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Peronospora, soci e Cda in fuga: trema Terre d’Oltrepò

Peronospora, soci e Cda in fuga: trema Terre d'Oltrepò
Trema Terre d’Oltrepò, a poche settimane dall’inizio della vendemmia 2024. Due membri del Cda, l’agronomo Alessandro Fiamberti e il viticoltore Giulio Romanini, hanno dato le dimissioni nelle scorse ore. Spaventa anche la peronospora, che secondo dati raccolti in Oltrepò pavese starebbe falcidiando la zona, limitando di parecchio la capacità produttiva di molti vigneti. Dall’inizio dell’anno, inoltre, decine di soci conferitori – una sessantina – avrebbero chiesto di liberarsi dal vincolo che li lega alla cooperativa di Casteggio – con sedi a Broni e Santa Maria della Versa – a quanto pare senza averne pienamente diritto. Poche le disdette andate effettivamente a buon fine, mentre lo scorso anno – giugno 2023 – la cantina aveva già perso una sessantina di soci.

CDA TERRE D’OLTREPÒ: DIMISSIONI DI DUE CONSIGLIERI

Le acque, insomma, rimangono molto turbolente a Terre d’Oltrepò, nonostante la presentazione di un piano industriale che avrebbe dovuto rilanciare l’azienda e dare fiducia a soci e investitori. I due consiglieri dimissionari non intendono comunque rilasciare dichiarazioni alla stampa in merito alla propria decisione. Alessandro Fiamberti risponde al telefono con un «no comment», mentre Giulio Romanini è irraggiungibile. In un recente comunicato, il Ceo Umberto Callegari, che dirige la cantina sotto l’ala del padre presidente, Lorenzo Callegari, il Cda si era scagliato contro la precedente gestione, con parole molto pesanti che potrebbero aver scatenato reazioni a catena.

IL COMMENTO DI TERRE D’OLTREPÒ

“Terre d’Oltrepò – commenta il direttore generale – rassicura tutti i propri stakeholder che l’azienda è in una posizione finanziaria estremamente solida, sostenuta da un piano industriale robusto e da un’esecuzione operativa che rispetta pienamente le aspettative prefissate. È importante sottolineare che Tdo si è prontamente attivata per affrontare l’emergenza climatica e fitosanitaria, collaborando attivamente sul punto con l’Assessore Beduschi e con Regione Lombardia. Questo dimostra l’impegno proattivo e il ruolo di leadership di Terre d’Oltrepò nel settore».

«Per quanto riguarda l’uscita dei consiglieri Romanini e Fiamberti – continua Callegari – si desidera esprimere il ringraziamento dell’azienda e dei soci per l’impegno e la dedizione dimostrati nell’ultimo anno. Tali dimissioni sono attribuibili esclusivamente a motivazioni personali e non riflettono in alcun modo la stabilità e la solidità della nostra azienda. Vogliamo inoltre chiarire che non esiste alcun esodo di Soci; la nostra azienda continua a operare con il pieno supporto e la fiducia di tutti i membri del nostro team. Rinnoviamo il nostro impegno verso i soci e auguriamo a tutti buon lavoro, ringraziandoli per la continua fiducia e collaborazione».

CONSORZIO VINI OLTREPÒ: VIA VERONESE, ARRIVA BINDA MA…

L’uscita dei due consiglieri è solo l’ultimo segnale dell’irritazione di alcune cantine oltrepadane, stuzzicate dal recente sbarco in Oltrepò del colosso siciliano Cantine Ermes, che a marzo 2024 ha finalizzato l’acquisto all’asta della Cantina Sociale di Canneto pavese (a proposito: ai soci sarà liquidato il 27,6% del credito). Venti bollenti anche nei corridoi del Consorzio Tutela Vini Oltrepò pavese, che ha da poco salutato il direttore Carlo Veronese, pur tardando ad annunciare il suo sostituto. Come già pubblicato da winemag.it lo scorso 4 giugno, si tratta di Riccardo Binda, che potrebbe essere ufficializzato all’inizio del mese di settembre nonostante le resistenze di Bolgheri, Consorzio toscano dal quale Binda – originario di Voghera, in provincia di Pavia – proviene.

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Non dire «Trebbiano Spoletino» se non ce l’hai nel sacco


EDITORIALE –
C’è un virus pericoloso che si aggira nel mondo del vino italiano: quello dei vini bianchi e degli spumanti che sono «tutti buoni», a prescindere dal territorio e dalla vocazionalità dell’area, solo perché il mercato dei vini rossi è in estrema crisi (in Italia come all’estero, con pochi distinguo). Un cul-de-sac in cui rischia di essere banalmente risucchiato il Trebbiano Spoletino, forse tra i pochi vini bianchi italiani sotto ai riflettori come la “cosa nuova” del Bel Paese, sia a livello nazionale che internazionale, in buona compagnia di denominazioni luccicanti come il Derthona (Timorasso). Succede però che gli assaggi all’anteprima organizzata in questi giorni dal Consorzio Vini Montefalco e Spoleto non siano poi così all’altezza, nella media.

Il giudizio si riferisce a un numero tutto sommato limitato di Trebbiano Spoletino delle annate 2023, 2022, 2021 e 2020. Solo 22 campioni. Abbastanza, però, per dire ad alta voce che il lavoro compiuto sino ad oggi dai produttori non basta affatto per poter assicurare ai mercati una nuova stella. Il Trebbiano Spoletino, al momento, può vantare punte di qualità assoluta (poche), vini assolutamente nella media e lontani dal varietale (quasi il 50%) e un numero davvero preoccupante di vini che vanno dal banale al tecnicamente mediocre, soprattutto per la mancanza di precisione nella vinificazione (ancora troppi gli esempi in questa categoria, per un’appellazione che aspira a un posto d’onore tra le stelle del vino europeo e internazionale).

TREBBIANO SPOLETINO: PUNTE DI QUALITÀ SENZA MASSA CRITICA

Urge precisare che sono un amante dello “Spoletino” (a proposito: cosa ne è della proposta formale di modifica del nome del vitigno, ovvero dell’eliminazione della parola “Trebbiano” che andava di moda ai tempi della presidenza di “Sir” Filippo Antonelli?) e, proprio per questo, ritengo che la barra della qualità vada tenuta alta. Sul territorio, i punti di riferimento non mancano. Basti pensare (in rigorosissimo ordine alfabetico) ai Trebbiano Spoletino di Antonelli (ancora lui, pardon), Le Thadee, Ninni, Perticaia e Romanelli, da cui trarre spunto (e riferimenti assoluti) in termini di tipicità e carattere.

Troppa poca coerenza tra i campioni in degustazione, ben al di là dell’interpretazione aziendale, e una scarsa uniformità territoriale tra le vari “voci” del vitigno, rischia di bruciare sul nascere una denominazione che si appresta a raddoppiare la produzione nei prossimi anni, passando da 225 mila a mezzo milione di bottiglie, come annunciato nel discorso di apertura de “A Montefalco” dal presidente del Consorzio Tutela Vini Montefalco e Spoleto, Paolo Bartoloni.

Un motivo in più per credere nel Trebbiano Spoletino, con l’allargamento della zona di produzione che darà modo a diversi produttori – ne sono certo – di alzare ulteriormente il livello qualitativo medio di un vitigno che potrebbe rivelarsi decisivo per la stessa sussistenza economica di Montefalco (e Spoleto). Sempre, ovviamente, senza dimenticare i grandi, grandissimi vini rossi di quest’angolo d’Umbria. Se Dio vuole.

Più bottiglie di Trebbiano Spoletino: «Il Consorzio punta a mezzo milione»

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Più bottiglie di Trebbiano Spoletino: «Il Consorzio punta a mezzo milione»


La produzione di Trebbiano Spoletino raddoppierà nei prossimi anni grazie all’allargamento della zona Doc a tutti i Comuni dove è già possibile produrre il vino più noto della zona, il Sagrantino di Montefalco. Lo ha annunciato durante l’evento di apertura di “A Montefalco” il nuovo presidente del Consorzio Vini Montefalco e Spoleto, Paolo Bartoloni. «Il Sagrantino – ha dichiarato – è ormai è un must e grazie ad esso vogliamo entrare nella “Top 10” dei vini italiani. Ma non scordiamoci del Trebbiano Spoletino. Il Cda ha deciso di ampliare la zona Doc per passare dalle attuali 225 mila bottiglie a mezzo milione, nel giro dei prossimi anni».

MONTEFALCO SEMPRE PIÙ “BIANCO”

«Le tendenze cambiano – ha aggiunto Paolo Bartoloni – il bianco cresce. Con questo provvedimento resteremo comunque un’area di nicchia, capace di produrre 4,5 milioni di bottiglie sommando tutte le denominazioni. Per affrontare il mondo ci servono comunque i numeri». Al momento sono 450 gli ettari di terreni Doc Montefalco Rosso, 390 quelli del Sagrantino di Montefalco e solo 50 quelli destinati a Trebbiano Spoletino Doc.

«Oggi produciamo 1 milione di bottiglie di Sagrantino di Montefalco – ha concluso il presidente del Consorzio – ma siamo arrivati a produrne anche 2 milioni nella storia della denominazione. Anche grazie alla crescita del Trebbiano Spoletino possiamo dimostrare al mondo di essere una “terra del vino” unica in Italia, nella quale si possono produrre grandi vini rossi e grandi vini bianchi nello stesso fazzoletto di terra».

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Come si diventa grandi: i 60 anni del Consorzio Collio


Il Collio, mezzaluna al confine della Slovenia, è ormai identificata come l’area di produzione di grandi vini bianchi italiani. Merito del lavoro intenso e assiduo dei viticoltori che, dal 1964, si sono riuniti in quel Consorzio che nel 2024 festeggia i suoi 60 anni di vita. Il nuovo logo celebrativo su sfondo oro viene utilizzato da quasi tutti i produttori sulle etichette ed è stato presentato dalla direttrice del Consorzio, Lavinia Zamaro, in precedenti occasioni istituzionali.
Come ha spiegato in occasioni delle celebrazioni del 1 giugno a Villa Russiz (Capriva del Friuli, Gorizia) nel corso del talk moderato da Licia Granello Michele Formentini, memoria storica del Consorzio che scrisse di suo pugno l’atto costitutivo: «Eravamo nel 1963, era stata appena emanata la legge sulle Doc e noi ci siamo subito attivati per ottenere il “consorzio”: la base democratica degli agricoltori, che nacque nel 1964 con venti adesioni».

«Da anni – continua Zamaro – faccio parte del cda e, in questo periodo, abbiamo ottenuto ottimi risultati.  Abbiamo incentivato l’imbottigliamento dei vini, che fino a quel momento venivano venduti sfusi, e abbiamo incrementato la produzione, piantando nuovi vigneti. La Regione Friuli-Venezia Giulia ci ha supportato, emanando una legge regionale che prevedeva contributi a chi impiantava vigneti nella zona del Collio». Un’altra peculiarità è stata l’istituzione di un laboratorio analisi per aiutare i produttori a fare buon vino, al fine di alzare l’asticella della qualità e di creare un’immagine vincente.

L’ASCESA DEL COLLIO IN 60 ANNI DI CONSORZIO

Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Il Collio attualmente è un giardino pettinato di filari che si rincorrono a perdita d’occhio sulle colline che lo circondano, anche su terrazzamenti, per una superficie di circa 1.500 ettari. Mentre le case coloniche sono diventate punto di riferimento importante per le cantine, l’ospitalità e per l’enoturismo. Piccoli e grandi produttori hanno contribuito all’ascesa del Collio nei 60 anni di storia del Consorzio. Alessandro Dal Zovo, direttore ed enologo della Cantina produttori di Cormons, ha snocciolato alcuni dati della cooperativa, da sempre punto fermo della viticoltura friulana. Nel cuore della cantina spiccano tanto le antichissime vasche di cemento quanto le botti decorate da diversi artisti.

«La Cantina – ha sottolineato Dal Zovo – fino a qualche anno vantava 250 soci. Ora sono 100, con la stessa superficie vitata. È subentrata la seconda generazione che ha preso in carico molte particelle di chi si è ritirato o non c’è più. Complessivamente abbiamo circa 350 ettari di superficie vitata, 100 ettari a Doc Collio e 250 ettari nella pianura isontina, quindi da Cormons a occidente». Dal Zovo ha sottolineato la ricerca della qualità dei viticultori attuali: «Se un tempo il socio conferiva l’uva alla Cooperativa, ora per la maggior parte vive di questa attività, quindi è molto più consapevole di immettere uve di qualità nei conferimenti. Si intende dare ad ogni vigneto una destinazione enologica ben precisa per alzare la qualità della cooperativa seguendo il modello altoatesino e trentino».

VINI DEL COLLIO: PIACEVOLEZZA E LONGEVITÀ

Nel corso della degustazione di tre batterie di vini “Assaggi di Storia del Collio”, condotta dal sommelier Michele Paiano, si è inoltre potuto constatare la freschezza e la piacevolezza dei vini più giovani e contestualmente la longevità dei bianchi di diversi produttori. Tanto che ci si è chiesto se la politica di molti produttori di uscire sul mercato un anno e mezzo dopo la vendemmia sia positiva o meno. Le caratteristiche dei vini degustati? L’equilibrio tra i profumi e il gusto, tra l’intensità dei colori e la persistenza in bocca. La longevità del Collio Bianco è evidente soprattutto nei colori brillanti che si scatenano nel calice e dalle note aromatiche. Merito del microclima, del terroir, del vento, della composizione del suolo in cui si alternano marna e arenaria, che conferiscono ai vini un gusto particolare di mineralità e sapidità.

Il Collio risente della vicinanza del mare e della corrispondente vicinanza alle Alpi, un ambito in cui si crea una particolarissima zona climatica. Oltre ai bianchi giovani e a quelli più evoluti, si è potuto degustare anche i Collio Rosso, blend di Merlot, Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon che ha testimoniato come l’affinamento e l’evoluzione dei vini sia fondamentale. In batteria, due i vini della vendemmia 2018 ancora giovani: i ricordi di susina, al palato, sono più croccanti che maturi; un vino in evoluzione, già elegante e piacevole. Con il 2013 si raggiungono vette davvero notevoli. Al naso si percepiscono piacevoli sensazioni di frutti rossi, mentre al palato si percepiscono pepe e note balsamiche che si mescolano all’intensità del sottobosco e delle ciliegie sotto spirito.

NON SOLO VINI BIANCHI IN COLLIO

Il Merlot 2021 è austero, elegante, persistente, addirittura un filo di tannino verde, ma nel calice regala sensazioni uniche. Pur essendo stata un’annata difficile in vigna, il 2008 (Merlot e Cabernet Franc) è molto complesso: frutta rossa, marasca, cuoio, tabacco, un vino maturo che con gli anni ha saputo esprimere bene le sue qualità intrinseche. Quindi il Collio non è solo terra di bianchi, ma anche di vini rossi. Del resto, i vitigni allevati nel Collio sono molti. Tutto o quasi partì dal “Tocai”, ora “Friulano”, al quale si aggiunsero la Ribolla Gialla e la Malvasia. Poi i vitigni internazionali come il Pinot Nero e il Pinot Grigio i Sauvignon, lo Chardonnay, che hanno contribuito a modificare un po’ i gusti e i consumi. Ma com’era fare il vino sessant’anni fa? È la domanda posta all’enologo Gianni Bignucolo, ospite assieme a Bruno Pizzul della conferenza d’avvio delle celebrazioni.

«Ci sono stati cambiamenti notevoli in questi anni – ha risposto – sia dal punto di vista viticolo che enologico. Si sono modificate le forme di allevamento, si sono abbandonate quelle tradizionali e adottati sistemi innovativi che razionalizzassero la produzione. Le colline sono diventati giardini e hanno plasmato il lavoro nell’agricoltura. Le bollicine? È impossibile fare spumanti nel Collio in quanto le uve hanno scarsa acidità e alte gradazioni. Il Collio rappresenta un unicum in Italia di cui dobbiamo essere fieri». I vini bianchi rappresentano l’80-90% della produzione. Ne è ben consapevole Tiziana Frescobaldi, di una delle case produttrici storiche della Toscana che ha investito nell’area nel 2000 «perché questo è il luogo dove si fanno bianchi straordinari».

VITIGNI E DISCIPLINARI DEL COLLIO PROTAGONISTI SULLA STAMPA

Ma proprio il numero di vitigni previsti dal disciplinare e il loro rapporto con i vitigni autoctoni può essere motivo di dibattito. Il presidente del Consorzio del Collio David Buzzinelli ha cercato così di stemperare la questione: «Il nostro territorio nasce con i vini bianchi (le uve sono per l’80-90% a bacca bianca) per influenza tedesca che mira alla valorizzazione delle monovarietali, che sono 17». Perché non si riducono i vitigni presenti nel disciplinare?

«Ci sono alcune varietà – ha risposto Buzzinelli – che ormai si stanno autoescludendo. Il Consorzio è focalizzato sulla promozione del Pinot Grigio, del Friulano, della Ribolla gialla, del Sauvignon e della Malvasia, che sono le varietà più importanti del nostro territorio insieme al blend Collio Bianco. Ci dimentichiamo spesso del Traminer, del Riesling e del Muller Thurgau, che non si possono eliminare perché sono ormai molto diffusi». E per quanto riguarda i rossi? «Il Collio non è solo terra di ottimi vini bianchi, anche con i Merlot si riescono ad ottenere grandissimi risultati».

La due giorni del Collio si è conclusa con l’attribuzione del 17° Premio Collio, dedicato al conte Sigismondo Douglas Attems di Petzenstein, primo presidente del Consorzio, presentato da Stefano Cosma. La sezione dedicata ai giornalisti ha visto primeggiare il direttore di winemag.it Davide Bortone e il giornalista canadese Michael Godel per i loro articoli sul Collio Bianco e sui vini friulani. Sono state pure premiate le giovani dottoresse Antonella Fontanel, per una tesi discussa all’Università di Udine, sui lieviti naturali e Evelyn Riturante per una tesi di marketing esperienziale sulla vendemmia turistica.

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Nuovo direttore Consorzio Oltrepò pavese: arriva Riccardo Binda da Bolgheri?


È giallo sul nome del nuovo direttore del Consorzio Tutela Vini Oltrepò pavese. Riccardo Binda avrebbe accettato l’incarico da oltre una settimana. L’annuncio ufficiale da parte dell’ente di Torrazza Coste (Pavia) tarda però ad arrivare. Lo stesso vale per la smentita del direttore (potenzialmente) uscente, Carlo Veronese, che preferisce non rilasciare commenti, tanto sul suo presente quanto sul suo futuro. Secondo verificate indiscrezioni raccolte da winemag.it, l’arrivo del nuovo direttore Riccardo Binda e l’annuncio ufficiale del suo nuovo incarico di direttore del Consorzio Tutela Vini Oltrepò pavese sarebbero in bilico per via delle resistenze del Consorzio Bolgheri e Bolgheri Sassicaia, dal quale proviene.

BINDA IN OLTREPÒ? BOLGHERI NON MOLLA

L’ente toscano presieduto da Albiera Antinori non vorrebbe privarsi di Binda, che ricopre il ruolo di direttore dal gennaio 2014 ma che ha origini oltrepadane, per l’esattezza di Voghera. Da qui il giallo sul nuovo direttore del Consorzio Oltrepò pavese, dopo le rivoluzionarie elezioni dello scorso marzo che hanno portato all’elezione della nuova presidente Francesca Seralvo (Tenuta Mazzolino). Una scelta che ha fatto vacillare – sin dalle prime ore – la possibile riconferma del direttore Carlo Veronese, uomo ritenuto da molti vicino alla corrente che ha sostenuto – senza successo – il terzo mandato della presidente uscente Gilda Fugazza, considerata la figura più apprezzata dal mondo degli imbottigliatori operanti in Oltrepò.

LE SFIDE DI RICCARDO BINDA IN OLTREPÒ PAVESE

Di certo, per Riccardo Binda, l’avventura in Oltrepò pavese costituirebbe una sfida professionale dalle tinte completamente differenti rispetto a quelle di Bolgheri e Sassicaia. Non solo dal punto di vista della percezione delle denominazioni a livello di marketing nazionale e internazionale, ma anche del valore medio di mercato effettivo della produzione, sostenuta nel pavese da molti meno brand blasonati e da cantine che operano in assenza di una chiara piramide della qualità, ancora tutta da costruire nel pavese. Altro nodo che attenderebbe il nuovo direttore Riccardo Binda è quella dell’export dei vini dell’Oltrepò pavese, per via del peso meno rilevante della produzione oltrepadana rispetto a quella di Bolgheri e Sassicaia. Elementi che portano l’ennesimo “giallo pavese” ad infittirsi. Giorno dopo giorno.

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60 anni Consorzio Tutela Vini Collio: due giorni di celebrazioni


Il Consorzio Tutela Vini Collio festeggerà i suoi 60 anni organizzando un evento esclusivo. La fondazione dell’ente, avvenuta il 31 maggio 1964, sarà celebrata c
on un ricco programma dal 31 maggio al 1 giugno 2024. «Questo traguardo ci riempie di orgoglio – afferma Lavinia Zamaro, direttrice del Consorzio – quindi abbiamo deciso di consacrarlo con un evento unico che coinvolgerà, tra gli altri, alcuni dei protagonisti storici della Denominazione e alcuni personaggi dello spettacolo e del mondo del vino». «I produttori del Collio – aggiunge il presidente David Buzzinelli – insieme con il nostro Consorzio si sono distinti per l’impegno e la tenacia con cui hanno valorizzato la viticoltura, il territorio e l’accoglienza enoturistica. Un viaggio lungo 60 anni, condiviso in ogni momento e noi riteniamo che ci sia ancora molto da fare per il futuro».

60 ANNI DI CONSORZIO COLLIO: LE CELEBRAZIONI

Le celebrazioni dei 60 anni del Consorzio Tutela Vini Collio sono un momento fondamentale per la denominazione e per tutte le persone che lavorano ed investono quotidianamente nel comparto enologico della regione vinicola, tra le più vocate al mondo. Venerdì 31 maggio, si inizierà con la masterclass “Assaggi di storia del Collio”, guidata dal sommelier professionista Michele Paiano. Un percorso attraverso il Collio di ieri e di oggi in tre momenti: “Il Collio oggi – Ribolla Gialla, Pinot Grigio, Friulano, Sauvignon, Collio Bianco“, “La longevità del Collio Bianco“, “Il Collio Rosso“. Seguirà il convegno “Collio, un viaggio lungo 60 anni”, moderato dalla giornalista e scrittrice Licia Granello. Si parlerà di vino, di terroir, di storia e di enologia con quattro ospiti illustri che vantano un legame profondo con il Collio.

I PROTAGONISTI DEL COLLIO

I relatori infatti saranno il Conte Avv. Michele Formentini, testimone in prima persona della firma dell’atto di costituzione del Consorzio Tutela Vini Collio; Tiziana Frescobaldi, presidente dell’azienda Frescobaldi, la prima azienda esterna al Collio ad aver creduto ed investito sul territorio acquisendo la storica azienda Attems; Gianni Bignucolo, storico enologo del Collio; Bruno Pizzul, udinese di nascita, giornalista e telecronista sportivo italiano, prima voce per la Rai degli incontri della nazionale italiana di calcio dal 1986 al 2002. La giornata si concluderà con il GALA presso Fondazione Villa Russiz, con menù ad opera dello Chef Cristian Nardulli in abbinamento ai grandi vini bianchi e rossi del Collio. Sabato 1 giugno, presso Tenuta Borgo Conventi verrà assegnato il XVII Premio Collio, dedicato al Conte Sigismondo Douglas Attems di Petzenstein, presentato da Stefano Cosma.

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Gavi Riserva: sprint del Consorzio con la rielezione di Maurizio Montobbio a presidente


Maurizio Montobbio
è stato riconfermato presidente del Consorzio Tutela del Gavi dal nuovo Cda. Si tratta del terzo mandato e del secondo consecutivo alla presidenza per Montobbio, chiamato ora ad allargare le maglie del disciplinare del Gavi Riserva, rendendolo più appetibile per i produttori. È infatti questa la via che sembra voler percorrere il Consorzio di tutela del noto bianco piemontese, con l’obiettivo di arrivare, entro qualche anno, a un milione di bottiglie di Riserva. E iniziare così a promuovere una caratteristica dei vini ottenuti dalle uve Cortese ancora sconosciuta ai più, in Italia come all’estero: la loro estrema longevità.

In questo compito – e in altri – Maurizio Montobbio sarà affiancato dai vicepresidenti Dario Bergaglio (Azienda agricola La Chiara) e Massimo Marasso (Fratelli Martini). Gli altri membri eletti sono Giancarlo Cazzulo, Cantina Produttori del Gavi, Roberto Ghio, Vigneti Piemontemare,  Stefano Moccagatta, Villa Sparina,  Alessandro Cazzulo, Cantina Produttori del Gavi,  Fabio  Scotto, Vite Colte, Claudio Manera Araldica Castelvero, Gianlorenzo Picollo Picollo Ernesto, Gianni Martini, Fratelli Martini. Due le produttrici che entrano a far parte del Consiglio: sono Francesca Rosina dell’azienda agricola La Mesma e Silvia Scagliotti di Castellari Bergaglio.

Il neopresidente, al suo secondo mandato consecutivo, il terzo se si conta anche il triennio dal 2015 al 2018, commenta così l’elezione: «Sono orgoglioso che ci sia nuovamente una rappresentanza femminile all’interno del Consiglio di Amministrazione, sostenuta con forza dai soci elettori. Vorremmo un futuro del Consorzio collettivo, inclusivo e partecipato, aperto alle opinioni e alle indicazioni dei consiglieri, delle singole produttrici e dei produttori. Bisogna intendere la nuova casa del Gavi e i 50 anni raggiunti dalla nostra Doc non come traguardi di forma: il Consorzio è un luogo dove ciascuno può mettersi a disposizione per governare i cambiamenti che la denominazione deve affrontare per guardare con serenità al futuro e tutelare l’eredità storica del Gavi e il suo successo a livello internazionale».

LA RICONFERMA DI MAURIZIO MONTOBBIO

Con oltre 180 soci, 14 milioni di bottiglie prodotte vendute in Italia e in oltre 100 paesi nel mondo, una filiera locale – che impiega oltre 5000 persone –  il cui valore supera i  67 milioni di euro, il Gavi Docg è una denominazione forte, compatta che deve lavorare per presidiare il proprio posizionamento in un mercato altamente competitivo e fortemente dinamico. Nel corso del primo Consiglio del nuovo mandato è stata disposta la creazione del Comitato alle Sostenibilità, sociale e ambientale, che si aggiunge al Comitato Tecnico e a quello di Promozione: «Non saranno costituiti dai soli candidati eletti nel Cda – annuncia il rieletto presidente – ma anche da figure esterne che per competenza ed esperienza, potranno collaborare alle scelte di strategia per la governance della denominazione, in Italia e all’estero».

Coinvolto nelle attività del Consorzio anche il neoeletto presidente dell’Associazione Gavi Giovani Lorenzo Bisio. «È lodevole – sottolinea Montobbio – la determinazione dei giovani produttori a impegnarsi per la promozione del Gavi Docg. Attraverso il ruolo istituzionale possono così sperimentare, dall’interno, i complessi meccanismi che sottendono la governance di una denominazione. Un ringraziamento particolare va ai consiglieri uscenti, per l’armonia con cui si è lavorato e per  gli ottimi risultati raggiunti, e a quelli riconfermati, che danno stabilità e continuità alla strategia avviata nello scorso mandato. Siamo pronti per i nuovi obiettivi che ci siamo prefissati, fra tutti le modifiche del disciplinare e il rafforzamento del mercato interno».  Inoltre, Maurizio Montobbio si dice pronto a rafforzare la comunicazione interna, attivando nuovi strumenti di informazione ai soci, per consolidare la rete di intesa e di accordo con i produttori.

PIÙ GAVI RISERVA NEL FUTURO DEL BIANCO PIEMONTESE

Tornando agli obiettivi del prossimo mandato, tra i più pressanti c’è il consolidamento del Gavi Riserva, privo ad oggi di una massa critica capace di sostenere un consolidamento della tipologia sui mercati, soprattutto internazionali. Ad oggi solo quattro aziende investono in questa tipologia, affinando le loro Riserve oltre il limite minimo di un anno: La Mesma, La Raia, Roberto Ghio e Cascina Binè. Insieme, le quattro cantine raggruppano appena 30-40 mila bottiglie di Riserva, a fronte di un totale di circa 14 milioni di bottiglie di Gavi Docg prodotte annualmente. Il Gavi Riserva è un fantasma da trasformare, quanto prima, in una punta di eccellenza del vino italiano.

«La proposta di modificare il disciplinare della Riserva è stata discussa solo in sede di Cda e dovrà quindi passare al vaglio dell’assemblea dei produttori», spiegava negli scorsi mesi il presidente del Consorzio di Tutela del Gavi. «L’idea – precisava Maurizio Montobbio – è quella di alzare la resa dagli attuali 65 quintali all’ettaro ad 85 quintali all’ettaro, uniformandola a quella dei Gavi con menzione vigna. Il tutto considerando che la resa del nostro “base” è già molto bassa rispetto a quella di molti altri bianchi italiani, essendo fissata a 95 quintali all’ettaro. Inoltre, riteniamo che a fare la differenza per un vino come la Riserva possa essere non tanto la resa inferiore, quanto un periodo maggiore di affinamento, prima della commercializzazione».

GAVI, 50 ANNI “DOC” NEL 2024 E NON SOLO

Con le regole attuali, forse eccessivamente restrittive per un vino bianco, questa tipologia risulta poco “sostenibile” anche per il Consorzio, che non riesce a fare un’adeguata promozione, essendo prodotta da pochissime aziende. La Riserva dovrebbe essere invece il biglietto da visita della denominazione, il suo “grand cru”; il vino capace di dare un senso alla grande capacità di invecchiamento del Gavi Docg. Tutto questo senza voler ovviamente sminuire il resto della produzione “d’annata”, che piace ai consumatori ed è molto sostenibile economicamente».

Il 2024 potrebbe essere così un anno davvero speciale per il Gavi Docg, ben oltre le celebrazioni per i 50 anni dal riconoscimento della Doc (era il 1974, mentre risale al 1998 la promozione a Docg) e che potrebbe essere celebrato proprio con l’importante passo avanti sul fronte della longevità del Gavi, grazie al nuovo corso del Gavi Riserva. Una tipologia che valorizzerebbe l’intera comunità di 500 famiglie impiegate nella filiera, all’interno di 190 aziende associate al Consorzio, per un totale di 1.600 ettari e un giro d’affari complessivo di 65 milioni di euro. L’export, da queste parti, la fa da padrone, interessando in media l’85% della produzione, con punte che superano il 90-95%, destinata ad oltre 100 Paesi nel mondo.

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Cordisco sinonimo di Montepulciano: esulta l’Abruzzo


Il Ministero dell’Agricoltura ha accolto la richiesta di reintroduzione del sinonimo Cordisco per il Montepulciano, all’interno del Registro Nazionale della Vite. Il
decreto MASAF 597594 del 26 ottobre 2023 sembra supportare la rivendicazione del Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo di potere usare il termine Montepulciano solo per i vini prodotti all’interno della regione. Vietandolo a regioni come le Marche, dove il vitigno è molto coltivato, storicamente. L’utilizzo del sinonimo Cordisco, secondo l’ente abruzzese, consentirà agli altri territori italiani di «indicare correttamente i vini ottenuti da quest’uva secondo quella che è la normativa in fase di adozione».

Il presidente del Consorzio Vini d’Abruzzo, Alessandro Nicodemi, si spinge oltre: «Applicando il sinonimo, altri territori potranno ottemperare al nuovo DM Etichettatura e al principio della corretta informazione, evitando illeciti utilizzi e usurpazione delle DOP in etichetta o nella pubblicità dei vini, che a nostro avviso ha il solo risultato di confondere il consumatore finale».

Il termine Cordisco come sinonimo di Montepulciano sarebbe «scomparso nella trascrizione dal registro cartaceo a quello informatizzato, alla fine degli anni Ottanta». Si avvia dunque a tornare a poter essere utilizzato nella designazione di vini a base Montepulciano, come già accade per il Calabrese e il suo sinonimo Nero d’Avola, che interessa altre due regioni del Sud Italia come Calabria e Sicilia.

CORDISCO: IL TERMINE “SCOMPARSO” DAL REGISTRO NAZIONALE DELLA VITE

Per il vicepresidente della Giunta regionale dell’Abruzzo con delega all’Agricoltura, Emanuele Imprudente: «Si tratta di un decreto che pone le basi affinché l’utilizzo del nome Montepulciano sia riservato, senza generare confusione, ai vini prodotti in Abruzzo sgombrando il campo da eventuali fraintendimenti. Con l’accoglimento della proposta di reintrodurre la dicitura Cordisco, utilizzata già in passato, per i vini prodotti con uve Montepulciano, è stata colmata una lacuna nella designazione di questa tipologia di vino e soddisfatta la nostra richiesta.

«Pur condividendo l’impianto normativo del cosiddetto “DM etichettatura” – aggiunge Imprudente – abbiamo il dovere di tutelare le specificità della nostra regione in termini di biodiversità e peculiarità delle colture. Pertanto, d’intesa con il Consorzio tutela vini d’Abruzzo, in un’ottica di sistema, ci impegneremo a far sì che la denominazione Montepulciano D’Abruzzo Doc continui ad essere espressione dei vini prodotti all’interno della regione e connoti un territorio ed una vocazione ben definiti».

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Abruzzo, produttori in piazza per la «catastrofe peronospora»?


I produttori di vino dell’Abruzzo si dicono pronti a «scendere in piazza» e a «riconsegnare le tessere elettorali» per via della «catastrofe peronospora» registrata in occasione della vendemmia 2023. Al loro fianco
gli attori della filiera produttiva del mondo del vino abruzzese, che oggi si sono riuniti a Pescara per lanciare «l’ennesimo appello al mondo politico con la speranza di ricevere finalmente risposte concrete alla gravissima situazione causata dalle abbondantissime precipitazioni  dei mesi di aprile e maggio». Piogge che, in alcune aree, hanno superato anche i 200 mm/mese: «Circa il triplo della media del periodo, con conseguenze catastrofiche dal punto di vista produttivo» per l’Abruzzo vitivinicolo, comparto che conta più di 15 mila aziende per 32.500 ettari vitati.

«Siamo tutti d’accordo nel dire che questo è davvero l’ultimo appello che il mondo vitivinicolo abruzzese rivolge alla classe politica della Regione Abruzzo, di qualsiasi “colore” essa sia», avvertono all’unisono Assoenologi, Associazione Città del Vino, Cia, Coldiretti, Confagricoltura, Confcooperative, Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo, Copagri, D.A.Q. vino, Legacoop, Liberi Agricoltori e Movimento Turismo del Vino. «A vendemmia ormai conclusa – continua la filiera del vino abruzzese – possiamo confermare, con assoluta certezza, un calo medio della produzione di uve di circa il 70%. Un dramma che interessa in maniera diffusa e più o meno omogenea tutte le aziende vitivinicole delle quattro provincie».

VENDEMMIA 2023: 380 MILIONI DI DANNI DELLA PERONOSPORA DA IN ABRUZZO

«Dopo mesi di proclami, promesse e false aspettative – continuano le varie sigle – la classe politica e dirigente della Regione Abruzzo ad oggi non è in grado di dare risposte chiare a sostegno del settore. Per questo saremo costretti a scendere in piazza. Tutti noi in questi mesi abbiamo avanzato specifiche richieste a supporto del mondo produttivo e fornito indicazioni operative in merito all’emergenza peronospora, ma a nulla sono serviti. Siamo pronti anche a riconsegnare le tessere elettorali». Le risorse sin ora erogate vengono giudicate «scarsissime e assolutamente insufficienti per affrontare la difficile situazione del momento».

Nel dettaglio, le perdite vengono calcolate in circa di 2,7 milioni di quintali di uva, pari a circa 2 milioni di ettolitri di vino, che in termini di imbottigliato equivalgono a circa 260 milioni di pezzi. «Se dovessimo fare una stima del mancato reddito delle aziende – chiosa il gruppo pronto a scendere in piazza – possiamo indicare in circa 108 milioni di euro la perdita sulle uve, 130 milioni sullo sfuso e 520 milioni circa sull’imbottigliato. Una stima prudenziale induce a ritenere che la filiera vitivinicola della regione Abruzzo subirà un danno economico non inferiore ai 380 milioni di euro».

LE TRE CONDIZIONI DEI PRODUTTORI ABRUZZESI

In occasione della riunione di Pescara sono stati condivisi tre punti principali «sui quali si potrebbe e dovrebbe intervenire in maniera più che tempestiva». «Sospensione pagamento dei mutui e finanziamenti in essere (conto capitale e interessi) per almeno due anni – elenca la filiera del vino abruzzese – senza porre in primis le “garanzie bancarie” (come è stato fatto durante l’emergenza COVID) che renderebbero automaticamente le aziende richiedenti inaffidabili di fronte alle banche, per almeno 24 mesi, quindi inabili a qualsiasi tipologia di nuovi finanziamenti; sospensione e/o riduzione dei contributi INPS; azzeramento dei tassi d’interesse per finanziamenti acquisto scorte a reintegro con un’istruttoria semplificata e che non tenga conto dei finanziamenti già in essere».

Nei primi due casi, la competenza spetterebbe al governo, mentre, nel terzo, il ruolo della regione risulta fondamentale. «Ci auguriamo che quest’ultima sia portavoce degli interessi del mondo vitivinicolo abruzzese anche su tavoli nazionali – conclude il gruppo -. Tutta la filiera produttiva vuole fare questo ultimo appello, prima di procedere con le manifestazioni di piazza alla presenza di centinaia di migliaia di produttori stremati dalla difficilissima situazione e che, se non adeguatamente aiutati e supportati, rischiano di vedere vanificare decenni di duro lavoro».

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Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg: vendemmia 2023 «soddisfacente»


È iniziata a metà settembre e porterà a un calo del 7% rispetto allo scorso anno la vendemmia 2023 dei viticoltori del Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg.
I primi grappoli sono stati raccolti nella zona orientale della denominazione. Si dovrà aspettare ancora una settimana per i versanti del valdobbiadenese. Il Consorzio definisce la qualità delle uve «soddisfacente», sia a Conegliano che a Valdobbiadene. Il territorio, contraddistinto da pendii molto ripidi e da saliscendi difficilmente accessibili ai macchinari, fa salire a 7-800 ore per ettaro il lavoro manuale necessario a portare le uve in cantina, ogni anno. La vendemmia eroica rappresenta il momento di massimo impegno per i vignaioli, con l’impiego di soluzioni ingegnose, come carrucole e monorotaie.

«Con la vendemmia di quest’anno – spiega Elvira Bortolomiol, presidente del Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg – chiudiamo una stagione molto complessa in vigneto. Le analisi in vigneto ci indicano che il momento della raccolta si è posticipato di circa 10 giorni, dando così il tempo al grappolo di maturare e di raggiungere i corretti parametri qualitativi. Siamo molto orgogliosi del lavoro di tutti i viticoltori che ancora una volta hanno dimostrato di saper affrontare momenti sfidanti grazie alla loro passione e al forte senso di comunità che contraddistingue la nostra denominazione».

LE INSIDIE DELLA VENDEMMIA 2023 DEL PROSECCO CONEGLIANO VALDOBBIADENE DOCG

Tra le sfide più importanti della vendemmia 2023 del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg ci sono le grandinate del 24 e 25 luglio. Il clima è poi tornato clemente, consentendo alle piante di riprendere i processi di maturazione. «Annate come quella che stiamo per chiudere, che richiedono molti sforzi in vigna per compensare gli eventi metereologici avversi e il clima estremo – commenta il Consorzio – saranno sempre più frequenti. Dobbiamo prendere coscienza del fatto che sarà sempre più necessario interagire con un ambiente e un clima cambiato. Per questo il Consorzio si sta attivando, coadiuvato da alcuni istituti universitari, per proporre nuove soluzioni in vigneto».

«È importante però notare come in questi anni la pianta stia già dando segnali di adattamento – precisa ancora l’ente guidato da Elvira Bortolomiol – in particolare rispetto alla carenza d’acqua (non a caso c’è l’accordo per la realizzazione di un piano di invasi tra i comuni della denominazione, ndr). Grazie alla cultura agronomica ed enologica del territorio, che distingue tutti i viticoltori e produttori del Conegliano Valdobbiadene, si porteranno in cantina uve atte alla spumantizzazione da cui si ricaverà un’annata all’altezza della qualità a cui la denominazione ha ormai abituato i propri estimatori in Italia e in tutto il mondo».

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Vendemmia 2023 Alta Langa in lieve calo: «Pinot Nero e Chardonnay in ottime condizioni»


La vendemmia 2023 in Alta Langa è iniziata – all’insegna di un probabile calo della quantità – con la raccolta del Pinot nero. I primi grappoli sono stati messi in cassetta il 17 agosto tra i vigneti delle province di Asti, Cuneo e Alessandria. Nelle ultime ore il testimone è passato anche allo Chardonnay.
Come sempre, le uve per l’Alta Langa Docg sono le prime ad essere vendemmiate in Piemonte. La raccolta proseguirà fino ai primi giorni di settembre, a seconda delle differenti esposizioni e altitudini.

Se l’inizio del mese di agosto è stato caratterizzato da un’importante escursione termica tra il giorno e la notte che ha favorito lo sviluppo perfetto del grappolo, il caldo particolarmente intenso di questi giorni sta accelerando rapidamente la maturazione delle uve Pinot nero e Chardonnay alle diverse altitudini. Anche nei vigneti più in quota, dove nelle scorse settimane l’invaiatura non era completata, si sta assistendo adesso a una veloce maturazione.

ALTA LANGA «SEMPRE PIÙ DISTINTIVA E DI QUALITÀ»

Le uve risultano sane e con un’ottima pigmentazione. Si registra una lieve flessione quantitativa, dovuta alla diminuzione delle precipitazioni estive e ad alcuni episodi di maltempo, in particolare la consistente grandinata che nel pomeriggio del 6 luglio scorso ha interessato i vigneti delle zone tra Neviglie, Benevello, Borgomale e Lequio Berria.

«La nostra – commenta la presidente Mariacristina Castelletta – è una denominazione speciale e in crescita. Aumenta la base dei soci e, grazie all’apertura del bando, il nostro vigneto si amplierà in modo importante nei prossimi anni. Dal punto di vista consortile, continuiamo a investire per accrescere e consolidare il valore della denominazione Alta Langa Docg».

«Uno spumante metodo classico che – continua l’esponente di Tosti 1820 – anche per le regole del suo disciplinare (vini sempre millesimati e con 30 mesi minimo di affinamento in bottiglia), non può che essere un prodotto distintivo e di alta qualità. Le uve Pinot nero e Chardonnay che stiamo raccogliendo in questi giorni diventeranno eccellenti calici di Alta Langa solo all’inizio del 2027: è anche per questo che ci sentiamo così unici».

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L’assurda guerra del Montepulciano tra Abruzzo e Marche: una storia italiana


EDITORIALE – Tra Abruzzo e Marche è in atto un’assurda guerra sul Montepulciano. Una classica storia italiana,
condita dalla retrograda, testarda e anacronistica difesa del mero nome di un vitigno, più che di un territorio. Un principio su cui le due regioni stanno percorrendo strade diametralmente opposte. Mentre le Marche, con l’Istituto Marchigiano di Tutela Vini presieduto da Michele Bernetti, intendono rendere facoltativo il nome del vitigno Verdicchio sui vini Riserva di Jesi e Matelica (questa sì che è visione e futuro), il Consorzio di Tutela Vini d’Abruzzo, con il presidente Alessandro Nicodemi, chiede al governo Meloni – in particolare al Masaf guidato dal ministro Francesco Lollobrigida – di vietare a tutte le altre denominazioni – non solo ai vicini marchigiani – di nominare il Montepulciano sull’etichetta dei vini, sulle loro schede tecniche e su qualsiasi opuscolo aziendale.

Al suo posto, gli “altri” dovrebbero utilizzare un sinonimo che non è neppure inserito nel Registro nazionale delle varietà di Vite: lo sconosciuto Cordisco. Una vicenda con molti lati oscuri. Quello che Nicodemi non racconta, in primis, è che la guerra è anche interna al “suo” Abruzzo. Già perché, tra le denominazioni a cui vorrebbe vietare l’utilizzo della parola Montepulciano, vi è anche il Cerasuolo d’Abruzzo Doc, prodotto per lo più con Montepulciano in purezza, vinificato “in rosa”. A svelarlo è Enrico Cerulli Irelli, presidente del Consorzio Tutela Vini Colline Teramane – la Docg del Montepulciano d’Abruzzo – che si schiera con il Consorzio Doc nonostante l’ammissione che «il peccato originario è avere tutti i vini regionali che riportano il nome del vitigno, scelta fatta decenni e di cui paghiamo oggi le conseguenze».

CERASUOLO D’ABRUZZO, SCIVOLONE DEI PRESIDENTI ABRUZZESI

Tuttavia, sui siti web ufficiali (come da photogallery, sotto), sia la sua azienda (Tenuta Cerulli Spinozzi) che quella del collega presidente Nicodemi (Fattoria Nicodemi) indicano “Montepulciano” alla voce “uve” dei loro Cerasuolo, contravvenendo – nella forma e nella sostanza – alla normativa attuale (non al nuovo DM, se fosse approvato come da bozza contestata!). Il tutto al pari di numerose aziende marchigiane che, negli ultimi anni, hanno subito sanzioni per l’uso improprio del termine “Montepulciano” (posizioni poi sanate in seguito al ricorso presso il Giudice di Pace, come informa l’Istituto Marchigiano di Tutela Vini). Non solo. Lo stesso Consorzio di Tutela Vini d’Abruzzo utilizza il nome “Montepulciano” in deroga rispetto al Vino Nobile di Montepulciano.

Una causa legale, quella tra Toscana e Abruzzo, spuntata dagli abruzzesi proprio grazie alla larga diffusione del vitigno in diverse regioni del centro-sud Italia (in primis in Abruzzo, con circa 18 mila ettari, e a seguire le Marche, con circa 2 mila ettari). Il “Nobile” viene invece prodotto per la maggior parte con uve Sangiovese. Nel marchio collettivo del Nobile, “Montepulciano” indica la località geografica, mentre per il vino “Montepulciano d’Abruzzo” il mero vitigno. Dopo aver firmato nel 2012 un protocollo d’intesa con il Consorzio del Nobile per l’utilizzo della parola “Montepulciano”, l’Abruzzo di Nicodemi pretende ora che la menzione del vitigno diventi sua esclusiva.

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UN COMUNICATO FUMOSO E IL CLASSICO “COPIA-INCOLLA” DELLA STAMPA

La querelle si è accesa sul finire di luglio 2023, quando il Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo ha diramato una nota stampa che ha finito – come spesso accade – per essere pubblicata col “copia-incolla” da quasi tutte le testate di settore, oltre che da quotidiani generalisti. Un comunicato fumoso, sul quale non sono arrivate delucidazioni valide neppure a fronte di nostre precise richieste. Nel testo veniva infatti menzionato il timore per i contenuti del “DM Etichettatura” e, in particolare, per l’ormai diventato celebre «articolo 16».

Secondo Nicodemi, «la proposta di una sorta di “liberalizzazione indiscriminata” dell’uso dei vitigni in etichetta, senza nessuna eccezione, come previsto invece per altri vitigni e sinonimi, porterebbe un danno incalcolabile non solo in termini economici, ma anche di comunicazione, creando una vera distorsione di mercato. L’utilizzo di un sinonimo garantirebbe sia la corretta informazione al consumatore, sia il patrimonio storico delle denominazioni-vitigno».

A tal proposito il Consorzio, già in data 10 marzo 2023, aveva richiesto al Masaf il reinserimento del sinonimo “Cordisco” per il vitigno “Montepulciano” nel Registro Nazionale Varietà delle Viti, già presente nel 1988 e poi scomparso misteriosamente nella trasformazione dello stesso da cartaceo ad informatico. Con l’inserimento del sinonimo Cordisco nel Registro nazionale delle varietà, le denominazioni riconosciute in altre regioni, che contemplano la presenza del vitigno Montepulciano nella base ampelografica di riferimento delle relative DO, potrebbero colmare il proprio gap informativo verso il consumatore riportando in etichetta il sinonimo».

L’ABRUZZO ATTACCA SUL MONTEPULCIANO. IL MASAF TERGIVERSA

Aggiunge Nicodemi: «Dobbiamo difendere il lavoro di centinaia di operatori che per decenni hanno investito e continuano ad investire importanti risorse sulla promozione e sull’affermazione nei mercati internazionali del Montepulciano d’Abruzzo, da sempre legato in maniera indissolubile ad un vitigno, il Montepulciano, e al nostro territorio che, se non adeguatamente tutelati, rischiano di essere “banalizzati” ed utilizzati da altri operatori solo per “meri fini commerciali”, a danno del radicamento storico e territoriale da tutti unanimemente riconosciuto». Interpellato da winemag.it, l’ufficio stampa del Ministro Lollobrigida si limita a precisare che «nulla è ancora deciso» e che «il Masaf approfondirà ulteriormente la questione prima di procedere con il decreto».

Secondo voci di corridoio, il titolare del dicastero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare e delle Foreste intenderebbe prima promuovere un tavolo di lavoro con gli attori coinvolti nella vicenda (non ultime le forze di governo regionali, in quota FdL e Lega sia in Abruzzo che nelle Marche). Oltre al Consorzio guidato da Nicodemi, l’Abruzzo si mostra compatto nella battaglia con le associazioni Copagri (Leo Spina), Confagricoltura (Mauro Lovato e Camillo Colangelo), Confcooperative (Antonio Marascia), Lega Coop (Andrea Di Fabio), Coldiretti (Roberto Rampazzo e Pier Carmine Tilli), DAQ Vino (Rocco Pasetti), Assoenologi (Gianni Pasquale) e CIA (Domenico Bomba), che «chiederanno la revisione del testo in presentazione, con il mantenimento delle tutele esistenti in materia di utilizzo del nome del vitigno Montepulciano alla sola regione Abruzzo».

LA POSIZIONE DELLE MARCHE CON L’IMT


Di tutt’altro avviso l’Istituto Marchigiano di Tutela Vini. «Il Testo unico del vino – commenta il presidente Michele Bernetti (nella foto, sopra) – prevede l’inserimento in etichetta, con la dovuta regolamentazione, del nome del vitigno utilizzato. Riteniamo perciò, al pari delle principali organizzazioni del vino sia in ambito nazionale che comunitario, che le corrette informazioni in etichetta rappresentino una garanzia a tutela dei consumatori, e quanto stabilito dal Testo unico per i vini Dop e Igp vada in questa direzione».
Secondo l’Imt, la norma orizzontale riguarda tutti i vitigni che compongono i blend dei vini a denominazione, compresi molti marchigiani a partire dal Verdicchio.

Non c’è perciò ragione di fare eccezioni, violando peraltro il principio di eguaglianza, come ipotizzato da un nuovo comma (nr. 16, articolo 5) del decreto attuativo, già criticato dalla maggioranza delle organizzazioni di filiera. Il mondo del vino, come previsto dal Testo unico, deve ambire alla massima trasparenza nei confronti dei consumatori, anche e soprattutto per un vitigno, il Montepulciano, coltivato in quasi tutte le regioni italiane per un totale di 35 mila ettari, 2 Docg, 36 Doc e 88 Igt».

Quanto all’uso del sinonimo Cordisco: «Non esiste neppure – chiosa Bernetti – e sono stupito da questa proposta che giunge dall’Abruzzo, che usa “Montepulciano” in deroga. Pretendere che una regione o un gruppo possa registrare il nome di un vitigno sembra un concetto vicino alle logiche degli OGM, con le multinazionali che registrano un seme e non lo danno a nessuno. Nelle Marche siamo fedeli al nostro territorio e non vogliamo sostituirci o imitare nessuno. Stiamo di fatto raccogliendo materiale per dimostrare la storicità della presenza del Montepulciano nella nostra regione. D’altro canto, come ci stanno insegnando gli stessi americani con le loro nuove denominazioni, il territorio vince sempre sul nome dell’uva. Non intendiamo dunque accettare le condizioni di questa guerra di retroguardia, avendo imboccato, nella nostra regione, la strada opposta». Al Masaf e al ministro Lollobrigida l’ultima parola.

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Nuovo Cda Consorzio Vini Colli Euganei: c’è anche l’abate dell’Abbazia di Praglia

Nel nuovo Cda del Consorzio Vini Colli Euganei c’è anche l’abate dell’Abbazia di Praglia, don Stefano Visintin. Rumors degli scorsi mesi davano il religioso addirittura in carica per il ruolo di nuovo presidente. Dopo un ribaltone interno, la sedia più importante è invece andata a Gianluca Carraro, che sarà affiancato dal vicepresidente vicario Giorgio Salvan e dal vicepresidente Giorgia Veronese. L’abate Stefano Visintin, professore di Teologia Fondamentale al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo di Roma, è tra i consiglieri chiamati a rappresentare i 400 soci del Consorzio volontario della provincia di Padova, in Veneto. L’elezione del nuovo presidente Gianluca Carraro è avvenuta il 28 luglio. Dimissioni volontarie, invece, per l’ex presidente uscente Marco Calaon, il cui secondo mandato era stato rinnovato a dicembre 2020.

Più che una porta in faccia, si è trattato di un graduale accompagnamento all’uscio da parte di un gruppo di produttori, che ha poi trovato alleanze importanti all’interno del vecchio Cda. Il presidente uscente ha tentato inutilmente di superare la crisi delle dimissioni dal Consorzio di otto cantine – poi salite a 9 – come documentato da winemag.it il 5 novembre 2022. Motivo dei malumori interni il blocco degli impianti di Serprino, nome con cui sui Colli Euganei si indica l’uva Glera (di cui è sinonimo e biotipo). Prima della metà dello scorso novembre, il Consorzio Tutela Prosecco Doc aveva ammesso di aver ricevuto da Calaon la richiesta di vagliare la possibilità di «valorizzazione del Serprino dei Colli Euganei» come “sottozona” della Doc veneto-friulana. L’Assemblea dello scorso 30 giugno ha messo un punto definitivo, rinnovando il Cda dell’ente che rappresenta i produttori dei vini Doc e Docg dei Colli Euganei e causando. Successivamente, le dimissioni di Calaon.

NUOVO CDA CONSORZIO COLLI EUGANEI: GLI ELETTI

Oltre al nuovo presidente Gianluca Carraro (59 anni, agronomo), ai vicepresidenti Giorgio Salvan e Giorgia Veronese e all’abate dell’abbazia di Praglia, Stefano Visintin, il Consiglio di amministrazione è ora composto da Giovanni Barbiero, Martino Benato, Lorenzo Bertin, Valentino Bressanin e Simone Dalla Montà. «Mi avvicino a questo nuovo ruolo – sono le prime parole di Carraro – con umiltà, tanta volontà e la passione che contraddistingue tutti noi produttori vitivinicoli. Le sfide che ci attendono sono impegnative e riguardano anzitutto la necessità di continuare nel percorso di eccellenza e nel lavoro delle aziende produttrici che tanto hanno investito in questi anni proprio sul fronte della distintività e dell’eccellenza dei vini dei Colli Euganei, la cui forza sta nell’intimo e autentico legame con un ambiente unico nel suo genere».

«Un ringraziamento – aggiunge il nuovo presidente del Consorzio vini Colli Euganei – va ai consiglieri e ai dirigenti uscenti per il lavoro di questi anni e alle organizzazioni di categoria del mondo agricolo per la collaborazione e il sostegno. Rivolgo un saluto infine ai sindaci dei Comuni dei Colli Euganei, con i quali continuerà il dialogo e il proficuo rapporto avviato in questi anni. Il lavoro di squadra porta a buoni frutti e continueremo su questa strada». Proprio per tenere fede a questo impegno è volontà del Consiglio, a breve, «incontrare i referenti istituzionali locali e regionali presentare la nuova squadra e il programma per il futuro».

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Terre Cevico compie 60 anni e svolta: nel 2024 sarà cooperativa di primo grado


Terre Cevico
compie 60 anni e si rilancia sui mercati sotto una nuova veste. Da gennaio 2024 avrà un nuovo modello organizzativo, passando da “consorzio cooperativo“, ovvero da società cooperativa di secondo grado, a cooperativa agricola di primo grado. L’annuncio ufficiale è stato diramato ieri dal presidente di Terre Cevico, Marco Nannetti, in occasione della conferenza stampa che ha dato il via al pomeriggio di festeggiamenti per i 60 anni del Gruppo. La cornice scelta per celebrare l’anniversario è stata Tenuta Masselina, vera e propria boutique winery di proprietà di Terre Cevico a Castel Bolognese, in provincia di Ravenna (16 ettari di vigna e 6 di bosco per una produzione complessiva di circa 50 mila bottiglie, tutte destinate al segmento Horeca).

«Terre Cevico – ha spiegato Nannetti – si è sviluppato in questi anni come consorzio di secondo grado, fornendo servizi tecnici e commerciali alla propria base sociale, creando opportunità di sviluppo verso nuovi prodotti e mercati, innovando sempre, in ambito agronomico, enologico e tecnologico. Oggi sentiamo l’esigenza di accelerare ulteriormente per sviluppare il gruppo, mettendo in sinergia la crescita industriale dell’impresa e l’interesse collettivo dei nostri viticoltori soci. Terre Cevico diverrà presto un sistema inclusivo dell’intera filiera vitivinicola. Un nuovo assetto che da consorzio porterà Cevico ad essere definitivamente cooperativa agricola di primo grado, con il socio viticoltore protagonista e sempre di più al centro del sistema d’impresa».

TERRE CEVICO COOPERATIVA DI PRIMO GRADO DA GENNAIO 2024


Un processo che sottintende a un piano industriale triennale che ha come obiettivo l’aumento dei ricavi, il miglioramento dei margini, l’efficienza da integrazione dei diversi ambiti aziendali. E ancora: su un piano di investimenti consolidato, su una gestione integrata degli aspetti economico finanziari del gruppo e, non ultimo, su progetti correlati al miglioramento dell’impatto ambientale, alla ricerca e allo sviluppo di una viticoltura moderna e orientata al cambiamento climatico. «L’orgoglio delle radici – ha sottolineato ancora il presidente Marco Nannetti – diventa elemento trainante e centrale, ove la matrice agricola ed enologica del gruppo assume rilevanza sempre più strategica».

La storia di Terre Cevico inizia appunto 60 anni fa, per l’esattezza il 19 febbraio del 1963. Profonde radici in Romagna, con una base di soci viticoltori che abbraccia l’areale compreso tra la pianura di Ravenna alle colline di Rimini, sino a Casola Valsenio, passando per i territori di Forlì e Faenza, fino ai terreni sabbiosi del Parco del Delta del Po, a nord-est. Romagnole Società Cooperativa Agricola e Cantina dei Colli Romagnoli sono, ad oggi, le cooperative di soci viticoltori che, assieme alle Cooperative Agricole Braccianti rappresentano la base e l’anima storica della filiera produttiva dei vini Terre Cevico.

FATTURATO 2023 TERRE CEVICO: VOLA L’EXPORT

Il sistema produttivo, attraverso le cooperative di base, comprende circa 2200 soci viticoltori in Romagna per 6700 ettari di vigneto e 5000 viticoltori in totale in altre regioni. Ventitré le unità produttive, cinque gli impianti di imbottigliamento e ben nove le aziende controllate – di cui 5 al 100% – in regioni d’Italia come Veneto, Puglia, Emilia, Trentino e ovviamente Romagna. Si tratta di Sprint Distillery Srl, Italian Trading, DAI – Distribuzione alcoli Italia, Tenuta Masselina Srl Agricola, Medici Ermete e figli Srl, Rocche Malatestiane Rimini Srl, Cantine Giacomo Montresor Spa e Orion Wines, che controlla a sua volta a Masseria Borgo dei Trulli.

Terre Cevico si colloca così al sesto posto nella classifica dei primi 10 gruppi cooperativi nazionali e al dodicesimo della graduatoria delle prime 115 imprese produttive italiane del mondo del vino. Motivo in più per festeggiare l’anniversario dei 60 anni sono le prime indiscrezioni relative al bilancio 2023, che si chiuderà il prossimo 31 luglio. Dovrebbero infatti essere confermati i 72,8 milioni di euro di fatturato derivanti dall’export, da sempre ago della bilancia e pallino del Gruppo, che commercializza in 70 nazioni, in particolare Giappone, Cina, Svezia, Danimarca, Stati Uniti, Francia e Germania.

Il tutto nonostante la possibile, flessione del fatturato consolidato totale, che dovrebbe toccare i 175 milioni, contro i 189,6 dell’esercizio agosto 2021 – luglio 2022. Le prime stime sul valore del conferimento soci si assestano invece su 53,2 milioni di euro, per 1.140.000 di ettolitri. Cifre lontane anni luce da quel 19 febbraio 1963 in cui dieci rappresentanti di cantine sociali e cooperative braccianti del territorio ravennate si riunirono dal notaio, per costituire un consorzio cooperativo dotato di un capitale sociale di 1.050.000 lire. L’allora Centro Vinicolo Ravennate è divenuto Terre Cevico. «Adesso – ha ricordato il presidente Marco Nannetti ieri, durante le celebrazioni dei 60 anni – c’è un’altra storia da scrivere, lunga almeno altri 60 anni». Prosit.

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Il treno Etna Doc non si ferma più: crescono imbottigliamenti a inizio 2023


Un occhio all’allarme peronospora, «sotto controllo e senza gravi rischi». L’altro ai dati sugli imbottigliamenti, ancora una volta positivi. Continua l’ottimismo tra i produttori di Etna Doc, con 3.512.400 bottiglie prodotte nel primo semestre 2023, pari a 26.343 ettolitri. Un incremento del 6,2% rispetto allo stesso periodo del 2022, quando la produzione si era attestata a 3.293.388 bottiglie (24.796 ettolitri). Il bilancio
, stilato dall’Osservatorio del Consorzio Tutela Vini Etna Doc, evidenziano una positiva tenuta della produzione.

«I dati – commenta Francesco Cambria, presidente del Consorzio Tutela Vini Etna DOC – confermano l’ottima accoglienza che il mercato continua a riservare ai vini della nostra denominazione. Il primo semestre dell’anno scorso era stato molto positivo. L’ulteriore crescita dell’imbottigliato nei primi sei mesi di quest’anno, nonostante la situazione economica complessiva, sia nel nostro Paese che a livello internazionale, sia sempre delicata, ci dona grande fiducia e certifica la maturità raggiunta dalla nostra denominazione».

ETNA DOC, IL DETTAGLIO DELLE TIPOLOGIE

Scendendo nel dettaglio delle singole tipologie, si confermano anche quest’anno le ottime performance dei vini bianchi, a partire dall’Etna Bianco Doc (+19%) e dall’Etna Bianco Superiore Doc (+120%), tipologia riservata esclusivamente ai vini prodotti con uve coltivate nella provincia del Comune di Milo, sul versante est del vulcano. La tipologia più imbottigliata della denominazione rimane comunque l’Etna Rosso Doc, con poco più 1,3 milioni di bottiglie, mentre si evidenzia la crescita dell’imbottigliato dell’Etna Rosso Riserva DOC.

Continua ad esserci grande fermento anche sul fronte degli Spumanti, che in questa prima metà dell’anno fanno segnare una crescita del 60% nella versione bianca. «L’entrata in produzione di nuovi vigneti, impiantati prima della sospensione delle nuove iscrizioni ad Etna Doc – sottolinea Cambria – consente certamente una costante crescita dell’imbottigliato. Ma è soprattutto il mercato a premiare la nostra produzione e a influenzare la crescita di questi dati».

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Bernardo Guicciardini Calamai confermato alla presidenza del Consorzio Morellino Scansano


Bernardo Guicciardini Calamai
è stato riconfermato presidente del Consorzio del Morellino di Scansano,. L’elezione è avvenuta durante l’ultimo Consiglio di Amministrazione che si è tenuto venerdì 14 luglio nella sede di Scansano. Guicciardini Calamai continuerà così per un altro triennio a guidare la storica denominazione della Maremma.
Ad affiancarlo in questo nuovo mandato ci saranno i vicepresidenti Alessandro Fiorini (Cantina Vignaioli di Scansano) e Ranieri Luigi Moris (Morisfarms), che sono stati riconfermati nelle loro cariche, oltre al direttore Alessio Durazzi, a sua volta riconfermato nel suo ruolo.

Il Consiglio di amministrazione, rinnovato lo scorso 4 luglio, vede invece l’ingresso di due nuovi membri: Andrea Cecchi (Casa Vinicola Cecchi) e Giulia Milaneschi (I Lecci) che si aggiungono ai rieletti Gaia Cerrito (Pietramora), Moreno Bruni (Az. Agr. Bruni), Leonardo Rossi (Poggio Brigante), Paolo Gobbi (Cantina Coop. Vignaioli), Giuseppe Mantellassi (Fattoria Mantellassi) e Rossano Teglielli (Tenuta Ghiaccio Forte).

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Servito fresco in abbinamento al pesce: red carpet a Venezia per il Valpolicella Superiore


Valpolicella Superiore
: liberi di degustarlo così, senza dover attendere il suo invecchiamento, servito fresco, in abbinamento al pesce e a piatti di mare come tartare di ricciola, capesante, bigoli allo scoglio, risotto con le vongole e filetto di branzino alla griglia, con erbe aromatiche. Una proposta innovativa che è stata al centro di “Venezia Superiore“, la due giorni organizzata in Laguna dal Consorzio Tutela Vini Valpolicella, interamente dedicata (e intitolata) al rosso del territorio veronese.
«Vogliamo valorizzare e ampliare il consumo di Valpolicella Superiore – sintetizza il presidente Christian Marchesini – aprendo frontiere e rompendo schemi ancora presenti, per cambiare lo stile di intendere gli abbinamenti col pesce e con gli aperitivi di un vino che rappresenta poco più del 7 % della produzione».

Un percorso che l’ente di Verona ha avviato in primis con l’Amarone, dedicando una (riuscitissima) masterclass all’abbinamento con la cucina marittima internazionale, in occasione di Amarone Opera prima 2022. Ora tocca al Superiore. Un vino decantato anche da Ernest Hemingway, che si rifugiava a Locanda Cipriani, sull’Isola di Torcello, sorseggiando un calice di Valpolicella Superiore. A distanza di svariati decenni, il Consorzio ha pensato di ambientare in questo luogo magico, incastonato nell’azzurro della Laguna di Venezia, ad un’ora di motoscafo da Piazza San Marco, il nuovo capitolo del vino più rappresentativo del territorio, con una produzione di 4,8 milioni di bottiglie (sui 18,1 milioni complessivi di Valpolicella Doc, dato ufficiale riferito agli imbottigliamenti 2022) a partire dai tre vitigni principali della denominazione: Corvina, Corvinone e Rondinella.

VALPOLICELLA SUPERIORE E PESCE: L’ABBINAMENTO FUNZIONA

Ecco dunque servite capesante scottate alla griglia, bigoli di grano tenero allo scoglio, filetto di branzino alla griglia alle erbe aromatiche con verdure ai ferri e torta “Casanova” allo zabaione. In accompagnamento una wine list che includeva vini giovanissimi (vendemmia 2021) e altri di annate meno recenti, per concludere con un 2013 ancora in forma smagliante. Tutti i Valpolicella Superiore in passerella sul red carpet veneziano sono stati serviti a temperatura di 13-16 gradi, freschi e conservati in glacette refrigeranti. Pairing che hanno soddisfatto tutti, ma proprio tutti. Tanto da chiedersi se, effettivamente, gli abbinamenti classici del Valpolicella Superiore siano diventati ormai desueti.

La due giorni del Consorzio Vini Valpolicella a Venezia è proseguita a Hostaria in Certosa – Alajmo, sull’isola di Certosa. Qui è andato in scena un altro abbinamento da favola: tartare di ricciola con salsa tartara e insalata di gallinelle con Valpolicella Superiore 2021 e 2020. La finezza e la piacevolezza dei vini proposti è stata pari alla delicatezza del piatto presentato dallo chef Silvio Giavedoni e servito dal giovane team coordinato da Michele Pozzani. Che dire poi del risotto alle vongole con pomodoro, basilico e limone, a cui sono stati abbinati altri Valpolicella Superiore in grado di regalare sensazioni magiche al meglio in bocca. Il gusto tipico dello scartosso de pesse, con fiori di zucchina e salsa romesco sembrava disegnato per l’uvaggio veronese, declinato in una ricchissima wine list in cui il vino più datato risaliva al 2016.

TUTTI I PERCHÈ DEL VALPOLICELLA SUPERIORE

Spazio anche a momenti specificatamente tecnici in Laguna, nel corso di Venezia Superiore. Come sottolineato nel corso della masterclass condotta da J.C. Viens, la Valpolicella si estende in provincia di Verona, su un territorio collinare che supera i 450-500 metri  di altitudine. Da un punto di vista climatico, la zona risulta condizionata da diversi elementi, come la vicinanza al mare, al Lago di Garda e alla montagna. I vigneti sono costantemente baciati dal sole e accarezzati da correnti di aria fresca, con le escursioni termiche che giocano un altro ruolo fondamentale. Le uve allevate in Valpolicella e utilizzate per Valpolicella, Ripasso, Amarone e Recioto sono Corvina, Corvinone e Rondinella e in misura minore Molinara, Oseleta e Croatina.

Il Valpolicella Superiore viene prodotto con uve scelte nei vigneti migliori, talvolta con leggeri appassimenti che portano il vino ad alcolicità e strutture più sostenute. Vini che devono invecchiare almeno un anno. Alla vista, il vino si presenta generalmente di un colore rosso rubino, anche intenso. Al naso ha sentori di ciliegia, mandorla amara, rosa canina e spezie. Al palato sprigiona tutta la sua armonicità. È vellutato, elegante, equilibrato, fresco e piacevolmente tannico, senza eccessi. Il Valpolicella Superiore è un vino identitario, che sa esprimere la peculiarità del territorio, che rappresenta con la sua intensità e i suoi profumi in calice. Non manca una certa poliedricità delle interpretazioni.

Al di là dei tratti comuni, spostandosi da una cantina all’altra possono variare freschezza e corpo, con la presenza o meno di Oseleta o Molinara a fianco di Corvina e Corvinone, modificando gusto e profumi. Un ruolo determinante è anche quello dell’epoca della vendemmia, che qualcuno posticipa alla seconda metà di ottobre, nonché la scelta dell’affinamento – in tonneau o in botti grandi – e la sua durata. Ma la grande sfida del futuro del Valpolicella Superiore sono i cambiamenti climatici, con le temperature in costante aumento in Veneto, dal 1971. Una problematica che non sfugge al Consorzio, costantemente in osservazione insieme ai suoi viticoltori.

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Vini toscani: Doc Maremma trascinata dal Vermentino

È una Doc Maremma trascinata dal Vermentino quella che emerge dagli ultimi dati dell’Associazione Vini Toscani Dop e Igp (Avito). La denominazione è tra le più performanti nel primo semestre 2023. Si attesta infatti al 4° posto per volumi imbottigliati dopo Toscana Igt, Chianti e Chianti Classico. I primi sei mesi dell’anno hanno visto un aumento del 13% rispetto allo stesso periodo del 2022, in controtendenza rispetto alla situazione generale toscana. E il Vermentino, ormai, rappresenta il 34% dell’imbottigliato della Doc Maremma (+6% rispetto allo scorso anno). Cifre che contribuiscono a fare della Toscana la seconda regione per numero di ettari della varietà a bacca bianca, dopo la Sardegna: ben 832, più del doppio della Liguria.

«Prosegue il trend di consolidamento per la Denominazione – spiega Francesco Mazzei, presidente del Consorzio Tutela Vini della Maremma Toscana – che si dimostra in questo momento più dinamica rispetto alle altre toscane». Quanto al Vermentino: «Ci aspettiamo che la nuova menzione Superiore per questa tipologia porti anche una forte crescita nella qualità percepita e dell’immagine della Denominazione. Contribuisce al trend positivo della Doc anche il crescente interesse per un altro vitigno autoctono, il Ciliegiolo, fortemente radicato in Maremma».

L’area di produzione dei vini Doc si estende in tutta la provincia di Grosseto, una delle più vaste d’Italia. È delimitata a ovest dalla fascia costiera del mar Tirreno, a nord dai confini con la provincia di Livorno, lungo il corso dei fiumi Cornia e Pecora, a sud dalla provincia laziale di Viterbo lungo il corso del fiume Fiora e del fosso Chiarone. E ad est dai confini con le province di Pisa e Siena caratterizzati, a nord-est, dai rilievi delle Colline Metallifere, quindi dal corso del fiume Ombrone e del suo affluente Orcia, dal massiccio del Monte Amiata e, più a sud, dalla Selva del Lamone.

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Massimo Damonte nuovo presidente del Consorzio di Tutela Roero

Massimo Damonte è il nuovo presidente del Consorzio di Tutela Roero. Imprenditore vitivinicolo di Canale, classe 1965, guiderà l’ente piemontese che conta oltre 250 aziende vitivinicole associate, per 8 milioni di bottiglie e una superficie totale di 1250 ettari di vigneti. Prende il testimone di Francesco Monchiero, presidente uscente, rimasto alla guida per tre mandati consecutivi e ora numero uno di Piemonte Land of Wine. Dopo gli studi, Damonte inizia a lavorare nell’azienda di famiglia, Malvirà, occupandosi della parte viticola e del mercato italiano, contribuendo a renderla una delle più rilevanti del territorio.

Siede nel CdA del Consorzio Roero dalla sua fondazione e ricopre la carica di vicepresidente dal 2020. «Ringrazio per la fiducia accordata dall’assemblea – sono le prime parole di Massimo Damonte – e assumo questo ruolo di presidente del Consorzio Tutela Roero con l’entusiasmo e la passione che devo a una denominazione che negli anni è cresciuta e si è consolidata con successo. Sono davvero lieto che il Roero esprima oggi il nuovo presidente di Piemonte Land of Wine, che coordina l’attività dei 14 consorzi vitivinicoli regionali».

«Nei prossimi tre anni – aggiunge Damonte – intendo proseguire con una comunicazione mirata e strategie volte a valorizzare tutta la filiera e a sottolineare l’importanza e il legame con un territorio unico al mondo, riconosciuto Patrimonio dell’umanità Unesco. L’attenzione verso i consumatori italiani ed esteri sarà ancora più alta, con l’obiettivo di far crescere sia la denominazione in termini di volumi e di valore, sia la percezione dell’identità del territorio del Roero Docg».

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Terre di Cosenza Dop: la “nuova” Calabria del vino a caccia di identità


È scattata la “Fase 2” per
Terre di Cosenza Dop. Dopo aver riunito sotto un unico cappello provinciale le 7 minuscole Doc Condoleo, Donnici, Esaro, Pollino, San Vito di Luzzi, Colline del Crati e Verbicaro – era il 2011 – il Consorzio di Tutela nato nel 2014 punta a farsi conoscere dal grande pubblico italiano. Due gli incontri con la stampa di settore nelle ultime settimane, a Roma e Milano. Ventotto i vini in degustazione (solo 16 Dop, spiegheremo più avanti perché). Principalmente bianchi e rossi, ma anche rosati e uno spumante. Qualità media buona, soprattutto sul fronte dei vini bianchi ottenuti dalle varietà locali Greco bianco, Mantonico, Guarnaccia e Pecorello, spesso in uvaggio con Chardonnay e Malvasia. Un segnale positivo per il Consorzio presieduto da Demetrio Stancati, che punta molto sulla crescita dei bianchi locali.

Al netto della differente base ampelografica, quel che emerge dall’assaggio a Milano è però il gap stilistico tra i vini bianchi e i vini rossi cosentini. Se i bianchi si presentano piuttosto tesi e verticali, sostenuti da una vena fresco-sapida-minerale che li rende molto piacevoli e beverini, alcuni rossi risultano incompiutamente tannici; altri condizionati da un utilizzo ingombrante dei legni. Più in generale, al di là del fatto che si tratti di vini da medio-lungo affinamento, a pesare su diverse etichette è una “mano” definibile old-style. Il ricambio generazionale – se non una vera e propria Revolution enologica, come quella avvenuta nella confinante Cirò – aiuterà questa fetta di Calabria a proporre sul mercato nuove interpretazioni del Magliocco, varietà alla base dei vini rossi locali con Greco Nero, Gaglioppo, Calabrese e Aglianico , oltre a internazionali come il Cabernet Sauvignon. Ne gioveranno anche i rosati, prodotti con alcune di queste varietà.

TERRE DI COSENZA VS CALABRIA IGT

Alla trasferta milanese balza all’occhio un altro grande tema: quello della mancata rivendicazione della Doc Terre di Cosenza. Molti produttori, soprattutto per i vini bianchi e rosati (ma anche per i rossi, soprattutto nella sottozona dell’Esaro), preferiscono ricorrere alla denominazione di ricaduta, ovvero l’Igt Calabria. Perché? Maglie più “larghe” sul fronte delle rese e, forse ancor più fondamentale, un nome molto più accattivante (“Calabria”) da spendere sull’etichetta di un prodotto agroalimentare come il vino, tanto in Italia quanto all’estero. Una problematica nota al Consorzio Terre di Cosenza, che proprio grazie alle attività di promozione avviate punta a ingolosire i produttori, spingendoli a rivendicare la Dop al posto dell’Igt.

Non solo. Tra le modifiche in vista al disciplinare – la revisione avverrà entro fine anno – ci sarà l’introduzione della possibilità di menzionare la parola “Calabria” sulle etichette dei vini Dop Terre di Cosenza (scelta facoltativa di ogni singolo produttore). Un elemento di attrattività che potrebbe portare a un aumento delle certificazioni della Dop. Del resto, la storia non mente. Il Consorzio cosentino, che oggi raggruppa 32 aziende sulle circa 60 del territorio, nasce proprio dalle ceneri di 7 minuscole (e poco rivendicate) Denominazioni di origine controllata, che oggi costituiscono le sottozone della Dop Terre di Cosenza.

IL MAGLIOCCO AL CENTRO DEL PROGETTO

Secondo i dati forniti dal Consorzio, sono circa 350 gli ettari rivendicati ad oggi a Dop, con un trend di crescita che ha portato il numero totale di bottiglie a circa 2 milioni, per il 60% appannaggio dei vini rossi. Tengono i prezzi delle uve, anche se il mercato non sarebbe poi così florido a livello locale, proprio per il crescente fenomeno dell’imbottigliamento da parte delle singole aziende agricole e cantine.

Tra le novità a cui sta lavorando il Consorzio ce n’è una che riguarda il Magliocco, la varietà a bacca rossa principe della zona: la Riserva prevederà il suo utilizzo in purezza. L’ultimo aggiornamento riguarderà però la vicina Doc Savuto, la cui area “Classica” dovrebbe rientrare sotto l’egida del Consorzio Tutela Vini Terre di Cosenza, ricadendo proprio nel cosentino a differenza della “zona allargata”, che comprende comuni della provincia di Catanzaro.

TRE VINI TERRE DI COSENZA DOP DA ASSAGGIARE

BIANCO
Terre di Cosenza Dop bianco Pecorello 2021, Colacino Wines

ROSATO
Terre di Cosenza Dop rosato Magliocco 2022, Serracavallo 

ROSSO
Terre di Cosenza Dop Pollino rosso 2021, Tenuta Celimarro

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Mozzarella di Bufala Campana, un 2022 da ricordare: cresce in Italia e conquista l’estero

Duplice riconoscimento per il comparto della Mozzarella di Bufala Campana Dop. Il formaggio campano cresce in Italia e conquista l’estero, con cifre da record. Ieri l’assemblea annuale di Assolatte ha certificato il ruolo di traino della Mozzarella di Bufala Campana tra i grandi formaggi Dop italiani: nel 2022, infatti, la produzione di Bufala Dop è l’unica che è cresciuta (+3,8 per cento sul 2021), insieme al taleggio. Nonostante le difficoltà legate alle fiammate dell’inflazione, alla guerra in Ucraina, il prodotto riesce a imporsi sui mercati, grazie ai sacrifici dei soci del Consorzio, che hanno perso margini di redditività significativi.

Nello stesso giorno è arrivato un altro riconoscimento, stavolta dal Monitor Distretti di Intesa Sanpaolo: la Mozzarella Dop fa registrare, sempre nel 2022, un boom dell’export, pari a +30,2% sull’anno precedente, in uno scenario generale positivo, visto che i dati dell’analisi mostrano una crescita del 12,8% delle esportazioni dei distretti agroalimentari italiani su base annua, con un valore di oltre 25 miliardi di euro.

«Un risultato incredibile – commenta il presidente del Consorzio di Tutela Mozzarella di Bufala Campana Dop, Domenico Raimondo – capace di spronarci a fare sempre meglio anche nel 2023, che ci vede ancora alle prese con tante difficoltà, a partire dall’aumento dei costi di produzione non assorbiti dal mercato. Noi continueremo a puntare sugli elementi distintivi del nostro prodotto: qualità e legame con il territorio».

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Montefalco Green, la declinazione ecologica del turismo in cantina


Come ideare e realizzare la frontiera 2.0 del turismo in cantina? Il Consorzio Tutela Vini Montefalco, in Umbria, punta alla sostenibilità delle aziende del territorio e al turismo green ideando Montefalco Green. Quella vissuta da giornalisti e “influencer” la scorsa settimana è stata un’esperienza emozionante, eco-friendly, unica nel suo genere. Sotto il cielo a tratti piovoso della piana che si distende dalle colline di Montefalco a quelle di Assisi è stato possibile scoprire, utilizzando esclusivamente le SagreenTino car e bici, una nuova frontiera del turismo in cantina: quello green, caratterizzato da emissioni zero, sostenibile, a velocità slow, rispettoso dell’ambiente.
Un turismo che raggiunge aziende vinicole che praticano digitalizzazione e riciclo, traendo buona parte dell’energia che consumano da pannelli solari.

Cantine che salvaguardano i nidi degli uccelli tra le vigne – parte integrante della biodiversità – che hanno la loro conduzione biologica certificata, che tutelano la presenza delle api in vigna. Molte aziende del territorio hanno il loro focus sulla produzione sostenibile e cercano di non provocare danni all’ambiente circostante. È una scelta doverosa, necessaria, indispensabile per garantire sia la qualità dei prodotti che un minimo impatto sul territorio. E la cosa sorprendente è che questo pensiero è condiviso da aziende di carattere famigliare che producono qualche migliaio di bottiglie e da imprese che ogni anno producono centinaia di migliaia di bottiglie. Segno che il concetto di sostenibilità non è limitato a piccole realtà di provincia, ma è condiviso anche dai colossi della vinificazione.

A BORDO DELLE SAGREENTINO, BICI E AUTO ELETTRICHE

Il territorio di Montefalco è stato quindi esplorato in lungo e in largo con le macchinine elettriche SagreenTino, due posti, spartane al massimo, velocità massima 50 km/h, autonomia 100 km, molto maneggevoli, in grado di superare piccoli dislivelli e di affrontare le strade sterrate che conducono alle cantine. È una tipologia di mobilità molto innovativa, che sfiora il paesaggio, che accarezza le colline, che entra nel territorio in modo gentile e sfumato, in silenzio, come il fruscio di un alito di vento. Molte cantine hanno già attrezzato al loro interno  punti di ricarica, ed altri sono in fase di realizzazione. Oppure attraverso le mountain bike elettriche con le quali raggiungere gli obiettivi è operazione divertente e appagante.

Niente sgommate, niente fuoriuscite di gas dannoso, silenziosissimi, sono due mezzi che hanno consentito (e consentiranno in seguito) agevoli e facili spostamenti su tutta la vallata di Montefalco. Alla scoperta degli ottimi vini del territorio: il Sagrantino Docg (Sagrantino 100%) e le Doc Montefalco (Sangiovese, Sagrantino e altro), Grechetto (Grechetto e Trebbiano) e Spoleto (Trebbiano spoletino e altro). Come dicevamo il territorio si contraddistingue per l’incredibile attenzione all’ambiente. Il 31% delle aziende delle denominazioni praticano agricoltura biologica certificata, sono in conversione al biologico certificato, biodinamiche, omeodinamiche, naturali o sono in possesso di certificazioni ambientali per la produzione dei Doc e Docg del territorio. Di questo 31%, oltre il 62% delle cantine sono biologiche certificate o in conversione al biologico certificato.

MONTEFALCO E I SUOI VINI SEMPRE PIÙ GREEN

Le aziende  diversificano il loro impegno ecosostenibile con vari metodi. Con impianti fotovoltaici, caldaie a biomassa, per la riduzione del gas serra, con progetti green che prevedono allevamenti avicoli, lavorazione in vigna con cavalli, zonazione della biodiversità, certificazione vegana, realizzazione di orti botanici per la salvaguardia delle api. Non manca il ricorso a varie sperimentazioni, per arrivare a vini con zero residui e al taglio degli agrofarmaci. Alcune cantine ricorrono poi a speciali sistemi di filtraggio per l’uso di acqua dei pozzi e raccolta delle acque piovane.

Una Montefalco che è green anche per la scelta di bottiglie di vetro più leggere e per il recupero e la valorizzazione degli scarti delle etichette. Un territorio che si sta distinguendo come una delle zone vinicole più green d’Italia. Scelta etica che il Consorzio Tutela Vini Montefalco ha inteso fare nella convinzione che «una terra amata è una terra grata, che restituisce le attenzioni che riceve in termini di qualità e unicità».

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Verso l’Orvieto Doc Riserva: missione longevità per il bianco dell’Umbria


Buttare il cuore oltre all’ostacolo. E scrivere la storia nuova di uno dei vini più antichi d’Italia. Con questo spirito potrebbe nascere l’Orvieto Doc Riserva. Una nuova tipologia, al momento non prevista dal disciplinare, con un minimo di 3 anni di affinamento e una quota percentuale preponderante di Procanico e Grechetto, nell’uvaggio. A parlarne con  winemag.it è Vincenzo Cecci, presidente del Consorzio Tutela Vini di Orvieto. «La discussione sul tema “Orvieto Doc Riserva” è aperta da qualche tempo fra i produttori – dichiara l’esponente di Cantine Monrubio – e abbiamo intenzione di iniziare a muovere i primi passi fin da subito, inserendo il tema all’ordine del giorno delle prossime assemblee consortili. Avremo bisogno di tempo per renderlo concreto, ma abbiamo la ferma volontà di portarlo a compimento entro brevissimo».

A dare ulteriore slancio al progetto sono i risultati della masterclass dedicata alla longevità dell’Orvieto Doc, andata in scena questa mattina nei locali della chiesa di San Giovenale, nel cuore della cittadina dell’Umbria. «Si è trattato di una degustazione storica per la nostra denominazione – sottolinea Vincenzo Cecci – in quanto mai prima avevamo raccolto 13 annate, andando indietro sino alla 2010. I riscontri ci portano ad avere ancora più convinzione e certezza di procedere nella direzione dell’Orvieto Doc Riserva». Favorevole all’ipotesi anche Riccardo Cotarella, moderatore della degustazione e tra i relatori del programma di iniziative inserite nell’ambito della manifestazione Orvieto Divino 2023. «Puntare sulla Riserva è un dovere morale per Orvieto», ha commentato il presidente di Assoenologi.

«GIOVANI E CONSAPEVOLEZZA» PER L’ORVIETO DOC RISERVA

Stiamo vivendo un momento particolarmente positivo in Consorzio – ammette Vincenzo Cecci (nella foto, sopra) – con la consapevolezza che sia giunta l’ora di fare cambiamenti importanti. Ci sono molti giovani che vogliono creare una massa critica pesante e condividere questi progetti di rinnovamento. Sono fiducioso che, a breve, riusciremo a superare gli ultimi ostacoli, iniziando il purtroppo lungo percorso burocratico che ci attende».

Indubbi i riflessi (positivi) che la nuova tipologia potrebbe apportare all’intero tessuto produttivo orvietano. Una denominazione che produce circa 11 milioni di bottiglie all’anno, su un totale di 1.200 ettari rivendicati Doc (su 2 mila potenziali). L’Orvieto è ben noto in tutta Italia grazie alla sua capillare distribuzione nei supermercati e nei discount, dove è spesso oggetto di promozioni piuttosto aggressive. L’istituzione di una Riserva potrebbe alzare l’asticella di tutta la piramide qualitativa orvietana e costituire un nuovo elemento d’appeal per l’export, che al momento assorbe il 65% della produzione. Il mercato principale d’esportazione sono gli Usa, seguiti da Canada, Germania e Uk.

UVE E PERCENTUALI DELLA NUOVA TIPOLOGIA

Più delicato il tema della base ampelografica della nuova tipologia Orvieto Doc Riserva. «Sono convinto – spiega il presidente Cecci – che i territori caratterizzino i vitigni. Noi ormai abbiamo l’esperienza per capire quali siano i vitigni non considerati locali che si adattano in maniera particolare al nostro territorio e sono ben affrancabili ai nostri Procanico e Grechetto, in modo tale da migliorare questa importante base. L’Orvieto Doc prevede un minimo del 60% dei due vitigni locali. Con la Riserva potremmo certamente aumentare questa quota, sulla base di uno studio dei vari suoli e della necessità di raggiungere un equilibrio dei singoli vitigni nel vino finale».

Quanto ai prezzi, ammonisce il presidente del Consorzio, «un buon Orvieto non dovrebbe mai costare sotto i 5 euro in cantina». Il prezzo delle uve si aggira attorno ai 60-65 euro al quintale. In calo il valore dei terreni rispetto agli anni, scesi da 60 mila ai 38-40 mila euro all’ettaro degli ultimi anni, sempre secondo i dati forniti dal Consorzio Tutela Vini. «Questo – chiosa Cecci – è un altro elemento sul quale dobbiamo lavorare, dando nuova linfa soprattutto sul fronte della comunicazione. Lo sforzo che dobbiamo fare è quello di raccontare le punte di qualità che possono raggiungere i nostri vini, ma anche la bellezza di tutto il patrimonio storico-culturale della nostra zona. Siamo fiduciosi».

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Andreas Kofler confermato presidente del Consorzio Vini Alto Adige

FOTONOTIZIA – Andreas Kofler è stato confermato presidente del Consorzio Vini Alto Adige e resterà in carica per un altro mandato, della durata di 3 anni. Il neoeletto consiglio di amministrazione ha riassegnato che la vicepresidenza a Martin Foradori.

Andreas Kofler, Klaus Pardatscher, Georg Eyrl, Philipp Plattner e Oscar Lorandi rappresenteranno il Consorzio per le cantine cooperative nel Consiglio di amministrazione del Consorzio. Martin Foradori, Alois Clemens Lageder e Peter Zemmer sono stati riconfermati rappresentanti delle Tenute dell’Alto Adige. Per i Vignaioli dell’Alto Adige, riconfermato Stefan Vaja che sarà per la prima volta affiancato da Hannes Andergassen.

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Christian Marchesini rieletto presidente del Consorzio Vini Valpolicella


«Sostenibilità, cambiamento climatico, monitoraggio costante dell’evoluzione del mercato nazionale e internazionale, oltre che del consumatore». Queste le parole chiave del nuovo mandato di Christian Marchesini, rieletto oggi presidente del Consorzio Vini Valpolicella.
Il CdA ha espresso anche i vicepresidenti del Consorzio: Mauro Bustaggi di Corte Figaretto e Andrea Lonardi di Angelini Wines and Estates, anch’essi eletti all’unanimità.

Nel suo prim intervento dopo la riconferma, Marchesini ha inoltre fatto un accenno ai giovani che stanno accompagnando le denominazioni chiave nel futuro. «Ci attendono nuovi scenari sfidanti – sottolinea – a partire dal consolidamento della transizione green, che oggi incide per il 33% sul totale degli ettari vitati. Una prospettiva strettamente connessa alle variabili climatiche, con tutte le incognite anche produttive che questo comporterà in futuro».

Christian Marchesini, titolare dell’azienda agricola Monte Gradella a Fumane di Valpolicella, è “uomo di territorio”, con una lunga esperienza nel Consorzio in cui siede come consigliere dal 2005 al 2012, quando viene nominato presidente. Nel 2014 viene nuovamente rieletto alla presidenza. Nelle elezioni del triennio successivo, Marchesini non presenta la propria candidatura. Ritornerà presidente del Consorzio vini Valpolicella a luglio del 2020, prima della riconferma avvenuta oggi.

«Sul fronte della domanda globale dei vini della Valpolicella – conclude Christian Marchesini – sarà necessario indagare ed esplorare le nuove richieste e le dinamiche di consumo degli appassionati sui diversi mercati per mantenere posizionamento, crescita e reddittività della denominazione. Tra gli obiettivi anche la modifica dello Statuto del Consorzio per renderlo al passo con i tempi aprendo alla partecipazione attiva del Gruppo Giovani dell’ente, primo in Italia ad averlo costituito in chiave di confronto per nuove interpretazioni della Valpolicella di domani».

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Consorzio Vini Valpolicella, ecco il nuovo Consiglio d’Amministrazione

Dopo aver digerito l’ottima notizia della tregua con le Famiglie Storiche, l’assemblea dei soci del Consorzio vini Valpolicella ha eletto ieri sera il nuovo Consiglio di amministrazione dell’ente no profit di emanazione ministeriale per la tutela, valorizzazione e cura generale degli interessi relativi alla denominazione, che per il prossimo triennio sarà così composto: Daniele Accordini, Cantina Valpolicella Negrar, Sergio Andreoli, Collis Veneto Wine Group, Carlo Boscaini, Az. Agr. Boscaini Carlo; Mauro Bustaggi, Corte Figaretto; Diego Cottini, Cottini S.p.A.; Luca Degani, Cantine di Verona.

E ancora: Paolo Fiorini, Cantina di Soave; Lucio Furia, Soc. Agr. Le Ruine; Andrea Lonardi, Angelini Wines and Estates; Christian Marchesini, Monte Gradella; Umberto Pasqua Di Bisceglie, Pasqua Vigneti e Cantine; Cristian Ridolfi, Gruppo Italiano Vini; Marco Sartori, Roccolo Grassi; Marco Speri, Secondo Marco; Vittorio Zardini, Cantina Soc. Valpolicella Classico di San Pietro in Cariano.

I revisori dei conti sono Alessia Filippini, Ernesto Maraia e Franco Puntin. Nel corso della seduta, l’assemblea dei soci ha inoltre approvato il bilancio 2022 del Consorzio vini Valpolicella che ha registrato oltre 3,1 milioni di euro di attività svolte e un utile pari a 16.475 euro. «Archiviamo un esercizio positivo all’insegna della ripresa totale delle attività promozionali su tutti i mercati obiettivo per la denominazione – ha commentato il presidente uscente Christian Marchesini -. Tra le priorità raggiunte dal mandato anche la chiusura del dossier Unesco per la candidatura della tecnica autoctona della messa a riposo delle uve. Il nuovo Cda, a cui auguro un buon lavoro, dovrà guardare al futuro della denominazione e in particolare alla rapida evoluzione della geografia dei consumi di vino che interessano anche la Valpolicella».

CONSORZIO VINI VALPOLICELLA: I NUMERI DELLA GESTIONE MARCHESINI

Entrando nel merito della disamina del bilancio, i ricavi realizzati sono stati destinati per il 94% a coprire i costi dell’attività strettamente istituzionale: promozione e valorizzazione, tutela della denominazione e vigilanza. In particolare, si segnala il balzo delle attività promozionali che l’anno scorso hanno visto il Consorzio impegnato in 10 paesi dalla Danimarca agli Usa, dalla Gran Bretagna al Giappone fino al Vietnam, alla Svezia e alla Svizzera per 16 tappe tra eventi diretti, partecipazioni fieristiche, masterclass e il secondo livello del Vep – Valpolicella education program, il corso di formazione ideato dal Consorzio interamente dedicato alla prima Dop di vino rosso del Veneto e che oggi include 48 esperti internazionali. Mentre gli eventi realizzati in Italia sono stati 25.

Il Consorzio vini Valpolicella conta più di 2400 aziende tra viticoltori, vinificatori e imbottigliatori (oltre l’80% di rappresentatività), su un territorio di produzione che si estende in 19 comuni della provincia di Verona, dalla Valpolicella fino alla città scaligera che detiene il primato del vigneto urbano più grande dello Stivale. La Valpolicella ha una P.L.V. (Produzione Lorda Vendibile) ad ettaro tra le più alte in Italia, 23.000 €/Ha nel 2022. Cresce il vigneto e con esso il potenziale produttivo. Negli ultimi 20 anni è raddoppiato il terreno rivendicato a Valpolicella, che ha raggiunto gli 8.586 ettari di estensione nel 2022. Sono poco più di 67 milioni le bottiglie delle denominazioni (Valpolicella, Amarone, Recioto e Valpolicella Ripasso) prodotte l’anno scorso, per un giro d’affari complessivo di 600 mln di euro annui, di cui più della metà riferito alle performance dell’Amarone.

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Pace fatta tra Consorzio Valpolicella e Famiglie Storiche dell’Amarone


È pace tra il Consorzio Vini Valpolicella e Famiglie Storiche (un tempo “dell’Amarone”). Attraverso un comunicato stampa congiunto anticipato a winemag.it, Christian Marchesini e Pierangelo Tommasi annunciano di «avere definito ogni contenzioso tra loro pendente avente ad oggetto l’utilizzo della Docg Amarone della Valpolicella». I presidenti del Consorzio Vini della Valpolicella e delle Famiglie Storiche «condividono l’obiettivo di agire, ciascuno per quanto di propria competenza, per lo sviluppo della Docg “Amarone della Valpolicella” e delle altre denominazioni della Valpolicella – si legge nella nota inviata anticipata a winemag.it – favorendo un clima di equa competizione tra produttori, rispetto reciproco, collaborazione e dialogo».

Non solo. I due organismi «ribadiscono l’importanza della difesa della Docg Amarone della Valpolicella e delle altre denominazioni del territorio e della loro promozione in Italia e all’estero, con l’obiettivo di favorire la loro conoscenza e di consolidarne il successo, nell’interesse di tutta la collettività». L’ultima operazione di promozione non congiunta risale alle scorse settimane, con il Consorzio impegnato principalmente in Italia e Asia e le Famiglie Storiche negli Stati Uniti, tra New York, Houston e Miami.

«Sono molto contento della positiva soluzione di una querelle legale che andava avanti dal 2015 – commenta in esclusiva a winemag.it Christian Marchesini – che ha visto due sentenze favorevoli al Consorzio. Devo ringraziare, in particolare, le aziende socie che hanno dato un contributo determinante alla fine del contenzioso, rinunciando a proseguire la causa nei confronti delle Famiglie Storiche con la possibilità di chiedere un risarcimento per la riconosciuta “concorrenza sleale“. Queste aziende sono Cantina Soave, Cantina Sociale Colognola ai Colli, Sartori Vini, Roccolo Grassi, Corte Figaretto, Corte Rugolin e Zýmē».

LA FRATTURA TRA FAMIGLIE STORICHE E CONSORZIO VALPOLICELLA

Si ricompone così una spaccatura nata nel 2009, con la costituzione di un associazione di 10 produttori di Amarone della Valpolicella, il cui numero è poi salito a 13. Si tratta di Allegrini, Begali, Brigaldara, Guerrieri Rizzardi, Masi, Musella, Speri, Tedeschi, Tenuta Sant’Antonio, Tommasi, Torre D’Orti, Venturini e Zenato. L’auspicio del Consorzio è ora quello che le aziende tornino sotto l’egida dell’ente, «unica istituzione riconosciuta per la promozione delle eccellenze territoriali», ricorda ancora il presidente Christian Marchesini.

Tornerebbero così nel coro consortile 800 ettari di superficie vitata atta a produrre Amarone, capaci di generare un fatturato aggregato di 81 milioni di euro, pari al 23% del fatturato totale del vino Amarone Docg. Il tutto grazie a una produzione di 2,3 milioni di bottiglie, pari al 15% dell’Amarone venduto annualmente. Il prezzo medio delle bottiglie di Amarone delle Famiglie Storiche è di 35,20 euro.

Il Consorzio Vini Valpolicella agisce per conto di oltre 2400 aziende tra viticoltori, vinificatori e imbottigliatori su un territorio di produzione che si estende in 19 comuni della provincia di Verona, dalla Valpolicella fino alla città scaligera che detiene il primato del vigneto urbano più grande dello Stivale. Con oltre l’80% di rappresentatività, il Consorzio presieduto da Christian Marchesini tutela e promuove la denominazione (Amarone della Valpolicella Docg, Recioto della Valpolicella Docg, Valpolicella Ripasso Doc e Valpolicella Doc) in Italia e nel mondo.

«Siamo soddisfatti di questo risultato per cui lavoravamo da tempo – commenta Pierangelo Tommasi – e che sarebbe potuto arrivare prima ma che a causa della burocrazia si è fatto attendere più del previsto. Un percorso di dialogo con il Consorzio che ho ereditato dall’amico Alberto Zenato, che ha svolto un grande lavoro prima di me, e che ho avuto il piacere di portare a termine. Oggi si apre una nuova pagina e la volontà sia per il Consorzio che per Famiglie Storiche è quella di lavorare con rispetto reciproco e per il bene della denominazione. L’associazione Famiglie Storiche continuerà a esistere perché ormai da 14 anni condivide valori e idee, oltre ad avere la proprietà della storica Antica Bottega del Vino».

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Altro che «sicilianizzazione»: crescono le bottiglie di Zibibbo a Pantelleria


«Lo Zibibbo è un vitigno antico, presente in provincia di Trapani da secoli, con due piccolissime eccezioni poco significative in termini di superfici coltivate e questa è l’unica provincia in cui per legge ne è ammessa la coltivazione». Benedetto Renda, presidente del Consorzio per la tutela e la valorizzazione dei Vini Doc dell’Isola di Pantelleria, replica ai contenuti controversi del convegno organizzato dall’amministrazione comunale pantesca, lo scorso weekend.

A dimostrare che non è in atto una «sicilianizzazione» del vitigno – ovvero, nell’idea dei promotori dell’iniziativa, uno scippo dell’isola “madre” nei confronti della terra d’origine del vitigno – è l’elenco delle varietà idonee dell’Irvo, che stabilisce come lo Zibibbo sia coltivabile esclusivamente nella provincia di Trapani e – dal 13/09/2007 – anche nell’isola di Ustica, nonché nelle isole Pelagie (D.A. 30/06/2015 anche). «Crediamo fermamente che l’elemento più importante, unico e distintivo, sul quale concentrare la tutela e promozione sia in ogni caso quello dell’origine “Pantelleria” più che il vitigno».

Basti pensare – aggiunge Benedetto Renda – che ci sono produttori australiani che vinificano Nero d’Avola o Glera, imbottigliando quest’ultima come Prosecco. Il Consorzio è fortemente impegnato nel racconto e nella valorizzazione della viticoltura eroica e dell’Isola di Pantelleria: un unicum con un grande primattore, lo Zibibbo.

Dai progetti destinati alla formazione agli operatori della ristorazione e della ricettività, i primi “ambasciatori” dell’Isola, all’ organizzazione di educational dedicati alla stampa fino al lancio campagne di comunicazione sui media nazionali».

CRESCE LA PRODUZIONE DI BIANCO FERMO, SPUMANTE E PASSITO A PANTELLERIA

«Coltivare la terra qui è un atto d’amore – continua il presidente del Consorzio pantesco – che chiama tutti noi a un sempre maggiore impegno, ma ci sono dati che confermano come la Doc Pantelleria sia viva ed in evoluzione. Se paragoniamo i dati di imbottigliamento del 2018 con quelli del 2022, si registra un +25% per la denominazione doc Pantelleria bianco, un +68% per la denominazione Pantelleria Moscato spumante e un +10% per il Passito».

Sul banco degli imputati, anche la modifica del disciplinare della Doc Sicilia, contestata in quanto consente di menzionare in etichetta il vitigno “Zibibbo”, anche se presente in maniera inferiore, nell’uvaggio, rispetto ad altri vitigni. «Teniamo presente – replica a winemag.it il Consorzio presieduto da Antonio Rallo – che si tratta solo del caso dei bivarietali e, ad oggi, nella Doc Sicilia i bivarietali con lo Zibibbo non sono mai stati prodotti».

Le repliche dei due Consorzi confermano, dati alla mano, come l’attacco dell’amministrazione comunale di Pantelleria non trovi conferme nei numeri. Una mossa, quella dalla giunta guidata dal sindaco Vincenzo Campo, arrivata peraltro a pochi giorni dalle elezioni comunali, che vedono il primo cittadino ricandidarsi in una lista sostenuta dal Movimento 5 Stelle. Per organizzare la tre giorni di convegni utile a lanciare l’attacco alla Doc Pantelleria e alla Doc Sicilia, Campo ha avallato uno stanziamento di 25 mila euro. Soldi pubblici in cambio di un pizzico di visibilità?

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“Le Terre del Balsamico”: Modena fa rete per il suo “oro nero”


Si chiama “Le Terre del Balsamico” ed è un progetto congiunto di valorizzazione dell’Aceto Balsamico di Modena IGP e dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP quello è stato presentato in anteprima questa mattina a Modena presso la sede del Consorzio ABM in via Ganaceto a Modena.

Un vero e proprio Consorzio di secondo grado senza scopo di lucro (ex art. 2602 ss del Codice Civile), avente personalità giuridica – e la possibilità di svolgere attività, nonché assumere iniziative ed impegni autonomi rispetto all’azione dei singoli consorzi – quello che va costituendosi tra le due realtà consortili già esistenti e che avrà per oggetto la salvaguardia, la diffusione e la valorizzazione e promozione coordinata delle due produzioni DOP e IGP e del comune territorio, nonché il consolidamento della reputazione e dell’immagine delle suddette denominazioni, lo sviluppo di nuove opportunità commerciali due prodotti simbolo dell’agroalimentare modenese ed italiano.

A rappresentare in tale sede il costituendo ente – che non sarà un Consorzio di Tutela ma un Consorzio tecnicamente inteso alla luce delle relative disposizioni civilistiche – il Presidente del Consorzio di Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena Enrico Corsini e il Presidente del Consorzio Tutela Aceto Balsamico di Modena Mariangela Grosoli, che ne saranno rispettivamente Presidente e Vicepresidente.

Obiettivi generali e strategici del progetto – spiega Enrico Corsini – sono la salvaguardia, la diffusione e la valorizzazione delle due produzioni e della loro storia, cultura e tradizione, nonché la valorizzazione del territorio attraverso la creazione e lo sviluppo di una specifica connessione con il tessuto produttivo del “Balsamico”. Un ruolo di primo piano sarà poi riservato alla ricerca scientifica e alla formazione degli operatori, in direzione di un costante miglioramento dei processi e dell’organizzazione delle produzioni e rappresenterà un supporto importante per lo sviluppo dei temi della transizione ecologica e della sostenibilità economica ed ambientale”.

IL NUOVO CONSORZIO “LE TERRE DEL BALSAMICO”

L’unione dei due Consorzi porterà oltre ad una gestione condivisa del budget previsto per le attività promozionali ed istituzionali e ad avere un supporto tecnico giuridico per attività istituzionali e rapporti con il Ministero, altresì facilitazioni nell’accesso a fondi pubblici e bandi di finanziamento di progetti comunitari e – più nell’immediato – promuoverà la partecipazione coordinata e condivisa a bandi Mipaaf, PSR e per i Distretti del Cibo.

«L’iniziativa è stata intrapresa unitamente dai due Consorzi di Tutela – afferma Mariangela Grosoli – e attraverso questo nuovo soggetto i due enti opereranno insieme per il bene dei prodotti e del territorio creando opportunità commerciali per gli operatori ed aumentare la diffusione della conoscenza e consapevolezza attraverso azioni congiunte di comunicazione e promozione. Ma il vero successo di questo progetto che vede uniti per la prima volta i produttori di Aceto Balsamico di Modena IGP e Aceto Balsamico Tradizionale di Modena DOP, è il segno di un importante cambio di cultura, una svolta storica per il territorio e si pone come esempio per tutti coloro che hanno a cuore il futuro del patrimonio culturale e umano, nonché economico e sociale delle terre del Balsamico»

Sempre secondo le mire dei promotori, “Le Terre del Balsamico” potrà contribuire a migliorare il coordinamento delle modalità di immissione dei prodotti sul mercato, in particolare attraverso ricerche e studi di mercato, esplorare potenziali mercati di esportazione e incrementare le opportunità di commercializzazione a livello nazionale, comunitario e internazionale e sviluppare iniziative volte a rafforzare la competitività economica e l’innovazione e promuovere la commercializzazione on-line dei prodotti. Il metodo di lavoro del nuovo Consorzio di secondo grado prevede la costituzione di un Consiglio Paritetico composto dal Presidente e altri due membri di ogni consorzio, da cui passeranno tutte le decisioni. Sui singoli progetti, potranno altresì essere interpellati altri soggetti individuati dal Consorzio di riferimento.

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