Dopo la Tigre, ecco il Coniglio. Mancano solo tre giorni al Capodanno cinese 2023, celebrazione che si preannuncia carica di simbolismo (e gusto) nei ristoranti cinesi di Milano. Il 22 gennaio, Bon Wei proporrà ai suoi clienti un menu dedicato, in scia con la filosofia di un locale divenuto un punto di riferimento per l’alta cucina regionale cinese in Italia. A 12 anni dal posizionamento dell’insegna in zona Sempione, via Castelvetro 16/18 è ormai un indirizzo imperdibile anche per gli amanti del vino, italiano e straniero.
Merito di Zhang Le, figlio dello chef Zhang Guoqing, sommelier Fisar che ha letteralmente rivoluzionato la carta vini di Bon Wei a partire dal suo ingresso in sala, nel 2013. Accanto a mostri sacri come Château Petrus, ha scelto numerose etichette di Distribuendo Wine and Spirits, distribuzione con sede nella vicina Paderno Dugnano che rivela tutto l’amore dei fondatori Dario Carcano e Mauro Pincione per i (buoni) vini di nicchia, con grande focus sulla sincera espressività dei singoli vitigni (cosa ormai rara).
CAPODANNO CINESE: LA TIGRE LASCIA SPAZIO AL CONIGLIO
Tigre e Coniglio, gli animali che si scambiano il testimone nella staffetta del Capodanno cinese 2023 (questo sarà l’Anno del Coniglio – Tù – che prenderà il posto della Tigre – Hû – animale 2022 per l’astrologia cinese) sembrano, per certi versi, dividersi il palco del menu 5 portate e degli abbinamenti cibo-vino ideati per l’importante ricorrenza. “Ruggisce” la tigre nelle spezie, nei profumi e nei sapori decisi che condensano al meglio lo spirito delle Badacaixi, le otto cucine regionali cinesi (Anhui, Cantonese, Fujian, Hunan, Jiangsu, Shandong, Sichuan e Zhejiang).
Soffice come burro, anzi come il pelo di un coniglio, la consistenza della cernia gialla al vapore, o del filetto di manzo saltato nel wok. Nel calice, si passa con abilità dal gioco tra le graffianti mineralità e le suadenti morbidezze del Grand Cru di Oger Comte de Chermont Champagne 2012 di Klepka Sausse alle verticalità (misurate) del Catarratto Superiore Riserva 2020 di Bagliesi (Sicilia), del Sauvignon “Exclusiv” 2020 di Ploner (Alto Adige) e di “Campo Vulcano”, il Soave Doc Classico de I Campi (Veneto) che, con la vendemmia 2018, inizia a parlare chiaramente la lingua dell’idrocarburo (quanta vita ancora davanti!).
Per i piatti più strutturati, ecco il delizioso “Luna China”, Cerasuolo di Vittoria Docg di Tenuta Ferrera – Poggio Racineci, giovane realtà siciliana. È firmato dall’altro giovanissimo vignaiolo Stefano Occhetti il Roero Sanche 2019 in abbinamento allo Xian-gu (fungo shiitake) ripieno di carne di maiale e pak choy. Col manzo nel piatto, il pairing chiama la Toscana, col gran carattere del Brunello di Montalcino Riserva 2016 di Col di Lamo. In chiusura, i Vermouth Santòn di Borgo San Daniele (più tradizionale il bianco, mentre il rosso vira nella stilistica dei fortificati, come il Porto).
BON WEI E L’ABBINAMENTO CIBO VINO DI ZHANG LE
«Se la bollicina, che sia Champagne o Franciacorta, risponde ad ogni quesito – spiega Zhang Le – ci sono vitigni che risultano ben versatili con i sapori della Cina. Il Pinot nero, che è uno dei miei preferiti e oggi va molto di moda, è polivalente, riesce ad accompagnare un pesce saporito così come una carne speziata».
La varietà può risultare davvero vincente sull’Anatra Laccata, mentre per i lamian (noodles tirati a mano) o il riso è il condimento che detta l’abbinamento. Con le zuppe, invece, difficilmente in Cina si accompagna un vino. Vini come Amarone della Valpolicella e Sforzato della Valtellina possono reggere bene anche lo Shu-Zhu, stufato di manzo del Sichuan, molto piccante e aromatico.
Il menu del Capodanno cinese di Bon Wei resterà disponibile nelle due settimane successive al 22 gennaio. A soprendere gli ospiti anche la bottiglia di Cristal decorata da Teo Kaykay per l’Anno del Coniglio, le cui vendite inizieranno proprio in occasione della cena di “inizio anno”. Da non perdere, a fine pasto, grappe, Baijiu e whisky, vera passione dell’esperto Zhang Le.
Capodanno cinese al ristorante Bon Wei, 22 gennaio 2023
Costo del menu degustazione per persona: 140 euro
Pairing vini: 40 euro
Per prenotazioni, Tel: 02 341308
Email: prenotazione@bon-wei.it
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Se c’è un ristorante, a Milano, che interpreta in maniera maniacale la cucina tradizionale cinese, con un tocco prezioso di contemporaneità, quello è Ba-Restaurant. Lo ha aperto nel 2011, in via Raffaello Sanzio 22, la famigliaLiu (Claudio, Marco e Giulia). Ampliando un impero del gusto orientale che annovera anche Iyo e Gong.
Poco prima del lockdown, il tempo di rinnovare gli interni, ma non lo spirito e il personale. In cucina confermato il giovane ed estroso Executive Chef Bryan Hooi. Alle “bottiglie” un sommelier (Aspi) tanto esperto quanto entusiasta e discreto: Marco Spini.
Classe 1968 e una caratteristica che lo rende unico tra i sommelier italiani: il baffo all’insù, alla Salvador Dalí. Ma è unica anche la voglia di continuare ad aggiornare una Carta Vini che conta oggi quasi 500 etichette, nazionali e internazionali. Solo uno dei tanti professionisti costretti al lockdown, in una Milano che ha voglia di tornare normale, dopo la quarantena.
Marco Spini, quei baffi all’insù sono uno dei simboli del Ba. Ma bisogna poterseli permettere, dopo tanti anni di gavetta. Lei può, insomma
Dopo una formazione tecnica e artistica, sono entrato nel mondo del lavoro come impiegato, ma presto ho scoperto altri interessi, come quello per il vino. Nel 1994 mi sono iscritto al Primo livello con Ais. Pochi mesi dopo, la mia passione è diventata un lavoro, in qualità di commis-sommelier a “L’Osteria”, a Milano al fianco di Franco Bisignani, del quale divento da subito la spalla.
L’Osteria è un luogo magico, un vero e proprio antesignano del concetto che verrà molto dopo di Wine Bar: aperto nel 1977 da Franco, è una mescita di vino affiancato da Salumi e Formaggi. Il tutto accuratamente selezionato. Abbiamo 350 vini in carta con una trentina di vini al bicchiere.
Facciamo costruire un’azotatrice su misura da un artigiano di Alba, che ci permette di servire 8 grandi rossi al calice in mancanza di ossigeno. Tutte le sere si aprono almeno 40, 50 bottiglie, con almeno 3, 4 decantazioni al tavolo ed è un grandissimo successo, la clientela è molto variegata. Negli anni a venire il Naviglio esploderà e si riempirà di locali, siamo solo all’inizio, anni formidabili.
Ogni primo lunedì del mese ci riuniamo in Osteria insieme ad altri professionisti ( tra i quali voglio ricordare Maida Mercuri del Pont de Ferr, Roberto De Feudis de Le Vigne, Fabio Locatelli della Trattoria Madonnina ed il grande amico Gianni Frattola) ed assaggiamo tutti i campioni che ci inviano i commerciali e le aziende, commentandoli e condividendo le nostre impressioni. Ci chiamano “Il Gruppo dei Navigli“.
Insieme ci muoviamo per le fiere e le manifestazioni di settore (Vinitaly e Merano Wine Festival in primis), le degustazioni e le visite in azienda. Nel 1996 mi diplomo Sommelier professionista, nel 2000 con Franco prendo in gestione il locale, dove rimango fino al 2005. Poi mi prendo una piccola pausa.
Poi per 5 anni mi occupo di dirigere un bistrot in Zona Tortona , il “Piquenique” di via Bergognone, dove mi occupo anche della cucina del wine-bar, cui segue un anno presso “La Cantina di Franco” di via Sanzio.
Arrivo poi a “La Dogana del Buongusto”, nel 2013, dove a fianco di Nino Pappalettera, tutt’ora mio maestro di Sommellerie e mentore, entro nello staff del ristorante come chef de rang e sommelier.
Nel 2016 approdo al Ba-Restaurant come Head Sommelier. Marco Liu mi affida la responsabilità del beverage, lasciandomi la massima libertà nella composizione della nuova carta. Nasce da subito un bellissimo rapporto.
Mi occupo del rinnovamento della cantina, che riorganizzo e che poco dopo verrà anche climatizzata, creando una Carta vini che viene modellata sul menù e sulle mie suggestioni, ma con un occhio anche alle preferenze degli ospiti ed un altro alle nuove tendenze del mercato.
Nello specifico?
Al suo interno trovano posto grandi produttori e artigiani, vini rinomati e meno conosciuti, aziende dall’approccio convenzionale, biologico o biodinamico. Tutti i vini sono caratterizzati da finezza ed eleganza, qualità e pulizia delle sensazioni e dalla personalità: si deve sentire la mano che lo ha fatto, la storia da raccontare. Il telling.
In tre anni e oltre di lavoro ho quintuplicato la carta, in maniera graduale, un passo alla volta. La carta dei vini attualmente sfiora le 500 referenze, ed è in continuo divenire.
Al bicchiere oltre 40 vini e una novità: la “Carta dei Tè”. Si è occupato anche di questo?
Con la riapertura del nuovo locale ho implementato la mescita al calice consueta, composta da 5 “bolle”, 5 bianchi, 5 rossi, 11 vini da dessert. E con una proposta di grandi vini al bicchiere: 6 bianchi, 6 rossi, 3 dessert, serviti con Coravin e con rotazione mensile, quindi l’offerta al bicchiere è di oltre 40 vini.
Altra novità inserita la Carta dei Tè, l’abbinamento tradizionale cinese: 10 tè da me selezionati, in base alle caratteristiche di pairing. Al momento sono tre verdi, un bianco, un wulong, tre fermentati: due neri, un rosso,e poi due herbal.
Ovviamente il servizio del tè avviene secondo le regole con le giuste temperature, i giusti tempi di infusione e le quantità di foglie e viene eseguito da noi al tavolo, presentando l’infuso (le foglie bagnate, dopo infusione) e il liquore (la bevanda).
Altro mio importante compito è quello di supervisionare e coordinare il personale di sala in merito alle principali tecniche di sommellerie e di mantenere elevato lo standard di servizio.
Il suo ruolo in Aspi?
Collaboro con l’Associazione Aspi (Associazione della Sommellerie Professionale Italiana, unica referente nazionale di ASI, l’Association de la Sommellerie Internationale ndr), fondata nel 2008 da Giuseppe Vaccarini, grande maestro e riferimento per me importantissimo.
Partecipo attivamente alle attività di Aspi come Formatore, sia per i corsi di formazione rivolti ai professionisti che per quelli delle Scuole Alberghiere. Dal 2015 al 2017 ho rivestito il ruolo di Coordinatore per Milano e Provincia. Attualmente svolgo anche la funzione di Tutor per il Percorso Tutorato di preparazione all’esame di abilitazione professionale.
L’attualità del Ba-Restaurant è però legata al lockdown. Quando avete chiuso?
La prima chiusura è stata dal 26 febbraio al 4 marzo, per poi chiudere nuovamente dall’8 marzo, da disposizioni.
Siete pronti a riaprire? Con che misure?
Francamente siamo in attesa come tutti di attendere una definizione chiara delle nuove disposizioni. Partiamo da un ottima base: sulle questioni normative la policy di Ba è molto rigorosa, da sempre. Per noi, igiene del luogo di lavoro e del personale e il benessere e la sicurezza dell’ospite sono sempre state al primo posto.
Con la riapertura abbiamo ridotto i coperti e quindi già aumentato le distanze tra i tavoli. Andremo a calibrarle ulteriormente. Andremo a gestire ancor meglio i flussi della clientela, utilizzeremo tutte le nuove procedure che verranno stilate, quindi sanificazione, rilevazione della temperatura, monitoraggio degli ingressi, eccetera.
Sarà molto importante trasmettere fiducia e rassicurare il più possibile i nostri ospiti, alzando ancor di più il livello del comfort oltre che quello della sicurezza. Nel frattempo ci stiamo organizzando per il delivery, che sta per partire. E visto che avremole mascherine (la vorrei coi baffi!) impareremo a sorridere con gli occhi!
Quanti coperti assicuravate al giorno, in media, prima del lockdown?
Un centinaio tra pranzo e cena, su un totale di 64 coperti, tenendo conto che arriviamo da una chiusura di 4 mesi per totale ristrutturazione e che abbiamo riaperto il 10 dicembre 2019.
Quanto calici e bottiglie era abituato a servire, prima del lockdown? Più calici o più bottiglie?
Direi 30-35 bottiglie, più 25-30 calici, tenendo conto anche degli aperitivi e dei vini da dessert.
Più vini italiani o stranieri? Quali sono le aree più richieste?
Sicuramente più italiani, anche se Champagne e Borgogna hanno una buona richiesta, anche se più di nicchia. Per l’Italia sicuramente Alto Adige, Friuli, Piemonte, Toscana, Campania e Sicilia. Per l’estero i già detti Champagne e Borgogna, ma anche qualche escursione su Loira, Alsazia, Cȏte du Rhone e Bordeaux per la Francia; Reno e Mosella per la Germania.
Quali sono i prezzi medi di calici e bottiglie servite?
Si viaggia su una media di 35-40 euro a bottiglia e di 8-10 euro per il calice. I prezzi variano molto a seconda dei vini. La mia carta, peraltro, è tutta consultabile sul sito web di Ba Restaurant.
Oggi cosa fa il sommelier Marco Spini per tenersi in “allenamento”?
Bravo, mi alleno, dice bene: continua come sempre la mia ricerca personale: assaggio nuovi vini e cerco nuovi spunti per il futuro, leggo e mi documento, mi sento con i colleghi. E poi studio: la formazione continua per un sommelier contemporaneo è fondamentale, gli argomenti sono tantissimi ed il tempo è sempre poco, quindi ne approfitto a piene mani.
Con Aspi, in questo periodo, stiamo continuando con la formazione a distanza e stiamo realizzando una clip quotidiana dove ognuno di noi dà il proprio contributo per fare rete, farci forza e tenerci in contatto in questo particolare momento.
E, per mantenere il buon umore. che è una necessità in questo momento, leggo molto, vedo qualche film, ascolto bella buona musica e mi diverto in cucina, senza dimenticare un po’ di attività fisica quotidiana. Nonostante tutto ripenso alla normale giornata lavorativa: che bello, che nostalgia!
D’accordo, momento confessionale. Si sta concedendo qualche bottiglia in più, in quarantena, oppure non sono cambiate le sue abitudini di consumo?
Ho provato a fare il contrario, per cercare di contenere il peso, ma sono un debole! Ah!
Continuiamo con le confessioni. I tre migliori assaggi ai tempi del lockdown?
Monleale 1995, penultima bottiglia di 24 che presi nel 1997 dalle mani del Walter Massa, che mi consegnava il vino direttamente in Osteria: fantastico, ancora fresco e pungente, come il produttore!
Muller-Thurgau Pacherhof 2018. Novacella, Valle Isarco, bianco con naso esplosivo di frutta, fiori bianchi e spezia, bocca polputa con una bella tensione acido-sapida, nota minerale persistente: gran bella esecuzione!
Saint-Vèran Lieu(Inter)dit 2017 Verget: un bianco del Maconnais che non sfigura per nulla con quelli ben più blasonati della Cote de Beaune, uno Chardonnay perfetto, cristallino come solo i grandi Borgogna sanno essere, con un naso elegantissimo e ampio, una bocca di grande potenza con la terna mineralità-freschezza-sapidità infinite.
Un fuoriclasse del vulcanico Jean-Marie Guffens. Il nome del vino deriva dal fatto che il cru, da sempre, si chiama Cȏte Rotie. Siamo a Davayè, accanto a Macon, nulla a che vedere con la notissima Aoc della Cȏte du Rhone. Ma quest’ultima nel 2016 ha ottenuto “l’esclusiva”, quindi l’eclettico Jean-Marie l’ha chiamato appunto “Luogo(inter)detto”!
Come cambierà la carta del vino del Ba, alla riapertura?
Come detto, la mia carta è, per definizione, in “continuo divenire”. Ho già in mente delle novità… Venite presto a trovarmi, vi aspetto!
Cambieranno i rapporti con i fornitori di vino del Ba-Restaurant?
È presto per fare delle previsioni. Di sicuro credo che saranno maggiormente vicini alle nostre realtà. Anche qui staremo a vedere, tutto dipende da come terrà il settore e da come e da quando ripartirà. Sono comunque ottimista.
Pensi che il conto vendita sia un’opzione profittevole da entrambe le parti del calice?
Potrebbe, ma anche su questo mi riservo di aspettare e vedere come sarà la ripresa.
Di cosa ha bisogno la filiera del vino italiano per ripartire?
Bella domanda! Sono sommelier, quindi posso parlare del mio settore. La situazione è seria e molto complessa e soprattutto mai sperimentata prima: i nostri amministratori stanno affrontando l’emergenza, sono stati commessi degli errori, inizialmente sottovalutazione, ma anche dall’estero ci sono arrivati esempi pessimi.
Gli aiuti promessi sono ancora troppo rallentati dalla burocrazia, mentre la categoria chiede aiuti immediati. Dopo quasi due mesi a incasso zero, molti locali sono a rischio di chiusura. Se tutto va bene si riapre a giugno, ma come è ancora tutto da definire. La vera ripresa avverrà con tempi molto lunghi, temo. Per la tenuta e la ripresa serve un serio e forte sostegno dello Stato e della Ue, su questo non vi è dubbio.
Cambieranno le abitudini dei clienti del Ba? Se sì, in previsione, come?
Domanda difficile, ci provo! Credo che la nostra clientela storica ritornerà. Con qualcuno ho avuto modo di confrontarmi. Verranno nuovi clienti, come sempre. Tutta la nostra ricerca non andrà perduta. Ma anche qui bisognerà vedere come e quando, e in che condizioni, le Autorità ci faranno ripartire.
C’è qualcosa che avrebbe gestito in maniera diversa nel contesto del lockdown della ristorazione?
Gli aiuti dovrebbero essere erogati in tempi rapidi e a fondo perduto, non con prestiti. Pare che in altri Paesi europei sia andata diversamente. Vanno fatti dei significativi sgravi fiscali e possibilmente azzerate o abbassate le imposte: Cosap, Tari, Imu, per citarne alcune.
Gli interventi che vediamo sono rallentati dalla burocrazia e perdono di efficacia. Hanno fatto aumentare la preoccupazione degli attori della ristorazione tutta. Come vado dicendo, dall’inizio di questa pandemia, sono molto più preoccupato da quello che succederà dopo, che dall’emergenza sanitaria in sé, anche se la salute pubblica va indiscutibilmente al primo posto.
Quali sono, a suo avviso, le istanze più urgenti per la ristorazione?
Per riaprire in sicurezza serviranno tamponi per dipendenti e datori di lavoro, divise, mascherine, guanti, sanificatori, monitoraggio in e out del cliente, termoscan del cliente, certificazione procedure, eccetera: quindi, assolutamente, aiuti a fondo perduto per sostenere questi costi.
Bisogna rivedere e snellire tutta la burocrazia connessa ai finanziamenti e alle Cig. Abbassare o annullare le tasse per occupazione suolo pubblico, Tari, Imu. Proseguire con il sostegno Cig.
Le banche dovrebbero da subito rivedere affitti e mutui, erogare crediti a fondo perduto per adeguamento alle nuove normative garantiti dallo Stato, che a sua volta dovrebbe accedere ad aiuti Ue. E poi erogare finanziamenti a reale garanzia pubblica (lo Stato garante) a tassi calmierati.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
ROMA – Prendi l’eleganza cinese e la sua cucina millenaria, uniscile a un design orientale moderno e a una nuova formula di consumo, quella del Dim Sum Bar. Ecco la ricetta del “nuovo” DaoRestaurant, un locale capace di rappresentare la vera cultura orientale in modo fedele e ricercato, ma accessibile a tutti.
Aperto da maggio 2011 in viale Jonio, in zona Montesacro (Roma nord), Dao si è imposto sin da subito come uno dei ristoranti più rappresentativi della cucina cinese di qualità, nella capitale.
Al termine di un restyling pressoché completo, si propone come meta del “lieto stare”, grazie a un mix di ingredienti ben assortiti. Merito della determinazione del proprietario, Jianguo Shu, la cui parola d’ordine è “autenticità“.
Quando sono arrivato in Italia ho trovato solo cucine orientali di basso livello – ha raccontato Shu nel corso della serata di presentazione dedicata alla stampa, lo scorso 16 settembre – con Dao ho quindi voluto dare risalto all’autentica cucina cinese tradizionale, focalizzandomi sulla ricerca della materia prima e delle ricette tradizionali del Sud di Shangai”.
Ma dopo otto anni era giunto il momento di un rinnovamento. A partire dagli ambienti: oltre 200 metri quadrati, che sono stati ristrutturati per ospitare fino a 120 confortevoli sedute e arredati secondo la nuova veste studiata dall’interior designer Cristina Campanini.
Sua la firma sull’accurata selezione di tappezzerie, colori e componenti decorative ispirate alla cultura tradizionale cinese, al “nuovo” Dao Restaurant. A coordinare il restyling è stata la società di consulenza Ginevra Consulting che, per la cucina, si è invece avvalsa della preziosa supervisione di Francesca Riganati.
IL CONCEPT
“Appena sono entrata in questo locale ho avvertito subito una sensazione di benessere – ha spiegato l’ex direttrice delle scuole di cucina del Gambero Rosso – per questo ho cercato di riproporla nel pay off del ‘lieto stare’, ispirato alla poesia romantica di Li Bai, poeta taoista cinese dell’Ottavo secolo”.
Come? “Creando un mood coerente su tutta la proposta e gli arredi – ha continuato Francesca Riganati – mentre non sono stati necessari interventi sulla cucina. Il livello era già pazzesco, ma abbiamo voluto inserire qualcosa di più contemporaneo che non stravolgesse l’idea del locale”.
“La base di partenza su cui lavorare era già ottima e consolidata – ha aggiunto Roberto Tomei, fondatore della Ginevra Consulting – il nostro lavoro si è quindi focalizzato sull’alleggerire le proposte della cucina, migliorare l’estetica del menu e della mise en place e dare maggiore profondità alla proposta”.
Ecco dunque la selezione di miscele di tè, dolcetti della tradizione, cocktail con ingredienti cinesi. Una carta dei vini più ampia. E, soprattutto, il nuovo Dim Sum Bar. “Un modo per focalizzarsi sul tema della condivisione”, per dirla con Tomei. L’area, operativa già dal 16 luglio scorso, è la vera novità della ‘nuova era’ del Dao.
IL DIM SUM BAR
Una zona arredata ad hoc, con tavolini bassi e poltroncine, separata dal resto del locale, dove mettere in atto la tipica condivisione cinese del cibo, secondo un format vicino alla cultura nostrana dell’aperitivo.
Nel menu – disegnato e rilegato con grande cura – non solo i tipici ravioli (ben 35 tipologie, fritti o al vapore, di carne, di verdure o di pesce), ovvero Jiaozi, Wonton e Xiao Mai fatti a mano ogni giorno dall’esperta Wang Pingjiao (nella foto) che ha stupito il pubblico con la sua manualità, esibendosi in uno showcooking durante la serata.
Ma anche Involtini, Baozi e la pizza cinese alla griglia (da non perdere) ripiena di verdure fermentate e/o carne. Il tutto da accompagnarsi a una lista di tè, vini al calice e cocktailoriental style come il Lychee Lime Fizz (vodka, zucchero, succo di lime, soda, foglie di menta e lychee) o il Sunset Mule (Moutai, succo di lime, succo di fragola e ginger beer). Un happy hour dal gusto tutto asiatico, in un contesto di totale ‘lieto stare’.
A pranzo e a cena il ristorante conferma invece la classica offerta à la carte, con le tante proposte realizzate dallo chef Lan Haijie, a partire da una materia prima ricercata e di qualità, garantita da fornitori dell’alta ristorazione e da piccoli produttori selezionati direttamente dal proprietario Jianguo Shu.
Qualche idea del menu: tra i primi troviamo il Riso di Yang Zou con piselli, carote, uova, funghi cinesi, prosciutto e gamberi e gli Spaghetti di farina di soia con i gamberi, con le verdure o con il manzo. Passando ai secondi di carne, si può scegliere tra il Gu Iao Rou, l’arista di suino con fagioli rossi, pachino e cipolla.
E ancora: la Pancetta di Maiale piccante con fughi cinesi, peperoni, cipolle e cipolline o la tradizionale anatra alla pechinese in salsa di frutti di mare con carote, cipolle e cetrioli. Non mancano opzioni a tema pesce, con il Branzino croccante con pinoli in salsa agrodolce e il Nido di Gamberi con verdure, anacardi, carote, peperoni, cipolla e bambù.
Dolce chiusura con i Bonbon di riso, palline di riso tradizionali al sesamo o con frutta secca e il Dolce di soia, tipico dessert cinese con marmellata di fagioli rossi e sesamo. E si beve anche bene, grazie all’ampia proposta selezionata dalla sommelier Hiromi Nakayama.
La carta dei vini conta numerose eccellenze enologiche del territorio italiano, ma anche Champagne, birre artigianali, cocktail e i tipici distillati cinesi. Come il Moutai, un’antica e molto profumata ‘grappa’ di sorgo, noto anche come saggina.
Orario Ristorante: aperto tutti i giorni dalle 12.00 alle 15.00 e dalle 18.00 alle 23.00
Dim Sum Bar: aperto tutti i giorni a partire dalle ore 18.00
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EDITORIALE – “Terregiunte? Tecnicamente vino regalissimo. Ma la comunicazione è da dimenticare. Sbagliatissima. Errori che forse non sono neanche concepibili in un contesto di una certa professionalità”. Riccardo Cotarella, co-regista con il collega enologo Andrea Dal Cin dell’ormai famigerato “matrimonio d’Italia tra Amarone e Primitivo di Manduria” è intervenuto così, ieri mattina, alla Camera di Commercio di Verona.
Un breve ma incisivo fuori tema, prima dell’inizio dei lavori di “Destinazione Vendemmia 2019″, il nuovo format di focus vendemmiale curato da Assoenologi Veneto Occidentale, al quale hanno aderito i Consorzi di Tutela dei vini Veronesi, Vicentini e Padovani.
Bocciatura netta, dunque, per la comunicazione legata al “Vino d’Italia” di Bruno Vespa e Sandro Boscaini (Masi Agricola), colpevoli di aver pubblicizzato un “vino da tavola” – per intenderci, qualcosa di assimilabile per tipologia al notissimo Tavernello di Caviro – sfruttando la notorietà della Docg veneta (l’Amarone) e della Doc pugliese (il Primitivo di Manduria).
Un “errore” non presente in etichetta, bensì sul sito web ufficiale di Terregiunte, dal quale i riferimenti alle due Denominazioni sono state rimossi solo in seguito alla dura presa di posizione del Consorzio Tutela Vini Valpolicella e del Primitivo di Manduria.
Vespa e Masi hanno ampiamente utilizzato i nomi dei due noti vini rossi anche in presenza della stampa, in occasione della presentazione ufficiale di Terregiunte, a Cortina. Un evento al quale ha presenziato anche il governatore del Veneto, Luca Zaia, con l’omologo pugliese Michele Emiliano collegato via Skype.
“Noi tecnici – ha spiegato Cotarella – ci siamo fermati all’aspetto tecnico. Col senno di poi, non nascondo che avremmo dovuto controllare un po’ tutto il progetto. Ce ne siamo accorti al momento della presentazione. Devo dire che c’è stato un po’ di… Non è colpa dei giornalisti, sicuramente. Però sapete: dire questo vino viene da questa Denominazione e da quell’altra, no? Fa ancora più effetto che dire due vini mischiati così”.
Un colpo al cerchio e uno alla botte, insomma. Sullo specchio di una malcelata captatio benevolentiae, cui manca solo l’ultimo tentativo d’appello a “na’ ragazzata“. Trattasi però di Vespa e Boscaini. Che ragazzi non sono più. Anzi.
“La colpa – ha ribadito Cotarella nel suo intervento a Verona – è da ammettere soltanto su chi ha progettato la comunicazione di questo vino. Un po’ di colpa me la prendo anche io, perché avremmo dovuto essere un po’ più guardinghi, assieme al mio collega. Di questo mi scuso”.
Il noto enologo si è poi rivolto direttamente ai rappresentanti della Valpolicella, presenti in sala. “Lungi da me il voler creare problemi alla Denominazione, né a questa né a quella pugliese. Non nomino neanche i vini: ho paura a nominarli, pensate un po’. Ci tenevo molto a portare questo chiarimento”.
Sulla vicenda sono tornati gli stessi Bruno Vespa e Sandro Boscaini, nei giorni scorsi. “Il vino uscirà il prossimo novembre e l’etichetta non porterà ovviamente alcun riferimento né ai marchi registrati Costasera e Raccontami né ai vitigni che ne sono alla base”, ha precisato il duo in una lettera indirizzata ai due Consorzi”.
“La fatale semplificazione comunicativa dei primi giorni – continua la missiva – ha portato ad alcuni equivoci che vanno chiariti in modo trasparente. Terregiunte non ha alcuna relazione con le Denominazioni che per semplicità descrittiva, e con qualche approssimazione tecnica da parte nostra, sono state riportate nella comunicazione in generale. Abbiamo pertanto aggiornato i nostri siti in misura adeguata”.
SERVONO LE SCUSE IN CINESE
Bastano le scuse? Di certo non bastano solo in italiano. Servirebbero anche in cinese, mercato al quale Vespa e Boscaini hanno annunciato di puntare in assoluto per la vendita di Terregiunte.
È lì, in Cina, che si sta giocando – già in queste ore, mentre noi stiamo qui a raccontarcela in italiano – la vera partita della comunicazione e del marketing di Bruno Vespa e Masi Agricola, che si sono limitati ad aggiornare le traduzioni dei comunicati stampa, togliendo i riferimenti ad Amarone e Primitivo, come pare evidente a questo link.
Servono – e sarebbero doverose – le scuse in cinese e in inglese anche a fronte delle gravi dichiarazioni di Sandro Boscaini alla stampa, a Cortina: “Terregiunte porta un Made in Italy più comprensibile anche per Paesi come la Cina, dove è pura utopia pretendere che si conoscano le tante, troppe, pur se eccellenti, Denominazioni territoriali del nostro Paese”.
Infine sorge un dubbio. Se per vendere Amarone o Primitivo in Cina è necessario metterli nella stessa bottiglia come “vino rosso” generico, a cosa è servita la fatica dei toscani che hanno studiato la traduzione del marchio “Chianti” in cinese, utile ai produttori per l’export (come da immagine sopra)?
Il presidente del Consorzio di Tutela, Giovanni Busi, è un erede di Don Chisciotte a cui affidare subito – honoris causa – il ruolo di ministro dell’Agricoltura o, forse, il punto è un altro? Buona la seconda. La verità è che, a qualcuno, la strada per la Cina, piace breve. In attesa del teletrasporto.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Diciamocelo chiaramente. Ha suscitato qualche ilarità – cosa grave, anche tra una buona fetta di addetti ai lavori – la registrazione del marchio “Shiandi” (基安蒂) per il Chianti in Cina. Una mossa volta a favorire l’export, che ha riacceso facili ironie di caratura calcistica.
Passata la fase di autoindotto solletico ascellare italiota – pratica che investe tutte le “cose nuove” che si verificano in un Paese notoriamente allergico all’innovazione e alla presa di coscienza del reale Anno Domini – la trovata del Consorzio di Tutela fiorentino non può che essere giudicata positivamente.
PIZZA E COCA-COLA
Abbiamo infatti approfondito il discorso. Scoprendo che molte parole, in Cina, godono di “translitterazioni” simili a quelle utilizzate dal team toscano capitanato da Giovanni Busi. Tecnicamente si chiamano loanword, ovvero “parole in prestito”. A Pechino si comunica senza un vero e proprio alfabeto e con un complesso sistema di caratteri e fonemi.
E allora ecco che 披萨 si tradurrebbe “PY pīsà”: ovvero “pizza“. Due simboli: “PY”, ovvero “tagliare”, e “SA”, una parola senza significato particolare – come potrebbe essere un cognome – utilizzata solo per l’assonanza fonetica.
Ancora più chiaro l’esempio con la bevanda più famosa del mondo: la Coca-Cola: 可口可乐, ovvero “Kĕkŏu Kĕlè”. I caratteri usati per traslitterare il marchio sono interpretabili in diversi modi. Ma in mandarino, guarda caso, rappresentano una “deliziosa felicità”. Tutto tranne che burloni, quelli del Consorzio del Chianti. O no?
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
(4 / 5)Compratelo per scherzo, o per scommessa. Fate voi. Finirete poi per prenderlo sul serio. E per trasformare l’acquisto di una semplice bottiglia di vino in un esperimento sensoriale. Prezzo del biglietto: poco più di quattro euro. E’ quello che basta per portarsi a casa da Esselunga un pezzo del sud della Francia, ovvero i canonici 750 millilitri di un sorprendente blend di Cabernet Sauvignon e Merlot: il Vignes de Nicole del Domaine Paul Mas, annata 2013, 14% vol. Un vino che si presenta molto bene già sullo scaffale. Solita etichetta vecchio stile, che pare un po’ ingiallita dal tempo, come quella di un altro prodotto recante l’indicazione geografica protetta francese Pays d’Oc, il Syrah commercializzato nella stessa catena di supermercati italiani sempre dai Domaine Paul Mas. Ma è nel calice che dà il meglio di sé. Lo fa innanzitutto presentandosi di un rosso sanguineo, che lo fa sembrare quasi denso, se non fosse per i riflessi violacei. Al naso inizia la vera scoperta di un mondo fatto dall’incrocio di sensazioni contrastanti. Si avverte la ciliegia, poi l’amarena. Poi è il turno della mela matura, sino ad arrivare a sensuali note speziate. E’ l’estasi. Un mix calibrato, ma in crescendo, che invita a un assaggio rispettoso dei tempi di ogni differente sensazione giunta al naso. Un piccolo sorso è quanto basta per attivare le papille gustative e assaporare anche curiosissimi sentori di fragoline di bosco e lamponi. Note fruttate ammalianti, che vengono accentuate nel finale speziato, che al contempo dona tono e corpo a questo vino, regale e sontuoso. Da abbinare con carni rosse, ma anche con l’etnico cinese o thai. Buon rapporto qualità prezzo? In questo caso, sarebbe troppo poco dirlo. Prezzo inadeguato all’alta qualità di questa bottiglia. Ma non ditelo in giro. Altrimenti non si potrà più raccontare che al supermercato non si può bere bene.
Prezzo pieno: 4,50 euro
Acquistato presso: Esselunga
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