,70% rispetto al 2018), di cui 2.051.125 destinate all’export (+4,38%). “Numeri incoraggianti che però dobbiamo leggere alla luce della situazione attuale”, avverte però Nicola Cesare Baldrighi, presidente uscente del Consorzio Tutela Grana Padano, nel giorno la 21a Assemblea Generale del Consorzio.

L’appuntamento questa mattina alla Fiera di Verona, con la partecipazione di Ettore Prandini, presidente nazionale di Coldiretti, Gianmichele Passarini, membro di giunta e presidente Regionale Cia Veneto, Antonio Boselli, presidente Confagricoltura Lombardia e Paolo Carra, vicepresidente vicario Coldiretti Lombardia.

Durante l’Assemblea è stato eletto il nuovo Consiglio di Amministrazione del Consorzio, che resterà in carica fino alla primavera 2024. La categoria caseifici produttori vede 5 nuovi membri sui 21 eletti, in particolare: Gianmaria Bettoni, Filippo Colla, Giovanni Guarneri, Andrea Merz e Luigi Giovanni Sala.

Restano invariati i 6 consiglieri della categoria stagionatori: Antonio Auricchio, Alberto Dall’Asta, Laura Maria Ferrari, Nisio Paganin, Michele Miotto e Renato Zaghini. Nelle prossime settimane, il Consiglio si riunirà per nominare il nuovo presidente del Consorzio.

“A causa dell’emergenza Covid-19 – ha evidenziato Baldrighi – siamo chiamati a riflettere sul cambiamento delle tendenze rispetto agli stili di vita e sul fatto che per il 2020 prevediamo risultati ben lontani da quelli del 2019”.

Il nostro obiettivo, oggi, deve essere il contenimento produttivo, adeguandoci agli inevitabili minori consumi che derivano dalla contrazione del canale Ho.Re.Ca. Da qui vengono i provvedimenti assunti dal Consiglio di Amministrazione per far fronte al post Covid-19: diminuzione della produzione; sostegno agli enti caritatevoli attraverso i bandi AGEA; acquisto di 120.000 forme da parte del Consorzio per i mesi di novembre-dicembre 2019 e gennaio-febbraio-marzo 2020 da portare a Riserva 20 mesi e a Riserva Gold 24 mesi”.

“Dopo 21 anni di presidenza – continua Baldrighi – lascio la guida del Consorzio pieno di soddisfazione per quanto, insieme agli associati e alla grande squadra del Consorzio, abbiamo fatto insieme. La parola d’ordine che ci ha accompagnato in questi anni è stata ‘coesione‘, grazie alla quale siamo riusciti a portare avanti politiche coraggiose e vincenti, come la definizione dei Piani produttivi“.

L’EMERGENZA COVID-19
I provvedimenti assunti dal Consiglio di Amministrazione per far fronte al post Covid-19 sono la minore produzione determinata dal -3% sui riferimenti produttivi; il sostegno agli enti caritatevoli attraverso i bandi pubblici Agea incrementati del 15-20% di stanziamento diretto del Consorzio per un totale auspicato di 70/80 mila forme destinate agli indigenti;

Infine, l’acquisto di 120 mila forme da parte del Consorzio per i mesi di novembre-dicembre 2019 e gennaio-febbraio-marzo 2020 da portare a “Riserva 20 mesi” e a “Riserva Gold 24 mesi“, che quindi saranno rimesse sul mercato alla fine del periodo di 12-18 mesi prima individuato.

Ad ulteriore sostegno dei provvedimenti, l’impegno a lavorare con il Ministero per destinare la quota parte riservata al lattiero caseario dello stanziamento di 500 milioni di euro dedicato alle “filiere in crisi“, verso un “aiuto-sostegno” agli allevatori che decidano di ridurre la produzione di latte.

I NUMERI E I MERCATI

Il 2019 ha chiuso con una produzione complessiva di 5.164.759 forme (+4,70% rispetto al 2018), il 42% di formaggio marchiato esportato ed un conseguente 58% consumato in Italia. Con 2.051.125 forme, l’export 2019 fa segnare una crescita del +4,38%.

L’Europa, con 1.697.618 forme, assorbe quasi l’83% delle esportazioni di Grana Padano Dop, con un incremento del 4,54% rispetto al 2018. La Germania, con un incremento del 5,61% si conferma il primo mercato per le esportazioni di Grana Padano DOP, con un totale di 549.562 forme.

Al secondo posto assoluto si conferma la Francia con 231.188 forme e un incremento del 4,44%. Il terzo posto spetta agli Stati Uniti che hanno fatto segnare un +9,04% pari a 167.852 forme, superando il Benelux (Belgio, Olanda e Lussemburgo) che con 160.561 forme complessive (+2,41%) scivolano al quarto posto nella graduatoria assoluta.

La produzione si è divisa per il 37,25% a favore delle industrie e per il 62,75% delle Cooperative. Guardando, poi, nello specifico alle aree geografiche si evidenzia che la provincia di Mantova con 28 caseifici ha prodotto il 29,38% del totale annuo.

Seguono Brescia, con 29 caseifici e una produzione del 23,03%, Cremona con 9 caseifici il 17,30%; Piacenza con 20 caseifici l’11,38%. Il Veneto, poi, con 22 Caseifici (tenendo conto anche del latte veneto lavorato fuori Regione) ha raggiunto il 15,34%.

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Soave riduce le rese per la vendemmia 2020 non bio: da 150 a 130 quintali ettaro

“L’assemblea dei soci del Consorzio del Soave ha prudentemente scelto di diminuire le rese per la vendemmia 2020, passando da 150 qli/ettaro per la Doc a 130 qli/ettaro (-13%) e da 140 qli/ettaro a 130 qli/ettaro (-7%) per la zona Classica e dei Colli Scaligeri”. Lo rende noto il Consorzio di Tutela Vini Soave e Recioto di Soave.

“Deroghe a questa decisione verranno date alle aziende che negli ultimi due anni non hanno caricato il Soave oltre il limite previsto, mentre per le aziende biologiche certificate il limite rimane a 140 qli/ettaro, per dare un forte segnale a favore della sostenibilità in vigneto”, precisa ancora l’ente veneto.

Una decisione in linea con quelle delle più grandi denominazioni italiane, per assicurare da un lato il reddito delle imprese agricole e dall’altro la tenuta del sistema dei prezzi.  “Una scelta condivisa e presa sentendo tutte le parti”, dichiara il Presidente del Consorzio Sandro Gini.

In un anno che ci ha messo alla prova, la natura non ha smesso di andare avanti e valutato l’andamento dell’annata, abbiamo con responsabilità preso questa decisione per tutelare tutte le aziende del territorio e al contempo non creare tensione sul mercato, se il prodotto nel 2021 non fosse sufficiente a soddisfare le richieste”.

“Un equilibrio produttivo costante nel mirino del Consiglio di amministrazione del Consorzio – conclude Gini – dove fondamentale diventa essere reattivi e nello stesso momento valutare anche le prospettive future, in un mercato sempre più competitivo e veloce”.

L’assemblea dei soci ha intanto registrato alcuni dati positivi, come un aumento di consumo di Soave in Canada del 15% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, mentre è in partenza una campagna di promozione in Giappone.

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Analisi e Tendenze Vino

Veneto, Trittico Vitivinicolo: “Vendemmia 2020 positiva per Tai Rosso e Garganega”

Si prospetta un’annata ottimale in Veneto per il Tai Rosso dei Colli Berici e per la Garganega di Gambellara. In previsione della vendemmia 2020, la conformazione dei futuri grappoli si mostra uniforme, nonostante il discreto anticipo nelle fasi fenologiche. Lo ha riferito Giovanni Ponchia, direttore del Consorzio Tutela Vini Colli Berici e Vicenza e del Consorzio Tutela Vini Gambellara, in occasione del Trittico Vitivinicolo.

L’iniziativa, organizzata tre volte all’anno da Veneto Agricoltura, è utile per fare il punto sullo stato vegetativo e fitosanitario della viticoltura del Veneto. Un rapporto che tiene conto anche dell’andamento meteo del primo semestre dell’anno.

Dalle analisi del Consorzio Tutela Vini Colli Berici e Vicenza è emersa invece “una leggera sofferenza delle varietà precoci, in particolare Pinot e Chardonnay, per le quali si prevede un sensibile calo della resa”. È stata riscontrata, inoltre, una “difformità nelle fasi fenologiche del Cabernet e Merlot“.

Sempre in occasione del Trittico Vitivinicolo, è emerso come “le viti sembrano risentire dell’eccesso di piovosità del 2019 e presentano tralci leggermente indeboliti, che porteranno ad una probabile flessione tra il 5 e il 10% della resa“.

“Anche se è prematuro affermarlo con certezza – commenta Giovanni Ponchia – possiamo pensare che questa sarà un’annata ottimale per le varietà tardive. L’assenza di grandine e le piogge degli ultimi giorni, che hanno ripristinato le riserve idriche di entrambi i territori, ci fanno ben sperare in una raccolta favorevole, che potrebbe iniziare con una decina di giorni di anticipo per i vitigni autoctoni simbolo dei due Consorzi, il Tai Rosso per i Colli Berici e la Garganega per il Gambellara”.

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Consorzio Vini Montefalco, Gianluca Piernera nel Cda per la Spoleto Doc

MONTEFALCO – Novità per il Consorzio Tutela Vini Montefalco. Gianluca Piernera entra nel Cda in rappresentanza della Spoleto Doc. “L’ingresso nel Consiglio di amministrazione del titolare di Cantina Ninni vuole essere un segnale importante di rappresentatività e di attenzione da parte del Consorzio per la Spoleto Doc, che da luglio scorso si è aggiunta alle denominazioni rappresentate e tutelate dal Consorzio Tutela Vini Montefalco”, spiga l’ente.

“L’obiettivo – continua il Consorzio umbro – è quello di sviluppare strategie comuni per la tutela e la promozione dei vini ottenuti da Sagrantino e Trebbiano Spoletino, accomunati da una indiscussa personalità ed una straordinaria longevità, oltre che da un territorio unico al mondo per storia, cultura, paesaggio, vocato a grandi bianchi oltre che a grandi rossi, che vanta varietà autoctone di grande valore, con un paniere molto eterogeneo e sempre più interessante”.

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Covid-19, Busi invita alla mobilitazione: “Fra pochi mesi 40% Toscana in vendita”

Dopo l’Alleanza delle cooperative vinicole è il Consorzio Vino Chianti a lanciare da Firenze – in occasione dell’assemblea dei soci – un disperato appello al governo italiano, in merito alle conseguenze di Covid-19 e del lockdown sul settore vitivinicolo. L’invito è quello alla mobilitazione. “Il tempo è finito – attacca il presidente Giovanni Busi – e non c’è più possibilità di andare avanti. Se si continua così, senza alcun sostegno, nei prossimi mesi il 40% della Toscana sarà in vendita”.

“È arrivato il momento di mobilitare tutto il mondo del vino toscano – ha aggiunto Busi – per farci ascoltare. In questa fase non possiamo permetterci il lusso di restare ancorati ai soliti campanili. Per la Toscana il mondo del vino rappresenta una componente imprescindibile per il rilancio dell’economia regionale”.

Le aziende chiuderanno e diventerà il più grande boomerang mai visto prima dal punto di vista patrimoniale. E questo coinvolgerà tutti. Chiuderanno aziende grandi e piccole, blasonate o meno. Ci rimetterà tutta la regione senza alcuna possibilità di tornare indietro”.

“Siamo rimasti soli – denuncia ancora il presidente del Consorzio Vino Chianti – nonostante gli annunci del Governo le nostre aziende stanno cercando di superare questa crisi senza precedenti facendo affidamento esclusivamente sulle proprie forze”.

Noi imprenditori agricoli siamo abituati alla sofferenze e ai sacrifici: ogni anno la nostra produzione dipende dalle condizioni climatiche che nel giro di qualche giorno, senza preavviso, possono compromettere le nostre colture e la stabilità dell’azienda. In un momento come questo però non ci aspettavamo che la distanza fra i problemi delle imprese e le Istituzioni fosse così abissale”.

In questo quadro dominato dall’incertezza, non è ancora chiaro quali saranno le fiere che riprenderanno. “Non sappiamo ancora quando potremo ripartire con la nostra attività promozionale – ha spiegato Busi – un capitolo fondamentale per l’export che fino ad oggi rappresentava il 70% del nostro mercato“.

“È evidente che se non dovessero ripartire in Europa e nel mondo i grandi eventi legati al mondo del vino, rischiamo di veder compromesse le nostre vendite, già duramente colpite dalla chiusura del canale Horeca in questi mesi”, ha concluso Busi.

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Pinot grigio, alleanza Venezie e Triveneto per controllo domanda-offerta

Secondo solo al Prosecco. Il Pinot grigio Doc delle Venezie esce “indenne” dal lockdown, almeno sul fronte degli imbottigliamenti. Il dato di fine maggio segna un +0,39% sul 2019 e convince il Consorzio a guardare con attenzione alla vendemmia 2020 – che si preannuncia in calo del 15% rispetto al 2019 – convocando un tavolo per un’alleanza d’intenti con i produttori del Triveneto. Tra le misure al vaglio, la riduzione della resa a 150 quintali per ettaro e l’attivazione dello stoccaggio amministrativo.

L’obiettivo, più in generale, sarà “condividere misure di gestione coordinata del potenziale produttivo che mantengano in equilibrio l’offerta e garantiscano la tenuta del valore del Pinot grigio del Nordest”. Si tratta infatti del primo vino bianco fermo dell’export italiano.

Così Albino Armani, presidente del Consorzio delle Venezie: “L’ultimo Consiglio di Amministrazione del Consorzio ha ribadito la necessità di tenere aperto un tavolo permanente di confronto del Pinot grigio del Triveneto che rappresenta più dell’80% del totale Italiano”.

“Dobbiamo favorire una gestione programmatica e condivisa nell’areale vitato del Nordest con modalità che ci auguriamo, in un prossimo futuro, di poter estendere anche ai produttori delle altre regioni italiane”.

Abbiamo lavorato con i rappresentanti delle Doc trivenete arrivando a una visione collegiale e quindi alla proposta di misure concrete di gestione a livello territoriale sulle singole denominazioni in vista della vendemmia 2020, volte al mantenimento del valore del Pinot grigio”.

“Questa alleanza – continua Armani – rappresenta un passo importante per la tutela del valore della filiera del Pinot grigio: un atteggiamento di collegialità territoriale che, si spera, possa diventare presto un esempio per l’applicazione di sistemi alternativi di tracciabilità sull’intero sistema Pinot grigio Italia, che oggi raggiunge il 43% della varietà nel mondo”.

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Barolo e Barbaresco, riserva vendemmiale 2020 al 10% e taglio di 70 mila ettolitri

Il Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani intende introdurre una riserva vendemmiale pari al 10% della produzione massima di uva ammessa per le Docg Barolo e Barbaresco, per la vendemmia 2020. L’ente deciderà come destinare la “scorta” in base all’andamento del mercato, entro il 1° gennaio 2024 per il Barolo e il 1° gennaio 2023 per il Barbaresco, prime date utili per l’immissione al consumo dei due vini.

La misura, come sottolinea il Consorzio di Tutela, sarà sottoposta al parere delle aziende associate nell’assemblea ordinaria che sarà convocata prima della nuova vendemmia. L’obiettivo è quello di “rafforzare le misure a tutela delle denominazioni Barolo e Barbaresco”.

Il Consiglio di Amministrazione ha inoltre deciso di ridurre la quantità di vino non destinato alle Dop, modificando la destinazione degli esuberi di produzione di tutte le denominazioni, ad eccezione di Verduno Pelaverga Doc e Dogliani Docg.

Gli esuberi di produzione verranno quindi ridotti rispetto all’attuale 20% della resa a ettaro al 5%, con il restante 15% obbligatoriamente destinato ad usi alternativi, come la distillazione. Questo provvedimento consentirà di eliminare potenzialmente circa 70 mila ettolitri dal mercato, valorizzando le produzioni di qualità.

La resa di uva a ettaro delle Denominazione di Origine tutelate dal Consorzio infatti è tra le più basse in Italia e un’ulteriore eliminazione di eventuali esuberi di produzione, secondo l’ente, “contribuirà ad aumentarne il potenziale qualitativo, nel pieno rispetto della filosofia produttiva che il mercato ci riconosce da tempo”.

“Abbiamo volutamente atteso e riflettuto sulla situazione attuale prima di prendere dei provvedimenti – commenta il presidente del Consorzio Matteo Ascheri – per evitare di intervenire in modo affrettato. Abbiamo osservato con attenzione i dati dei primi mesi del 2020, che ci permettono un cauto ottimismo anche alla luce della recente ripartenza delle attività”.

Siamo ovviamente pronti a intervenire con ulteriori misure, se fosse necessario nei prossimi mesi. Il nostro obiettivo era e rimane la valorizzazione e la promozione delle nostre denominazioni attraverso strategie differenziate e mirate”.

Strategie che il Consorzio ha inizialmente messo in campo un anno fa, attraverso il blocco triennale degli impianti di nuovi vigneti destinati alla produzione di Barolo e ha rafforzato con una massiccia promozione sui mercati internazionali.

Sono inoltre in fase di studio e realizzazione alcuni progetti strettamente legati alla tutela del territorio e alla sostenibilità in ambito fitosanitario, con l’obiettivo di ottenere una fotografia reale della situazione nei vigneti e in cantina, oltre a un piano che punta a ottimizzare la movimentazione delle merci all’interno dell’areale Unesco.

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Giacomo Pondini nuovo direttore del Consorzio dell’Asti e del Moscato d’Asti Docg

Giacomo Pondini, 44 anni, toscano, è il nuovo direttore del Consorzio dell’Asti e del Moscato d’Asti Docg. Proviene dal Consorzio del Brunello di Montalcino di cui è stato direttore dal 2015 e succede a Giorgio Bosticco. In Toscana, a ricoprire il ruolo lasciato vacante sarà Michele Fontana.

“Eravamo alla ricerca di una persona in perfetta sintonia con il mondo del vino – commenta presidente del Consorzio, Romano Dogliotti – e, nello stesso tempo, in possesso di una preparazione di profilo internazionale, in grado di rispondere adeguatamente alle sfide che la nostra denominazione deve affrontare. Il dottor Giacomo Pondini ha queste caratteristiche per formazione accademica, professionale e umana. Sono certo che insieme faremo un eccellente lavoro in modo da conferire al Consorzio la guida che gli compete”.

Arrivare alla direzione del Consorzio dell’Asti e del Moscato d’Asti docg è un’opportunità di crescita professionale e umana” è il primo commento di Giacomo Pondini, che aggiunge: “Da parte mia, come sanno gli esponenti del Consorzio con cui ho avuto modo di confrontarmi in queste settimane, posso assicurare il massimo impegno per far crescere e tutelare una denominazione storica e importante non solo per il Piemonte, ma per l’Italia del vino nel suo complesso”.

Con un percorso formativo fortemente indirizzato al contesto internazionale (laurea in Scienze Politiche con indirizzo internazionale conseguita all’Università di Siena e un Master in Carriere diplomatiche e Organizzazioni internazionali all’Università di Parma), dopo un incarico nell’aerea commerciale presso l’Ambasciata italiana in Namibia all’inizio degli anni Duemila, Pondini è entrato nel mondo dell’enogastronomia ricoprendo vari ruoli in aziende vitivinicole nella zona del Chianti per poi approdare al Consorzio del Morellino e, in seguito, a quello del Brunello.

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Michele Fontana è il nuovo Direttore de Consorzio del Brunello

Michele Fontana sarà il nuovo direttore del Consorzio del Vino Brunello di Montalcino. Direttore amministrativo dell’azienda Castello di Meleto e con un’esperienza nel Consorzio del Vino Chianti Classico, Fontana assumerà l’incarico da luglio, raccogliendo il testimone da Giacomo Pondini, in carica dal 1° gennaio 2016 e nuovo direttore del Consorzio dell’Asti e del Moscato d’Asti Docg.

“Nel dare il benvenuto al nuovo direttore, siamo certi di inaugurare una collaborazione costruttiva in un momento di forte incertezza per tutto il settore – ha detto Fabrizio Bindocci, presidente del Consorzio -. Ci attendono sicuramente tempi sfidanti ma anche di positiva prospettiva per Montalcino e per la denominazione.

“A nome di tutto il Cda del Consorzio e delle aziende, ringrazio Giacomo Pondini – ha concluso Bindocci – per l’attività svolta fin qui, per il costante impegno e per i risultati conseguiti sotto la sua direzione”.

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Morellino di Scansano, il vino dei quarantenni: lo dice una ricerca Wine Intelligence

È tra i vini italiani più acquistati, piace soprattutto nel Centro Nord del Paese e sempre di più tra i quarantenni. Sono alcune delle caratteristiche di chi consuma abitualmente Morellino di Scansano Docg in Italia, secondo una ricerca condotta da Wine Intelligence.

Nei primi mesi del 2020, l’agenzia ha monitorato i comportamenti di acquisto dei consumatori regolari di vino in Italia, pari a circa 28 milioni di italiani. L’indagine, che sarà pubblicata nei prossimi giorni nel report “Italy Landcapes 2020“, ha preso in esame anche le prospettive del consumo di vino in Italia a seguito del Covid-19.

Il Morellino di Scansano Docg, oltre a essere tra le denominazioni più conosciute in Italia ha anche un “alto tasso di conversione in acquisto”: più di 3 conoscitori del vino maremmano su 10 lo cercano e acquistano.

“È un dato certamente molto positivo quest’ultimo e per noi un buon punto di partenza – commenta Alessio Durazzi, direttore del Consorzio di Tutela – se consideriamo che in questa classifica troviamo denominazioni che producono quantitativi decisamente superiori rispetto alla nostra”.

La ricerca ha consentito anche di stabilire il profilo di chi, tra i consumatori regolari di vino in Italia, conosce il Morellino di Scansano Docg: risiede soprattutto nel Centro Nord Italia ed è sempre più amato tra i consumatori che hanno un’età compresa tra i 34 e i 44 anni.

Per quanto riguarda i canali di vendita, il Morellino di Scansano è conosciuto e acquistato sia nella grande distribuzione organizzata, in particolar modo nei supermercati, ma anche nei negozi specializzati e – in misura superiore alla media – direttamente nelle aziende vinicole, un canale sempre più amato dagli appassionati di Morellino di Scansano Docg.

“È un vino in grado di intercettare target di consumatori abbastanza trasversali – commenta il presidente del Consorzio, Rossano Teglielli – Dalla ricerca è emersa anche la crescente importanza del canale e-commerce: un indicatore che certifica il cambiamento dei consumi in atto, amplificato ancor di più in quest’ultimo periodo afflitto dalla pandemia da Covid-19″.

Emerge infine, come il consumatore di Morellino di Scansano dedichi un’attenzione superiore alla media al tema del biologico, oltre ad altri aspetti correlati alla sostenibilità. Tra coloro che hanno acquistato il Morellino di Scansano, infatti, oltre il 30% manifesta una particolare attenzione per i vini biologici, contro un 21% di media.

“Sono indicazioni certamente utili a tutta la base produttiva della nostra denominazione per comprendere che percezione del Morellino di Scansano ha un consumatore, che già ama il vino e lo cerca”, aggiunge il dirrettore del Consorzio, Alessio Durazzi (nella foto, sopra).

“Stiamo attraversando un momento storico di grande trasformazione – conclude – e chi produce vino, in particolare chi appartiene ad una denominazione così identitaria come la nostra, deve avere gli strumenti per poter interpretare cosa sta succedendo e poter ipotizzare le decisioni da prendere nel prossimo futuro”.

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Gilda Fugazza è la nuova presidente del Consorzio Vini Oltrepò pavese

Gilda Fugazza è la nuova presidente del Consorzio Tutela Vini Oltrepò pavese. Cinquantadue anni, una laurea in Economia e Commercio alla Bocconi, appartiene a una famiglia del vino attiva da almeno tre generazioni tra Lombardia e Emilia, nel comune di San Damiano al Colle. Succede a Luigi Gatti, sfiduciato dal Cda.

Fa parte del Consiglio di Amministrazione del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese da luglio 2019, ma “partecipa alle attività del Consorzio da sempre e a quelle del Distretto dei Vini di Qualità dal 2012”, tiene a precisare.

“Inizia da qui un percorso di squadra – commenta Fugazza – ci tengo a sottolinearlo, molto pragmatico e molto intenso. Le cose da fare sono molte e sono loro che devono parlare del Territorio per il Territorio”.

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Ruenza Santandrea è la prima presidente donna del Consorzio Vini di Romagna

Ruenza Santandrea è stata eletta all’unanimità nuovo presidente del Consorzio Vini di Romagna. Lo ha stabilito mercoledì 27 maggio l’assemblea annuale dei soci, riunitasi per il rinnovo delle cariche per il triennio 2020-2022. Santandrea, prima presidente donna nella storia del Consorzio Vini di Romagna, in 58 anni dell’ente. Succede a Giordano Zinzani, che lascia dopo quattro mandati triennali consecutivi.

“Consapevole di andare a ricoprire questo importante ruolo in un momento storico decisamente complicato per il vino romagnolo, e non solo – dichiara la neo presidente – spero nell’impegno di tutti per dare nuovo slancio al nostro settore”.

Tutti possono fornire il proprio contributo e assieme dobbiamo iniziare a ragionare, da subito, su quali azioni e quali strategie mettere in campo per promuovere i nostri vini, figli di un territorio ricco di cultura, tradizioni, gastronomia. Ringrazio quindi per la fiducia espressa dal CdA nei miei confronti e adesso al lavoro, uniti e compatti. Solo così riusciremo a valorizzare i nostri prodotti, ben oltre il Covid-19″.

Ad affiancare la Santandrea nei lavori del Consorzio Vini di Romagna saranno i riconfermati Vice Presidenti Scipione Giuliani (Poderi dal Nespoli, Civitella di Romagna) e Mauro Sirri (Celli, Bertinoro) e il nuovo Consiglio d’Amministrazione.

Gli eletti sono Francesco Bordini (Villa Papiano, Modigliana), Silvia Casali (Tenuta Casali, Mercato Saraceno), Fabio Castellari (Cantina di Faenza, Faenza), Andrea Achille Emiliani (Agrintesa, Faenza),  Riccardo Maraldi (Caviro, Faenza), Roberto Monti (Cantina Forlì-Predappio, Forlì), Alessandro Morini (Poderi Morini, Faenza), Marco Nannetti (Terre Cevico, Lugo), David Navacchia (Tre Monti, Imola).

E ancora: Alberto Perdisa (Insia – Palazzona di Maggio, Ozzano dell’Emilia), Enrico Prugnoli (Cantina Sociale di Cesena, Cesena), Daniele Rossi (Cantina dei Colli Romagnoli, Faenza), Sandro Santini (Tenuta Santini, Coriano), Roberto Sarti (Caviro, Faenza), Matteo Vingione (Cavim, Sasso Morelli).

Faentina, classe 1954, sposata, con due figli e due nipoti, Ruenza Santandrea prima di ricoprire il ruolo di Presidente del Gruppo Cevico e delle società controllate dal 2005 al 2017, svolgeva attività professionale soprattutto come consulente di direzione e di sindaco revisore, collaborando alla costituzione di importanti consorzi del mondo produttivo.

Durante la presidenza di Cevico, è anche responsabile del settore vino nazionale dell’Alleanza delle Cooperative, lanciando Vivite, il festival del vino cooperativo, e promuovendo il coordinamento europeo cooperativo del vino con francesi e spagnoli.

Ha partecipato al gruppo dei cinque esperti che hanno lavorato per il Ministero dell’Agricoltura alla realizzazione del padiglione vino di Expo Milano 2015. Inoltre, ha ricoperto diversi ruoli in associazioni di sindacati d’impresa, sia a livello territoriale sia nazionale.

Dopo aver lasciato la presidenza di Cevico al termine del quarto mandato e gli incarichi collegati sia a livello societario sia sindacale, ha ricoperto il ruolo di presidente di “Bolè srl“, società nata per produrre e lanciare lo spumante ottenuto da Romagna Trebbiano Doc, incarico tutt’ora in corso.

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Prosecco rosé da Brut Nature a Extra Dry: via libera al matrimonio Glera Pinot Nero

Via libera ufficiale al tanto discusso Prosecco rosé, col vitigno a bacca rossa Pinot Nero che andrà a colorare di rosa la bianca Glera, l’uva tradizionalmente utilizzata per produrre lo spumante tipico del Veneto e del Friuli Venezia Giulia. Il Comitato Nazionale Vini del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali ha approvato ieri, 20 maggio 2020, la proposta di modifica del disciplinare di produzione della Doc Prosecco per l’introduzione della tipologia Prosecco Rosé, che non riguarda dunque la Docg Conegliano Valdobbiadene.

“A tutti coloro i quali hanno contributo all’ottenimento di questo importante risultato va il nostro ringraziamento che, in considerazione del momento che stiamo vivendo, è particolarmente sentito”, ha commentato il presidente del Consorzio di tutela della Doc Prosecco, Stefano Zanette.

Ora si attende la pubblicazione del provvedimento sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana e l’entrata in vigore del successivo Decreto Ministeriale. Un provvedimento che ufficializzerà la modifica a livello nazionale, avviando l’iter comunitario che culminerà con la definitiva pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea.

Sono state rese note al contempo le specifiche del Prosecco Doc Rosé. Gli spumanti di questa tipologia dovranno essere prodotti con uve Glera, cui potrà essere addizionata una percentuale tra il 10% e il 15% di Pinot Nero.

La resa per ettaro è stabilita in 18 tonnellate per la varietà Glera e 13,5 tonnellate ettaro per la varietà Pinot Nero. La fermentazione in autoclave col metodo Martinotti (Charmat) dovrà portrarsi per minimo 60 giorni.

Le vendite saranno possibili dal 1° gennaio dopo la vendemmia. Quanto alle caratteristiche organolettiche, per passare all’esame della commissione di degustazione il colore del Prosecco Doc Rosé dovrà essere “rosa più o meno intenso, brillante” e la spuma “persistente”.

Il residuo zuccherino stabilito varia dal Brut Nature a Extra Dry. L’etichetta del Prosecco Doc rosé dovrà riportare l’indicazione “Millesimato“, con il relativo anno, con l’obbligo di utilizzo di un minimo dell’85% delle uve dell’annata. Il Consorzio stima una produzione di circa 20 milioni di bottiglie, che si andranno ad aggiungere ai 460 milioni della Denominazione.

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Enoturismo

Consorzio Tutela Provolone Valpadana: Libero Stradiotti confermato presidente

Libero G. Stradiotti in qualità di Presidente, Alberto Auricchio vice Presidente e Valter B. Giacomelli, consigliere Tesoriere. Si è tenuto nei giorni scorsi il Consiglio di Amministrazione del Consorzio Tutela Provolone Valpadana che ha confermato all’unanimità le sue massime cariche.

Gli amministratori hanno così inteso mantenere la continuità in un periodo particolarmente difficile, con la necessità di offrire le migliori prospettive per il futuro prossimo. Il Consiglio, infatti, ha ritenuto di procedere con una programmazione che comprenda il prossimo triennio di attività, sia sul mercato interno che all’estero.

Nel nuovo corso, sarà dato ampio spazio alla “realizzazione di iniziative specifiche in Italia che porteranno non solo ad utilizzare i media tradizionali ma, compatibilmente con l’evolversi della situazione sanitaria, a riprendere il dialogo diretto con il consumatore, sia con incontri mirati che attraverso il potenziamento dei canali social”.

Per quanto riguarda l’estero, il Consorzio intende riprendere la comunicazione sul mercato australiano che, sulla base delle più recenti indicazioni, può rappresentare, per le aziende associate, un interessante sviluppo per l’export del Provolone Valpadana.

“Tutto questo senza trascurare le attività già pianificate – annuncia l’ente – che vedono il Consorzio protagonista in Europa con il progetto Eeqf, di cui è capofila con altri Consorzi partner ed in Italia con un’attenta campagna di informazione che privilegia gli strumenti digitali ed il mondo del web”.

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Disciplinare Doc Maremma, cambiano gli uvaggi. Bianco e Rosso anche “Riserva”

Manca solo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale per la modifica del disciplinare della Doc Maremma Toscana, approvata dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali tramite il Comitato Nazionale Vini. Un iter durato 4 anni, utile al passaggio dalla preesistente Igt alla Doc.

Non solo: cambiano gli uvaggi per la produzione delle tipologie Rosso e Bianco Doc Maremma Toscana e viene inserita la menzione Riserva per entrambe le tipologie. Inoltre, primo caso in Toscana per vini Dop, i produttori avranno la possibilità di utilizzare in etichetta l’indicazione di due varietà (tipologie “Bivarietali”), molto richieste soprattutto sui mercati esteri.

Francesco Mazzei (nella foto sotto) presidente del Consorzio Tutela Vini della Maremma Toscana, sottolinea l’importanza strategica di questa modifica che “consentirà alla Denominazione di crescere e di ampliare il raggio d’azione presentandosi sui mercati con una proposta ancora più ampia e articolata che andrà a raggiungere nuove punte di qualità“.

“Il percorso per l’approvazione ministeriale di questa modifica è quasi giunto al termine – aggiunge Mazzei – e ora bisognerà aspettare che decorrano i tempi tecnici dalla pubblicazione della modifica in Gazzetta Ufficiale. È stato un percorso lungo e delicato, ma grazie alla determinazione del Consorzio e alla sinergia delle istituzioni siamo riusciti ad arrivare a questo traguardo che apre nuove interessanti prospettive“.

Il Direttore del Consorzio, Luca Pollini spiega che “le modifiche più rilevanti del disciplinare di produzione della Doc Maremma Toscana contenute nella proposta da noi presentata ormai quasi 4 anni fa riguardano, innanzitutto, la nuova formulazione della base ampelografica”.

In particolare, per la produzione della tipologia Rosso per la quale potranno essere utilizzate – da sole o congiuntamente e per un minimo del 60% – Sangiovese, Cabernet Sauvignon, Cabernet franc, Merlot, Syrah e Ciliegiolo.

Mentre per la produzione del Bianco Doc Maremma Tosacana, accanto a Vermentino e Trebbiano toscano, sarà possibile utilizzare anche il Viognier da solo o congiuntamente alle altre due varietà, per almeno il 60%.

“In un’ottica di innalzamento del livello qualitativo della proposta è stata anche inserita la menzione ‘Riserva’ sia per la tipologia Bianco, con invecchiamento non inferiore a 12 mesi, sia per il Rosso. In questo caso, l’affinamento obbligatorio sale a due anni, di cui almeno 6 mesi in recipienti di legno”, precisa Pollini.

“Per rimarcare ulteriormente il valore del prodotto – aggiunge il direttore del Consorzio Tutela Vini della Maremma Toscana – sono state aggiunte prescrizioni specifiche per la viticoltura, aumentando la densità minima di ceppi per ettaro e vietando sistemi di allevamento tipo tendone, non ritenuto idoneo alla produzione di uve di qualità”.

Resta invece invariata la possibilità di produrre le tipologie varietali, tra le quali spicca il Vermentino, in forte crescita. Sono stati anzi inseriti Cabernet franc, Petit Verdot e Pugnitello.

Sono 279 le aziende associate al Consorzio Tutela Vini della Maremma Toscana, di cui 91 “verticali”, ovvero in grado di vinificare le proprie uve e imbottigliare i propri vini, per un totale di quasi 6 milioni di bottiglie prodotte all’anno.

Il Consorzio opera nell’intera provincia di Grosseto, una vasta area nel sud della Toscana che si estende dalle pendici del Monte Amiata e raggiunge la costa maremmana e l’Argentario fino all’isola del Giglio. La Doc Maremma Toscana è al terzo posto per superficie vitata rivendicata tra le Dop toscane, dietro soltanto al Chianti e al Chianti Classico.

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Sicilia en Primeur 2020, Planeta: “Siamo l’isola del vino sostenibile nel Mediterraneo”

Il futuro del vino della Sicilia? Sempre più legato alla sostenibilità. Una questione fisiologica, dovuta alle particolari condizioni microclimatiche, che rendono pressoché naturale la coltivazione in regime biologico. “Siamo l’isola del vino sostenibile, al centro del Mediterraneo“, ha detto non a caso il presidente di Assovini Alessio Planeta, nel presentare l’edizione digitale di Sicilia en Primeur 2020, alle 15 odierne sulla piattaforma Zoom.

Collegati da tutto il mondo circa 200 professionisti del settore, tra stampa e addetti al lavoro, per fare il punto sulla vendemmia 2019. Una raccolta che incastona la Sicilia nell’olimpo della viticoltura biologica del Paese. Non solo: l’isola ha la più vasta superficie di viticoltura di montagna in Italia, dopo il Trentino Alto Adige. Ed è la prima regione per viticoltura di collina, seguita da Toscana e Piemonte.

Con il 34% della superficie viticola biologica, a fronte di un totale ormai prossimo ai 110 mila ettari di vigneto bio italiano, la Sicilia conferma la propria leadership sul fronte della sostenibilità. Seconda regione è infatti la Puglia, col 16%: la metà. Un dato che consente alla Trinacria di risparmiare, ogni anno, 750 tonnellate di rame per i trattamenti.

“Nell’ambito della Doc Sicilia – ha sottolineato Antonio Rallo, presidente del Consorzio Doc Sicilia – sono state prodotte 95 milioni bottiglie, il 19% in più rispetto al 2018. Il Nero d’Avola guida la crescita, col +27%, seguita dallo Zibibbo,  con il +17%”.

“Ma quello che ci preme sottolineare è il +11% della menzione Sicilia da parte delle Doc territoriali: un obiettivo che ci eravamo prefissati nel 2012, quando abbiamo dato vita alla Doc Sicilia”, ha aggunto Rallo. Una Denominazione capace, tra l’altro, di reggere il colpo di Covid-19, con un -11% medio “da considerare prezioso, a fronte di un trend nazionale che si assesta sul -35/40%”.

A Mattia Filippi di Uvasapiens il compito di presentare – anche in questa edizione digitale di Sicilia en Primeur – le caratteristiche della vendemmia 2019, nell’ambito del report “L’importanza di essere Isola”. La produzione si è assestata sui 430 milioni di litri, in un trend stabile negli ultimi 5 anni.

La vendemmia 2019, assieme alla 2014 e alla 2011, ha registrato le quantità più basse rispetto alla media degli ultimi 11 anni, con un -13% rispetto alla media delle altre regioni. Le condizioni meteo hanno fatto da spalla ai produttori di vino siciliano.

“Grazie alle condizioni favorevoli del Mediterraneo – ha commentato Mattia Filippi – il climate change, non ha condizionato l’isola dal punto di vista delle temperatura. Basti pensare che, a giugno, le temperature registrate nel Sud Italia erano simili a quelle delle zone alpine e dei Balcani, più basse rispetto media europea”.

Che vini aspettarsi, dunque? La vendemmia 2019, secondo le anticipazioni dei tecnici del Consorzio Doc Sicilia, darà vini bianchi e rossi non eccessivamente alcolici, ma molto ricchi in termini di profumi, freschezza, corpo e struttura.

Ottimi i livelli di polifenoli in tutte le zone di produzione del Nero d’Avola, con medie di 7 tonnellate per ettaro. Bene anche Grillo e Catarrato (Lucido), in un’annata definita senza mezzi termini “eccezionale”. Un discorso che vale anche per l’Etna, dove il Nerello Mascalese è maturato in condizioni microclimatiche pressoché perfette.

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Coronavirus, Consorzio Vini Frascati bacchetta Governo: “Dobbiamo fare presto”

Dobbiamo fare presto. Il comparto vitivinicolo ha bisogno al più presto di strumenti economici concreti per poter contenere le ingenti perdite subite finora e poter impostare la ripresa”. Così Felice Gasperini, presidente del Consorzio Vini Frascati, nel commentare il difficile momento del vino italiano al cospetto dell’emergenza Coronavirus. Il numero uno dell’ente laziale indica “vendemmia verde parziale e distillazione volontaria quali strumenti per salvare l’annata 2020, utili soprattutto per le piccole aziende vitivinicole”.

“Sono queste realtà – ricorda Gasperini – che salvaguardano i paesaggi storici e impediscono lo spopolamento dei territori e l’urbanizzazione. Attendiamo le risposte del Governo nazionale e regionale”.

La posizione del Consorzio Tutela Denominazione Vini Frascati, uno dei primi a nascere in Italia, è già sul tavolo del Ministero delle Politiche Agricole, espressa tramite Federdoc. Tra le misure richieste, la cancellazione dell’Imu 2020 per i fabbricati legati alla filiera vitivinicola.

Chiesta poi la “tutela dei crediti legati al canale Horeca, con particolare attenzione ai crediti dei clienti che chiuderanno l’attività, e la restituzione dei prestiti per liquidità a 20 anni, con almeno 2 anni di preammortamento”.

“Infine – sottolinea Gasperini – sarebbe fondamentale la sospensione, per tre anni, dei pignoramenti sui fabbricati dei terreni agricoli, sulle macchine e le attrezzature strumentali che servono in villa e in cantina”. L’ente ha pensato anche ad alcune misure locali, auspicando l’intervento di Regione Lazio.

In particolar è stata chiesta la riduzione del 20% delle rese per ettaro su tutto il territorio regionale. Una misura valida per i vini Doc, Docg, Igt e per il vino da tavola. Il Consorzio ha chiesto inoltre lo stanziamento di fondi aggiuntivi per sostenere la vendemmia verde nei vigneti iscritti a Doc e Docg.

Medesima richiesta riferita alla distillazione dei vini atti a divenire Doc e Docg, con riferimento ai prezzi di mercato. “Inoltre, sempre a livello regionale – aggiunge il presidente Felice Gasperini – sarebbe importante conservare il bonus di 3 mila euro anche per chi estirpa e non reimpianta subito il vigneto”.

“Sarebbe una misura di tutela dei territori e un incentivo ad investire se anche per due anni di seguito i vigneti non fossero messi a coltura. Infine, servirebbe anche aumentare i finanziamenti sul vino e sui vigneti, per finanziare le domande di impianto di nuovi insediamenti”, sostiene il numero uno del Consorzio Vini Frascati.

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Analisi e Tendenze Vino

Il contrassegno di Stato traina le vendite del Montepulciano d’Abruzzo

L’introduzione del contrassegno di Stato, avvenuta nel dicembre 2018, traina le vendite del Montepulciano d’Abruzzo. È quanto emerge da un’analisi del Consorzio di Tutela vini d’Abruzzo, che considera dunque la scelta “strategica”.

“La cosiddetta ‘fascetta‘ apposta alle bottiglie – commenta Valentino Di Campli, presidente dell’ente abruzzese – è un importante simbolo di garanzia per produttore e consumatore, che accresce la credibilità e la garanzia dei prodotti oltre all’affidabilità di tutta la filiera”.

“Abbiamo voluto muoverci in questa direzione – continua Di Campli – in virtù di un principio di tutela e di trasparenza che dalla vigna arriva alla bottiglia. Le fascette sono per noi uno strumento fondamentale anche per verificare i dati della produzione e quindi avviare adeguate politiche di programmazione”.

La 2019 è stata un’ottima annata per i vini dell’Abruzzo. L’incremento a doppia cifra dell’imbottigliato del Montepulciano d’Abruzzo (+12% – con 800.000 hl), conferma il noto vino rosso nel ruolo di leader della produzione della regione.

Un trend positivo, quello del Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo, anche nel primo trimestre 2020, con un +10% per il Montepulciano d’Abruzzo e più in generale un +6% sull’imbottigliato totale dei vini abruzzesi. Un messaggio di speranza in un momento difficile per il comparto.

“Molte cantine legate al canale Horeca (hotel, ristoranti e bar), stanno soffrendo non poco – sottolinea Di Campli – altre, più strutturate e legate alla grande distribuzione organizzata (Gdo), continuano a lavorare pur tra mille difficoltà. Tante aziende stanno investendo nelle vendite online. Alternativa non di certo risolutiva, ma che serve per andare avanti nonostante l’attuale chiusura del canale Horeca”.

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Gli Editoriali news news ed eventi

Il Moscato d’Asti e lo strano “caso” del nuovo ambassador Alessandro Borghese

EDITORIALE – Con un mail firmata il 7 aprile dal presidente Romano Dogliotti, il Consorzio per la tutela dell’Asti Docg minacciava WineMag.it – e, in particolare, il sottoscritto, in qualità di direttore responsabile ed editore – di ritenere la testata “direttamente responsabile, unitamente alle fonti, ove esistenti”, degli eventuali “danni” arrecati all’ente per l’articolo dal titolo “Chef Borghese e promozione del Moscato: 4,5 milioni di euro che ‘pesano’ su Covid-19″, reperibile a questo link.

“Il nostro Consorzio – scriveva Dogliotti – sta conducendo trattative, volte ad individuare un ‘testimonial’ della denominazione, coperte da riservatezza, per cui ben comprenderete che la divulgazione, non autorizzata, di qualsivoglia nominativo si traduce in possibili danni per il nostro ente e per quanti da tempo si stanno impegnando nella progettualità promozionale e di gestione della denominazione, sia in termini di immagine che di correttezza contrattuale“.

Qualche considerazione è d’obbligo, nella giornata in cui il Consorzio per la Tutela dell’Asti ha, in sostanza, smentito se stesso. Abbiamo ricevuto di fatto, qualche minuto fa, la comunicazione ufficiale che Alessandro Borghese “è diventato l’ambassador per tutte le attività di promozione e valorizzazione della denominazione”.

Incredibile, dunque, come in tempo record (appena 17 giorni da quella mail in cui si chiedeva a WineMag.it di smentire la notizia pubblicata e peraltro ai tempi del Covid-19, con tutti i limiti relativi alla comunicazione e agli spostamenti) il Consorzio guidato da Romano Dogliotti abbia proposto a Borghese il ruolo di ambasciatore del Moscato d’Asti e abbia ottenuto, dal noto personaggio televisivo, l’avallo alla promozione della Denominazione.

Se così fosse, si tratta di un record nel record, anche per il trasformismo col quale Borghese passa dalla Birra Leffe ai discount Aldi, per proseguire l’attività di camaleontico testimonial del Moscato piemontese. Chapeau!

Nello specifico, l’articolo di WineMag.it trattava un tema ben più profondo e sensibile, sul quale il Consorzio di tutela – nonostante l’invito del sottoscritto – si è scordato di soffermarsi e di rispondere.

L’articolo finito nel mirino di Dogliotti (e del suo staff, agguerriti avvocati compresi) si riferiva al lancio di una petizione online promossa dall’Associazione Aroma di un Territorio, presieduta dal giovane vignaiolo Simone Cerruti di Castiglione Tinella (CN).

Al momento sono 162 le firme raccolte su Change.org. “L’Associazione Aroma di un Territorio, a nome dei suoi soci e nell’ interesse di TUTTE le aziende agricole di Moscato d’Asti e Asti Docg, su tutta l’area di produzione – si legge sulla petizione – chiede al Consorzio di Tutela dell’ Asti e del Moscato d’ Asti docg la sospensione immediata, per l’anno in corso e per il 2021 delle trattenute destinate alla promozione, attualmente fissate nell’ importo di 250 euro/ha circa, che dovranno poi essere ridiscusse a scadenza del termine”.

“Tale importo, per le aziende agricole impegnate nella coltivazione di Moscato, in considerazione del periodo di crisi attuale e soprattutto di quello venturo, aggrava la situazione di incertezza economica che certamente si presenterà in termini di reddito”.

“L’Associazione ritiene pertanto doverosa la sospensione richiesta, al fine di garantire la sopravvivenza delle aziende che si preparano ad affrontare un periodo di grandi sacrifici, tali da rendere indispensabili tutte le risorse disponibili”, si legge infine sulla petizione dell’Associazione Aroma di un Territorio.

Molto più di una sterile polemica, quella lanciata da WineMag.it, non crede presidente Dogliotti? In ogni caso auguro al Moscato (di qualità) tutto il bene del mondo. Ricordando però che, stavolta, saranno consumatori (e lettori) a “confermare o ribaltare il giudizio“. Cin, cin!

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Analisi e Tendenze Vino

Soave: “Da studio fertilità delle gemme una migliore gestione della Denominazione”

SOAVE – Scoprire in anticipo la fertilità delle gemme nel vigneto, per intervenire con potature “in grado di regolare la produzione secondo le esigenze di mercato e a tutela del reddito aziendale“. Questa l’ultima sfida del Consorzio del Soave, che ha presentato al Ministero delle Politiche Agricole i risultati di uno studio che consente “una più attenta gestione della Denominazione, anche in prospettiva delle sfide dell’attuale emergenza sanitaria”, Covid-19. Unica controindicazione: l’imprevedibilità del meteo.

Nelle gemme sono già custoditi i grappoli della vendemmia successiva e il loro numero varia di anno in anno, a seconda del clima, dell’età del vigneto e della fertilità del terreno stesso”. Le prime stime riguardano proprio la vendemmia 2020.

Secondo quanto riferito dal Consorzio, si prevede “una fertilità inferiore alla media, tra 1,2 e 1,3 (1,7 era stata la fertilità per la vendemmia 2018) e la produzione potrebbe essere ancora condizionata dal meteo nella fase di fioritura della Garganega“.

“Il nostro obiettivo – spiega Aldo Lorenzoni, Direttore del Consorzio del Soave – è quello di fornire al viticoltore strumenti, semplici, a basso impatto economico e efficaci per potere gestire al meglio il vigneto. Dal viticoltore parte la filiera e il suo ruolo e il suo lavoro è quindi fondamentale per potere prendere decisioni strategiche per l’intera denominazione”.

La tecnica su cui si basa la teoria prevede la raccolta, nel primi giorni di ottobre, di 20 tralci rappresentativi nel vigneto oggetto di studio, ovvero quelli che il potatore terrebbe come capo a frutto futuro.

Questi tralci vengono tagliati a talea e fatti germogliare in serra a una temperatura di 25 gradi. Dopo pochi giorni si possono contare i grappolini che si formano, potendo quindi prevedere agli inizi di novembre, prima della potatura, la produzione dell’annata successiva e anche il peso medio dei grappoli.

“Se si vede un potenziale produttivo sopra media – spiega il Consorzio del Soave – il viticoltore saprà che dovrà intervenire con tralci più corti o diradamenti più frequenti”. La sperimentazione, utile a fornire i primi dati ai produttori, è avvenuta in vigneti rappresentativi della denominazione posti in 9 Unità geografiche aggiuntive (Paradiso, Monte di Colognola, Tenda, Zoppega, Fittà, Foscarino, Castelcerino, Campagnola e Roncà – Monte Calvarina) delle cantine Collis Veneto Wine Group, Cantina di Soave e Cantina di Monteforte.

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Asolo Prosecco, vendite in crescita a doppia cifra nel primo trimestre 2020

“Accessibilità e forte radicamento territoriale”. Queste, secondo Ugo Zamperoni, le ragioni per le quali l’Asolo Prosecco ha chiuso il primo trimestre del 2020 con un incremento di vendite del 10,4% rispetto allo stesso periodo del 2019. La più piccola delle tre denominazioni del mondo del Prosecco da gennaio a marzo ha collocato sul mercato 4 milioni di bottiglie contro i 3,6 milioni della chiusura trimestrale dell’anno scorso.

“Ovviamente –  commenta il presidente del Consorzio Asolo Prosecco – alla luce del difficile contesto che stiamo vivendo, restiamo estremamente cauti nella valutazione delle dinamiche commerciali tuttavia i dati della nostra denominazione sembrano sottolineare che il consumatore fa sempre maggiore affidamento sulle caratteristiche tipiche dell’Asolo Prosecco”.

Le stesse che avrebbero consentito di chiudere il 2019 alla storica quota di 17 milioni di bottiglie vendute, con una crescita del 35% rispetto ai 12,6 milioni del 2018. “Insomma, pur con tutta la prudenza del caso, si conferma la crescita della fiducia del mercato nei nostri confronti”, chiosa Zamperoni.

QUI DIECI ASOLO SUPERIORE PROSECCO DA NON PERDERE

Che l’identificazione territoriale sia uno degli elementi cardine dell’Asolo Prosecco lo conferma una ricerca condotta alla fine dello scorso anno da Bva Doxa per conto del Consorzio di tutela, nella quale si evidenzia una sostanziale coincidenza tra la quota di popolazione italiana che conosce la cittadina di Asolo (26%) con quella dei consumatori di spumanti che hanno già avuto occasione di bere l’Asolo Prosecco (22%).

“La crescita della denominazione – sottolinea Zamperoni – ci dice che probabilmente si è avvicinata all’Asolo Prosecco anche una parte di quel 23% di consumatori che avevano affermato di conoscere la nostra denominazione, ma di non averne ancora provato i vini al momento dell’intervista”.

Ben il 72% dei consumatori di Asolo Prosecco pensa che sia “un vino ideale per l’aperitivo”. Un’abitudine che evidentemente non è venuta a mancare neppure tra le mura domestiche nei tempi dell’emergenza Covid-19.

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Chef Borghese e promozione del Moscato: 4,5 milioni di euro che “pesano” su Covid-19

Duecentocinquanta euro a ettaro per le aziende agricole, ovvero i produttori d’uva. Il resto, ce lo mette l’industria. Un esborso troppo gravoso per raggiungere la cifra di 4,5 milioni di euro per la promozione del Moscato d’Asti e dell’Asti Docg, ritenuta necessaria dal Consorzio di Tutela. Le difficoltà del settore, legate all’emergenza Covid-19, rischiano di minare l’ambizioso progetto dell’ente guidato da Romano Dogliotti, che avrebbe pensato allo chef Alessandro Borghese come testimonial.

Un volto noto della tv – non solo per i programmi che conduce, ma anche per la pubblicità di Birra Leffe e dei discount Aldi – da affiancare a un’imponente campagna di affissioni e cartellonistica nell’area di produzione delle due denominazioni.

Oggi, una petizione su Change.org chiede al Consorzio di Tutela dell’Asti e del Moscato d’Asti Docg “la sospensione immediata, per l’anno in corso e per il 2021, delle trattenute destinate alla promozione, attualmente fissate in circa 250 euro a ettaro, che dovranno poi essere ridiscusse a scadenza del termine”.

A firmare la richiesta, “a nome dei suoi soci e nell’interesse di tutte le aziende agricole del Moscato d’Asti e dell’Asti Docg, su tutta l’area di produzione”, è l’Associazione Aroma di un Territorio, presieduta dal giovane vignaiolo Simone Cerruti di Castiglione Tinella (CN).

“Tale importo, per le aziende agricole impegnate nella coltivazione di Moscato, in considerazione del periodo di crisi attuale e soprattutto di quello venturo, aggrava la situazione di incertezza economica che certamente si presenterà in termini di reddito”, si legge sulla petizione online, che ha raggiunto le 150 firme in quattro giorni.

E ancora: “L’Associazione Aroma di un Territorio ritiene pertanto doverosa la sospensione richiesta, al fine di garantire la sopravvivenza delle aziende che si preparano ad affrontare un periodo di grandi sacrifici, tali da rendere indispensabili tutte le risorse disponibili”.

La petizione, indirizzata anche all’assessore all’Agricoltura della Regione Piemonte, Marco Protopapa, giunge in uno dei momenti più delicati della storia del Moscato d’Asti e dell’Asti Docg. Non solo a causa di Covid-19, ma anche per la concomitanza delle elezioni che vedranno protagonista il Consorzio di Tutela, nel 2020.

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Tappo a vite e Barolo, il retroscena: come andò quella riunione del Consorzio del 2013

È una norma della comunità europea del 2013 a stabilire che il tappo a vite, conosciuto a livello internazionale come “Screwcap of stelvin type“, può essere utilizzato su tutti i vini a Denominazione dell’Unione. Barolo compreso. Spettava ai singoli consorzi “opporsi”, modificando il disciplinare per proseguire col solo sughero. Lo ha fatto Montalcino, col Brunello; la Valpolicella, con l’Amarone. “Territori diversi dal nostro – spiega a WineMag.it Andrea Ferrero, direttore del Consorzio Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani – molto frammentato. Motivo per il quale la riunione del Consorzio del 16 dicembre 2013 non ha raggiunto il quorum“.

Così, la liberalizzazione del tappo a vite sul “re dei vini italiani” è finita sotto l’albero di Natale dei produttori delle Langhe. “Secondo le normative dell’epoca – precisa Ferrero – per validare l’assemblea e procedere alla modifica del disciplinare relativamente alle chiusure, serviva il 51% dei voti spettanti ai soci del Consorzio che utilizzavano la Denominazione Barolo. Questo perché il Consorzio è autorizzato ad operare Erga Omnes“.

“Non abbiamo raggiunto il quorum previsto e di conseguenza l’assemblea è andata deserta”, ricorda Ferrero. “Quello del tappo a vite – aggiunge il direttore del Consorzio – è un argomento molto dibattuto. Il fatto che i produttori non abbiano dimostrato interesse per la riunione, dimostra come si propenda per la liberalizzazione, o quantomeno per lasciare ai singoli la decisione sul metodo ci tappatura del vino”.

“Il Consorzio del Barolo è fatto da una moltitudine di produttori, ognuno responsabile delle proprie scelte, come in altre zone d’Italia: quanto accaduto fa parte del gioco. Tutti i presenti avrebbero votato in favore del solo sughero, ma la nostra realtà è molto frammentata. Occorrono molte teste per un voto, al contrario di altre zone dove le realtà cooperative mettono assieme il quorum”.

Ferrero non si dice contrario a prescindere al tappo a vite sul Barolo: “Probabilmente, su vini da invecchiamento importante come il Barolo, potrebbe avere qualche limite. Ma sono democratico: saranno il mercato e le strategie delle singole cantine a decidere il da farsi”.

Il direttore del Consorzio di Alba di dice “certo che non assisteremo all’abbandono del tappo in sughero”. “Le richieste di un Barolo con lo ‘Screwcap of stelvin type’ – fa notare – arrivano infatti da un’area ben specifica. I monopoli scandinavi sono spesso fantasiosi, se ne sentono di tutti i colori, come richieste improbabili di vini in bag in box“.

Non era invece in carica, nel 2013, l’attuale presidente Matteo Ascheri, eletto nel 2018: “Il quorum dell’assemblea chiamata ad esprimersi sulle nuove direttive Ue – ribadisce – fu sfiorato, ma non raggiunto. Il nostro problema è assieme la nostra forza: il Consorzio è fatto da tante piccole aziende esclusive, ben 350, con superfici medie bassissime, attorno ai 2 ettari. Difficile, dunque, riunire tutti assieme anche solo il 50% più 1 dei produttori”.

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