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Drops for Hope: Piccini 1882 dona depuratori agli orfanotrofi (video)

Piccini 1882 presenta il progetto Drops for Hope, all’interno della cornice di “Ripartiamo Aps“, un’iniziativa di solidarietà per garantire l’accesso all’acqua potabile nei paesi più svantaggiati. Il Gruppo Piccini 1882, da sempre simbolo di eccellenza nel mondo del vino, rinnova il suo impegno sociale con il progetto “Drops for Hope” in collaborazione con Ripartiamo Aps. Questa iniziativa nasce con l’obiettivo di affrontare una delle più gravi emergenze globali: la carenza di accesso all’acqua potabile. In molte regioni del Sud del mondo, l’acqua potabile è, difatti, un lusso inaccessibile.

DROPS FOR HOPES: L’IMPEGNO DI PICCINI 1882 PER UN FUTURO MIGLIORE

Attraverso Drops for Hope, Piccini 1882 intende offrire una soluzione concreta e sostenibile, donando agli orfanotrofi dei depuratori che favoriscono la rimozione di batteri, metalli pesanti e sostanze chimiche, e borracce dove conservare l’acqua da bere. Le prime missioni interesseranno paesi come Colombia (prima missione nel video, sopra), Mozambico, Bolivia e Botswana. Il progetto è stato presentato venerdì 13 dicembre, presso la Sala Collezione Oro dello stabilimento di Casole d’Elsa di Piccini 1882. Un’occasione in cui è stato possibile approfondire gli obiettivi dell’iniziativa e sensibilizzare la comunità aziendale e il pubblico presente sui valori di solidarietà e responsabilità sociale che guidano la famiglia del vino toscano.


Ripartiamo Onlus
Via di S. Elena 29 – 00186 – Roma
Tel. +39 3288048119
Email: info@ripartiamonlus.com

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Food Lifestyle & Travel

A Milano arriva Mitù, il ristorante di cucina colombiana dell’ex Inter Ivan Cordoba

A Milano arriva Mitù: il ristorante dell'ex difensore dell'Inter Ivan Ramiro Cordoba

Colorato, divertente, informale ma elegante, Mitù (via Panfilo Castaldi 28, a Milano) è il primo vero fine dining che vede protagonista la cucina colombiana in Europa. L’idea di Mitù nasce alla fine del 2019 da 4 amici, tra cui Ivan Cordoba, ex difensore dell’Inter e della nazionale colombiana e ora dirigente sportivo del Venezia.

Un ristorante piacevole, dall’atmosfera familiare dove gustare una cucina ricercata, di qualità, identitaria e capace di dare vigore a ogni tipo di piatto e ingrediente, risaltandone il lato esotico e l’autenticità.

MITÙ È LA CAPITALE DEL VAUPÈS

Nasce così Mitù, non un semplice ristorante, ma una porta d’ingresso per entrare, attraverso il cibo, le atmosfere e gli arredi, nel vero spirito colombiano. Mitù è infatti la capitale del dipartimento del Vaupès. Un nome scelto non a caso.

È al confine con il Brasile, destinazione ideale da cui partire per immergersi nella profondità della foresta amazzonica, luogo magico la cui anima è rappresentata dal giaguaro, il più grande carnivoro del Centro e Sud America, presente anche nel logo del ristorante.

Mitù è anche il desiderio di Ivan Cordoba, nato e cresciuto in Colombia, ma che dal 2000 vive in Italia e che desideracompartir con il paese che l’ha adottato le meraviglie della sua terra natia.

Da qui la scelta di affidare la consulenza per la parte food ad Alvaro Clavijo, del ristorante El Chato di Bogotà, tra gli chef più rinomati della Colombia, settimo nella classifica dei Latin America’s 50best.

IL NUOVO RISTORANTE DI IVAN CORDOBA

Mitù è stato realizzato dallo studio MA2A di Andres Cordoba. Ricavato da un ex magazzino e situato in via Panfilo Castaldi, in uno dei quartieri più caratteristici di Milano, il locale di 250 mq, si snoda in un percorso minimale e sensoriale, tutto da scoprire.

L’ospite viene accolto in una zona ingresso con cucina a vista, dove può ammirare un affresco che rappresenta un paesaggio tipico della foresta amazzonica. Dal bancone bar può iniziare il suo viaggio alla scoperta dei sapori e dei profumi colombiani degustando i cocktail. Per poi proseguire nella zona principale, cuore del locale, nel patio con giardino verticale e piante di sottobosco a una parete, o nella sala privé.

Tutto si ispira alla Colombia, ogni oggetto narra una storia e concorre a creare un’atmosfera densa, avvolgente che caratterizza questo locale dai colori che si ispirano alla natura, ai fiori, agli animali e alla terra in una sinfonia di gialli, marroni, arancioni che scaldano e ne fanno un ambiente accogliente e allegro. Un luogo di pura meraviglia e un pizzico di follia.

GLI ARREDI ARTIGIANALI

Le pareti sono vestite con maschere tipiche dei carnevali locali e con ceste che ricordano come le donne locali siano solite portare i frutti della terra, mentre le ceramiche dipinte a mano provengono da Antioquia. Gli arredi, appositamente realizzati da artigiani colombiani, vedono l’utilizzo di legno di mogano e materiali.

La luce è un altro elemento importante del ristorante: tenue, diffusa dalle lampade in paglia anch’esse provenienti dalla Colombia, che accarezza e sembra filtrata dalla vegetazione, una sensazione che si può percepire nella foresta amazzonica.

Alvaro Clavijo, colombiano doc, è l’artefice della creazione dei piatti, insieme a Jose Narbona Rodriguez, spagnolo, lo chef resident, perfetto interprete della proposta gastronomica colombiana. Da Mitù, tutto è preparato in casa, a partire dal pane.

Piatti giocosi, belli da vedere, mai banali, dove la materia prima di qualità è al centro. Gli ingredienti arrivano in parte dal Sudamerica, soprattutto frutta e verdura, che caratterizzano al meglio lo stile e identificano la filosofia della cucina, e in parte dai migliori produttori italiani. Al ristorante il comune denominatore è la convivialità.

IL MENU DI MITÙ MILANO

Sedersi per condividere il gusto del cibo più vero e concreto, attraverso un menu completo che invita l’ospite a fare un viaggio in un paese lontano, moderno, rigoroso, capace di divertirsi in modo responsabile e che restituisce un’altra faccia della Colombia.

Si comincia con “Scopri la Colombia“, una piccola degustazione di antipasti della tradizione, si passa poi ai “Piattini” piccole tapas di vario genere per stuzzicare l’appetito. Si continua poi con gli “Antipasti” e le “Specialità”, piatti unici a base di pesce.

È il caso del Patarashca, pescato cotto in foglia di banano, okra e salsa di chontaduro o carne come l’Entrana, riduzione di frijoles, papa criolla e aji di guatila e huacatay o il Solomillo con reducción de frijoles ajÌ de guatila y huacatay e per finire i “Dolci”.

Ricette tradizionali, tipiche, reinterpretate dalle mani dello chef senza nessuna pretesa di stravolgimento, ma nel pieno rispetto dell’originale. Piatti e salse talvolta insoliti ma che ben raccontano l’anima del paese.

Un esempio? L’Ajiaco, una zuppa a base di patate, pannocchie, pollo molto popolare e tra le più amate del paese. È anche il piatto tradizionale della vigilia di Natale. Una zuppa che riscalda il cuore condivisa in caratteristiche ciotole di terracotta nera.

LA ROTAZIONE DELLE MATERIE PRIME E I VINI NATURALI

Il menù del nuovo ristorante di Milano dell’ex giocatore dell’Inter Ivan Cordoba cambia 4 volte l’anno. È quindi stagionale e legato alla reperibilità delle migliori materie prime del momento. Tra i signature dishes: Granadilla, leche de tigre e anacardi, l’Empanada di pulled pork e aji di tomate de arbol, Ceviche di pescato del giorno, avocado, e Guatila, tamal con platano maduro e finferli.

Ad accompagnare la proposta gastronomica, una carta dei vini contemporanea. Spazio non solo alle grandi cantine, ma anche alla ricerca di realtà emergenti di alto livello, con un occhio molto attento al mondo dei vini naturali.

Bianchi, rosati e rossi provenienti dalle migliori aziende vinicole italiane, spumanti e champagne, i migliori vini del Sud America, vini dalla Spagna, Francia e alcune chicche di altri paesi europei.

Non mancano gli spirits, le birre e i cocktails realizzati dalla bartender Myriam Riboldi. Il servizio è curato dal restaurant manager e sommelier Andrea Beccaceci. La sala può contenere fino a un massimo di 60 coperti, compreso il cocktail bar.

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Food Lifestyle & Travel news

Radicchio al posto della coca in Colombia: così il Rosso di Treviso soppianta i narcos

TREVISO – Altro che armi, polizia e squadre d’assalto. In Colombia i narcos si combattono a colpi di Radicchio Rosso di Treviso Igp. C’è anche il pregiato ortaggio del Veneto, immancabile sulle tavole degli italiani a Natale e Capodanno, tra le colture utili a soppiantare le piantagioni di coca, nello stato sudamericano. Paga il Governo.

L’iniziativa del presidente Juan Miguel Santos, in carica fino all’agosto 2018, prevede un sussidio di 330 dollari al mese ai contadini che decidono di convertirsi al Radicchio, così come ad altri ortaggi o frutti. Estirpando la coca.

Un modo per togliere linfa ai narcos, attraverso un provvedimento che riguarda 50 mila ettari di terreno e 75 mila famiglie di campesinos cocaleros, costretti a vivere tra l’incudine della Stato e il martello dei guerriglieri.

Il successo dell’operazione “Radicchio di Treviso Igp” in Colombia, evidenziato in occasione del Radicchio d’Oro 2019, è ancora tutto da dimostrare. Ma una delegazione di uomini d’affari colombiani ha visitato il “Triangolo d’oro” compreso tra Treviso, Padova e Venezia. Con l’obiettivo di comprendere la fattibilità dell’operazione.

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Da queste parti, il Radicchio è una gallina dalle uova… biancorosse. Il giro d’affari è di 50 milioni di euro l’anno. Diverse le varietà, ma le più pregiate sono il Radicchio Rosso di Treviso Igp, che si divide in Tardivo e Precoce, il Radicchio Variegato di Castelfranco Veneto e il Radicchio di Chioggia.

Cinquecento le imprese dell’indotto, si apprende da Cesare Bellò del direttivo Opo – Ortoveneto, l’Organizzazione Produttori Ortofrutticoli Veneto di Zero Branco (TV): “Un fenomeno incredibile: vent’anni fa si parlava di 2,5 milioni euro di fatturato e di appena 2 mila ettari, diventati ormai duemila per il nostro radicchio. Un ortaggio umile e buono“.

Un fermento che non passa inosservato nelle cabine di regia dell’Unione Europea, che nel triennio 2018/2020 promuove una campagna tra i consumatori, per ribadire l’importanza dei marchi sinonimo di eccellenza e di alta qualità.

In Italia, il progetto vede protagonista anche l’Asparago verde d’Altedo Igp, la Ciliegia di Vignola Igp, la Pesca e la Nettarina di Romagna Igp, l’Insalata di Lusia Igp e la Pera dell’Emilia Romagna Igp.

IL RADICCHIO D’ORO 2019
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Organizzato dal Consorzio Ristoranti del Radicchio, il Radicchio d’oro” è la più importante celebrazione annuale del noto ortaggio del Veneto. Protagonista è il “Fiore che si mangia” e tutto il territorio trevigiano, dove convergono per due giorni alcuni tra i maggiori esponenti del Gusto, dello Spettacolo, dello Sport e della Cultura italiana. Una rassegna giunta alla 21° edizione che, in questo 2019, si è tenuta il 18 e 19 novembre.

Quanto sia prezioso il radicchio, del resto, lo testimoniano i numeri. Quasi l’80% della pianta, al momento della raccolta, viene scartata in favore del solo “cuore” del prodotto, tenero al contempo croccante. Fondamentale un elemento, su tutti: l’acqua, in particolare quella del fiume di sorgiva Sile.

Importante saper riconoscere quello autentico. Il Radicchio Rosso di Treviso Igp Tardivo ha foglie lunghe e affusolate di colore rosso vinoso intenso e una costa bianca centrale. La varietà Precoce si distingue per il cespo voluminoso di colore rosso intenso, con la nervatura principale bianca e molto accentuata.

Al gusto, risultano gradevolmente amarognoli. In cucina, le due varietà sono perfette nelle preparazioni a crudo. Eccezionali nelle loro declinazioni, dagli antipasti ai primi piatti, passando per i secondi e i sorprendenti dessert.

Accanto al Radicchio di Treviso Igp, il Radicchio Variegato di Castelfranco Igp si caratterizza invece per foglie espanse con nervature poco accentuate, bordo frastagliato e lembo leggermente ondulato. Il sapore varia dal dolce al gradevolmente amarognolo, sempre molto fresco e delicato.

Come indicato nel Disciplinare di Produzione, il Radicchio di Treviso Igp e il Radicchio di Castelfranco Igp possono essere infatti coltivati solo in  comuni delle province di Treviso, Padova e Venezia per garantire la provenienza, le caratteristiche peculiari e tutta la qualità del prodotto. Per la Colombia si farà un’eccezione. Pur col divieto di immetterlo sul mercato come Igp.

IL RISTORANTE DOVE PROVARLO
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Tra le tappe imperdibili per scoprire la bontà del radicchio, nel suo territorio d’elezione, c’è il Ristorante Ca’Amata Golf Club di Castelfranco Veneto (TV). E non è un caso se Egidio Fior, patron di questo vero e proprio scrigno del gusto, tra i promotori del Radicchio d’Oro, abbia scelto per la sua cucina un giovane chef, nato e cresciuto nella zona per la sua cucina.

Si tratta del 24enne Simone Pozzebon (nella foto sotto),capace di condensare Davide Oldani e Massimo Bottura in un percorso tra tempura, marinatura, saor, fino a culminare negli Zaeti (i biscotti tipici veneti e veneziani) e nel dessert celebrativo “Ops, mi si è rotta la crostata”, torta al limone con marmellata di radicchio.

Alla base del menu studiato da Fior e Pozzebon, una filosofia che guarda alla sostenibilità. Incollata alla tradizione, ma proiettata nel futuro. “Non ammetto gli sprechi – spiega il giovane chef – anzi tendo a riciclare moltissimo. Un modo per dare sfogo alla mia fantasia e creatività, fondamentali nel mia idea di cucinare il Veneto”.

Ottima anche la carta dei vini, tra cui figura il “Falconera” di Loredan Gasparini: un Merlot Colli Trevigiani Igt 2015 di gran carattere e pulizia, frutto dell’omonimo vigneto storico di Vergazzù. Solo una delle “chicche” dell’area del Montello, nota per la produzione dell’Asolo Prosecco Superiore, ma capace di regalare anche grandi rossi.

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Approfondimenti

L’arte del beverage in sei masterclass ed un banco d’assaggio

Milano, 3 ottobre 2018 – Sei masterclass dedicate alla grande arte del beverage, un banco d’assaggio e una competizione solo per veri professionisti. È un programma ricco di appuntamenti quello che ASPIAssociazione della Sommellerie Professionale Italiana organizza sabato 6 e domenica 7 ottobre, al Grand Visconti Palace di Milano: mentre 12 Sommelier professionisti si contenderanno il titolo di Miglior Sommelier d’Italia del 2018, si terranno sei imperdibili incontri dedicati al caffè, alla birra, alla mixology, allo Champagne, all’acqua e al servizio, e si potranno degustare le migliori produzioni delle oltre 30 aziende selezionate da ASPI.

Il sipario si alza sabato, alle 9.00, con “Nespresso Master Origin. Dove il terroir incontra la maestria”, un viaggio intorno al mondo in cinque monorigine (Indonesia, Ethiopia, Colombia, India, Nicaragua) in cui è il caffè a raccontare il territorio in cui è coltivato e lavorato e le peculiari tecniche di lavorazione che rendono il suo gusto unico.

A seguire, sabato alle 11.30, “La birra a tavola, con Fondazione Birra Moretti”, un approfondimento sulla birra che porterà alla scoperta dell’impatto che questa bevanda ha nei consumi fuori casa e all’interpretazione degli stili birrari per capire come si sia passati da una birra “universale” a una pluralità di birre e, in particolare, alle birre speciali. Il percorso consentirà, inoltre, di approfondire il mondo delle spezie e delle erbe aromatiche grazie al contributo di Micaela Martina (owner de lespezie.net) che condurrà a conoscerle non soltanto come ingrediente nella birra e farà vivere una originale esperienza sensoriale testandole in abbinamenti singolari.

Il pomeriggio prosegue, alle 14.30, con “Bitter & Amari. Mixology con Campari”, alla scoperta di una nuova strada per usare al meglio gli amari in miscelazione, non solo come aromatizzanti secondari ma come protagonisti di nuovi cocktail. Con Campari si conoscerà da vicino la nuova era della mixology, con approfondimenti sugli amari, i bitter aperitivi e i bitter concentrati. Saranno analizzate le materie prime, gli utilizzi moderni in miscelazione e le modalità per sfruttare al meglio ingredienti classici e storici evidenziando le proprietà e le caratteristiche più importanti.

E sempre sabato, alle 17, “Champagne et Macaron con Champagne J.H. Quenardel” in cui si degusterà Champagne J.H. Quenardel con i macarons salati del maestro Cerdini: le migliori cuvèe saranno presentate dal presidente ASPI Giuseppe Vaccarini e da Alexandre Quenardel, che proporranno ai presenti un “assaggio” del Concept store di via Cusani a Milano “Cerdini + Quenardel”.

Domenica 7 ottobre, dalle 10 alle 15, oltre 30 aziende selezionate proporranno le loro migliori produzioni a professionisti ed appassionati nel banco d’assaggio “Con il naso all’ingiù”.

Sempre domenica, alle 10, appuntamento con “La ricerca dell’armonia dei gusti”: protagoniste Acqua Panna e S.Pellegrino, le acque della gastronomia in Italia e nel mondo che inviteranno a vivere un’esperienza sensoriale tra vino, acqua e cibo. E non solo. E’ prevista, infatti, una sorpresa dai sapori mediterranei ideata dallo chef della Locanda Del Notaio (1 stella Michelin) Edoardo Fumagalli, S.Pellegrino Young Chef Italia 2017 che coinvolgerà le bibite Sanpellegrino. Accompagneranno nella degustazione il sommelier Konstantinos Stavroulakis, Miglior Sommelier d’Italia ASPI 2016 e il bartender Enrico Scarzella.

Infine, alle 12.30, “Le corrette temperature di servizio con Fresh”, un focus a cura di Nando Salemme, sommelier, patron dell’osteria Abraxas di Pozzuoli, e ideatore dello stabilizzatore di temperature “Fresh” che spiegherà come e perché è importante servire i vini alla giusta temperatura.

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Approfondimenti news

Maurizio Galimberti: come porto il vino italiano in Sud America

Baffo bianco all’insù, alla Salvador Dalí. Camicia slacciata sul petto che, a 61 anni, puoi permetterti solo se hai girato mezzo pianeta. Un bulldog inglese di 10 anni, Matok, come inseparabile compagno. Maurizio Galimberti, di Saronno (Varese) come il famoso “Amaretto”, è un ambasciatore del vino e della buona cucina italiana in Sud America.

Madre svizzera, padre di Monza. Un cittadino del mondo, già in fasce. Oggi, con la sua società, porta Oltreoceano alcune tra le eccellenze del vino Made in Italy. Duecentomila bottiglie in Centro e Sud America, in Paesi come Colombia, Ecuador, El Salvador, Panama e Nicaragua. Nazioni dove il vino italiano è molto apprezzato, anche se non alla portata di tutti.

Un business reso possibile da un’attenta selezione di Franciacorta, Supertuscan e Prosecchi di fascia medio-alta. Nel portafoglio di Maurizio Galimberti, sommelier Ais prima e degustatore Onav poi, alcune tra le etichette icona del Made in Italy del vino. Una rete di distributori locali le piazza poi in grandi hotel e catene alberghiere di lusso, come le Trump Tower.

A favorire il business, una fiscalità che invoglia le imprese a operare in Sud America. Basti pensare che, in alcuni Paesi, la pressione fiscale si ferma al 27% dell’utile. Una soglia nettamente inferiore al 64,8% dell’Italia. Ma non è tutto oro quello che luccica.

“Le spedizioni sono molto costose – evidenzia Galimberti – perché occorre attrezzarsi con container refrigerati. Occorrono 4-5 mila euro per la spedizione di un singolo container da 6 pallet, per un totale di 2.700 bottiglie. Il container grande conviene: costa 6-7 mila dollari, ma ci stanno il doppio dei bancali. Le consegne, tra navigazione, soste in dogana e rallentamenti di una burocrazia asfissiante, avvengono in 30 giorni circa dalla data di spedizione. E sul posto vanno poi calcolate le tasse, che si pagano in base al grado alcolico, con balzelli da mezzo grado”.

LO SFUSO DAL CILE
Ecco che una bottiglia pagata in Italia 10 euro può costare oltre 40 dollari in Centro Sud America. “Ovviamente – evidenzia Galimberti – si tratta di Paesi dove c’è un grande divario tra le classi sociali. In pochi possono permettersi le eccellenze del vino italiano. Il ceto medio e soprattutto quello basso, in America del Sud, ha l’abitudine di bere per ubriacarsi. E ci riesce pure bene con i prodotti locali: vini a basso o bassissimo costo provenienti dal continente”.

A farla da padrona, in questo mercato del “primo prezzo”, sono nazioni come Cile. Vero e proprio serbatoio dell’intera area per il vino sfuso e di bassa qualità. Se ne sono resi conto già da un pezzo in Argentina, nazione invasa dalla cifra record di 526 mila ettolitri di vino sfuso cileno, nei primi 6 mesi dell’anno corrente.

Quello del saronnese Maurizio Galimberti è invece (anche) un progetto culturale. “Chi esporta vini del proprio Paese non può perdere l’opportunità di fare cultura del buon bere e della buona cucina nei luoghi di destinazione”.

“Anche per me è stata una sorpresa scoprire che bevono molto vino rosso – sottolinea l’imprenditore – con gradazioni abbastanza sostenute, ma freddo. Impazziscono per il Cabernet e il Pinot Noir. Amano anche i nostri Brunello e i nostri Amarone, sempre dunque vini con una certa concentrazione e presenza d’alcol non indifferente”.

LA CUCINA COME CHIAVE
“Importo anche Chianti e Morellino leggeri – precisa il 61enne Saronno – che sono riuscito a far conoscere e apprezzare grazie al lavoro fatto con la comunicazione dell’abbinamento corretto del vino in cucina. Spesso i piatti locali sono poveri e dunque necessitano di vini semplici, giovani. Con ancora più fatica cerco di comunicare che il vino bianco, come Prosecco e bollicine più strutturate come quelle franciacortine, possono dare grandi soddisfazioni in abbinamento alla tradizione gastronomica Centro-Sud Americana”.

E non parla a caso Galimberti, che ha iniziato il suo percorso professionale proprio come chef. In questa veste lo si può incontrare a Rescaldina (MI), nel secondo dei tre punti vendita del retailer Zodio.

“Purtroppo – aggiunge Galimberti – non riesco a evitare che da quelle parti annacquino tutto col ghiaccio. Colpa delle campagne pubblicitarie di mostri sacri come Moet & Chandon, per i quali tutti nutrono vera e propria venerazione. Gli spot in cui si invita a mettere il ghiaccio nello Champagne non aiutano certo chi tenta di offrire upgrade qualitativi e professionali”.

A quattro anni dall’avvio dell’import, Galimberti ha le idee chiare sulle dinamiche d’acquisto di vino da parte dei sudamericani. “Dimmi dove fai la spesa e ti dirò tutto sul tuo portafogli”. A Panama sembra funzioni così. Con la popolazione che si suddivide per status sociale nella scelta delle insegne di supermercati in cui fare la spesa.

Riba Smith è la catena dei ricchi – spiega Galimberti – dotata di store bellissimi, moderni, dalla chiara impronta internazionale. C’è poi Super99, la catena dell’ex presidente Ricardo Alberto Martinelli Berrocal, fino a qualche mese fa in esilio a Miami. Un concept che, come Rey, punta su prezzi alla portata di tutti, senza disdegnare la qualità”.

I negozi “bene” si trovano nel centro della capitale Panama, dove un singolo ceppo di lattuga può costare 6 dollari. Allontanandosi dal cuore della città, i prezzi si sgonfiano. I quartieri diventano sempre più popolari. E l’insalata si compra a cassette. Nei mercati rionali.

“Il costo della vita scende a meno di un terzo”, spiega l’imprenditore. Anche perché a Panama c’è chi ringrazia il cielo con uno stipendio di appena 400 euro.

“La manodopera è un altro problema – evidenzia Galimberti – perché trovare personale qualificato in Paesi dove la ricchezza è così mal distribuita è cosa davvero rara. Se dai la mancia al cameriere di un ristorante di medio-basso livello, questo non si presenterà per un po’ sul posto di lavoro. Con 10 dollari ci vive tre giorni. Chi glielo fa fare di andare pure a lavorare?”.

E allora meglio pensare alla Trump Tower, dove il vino italiano scorre a fiumi e i soldi non mancano mai. Clienti facoltosi, auto di lusso a specchiarsi nelle ampie vetrate di quella che sembra una zanna, conficcata nel golfo del Pacifico Settentrionale. Qui il vino si paga alla consegna. Un paradiso del lusso dove i Franciacorta italiani sono molto apprezzati e tra le etichette più in voga.

Per gli amanti dei dettagli, qualche altra cifra. Quattrocentomila euro l’investimento necessario per avviare un business come quello di Galimberti, in Centro Sud America. Qualcuno ci vuole provare?

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