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Da Solive a I Barisèi: in Franciacorta una nuova realtà

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ERBUSCO – 
Si apre un nuovo capitolo in Franciacorta. La famiglia Bariselli ha presentato in mattinata la linea di Franciacorta “I Barisèi“, che andrà a sostituire nell’Horeca i vini sino ad oggi marchiati Solive.

A un secolo dalla prima vendemmia – il payoff della cantina, non a caso, è “in vigna dal 1898” – la storica famiglia di Erbusco ha deciso di “mettere la faccia”, anzi il cognome, sul nuovo brand.

“Barisèi” è infatti la contrazione dialettale di Bariselli. Ma si tratta di molto più di una semplice operazione di rebranding di Solive, marchio che sarà destinato esclusivamente all’altra attività dei Bariselli, l’agriturismo.

I quattro vini presentati da Gian Mario Bariselli (quarta generazione) segnano una vera rivoluzione rispetto alla precedente produzione. “Dal bozzolo è finalmente uscita una bella farfalla, figlia dell’esperienza maturata in trentanni di sperimentazioni”, ha riassunto benissimo l’enologo Paolo Turra, che da 5 anni affianca i Bariselli e il consulente enologo trentino Massimo Azzolini.

I “nuovi” Franciacorta hanno infatti uno sprint maggiore, frutto di una più attenta selezione delle uve e di una pressatura più soffice, utile ad estrarre dal mosto fiore solo le migliori caratteristiche.

Si tratta di micro vinificazioni dei vari appezzamenti a disposizione della famiglia Bariselli nell’anfiteatro morenico franciacortino, utili a comporre le migliori cuvée, per un totale complessivo di 30-35 mila bottiglie.

Un quadro completato dalla grande attenzione per l’ambiente, come confermato dall’agronomo Giuseppe Turrini, con i “Barisèi” dal 2003: “Siamo biologici da sempre, anche se la certificazione è arrivata solo nel 2014″. E nel calice pochissimi solfiti: secondo le analisi di laboratorio, tutte le etichette registrano un totale di solforosa che oscilla tra i 60 e i 70 milligrammi litro.

La mia non è sfida – ha commentato Gian Mario Bariselli – ma piuttosto un volermi mettere in gioco, senza timori. C’è tutta la mia vita nei calici de I Barisèi. Ed è quello che spero di trasmettere a chi vorrà degustare le nostre nuove etichette”.

Una gamma che, entro cinque anni, raddoppierà. Agli attuali Franciacorta “Sempiterre”, Satèn, Rosé e “Natura” saranno affiancati, entro il 2023, la Cuvée Millesimata “Mariadri”, un Rosé Riserva de saignée, una Riserva vendemmia 2011 e un Blanc de Noir vendemmia 2016.

A benedire il nuovo corso de I Barisèi anche Giuseppe Salvioni, amministratore delegato del Consorzio di Tutela del Franciacorta: “Si tratta di un progetto che può essere descritto con semplici parole. Quel cognome espresso in forma dialettale sta lì a ricordare il cuore, la passione, la voglia di fare e di dimostrare a se stessi e al mondo che il proprio lavoro vale e merita di essere considerato. Uno spirito che si ritrova poi nel calice”.

Il marchio “Solive” non scomparirà definitivanente: sarà usato per i vini prodotti per l’omonimo agriturismo, situato sempre ad Erbusco.

LA DEGUSTAZIONE


Franciacorta Docg Brut “Sempiterre”: 87/100

Non propriamente “millesimato”, anche se si tratta di una cuvée di uve della vendemmia 2015: 90% Chardonnay, 10% Pinot Nero. Poco più di 30 mesi su lieviti, dunque. Perlage fine, persistente. Naso per nulla condizionato dai sentori di lieviti. Pertanto agrumi, ma anche fiori, leggera percezione salina, unita a una vena cremosa.

In bocca molto equilibrato, fresco, corrispondente. Persistente. Quando si scalda un poco, il naso regala una nota netta di liquirizia dolce al naso. Molto più di un semplice vino “d’entrata”. Anzi, il segno che i Barisèi credono davvero in questa nuova avventura, nel nome della qualità.

Franciacorta Docg Satèn Millesimato 2014: 89/100
Oltre 40 mesi di affinamento sui lieviti per questo Chardonnay in purezza. Al naso una vena morbida più evidente rispetto al precedente: alle trame cremose fanno eco richiami preziosi di macchia mediterranea, che sfociano in venature mentolate intriganti. Si ragiona dunque sulla complessità.

In bocca sorprende per la verticalità non annunciata dal naso, pur sempre nei canoni del massimo equilibrio. Il gioco è sempre quello degli agrumi, sull’altalena col sale. Altro sorso lungo, che lascia il segno. E’ lo spumante de I Barisèi che segna il passo rispetto alla precedente gestione delle pressature.

Franciacorta Docg Rosé Millesimato 2013: 88/100
Siamo di fronte a un calice da 54 mesi sui lieviti, dunque alla soglia di una riserva (60 mesi).

Pinot nero in purezza: l’80% è vinificato in bianco, mentre il restante 20% viene lavorato tramite criomacerazione prefermentativa.

La firma sul colore, per intenderci, oltre al desiderio di conservazione degli aromi primari dell’uva. Frutto piuttosto preciso al primo naso, tendente a una leggera maturazione, invitante.

Leggera nota confettata, prima di una vena agrumata e floreale, fresca. Mineralità in questo caso un po’ coperta dal frutto rosso: prettamente fragola, lampone, con il ribes sul fondo. Un nettare che in bocca dà il meglio di sé. Ecco finalmente la vena salina, attesa.

Retro olfattivo carico di “colore”, lungo, preciso, delicato e forte al contempo, con ritorni di buccia d’arancia che si legano alla salinità, chiamando il sorso successivo. Qualche grammo in meno nel dosaggio (oggi a 6 grammi litro) e il calice sarebbe stato eccezionale.

Franciacorta Docg Millesimato 2013 “Natura”: 90/100
Dosaggio zero, 54 mesi sui lieviti, vendemmia 2013: 80% Chardonnay, 20% Pinto Nero. Bel perlage, fine, molto persistente. Il Pinot Nero marca bene il primo naso, mostrando sin da subito cosa sta lì a fare: molto più di un semplice completamento muscolare, pensato per rinvigorire il palato.

“Natura” è (giustamente) il più “pieno” dei Franciacorta de I Barisèi in ingresso di bocca, che si rivela potente. La spiccata mineralità disegna un vino di terroir, impreziosito da una venatura fumè leggera, tipica dei grandi di Franciacorta.

Palato giocato su note agrumate di gran precisione e pulizia. Lungo, ancora una volta, su frutto e sale. “Natura” ha il pregio di riuscire ad essere avvolgente, cremoso e al contempo dritto, verticale, forte. Il tutto in un quadro molto elegante, che lo rende perfetto per la tavola.

Franciacorta Riserva 2011 (sboccato a la volèe): 85/100
Sorpresa di giornata, con la decisione di sboccare a la volèe una delle quattro future etichette de I Barisèi. Un vino che se da un lato convince per la piacevolezza e l’estrema facilità di beva, dall’altro spiazza per un naso troppo poco di terroir, orientato prettamente sul frutto maturo. Considerazioni comunque superficiali e da prendere con le pinze, visto che si tratta di un vino sboccato da pochi secondi.

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Biodiversità significa vino di qualità. In Franciacorta il primo studio al mondo


PROVAGLIO D’ISEO –
E’ la differenza che passa tra una bellezza naturale e una costruita dal chirurgo. Da un ambiente sano e ricco di biodiversità, non ritoccato dai “ferri” della chimica, nasce un vino “naturalmente” buono.

E’ quanto conferma per la prima volta al mondo uno studio avviato in Franciacorta dall’Università della California di Davis, in collaborazione con il professor Leonardo Valenti dell’Università degli Studi di Milano. Un progetto avviato tra i vigneti di Barone Pizzini, azienda pioniera della sostenibilità in Italia, poi diffuso in altre aree vinicole del Paese.

Non a caso Barone Pizzini ha affidato all’enologo Valenti la presentazione dei primi risultati dello studio, in occasione dell’assaggio delle basi spumante 2018 della maison franciacortina. L’analisi dei terreni dei “cru” – oltre 40 quelli a disposizione di Barone Pizzini – dà infatti vita a micro vinificazioni, utili alla perfetta composizione delle cuvée.

Un approccio che avvicina la cantina bresciana ad alcune note realtà cooperative dell’Alto Adige, che da anni vinificano separatamente le uve dei propri conferitori, per arrivare al miglior blend. La marcia in più è costituita dall’attenzione alle diverse condizioni registrabili nelle micro porzioni di ogni singolo vigneto.

Un puzzle nel puzzle, che si traduce per esempio in scelte differenti sui livelli di pressatura delle uve del medesimo “cru”, da stabilire in base alle caratteristiche di “croccantezza” ed elasticità della buccia.

Sembra una cosa ovvia la connessione tra la vitalità del suolo e la qualità del vino – spiega Silvano Brescianini, direttore generale di Barone Pizzini e neo presidente del Consorzio per la Tutela del Franciacorta – ma in realtà non sempre questo viene considerato”.

“Per di più – sottolinea Brescianini – non esistono pubblicazioni ufficiali su questo tema. Dobbiamo essere dunque orgogliosi, come italiani, di essere stati i primi a lavorarci. E un grande merito va al nostro enologo, il prof Valenti, e al nostro agronomo, Pierluigi Donna”.

I PUNTEGGI DI BIODIVERSITÀ
“Quando una vite è in equilibrio con l’ambiente – spiega Leonardo Valenti – lo dimostra con un comportamento vegetativo corretto e una tendenza a generare uve di qualità. Non abbiamo fatto altro che analizzare i fattori alla base di questa correlazione, nel sottosuolo”.

Sono stati messi sotto osservazione i differenti appezzamenti di Barone Pizzini, ritenuti più o meno in grado, secondo le evidenze storiche raccolte in occasione delle diverse vendemmie, di produrre uve di maggiore o minore qualità.

Abbiamo dunque assegnato dei veri e propri punteggi di biodiversità ai diversi terreni – aggiunge Valenti – provando per la prima volta al mondo le precise assonanze tra i valori di vitalità del suolo e la qualità dei vini da esso prodotti. Il medico non tratta tutti i pazienti alla stessa maniera. Conoscere le caratteristiche di ogni singolo terreno ci aiuta a comprendere come aiutarlo naturalmente a produrre meglio”.

L’ASSAGGIO DELLE BASI E L’ERBAMAT

Dal campo alla bottiglia, insomma, il passo è breve. E promette benissimo l’annata 2018 di Barone Pizzini, sulla base degli assaggi delle basi spumante dell’ultima vendemmia. Si tratta di prelievi di “botte”, che andranno a comporre i Metodo Franciacorta passando per il tiraggio e la successiva sboccatura.

Le uve atte alla produzione di spumante – ricorda il professor Valenti – devono raggiungere un’immaturità matura. Potremmo anche definirla una ‘maturità adolescenziale’, di un giovane che ha un carattere abbastanza formato, anche se ancora malleabile”.

E’ così che lo Chardonnay del “cru” Roncaglia, utile alla produzione dell’etichetta “Animante” (20-30 mesi sui lieviti) rivela una buona acidità, equilibrata col resto del corredo. Sarà infatti “tirato” a breve.

Più torbida la base dello Chardonnay di Ronchi, che finirà nella cuvée del “Satèn” o del “Naturae”. Una storia a sé per questo vino, ottenuto grazie a una selezione di lieviti indigeni compiuta in un magazzino sterile di Barone Pizzini, fino a individuare – tra 10 diversi – quello più capace di garantire elevati standard qualitativi in fermentazione.

Ben 5, ovvero la metà, sono risultati “gravemente problematici”: una riprova che anche tra i lieviti indigeni delle uve occorre fare selezione, per evitare arresti fermentativi o altri problemi indotti. Un progetto che Barone Pizzini intende comunque estendere ad altri vigneti.

Altro campione altra base: lo Chardonnay del “cru” del Roccolo è perfetto per il Franciacorta Riserva “Bagnadore”, prodotto di punta della cantina bresciana. Si tratta infatti delle ultime uve raccolte nel comprensorio aziendale.

Una maturazione più lenta che garantisce l’ottenimento di un vino base di potenza, struttura e maturità, grazie ad un accumulo di zucchero che non penalizza l’uva in termini di acidità e ph.

Non a caso le radici affondano in un suolo misto, dove parti profonde e sottili si mescolano. Una situazione simile a quella della fascia centrale della Borgogna, dove si trovano appunto i preziosi Grand Cru e i Premier Cru.

Tra gli assaggi più significativi anche quello dell’Erbamat, l’autoctono riscoperto da Barone Pizzini ed entrato ufficialmente tra i vitigni del Franciacorta dalla vendemmia 2017, con un massimo del 10%.

Un vitigno che dà vita a vini duri, ma dotati al contempo di una certa aromaticità, avvertibile nel retro olfattivo. In Italia può essere paragonato solo alla Durella, l’uva “tosta” con cui si produce il Metodo classico dei Monti Lessini.

“Il campanello d’allarme delle caldissime vendemmie 2003 e 2007 – spiega Silvano Brescianini – ci ha spinto ad interrogarci ancora più seriamente sui cambiamenti climatici. Tra le 18 varietà autoctone disponibili per la Denominazione abbiamo scelto l’Erbamat. Una scelta dovuta al fatto che matura 6-8 settimane dopo lo Chardonnay e mostra un’acidità malica elevata, oltre ad essere citata dall’agronomo bresciano Agostino Gallo già nel 1564″.

Barone Pizzini ha iniziato a reimpiantarlo nel 2008 in località Timoline (vigneto Prada). Nel 2011 le prime prove di vinificazione e nel 2016 i nuovi vigneti, per aumentare la massa critica. La cantina di Provaglio di Iseo, assieme a Berlucchi, detiene oggi la nursery dell’Erbamat.

Ci vorrà del tempo per capire se la sperimentazione avrà avuto gli effetti sperati – evidenzia ancora Brescianini – ma di sicuro avere un vitigno così sul territorio ci consente di presentarci all’estero con una storia autentica e di territorio da raccontare, oltre ai vantaggi garantiti dalle caratteristiche di questa uva”.

Secondo l’enologo Leonardo Valenti, la quota perfetta di Erbamat nella cuvée del Franciacorta è tra il 20 e il 25%, meglio se con Chardonnay e Pinot Noir. Sorprendenti, appunto, anche gli assaggi di Pinot Nero della vendemmia 2018 di Barone Pizzini: potenti, salini e dotati del giusto apporto di frutto.

Quel che è certo è che tutti i Franciacorta della cantina di Provaglio d’Iseo siano “ipocalorici”, come piace definirli al direttore Silvano Bresciani. Ovvero sostanzialmente privi di percezioni zuccherine. La “coda” dolce della liqueur d’expedition è poco percettibile ed è semplice capire perché: il vino “più dosato” è il Satèn, che registra tra i 4 e i 5,5 grammi di residuo.

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