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Esteri - News & Wine

Australia, export vino a picco nel 2021

Australia, export vino a picco nel 2021 wine australia esportazioniExport del vino dell’Australia a picco nel 2021. Lo rivela l’ultimo report sulle esportazioni di Wine Australia, indicando nella pandemia e nei dazi imposti dalla Cina le cause della débâcle. I numeri parlano chiaro: – 30% in valore (2,03 miliardi di dollari) e -17% in volume (619 milioni di litri). Una crisi che, secondo gli analisti locali, non si risolverà prima della fine del 2022.

«La pandemia – evidenzia Rachel Triggs, direttrice generale di WA – sta ancora sconvolgendo il settore Horeca. La crisi globale dei trasporti continua a causare ritardi nelle spedizioni e un aumento dei costi di trasporto. C’è stata una crescita dell’export verso molte destinazioni, ma ci vorrà del tempo per compensare la perdita del commercio verso la Cina».

Non è qualcosa che accadrà da un giorno all’altro, né entro un anno. Ma il settore vinicolo australiano è resistente, e ci sono i primi segni che il duro lavoro di espansione e diversificazione dei mercati sta pagando».

Nel dettaglio, le esportazioni verso la Cina continentale sono diminuite del 97% in valore a 29 milioni di dollari. Consistente anche il buco in volume: -93%, a 6,4 milioni di litri. Una perdita di quasi 1 miliardo di dollari in valore e 90 milioni di litri in volume rispetto all’anno solare 2020, in cui le spedizioni sono rimaste esenti da dazi per la maggior parte dell’anno.

Escludendo la Cina continentale, il quadro si fa meno negativo. L’export dei vini australiani nel 2021 ha segnato un +7% in valore (2 miliardi di dollari). Diminuzione in volume ridotta al 6%, a 613 milioni di litri. «Dal 2009 – evidenzia ancora Rachel Triggs – è la prima volta che le esportazioni, esclusa la Cina continentale, raggiungono i 2 miliardi di dollari in un anno solare».

I mercati più performanti per il vino australiano nel 2021 sono stati Singapore (+108% a 166 milioni di dollari), Hong Kong (+45% a 191 milioni di dollari), Corea del Sud (+74% a 47 milioni di dollari), Taiwan (+65% a 31 milioni di dollari) e Thailandia (+31% a 28 milioni di dollari).

Le esportazioni valutate a più di 10 dollari al litro Fob sono aumentate in valore del 49%, se si esclude la Cina continentale. «Dando positivi segnali sul fronte della diversificazione del mercato – evidenzia la direttrice generale di Wine Australia – grazie alle richieste pervenute su prodotti che, senza la pressione dei dazi, sarebbero stati esportati in Cina».

Il calo dei volumi, esclusa sempre Cina continentale, ha riguardato soprattutto le spedizioni verso il Regno Unito, gli Stati Uniti e il Canada. Tra le cause del tonfo, anche le tre vendemmie che hanno preceduto la 2021, caratterizzate da una scarsa produzione. In particolare, la vendemmia 2020 è stata la più scarsa del vino australiano dal 2007.

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Gli Editoriali news news ed eventi

Vini bianchi con macerazione, ok dell’Oiv. Perché le qvevri dovrebbero farci paura

EDITORIALE – I Vini bianchi con macerazione, noti anche come “Orange wine“, hanno pari dignità dei “vini di ghiaccio” – gli Ice Wine cari a Paesi come Canada e Germania – e dei vini liquorosi come Marsala, Sherry e Porto. A stabilirlo è l’Oiv, l’Organizzazione internazionale della Vigna e del Vino, che li ha inseriti nella lista dei “Vini speciali“.

Un provvedimento che tiene conto – con qualche anno di ritardo – dell’iscrizione del metodo georgiano di vinificazione in qvevri, le anfore interrate utilizzate dalla notte dei tempi in Georgia, nella Lista dei Patrimoni culturali immateriali dell’Umanità dell’Unesco, avvenuta nel 2013.

L’Assemblea generale dell’Oiv ha adottato la decisione attraverso risoluzione 647-2020, con il conseguente inserimento della tipologia di produzione nel “Codice internazionale delle pratiche enologiche” riconosciute.

La definizione dei nuovi “Vini speciali” è precisa: “I vini bianchi con macerazione sono ottenuti dalla fermentazione alcolica di un mosto a contatto prolungato con le vinacce, compresi bucce, polpa, vinaccioli ed eventualmente raspi”.

Diverse le prescrizioni: “Si elaborano esclusivamente a partire da varietà di uva a bacca bianca; la macerazione viene condotta a contatto con le vinacce; la durata minima della fase di macerazione è di un mese; il ‘vino bianco con macerazione’ può essere caratterizzato da un colore arancione-ambrato e da un gusto tannico“.

La definizione della una nuova categoria di prodotti – dichiara l’Oiv – permetterà di far conoscere i vini in qvevri / kwevri a professionisti e consumatori, affinché vengano giudicati e apprezzati tenendo conto delle loro modalità di produzione e particolarità organolettiche“.

“Il gusto tannico e il colore arancione-ambrato – continua l’Oiv – potranno pertanto essere spiegati meglio ai consumatori e ai professionisti. Altrettanto possibile sarà la distinzione nei concorsi di vini quale categoria a sé stante”.

Dichiarazioni che arrivano, forse non a caso, dopo la bufera scatenata dalle parole del professor Luigi Moio sui “vini naturali” e la (s)connessione tra terroir e ossidazione. Di certo, la risoluzione dell’Oiv sui “Vini bianchi con macerazione” non gioca solo a favore dei vignaioli e delle piccole realtà artigianali sparse per il mondo.

Sono infatti numerose le cantine di stampo “industriale” che, in Georgia, accostano il “Metodo tradizionale” di vinificazione in qvevri alle pratiche enologiche tipiche del metodo europeo e internazionale, come l’utilizzo di serbatoi di acciaio e botti di legno.

Si tratta di realtà come Ktw, acronimo dietro al quale si cela il colosso “Kakhetian Traditional Winemaking Group”: solo una delle cantine capaci di  di produrre milioni di bottiglie ogni anno, tra l’altro con l’utilizzo di chips (legali in Georgia) in fase di affinamento.

Dietro (o dentro) le qvevri, la Georgia sarà sempre più in grado di dare ulteriore spinta a produzioni industriali firmate anche da enologi di fama europea ed internazionale, un po’ come sta avvenendo per il vino della Cina.

Tra i professionisti impegnati nel Caucaso anche l’italiano Donato Lanati, che ha all’attivo una collaborazione con Badagoni Wine Factory proprio nel Kakheti, patria delle anfore georgiane: 4 milioni di bottiglie l’anno per la cantina di Akhmeta. Un dettaglio che non sarà certo sfuggito al dogmatico bureau dell’Oiv.

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ProWine China 2020 più forte del Covid: 22.542 visitatori, +9,2% rispetto al 2019

ProWine China 2020 sbanca e va (forse) persino oltre alle più floride attese, ai tempi del Covid-19. Sono stati ben 22.542 i visitatori professionali che hanno visitato la Wine & Spirits Trade Fair a Shanghai, dal 10 al 12 novembre. Vale a dire il 9,2% in più rispetto all’edizione 2019.

Da segnalare la “massiccia presenza di visitatori locali“, provenienti da Pechino, Guangdong, Sichuan, Hainan, Shandong, Liaoning, Mongolia Interna e Macao. Sull’agenda della casa madre tedesca Messe Düsseldorf, c’è già un appuntamento sottolineato e in grassetto: quello del 9-11 novembre 2021, sempre in Cina.

Secondo quanto riferiscono gli organizzatori, sono stati 400 i produttori e distributori di vino intervenuti alla tre giorni di Shanghai, provenienti da 17 Paesi. Date le restrizioni all’ingresso in Cina, Prowine ha mantenuto “una comunicazione continua con i padiglioni e gli espositori d’oltremare”.

Overseas organization, local support“. Questo il claim utilizzato per sintetizzare l’approccio e aggirare le misure anti Covid-19. “Abbiamo promosso attivamente il modello di ‘organizzazione oltremare, supporto locale’ e, in questo modo, abbiamo consentito a molte aziende vinicole internazionali di poter partecipare a ProWine China 2020 tramite le loro filiali o importatori locali in Cina, dimostrando il loro impegno per il mercato cinese”.

Michael Degen, Direttore Esecutivo, Messe Düsseldorf GmbH, esprime soddisfazione: “Organizzare ProWine China 2020 nei tempi previsti durante l’epidemia è stata quest’anno più impegnativo che mai. Siamo lieti che l’evento mantenga la sua caratteristica internazionale e speriamo che il suo successo porti a nuove opportunità per la promozione nell’era post-epidemia nel settore dei vini e degli alcolici”.

Vino, Wine & Spirits Ukraine e ProWine Shanghai: così le fiere battono Covid-19

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Falso Sassicaia, Brunello e Chianti alla fiera del vino in Cina: sgominata la banda

Falso Sassicaia, Brunello di Montalcino e Chianti di noti marchi, confezionato “ad arte” in Italia e venduto in Cina, a ignari acquirenti. Non solo: i falsari si sono presentati addirittura a un’importante Fiera del vino in Cina, esponendo i tarocchi. A porre fine all’ennesimo traffico illecito di vino Made in Italy sono stati i Carabinieri del Nas di Firenze, in collaborazione con i militari del Nas di Padova e dei rispettivi comandi carabinieri provinciali.

L’operazione “Geminus“, coordinata dalla Procura della Repubblica di Pistoia, ha condotto in mattinata a quattro decreti di perquisizione nei confronti di tre indagati e di una società di import-export con sedi in Italia e in Cina.

I tre perquisiti di nazionalità cinese sono indagati, insieme ad altre quattro persone di nazionalità cinese e italiana, per aver prodotto, imbottigliato e commercializzato, in particolar modo all’estero, “vino con false indicazioni relative a denominazioni di origine geografica garantita e tipica”.

Il tutto “utilizzando in etichetta marchi, segni distintivi e caratteristiche grafiche e tipografiche che indebitamente imitano marchi registrati e il design del packaging di vini pregiati prodotti in Toscana”. Nel mirino dei falsari, dunque, vini Doc, Docg e Igt.

L’indagine ha preso avvio a marzo 2019 in seguito a una segnalazione pervenuta al Nas di Firenze da parte della stessa Tenuta San Guido di Bolgheri (Marchesi Incisa della Rocchetta). I militari, grazie a materiale fotografico, hanno potuto constatare l’esistenza di “copie” di Sassicaia e di altri vini toscani di pregio al banco di un espositore, durante The China Food and Drinks Fair (CFDF TaoWine), che si tiene ogni anno a Chengdu, in Cina.

Le conseguenti indagini avviate dal Nas hanno permesso di individuare il punto di origine delle bottiglie: un’azienda agricola in provincia di Pistoia, con ramificazioni anche in provincia di Siena, in particolare nel Chianti e a Montalcino.

I militari hanno quindi identificato il portale online utilizzato per vendere, a prezzi d’affare, i vini taroccati. Un’attività dimostrata anche dall’esistenza di pregresse importanti movimentazioni di vino Chianti in partenza dal pistoiese verso Hong Kong e la Cina continentale.

Grazie a diversi appostamenti i carabinieri del Nas, assieme al personale dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, sono riusciti a intercettare al porto di La Spezia alcune partite di bottiglie di vino rosso spedite verso quelle destinazioni, prive dell’etichetta frontale.

Con i riscontri acquisiti nel corso dell’indagine, con la fattiva collaborazione dei legittimi titolari dei marchi, il Nas è riuscito a ricostruire i rapporti tra l’azienda toscana ed alcune società di import-export di merci varie con sede in Italia e in Cina, gestite da cittadini asiatici.

Le aziende, già in affari tra loro dal 2015, grazie all’intermediazione del mediatore pratese, avevano realizzavano l’accordo per inviare in Cina, a partire dal 2018, bottiglie munite di sola retro-etichetta, triangolate cartolarmente su società di comodo con sede in Hong Kong.

A destinazione, con la connivenza del produttore italiano, venivano apposte le etichette frontali create tipograficamente ad imitazione di quelle dei vini italiani. I vini così prodotti erano poi commercializzati da un’ulteriore società cinese, ritenuta collegata alle altre, destinandoli al mercato cinese e al mercato online tramite una delle più note piattaforme asiatiche di e-commerce.

COLDIRETTI: “TOLLERANZA ZERO SULLE FRODI”
“Le frodi – sottolinea Coldiretti nel commentare l’operazione – rischiano di dare il colpo di grazia alle esportazioni di bottiglie di vino italiano in Cina dove, dopo anni di costante crescita, sono praticamente dimezzate con un crollo del 44% nel 2020 anche per effetto dell’emergenza Covid-19″.

“Il gigante asiatico – sottolinea la Coldiretti – per effetto di una crescita ininterrotta della domanda è entrata nella lista dei cinque Paesi che consumano più vino nel mondo ma è in testa alla classifica se si considerano solo i rossi. Le bottiglie italiane sono particolarmente apprezzate tanto da attirare l’attenzione del lucroso business del falso Made in Italy agroalimentare che nel mondo vale oltre 100 miliardi di euro“.

Secondo Coldiretti “serve tolleranza zero sulle frodi che mettono a rischio lo sviluppo di un settore che è cresciuto puntando su un grande percorso di valorizzazione qualitativa che ha portato il vino italiano a raggiungere il record storico nelle esportazioni per un valore stimato in 6,4 miliardi nel 2019 ma che ora soffre le pressioni determinate dall’emergenza Covid con un calo del 3,3% nel 2020″.

Falso Bolgheri Sassicaia con vino siciliano: 400 mila euro al mese all’organizzazione

“Le frodi – continua la sigla – mettono a rischio un motore economico che con il vino ha generato oltre 11 miliardi di fatturato lo scorso anno e offre opportunità di lavoro nella filiera a 1,3 milioni di persone, con la produzione tricolore destinata per circa il 70% a vini Docg, Doc e Igt con 332 vini a denominazione di origine controllata (Doc), 73 vini a denominazione di origine controllata e garantita (Docg), e 118 vini a indicazione geografica tipica (Igt) riconosciuti in Italia e il restante 30 % per i vini da tavola”.

L’operazione del Nas di Firenze arriva a pochi giorni da un altro duro colpo inferto dalle forze dell’ordine ai falsari del vino italiano, in particolare del Sassicaia. Le bottiglie tarocche, simili all’originale dal punto di vista estetico, contenevano vino siciliano.

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Vinitaly roadshow: il primo evento internazionale in presenza per il settore

Cresce l’attività del sistema Paese in Cina che mette a servizio dell’export made in Italy la lunga esperienza di Veronafiere in Asia con Vinitaly, di Ice tramite “I Love ITAlian Wines” e dell’intera Rete della Farnesina per la terza edizione, al via oggi, del Vinitaly roadshow, il b2b organizzato dalla Spa veronese in collaborazione con il partner Pacco Communication Group.

Tre le città cinesi interessate: Shanghai (14 settembre), Xiamen (16 settembre) e Chengdu (18 settembre), per le cui tappe è stata intessuta una fitta rete di relazioni commerciali e partnership che includono Design Shanghai del gruppo Clarion Events, Xiamen Valued Show, Chengdu Bucciano, la Camera di commercio italiana in Cina, Grapea e gli esperti formati dalla Vinitaly International Academy, Florentia Village, Campari Group e De Longhi Caffè.

È un passo importante e un momento significativo per l’attività del Gruppo Veronafiere in un anno segnato a livello mondiale dalla pandemia – sottolinea Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere – Ripartiamo dall’Asia, in Cina, con un evento di sistema che prevede la presenza fisica a supporto del vino, uno dei prodotti di punta del made in Italy che, come altri, sta risentendo degli effetti del lockdown internazionale. Il road show di Vinitaly servirà anche da leva per promuovere Wine To Asia, la rassegna internazionale per il vino che Veronafiere, tramite la società compartecipata Shenzhen Baina International Ltd., organizza dal 9 all’11 novembre a Shenzhen”.

Nell’ambito del road show, sarà promossa anche l’attività della Fondazione Arena di Verona. Nella città di Shanghai è stata inoltre organizzata dal 13 al 19 settembre la prima settimana del vino italiano – “Italian Wine Week” – in 20 wine bar e bistro e la più grande piattaforma di e-commerce dedicata ai vini naturali, Bruto, nella stessa settimana, aprirà una sezione speciale dedicata ai produttori italiani.

All’edizione 2020 prendono parte 65 aziende espositrici (10 in più della edizione precedente) e 700 etichette di vini italiani. Tra le numerose iniziative, sono previsti: incontri b2b per importatori e canale horeca, sia in forma fisica, sia digitale; iniziative rivolte a titolari di gallerie d’arte, wine bar, ristoranti fine dining, studi di architettura.

Inoltre walk-around tasting e masterclass dedicate al tema “donne cinesi e vino italiano“, curata dal Premio Internazionale Vinitaly 2019 Leon Liang e dalla prima Via Academy Expert, Lingzi He, e al tema del “vino italiano e ristorazione cinese”, tenuta dall’unico Master of Sommelier cinese, Yang Lv.

È prevista, infine, anche la presenza di buyer e formatori del vino con la partecipazione delle più importanti scuole di educazione al vino in Cina delle province del Sichuan, di Guizhou e dalla Municipalità di Chongqing.

Come lo scorso anno, a supporto di tutte le iniziative di promozione pre-evento e durante lo stesso, è stata realizzata una miniapp su WeChat che, insieme a collaborazioni mirare con i principali media e influencer tra cui Julie Tu, la più importante Kol degli spirits in Cina, contribuisce a creare un engagement mirato e profilato di partecipanti alle tre iniziative.

 

“Siamo particolarmente lieti di dare avvio al ciclo di eventi di promozione del vino italiano in Cina – dichiara Gianpaolo Bruno, direttore ufficio Ice Pechino e coordinatore uffici ICE in Cina e Mongolia – primo appuntamento successivo all’emergenza Covid-19, che si svolgeranno a Shanghai, Xiamen e Chengdu, grazie alla consolidata collaborazione tra Agenzia Ice e Veronafiere-Vinitaly, con il supporto dei Consolati di Shanghai, Chongqing e Canton”.

“Tale eventi – prosegue – prevedono la realizzazione di corsi di formazione e cicli di degustazione di prodotti enologici di qualificate cantine italiane, destinati a importatori, distributori e media specializzati di settore con l’obiettivo di favorire la conoscenza delle eccellenze vitivinicole del nostro paese e sostenere la proiezione dei marchi italiani sul mercato cinese nell’attuale fase di rapida accelerazione dei consumi interni”.

Una presenza, quella di Vinitaly in Cina con Ice, che ribadisce la forte attenzione della Spa veronese anche in una difficile congiuntura del mercato, determinata in particolare dall’emergenza sanitaria. Secondo le analisi dell’Osservatorio Unione Italiana Vini su base dogane, nei primi 6 mesi di quest’anno il Dragone ha infatti registrato un forte calo delle importazioni enologiche made in Italy sia nei fermi imbottigliati (-29,4%), che negli sparkling (-36,2%). Dati questi in linea con le importazioni complessive di vino in Cina: nel primo semestre i fermi sono a -32,4% (oltre 750 milioni di dollari) sul pari periodo 2019, mentre gli sparkling perdono il 30,8%.

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Cimice asiatica: rilasciate le prime vespe samurai per salvare i raccolti

Per salvare i raccolti nelle campagne e spezzare l’assedio dei centri abitati sono state liberate le prime vespa samurai allevate in laboratorio per combattere la cimice asiatica, l’insetto killer alieno che costringe in molte territori i cittadini a barricarsi in casa con porte e finestre chiuse ed ha provocato la strage nei campi.

Ben 740 milioni di danni a pere, mele, pesche e nettarine, kiwi, ciliegi e piccoli frutti, albicocche, susine, nocciole, olive, soia, mais e ortaggi. Lo rende noto la Coldiretti nell’annunciare che è partita in diverse regioni la lotta biologica con il rilascio dei primi esemplari.

Una iniziativa resa possibile dalla firma del Decreto Ministero dell’Ambiente che autorizza le Regioni Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Veneto, Provincia autonoma di Bolzano e Provincia autonoma di Trento, all’immissione in natura della specie Trissolcus japonicus (Vespa Samurai) quale agente di controllo biologico del fitofago Halyomorpha halys (Cimice Asiatica).

Il provvedimento è stato ottenuto grazie alla mobilitazione della Coldiretti con l’obiettivo di fermare l’invasione della cimice asiatica che ha già iniziato ad attaccare i frutteti in un anno particolarmente difficile con l’addio ad un frutto su tre per il moltiplicarsi nel 2020 di eventi estremi, dal gelo alla siccità fino alla grandine.

Il progetto di lotta biologica appena iniziato, precisa la Coldiretti, si realizza a livello nazionale con ben 712 punti di diffusione nelle campagne Di centinaia di migliaia di esemplari di vespa samurai, un minuscolo insetto di circa un millimetro che proviene da oriente come la cimice asiatica, non punge ed è assolutamente innocua per l’uomo e gli animali, comprese le api.

All’interno di piccoli tubi le piccole vespe sono piazzate sugli alberi da frutto o nei pressi di campi dove sono state individuate le uova di cimice asiatica da aggredire. La “cimice marmorata asiatica” è un insetto alieno arrivato dalla Cina ed è particolarmente pericolosa perché in Italia non ci sono nemici naturali.

È particolarmente prolifica, con il deposito delle uova almeno due volte all’anno con 300-400 esemplari alla volta. Le punture rovinano i frutti rendendoli inutilizzabili e compromettendo seriamente parte del raccolto, con danni che hanno interessato ben 48 mila aziende agricole lo scorso anno.

La lotta alla cimice asiatica è particolarmente difficile perché è in grado di nutrirsi su oltre 300 specie diverse di vegetali, si muove molto per invadere sempre nuovi territori da saccheggiare ed è resistente anche ai trattamenti fitosanitari.

“Il via libera alla vespa samurai, l’insetto antagonista, apre dunque nuove prospettive anche se ci vorrà tempo prima di avere risultati” ha concluso il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che è “per questo motivo che alla lotta biologica con la vespa samurai si deve affiancare il sostegno delle Istituzioni alle imprese, per indennizzare i danni della cimice nel periodo transitorio”.

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Campari punta sulla Cina per recuperare il calo dovuto al lockdown

Campari punta sulla Cina nel tentativo di ravvivare le vendite colpite dalla crisi del coronavirus avviando dei test per portare l’Aperol, il prodotto di punta dell’azienda, nel paese simbolo dei mercati orientali. “I test sono iniziati poche settimane fa e andranno avanti fino alla fine del primo trimestre del prossimo anno” – ha detto Kunze-Concewitz, Amministratore Delegato della società, aggiungendo che i test sono in corso in più di cinque delle maggiori città della Cina.

L’ingrediente principale del popolare cocktail Aperol Spritz, ha guidato le crescite dell’azienda nel corso degli ultimi anni anche grazie alla popolarità tra i consumatori che postano sui social media. La sua espansione, tuttavia, si è arrestata bruscamente nel primo trimestre, a causa della crisi del coronavirus, con vendite in calo del 5,3%. Le vendite di Aperol sono diminuite dello 0,2% su base annuale, dopo aver riportato una crescita del 20,5% nel 2019.

“Una grande fonte di domanda per Aperol è la ricerca di un’alternativa alla birra e la Cina rappresenta un enorme mercato della birra. È per questo che crediamo fortemente che ci sia un’opportunità per lo sviluppo di Aperol in Cina” – ha detto Kunze-Concewitz. Secondo Campari infatti in molti paesi i consumatori si sono spostati dalla birra all’Aperol Spritz.

Ora il gruppo milanese intende raggiungere lo stesso obiettivo in Cina, facendo leva sulla popolarità dell’Aperol come prodotto simbolo dello stile di vita italiano, che i turisti possono assaggiare solo durante le loro vacanze in Europa. Le vendite di Campari in Cina nel 2019 ammontavano a meno dell’1% del fatturato totale dell’azienda (pari a 1,843 miliardi di euro).

 

 

Campari ha recentemente acquisito il 49% di Tannico, piattaforma di e-commerce italiana di vini e premium spirit, impegnandosi così a sviluppare vendite al di là dei punti vendita per prodotti alimentari e bevande, per far fronte ai cali dovuti alla chiusura dei bar e dei ristoranti nei suoi mercati tipici, investendo sul’e-commerce e di digital marketing.

Negli Stati Uniti, il mercato principale di Campari, le cosiddette vendite “off-premise” sono aumentate tra il 50% e 60% ad aprile e maggio, su base annuale, compensando quindi le contrazioni delle vendite nei bar e ristoranti. Ciò è avvenuto anche in Canada, Australia, Germania e Nord Europa.

In Italia, il secondo maggior mercato di Campari, l’incremento delle vendite nei supermercati e via e-commerce visto ad aprile e a maggio non è stato sufficiente a compensare il calo del consumo nell’horeca. Di conseguenza, il coronavirus infliggerà ulteriori danni nel secondo trimestre, durante l’alta stagione per gli aperitivi.

“Il coronavirus avrà un impatto negativo maggiore sulle nostre operazioni nel secondo trimestre, anche se il consumo negli ultimi mesi è incoraggiante” secondo l’Amministratore Delegato.

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Vinitaly-Nomisma Wine Monitor: dazi e inizio covid-19 decisivi su export extra-ue nel trimestre

 

Marzo spartiacque per il commercio mondiale del vino, con l’Italia protagonista in positivo nei primi 2 mesi del 2020 ma in ritirata a marzo, dopo la fine delle scorte anti-dazi statunitensi e in corrispondenza con l’inizio del lockdown da Coronavirus. È quanto rileva l’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor nel focus rilasciato oggi sulle vendite di vino nei Paesi extra-Ue nel primo trimestre 2020.

Nel complesso, le elaborazioni svolte su base doganale segnano un andamento globale a due facce tra i top buyer mondiali. Con gli Stati Uniti che, in previsione dell’aumento dei dazi aggiuntivi, fanno precauzionalmente incetta di prodotto e chiudono il trimestre con le importazioni dal resto del mondo a +10,9% a valore, mentre la Cina – in piena emergenza Covid-19 – segna un decremento delle importazioni che sfiora il 20% rispetto al pari periodo 2019.

Segue, stabile, la domanda mondiale di vino da Canada e Giappone e, in rosso, dalla Svizzera (-10,8%). In tutto ciò l’Italia perde di meno in Cina (-13,3%) e guadagna di più negli Usa (+16,8%), con le vendite in Canada e Giappone ancora in terreno positivo dopo gli exploit del 2019, e con la domanda svizzera stabile.

“Due fattori esogeni come i dazi e la pandemia hanno prima favorito e poi penalizzato la crescita delle nostre esportazioni di vino – ha detto il direttore generale di Veronafiere, Giovanni Mantovani – Basti pensare come negli Stati Uniti si sia passati da un incremento record a valore del 40% del primo bimestre a una contrazione del 17,4% a marzo”.

“Nei prossimi mesi – ha proseguito Mantovani – l’impatto della pandemia sui mercati internazionali sarà ancora più evidente, ma auspichiamo che questo autunno l’Italia possa essere la prima a ripartire proprio in Cina, laddove è iniziato con effetto domino il lockdown sull’on-trade del vino. In programma, la prima edizione del Wine to Asia di Shenzhen (9-11 novembre), oltre agli eventi di Vinitaly Hong Kong (5-7 novembre), e Chengd”.

Per il responsabile dell’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor, Denis Pantini “Le vendite di vini fermi italiani nell’off-trade (gdo e liquor store) statunitense hanno raggiunto i 94 milioni di litri, che rappresentano solo il 40% delle importazioni totali della tipologia. Ora il quesito si pone su che fine farà l’altro 60% di vino fermo italiano e soprattutto se l’on-trade sarà in grado di ripartire con i ritmi precedenti. Da qui la necessità, specie per la fascia premium che è maggiormente penalizzata, di lavorare su un mix di canali che vedano protagonisti anche quelli dell’e-commerce, in forte crescita non solo negli Usa”.

E sono proprio i vini di qualità superiore che sembrano accusare maggiormente la variazione negativa di marzo: in Svizzera il lockdown della ristorazione ha infatti portato a una contrazione del prezzo medio all’import del 14,6% rispetto allo stesso mese dello scorso anno, negli Stati Uniti un calo del 10,5%, nella Cina del 9,5%, in Norvegia dell’11,5%. Una tendenza al ribasso, come riscontrato anche nella gdo italiana con la recente analisi voluta da Vinitaly, che vede in crescita i vini di fascia medio-bassa allo scaffale ma un progressivo ridimensionamento del valore medio alla bottiglia.

Quanto ai competitor, se l’off-trade è un terreno di agguerrita concorrenza con i vini australiani, cileni e statunitensi, la market leader Francia sembra accusare la congiuntura con maggiori difficoltà rispetto all’Italia, complice l’acuirsi delle difficoltà in Cina (-37,2% nel trimestre), la forte perdita in Svizzera (-24,6%) e la virata in negativo del Giappone. Bene invece, grazie agli sparkling, negli Usa, dove il timore dei dazi al 100% ha fatto lievitare le importazioni di Champagne a +93%.

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Il 2020 del vino italiano in Cina, tra dubbi e ottimismo: l’indagine di Zhong Can Yi Jiu

Che prospettive ha il vino italiano sul mercato cinese da qui alla fine del 2020? La domanda è quanto mai attuale adesso che i “giri” dell’economia della Cina sembra tornati regolari. E lo è anche per i segnali contrastanti emersi negli ultimi giorni. Da una parte il cauto ottimismo espresso del Ceo di Ornellaia, Giovanni Geddes da Filicaja. Dall’altra, le esternazioni di Sandro Bottega, che hanno creato controversie sia in Cina che a Hong Kong, dopo l’annuncio del temporaneo stop della produzione di Prosecco a Bibano di Godega di Sant’Urbano (TV).

Con l’obiettivo di raccogliere informazioni di prima mano sulle aspettative e i sentimenti di business delle cantine italiane, la guida Zhong Can Yi Jiu – il cui scopo è mettere in connessione l’Italia e la Cina – ha promosso un sondaggio su 166 cantine interessate al mercato cinese. Il Bel paese è quinto nella classifica dei vini importati dalla Cina per quantità. Al primo posto c’è la Francia.

Il 53,3% delle cantine partecipanti al sondaggio ha la sua sede in una delle tre regioni più importanti per l’export del vino italiano: il 20,8% è in Toscana, il 16,5% in Veneto e il 15,9% in Piemonte. Tutte le cantine sono fortemente interessate al mercato cinese e il 40,4% è già presente in Cina. Il 69,7% di queste ultime lo è da più di 4 anni.

Il primo dato ad emergere dal sondaggio è che la maggior parte delle cantine italiane (il 53,3% del campione) vede prospettive abbastanza positive o molto positive per il mercato del vino italiano in Cina, da ora alla fine del 2020. Per il 12,2% le prospettive sono abbastanza o molto negative mentre per il 27,6%, invece la situazione rimarrà com’è.

Per la vasta maggioranza delle cantine (67,4%) la forte solidarietà tra Cina e Italia, emersa nelle ultime settimane nel contrasto al Coronavirus, “influenzerà sicuramente il consumatore cinese e lo motiverà a preferire vini italiani al momento dell’acquisto”.

Le cantine che sono già presenti in Cina hanno aspettative leggermente più ottimiste con il 60,6% di loro (contro il 53,3% di tutte le cantine) che vede prospettive buone o molto buone per il mercato dei vini italiani in Cina nel breve periodo.

Allo stesso tempo però sono un po’ meno fiduciose rispetto al totale delle cantine che la solidarietà Cina-Italia possa motivare il consumatore cinese a selezionare il vino italiano al momento dell’acquisto (65,1% contro 67,4%).

Al momento di valutare le loro opportunità individuali sul mercato cinese, il 45,4% delle cantine già presenti in Cina pensa che, da adesso alla fine del 2020, saranno buone. Il 22,7% invece teme che le opportunità diminuiranno leggermente (19,7%) o significativamente (3,0%).

Il gruppo di cantine che esportano in Cina e sono partner della guida Zhong Can Yi Jiu mostrano aspettative più prudenti. “Tra le ragioni di questo minore ottimismo – spiega una nota – potrebbe esserci il fatto che queste cantine hanno una conoscenza molto più approfondita del mercato in cui operano, visto che il 65,0% è in Cina da 7 o più anni”.

Di questo gruppo solo il 40,0% vede prospettive positive o molto positive per il vino italiano sul mercato cinese da adesso alla fine dell’anno. In percentuale è una caduta di ottimismo del 20,6% a confronto con il resto delle cantine che esportano in Cina. Non è un segnale necessariamente negativo visto che in ogni caso il 65,0% di queste cantine non si aspetta nessun ulteriore peggioramento delle prospettive di mercato.

“Inoltre – continua la nota del gruppo – le cantine partner di Zhong Can Yi Jiu sono meno convinte dei loro colleghi che la solidarietà tra Cina e Italia in occasione della lotta contro il Coronavirus motiverà il consumatore cinese al momento dell’acquisto di vino a preferirne uno italiano: solo il 56,6% ci crede, contro il 65,1% del totale delle cantine”.

In termini di opportunità per le singole cantine solo il 30% delle cantine partner di Zhong Can Yi Jiu crede che ci saranno buone opportunità da adesso alla fine del 2020 (una differenza negativa del 15,4% rispetto al gruppo di tutte le cantine che esportano in Cina).

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Coronavirus, il caso Ornellaia 2017: dalla Cina segnali di ripresa per il vino italiano

Segnali di ripresa del mercato del vino italiano in Cina, con il caso Ornellaia a fare da faro. A confermarlo, se non altro come “moderato auspicio”, è Giovanni Geddes da Filicaja, ad di Ornellaia: “Uno spiraglio di luce sembra arrivare dalla Cina – afferma – per quanto riguarda le vendite di vino con un graduale aumento degli ordini, soprattutto di Ornellaia 2017, uno dei vini italiani più famosi nel mondo”.

L’ultima annata disponibile sul mercato della nota casa toscana dà speranza al settore. “Pare davvero che uno dei più importanti mercati per il nostro export, non solo di vino, stia ripartendo –  continua Giovanni Geddes da Filicaja – e questo deve essere motivo di grande sollievo e ottimismo non solo per noi, ma per l’intera industria vitivinicola italiana“.

Secondo l’ad di Ornellaia, “dopo un mese difficile per il mondo del lusso e in particolare del vino, ci sono quindi motivi validi per riprendere fiducia nell’importante mercato cinese in cui l’Italia esporta circa il 6% dell’intera produzione vitivinicola”.

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Coronavirus, niente paura alla ProWein 2020: “Assicurata la massima sicurezza”

Niente paura per l’allarme Coronavirus (Covid-19) alla ProWein Trade Fair 2020 di Düsseldorf. La fiera, in programma dal 15 al 17 marzo nei padiglioni Messe Düsseldorf GmbH, si svolgerà senza intoppi. “È certo: espositori, visitatori e giornalisti possono aspettarsi un alto livello di igiene, sicurezza e buone cure mediche presso la fiera di Düsseldorf come al solito”, assicura a WineMag.it Michael Degen (nella foto) direttore esecutivo di Messe Düsseldorf GmbH.

“La sicurezza dei nostri clienti, ospiti e partner – continua – è sempre la nostra massima priorità. Questo vale anche per l’attuale Coronavirus Covid-19. Prendiamo molto sul serio tutte le preoccupazioni su questo problema. Messe Düsseldorf segue da vicino gli sviluppi attuali ed è in contatto diretto con le autorità sanitarie”.

Tutti i preparativi per la ProWein 2020 procedono come previsto. “Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, il Robert Koch Institute e le autorità tedesche – riferisce ancora Degen a WineMag.it – il rischio di infezione da questo nuovo patogeno in Germania è attualmente molto basso“.

“Le strutture mediche del centro espositivo di Düsseldorf hanno sempre le informazioni più recenti e sono ben preparate. Ulteriori informazioni relative alle precauzioni di sicurezza sono disponibili online: https://bit.ly/2ViaYFB“. Nessun imprevisto, dunque, neppure nel padiglione dedicato alla Cina.

Del resto, la posta in palio alla ProWein di Düsseldorf è altissima. I dati dell’edizione 2019 parlano chiaro. Più di 6.900 espositori provenienti da 64 nazioni hanno partecipato all’International Trade Fair tedesca. Oltre 61.500 visitatori professionali provenienti da tutto il mondo hanno approfittato di quest’offerta, unica nel suo genere.

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Presentato il Consorzio Vino Toscana Igt

Il Consorzio Vino Toscana Igt si è presentato oggi, in occasione di PrimAnteprima 2020 alla Fortezza da Basso di Firenze. “Toscana – sottolinea il presidente Cesare Cecchi – è una parola potentissima che ci fa riconoscere in Italia nel mondo. Il nostro scopo è mettere sotto lo stesso tetto i grandi vini toscani Igt”.

“Numeri Impressionanti – aggiunge – stante il numero di realtà che già hanno aderito. Un progetto nato sei mesi fa che si racconta attraverso il suo logo: Un grappolo d’uva a forma di regione Toscana”. Ma non solo.

Gli acini del grappolo sono infatti dei piccoli cerchi uguali fra loro e fra loro interconnessi. Come gli ingranaggi di un meccanismo. Come il motore di un orologio. il simbolismo è chiaro: ogni membro del Consorzio è uguale agli altri, aiuta gli altri e da gli altri è aiutato.

Una realtà, quella dell’Igt Toscana quantomai varia. Territori diversi e vitigni diversi. “Oltre 2000 produttori ed oltre 1400 imbottigliatori” come sottolinea Ilio Pasqui, presidente dell’Ente di Certificazione TCA – istituto delegato ai controlli del neonato Consorzio.

Realtà diverse che hanno punti di vista diversi. Ed è per via di queste diversità che, come afferma l’Assessore all’Agricoltura della Regione Toscana Marco Remaschi “occorre oliare le rotelle di quel meccanismo. Concentrasi sugli aspetti di Governance senza lasciare fuori nessuno”.

D’altra parte le analisi condotte da Wine Monitor Nomisma, qui rappresentato da Evita Gandini, parlano chiaro. Sulla base di un campione in grado di rappresentare il 95% delle bottiglie prodotte (di cui più del 30% appartenente al Consorzio) emerge come tanto la percezione del consumatore quanto la risposta del mercato sia forte per il vini rossi toscani non-Dop.

Un incremento di oltre il 126% (il rossi toscani Dop si “fermano” al +76%). Terza regione italiana per export di vino rosso (in valore) dove si avverte un calo delle vendite solo per le bottiglie di valore inferiore ai 5€. Crescita in mercati strategici come UK (+26,7%, forte dell’effetto Brexit), Cina (+5,4%), Svizzera (+3,1%), Canada (+3,1%) e USA (+1,7%).

Secondo lo studio occorre quindi puntare su USA e Cina (Rispettivamente con un +29% e +18% di aspettative di crescita) sfruttando leve come il binomi Vino&Turismo (74%) e Cibo&Vino (13%) o sfruttando la spinta del Bio (10%).

Secondo Gianni Zipoli, direttore di Cantina Leonardo da Vinci, il punti di forza del neonato consorzio sono nella sua territorialità e nell’importanza stesse dell’essere “consorzio” e quindi voce corale per dare valore al vino in un’ottica di maggiore remunerazione per la filiera.

Gli fa eco Lamberto Frescobaldi che con un gioco di parole afferma “mi stupisco che ci si stupisca”. In questo la consapevolezza di come il vino Igt Toscana sia sempre esistito (sotto forma di vino da tavola) e come abbia sempre saputo produrre grandi eccellenze poi balzate agli onori della cronaca come Sassicaia o Tignanello.

“L’Igt è un vino estremamente democratico – prosegue Frescobaldi – perché se non è buono non va. Non vende. Senza potesi difendere dietro ad un nome altisonante”.

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Chianti Docg, sorpresa (o forse no): segno “più” sul mercato italiano nel 2019

Un risultato che arriva a sorpresa, o forse no. Il Chianti Docg cresce del 6,3% sul mercato italiano. Risultati positivi anche a livello globale: +1%, equivalente ad un milione di bottiglie in più. Numeri che confortano il Consorzio di tutela toscano, soprattutto se paragonati all’andamento commerciale delle bottiglie da 0,75, cresciute in Italia solo dell’1,5%.

Bene i mercati esteri che crescono di un punto percentuale, nonostante il calo della Germania (dove si è registrato un -10%) e la sostanziale stagnazione degli Usa. Sotto la lente di ingrandimento i risvolti sull’export, causati dell’emergenza Coronavirus. Secondo le stime, se l’allarme rientrerà a breve, la perdita per i produttori sarà tra il 5 e il 10%.

Cifre tutto sommato ammortizzabili, dal momento che il mercato cinese – cui si rivolgono anche le recenti modifiche al disciplinare – cresce di anno in anno. “Questi numeri – commenta il presidente del Consorzio, Giovanni Busi – mostrano che la strada imboccata ormai da anni dal Consorzio Chianti è quella giusta”.

“Una strada fatta di innalzamento della qualità del prodotto e di promozione dell’immagine sui mercati strategici, vecchi e nuovi: il mercato riconosce e apprezza, causando tra l’altro un effetto secondario di grande rilevanza sociale, ovvero la tenuta del prezzo anche per i vini sfusi”, conclude Busi.

La buona performance del 2019 acquista un valore ulteriore se paragonata all’andamento dei vini Chianti Docg dal 2013 ad oggi: negli ultimi 7 anni si evidenzia un incremento del 23% delle bottiglie vendute.

La crescita a valore è del 33%, segno di un recupero dei prezzi a scaffale e “perciò di una maggiore valorizzazione della Denominazione”. Nello stesso periodo, il segmento in bottiglia da 0,75 è cresciuto del 7% in volume e del 22% a valore.

“Il saldo positivo – commenta Busi – indica che il mercato di riferimento, quello italiano, ha un apprezzamento crescente per la qualità dei nostri vini e che i nuovi consumatori, principalmente asiatici e sudamericani, compensano il calo dei tedeschi e lo stallo degli statunitensi”.

Per il 2020, il Consorzio di Tutela guarda con attenzione alla Cina e all’evoluzione nel medio periodo dell’epidemia di Coronavirus. “Nel terzo trimestre 2019 – continua Busi – abbiamo venduto molto perché è il periodo in cui i buyers cinesi riempiono i magazzini in vista delle Feste. Adesso, con l’annullamento dei festeggiamenti per il Capodanno cinese e la chiusura di gran parte dei ristoranti c’è il rischio che quelle scorte non vengano smaltite”.

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Coronavirus minaccia il vino italiano in Cina: valori dell’export a rischio

Il clima recessivo provocato da Coronavirus minaccia l’export di vino italiano in Cina. I risvolti dell’emergenza si estendono dai mercati finanziari a quelli delle materie prime, fino al commercio reale, mettendo a rischio il Made in Italy vitivinicolo, valso 140 milioni di euro nel 2019.

A livello nazionale, secondo un’analisi Coldiretti sulla base delle proiezioni su dati Istat relativi ai primi dieci mesi del 2019, a rischio ci sono 460 milioni di euro di esportazioni di prodotti agroalimentari italiani in Cina.

A pagare un conto salato rischia di essere in particolare il vino, che è il prodotto tricolore più esportato nel gigante asiatico. “La Cina – sottolinea la Coldiretti – per effetto di una crescita ininterrotta della domanda è entrata nella lista dei cinque Paesi che consumano più vino nel mondo ma è in testa alla classifica se si considerano solo i rossi”.

Regioni come la Lombardia, per le quali il vino pesa per circa il 21% sul totale delle esportazioni agroalimentari nel Paese del Dragone, potrebbero registrare danni che si aggirerebbero attorno ai 14 milioni di euro.

L’impatto dell’emergenza Coronavirus colpisce l’Italia anche indirettamente. Lo dimostrano le quotazioni della soia, crollate per nove giorni consecutivi al Chicago Board of Trade, punto di riferimento mondiale del commercio delle materie prime agricole.

Secondo l’analisi Coldiretti, “il prezzo della soia sul mercato futures è sceso di circa il 10% dall’inizio dell’anno sull’onda delle crescenti preoccupazioni sul calo della domanda del mercato cinese”.

Una conseguenza dell’emergenza sanitaria che si riflette sull’economia cinese ma che ha anche un effetto valanga sul mercato globale. La Cina è la più grande consumatrice mondiale di soia ed è costretta ad importarla per utilizzarla nell’alimentazione del bestiame, in forte espansione con i consumi di carne.

A frenare le spedizioni agroalimentari Made in Italy sono inoltre le barriere tecniche ancora presenti per le produzioni nazionali. “Bisogna superare gli ostacoli tecnici alle esportazioni agroalimentari italiane per riequilibrare i rapporti commerciali con le importazioni dalla Cina”, evidenzia Coldiretti.

“Una situazione – evidenzia Coldiretti – che va attentamente monitorata dall’Unione Europea per salvaguardare un settore chiave per la sicurezza e la sovranità alimentare, soprattutto in un momento in cui il cibo è tornato strategico nelle relazioni internazionali, dagli accordi di libero scambio alle guerre commerciali come i dazi di Trump, la Brexit o l’embargo con la Russia“.

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Consorzio del Chianti: “Bene il 2019. Per il 2020 si punta sulla Cina”

FIRENZE – Un 2019 positivo e un 2020 che guarda all’Oriente, per l’esattezza alla Cina. Ha “il segno più”, per dirla con le parole del Consorzio Vino Chianti, l’anno che volge al termine. Tra gli aspetti più positivi, il consolidamento della Denominazione nel Paese del Dragone. Un punto da cui ripartire, nel 2020.

Secondo quanto riferito dal Consorzio, a metà dicembre le vendite hanno segnato un incremento dello 0,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Le stime indicano che il trend commerciale, spinto anche dagli acquisti per le festività, permetterà agli operatori di “chiudere l’anno in territorio positivo”.

“Un segno più – commenta il presidente del Consorzio Vino Chianti, Giovanni Busi – che riveste un’importanza particolare in questo momento di mercato complessivamente non felice, soprattutto a livello europeo dove il nostro principale acquirente, la Germania, è di fatto in crisi”.

“La vendemmia 2019 è andata bene – continua Busi – abbiamo raggiunto l’obiettivo della riduzione del 10% delle quantità che ci eravamo dati per mantenere i magazzini in linea con l’andamento commerciale. Abbiamo magazzini capienti per affrontare il mercato e la qualità 2019 è ottima”.

Il merito di questo risultati, secondo il presidente del Consorzio, “è delle aziende che negli anni scorsi hanno fatto importanti investimenti, come dimostra il fatto che ad oggi il 75% dei vigneti è stato rinnovato”.

Nel 2019 il mercato di riferimento si è confermato quello statunitense, ma segnali molto importanti sono arrivati dalla Cina, con volumi in aumento rispetto al 2018. Poche soddisfazioni invece dai tradizionali bacini europei, Germania e Regno Unito. Il segno positivo complessivo, indica comunque che il posizionamento strategico su mercati nuovi riesce a compensare il calo degli importatori storici.

“Le nostre aspettative per il 2020 – anticipa Busi – partono da questo quadro. Sicuramente aumenteranno le esportazioni verso la Cina dove si consolideranno i rapporti con nuovi clienti avviati nel 2019. Il mercato cinese è profondamente cambiato: siamo passati da grandi ordinativi spot all’acquisto di quantità più piccole ma con cadenza costante”.

“Questo significa che il mercato sta maturando – aggiunge il presidente del Consorzio Vino Chianti – e che si sta entrando in un’ottica di fidelizzazione verso le nostre etichette: è un buon segnale”.

L’altra partita alla quale in Toscana si guarda con grande attenzione è quella per l’accordo Mercosur. “Attualmente – sottolinea Giovanni Busi – paghiamo dazi altissimi per vendere i nostri prodotti nei paesi dell’America Latina e il raggiungimento di un accordo con l’Europa per la liberalizzazione dei commerci spalancherebbe per noi degli scenari incredibili, dai quali trarre enormi vantaggi”.

Resta sullo sfondo la questione degli Stati Uniti, primo mercato di riferimento per i vini del Chianti: “Qui bisogna capire se la minaccia di dazi resterà tale o se c’è davvero una volontà di applicarli. Al momento – conclude Busi – regna l’incertezza e noi possiamo solo augurarci che le trattative politiche riescano a scongiurare l’innalzamento di barriere commerciali che fanno soltanto danni per tutti”.

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La Fisar sbarca in Cina con Terzago: corsi sommelier negli istituti alberghieri

“Con orgoglio la Fisar aprirà agli istituti alberghieri della Cina i propri corsi sommelier: un mercato importante per il vino italiano, in cui vogliamo esserci anche noi”. Lo annuncia a WineMag.it il presidente della Federazione italiana Sommelier, Albergatori e Ristoratori, Luigi Terzago. Il progetto della Fisar in Cina interesserà dieci città.

“Inizieremo da Pechino, a marzo 2020 – spiega Terzago – per poi allargare a macchia d’olio i corsi ad altre zone. Si tratta di un’opportunità che ho voluto cogliere, dopo aver conosciuto a Roma alcuni esperti di vino cinesi”.

L’incontro ufficiale con la delegazione del Dragone è avvenuto all’inizio del mese di ottobre, nella sede Fisar di Asciano, in provincia di Pisa. I corsi per ottenere la qualifica di sommelier saranno simili a quelli condotti in Italia, ma di durata inferiore, “per uniformarsi al percorso scolastico definito dagli istituti alberghieri cinesi”.

Le lezioni saranno in lingua inglese, così come i libri che saranno messi a disposizione degli studenti. I volumi sono stati già stampati. Sarà cura delle scuole occuparsi della traduzione in cinese, entro i primi mesi del 2020.

“Dovremo ovviamente adeguarci alla cultura del Paese che ci ospita – annuncia Terzago – ma ne approfitteremo per parlare essenzialmente di vini italiani, con pochi accenni, doverosi, all’internazionalità. Colgo l’occasione per lanciare un appello alle cantine che intendessero affiancarci in questa coraggiosa avventura in Cina”.

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Vinitaly 2020 tra Cina e Sudamerica: cresce l’attesa per Wine to Asia e South America


Veronafiere e Vinitaly 2020 puntano tutto sull’internazionalizzazione. Sono ben 113 mila i chilometri in programma per il prossimo “business tour”, che vedrà come tappe fondamentali Cina e Sudamerica, dove si terranno rispettivamente Wine to Asia e Wine South America.

Come annunciato questa mattina a Milano, il focus principale sarà sulle nuove manifestazioni fieristiche internazionali di Vinitaly, oltre che sulle diverse tappe estere in programma nel 2020. Le premesse sono ottime.

L’edizione 2018 di Wine South America, andata in scena dal 25 al 27 settembre, ha chiuso con un aumento del 30% dei partecipanti internazionali. Più di trecento le aziende espositrici provenienti da tredici Paesi, con 6.600 operatori professionali arrivati da 21 nazioni.

In Cina si assisterà invece all’esordio di Wine to Asia a Shenzhen (9-11 novembre 2020). La metropoli della Cina Sud Occidentale è considerata la Silicon Valley del Dragone, piazza strategica per il business del vino, con il 30% degli importatori totali cinesi. Shenzhen è inoltre città chiave della Guangdong-Hong Kong-Macao Greater Bay Area, che conta oltre 100 milioni di persone.

Per il lancio di Wine to Asia, Vinitaly ha individuato come partner il socio cinese Pacco Communication Group. Veronafiere prevede la presenza di 400 espositori su una superficie di 40 mila metri quadrati lordi.

L’evento b2b si configura fin da subito con un respiro internazionale, con una presenza di aziende italiane, europee ma anche dalla Cina e dal Nuovo Mondo. E con la partecipazione delle principali imprese delle tecnologie protagoniste a Enolitech.

Complessivamente, il viaggio attorno al mondo del Food & Wine di Veronafiere nel 2020 coprirà 113 mila chilometri tra Stati Uniti, Russia, Cina, Brasile, Hong Kong, Thailandia, Olanda, Canada, Polonia, Germania, Messico, Regno Unito.

“Al netto di accorpamenti e uscite dal mercato – commenta Maurizio Danese, presidente di Veronafiere – negli ultimi 5 anni Vinitaly ha visto immutati il 95% dei suoi espositori”.

“Un’alta fedeltà – conclude Danese – unica nel panorama fieristico internazionale, che rappresenta il miglior biglietto da visita per una manifestazione che non cambia i propri protagonisti ma punta a renderli sempre più smart e globali”.

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Approfondimenti

Coldiretti: al Prosecco il primato di vino italiano più venduto all’estero

La prima vendemmia sulle colline riconosciute dall’Unesco festeggia l’aumento del 50% delle vendite in Francia che spinge l’export del Prosecco al record storico di sempre sui mercati mondiali, per un valore complessivo di ben 458 milioni nel primo semestre del 2019.

E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti su dati Istat presentata in occasione del distacco del primo grappolo di uva Glera dell’anno per il Prosecco nella Tenuta Astoria a Refrontolo (TV), dopo l’avvenuta iscrizione del sito veneto “Le colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene” nella Lista dei Patrimoni Mondiali dell’Unesco.

Con un aumento del 17% delle esportazioni il Prosecco conquista nel 2019 il primato di vino italiano più consumato all’estero grazie all’alta qualità e capacità produttiva con le pregiate bollicine che – sottolinea la Coldiretti – sono protagoniste di un vero a proprio boom negli Usa.

Gli Stati Uniti, con un aumento in valore del 41%, diventano il principale cliente davanti alla Gran Bretagna e alla Francia mentre al quarto posto si piazza la Germania dove l’aumento è più contenuto (+7%). Ma un incoraggiante aumento del 66% del valore delle vendite si registra anche in Cina dove però la domanda è ancora molto contenuta per la tradizionale preferenza accordata nel gigante asiatico ai vini rossi.

Il gradimento dei cugini d’Oltralpe è significativo del successo conquistato anche nei confronti della concorrenza dello champagne. A pesare sul successo mondiale del Prosecco è però il proliferare nei diversi continenti di falsi di ogni tipo con le imitazioni diffuse in tutti i Paesi, dal Meer-secco al Kressecco, dal Semisecco e al Consecco, ma è stata smascherata le vendita anche del Whitesecco e del Crisecco.

Occorre tutelare le esportazioni di vino Made in Italy di fronte ai numerosi tentativi di banalizzazione delle produzioni nazionali” – ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che – “oltre alla perdita economica, è soprattutto grave il danno di immagine che mette a rischio ulteriori e nuove opportunità di penetrazione dei mercati”.

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Terregiunte: se la “comunicazione è da dimenticare”, le scuse servono anche in cinese


EDITORIALE –
Terregiunte? Tecnicamente vino regalissimo. Ma la comunicazione è da dimenticare. Sbagliatissima. Errori che forse non sono neanche concepibili in un contesto di una certa professionalità”. Riccardo Cotarella, co-regista con il collega enologo Andrea Dal Cin dell’ormai famigerato “matrimonio d’Italia tra Amarone e Primitivo di Manduria” è intervenuto così, ieri mattina, alla Camera di Commercio di Verona.

Un breve ma incisivo fuori tema, prima dell’inizio dei lavori di “Destinazione Vendemmia 2019″, il nuovo format di focus vendemmiale curato da Assoenologi Veneto Occidentale, al quale hanno aderito i Consorzi di Tutela dei vini Veronesi, Vicentini e Padovani.

Bocciatura netta, dunque, per la comunicazione legata al “Vino d’Italia” di Bruno Vespa e Sandro Boscaini (Masi Agricola), colpevoli di aver pubblicizzato un “vino da tavola” – per intenderci, qualcosa di assimilabile per tipologia al notissimo Tavernello di Caviro – sfruttando la notorietà della Docg veneta (l’Amarone) e della Doc pugliese (il Primitivo di Manduria).

Un “errore” non presente in etichetta, bensì sul sito web ufficiale di Terregiunte, dal quale i riferimenti alle due Denominazioni sono state rimossi solo in seguito alla dura presa di posizione del Consorzio Tutela Vini Valpolicella e del Primitivo di Manduria.

Vespa e Masi hanno ampiamente utilizzato i nomi dei due noti vini rossi anche in presenza della stampa, in occasione della presentazione ufficiale di Terregiunte, a Cortina. Un evento al quale ha presenziato anche il governatore del Veneto, Luca Zaia, con l’omologo pugliese Michele Emiliano collegato via Skype.

“Noi tecnici – ha spiegato Cotarella – ci siamo fermati all’aspetto tecnico. Col senno di poi, non nascondo che avremmo dovuto controllare un po’ tutto il progetto. Ce ne siamo accorti al momento della presentazione. Devo dire che c’è stato un po’ di… Non è colpa dei giornalisti, sicuramente. Però sapete: dire questo vino viene da questa Denominazione e da quell’altra, no? Fa ancora più effetto che dire due vini mischiati così”.

Un colpo al cerchio e uno alla botte, insomma. Sullo specchio di una malcelata captatio benevolentiae, cui manca solo l’ultimo tentativo d’appello a “na’ ragazzata“. Trattasi però di Vespa e Boscaini. Che ragazzi non sono più. Anzi.

“La colpa – ha ribadito Cotarella nel suo intervento a Verona – è da ammettere soltanto su chi ha progettato la comunicazione di questo vino. Un po’ di colpa me la prendo anche io, perché avremmo dovuto essere un po’ più guardinghi, assieme al mio collega. Di questo mi scuso”.

Il noto enologo si è poi rivolto direttamente ai rappresentanti della Valpolicella, presenti in sala. “Lungi da me il voler creare problemi alla Denominazione, né a questa né a quella pugliese. Non nomino neanche i vini: ho paura a nominarli, pensate un po’. Ci tenevo molto a portare questo chiarimento”.

Sulla vicenda sono tornati gli stessi Bruno Vespa e Sandro Boscaini, nei giorni scorsi. “Il vino uscirà il prossimo novembre e l’etichetta non porterà ovviamente alcun riferimento né ai marchi registrati Costasera e Raccontami né ai vitigni che ne sono alla base”, ha precisato il duo in una lettera indirizzata ai due Consorzi”.

“La fatale semplificazione comunicativa dei primi giorni – continua la missiva – ha portato ad alcuni equivoci che vanno chiariti in modo trasparente. Terregiunte non ha alcuna relazione con le Denominazioni che per semplicità descrittiva, e con qualche approssimazione tecnica da parte nostra, sono state riportate nella comunicazione in generale. Abbiamo pertanto aggiornato i nostri siti in misura adeguata”.

SERVONO LE SCUSE IN CINESE

Bastano le scuse?
Di certo non bastano solo in italiano. Servirebbero anche in cinese, mercato al quale Vespa e Boscaini hanno annunciato di puntare in assoluto per la vendita di Terregiunte.

È lì, in Cina, che si sta giocando – già in queste ore, mentre noi stiamo qui a raccontarcela in italiano – la vera partita della comunicazione e del marketing di Bruno Vespa e Masi Agricola, che si sono limitati ad aggiornare le traduzioni dei comunicati stampa, togliendo i riferimenti ad Amarone e Primitivo, come pare evidente a questo link.

Servono – e sarebbero doverose – le scuse in cinese e in inglese anche a fronte delle gravi dichiarazioni di Sandro Boscaini alla stampa, a Cortina: “Terregiunte porta un Made in Italy più comprensibile anche per Paesi come la Cina, dove è pura utopia pretendere che si conoscano le tante, troppe, pur se eccellenti, Denominazioni territoriali del nostro Paese”.

Infine sorge un dubbio. Se per vendere Amarone o Primitivo in Cina è necessario metterli nella stessa bottiglia come “vino rosso” generico, a cosa è servita la fatica dei toscani che hanno studiato la traduzione del marchio “Chianti” in cinese, utile ai produttori per l’export (come da immagine sopra)?

Il presidente del Consorzio di Tutela, Giovanni Busi, è un erede di Don Chisciotte a cui affidare subito – honoris causa – il ruolo di ministro dell’Agricoltura o, forse, il punto è un altro? Buona la seconda. La verità è che, a qualcuno, la strada per la Cina, piace breve. In attesa del teletrasporto.

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Ocm Vino, il Chianti punta 1 milione di euro sui mercati asiatici

FIRENZE – Il Consorzio Vino Chianti punta la sveglia alla Regione Toscana e prepara un investimento da 1 milione di euro sui mercati asiatici. E’ quanto emerge dalle ultime dichiarazioni del presidente Giovanni Busi, che sollecita la politica locale “affinché l’atteso nuovo avviso nazionale, dal quale discenderanno gli avvisi delle diverse Regioni italiane, possa concretizzarsi nel più breve tempo possibile, al fine di consentire l’avvio delle importanti spese promozionali del vino Toscano nel mondo”.

“E’ auspicabile che la Regione Toscana si impegni quanto prima – commenta il numero uno del Consorzio Vino Chianti – perché si possano creare le condizioni per l’emanazione degli attesi avvisi pubblici necessari per consentire l’assegnazione delle importanti risorse comunitarie (Ocm) destinate a sostenere la promozione del vino toscano nel mondo”.

“Oltre a tempi stretti e certi – aggiunge il presidente del Consorzio Vino Chianti – è necessario che la Regione Toscana riconosca nei bandi il ruolo e il valore dei Consorzi nella valorizzazione e promozione delle produzioni di qualità certificata. Un’azione consortile che è fondamentale per le piccole e medie aziende che senza il sostegno dei consorzi non potrebbero mai far conoscere all’estero e soprattutto in mercati lontani e difficili come quelli dell’Estremo Oriente i propri prodotti”.


“E’ fondamentale consentire ai Consorzi di presentare i propri progetti per l’attività promozionale 2019-2020 così da avere il tempo utile per iniziare l’attività effettiva di promozione sul campo dopo il 15 ottobre”, precisa Giovanni Busi. L’invito a Regione Toscana, che ha stanziato 11 milioni di euro, è quello di “confrontarsi con gli Enti preposti e il Ministero dell’Agricoltura”.

“Noi come Consorzio Vino Chianti – spiega Busi – non siamo stati fermi. Abbiamo cominciato a lavorare alle attività promozionali 2019-2020 con 1 milione di euro. In particolare ci siamo orientati a una azione di maggiore penetrazione nei mercati asiatici. Cina e Giappone soprattutto, che sono quelli che secondo le nostre ricerche garantiscono le migliori performance di sviluppo”.

Ma il tempo stringe. “Dobbiamo essere operativi a ottobre – avverte Busi – perché è in quel momento che i mercati orientali si attivano, a cominciare da quelli fondamentali di Hong Kong e Shanghai, in varie manifestazioni fieristiche e promozionali. Bucare quegli appuntamenti quindi vorrebbe dire per il nostro vino mancare a appuntamenti fondamentali per far conoscere le nostre produzioni e quindi per incrementare l’export”.

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Vola lo Champagne: vendite record a 4,9 miliardi di euro

MILANO – Champagne da record anche nel 2018. Nell’ultimo anno, le vendite del celebre vino francese hanno raggiunto i 4,9 miliardi di euro (+ 0,3% rispetto al 2017).

L’Italia segna un +4,2% rispetto all’anno precedente, con un fatturato di 158,6 milioni di euro (tasse escluse, franco cantina). Stabili i volumi, con 7.362.506 bottiglie. Il nostro Paese si conferma il quinto mercato mondiale all’export per giro d’affari.

I volumi di Champagne sono in calo (-1,8% con 301,9 milioni di bottiglie), a fronte di una flessione più contenuta del fatturato  grazie alla migliore valorizzazione delle cuvée. A livello globale, le esportazioni restano orientate al rialzo (+0,6% a volume e +1,8% a valore).

Fuori dall’Unione Europea la domanda è più dinamica, soprattutto in mercati come gli Stati Uniti (23,7 milioni di bottiglie, +2,7%), il Giappone (13,6 milioni di bottiglie, +5,5%) e l’area cinese (Cina, Hong Kong, Taiwan: 4,7 milioni di bottiglie, +9,1%).

Dopo un’evoluzione molto sostenuta negli ultimi 10 anni (+134%), l’Australia ha registrato un leggero calo (8,4 milioni di bottiglie, -1,8%), a causa di un tasso di cambio meno favorevole. Altri Paesi confermano il loro potenziale: il Canada con 2,3 milioni di bottiglie (+4,8%), il Messico con 1,7 milioni di bottiglie (+4,3%).

Da segnalare anche il Sudafrica, che supera per la prima volta il milione di bottiglie e segna un significativo incremento del 38,4%. La vendemmia 2018, senza precedenti dal punto di vista agronomico e di qualità eccezionale è di buon auspicio per le future cuvée della Champagne.

Il Comité Champagne, creato dalla legge francese del 12 aprile 1941, ha sede a Epernay e riunisce tutti i viticoltori e tutte le Maison di Champagne. L’organizzazione interprofessionale rappresenta uno strumento di sviluppo economico, tecnico e ambientale. Il Comité Champagne mette le due professioni in relazione tra loro e conduce una politica di qualità costante e di valorizzazione del patrimonio comune della denominazione.

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Chianti in Cina: perché marchio Shiandi 基安蒂 è ottima trovata

Diciamocelo chiaramente. Ha suscitato qualche ilarità – cosa grave, anche tra una buona fetta di addetti ai lavori – la registrazione del marchio “Shiandi” (基安蒂) per il Chianti in Cina. Una mossa volta a favorire l’export, che ha riacceso facili ironie di caratura calcistica.

Passata la fase di autoindotto solletico ascellare italiota – pratica che investe tutte le “cose nuove” che si verificano in un Paese notoriamente allergico all’innovazione e alla presa di coscienza del reale Anno Domini – la trovata del Consorzio di Tutela fiorentino non può che essere giudicata positivamente.

PIZZA E COCA-COLA
Abbiamo infatti approfondito il discorso. Scoprendo che molte parole, in Cina, godono di “translitterazioni” simili a quelle utilizzate dal team toscano capitanato da Giovanni Busi. Tecnicamente si chiamano loanword, ovvero “parole in prestito”. A Pechino si comunica senza un vero e proprio alfabeto e con un complesso sistema di caratteri e fonemi.

E allora ecco che 披萨 si tradurrebbe “PY pīsà”: ovvero “pizza“. Due simboli: “PY”, ovvero “tagliare”, e “SA”, una parola senza significato particolare – come potrebbe essere un cognome – utilizzata solo per l’assonanza fonetica.

Ancora più chiaro l’esempio con la bevanda più famosa del mondo: la Coca-Cola可口可乐, ovvero “Kĕkŏu Kĕlè”. I caratteri usati per traslitterare il marchio sono interpretabili in diversi modi. Ma in mandarino, guarda caso, rappresentano una “deliziosa felicità”. Tutto tranne che burloni, quelli del Consorzio del Chianti. O no?

http://www.vinialsupermercato.it/chianti-registrato-in-cina-il-marchio-shianti-per-export/

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Fiera Interwine China: se ne parla a Cantina Moros con Claudio Quarta

GUAGNANO – Obiettivo Cina: importante opportunità di internazionalizzazione per le aziende pugliesi e salentine dell’agroalimentare.

Giovedì 12 luglio a Cantina Moros di Claudio Quarta, a Guagnano (LE), a partire dalle ore 10.30, si svolgerà “Interfood – Interwine China” con la partecipazione di Rita Jia, presidente dellaInterfood-Interwine China, rappresentante della Camera di Commercio del Guangdong e Membro del direttivo della Camera di Commercio di Chengdu.

L’incontro, organizzato in vista della 21° Edizione della Fiera Interwine China, che si svolgerà nel mese di Novembre 2018 a Guangzhou, durante la quale sarà inaugurata la prima fiera internazionale “Interfood Asia”, è il frutto della speciale partnership fra Claudio Quarta Vignaiolo e Interwine, il più importante appuntamento fieristico dedicato al vino che si tiene in Cina, l’unica fiera approvata dal ministro del commercio cinese.

A Claudio Quarta, già ambasciatore dei vini pugliesi e campani, è stato infatti richiesto di presentare il progetto alle aziende salentine del settore agroalimentare, con l’obiettivo di agevolare il processo di internazionalizzazione verso la Cina, mercato estero strategico e ad elevato potenziale di sviluppo: si stima infatti un mercato potenziale di 500 milioni di consumatori all’anno.

LA FIERA
La Fiera dedicata al mondo del food, nella quale il Made in Italy avrà uno spazio di rilievo – i dati continuano a registrare forti crescite dell’export dell’agroalimentare italiano in Cina (+ 18% nel 2017) trainato dai prodotti della dieta mediterranea, con in testa il vino, seguito da olio, formaggi e pasta – è lo strumento per promuovere l’esportazione dei prodotti agroalimentari italiani sul mercato cinese.

Durante l’incontro saranno affrontati temi dedicati all’esportazione dei prodotti Italiani in Cina: le barriere di ingresso, le opportunità di sviluppo, i punti di contatto, le modalità d’ingresso su questo mercato, consulenza per finanziamenti a fondo perduto della comunità europea per l’internazionalizzazione delle imprese Italiane.

Le aziende interessate si potranno proporre per partecipare ad un successivo incontro,  che si terrà nel mese di settembre, sempre in una delle due cantine pugliesi di Claudio Quarta Vignaiolo, durante il quale parteciperà nuovamente la presidente Rita Jia insieme ad un gruppo di importatori cinesi del settore food.

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Italia: record storico di esportazioni in Cina nel 2017

Le esportazioni di vino italiano Cina hanno raggiunto il massimo storico di oltre 130 milioni di euro grazie all’aumento del 29% del 2017. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti su dati Istat divulgata in occasione della presentazione della edizione 2018 del Vinitaly che ha evidenziato lo spostamento ad est della mappa dei consumi di vino. L’Italia tuttavia – sottolinea la Coldiretti – resta al quinto posto nella lista dei principali esportatori di vino in Cina guidata dalla Francia con un valore di circa un miliardo di euro.

Per effetto di una crescita ininterrotta nei consumi la Cina – precisa la Coldiretti – è entrata nella lista dei cinque Paesi che consumano più vino nel mondo ma è in testa alla classifica se si considerano solo i rossi. Si tratta dunque di un mercato strategico per l’Italia che nel 2017, per effetto di un aumento del 6%,  ha raggiunto il record di circa 6 miliardi nelle esportazioni di vino, che tuttavia restano concentrate – conclude la Coldiretti – per oltre il 90% sui mercati dell’Europa e del Nord America.

Uno dei temi che sarà affrontato dalla Coldiretti al Vinitaly dove è presente nello stand al Centro Servizi Arena – stand A, tra il padiglione 6 e 7 dal 15 al 18 aprile.

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Funghi “chiodini” cinesi e vino: maxi sequestro tra Napoli e Foggia

Il Nucleo Antifrodi Carabinieri di Salerno, in collaborazione con personale dell’Ispettorato Centrale Repressione Frodi di Bari, a seguito di accertamenti svolti nelle province di Napoli e Foggia, ha sequestrato 1.770 chilogrammi di funghi confezionati (in barattoli di latta e in  vasetti di vetro) con la dicitura “funghi chiodini” mentre, in realtà, si trattava della varietà “pholiota mutabilis nameko”, di origine cinese.

Nel corso dell’operazione, i militari hanno sequestrato anche 4.300 ettolitri di vino bianco (pari a circa 464 tonnellate di prodotto) per un valore di 500 mila euro, poiché detenuto in eccedenza rispetto alla giacenza contabile e non giustificato da alcuna documentazione.

Nell’occasione venivano sequestrate anche 6.500 etichette  e contestate sanzioni per 199.500 euro. Le attività preventive della specialità dell’Arma hanno evitato che giungessero sulle tavole dei consumatori prodotti che avrebbero arrecato un potenziale danno alla salute e un inganno alla generalità degli utenti.

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Rapporto Coop 2017: cresce la qualità del vino al supermercato

Si parla anche di vino nel rapporto Coop 2017. Una fotografia dell’economia e della società italiana, attraverso i dati che arrivano dal mondo della grande distribuzione organizzata. L’italiano disegnato da Coop sembra aver perso per strada molti desideri.

Tra questi, anche quello della buona tavola. Fuma di meno, beve di meno e ama di meno (-10% il calo del desiderio sessuale negli ultimi 15 anni e, conseguentemente, -6% la diminuzione registrata nell’ultimo anno nella spesa per profilattici).

In testa, piuttosto, l’italiano ha il gioco d’azzardo. A tentare la sorte in vario modo sono quasi in 30 milioni. Tradotto? L’Italia è tra i quattro popoli che perdono di più al mondo, dopo giganti come Stati Uniti, Cina e Giappone.

I CONSUMI
La trasformazione degli stili di consumo a tavola riguarda anche le bevande. Gli italiani si fidano sempre di più dell’acqua del rubinetto, ma aumentano anche le vendite di acqua in bottiglia, a scapito delle bevande gassate. Sul vino, gli italiani prediligono scelte di qualità. “Italianità” e “certificazione” del prodotto enologico sembrano essere le nuove chiavi.

Il vino resta sulla tavola degli italiani, anche se la crisi ha tagliato le gambe alle spese più voluttuarie, tra cui figurano gli alcolici. Segni incoraggianti quelli che arrivano dai primi indicatori del 2017. In Gdo, il giro d’affari messo a segno da vini, spumanti e Champagne è aumentato del 2% nella prima metà dell’anno.

“Una performance anche più lusinghiera – evidenzia il rapporto Coop – se si considera che è in atto un progressivo travaso dei volumi di vendita nella direzione di formati più specializzati e di nicchia (vendita diretta con il produttore, enoteche, cantine)”.

A crescere è la qualità del prodotto medio, “al punto da configurare un fenomeno di upgrading importante della spesa”. I dati Nielsen sui volumi di vendita citati nel rapporto Coop documentano nel primo semestre dell’anno un incremento in quantità pari al 5% rispetto allo stesso periodo di un anno fa per i vini con etichetta certificata, a fronte di un calo del 3% per i vini comuni.

EXPLOIT DEI VINI BIO
Si beve meno ma meglio, insomma. Nella scelta di acquisto, la qualità viene prima del prezzo (93%), insieme all’italianità del vino (91%) e alla certificazione d’origine (l’86% sceglie vini Dop e l’85% Igp). Anche in questo ambito cresce la sensibilità verso la variante biologica: si tratta del vino prodotto attraverso l’utilizzo di antiparassitari naturali e l’abbattimento delle sostanze chimiche e dei solfiti.

Il volume delle vendite del vino bio in Grande Distribuzione è cresciuto del 25% nell’ultimo anno, con 2 milioni e mezzo di litri venduti. Se la qualità dell’acquisto è aumentata, la quantità di vino consumata dagli italiani
ha ceduto terreno, in ragione di una predilezione per uno stile di vita più “sobrio”. Secondo il Censis, soltanto il 2,3% degli italiani consuma più di mezzo litro di vino al giorno (era il triplo trenta anni fa).

I MILLENNIALS
“Uno spaccato generazionale dei consumatori che evidenzia l’emergere di un elemento di discontinuità rispetto al passato, dal momento che la riscoperta delle eccellenze enologiche è partita dai più giovani”, recita ancora il rapporto Coop 2017. Secondo il Nomisma Wine Monitor, che ha messo a confronto i Millennials italiani con i coetanei statunitensi, nel nostro Paese si rileva “una profonda cultura del vino”.

Nella fase di orientamento all’acquisto nel nostro Paese si guarda all’origine del prodotto, oltre che alle caratteristiche organolettiche e all’affidabilità del produttore.

La passione degli italiani per il vino non si ferma all’acquisto, ma sulla scia di Expo è cresciuto anche l’interesse verso le manifestazioni enologiche. Nel 2016 sono stati 24 milioni gli italiani che hanno partecipato a eventi a tema sul vino, fra cui tantissimi giovani.

Gli stranieri non sono da meno, tanto che all’edizione 2017 di Vinitaly sono stati 48 mila i visitatori dall’esteo, di cui oltre la metà accreditati come top buyer (+8% rispetto al 2016), provenienti da 70 Paesi. Il vino rappresenta del resto uno dei principali ambasciatori del “Made in Italy”.

LE PREVISIONI
Secondo le analisi di Confcooperative, i volumi di vendita del vino nel mondo fra il 2015 e il 2020 cresceranno del 13,4%, e l’Italia, primo produttore in assoluto, vedrà ampliarsi le sue quote di mercato. Nel 2016, l’export del settore vinicolo italiano ha raggiunto quota 5,6 miliardi di euro, segnando un +4,3% sul 2015.

I mercati principali sono quello statunitense e quello tedesco, ma fra i Paesi più promettenti troviamo Cina e Russia, che nel 2016 hanno fatto segnare una crescita in volume dei vini importati dall’Italia rispettivamente pari all’11% e al 15%.

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Prosecco, smascherato il fake su Alibaba

Il Prosecco guida la classifica dei vini italiani più taroccati con le imitazioni diffuse in tutti i continenti dal Meer-secco al Kressecco, dal Semisecco e al Consecco, ma è stata smascherata le vendita anche del Whitesecco e del Crisecco.

E’ quanto afferma la Coldiretti nell’esprimere apprezzamento per il blocco di 30 milioni di lattine di falso Prosecco che erano pronte per essere vendute sulla piattaforma e-commerce cinese Alibaba. Un intervento reso possibile dal lavoro dell’Ispettorato repressione frodi.

“Il successo esplosivo del Prosecco all’estero – evidenzia Coldiretti – dove nel 2016 ha fatto registrare l’aumento record del 25% delle vendite, alimenta la popolarità e moltiplica i tentativi di imitazioni. Un rischio accresciuto dal commercio elettronico per un successo tutto italiano con una produzione che ha raggiunto 410-415 milioni di bottiglie”.

Ma proprio in Cina, pur considerando l’incremento netto delle importazioni, il brand Prosecco stenta a decollare in maniera definitiva. Lasciando alla Francia lo scettro di regina delle esportazioni in “Sol Levante”.

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Export italiano di vino e uva: ecco la mappa

L’agroalimentare “made in Italy” nel mondo vale 38 miliardi di euro all’anno e cresce del 3,5%, secondo i dati della Camera di commercio di Milano. Ma per sapere dove va e da dove parte l’export, quali sono i maggiori mercati di sbocco e i prodotti più apprezzati arriva la mappa: “L’agroalimentare italiano nel mondo”, realizzata dalla Camera di commercio di Milano e Coldiretti, con Promos, azienda speciale della Camera di commercio per le Attività Internazionali. La mappa, disponibile in italiano e inglese, è scaricabile in Internet (http://www.promos-milano.it/Informazione/Note-Settoriali/Mappa-Export-Agroalimentare.kl). Un documento che arriva a poche ore da “Milano Food City”, la settimana dedicata al cibo e alla cultura della sana alimentazione, in programma dal 4 all’11 maggio, con oltre 320 eventi.

L’EXPORT DI VINO E UVA
L’export di vino e uva italiana vale 5,6 miliardi e segna un +4,3%. Il maggiori partner sono gli USA (24%), seguiti da Germania (17,4%) e Regno Unito (13,6%). I mercati emergenti sono quelli di Polonia (+27%), Repubblica Ceca (+20,1%) e Cina (+13,8%). Trai primi 20: Svizzera, Canada e Francia.

Per quanto riguarda uva e agrumi, il valore dell’export dell’Italia raggiunge i 3,4 miliardi, con un +2,9%. I maggiori partner sono Germania (29,6%), Francia (9,5%) e Spagna (5,6%). I mercati emergenti Austria (+13,7%), Arabia Saudita (+13,3%) e Slovenia (+12%). Tra i primi 20: Regno Unito, Svezia, Egitto.

L’AGROALIMENTARE
Spiega Giovanni Benedetti, Direttore della Coldiretti Lombardia e membro di giunta della Camera di commercio di Milano: “Expo ha dato un contributo significativo al confronto sul mondo dell’alimentazione che bisogna mantenere come punto di riferimento per le iniziative della città. Non è un caso che nel mondo il patrimonio eno gastronomico italiano sia tra i più copiati, con un valore che ogni anno raggiunge i 60 miliardi di euro, che vengono sottratti all’economia del nostro Paese”.

“Con un export agroalimentare che ha raggiunto i 38 miliardi di euro totali – continua Benedetti – parlare di cibo in Italia non è più solo un tema per addetti del settore, ma significa ragionare su quelli  che possono essere, per tutti, gli sviluppi economici e occupazionali di un comparto sempre più importante”.

Germania, Francia, Stati Uniti, Regno Unito e Svizzera concentrano la metà dell’export. Tutte le principali destinazioni sono in crescita, in particolare Stati Uniti (+5,7%), Francia e Germania (+3%). In ascesa anche la Spagna 6° (+7,2%) e i Paesi Bassi 7° (+6,2%). Ma i prodotti “made in Italy” raggiungono anche Giappone (al 10° posto), Canada (11°), Australia (16°) e Cina (20°).

In aumento soprattutto Romania (+16%) e Repubblica Ceca (+13%) ma torna a crescere anche la Russia, +10% (19°). E se la Germania e la Francia sono i primi acquirenti per quasi tutti i prodotti, gli Stati Uniti eccellono per vini, acque minerali e oli, la Spagna per pesce fresco, le Filippine e la Grecia per alimenti per animali.

In forte crescita la Corea del Sud per prodotti da forno e lattiero caseari, l’Austria e l’Arabia Saudita per uva e agrumi, la Cina per gelati e oli, la Romania per cioccolato, caffè, piatti pronti e pesce lavorato, la Libia per frutta e ortaggi, Hong Kong per carni, Etiopia e Kenya per granaglie, la Russia per alimenti per animali, il Belgio per cereali e riso, la Polonia per vini e la Spagna per acque minerali. Emerge da elaborazioni della Camera di commercio di Milano su dati Istat, anni 2016 e 2015.

I PRODOTTI MADE IN ITALY PIU’ ESPORTATI
Cioccolato, tè, caffè, spezie e piatti pronti con 6,2 miliardi di euro, seguiti dai vini con 5,6 miliardi di euro, vengono poi pane, pasta e farinacei con 3,6 miliardi di euro ma anche frutta e ortaggi lavorati e conservati, uva e agrumi con 3,4 miliardi di euro. Gli aumenti più consistenti si registrano per cioccolato, latte e formaggi, pesca e acquacoltura (+6%), oli e gelati (+5%), vini e granaglie (+4%).

I maggiori esportatori italiani? Verona con 2,9 miliardi di euro, Cuneo con 2,5 miliardi e Parma con 1,6 miliardi, Milano è quinta con 1,4 miliardi, il 4% del totale. Bolzano 4°, Salerno 6° e Modena 7°. Tra le prime venti posizioni la maggiore crescita a Venezia (+15%), Padova (+12%), Firenze, Torino e Bergamo (+11%).

LA LOMBARDIA
Con 5,9 miliardi di export, la Lombardia rappresenta più di un settimo del totale italiano. Oltre a Milano, 5° in Italia, tra le prime 20 ci sono anche Bergamo 12° e Mantova 18°. A crescere di più sono Lodi che raddoppia il suo export (+103,8%), Sondrio (+16,1%), Cremona e Varese (+11%).

La Lombardia per peso sul totale nazionale si distingue in pesci, crostacei lavorati e conservati, con il 38%: Como leader italiana (31%, +12,1%), Brescia 10° e Milano 14°, ma anche in prodotti lattiero-caseari dove rappresenta il 36,8% del totale con Mantova 3°, Lodi 4°, Cremona 6°, Brescia 7°, Bergamo 9°, Pavia 14° e Milano 15°. Pavia è invece al primo posto per granaglie, amidi e prodotti amidacei (16% nazionale).

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Radici del Sud apre al mondo: ospiti internazionali e focus sulla Cina

A poche settimane dall’inizio di Radici del Sud, l’evento dedicato al vino da vitigno autoctono e all’olio del mezzogiorno che si terrà a Sannicandro di Bari dal 30 maggio al 5 giugno 2017, sono stati definiti gli ospiti italiani e stranieri che parteciperanno agli incontri BtoB con i produttori, ai press tour e che faranno parte delle giurie. Quest’ultime saranno due, una composta da buyer e presieduta da Alfonso Cevola, wineblogger, profondo conoscitore del patrimonio enologico italiano negli Stati Uniti e l’altra composta da giornalisti e capitanata da Daniele Cernilli, il DoctorWine dell’enologia italiana. Le giurie testeranno gli oltre 350 campioni di vino in gara provenienti da Puglia, Basilicata, Campania, Calabria e Sicilia.

“Alla data odierna le aziende partecipanti sono già oltre 130, ma c’è tempo fino al 30 aprile per procedere all’iscrizione – dice Nicola Campanile, organizzatore della manifestazione -. Partecipare al Concorso e sottoporsi al giudizio delle giurie è sicuramente una sfida importante per le aziende perchè permette di valutare come si sta lavorando. Inoltre il confronto con i colleghi produttori può essere decisivo per individuare possibili azioni comuni di promozione di una produzione enologica così particolare che si distingue per la spiccata tipicità e i fortissimi legami col territorio”.

Tra gli importatori stranieri presenti quest’anno sicuramente da segnalare una delegazione cinese, guidata da Alessio Fortunato, l’enologo campano che dal 2013 vive e lavora in Cina come China Wine Market Consultant e come professore di Wine Business presso la NWAF University e che ha all’attivo una grande esperienza nel mercato cinese come advisor per importatori, distributori e camere di commercio del vino cinese. Questi buyer provenienti da diverse regioni della Cina, che importano già vino italiano con grande successo, sono convinti che i volumi aumenteranno molto nei prossimi anni e sono quindi interessati ad approfondire le loro conoscenze dei vini del Sud, per ampliare il loro portfolio.

Lunedì 5 giugno, durante i due giorni dedicati al Salone del vino e dell’olio, alle ore 19.00 Alessio Fortunato condurrà anche un seminario specifico sul Mercato del Vino italiano in Cina: L’evoluzione del settore, gli errori da non fare e le soluzioni più efficaci per questo mercato, dove illustrerà strategie e soluzioni che le aziende possono intraprendere per affrontare il mercato cinese. Un’occasione per tutti, produttori, operatori o semplici consumatori, per approfondire la conoscenza di una realtà ormai vicina ma spesso ancora poco nota.

Radici del Sud 2017 – Salone dei vini e degli oli del Sud in breve:
Dove: Castello Normanno Svevo di Sannicandro di Bari (BA)
Quando: 30 maggio – 5 giugno 2017
Orario di apertura al pubblico: Domenica 4 giugno dalle 15.00 alle 20.00; lunedì 5 giugno dalle 10.00 alle 20.00
Ingresso: kit di degustazione €15 (comprensivo di bicchiere, sacca portabicchiere e quaderno di degustazione) utilizzabile anche per la serata conclusiva. Coupon cena buffet € 20 (comprende la degustazione dei piatti realizzati dagli chef). Kit degustazione + coupon cena: € 35.
Parcheggio: disponibile. I minorenni non pagano l’ingresso e non possono effettuare degustazioni

LE AZIENDE PARTECIPANTI
Armosa, A.A. Boccella, A.A. Bosco De’ Medici, A.A. Domenico Russo, A.A. Musto Carmelitano, Agnanum, Agricola Cianciulli, Albamarina, Angiuli Donato, Antica Enotria, Antica Hirpinia, Antica Masseria Caroli, Antica Masseria Jorche, Antico Castello, Antonio Pisante, Apollonio, Azienda Vitivinicola Marulli, Baglio Del Cristo Di Campobello, Battifarano, Beato Vini, Borgo Turrito, Botromagno Vigneti & Cantine, Camerlengo, Cantina Diomede, Cantina E Oleificio Sociale Di Lizzano, Cantina Fiorentino, Cantina Il Passo, Cantina Lama Di Rose, Cantina Petrelli, Cantina Sociale Di Barletta, Cantina Sociale Di Copertino, Cantine Bonsegna, Cantine Del Notaio, Cantine Ferri, Cantine Kandea, Cantine Lagala, Cantine Paradiso, Cantine San Marzano, Cantine Spelonga, Cantine Statti, Cantine Teanum, Carbone Vini, Cardone Vini, Casa Comerci, Casa Maschito, Casula Vinaria, Centopassi, Cerfeda Dell’Elba, Colli Della Murgia, Colli Di Castelfranci, Conti Zecca, Coppi Casa Vinicola, Cotinone Vigneti, D’alfonso Del Sordo, D’angelo Wine, D’araprì Spumante Classico, De Carlo – Mastri Oleari Dal 1600, Donna Vitina, Duca Carlo Guarini, Elda Cantine, Eleano.

Fatalone Organic Wines, Ferrocinto, Feudo Disisa, Fiore Azienda Agricola, Fontanavecchia, Garofano Vigneti E Cantine, Giai, Graco, Grifo, Hiso Telaray, I Pastini, I-Greco, Il Tuccanese, La Pizzuta Del Principe, La Pruina Vini, La Sibilla, Le Moire Winery, Le Radici Del Tempo, Leonardo Pallotta, Librandi, Mancino, Mastrangelo Francesco, Mustilli, Nicotera Severisio, Oleificio Mossa, Palmento Costanzo, Pietraventosa, Planeta, Portelli Wine, Produttori Vini Manduria, Ripanero, Rivera, Romaldo Greco, Rosso Vermiglio, Sanpaolo, Santi Dimitri, Sarno 1860, Schinosa Frantoio, Schola Sarmenti, Sertura, Spadafora Dei Principi Di Spadafora, Taverna, Tempa Di Zoe’, Tenuta Barone G.R. Macri’, Tenuta Coppadoro, Tenuta Fontana, Tenuta Giustini, Tenuta Rapitala’, Tenuta Viglione, Tenute Chiaromonte, Tenute D’auria, Tenute Emera Di Claudio Quarta Vignaiolo, Tenute Girolamo, Torre Quarto, Torrevento, Uliveti Barbera, Unione Agricola Di Melissano, Vaglio Massa, Valentina Passalaqua, Varvaglione 1921, Ventitréfilari, Vigne Mastrodomenico, Vigneti Calitro, Vigneti Del Salento, Vigneti Del Vulture, Villa Schinosa, Vini Giancarlo Ceci, Vinicola Palama’, Viticoltori De Conciliis.

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Vinitaly: 50 anni di Sassicaia

Sassicaia superstar a Vinitaly, con una degustazione dal titolo insolito per quello che negli anni, grazie alla capacità del marchese Mario Incisa della Rocchetta, alla lungimiranza di suo figlio Nicolò e alla maestria dell’enologo Giacomo Tachis, è diventato uno dei più prestigiosi simboli del Made in Italy.

L’appuntamento che questa mattina al 51° Vinitaly ha coinvolto giornalisti, sommelier, enologi, pochi e fortunati wine lover, oltre a cinque ambasciatori del vino italiano nel mondo, diplomati alla Vinitaly International Academy (VIA), che ha organizzato la degustazione insieme alla Tenuta San Guido, era un seminario sul tema “Indietro nel tempo con il Sassicaia – le annate dimenticate”.

“Annate non dimenticate, ma considerate un po’ più ‘piccole’ rispetto alle altre”, spiega Priscilla Incisa della Rocchetta, che ha ricordato la nascita del Sassicaia come “vino da bere in famiglia, voluto dal nonno Mario Incisa della Rocchetta, che comprese come il territorio di Bolgheri fosse vocato alla coltivazione di vigneti come il Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc”. Solamente dal 1968 il Sassicaia si apre al mercato e dal 1994 trascina il territorio alla conquista della Doc Bolgheri.

“È un prodotto che rappresenta le nostre origini e la nostra famiglia – ha continuato Incisa della Rocchetta -. Negli anni si è trasformato in uno dei simboli del Made in Italy di alto livello nel mondo e per noi è una grande responsabilità portare avanti questo progetto, seguendo sempre le filosofie originali”.

A rendere omaggio al Sassicaia era presente anche il direttore generale di Veronafiere, Giovanni Mantovani. «La degustazione di oggi organizzata da Vinitaly International Academy è una straordinaria occasione per un incontro con il Sassicaia, nato grazie all’intuito di Mario Incisa della Rocchetta, che creò un vino sul modello bordolese e che divenne un vino-icona».

“La storia della Tenuta San Guido – ha proseguito Mantovani – si incrocia con un altro grande uomo, l’enologo Giacomo Tachis, che abbiamo ricordato l’anno scorso a Vinitaly. Grazie a loro il Sassicaia è divenuto un modello che non solo ha dato vita ai cosiddetti ‘Super-Tuscan’, ma ha creato dal nulla il distretto vitivinicolo di Bolgheri, nella Maremma che prima non aveva alcuna storia e che è diventata uno dei grandi territori del vino. Oggi siamo a celebrare i 50 anni di commercializzazione del Sassicaia e la 30ª partecipazione a Vinitaly”.

Un vino che è un simbolo, in grado di competere anche in chiave economica con i grandi vini francesi e che sostiene il confronto senza alcun complesso di inferiorità. “È uno dei grandi vini ricercati in Cina, proprio per la sua qualità e la grande storia alle spalle”, ha ricordato Stevie Kim, managing director di Vinitaly International Academy, presente insieme al direttore scientifico di VIA, Ian D’Agata, che ha condotto la degustazione insieme a Carlo Paoli, direttore generale tecnico di Sassicaia e Tenuta San Guido.

Per gli amanti di date e numeri, le annate degustate, di altissimo livello, nonostante siano figlie di «stagioni complicate sul versante meteorologico», hanno spiegato Ian D’Agata e Carlo Paoli, sono state: 1992, 1994, 2002, 2005, 2007, 2008, 2010, 2014.

I NUMERI
Tenuta San Guido produce ogni anno a Bolgheri 180-200 mila bottiglie di Sassicaia. “Poco più della metà viene esportata e il resto rimane in Italia – ha precisato Priscilla Incisa della Rocchetta -. È una scelta, perché è un prodotto italiano e riteniamo che chi viene nel nostro Paese lo debba trovare”. 
Una curiosità. Mario Incisa della Rocchetta fu il proprietario di un altro simbolo italiano: il cavallo Ribot, uno tra i galoppatori più forti di tutti i tempi.

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