Il Miglior Martinotti/Charmat per la Guida Top 100 Migliori vini italiani 2025 di Winemag è il Valdobbiadene Docg Rive di Santo Stefano Extra Dry 2023 Nazzareno Pola Dirupo di Andreola. Il punteggio assegnato in occasione delle degustazioni alla cieca è di 94/100. Di seguito il profilo del vino.
VALDOBBIADENE DOCG RIVE DI SANTO STEFANO EXTRA DRY 2023 NAZZARENO POLA DIRUPO, ANDREOLA
Perlage: 9
Fiore: 8.5
Frutto: 8.5
Freschezza: 8.5
Sapidità: 6
Percezione alcolica: 4
Armonia complessiva: 9.5
Facilità di beva: 9.5
A tavola: 8.5
Quando lo bevo: subito / entro 3 anni
Punteggio Winemag: 94/100 (Miglior spumante italiano Martinotti/Charmat Guida Winemag 2025)
Andreola TERROIR L’Etichetta del Fondatore è uno spumante dalle caratteristiche uniche che nasce come ulteriore selezione di uno dei nostri vini più rappresentativi, ovvero il Dirupo. In qualità di azienda che molto ha investito e creduto in questo territorio negli ultimi anni, abbiamo il privilegio di poter scegliere tra numerosi appezzamenti distribuiti all’interno dei 15 comuni che compongono la nostra denominazione. Prima di procedere con la creazione di questo esclusivo assemblaggio, il fondatore Nazzareno Pola sceglie ogni anno il vigneto che più lo ha impressionato per piacevolezza ed eleganza e di conseguenza ne viene tenuto isolato il vino base. All’interno del nostro territorio, notevole è la diversità nella conformazione dei terreni, degli strati e della varietà dei minerali in essi contenuti: passiamo infatti da marne calcaree, arenarie e conglomerati rocciosi a terreni molto più evoluti e profondi come per esempio i Feletti.
NAZZARENO POLA ANDREOLA, VALDOBBIADENE EXTRA DRY
In questo susseguirsi di condizioni molto variabili, troviamo vigne che sono state piantate in zone che vanno da un’altitudine media di circa 200 m s.l.m. fino a toccare alcuni dei punti più estremi per la coltivazione della vite ad un’altitudine di 500 m s.l.m., dove ogni singola operazione deve essere svolta manualmente. L’altitudine elevata comporta condizioni di forte pendenza: ecco perché la viticoltura che ricama queste colline Patrimonio Unesco viene definita “eroica”. Si sfiorano infatti, nei vigneti più impervi, 1000 ore/ettaro di duro lavoro manuale in un anno: non potendoci avvalere dell’ausilio delle macchine operatrici ne esce un vino letteralmente “fatto a mano”.
DIRUPO Valdobbiadene DOCG EXTRA DRY
Spumantizzato dall’Azienda Agricola Andreola di Stefano Pola Col San Martino – Farra di Soligo (TV) – Prodotto in Italia – Contiene solfiti NAZZARENO POLA ETICHETTA DEL FONDATORE andreola.eu NOTE DI DEGUSTAZIONE Figlio dell’intuizione del fondatore Nazzareno Pola, ogni anno questo spumante rappresenta la sua personale visione del massimo livello qualitativo che la nostra denominazione è in grado di dare alle uve, sapientemente lavorate in cantina sulle orme dei suoi insegnamenti. L’ardua selezione avviene all’interno di disparate situazioni territoriali che conferiscono ai vini base caratteristiche molto diverse: di anno in anno, a seconda delle variabili climatiche che possono influenzare la qualità delle uve, vediamo alternarsi come protagoniste l’eleganza dell’arenaria, la finezza del calcare o la profondità delle marne.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Derthona, Terre di Libarna eMonleale sono le tre sottozone della Doc Colli Tortonesi. Insieme raggruppano 46 comuni e 7 valli della provincia di Alessandria, vocate alla produzione di Timorasso e Barbera. Il tavolo vitivinicolo regionale di Regione Piemonte, in occasione dell’incontro di ieri mattina con il presidente del Consorzio, Gian Paolo Repetto, ha dato il via libera alla modifica del disciplinare della Doc Colli Tortonesi che disegna un futuro ancora più chiaro per una zona che si sta facendo largo nel mondo, a suon di vini bianchi e rossi di estrema qualità. Su tutti, luce verde alla sottozona Derthona e a una migliore profilazione della sottozona Terre di Libarna, riservata ai soli spumanti. Tecnicamente si tratta di “UGA“, acronimo di “Unità geografiche aggiuntive” utilizzato per identificare le “sottozone”.
Provvedimenti per i quali è stata richiesta la retroattività volontaria alla vendemmia 2024, per chi già rispetterà i nuovi parametri. In caso contrario, le modifiche dovrebbero entrare in vigore a partire dalla vendemmia 2025, comunque non prima dell’avallo definitivo del Comitato nazionale Vini. Il provvedimento mescola le carte in tavola nei Colli Tortonesi, al solo fine di mettere ordine. Disegnando i contorni di un futuro ancora più chiaro per una zona che si sta facendo largo nel mondo, a suon di vini bianchi e rossi di estrema qualità.
DERTHONA, IL VINO DOC OTTENUTO DALLE UVE TIMORASSO
Addio, in primis, alla “Colli Tortonesi Doc Timorasso”, a compimento del progetto portato avanti sin dalla fine degli anni Ottanta da alcuni vignaioli alessandrini, su tutti Walter Massa. Un passo indietro, per farne cento avanti. Con “Timorasso” si andrà a identificare solo l’uva o, meglio, il vitigno. Con “Derthona” i vini Doc prodotti con uve Timorasso. Il nome è quello dato dai romani all’attuale città di Tortona, divenuta oggi un nevralgico centro agricolo, logistico e industriale della provincia di Alessandria. Proprio a Tortona ha sede il Consorzio Tutela Vini Colli Tortonesi. Il nome Derthona, ad oggi, è più che mai noto agli amanti del basket, grazie all’omonima squadra (di Tortona, per l’appunto) che milita in serie A.
La posizione centrale e strategica della città, negli ultimi anni, ha causato un accentramento di potere da parte di grandi gruppi dell’industria e della logistica, che ha finito per schiacciare la vocazionalità agricola della zona (nota, oltre che per il vino, anche per la Pesca di Volpedo). Il ricorso all’antico nome romano Derthona è un implicito richiamo alle radici rurali di Tortona, voluto da un Consorzio e da una base produttiva animata da vignaioli che mirano alla qualità assoluta del prodotto. Non sono un caso gli investimenti di grandi nomi del vino, soprattutto delle Langhe, avvenuti negli ultimi anni nel comprensorio della Doc. E c’è anche chi si “rifugia” qui dal vicinissimo (e tormentato) Oltrepò pavese.
SOLO VINI SPUMANTI NELLA SOTTOZONA / UGA TERRE DI LIBARNA (VAL BORBERA)
La seconda importante modifica riguarda la sottozona / UGA Terre di Libarna della Val Borbera, che si trasformerà ufficialmente nel cuore della spumantistica alessandrina. Una piccolissima “Alta Langa” del Timorasso, per usare un “eufemismo” senza uscire dai confini del Piemonte. Con una produzione annuale che si assesta attorno alle 12 mila bottiglie Doc, quasi esclusivamente prodotte da una cantina icona del territorio come Ezio Poggio.
Grazie a un’estensione della sottozona Derthona alle zone più vocate delle valli Borbera e Spinti, i vini fermi base Timorasso potranno rivendicare il nome Derthona. La menzione “Terre di Libarna” scompare, in sostanza, dai vini fermi. E sarà ascrivibile in etichetta solo sui vini spumanti. La scelta non è casuale, visto che la vallata in cui ricade la sottozona Terre di Libarna gode di altitudini e acidità delle uve che favoriscono la spumantistica. Per lo stesso motivo, in futuro, l’alta Val Curone potrebbe essere assoggettata all’UGA Terre di Libarna.
La mappa dei Colli Tortonesi (® Cantina Vite Colte)
PICCOLO DERTHONA, DERTHONA E DERTHONA RISERVA
Confermate dal Ministero anche le richieste del Consorzio relative all’esclusione dei fondovalle e delle altimetrie superiori ai mille metri, per una produzione e pianificazione “verticale” del Derthona che deve essere vino di qualità uniforme e riconoscibile. Tre le tipologie approvate: Piccolo Derthona, Derthona e Derthona Riserva. «Abbiamo ristretto il perimetro dei comuni – commenta a winemag il presidente del Consorzio, Gian Paolo Repetto – portando la sottozona / UGA Derthona ad essere circa la metà della Doc Colli Tortonesi, grazie a 432 km quadrati di superficie rispetto ai 785 complessivi. Pochi sanno che la Colli Tortonesi è una Doc molto estesa in termini di territorio».
COLLI TORTONESI DOC: IN FUTURO NUOVE SOTTOZONE (UGA)
«Questa novità – continua Repetto, titolare dell’omonima cantina di Sarezzano – ci dà la grande possibilità di valorizzare le zone più vocate e di iniziare a lavorare al prossimo step, ovvero l’istituzione di altre sottozone (UGA), in areali a noi già ben chiari per la qualità costante delle uve e che fanno ben sperare per il futuro. La discussione sulle nuove “menzioni” si concentra piuttosto sul naming e su come renderle omogenee per tipologia e per uve. In definitiva, oggi abbiamo portato a casa il bersaglio grosso della modifica al disciplinare. Da domani lavoreremo un po’ più di fino».
NELLE ANNATE FAVOREVOLI SI ADOTTERÀ IL “SUPERO” PER IL PICCOLO DERTHONA
Dal punto di vista produttivo, le modifiche al disciplinare comportano un passaggio dagli 80 ai 75 quintali per ettaro, relativamente alla resa del Timorasso. La riduzione, un po’ a sorpresa, riguarda anche il Piccolo Derthona. Per la tipologia “di ingresso” della Doc, chiamata ad introdurre i consumatori a vini più stratificati e complessi (Derthona e Derthona Riserva, per l’appunto) l’ipotesi inziale era di 90 quintali per ettaro. Ma la proposta è tramontata dopo il primo confronto tra il Consorzio e i tecnici di Regione Piemonte. Al netto di un disciplinare restrittivo, che uniforma il “base” alla “Riserva”, l’asso nella manica sarà il ricorso al “supero di campagna”.
Un “escamotage”, normato dalle leggi vigenti, sino ad ora mai utilizzato dall’ente tortonese. «In annate favorevoli – annuncia ancora il presidente Gian Paolo Repetto – il Consorzio potrebbe deliberare il supero per il Piccolo Derthona. Questo ci permetterà una certa flessibilità a fronte di vendemmie positive sul fronte della quantità, ovvero in grado di garantire oltre alla qualità anche un certo volume di produzione. Il supero consentirà ancor più alla tipologia di “ingresso” della denominazione di avvalorare i propri risvolti, anche dal punto di vista strettamente “commerciale”».
LA VENDEMMIA 2024 DEI COLLI TORTONESI: BENE TIMORASSO E BARBERA
Non si parla neppure sottovoce di “supero” al cospetto della vendemmia 2024 dei Colli Tortonesi. Nel complesso, a conti fatti, il territorio registrerà una riduzione della produzione del 30% e una qualità da buona a ottima. Una novità interessante riguarda le gradazioni alcoliche dei vini atti a divenire Derthona e, ancor più, dei Barbera (Monleale incluso), altro vitigno principe della zona che tornerà su percentuali d’alcol in volume più moderate, dopo l’abbondanza delle annate precedenti.
Le maggiori difficoltà dell’annata 2024 riguardano i vigneti lavorati in regime biologico, con danni da peronospora che – in alcuni casi – vengono definiti «disastrosi» dai produttori alessandrini. La viticoltura biologica è molto diffusa all’interno della Doc Colli Tortonesi, al punto da assestarsi al 42% sul vitigno Timorasso (e dunque sui futuri vini Doc Derthona). La cifra del bio scende al 22-34% per il vitigno Barbera, la cui quota maggiore del vigneto è detenuta dalle cooperative.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Il Miglior spumante Metodo italiano 2024 è il Valdobbiadene Docg Extra Dry Rive di Soligo 2022 Mas De Fer di Andreola. Il punteggio assegnato in occasione delle degustazioni alla cieca della Guida Top 100 Migliori vini italiani 2024 (acquistabile a questo link) è di 96/100. Ci piace definire Mas de Fer è “IL” Prosecco, utilizzando il maiuscolo. Un Extra Dry, ovvero la versione più nota al mondo delle bollicine veneto-friulane, che nobilita territorio e dosaggio, suolo e savoir-faire dei produttori delle colline eroiche di Valdobbiadene. Uno spumante coraggioso, che Andreola propone sul mercato a un invidiabilissimo rapporto qualità prezzo: il migliore dell’intera gamma (piuttosto ampia e variegata, ma tutta validissima e credibile nelle specificità di ogni etichetta).
MAS DE FER DI ANDREAOLA, IL MIGLIOR PROSECCO ITALIANO
Il naso è una coccola, su ricordi di frutta matura come albicocca, mela gialla, pera Williams. Sottofondo leggero di erbe officiali e aromatiche, con reminiscenze di salvia, timo e maggiorana. Il sorso del Valdobbiadene Docg Extra Dry Rive Di Soligo 2022 Mas De Fer di Andreola è un inno all’equilibrio tra “dolcezza” del frutto e freschezza. Tutta la frutta avvertita al naso si ripresenta in cravatta all’appuntamento col gusto, mentre freschezza e mineralità giocano a regolare il volume del microfono, sul palco. Immagine forte, lontana dal mondo del vino e assimilabile a quello dello spettacolo. Perché questo Prosecco Superiore di Valdobbiadene è spettacolo. Puro. Scopritelo da voi. In vendita a poco meno di 15 euro sul sito aziendale di Andreola, il Miglior spumante Metodo italiano per la Guida Top 100 Migliori vini italiani di winemag.it è ottenuto da sole uve Glera.
IL VIGNETO DI MAS DE FER E LA TECNICA DI VINIFICAZIONE
Le vigne si trova fra i 300 e i 500 metri di altitudine ed è allevato con il sistema Cappuccina modificato, con un densità di impianto di 3.500 ceppi per ettaro e una resa di 130 quintali per ettaro. La vinificazione avviene in maniera tradizionale, secondo il Metodo italiano (Charmat) che contraddistingue il Prosecco Superiore di Valdobbiadene Docg. Pressatura soffice, dunque, fermentazione primaria con flottazione e fermentazione a temperatura controllata. L’affinamento di Mas De Fer di Andreola si protrae in vasche di acciaio per almeno 6 mesi, con presa si spuma per 30-40 giorni e successiva bottiglia per 1-3 mesi, prima della commercializzazione. Grado alcolico molto contenuto (11,5% vol.) e residuo zuccherino di 14 grammi per litro.
Andreola di Stefano Pola Via Cavre, 19 – Col San Martino (TV) Tel. 0438 989379 – 0438 989635 info@andreola.eu www.andreola.eu
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
La sete di spumante italiano di qualità nel mondo e un approccio sempre più export oriented delle “maison” del Belpaese sta costringendo i buyer della grande distribuzione nazionale a cercare nuove referenze da proporre ai clienti. In particolare è il recente exploit nell’export di Franciacorta e Trento Doc a costringere i compratori delle insegne a guardare altrove. Per far fronte alla ripercussioni interne, che in alcuni casi si traducono in mancanza di disponibilità di prodotto.
Fari puntati, dunque, sulle nuove frontiere della spumantistica italiana. In testa il Piemonte dell’Alta Langa. Ma a beneficiare del crack delle disponibilità delle bollicine trentine e bresciane potrebbero essere anche la Sicilia dell’Etna Doc e l’Oltrepò pavese del Pinot Nero Docg.
La caccia ai nuovi sparkling, Metodo tradizionale o Martinotti (Charmat), potrebbe premiare anche la Puglia e la Campania della Falanghina, le Marche della Passerina, il Friuli Venezia Giulia della Ribolla Gialla (quest’ultima a caccia disperata di premiumizzazione, dopo il fallimento della proposta di modifica al disciplinare). Senza dimenticare l’Alto Adige delle cuvée da Pinot Nero, Chardonnay e Pinot Bianco, già ben rodato sulla tipologia.
È quanto emerge da alcune interviste di winemag.it a Marca by BolognaFiere, kermesse incentrata sulla Mdd conclusasi ieri pomeriggio a Bologna. Colloqui che danno ancora più senso ad altre informazioni raccolte sul campo, proprio nei territori che potrebbero finire nel mirino dei buyer della grande distribuzione.
ETNA DOC E ALTA LANGA: GLI INVESTIMENTI DI PICCINI E MGM MONDODELVINO
In Sicilia, Piccini 1882 sta preparando l’esordio sul mercato del suo primo spumante Metodo classico Etna Doc. Si tratta di 18 mila bottiglie totali, con 3 annate (2018, 2019 e 20202) a riposare nelle cantine della Tenuta Torre Mora.
Il lancio dovrebbe avvenire a inizio 2023, nel solo segmento Horeca. Ma chi conosce il visionario patron Mario Piccini sa che questo potrebbe essere solo l’inizio di un’avventura nella spumantistica etnea, che potrebbe sfociare in altre referenze, destinate alla Gdo.
Non è una supposizione ma una certezza, invece, l’investimento continuo di Mgm – Mondo del vino Spa nel mondo degli spumanti italiani “alternativi”, in particolare nell’Alta Langa. Il gruppo di Priocca (CN) può contare dal 2011 di una cantina interamente dedicata alla produzione di spumanti Metodo classico, Cuvage ad Acqui Terme (AL).
Il successo delle bollicine langhirole di Mondodelvino, tutte base Nebbiolo e Cortese, porta a pensare che la Gdo possa attingere a piene mani dalle etichette della holding acquisita da Clessidra Private Equity nell’aprile 2021.
Il tutto mentre un altro spumante varietale è pronto a fare il suo esordio sul mercato, nel solco della linea Asio Otus di Mgm. Il biglietto da visita? Una conturbante bottiglia “piumata” – il vetro è intagliato in modo tale da ricordare le piume del gufo, simbolo della gamma di «vini enigmatici» della famiglia Martini – che saprà catturare l’attenzione sugli scaffali delle insegne dei supermercati.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Il Prosecco Doc Rosé vale già il 10% di tutto il Prosecco Doc. Una percentuale che sale al 50% di tutto lo Charmat rosé italiano. A rivelarlo è Mirko Baggio, esponente di Federvini e Responsabile Vendite Gdo Italia di Villa Sandi Spa. Dati snocciolati durante l’incontro odierno di Vinitaly sul vino nella Grande distribuzione organizzata.
«Dopo un anno di crescita importante – ha dichiarato Baggio – registrare un ulteriore aumento, vicino al 60%, è sicuramente un aspetto che colpisce molto. Ormai il Prosecco Doc è una referenza che vale più del 50% di tutti gli spumanti Charmat a scaffale».
A contribuire all’exploit, proprio la nuova tipologia varata dal Consorzio di Tutela. «La crescita nei primi 4 mesi del 2021 – ha sottolineato Mirko Baggio – è stata aiutata proprio dalla novità del Prosecco Doc Rosé. Ha iniziato l’anno molto bene e sta facendo numeri interessanti. Di fatto, oggi vale il 10% di tutto il Prosecco Doc, a livello di consumi. E più del 50% dello Charmat rosé».
Sempre secondo Baggio, Il Prosecco Rosé «ha aiutato la crescita di tutto il comparto del Prosecco e degli spumanti». Un po’ come il Prosecco Doc, l’exploit degli spumanti rosé – e dei rosé italiani, in generale – non è mai stata così tangibile.
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(3,5 / 5) Inclinare la bottiglia verso il basso, roteare il fondo per favorire la sospensione dei lieviti , stappare e degustare. Queste le istruzioni per assaporare al meglio lo spumante extra dry non filtrato Crudoo di Giorgi Wines, oggi sotto la nostra lente di ingrandimento.
Bollicina davvero particolare che nasce da un procedimento brevettato che si ispira alle birre crude. Da qui il nome “Crudoo”.
Una intuizione fortunata della cantina nel 2011, anni in cui i vini naturali, col fondo non erano alla ribalta e tantomeno destinati ad un ampio pubblico.
Un vino “naturista” col Rolex, non improvvisato e realizzato con l’ausilio della tecnologia moderna. Meno “steinerista” ma decisamente commerciale e con una storia da raccontare.
LA DEGUSTAZIONE Lo Spumante Extra Dry Crudoo di Giorgi si presenta nel calice di colore bianco carta leggermente velato. Il perlage è poco fitto ma mediamente fine e di buona persistenza.
Naso molto fruttato di mela cotogna e banana matura. Accenni di maggiorana ma anche un sentore di lieviti molto forte, al limite del formaggio, tipo camembert. In linea con la tecnica di produzione.
Ma è al palato che lo spumante Crudoo di Giorgi dà il meglio di sé, risultando cremoso e godibile. Sorso burroso con ritorni di banana e sensazioni di noci brasiliane.
Il dosaggio zuccherino armonizza il tutto e la beva prende un ritmo “sincopato” che può incontrare il favore di molti, anche dei meno addetti ai lavori. Aperitivo fuori dall’ordinario, si presta anche a tutto pasto.
LA VINIFICAZIONE
Prodotto con uve Pinot Nero e Chardonnay allevate a Guyot su terreni calcare argillosi esposti a sud, sud est. Vendemmia manuale in cassette. Dopo la pressatura soffice e la fermentazione il vino sosta in autoclave per 12 mesi sui lieviti e viene imbottigliato senza filtrazione.
Giorgi Wines si trova a Canneto Pavese e dispone di circa sessanta ettari vitati. Dalla lunga tradizione vinicola produce una ampia gamma di vini, rossi, bianchi e spumanti oltre alla linea di Gerry Scotti.
Prezzo pieno: 8,90 euro
Acquistato presso: Famila/Carrefour
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(5 / 5) “Bollicina” italiana davvero gustosa, che stupisce per finezza e freschezza. Sotto la lente di Vinialsuper è la volta della Ribolla Gialla Spumante Brut prodotta da Dario Coos nei Colli Orientali del Friuli.
LA DEGUSTAZIONE La Ribolla Gialla Spumante Brut di Dario Coos si presenta nel calice giallo paglierino con riflessi verdolini. Un piacere osservare le sue catenelle fini, stuzzicanti e persistenti.
Al naso regala immediatamente sensazioni fresche, fiori, frutta a polpa bianca come la pesca e scorzette di agrumi. Al palato il sorso è ricco, “grasso” quanto basta e scorre piacevolmente sulla scia di agrumi ben bilanciati dal dosaggio.
Leggera in alcolicità ha una beva che è un crescendo di piacevolezza. Adatta all’aperitivo, ad antipasti o secondi a base di pesce la Ribolla Gialla Spumante di Dario Coos è come un capo d’abbigliamento total black sta bene con tutto (o quasi).
Must have per gli amanti della Ribolla e non solo. Unico nodo quello del prezzo: molti si chiederanno se vale la pena di spendere 14,90 euro per uno spumante base Ribolla, vitigno non certo nell’Olimpo degli sparkling italiani. La risposta, senza dubbio alcuno, è che questo Brut di Coos vale (tutto) il costo del “biglietto”.
LA VINIFICAZIONE Prodotta con uve 100% ribolla vendemmiate a mano nella prima settimana di settembre e spumantizzata in autoclave secondo il metodo charmat. Rifermentazione a partire da mosto molto prolungata, oltre i sei mesi, malolattica non svolta.
Dario Coos si trova a Nimis, in provincia di Udine, nella zona dei Colli Orientali del Friuli. Dispone di 14 ettari vitati sui quali alleva i vitigni rossi e bianchi tipici del territorio per una produzione complessiva di 70.000 bottiglie.
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Uno spumante brut da uve Timorasso in purezza proveniente dalle Terre di Libarna, sottozona dei Colli Tortonesi che merita di essere conosciuta e apprezzata: “Lüsarein” 2018 dell’Azienda Agricola Ezio Poggio.
LA DEGUSTAZIONE
Perlage non finissimo ma molto persistente che esalta il colore, dorato e brillante, nel calice. Intenso nei profumi, più di quanto ci si aspetti. Il naso apre su note agrumate, scorza d’arancia e cedro, cui seguono delicate note erbacee ed un tocco minerale che dona verve all’intero spettro olfattivo.
In bocca la freschezza di Lüsarein è viva. L’ottima acidità supporta il sorso ed in principio quasi nasconde la viva sapidità di questo vino spumante. Una nota leggermente amaricante la chiusura, nella buona persistenza. Una bollicina agile e versatile, godibile dall’aperitivo fino ai piatti di pesce, senza tralasciare i primi piatti.
LA VINIFICAZIONE
Timorasso in purezza, l’uva regina in questo areale. Esposizione Sud, Sud-Ovest per dei vigneti che qui “sentono il mare, ma ancor più la montagna” con delle condizioni microclimatiche ideali per produrre spumanti e vini longevi.
Raccolta manuale, pressatura soffice, fermentazione e un anno di affinamento in acciaio a temperatura controllata con permanenza sulle fecce fini e batonnage programmati. Lüsarein è un Metodo Martinotti lungo: sei mesi in autoclave per la presa di spuma.
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CALDARO – I ritocchi in vista della grande festa, come s’addice a una premurosa Dama d’inizio Novecento, sono iniziati ben prima della data fatidica. Tanto che ieri pomeriggio, Kettmeir, si è presentata con l’abito lungo e la “casa” tirata a lucido alle celebrazioni dei suoi primi 100 anni di storia, a Caldaro (BZ).
Un secolo di vita per la cantina fondata nel 1919 da Giuseppe Kettmeir, che produce spumanti dal 1964. Pionieri delle “bollicine” in Alto Adige, insomma. Prima col Metodo italiano (Martinotti). Poi, dal 1992, anche con il Metodo classico (Champenoise), all’insegna di un’etichetta divenuta emblema degli sparkling altoatesini: l’Athesis Brut.
Quanto sia stata azzeccata la scelta compiuta nel 1986 da Franco Kettmeir, che ha individuato in Santa Margherita Gruppo Vinicolo “l’erede ideale per l’impresa di famiglia”, è parso chiaro ieri alle celebrazioni del centenario.
Gli investimenti ricamati attorno al gioiellino altoatesino dal colosso di Fossalta di Portogruaro (VE) – ben 242 milioni di euro spesi nelle dieci tenute sparse per l’Italia nel periodo 2005-2019 – hanno consentito a Kettmeir di dotarsi, negli ultimi anni, di strumentazioni all’avanguardia assoluta.
Dalle presse alle decine di serbatoi di acciaio utili alle micro vinificazioni, passando per l’impianto geotermico che ha abbattuto a un decimo i costi (e le emissioni) di una cantina divenuta sempre più green e attenta alla qualità assoluta.
Strumenti utilissimi nelle mani dell’enologo Josef Romen. Uno con le idee chiare sul senso del proprio lavoro: “Si parla tanto di territorio, e allora noi vogliamo che si senta da quando si mette il naso nel bicchiere. Chi beve Kettmeir deve pensare: ecco l’Alto Adige”.
Un puzzle di 60 ettari, che sarebbe meglio definire microcosmo. La cantina, di fatto, possiede un solo ettaro, interamente allevato a Moscato Rosa. La parte del leone spetta ai 40 soci viticoltori. Sessanta ettari complessivi, estremamente frazionati. Si va dai 326 metri quadrati ai 5 ettari, dislocate in diverse zone vocate.
Maso Reiner, sulla sinistra-Adige, a pochi chilometri dal confine con la provincia di Trento, poggia su un terreno calcareo che è ideale per la coltivazione di Pinot Nero e Chardonnay. Riceve il sole dalla tarda mattinata ed è protetto dalle correnti più fredde grazie alle montagne sovrastanti.
Maso Ebnicher, più a nord, guarda il massiccio del Catinaccio e domina la città di Bolzano. Il terreno qui è sabbioso, d’alta collina, caratterizzato da un’elevata pendenza. Un luogo dove la coltivazione può davvero considerarsi eroica, ma dove cresce il miglior Müller Thurgau di Kettmeir.
Grande rilevanza, specie nella produzione dello spumante Alto Adige Doc, anche al Pinot Bianco. La rinascita di della tradizione spumantistica regionale si deve proprio alla presentazione, del primo sparkling sudtirolese del Dopoguerra, avvenuta nel 1965 alla Fiera del Vino di Bolzano: la “Grande Cuvée” di Pinot Bianco.
Uno Charmat lungo – tuttora in produzione – che costituisce una buona fetta delle 420 mila bottiglie complessive prodotte annualmente da Kettmeir. Ben 85 mila bottiglie sono di Metodo classico, su un totale di circa 350 mila prodotte in Alto Adige. Una parte rilevante, dunque, nell’ambito di quella che resta ancora una nicchia.
Non a caso Gaetano Marzotto, presidente del Gruppo Vinicolo Santa Margherita (vendite per 177 milioni di euro nel 2018), ha definito in occasione del suo discorso per i 100 anni di Kettmeir “un gioiello”. “Un brand che può contare su una forte caratterizzazione e uno stile inconfondibile”, ha aggiunto l’amministratore delegato Ettore Nicoletto.
LA CENA DI GALA: STELLE IN CUCINA
Per celebrare i primi 100 anni di storia, Kettmeir ha pensato in grande. Una cena stellata “a quattro mani”, curata con maestria dagli chef Anna Matscher (“Zum Löwen” di Tesimo) e Claudio Melis (ristorante “In Viaggio” di Bolzano).
Antipasto – Claudio Melis: “Sangue di Rapa” (Rapa rossa affumicata, Kefir, Crescioni) Un piatto “di terra e territoriale”, rivisitato in chiave estremamente moderna e abbinato al Lago di Caldaro Classico Doc 2017 Kettmeir.
Primo piatto – Anna Matscher: “Risotto ai tre pomodori gialli” Giallo come l’Alto Adige Doc Chardonnay “Vigna Maso Reiner” 2017 Kettmeir in abbinamento, ancora un po’ troppo condizionato dal legno e degno, a maggior ragione, di piatti ancora più strutturati (secondi a base di carne).
Secondo piatto – Claudio Melis: “Maialino Cinturello Orvietano – New York, Tokyo, Sardegna” Maialino Cinturello Orvietano, selezione Alfredo Angeli e cinta senese in purezza. Poi, a parte, alcuni ricordi di viaggio dello chef, che delizia con la testina salmistrata di maialino impanata e fritta, servita con maionese e senape.
In abbinamento l’Alto Adige Doc “1919” Riserva Extra Brut 2013, la “novità” del 2019 Kettmeir: il vino del centenario non poteva che essere un Metodo classico. Siamo all’apice della qualità degli spumanti della casa di Caldaro, che con questa etichetta mette nel calice due delle grandi caratteristiche dell’enologia altoatesina: potenza e finezza.
Dessert – Anna Matscher: “Zuppetta alle erbe aromatiche, sorbetto al basilico rosso e all’ananas
Chiusura deliziosa e all’insegna della freschezza per la cena celebrativa dei 100 anni di Kettmeir. Dal piatto si liberano intensi i profumi di mentuccia e delle altre erbe della montagna altoatesina.
Un po’ come stare in un prato, ovviamente con un ottimo calice di vino. In questo caso l’Alto Adige Doc Moscato Rosa 2018 “Athesis” Kettmeir, prelevato da vasca ma già in grado di mostrare tratti dell’equilibrio che sarà, tra potenza, dolcezza e freschezza.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
AGRIGENTO – Si è conclusa il 1 Luglio la quinta edizione di “Sicilia in bolle”, manifestazione organizzata da Ais Agrigento in collaborazione con Ais Sicilia. All’evento, che ha acceso nuovamente i riflettori sul mondo della spumantistica siciliana, hanno partecipato quarantadue aziende con oltre cento etichette in degustazione offerte ai mille visitatori registrati nei due giorni della kermesse. Un record assoluto.
Un trend di presenze in continua ascesa a conferma dell’interesse crescente da parte di appassionati ma anche degli operatori settore. Ospite d’onore, per il secondo anno consecutivo, l’Istituto Trento Doc presente ai banchi d’assaggio con circa 50 etichette e protagonista della masterclass focus sul millesimo 2010 guidata da Roberto Anesi, miglior sommelier d’Italia Ais del 2017.
Una piacevole contaminazione di spumanti provenienti da diversi territori, quella di “Sicilia in bolle”, tra Metodo classico di montagna, spumanti locali charmat e Champenoise prodotti con vitigni internazionali ed autoctoni.
Un territorio emergente nel campo della spumantistica, come la Sicilia, a confronto con una certezza assoluta: il Trento Doc. Ma secondo Sabrina Schench, direttrice dell’Istituto Trento Doc, la Sicilia è una regione interessante, con bottiglie già di spessore che riescono ad esprimere una propria originalità ed un tratto distintivo.
“Le bollicine siciliane sono in grande fermento – conferma il sommerlier Roberto Anesi – c’è grande voglia di sperimentazione, fondamentale per accrescere le conoscenze e poter puntare a raggiungere risultati di vertice. Ho potuto assaggiare dei prodotti molto interessanti. Altri devono ancora trovare la loro identità ma di certo non manca la passione e l’impegno, caratteristiche fondamentali per raggiungere obiettivi importanti”.
Grande soddisfazione è stata espressa dalla delegazione Ais Agrigento per la riuscita di Sicilia in Bolle 2019. “Siamo felici – dichiara Francesco Baldacchino – di aver potuto offrire ai tanti appassionati del mondo del vino, e di bollicine nello specifico, un’occasione in cui poter conoscere nuove realtà, approfondirne altre, confrontarsi e arricchirsi”.
“Credo che il successo di Sicilia in Bolle – sottolinea Camillo Privitera, presidente Ais Sicilia – sia proprio quello di riuscire ad includere elementi di novità e qualità che accrescano l’attenzione e anche l’interesse verso questa segmento enologico, che in Sicilia sta vivendo un momento di grande crescita e maggiore consapevolezza”.
“Ci sembra doveroso pertanto, anche per dare il giusto riconoscimento a tutte quelle realtà che stanno investendo sulla realizzazione di bollicine siciliane, rendere ancora più alto il livello e innalzare sempre più l’asticella verso l’eccellenza”, conclude Privitera.
QUATTRO MASTERCLASS
Molto partecipate le masterclass svolte tra il pomeriggio del 30 Giugno e la mattina del 1° Luglio nella sala ricevimenti Madison di Realmonte. Il via alle degustazioni si è dato con i 30 anni del Metodo Classico dell’azienda Murgo: una speciale verticale con annate storiche dell’azienda.
Interessanti anche gli spunti offerti dalla masterclass incentrata su sei diversi territori da Metodo Classico siciliano con la degustazione degli spumanti delle aziende Milazzo, Donnafugata, Cusumano, Tasca d’Almerita, Avide e Terrazze dell’Etna.
Le restanti masterclass hanno aperto gli orizzonti oltre la Sicilia e anche oltre i confini nazionali con Roberto Anesi, che è riuscito a catalizzare l’attenzione del pubblico presente attraverso una degustazione di otto diverse etichette trentine realizzate da cantine dell’Istituto Trentodoc, e con il Presidente AIS Sicilia Camillo Privitera che lunedì mattina ha chiuso il ciclo masterclass Sicilia in Bolle 2019 con una speciale degustazione di sei tipologie di Champagne.
PREMIAZIONE ALBERTO GINO GRILLO Nella suggestiva location del ristorante Re di Girgenti, sito sulla strada panoramica dei Templi, la sera del 30 Maggio è stato assegnato il Premio Alberto Gino Grillo, nato in questa edizione in ricordo di un sommelier prematuramente scomparso che, insieme a Francesco Baldacchino, è stato fautore e ideatore della manifestazione.
Ad aggiudicarsi la prima edizione del Premio Alberto Gino Grillo sono state l’azienda Funaro con il suo Extra Brut 2013 come miglior Metodo Classico bianco di Sicilia, l’Azienda Murgo con l’Extra Brut Rosé 2013 come miglior Metodo Classico rosé di Sicilia e Laura Piscopo come Miglior Neo Sommelier Delegazione AIS Agrigento. A premiare i vincitori il figlio di Alberto Gino Grillo, Alfonso Grillo.
Ad accompagnarle gli spumanti le portate gourmet frutto di studio, attenzione alla materia prima e alla valorizzazione del territorio della Terrazza degli Dei dell’Hotel 5 Stelle Villa Athena. Merito dello chef resident Nino Ferreri insieme allo chef Alessandro Ravanà del ristorante Il Salmoriglio di Porto Empedocle, che hanno dato vita ad un pranzo speciale a quattro mani.
Calato il sipario sulla quinta edizione, Ais Agrigento e Ais Sicilia, grazie anche al sostegno della presidenza nazionale dell’Associazione Italiana Sommelier, sono già proiettate verso l’edizione 2020: “Quello che ci auguriamo – dichiarano i Delegati Ais locali – e che in parte è già successo è che Sicilia in Bolle possa diventare in maniera ancora più strutturata, un vero e proprio punto di riferimento di rilievo nazionale: questa sarà la nostra scommessa, e anche la nostra ambizione, nell’approcciarci alla nuova edizione”.
I MIGLIORI ASSAGGI A “SICILIA IN BOLLE “2019
Vino Spumante Brut, “Spumante 50°” – CVA Canicattì
La cooperativa di Canicattì celebra i suoi cinquant’anni con un’intrigante metodo Charmat prodotto con l’ 80% di Grillo e il 20 % di Catarratto. 60 giorni in autoclave e 2 mesi di affinamento in bottiglia per questo spumante, il primo assoluto dell’azienda lanciato in occasione dell’ultimo Vinitaly.
Lo “Spumante 50° è un vino fresco ed elegante. Le note tropicali e agrumate percepite al naso si riconfermano all’assaggio in bocca. Un aperitivo ideale per l’estate appena iniziata.
Metodo Classico Pas Dosè 2015, Cantine Fina
36 mesi sui lieviti per questa novità dell’azienda marsalese fatta con il 70% di Chardonnay ed il 30 % di Pinot Nero. Giallo paglierino nel calice ha un perlage fine e persistente. All’olfatto risaltano lieviti e crosta di pane accompagnati da leggere note di mela e fiori bianchi. Fresco e piacevole in bocca è ideale in abbinamento ai crostacei.
Trento Dosaggio Zero DOC Talento Metodo Classico – Letrari
Dosaggio zero per questo spumante di una delle cantine più antiche del Trento Doc ottenuto da una cuvèe di Chardonnay e Pinot Nero con permanenza sui lieviti di almeno 24 mesi. Di colore giallo paglierino brillante ravviva il calice di un perlage fine e persistente.
Al naso delicati sentori di mela e crosta di pane. Buona acidità, sicuramente tra le più belle espressioni di questa meravigliosa terra di bollicine in trasferta in Sicilia.
Spumante Metodo Classico Brut Rosé 2017 – Murgo
A Sicilia in bolle hanno festeggiato i 30 anni di bollicine con una masterclass “Etna, 30 anni del Metodo Classico dell’azienda Scammacca del Murgo”. Il loro nerello mascalese vinificato rosè, profuma di ciliegia dell’Etna, lampone e nocciola. In bocca spicca il melograno che accompagna con una bella freschezza naturale in chiusura. Di estrema godibilità.
Vino Spumante Rosé Sicilia, Brut Rosé Metodo Classico 2014, Donnafugata
Prodotto nelle tenute di Contessa Entellina a 500 m sul livello del mare è un metodo classico, sboccatura 2018, da uve Pinot Nero. Di colore rosa antico e brillante ha un perlage fine e persistente. Ricco ed elegante il bouquet che sprigiona delicati sentori di fragoline, ciliegie e lamponi. Buona la struttura anche al palato e perfetto l’equilibrio.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
SELVA – Cambiar nome, (ri)partire da zero, o quasi. E pensare che il mercato stia aspettando proprio te e il tuo (risicato) milioncino di bottiglie. La tavola rotonda “Durello: utopia o la nuova frontiera?” organizzata dall’Azienda agricola Dal Maso di Selva (VI), voleva essere un momento di riflessione sulle prospettive della Denominazione veneta, che di recente ha deciso di dare un nuovo nome agli spumanti Metodo Classico: Monti Lessini.
Un incontro riservato a stampa tecnica e operatori della ristorazione, che si è invece trasformato nel consueto sfoggio elitario di una buona parte dei rappresentanti della critica enogastronomica.
Scatta addirittura l’applauso quando Nicola Dal Maso (nella foto sotto) annuncia che “non produrrà più la versione Martinotti-Charmat del Durello”, per promuovere esclusivamente il Metodo classico “Monti Lessini”. Manco avesse rinunciato al Napalm in vigna, per combattere l’Oidio.
Una versione – tra l’altro – poi corretta dallo stesso produttore ai microfoni di WineMag: “Punteremo tutto sul Durello Metodo classico con la prima Riserva Pas Dosé 2015, in uscita a maggio. Ma in futuro, quando il parco vigneti sarà più ampio, ricominceremo a produrre anche il Durello Charmat”. Game. Set. Match.
Per qualcuno, in particolare per la stampa locale, il Consorzio dovrebbe dimenticarsi della versione Martinotti e virare esclusivamente sul Metodo Classico. Raddoppiando (come per magia, puff!) la produzione di Champenoise (a proposito: da quando la stampa fa i conti con i portafogli dei produttori?) o portandola addirittura a un sostanziale pareggio con la versione Martinotti. Fifty-fifty.
Oggi, invece, i 400 ettari vitati su terreno collinare, garantiscono alle 34 aziende del Consorzio una produzione di circa 1 milione di bottiglie, il 30% delle quali sono Metodo classico. Una cifra in lievitazione, anno dopo anno, ma che non basta a tener botta nei confronti delle grandi Denominazioni della spumantistica, a livello nazionale. Figurarsi nel marasma di bollicine globali.
PARLANO I NUMERI
Proprio per questo dimenticarsi dello Charmat sarebbe un vero e proprio autogol. E a confermarlo sono i numeri snocciolati dal presidente del Consorzio di Tutela, Alberto Marchisio, direttore di ViteVis Cantine. Mille soci, 38 milioni di euro di fatturato, è seconda solo a Cantina di Soave per ettari vitati di Durella (circa 130, in crescita) e numero di bottiglie di Durello prodotte (300 mila).
“Siamo l’azienda della zona che più ha creduto nel Lessini Durello Charmat – commenta Marchisio – e oggi possiamo dire che il cliente lo viene a cercare proprio per la sua precisa identità. Viene letto come uno spumante ottenuto da una buona uva, originale e caratterizzante della zona di produzione”.
“Una bollicina perfetta a tutto pasto – continua Marchisio – che ben si abbina alle abitudini culinarie del territorio. I numeri stanno crescendo, così come la consapevolezza dei consumatori. Del resto, chi cerca uno spumante generico si indirizza ormai senza esitazioni sul Prosecco”.
Ma anche la cooperativa ViteVis produce un Metodo classico da uve Durella. “Negli ultimi due, tre anni – commenta Alberto Marchisio – le vendite sono triplicate per questa tipologia, raggiungendo le 7 mila unità. Si acquista a 9,90 euro in cantina e lo si trova a 18-22 euro al ristorante, a differenza dello Charmat, che nei supermercati è reperibile a circa 5 euro”.
Il cammino da percorrere, secondo Marchisio, è tracciato: “La vera sfida della Denominazione, secondo me, non è eliminare il Durello Charmat, ma fare in modo che il suo prezzo si alzi a scaffale, pian piano, di 60-70 centesimi. Allora sì che potremo dire di avere fatto centro, anche nel nome della versione Metodo Classico, che a sua volta godrebbe di un incremento”.
“Del resto – chiosa il direttore della cooperativa – lo dico sempre: il nostro compito è quello di produrre vino per il consumo dal lunedì al venerdì. Per il sabato la domenica è giusto che i consumatori puntino a produzioni artigianali, di piccoli produttori. Ma non per questo i vini ‘base’ non devono essere perfetti, esprimendo tipicità dell’uva e del territorio, come nel caso del nostro Charmat. Il vino quotidiano non è banale”.
Chi acquista, invece, il Metodo Classico Monti Lessini? “Lo stesso consumatore che compra il Lessini Durello Charmat – risponde un determinato Marchisio – e non solo in Italia. Abbiamo un importatore scandinavo che da un ordine di 20 mila bottiglie di Charmat, è passato al Metodo classico, proponendo le due etichette una accanto all’altra, raccontandole a dovere per le loro diverse peculiarità”.
Il Durello Martinotti di ViteVis, di fatto, è un prodotto che stacca – qualitativamente – la media espressa dalle etichette di Prosecco presenti in Gdo. L’uva è riconoscibile, con la sua caratteristica acidità e durezza.
CHARMAT NON FA FIGO, “COL FONDO” (FORSE) SÌ Nella rincorsa alla spumantizzazione cui si sta assistendo in tutta Italia, il Durello Charmat è la bollicina più sensata, tipica e capace di rappresentare il vitigno nel calice, senza le storpiature e gli impersonali scimmiottamenti del Prosecco (mai assaggiato, per esempio, qualche Passerina o Negroamaro vinificato in bianco? Meglio per voi, nel 95% dei casi).
Eppure non fa figo. Non accontenta gli elitari palati di mezza stampa tecnica (specie locale), evidentemente dotata di portafogli più gonfio della media degli italiani che fanno la spesa al supermercato, nel fine settimana.
Il dubbio è che se si trattasse di “rifermentati in bottiglia” o di un torbido “Durello col fondo” – più “radical” e più “chic” dei bistrattati “Charmat” degni del consumatore sfigato della Gdo – tutti (stampa compresa) ne berrebbero e godrebbero amabilmente, consigliandola urbi et orbi. Con buona pace del Metodo Classico e dei Monti Lessini. Cin, Cin.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
EDITORIALE – “Cià, dai, cosa prendiamo? Prosecchino per tutti?”. Mano alla calcolatrice. Quante volte avete sentito questa domanda al bar, al ristorante o in osteria?
Ogni volta il dubbio amletico che al posto del Prosecco (quello vero) non arrivi una Ribolla Gialla, un Pinot Nero vinificato in bianco, o addirittura un Negroamaro ottenuto col Metodo Martinotti (Charmat), lo stesso delle “bollicine” veneto-friulane.
Sarò anche scemo, ma ci ho messo un po’ a capire qual è (forse) il motivo della confusione dei consumatori che considerano “Prosecco” sinonimo di “Spumante”: troppi Charmat italiani sono uguali tra loro, indipendentemente dalle uve con le quali sono prodotti e dai territori dai quali provengono.
Spumanti tristi. Senza personalità. Standardizzati sullo zucchero, o meglio su un “dosaggio” (l’Extra Dry, proprio come il “vero” Prosecco) che ammazza il varietale nel nome della facilità di… vendita.
Il punto è che non lo consiglia il dottore di produrre spumante. Ma le logiche del mercato, si sa, si giocano tutte sulla domanda e sull’offerta. C’è chi deve arrivare a fine mese con la propria cantina.
LA BEFFA E L’ECCEZIONE Come tutte le storie tristi, anche questa ha il suo paradosso: il Prosecco autentico, ottenuto da Glera in perfetto stato fitosanitario, magari da vigne vecchie e poco produttive – insomma, il Prosecco senza trucchi e senza inganni – spesso non viene più riconosciuto.
Un problema che non riguarda solo i consumatori, ma anche (e soprattutto) i ristoratori meno attenti. Anche in Veneto e in Friuli. Ci è capitato più volte di incontrare produttori di Glera che preferiscono etichettare come Igt il loro vino, al posto della Doc: “Tanto i ristoratori a cui la propongo mi dicono che non è Prosecco, perché non è dolce”. Game. Set. Match.
Peccato che così perdono un po’ tutti. Tranne una: la Franciacorta, divenuta sinonimo di “Metodo Classico” e di “Champagne”. In parte a buona “ragione”. La Doc bresciana è quella che si mostra più compatta in tutti i contesti, nazionali e internazionali. Anche a costo di sembrare sgarbata e presuntuosa.
Come al recente concorso dedicato agli spumanti italiani andato in scena in Abruzzo (Spumantitalia), dove non ha figurato neppure un’etichetta di Franciacorta. Una scelta degna del Marchese del Grillo. Quando all’estero si parla di spumanti di qualità, è proprio in Franciacorta che va il pensiero. Ubi maior, Prosecco cessat.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Si chiama Le Morette Cépage Rosé, Bardolino Chiaretto Spumante Brut ed è stato prodotto in edizione limitata di 7 mila bottiglie, in vendita a un prezzo di 10 euro circa in enoteca. Così, il Chiaretto Le Morette raddoppia.
Arriva sul mercato Cépage Rosé, prodotto dalle uve selezionate nei vigneti di Lazise: una seconda versione rosé che affianca il Bardolino Chiaretto Classico DOC, vino che fa parte della collezione da diversi anni e sta incontrando sempre più interesse in tutto il mondo, in particolare negli Stati Uniti.
L’azienda di Fabio e Paolo Zenato, nota soprattutto per i suoi Lugana e l’attività vivaistica, punta così ancora una volta sulle bollicine. Il nuovo spumante rosé affianca due bollicine a base di uve Turbiana, lo charmat Cépage Bianco e il Metodo Classico Brut presentato all’ultimo Vinitaly.
“C’è grande richiesta di bollicine rosa nel mondo – afferma Fabio Zenato – e questo vino è il risultato di una lunga ricerca che mira ad esprimere le potenzialità del nostro territorio, un’interazione di vite, terroir e microclima del lago”.
“Abbiamo evitato le scorciatoie a cui molti sono tentati – continua il produttore – Cépage Rosé è un vino in linea con la nostra filosofia, profondamente legato alla nostra identità e che valorizza le qualità dei vitigni autoctoni Corvina, Rondinella e Molinara”.
La vendemmia si esegue nella prima decade di settembre, a seguito di una raccolta effettuata rigorosamente a mano, dopodiché le uve vengono vinificate insieme, con brevissima macerazione sulle bucce. Dopo la fermentazione segue un periodo di affinamento sui lieviti e la presa di spuma secondo il Metodo Charmat.
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E’ il motore rombante dell’economia siciliana. La nuova America del vino italiano. L’Etna, con i suoi vini fini, eleganti e longevi, è l’immagine più fulgida del rilancio enologico del Meridione, a suon di Nerello Mascalese. Il simbolo della riscossa di tante regioni del Sud Italia, spremute per decenni da grandi e piccole aziende del Nord.
Conquistadores a caccia di uve “da taglio” cariche di colore, d’alcol e struttura, con cui blendare bacche bianche e rosse altrimenti incapaci di dare vini di peso. Qualitativo e commerciale.
Un tesoro, l’Etna, che ha ormai abbracciato la sua indipendenza. Una terra che abbiamo visitato in lungo e in largo, entrando in nove cantine in cinque giorni di tour. Piccole e grandi aziende, che operano o meno all’interno della Gdo, nella filosofia del nostro “contenitore unico” di informazioni controcorrente.
Quel che emerge è che ciò che alla Sicilia è stato preso in passato, alla Sicilia sta tornando con gli “interessi”. I 903 ettari vitati della Doc (2,5 milioni di bottiglie complessive su 117 iscritti al Consorzio) danno vita a vini capaci di competere con i più vocati territori vitivinicoli internazionali.
Che la discesa di tanti imprenditori sull’Etna non sia frutto di pura filantropia, bensì di marketing e tentativi di diversificazione, è chiaro a tutti. L’Etna “tira”. Negli ultimi mesi, infatti, è in corso una vera e propria gara per accaparrarsi gli ultimi terreni a disposizione nel comprensorio della Denominazione. Prima che il prezzo lieviti ancora, rispetto ai 100 mila euro all’ettaro attuali.
NICOSIA: DA “CANTINE” A “TENUTE” Il caso emblematico è quello di Cantine Nicosia. Il gruppo di Trecastagni (CT), molto attivo nella Grande distribuzione organizzata grazie alle uve dei conferitori, diventerà presto uno dei maggiori player sul vulcano.
Trentatré gli ettari di recente acquisizione sul versante Nord dell’Etna, il più vocato per la produzione dei rossi base Nerello Mascaese e Cappuccio.
Vigneti che entreranno in produzione entro il 2022. Secondo indiscrezioni, è in programma anche la realizzazione di un polo di accoglienza enoturistica nella zona di Linguaglossa. Hospitality e Spa, nel segno delle migliori boutique winery.
Il disegno è chiaro. Con la creazione di un nuovo brand, denominato “Tenute Nicosia“, la cantina che per anni ha puntato sulla Gdo (con picchi di qualità come l’Etna Rosso della linea “Grandi Vigne” dell’insegna Iper, la grande I) punta a un restyling d’immagine. Nascerà una nuova linea “top di gamma” destinata soprattutto all’Horeca, da affiancare a quella attuale del versante Etna Est (dove tra l’altro si trova il sito produttivo).
Nicosia, di fatto, è solo l’ultimo colosso che si unisce alla caccia all’oro dell’Etna. Un “battaglione” a cui i vari Firriato, Planeta, Donnafugata e Tasca d’Almerita (solo per citarne alcuni) hanno aderito ormai da anni.
L’ETNA CHE CONQUISTA
Ma se la scelta iniziale è di tipo commerciale (così come lo è stata certamente per produttori illuminati come Andrea Franchetti di Passopisciaro e Marco De Grazia di Tenuta delle Terre Nere) è anche vero che dell’Etna finisci per innamorarti, per davvero.
E allora ecco che anche i vini dei colossi (o di chi ha investito sull’Etna in maniera lungimirante, riconoscendone il potenziale economico, oltre che vitivinicolo) hanno senso di entrare nell’Olimpo enologico mondiale. Con punte di qualità assoluta, accanto ai “vini veri” e “naturali” di chi sull’Etna è nato (vedi Enòtrio di Nunzio Puglisi, nella foto sotto con la figlia Desirée) o ci è arrivato dal Belgio (come Frank Cornelissen).
Necessari però dei distinguo. Tra i “big” meglio Planeta di Firriato per i vini fermi, che mostrano ottimi margini di invecchiamento (sorprendenti i bianchi). Ottimi i due sparkling prodotti a Cavanera da Firriato, superiori al Metodo Classico base Carricante ottenuto dai vigneti di Sciaranuova – Planeta.
Per le “bollicine” dell’Etna, riferimento assoluto tutto da scoprire è Antonino Destro. La sua Azienda vitivinicola, con l’appoggio dell’enologo Giovanni Rizzo, offre una gamma straordinaria di Metodo Classico sensati e territoriali, con al vertice un “60 mesi” sui lieviti (base Nerello Mascalese vinificato in bianco) degno di entrare nella top 10 italiana dei migliori champenoise sotto i 35 euro (prezzo di cantina).
Spumanti, questi, in grado di far dimenticare in un baleno Charmat base Catarratto come “Pros.it” di Cantine Patria, più consoni a giocarsela (al ribasso) col Veneto della Glera Extra Dry, perfetta per palati avvezzi al frizzantino da aperitivo.
Poco Etna e poco senso (se non commerciale) per vini come questo: scimmiottanti il campione italiano di vendite internazionali from Treviso, scevro da qualsiasi identità etnea.
Tra l’altro uno spumante con un’etichetta – a nostro avviso – al limite della correttezza nei confronti del consumatore: “Pros” “.” “it” non vi ricorda nulla?
Sicuri che, vedendo questa etichetta su uno scaffale, in molti (soprattutto stranieri) non possano pensare di trovarsi di fronte a un “Pros”-ecco “It”-aliano? Una label molto “Patri”-ottica (scommettiamo) per le tasche della cantina di Solicchiata.
D’altronde, il Consorzio del Prosecco Doc ha ben altri problemi a cui pensare, tra cui l’allargamento della regolamentazione alla versione Prosecco Rosé, di cui già si parla ovunque.
Rapporto qualità prezzo molto interessante, invece, su tutta la linea di Antichi Vinai 1877, che a Castiglione di Sicilia è attiva con un sito produttivo di maestose capacità (oltre 1 milione di bottiglie potenziali, quasi la metà di tutta la Doc) al momento sfruttato dalla famiglia Gangemi per attività di imbottigliamento “conto terzi”.
IL CASO Una cantina, Antichi Vinai, artefice di un casus degno delle cronache vinicole nazionali.
Quello di Neromosso, “frizzante” da 2 bar (tecnicamente “vino bianco mosso di Sicilia”) piazzato sul mercato con grande successo a un costo incredibile per la tipologia: ben 9 euro in cantina (13,50 sul sito web della cantina).
Una “bolla” imitatissima in zona, dopo il lancio ufficiale avvenuto nel 2010. Si tratta di Nerello Mascalese vinificato in bianco, con piccole percentuali di uve a bacca bianca (Minnella e Zibibbo) che restituiscono un calice tutto sommato tipico in termini di mineralità etnea.
Altro discorso per Marco De Grazia e la sua Tenuta delle Terre Nere. Un’azienda che in pochi anni si è trasformata in un vero e proprio faro per l’Etna. Vini di una finezza assoluta, con la Borgogna a materializzarsi nei calici dei “cru” delle contrade.
Tenuta delle Terre Nere è la punta di diamante di De Grazia, ex commerciante di vini che ha dato vita alla rivoluzione dei Barolo Boys. Un marchio, “BB”, che ha consentito alle Langhe di farsi conoscere fino in America. Un miracolo replicato da De Grazia sull’Etna.
Chi deve crescere, invece, è Palmento Costanzo. Il recupero dell’antico caseggiato e della cantina – unico sito produttivo siciliano costruito all’interno di un antico palmento, risalente al XIX secolo – è iniziato nel 2011, ma il cambio di enologo ha forse creato qualche squilibrio tra le annate ad oggi in degustazione.
Una difformità che non aiuta la comprensione del tipo di lavoro che la famiglia Costanzo vuole intraprendere sull’Etna, anche se le premesse sono buone. Alla ristrutturazione dell’antico palmento (prevista Hospitality e Spa) sta facendo seguito un lavoro attento nei vigneti certificati biologici, che porterà presto alla presentazione di nuove etichette, tra cui il primo “cru” e il primo Metodo classico.
I VIGNAIOLI DA COPERTINA
Ex commerciante di vino, così come De Grazia, è Frank Cornelissen. Uno che dà del tu alla Muntagna, sulla quale sembra cresciuto. E nella quale, certamente, ha affondato le radici, oggi solidissime.
Cornelissen e Nunzio Puglisi di Enò-trio, uomini copertina del nostro tour, sono vignaioli diversi tra loro. Che hanno in comune, però, l’amore per l’Etna e la voglia di proporre un modello di viticoltura rispettoso dell’ambiente.
Intellettuale il belga Cornelissen, dentro e fuori da un calice in cui sviscera un minimalismo giapponese (del Giappone, non a caso, è originaria la moglie) ad eccezione del prezzo del vino di punta, “Magma”, in vendita a oltre 180 euro.
Maestro di vigna il siculo Puglisi, un lottatore in camicia che può vantare vigneti tra i più belli dell’Etna (certamente i più maniacalmente ordinati, anche grazie all’apporto della figlia Desirée) e tra i più alti in quota (oltre i mille metri quello di Traminer, cha dà vita a un vino strepitoso).
Due sperimentatori, Cornelissen e Puglisi, che meritano tutta l’attenzione autentica di chi cerca qualcosa di lontano dalle mode e dagli stereotipi del mondo del vino. Due da prendere in considerazione a tutti i costi, in previsione di un tour alle pendici dell’Etna.
Una panoramica, quella che avete appena letto, con la quale vogliamo introdurre un secondo articolo, dedicato ai migliori vini degustati in occasione del tour: online tra qualche giorno.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Dalla cantina dell’Azienda Agricola “La Casetta”, nasce lo Spumante Brut “MiA”, proveniente dalle colline
dell’appennino tosco-romagnolo, figlio di un blend in cui Chardonnay e Pinot Nero si sposano con il
Sangiovese. Ne nasce una bollicina semplice, elegante e versatile che nel canale horeca si aggira intorno ai dieci euro di prezzo.
LA DEGUSTAZIONE
Passando all’analisi visiva, troviamo nel calice un vino di un elegante rosa Cerasuolo e dal perlage fine e persistente.
Al naso la predominanza è quella dei sentori caratteristici del Sangiovese, come il bouquet delicato di violetta, ciliegia, fragola accompagnati da frutta esotica e pietra focaia.
La bevuta è piena, una bella freschezza si sprigiona sulla lingua chiudendosi con la tipica avvolgenza
ammandorlata dello Chardonnay.
Un piacevole metodo charmat, perfetto per l’aperitivo ma anche a tutto pasto, magari con una delicata
pasta alla burrata e salmone.
LA VINIFICAZIONE
Vinificato con metodo charmat, spumantizzazione 6 mesi in autoclave in acciaio inox, affinamento di 3 mesi
sulla bottiglia.
In provincia di Ravenna, sulle colline tosco-romagnolo, nasce nel 1963 l’Azienda agricola “La Casetta” dai
fratelli Antonio ed Angelo Errano, a cui si unisce nel 70’ anche Giuseppe Bartolini. Etichette caratteristiche nascono dall’amore per il proprio lavoro e per le proprie terre, dove autoctoni come il grechetto, trebbiano e sangiovese si uniscono a vitigni internazionali come Pinot Nero e Chardonnay.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
E’ un ritorno in pompa magna quello di La Versa nella Grande distribuzione. La cantina pavese, fallita e poi risorta grazie alla cordata lombardo-trentina guidata da Terre d’Oltrepò e Cavit, è a volantino questa settimana in Esselunga, con lo spumante base Riesling Doc Oltrepò Pavese.
La nuova etichetta sarà in promozione fino al 18 aprile a 2,94 euro. Un ribasso del 40% rispetto al “prezzo pieno”, che si assesta su 4,90 euro.
Lo spumante di Riesling è uno dei tre Charmat (Metodo Martinotti) pensati dalla nuova La Versa per i clienti dei supermercati, assieme a un Pinot Nero vinificato in bianco e a un Moscato.
I tre spumanti sono già disponibili negli store Esselunga e Bennet. “Ma entro fine anno – anticipa in esclusiva a vinialsuper Marco Stenico, direttore commerciale di La Versa – andremo a completare l’inserimento in tutti i principali player della Gdo”.
Tre Charmat lunghi, con un periodo di autoclave che varia dagli 8 ai 9 mesi. Per quanto riguarda i volumi, si tratterà a pieno regime (ovvero nell’arco dei prossimi due, tre anni) di un milione e mezzo di bottiglie di Charmat a marchio La Versa immesse nel canale moderno. L’obiettivo per il Metodo Classico è invece quello di raggiungere quota 750 mila bottiglie.
Di fatto, la nuova dirigenza lavora anche al riposizionamento del prestigioso marchio nel canale tradizionale. All’Horeca saranno riservate le etichette di Metodo Classico Docg base Pinot Nero, vero simbolo dell’Oltrepò pavese di qualità.
“Inizieremo con l’etichetta ‘Collezione‘ 2007 – spiega Stenico – una cuvée delle basi spumante selezionate tra le migliori reperite a La Versa al nostro ingresso in azienda. Il prezzo sarà attorno ai 16 euro più Iva, all’ingrosso. Toccherà poi a ‘Testarossa‘, il vero portabandiera di La Versa, con le basi spumante tirate da noi. In questo caso, il prezzo supererà i 20 euro più Iva”.
Per degustare il “nuovo” Testarossa si dovrà tuttavia attendere la metà del 2019. “Un prodotto – commenta Stenico – che intende rappresentare l’intero Oltrepò d’eccellenza, con il suo vitigno più rappresentativo, il Pinot Nero”.
LA DEGUSTAZIONE (4 / 5) Una tipicità salvaguardata anche attraverso i tre Charmat. Il Riesling da oggi in promo in Esselunga è il vero “anti Prosecco”. Giallo paglierino nel calice, naso intenso, fruttato, aromatico. Bollicina mediamente fine e persistente.
In bocca entra pulito, grazie a un “dosaggio” (Brut) capace di valorizzare al contempo aromaticità e corpo del vino. Uno spumante che riempie bene il palato anche una volta deglutito, con ritorni di frutta e richiami vagamente salini piacevoli, che invitano il sorso successivo.
Uno sparkling dall’ottimo rapporto qualità prezzo, capace di accompagnare alla perfezione un aperitivo, gli antipasti, ma anche l’intero pranzo o una cena non impegnativa.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
(4 / 5) Poco meno di 4 euro per portarsi a casa da Lidl il Prosecco Bio Doc Treviso Extra Dry “Tenuta Brian”.
Lo spumante biologico prodotto dalla Società Agricola Fratelli Corvezzo presenta una bella etichetta, moderna e accattivante. Con le iniziali di Tenuta Brian (“TB”) che paiono tratteggiate con le matite colorate, impugnate tutte assieme da un bambino.
Tutto bello per il consumatore: il prezzo, l’etichetta, la bottiglia. Sarà anche buono questo Prosecco? La risposta, dopo il tasting di vinialsuper, è più che affermativa. Tanto da spingerci ad annoverare questo sparkling organic wine veneto tra i migliori assaggi assoluti della fascia prezzo inferiore ai 4 euro.
LA DEGUSTAZIONE
Chiariamoci: non stiamo certo parlando di un assaggio memorabile, in termini generali. Il Prosecco Doc Treviso Extra Dry “Tenuta Brian” rappresenta tuttavia, nel calice, il meglio della tipicità della Glera spumantizzata.
Pur trattandosi di un Extra Dry, questo charmat non risulta stucchevole come tanti altri presenti in Gdo, con la parte zuccherina a farla da padrona addirittura sui sentori primari. Al naso, di fatto, il Prosecco di Corvezzo Winery manifesta profumi che ricordano la pera Williams e la mela verde Granny Smith.
Un quadro completato da eleganti sentori di miele d’acacia. Il sorso è corrispondente: pera, mela e il fresco retrogusto fresco del miele, perfettamente amalgamanti. In bocca, il Prosecco Doc Treviso Tenuta Brian si fa apprezzare anche per un’acidità spiccata che, unita a una bollicina cremosa, chiama il sorso successivo.
Gli abbinamenti sono quelli classici per il re degli spumanti Metodo Martinotti italiani. Perfetta a tutto pasto, questa “bollicina” veneta è ottima come aperitivo, in accompagnamento ad antipasti e piatti a base di pesce.
LA VINIFICAZIONE Il Prosecco Bio Doc Treviso Extra Dry di Cantina Corvezzo è ottenuto dai vigneti di Glera situati nel Comune di Cessalto (TV). La vinificazione prevede pigiatura e pressatura soffice a freddo e presa di spuma in autoclave.
La Società Agricola Fratelli Corvezzo affonda le radici all’inizio del Novecento. Oggi, i fratelli Giovanni e Katia conducono una cantina moderna, realizzata con materiali ecocompatibili e impianto fotovoltaico. Sono circa 160, nel complesso, gli ettari vitati a disposizione.
Prezzo: 3,99 euro
Acquistato presso: Lidl
*aggiornamento: la cantina Corvezzo, attraverso il proprio ufficio Marketing e Comunicazione, ci informa che 3,99 euro è “il prezzo di lancio” del Prosecco Bio “Tenuta Brian” nei supermercati Lidl. Il prezzo di vendita, dopo la fase di “lancio”, sarà di 4,99 euro.
Abbiamo dunque rivisto la nostra valutazione, assegnando mezzo punto in meno allo spumante in questione: punteggio che passa dunque da 4,5 a 4 “cestelli della spesa“.
La valutazione della degustazione – e, di conseguenza, l’assegnazione del voto in “cestelli” – era infatti strettamente legata al prezzo iniziale del prodotto, che non potevamo sapere essere “temporaneo”.
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(5 / 5) E’ l’Azienda agricola Giol di San Polo di Piave (TV) a produrre il Prosecco Doc Treviso Extra Dry “Le Gerette”, vino biologico della linea Iper “Grandi Vigne“.
Senza dubbio uno dei migliori Charmat in circolazione per fascia prezzo, nell’intero panorama della grande distribuzione.
Un vino che avrebbe certamente dato filo da torcere ad almeno due dei tre Prosecco finiti sul podio della nostra degustazione alla cieca di “bollicine” venete.
LA DEGUSTAZIONE
“il vino dovrebbe essere un alimento: pura spremuta d’uva biologica fatta fermentare nel modo più povero possibile”, si legge sul sito di Giol. Non ci sono parole migliori per descrivere quanto il Prosecco “Le Gerette” Grandi Vigne riesca ad esprimere nel calice.
Giallo paglierino, lievi sfumature dorate che brillano mentre la spuma si dissolve. Al naso una marcia in più rispetto a tanti altri vini della stessa denominazione. Alle tipiche note di frutta a polpa bianca e fiori freschi (una pera fine e un’armoniosa acacia) fanno eco dolci richiami al miele, sempre d’acacia, ma anche ad erbe come la salvia. Poi scorza d’arancia e un lievissimo sentore di pepe bianco, appena percettibile.
Un olfatto molto intrigante, insolito per un vino considerato (spesso a buona ragione) come “entry level”. La bocca non delude. Anzi. Il Prosecco “Le Gerette” Grandi Vigne entra dritto, ancor più tipico che al naso. Si ammorbidisce al centro del sorso, quando frutta e miele la fanno da padrona. Dura un momento: ecco dunque ritorni freschi erbacei, di mentuccia e salvia. Il tutto, prima di una chiusura giustamente sapida, che non fa altro che invogliare al nuovo assaggio.
Con cosa abbinare questo Prosecco? Col rispetto, innanzitutto. Il rispetto per chi sa proporre “vini comuni ma diversi”, anche nella Grande distribuzione. Lo ha fatto Iper. E lo fa certamente l’azienda agricola Giol, che visiteremo nel 2018, per un resoconto globale della produzione di vini senza solfiti aggiunti, biologici e vegani.
In cucina, questo sparkling è perfetto a tutto pasto, come aperitivo. Ma può accompagnare più che dignitosamente piatti di pesce non troppo elaborati, dall’orata o il branzino al sale alle fritture. Non disdegna neppure carni leggere, bianche.
LA VINIFICAZIONE
La vinificazione del Prosecco Doc Treviso “Le Gerette” della linea Iper “Grandi Vigne” avviene in maniera tradizionale per la tipologia. Ovvero con il metodo Charmat, che prevede la rifermentazione delle uve Glera in ampi recipienti di acciaio, le autoclavi.
Un processo di spumantizzazione curato in conto terzi dall’azienda agricola Vigna Samuel di Sperandio Flavio, a San Vendemiano, sempre in provincia di Treviso. Azienda che, sull’etichetta del Prosecco bio Grandi Vigne, è indicata con il riferimento ICRF TV 7682 IT.
Prezzo: 7,75 euro
Acquistato presso: Iper, la grande I
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Quarantasette campioni in gara alla degustazione alla cieca organizzata dal Consorzio di tutela vini Oltrepò Pavese per vinialsupermercato.it.
Focus assoluto sul Pinot Nero pavese, in versione Charmat e Metodo Classico. Teatro del tasting, lunedì 18 settembre, il Centro Riccagioia di Torrazza Coste, in provincia di Pavia.
In batteria non solo referenze destinate ai supermercati. Una degustazione in pieno “stile vinialsuper”. Testata impegnata ormai da un anno e mezzo in un progetto culturale che mira ad “allargare la mente” di chi acquista il vino esclusivamente in Gdo.
Sul podio dei Metodo Classico, per due volte Cantina Scuropasso di Fabio Marazzi, con Pas Dosè e Cruasè della linea “Roccapietra”. Prodotti che si confermano straordinari, a un prezzo (Horeca) facilmente rivedibile al rialzo.
Benissimo la Francesco Quaquarini di Canneto Pavese, non a caso premiata “Miglior cantina Gdo 2016” da vinialsuper: scacco matto alla concorrenza nelle categorie “Metodo Classico” e “Charmat – Martinotti”, rispettivamente con “Classese” 2009 (perché non chiamarlo “fuoriclassese”?) e Pinot Rosè Brut (Vsqprd).
Convince anche Monsupello, con il Metodo Classico Brut (90% Pinot Nero, 5% Chardonnay affinato in acciaio, 5% Chardonnay affinato in legno). Travaglino di Calvignano migliore nella sua batteria da 7 calici con il Metodo Classico Docg “Monte Ceresino” Cruasè (Rosè): menzione tra i “big”.
L’Azienda agricola Padroggi – La Piotta, con il suo “Talento” Brut Docg 2013, è l’altra sorpresa tra gli “Champagne d’Oltrepò”, assieme al bel Vsq Nature della Rossetti e Scrivani e al Cruasè 2011 di Rebollini.
Terre degli Alberi 2014 – Camillo dal Verme è il vero fuoriprogramma nel complesso della degustazione alla cieca. Bello Charmat “lungo” Brut dal colore dorato, perlage su cui si può lavorare ancora in termini di finezza della grana.
Ma naso e palato da applausi, capaci di spaziare, intensi, da note di bergamotto e zafferano a quelle di zenzero. Da bere a Capodanno, senza spendere una fortuna: 9,50 euro spesi benissimo.
Si tratta tra l’altro di un “biologico”, che fa il paio con quello de La Piotta e con i fuoriclasse di Quaquarini. L’ennesima conferma di “movimento” che sta andando nella direzione giusta, anche in Oltrepò Pavese, con prodotti di qualità sempre più riconoscibile. Anche alla cieca.
Tra le cantine più in evidenza, l’Azienda Agricola Alessio Brandolini di San Damiano Al Colle (frazione Boffalora), con ottimi punteggi per i Metodo Classico Rosè “Note d’agosto” (terzo, alla spalle di Roccapietra e Travaglino) e con “Luogo d’Agosto”, altro Metodo Classico Docg 100% Pinot Nero. Brandolini è la cantina che, con Scuropasso e Quaquarini, esce a testa alta dalla degustazione. Desaparecida – e non è la prima volta – la Conte Vistarino.
I MARTINOTTI
Se il quadro degli Champenois è a tinte chiare e definite, in un Oltrepò Pavese di cui si parla sempre troppo poco in Italia, per quanto capace di valorizzare il Pinot Nero in versione sparkling come in pochi terroir al mondo – specie se tra le mani di alcuni grandi interpreti – è sugli Charmat che il cammino sembra ancora lungo, verso le punte di qualità espresse da altre regioni del Belpaese.
Si salvano Finigeto di Montalto Pavese, con la Pinot Noir Cuvée “Extrà”. San Giorgio di Perdomini con il Pinot Nero Doc “Magnificat”. E Terre Bentivoglio di Santa Giuletta, con la Cuvée di Pinot 98 Extra Dry. Troppo poco.
Per dirla tutta, tra gli assaggi, tanti tentativi (andati storti) di scimmiottare il re dei Martinotti, il Prosecco veneto. “Zucchero” a cucchiai. E sentori di frutta matura che stancano il naso ancor prima di avvicinare il calice alla bocca.
Tratti che non giovano a un mercato che potrebbe dare tanto (di più). E fare da traino alle “bolle” oltrepadane più complesse. L’entrée mancato, insomma.
Controindicazioni di un mercato Glera-centrico che guarda al gusto esotico dell’export. E fa male, in un’Italia – e a ribadirlo è il Rapporto Coop 2017 – in cui il consumatore vuole bere bene (e sempre meglio) anche al supermercato.
Luogo per antonomasia (o forse non più?) in cui trovare spumanti di pronta beva. Facili, beverini. Da buttare giù d’estate, al posto della birra. O a casa, per accompagnare il sushi acchiappato al volo al take away dell’Esselunga.
Semplice e un po’ banale, per dirla alla Mina-Celentano, è un ritornello che stona nell’enomondo moderno. E allora il menu per un Oltrepò che merita di sfondare definitivamente nell’Olimpo del mercato del vino è servito in tavola, fumante.
Studiare meglio l’antipasto (tradotto: gli Charmat) per far leva sui “primi” e “secondi” piatti d’eccellenza (i Metodo Classico da Pinot Nero, of course) di cui è ricca la tavola dell’Oltrepò. Un grande chef non serve se la mise en place lascia a desiderare.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Venti bottiglie di Prosecco in degustazione “alla cieca”, per decretare il migliore presente sugli scaffali delle maggiori catene di supermercati italiani.
Da Esselunga a Iper Coop, passando per Auchan, Carrefour, Iper – la grande I, Penny Market e Lidl, senza dimenticare insegne importanti come Il Gigante, Unes e Despar.
Tre i Prosecco che la spuntano, adatti ad accompagnare dall’aperitivo alle carni bianche, passando – perché no? – anche da piatti di pesce non troppo elaborati.
Tre prodotti capaci di accontentare ogni tipo di palato: da quello di neofiti e bevitori occasionali, a quello di chi pretende di più, anche da un “semplice” Prosecco.
I MIGLIORI PROSECCO AL SUPERMERCATO 1) Bel perlage, profumati invitanti. Zucchero dosato al punto giusto, tanto da non stancare mai la beva e chiamare un sorso dopo l’altro. Sul podio dei Prosecco in vendita al supermercato finisce il Prosecco Doc Superiore di Martini & Rossi (gruppo Bacardi). Un Extra Dry da 11,5% vol.
E’ questo il miglior Prosecco “pop”, secondo la redazione di vinialsuper. Rappresenta, cioè, esattamente quello che ci si deve aspettare da un (buon) Prosecco. Semplicità, dunque. Ma anche un certo carattere. Peraltro una bottiglia dall’ottimo rapporto qualità prezzo (5,50 euro circa), in tutte le catene di supermercati che lo espongono in vendita.
Giallo paglierino con riflessi verdolini velati, bollicina fine nel calice, anche se la persistenza delle “catenelle” non è da superstar. Naso tipico, intenso e pulito, che lascia spazio anche a sorprendenti note esotiche di mango, banana e mandarino.
Palato corrispondente dal punto di vista degli aromi, con spuma satinata e cremosa che accompagna, verso la chiusura, un’acidità ben dosata. Buona anche la persistenza, agilmente sopra le soglie della sufficienza.
2) Il Prosecco Superiore Conegliano Valdobbiadene Docg di Carpenè Malvolti è la “bollicina” veneta consigliata a chi, al Prosecco, chiede qualcosa di più. Anche in questo caso siamo di fronte a un Extra Dry, mentre la percentuale d’alcol in volume scende di mezzo grado rispetto al Prosecco Doc Martini, assestandosi sugli 11.
L’etichetta, del resto, parla da sola: svecchiata rispetto all’originale, senza perdere tuttavia l’eleganza che contraddistingue da sempre la casa spumantistica di Conegliano (TV). Che di questo Prosecco ha fatto un’icona.
Giallo paglierino con riflessi dorati, il Prosecco Superiore Docg di Carpenè Malvolti sfodera un naso da Metodo classico (la tecnica utilizzata per la produzione dello Champagne). Roba da far sospettare di non essere di fronte a una bottiglia del più venduto degli Charmat al mondo.
Miele d’acacia, fruttato elegante di ananas, una punta di lime. Note che arrivano a sfiorare anche l’idrocarburo. Che ci sia dell’ottimo Chardonnay nel blend con la Glera? Il disciplinare, del resto, lo consentirebbe.
Ingresso di bocca morbido, sul filo di una corrispondenza gusto olfattiva pregevole. L’acidità non manca, anzi. Anticipa (e controbilancia) una sapidità capace di conferire ulteriore “gusto” al sorso. La chiusura richiama ancora una volta il nobile vitigno di origine francese, con le sue percezioni ammandorlate. Chapeau.
3)Last but not least, come direbbero gli inglesi che del Prosecco ne hanno fatto ormai un’ossessione (in Inghilterra lo spumante veneto fa ormai a gara con la birra locale), il Prosecco Superiore Valdobbiadene Docg di un altro colosso del Wine in Italy, Santa Margherita Spa di Fossalta di Portogruaro (VE). Questa volta siamo di fronte a un Prosecco più secco, un Brut, da 11,5% vol.
Giallo paglierino con riflessi oro, spuma creosa che si dissolve lenta. Fine e persistente il perlage. Dal calice di Prosecco Superiore Docg Santa Margherita si elevano note fruttate dalla leggerissima vena “dolce”, come da attese per uno spumante dal grado zuccherino più modesto rispetto a quello dei compagni Prosecco Extra Dry.
Un naso di eccellente finezza quello del Valdobbiadene Santa Margherita. Lasciato a “riposo” per qualche minuto, l’olfatto arriverà a donare sentori pregevoli di foglia secca di pomodoro. Al palato dominano la morbidezza e la tipicità del Prosecco. Con l’aggiunta di un pizzico di mineralità, che sboccia soprattutto nel retro olfattivo assieme alla pera Williams. Facile berne un bicchiere dietro l’altro, senza mai stancarsi.
A UN PASSO DAL PODIO
A un passo dal podio il Prosecco Doc Zonin: naso elegante, bolla satinata, acidità giocata su note d’arancia, prima di una chiusura lunga. Non male al palato Bellussi (U2 – Unes): bocca pulita, acidità e mineralità piacevolissime, ma solo dopo un naso piuttosto costruito. Olfatto che è anche la croce del Prosecco Doc Mionetto, che invece al palato regala un frutto piacevole e uno zucchero ben dosato, così come una buona persistenza retro olfattiva.
I PEGGIORI Tra i Prosecco degustati, ci sentiamo di sconsigliarne (tassativamente, o quasi) due in particolare. Ad accomunarli – oltre al costo al limite del sotto-costo – un perlage grossolano, una spuma degna d’una birra, un naso citrico e un palato tra il piatto e l’artificiale.
Si tratta del Prosecco Superiore Valdobbiadene Docg “Villa de’ Bruni”, in vendita negli storePenny Market, e il Prosecco Doc Allini della catena tedesca di supermercati Lidl.
Male anche alcuni Prosecco di nomi importanti: insufficiente l’Extra Dry di Cescon, così come il Prosecco Superiore Valdobbiadene Docg “Col del Sol” di Ca’ del Sole Vini, in vendita nei supermercati Il Gigante. Male entrambi i Prosecco (Doc e Docg Valdobbiadene) della linea “Il Viaggiator Goloso” (Finiper – Unes).
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Diciotto milioni di euro netti di ricavi nel 2009. Poi giù. Nel buio più profondo. Fino ad arrivare a una voragine dal diametro impressionante.
Un buco (finanziario) da 12 milioni di euro, consolidato dal bilancio 2016. E un vuoto (morale) ancora più disorientante, allo scattare delle manette ai polsi dell’eterno presunto Messia, giunto dalla Franciacorta: quell’Abele Lanzanova capace, secondo la GdF, di “appropriarsi di ingenti somme sottraendole alle scarse risorse finanziarie della Cantina, peraltro già interessata da procedimenti prefallimentari”. Era il 21 luglio 2016.
L’araba Fenice dell’Oltrepò pavese ha un nome solo ed è La Versa. Evocativo. Tattile. Come i trattori dei contadini in canottiera che, nella culla del Pinot Nero italiano, passano accanto a quel blocco di cemento di 15 mila metri quadrati, pronti a tornare a popolarsi di uomini, di passioni, di idee.
Ci credono in molti – ma forse ancora in troppo pochi – nel rilancio della storica cantina pavese ad opera della nuova società costituita da Terre d’Oltrepò e Cavit. In questo quadro, in una terra che da troppi anni è un puzzle di buoni propositi e di ottimi progetti individuali annegati nell’incapacità di “fare rete”, la cooperazione pare l’unico asso nella manica.
Lo sa bene Andrea Giorgi, personaggio a metà tra il cow boy e il sindaco sceriffo: presidente della newco scioglilingua “Valle della Versa”, partecipata al 70% dai lombardi e al 30 dai trentini. Ironia sottile, silenzi dosati. Risposte mai banali o scontate. A volte pungenti. Un giardiniere pronto a seminare nel deserto. Un minuto Gandhi, il minuto dopo William Wallace (a parole) prima di Bannokburn. Senza però sfociare nel bipolarismo.
Al suo fianco Marco Stenico, il mediatore. Il direttore commerciale per antonomasia. Trentino d’origine, è lui il braccio destro di Giorgi. L’uomo perfetto per riconquistare il mercato.
E non importa se, al 24 agosto, i due non sappiano ancora quali siano, esattamente, i bottoni da premere sul quadro elettrico per accendere la luce nel “caveau” di La Versa, intitolato allo storico presidente duca Antonio Denari. Per risorgere ci vuole tempo. E occorre fiducia. La ricetta? Ripartire dal passato, in chiave moderna.
“Questa è un’azienda nuova – precisa Stenico – costituita dai due soci. Terre d’Oltrepò e Cavit si sono prese carico, ognuna per le proprie competenze, di alcune attività. Noi seguiremo la parte commerciale, mentre i nostri partner trentini la parte tecnica, la vinificazione e la parte industriale, che sta per essere messa in attività a partire già da settembre”.
Dalla scorsa settimana, i conferitori della zona di Santa Maria della Versa e di Golferenzo hanno ricominciato a portare le loro uve a La Versa. “Tutto raccolto a mano – evidenzia Stenico – Pinot Nero, Riesling e Moscato”. La prima vendemmia della nuova società si assesta sui 25 mila quintali di uva. Masse certamente inferiori ai 450-500 mila quintali che Terre d’Oltrepò e i suoi soci sono in grado di produrre annualmente. Ma siamo, appunto, solo all’inizio.
La parte del leone spetta al Pinot Nero, con oltre 10 mila quintali. A seguire il Riesling, 5 mila. E infine il Moscato, con 7-8 mila quintali. Quantità risicate da maltempo e gelate che hanno interessato l’Italia, travolgendo anche l’Oltrepò Pavese. Cento i soci conferitori di quella che fu La Versa, cui si andrà a sommare la base sociale di Terre d’Oltrepò, costituita da oltre 700 soci. Tradotto in vigneto: 6 dei 13 mila ettari complessivi sono controllati da Valle della Versa, con un potenziale produttivo che supera il 55% dell’intera zona.
“Da questa vendemmia – commenta Andrea Giorgi – ci aspettiamo un prodotto da collocare nel più breve tempo possibile sul mercato con il marchio La Versa. Un’operazione strategica per Terre d’Oltrepò, che ha già due stabilimenti: uno a Broni, l’altro a Casteggio. Il primo ha un grande potenziale dal punto di vista tecnologico, che arriva fino alla trasformazione di 15 mila quintali di prodotto al giorno. Casteggio si sta invece specializzando nell’imbottigliamento di prodotti fermi. Qui a Santa Maria La Versa vogliamo invece sviluppare il marchio e destinarlo a prodotti spumanti e a frizzanti in genere”.
Il mercato di riferimento è chiaro. “Nella nostra strategia complessiva – risponde Giorgi – visti i quantitativi enunciati, possiamo abbracciare tutta la gamma, dalle enoteche ai supermercati, passando dai ristoranti. Stiamo accuratamente selezionando i canali nei quali entrare nel modo più redditizio possibile, per creare uno zoccolo duro sul mercato italiano e sviluppare l’estero, dal momento che l’export, oggi, riguarda solo una piccola parte. Quello che vogliamo fare è accontentare i diversi target di clientela, dando senso al lavoro delle nostre centinaia di conferitori”.
Al canale moderno, quello della distribuzione e della grande distribuzione organizzata (Do-Gdo) sarà affidato il 70-75% della produzione. Il resto alla nicchia della ristorazione e delle enoteche. Diverso il discorso per il marchio La Versa. Ed è qui che si gioca una delle partite fondamentali per il rilancio della cantina pavese.
IL TESORO NEGLI ABISSI Nei due piani sotterranei della cantina sono infatti custodite oltre un milione di bottiglie di metodo Classico oltrepadano (o futuro tale). Voci incontrollate assegnerebbero a questo scrigno un valore di 4,2 milioni di euro. Lo stesso per il quale la newco si è aggiudicata l’asta.
Una cifra che Giorgi e Stenico non confermano. E che, anzi, sembrano ridimensionare. Cosa ne sarà di questo bottino, vera carta da giocare anche nei confronti delle resistenze sull’operazione di Cavit in Oltrepò, da parte di una frangia di vignaioli delle Dolomiti? Cinque le annate custodite nel Caveau, comprese tra la 2004 e la 2015 , tra Docg e Vsq.
“Vorremmo identificare il posizionamento del prodotto in una fascia alta – precisa il direttore commerciale -. Canalizzeremo in Gdo La Versa, fatta eccezione per marchi storici come Testarossa e Cuvée storica, che invece saranno appannaggio del canale tradizionale. Sintetizzando, sia per la Gdo sia per l’Horeca, un posizionamento alto per i prodotti La Versa e numeri più bassi. Ristoranti, enoteche e bar di prestigio avranno l’esclusiva del top di gamma di La Versa, protetto dalle logiche dei facili volumi, su livelli dei grandi Franciacorta e dei grandi TrentoDoc”.
“A partire da ottobre inoltrato – dichiara Marco Stenico – saranno immesse sul mercato le prime 5-10 mila bottiglie selezionate in maniera tecnica e precisa, capaci di garantire senza ombra di dubbio quella qualità che avremo sicuramente fra tre anni. Il resto dello stock sarà venduto come prodotto di semi lavorazione ad altri produttori. Per noi questo milione di bottiglie ha un valore enorme e vogliamo portarlo a casa tutto. Devono essere il biglietto da visita di La Versa, ma soprattutto dell’intero Oltrepò, per il quale ci candidiamo a un ruolo di vero e proprio traino”.
LE ETICHETTE Le etichette, specie quelle destinate alla Gdo, sono ancora in fase di elaborazione. Sarà un lavoro di mediazione che interesserà le stesse insegne, avvezze a richiedere ai clienti layout ben precisi, secondo le moderne frontiere del neuromarketing.
Le prime bottiglie oggetto di restyling dovrebbero spuntare sugli scaffali di una nota catena italiana a cavallo tra i mesi di ottobre e novembre (manca solo la firma sul contratto). Saranno invece tutelate da qualsiasi ingerenza le etichette storiche di La Versa, cui sarà garantita “un’identità vecchio stile, o comunque della vecchia bottiglia”.
“Faremo dei piccoli cambiamenti – annuncia Marco Stenico – ma senza togliere riconoscibilità al marchio”. Grande attenzione al mercato italiano. Ma nel mirino, per l’estero, oltre agli Stati Uniti, si affiancheranno missioni su piazze importanti, come Germania e Inghilterra.
L’aspettativa? “Innanzitutto – risponde Stenico – portare a casa la pagnotta. Ma i nostri piani industriali prevedono una crescita di 6 milioni nel primo anno e di 10 nei prossimi 3-4 anni, con redditività”. Una parola magica, “redditività”, che riguarderà soprattutto un’oculata gestione dei costi e delle risorse.
Di fatto erano trentacinque i dipendenti de La Versa colata a picco. Sette i milioni di fatturato nel 2015, scesi poi a poco più di 4 milioni nel 2016, per pagare stipendi e mantenere gli standard infrastrutturali. Di fatto, oggi sono 6 i dipendenti effettivi di La Versa (un enologo e 5 cantinieri). E se di numeri si parla, basti pensare che Terre d’Oltrepò, con un fatturato di 40 milioni, ha oggi in carico 48 dipendenti.
“Una gestione scellerata quella del passato – evidenzia il presidente Andrea Giorgi – che ha portato alla distruzione del fatturato di La Versa. Scelte imprenditoriali e commerciali errate hanno condotto la società a un’esposizione esagerata. Ma tra le cause del fallimento bisogna citare anche una componente politica, perché è impossibile immaginare 35 dipendenti in una realtà da 4,5 milioni euro annui”.
IL CONSORZIO “La ripartenza di La Versa – dichiara Emanuele Bottiroli, direttore del Consorzio di Tutela Vini Oltrepò – è un nuovo inizio per un Oltrepò spesso percepito come schiavo di mille padroni e incapace di governare il proprio mercato. All’Oltrepò Pavese serve un marchio collettivo leader, La Versa può esserlo. In Oltrepò ci sono il Pinot nero, la storia spumantistica dal 1865, i terreni collinari tra i più vocati d’Italia, i borghi del vino più caratteristici e l’anima vera di ‘contadini diventati imprenditori’, come ricordava Carlo Boatti”.
“Tutti – prosegue Bottiroli – ripetono come dischi rotti che manca una strategia d’insieme. Per me, ferme restando le identità di tanti singoli produttori di filiera e le loro maestose composizioni, manca un direttore d’orchestra. Manca un leader che sposi un progetto di marketing e posizionamento a valore, forte dei numeri per competere in Italia e nel mondo”.
“In altre parole possiamo trascorrere i prossimi 10 anni a cercare di mettere insieme 1700 aziende vitivinicole, 300 delle quali vanno sul mercato con le loro etichette e un imbottigliamento significativo di una miriade di tipologie, oppure collaborare al rilancio di La Versa, perché torni a svolgere il ruolo di autorevole ambasciatore di un Oltrepò di alta gamma, come avveniva ai tempi del Duca Denari”.
La Versa, evidenzia Bottiroli, “ha testimoniato con il suo impegno e la sua storia l’eleganza e la longevità unica che può arrivare ad avere un grande ‘Testarossa, marchio La Versa per l’Oltrepò Pavese Docg Metodo Classico, pura espressione del Pinot nero d’Oltrepò. Ne abbiamo 3.000 ettari”.
“La nuova proprietà – esorta il direttore del Consorzio – deve coinvolgere il territorio in un percorso in cui tutti devono credere con passione, perché ripartire richiede progetti, massa critica, continuità e tempo. La Versa deve tornare a raccontare ed affermare cosa sia un grande spumante Metodo Classico italiano e un superlativo vino dell’Oltrepò”.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Quante volte vi è capitato di ordinare al bar “un Prosecco”? Ma vi siete mai chiesti se in quel calice c’era davvero del “Prosecco”?
Con il termine “Prosecco”, infatti, non si definisce un qualsiasi “spumante” o vino “con le bollicine”. Bensì quel determinato spumante – Doc o Docg – prodotto in Veneto e in Friuli Venezia Giulia.
Vi sognereste mai di chiamare “Chianti” qualsiasi vino rosso? Crediamo (speriamo) di no. Ecco perché occorre fare un po’ d’ordine: mentale, innanzitutto. E poi culturale.
Vinialsuper lancia quindi la campagna “Prosecco non è sinonimo di spumante” e l’hashtag #nonsoloprosecco, che vi invitiamo a utilizzare. Lo facciamo per voi. Perché vogliamo esser certi che, quando ordinate un “Prosecco”, intendiate proprio quel vino. Condividete l’articolo, ditelo agli amici, fatevi un selfie con la scritta “Prosecco non è sinonimo di spumante”! Insomma: inventatevi qualcosa per diffondere la cultura del vino.
I TRE PROSECCO: DOC E DUE DOCG
Sono tre le “versioni” di Prosecco, prodotte in base a disciplinari ben precisi: una a Denominazione di origine controllata (Doc) e due a Denominazione di origine controllata e garantita (Docg). Per tutti vale il metodo di spumantizzazione delle uve denominato Martinotti o Charmat, che prevede la rifermentazione del mosto in autoclave.
E’ questa la differenza principale con il Metodo Classico, che prevede una seconda fermentazione in bottiglia. Con il Metodo Classico (altrimenti noto come Champenoise) viene infatti prodotto lo Champagne, così come gli spumanti italiani più pregiati: Trento Doc, Franciacorta Docg, Alta Langa Docg e Oltrepò Pavese Docg, per citarne alcuni.
IL PROSECCO “MILLESIMATO”
Anche la definizione “Millesimato” è oggetto di grande confusione: di fatto, tutti i “prosecchi” sono “millesimati”. Questo termine, che non ha nessuna valenza relativa alla qualità della bottiglia, serve a evidenziare che tutte le uve con il quale è stato prodotto lo spumante sono state raccolte nella medesima annata. Frutto, dunque, dello stesso anno di vendemmia.
Ovvio, dunque, che un Prosecco sia “Millesimato”. Non sarebbe invece così scontato di fronte a un Metodo Classico italiano o a uno Champagne, che possono essere prodotti con assemblaggi di più annate.
La scritta “Millesimato” su un Prosecco è dunque un escamotage di marketing (pur consentito dalla legge italiana) con il quale il produttore – giocando sull’ignoranza del consumatore – tenta di dare inutile lustro alla propria etichetta, scimmiottando il Metodo Classico e gli Champagne. Anche se è vero che qualche casa vinicola usa miscelare annate differenti di Glera, per uniformare anno di anno in anno il gusto “di cantina”. Vediamo dunque le varie tipologie dello spumante Prosecco.
Prosecco Doc
Citando il disciplinare: “Il vino a denominazione di origine controllata ‘Prosecco’ deve essere ottenuto da uve provenienti da vigneti costituiti dal vitigno Glera; possono concorrere, in ambito aziendale, da soli o congiuntamente fino ad un massimo del 15%, i seguenti vitigni: Verdiso, Bianchetta trevigiana, Perera, Glera lunga, Chardonnay, Pinot bianco, Pinot grigio e Pinot nero (vinificato in bianco), idonei alla coltivazione per la zona di produzione delle uve (province di Belluno, Gorizia, Padova, Pordenone, Treviso, Trieste, Udine, Venezia e Vicenza”.
Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg Sempre citando il disciplinare: “La denominazione d’origine controllata e garantita ‘Conegliano Valdobbiadene – Prosecco’, o ‘Conegliano – Prosecco’ o ‘Valdobbiadene – Prosecco’, è riservata ai vini che rispondono alle condizioni e ai requisiti stabiliti per le seguenti tipologie: ‘Conegliano Valdobbiadene – Prosecco’, ‘Conegliano Valdobbiadene – Prosecco” frizzante’, ‘Conegliano Valdobbiadene – Prosecco’ spumante, accompagnato dalla menzione ‘Superiore di Cartizze’ se ottenuto nella tradizionale sottozona, nei limiti e alle condizioni stabilite”.
La zona di produzione delle uve atte ad ottenere i vini ‘Conegliano Valdobbiadene – Prosecco’ comprende il territorio collinare dei Comuni di Conegliano, San Vendemiano, Colle Umberto, Vittorio Veneto, Tarzo, Cison di Valmarino, San Pietro di Feletto, Refrontolo – Susegana, Pieve di Soligo, Farra di Soligo, Follina, Miane, Vidor e Valdobbiadene.
Il vino spumante denominato “Cartizze”, ottenuto da uve raccolte nel territorio della frazione di San Pietro di Barbozza del Comune di Valdobbiadene (dove deve avvenire l’intero processo di vinificazione), ha diritto alla sottospecificazione “Superiore di Cartizze” (107 ettari totali di vigneto, il “Cru” del Prosecco).
I vini “Conegliano Valdobbiadene – Prosecco” devono essere ottenuti dalle uve provenienti dai vigneti costituiti dal vitigno Glera. Possono concorrere, in ambito aziendale, fino ad un massimo del 15%, le uve delle seguenti varietà, utilizzate da sole o congiuntamente: Verdiso, Bianchetta trevigiana, Perera e Glera lunga.
Colli Asolani Prosecco (oggi Asolo Prosecco) Secondo il disciplinare, “la denominazione di origine controllata e garantita ‘Colli Asolani – Prosecco’ o ‘Asolo – Prosecco’ è riservata ai vini che rispondono alle condizioni e ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione, per le seguenti tipologie: ‘Colli Asolani – Prosecco’ o ‘Asolo – Prosecco’, ‘Colli Asolani – Prosecco’ o ‘Asolo – Prosecco’ spumante, accompagnato dalla menzione superiore e ‘Colli Asolani – Prosecco’ o ‘Asolo – Prosecco’ frizzante”.
“La zona di produzione delle uve atte alla produzione dei vini a Docg ‘Colli Asolani – Prosecco’ o ‘Asolo – Prosecco’ comprende l’intero territorio dei comuni di Castelcucco, Cornuda e Monfumo e parte del territorio dei comuni di Asolo, Caerano San Marco, Cavaso del Tomba, Crocetta del Montello, Fonte, Giavera del Montello, Maser, Montebelluna, Nervesa della Battaglia, Paderno del Grappa, Pederobba, Possagno, San Zenone degli Ezzelini e Volpago del Montello”, con ulteriori delimitazioni geografiche specifiche.
IL PROSECCO ROSÉ? NON ESISTE Le norme che disciplinano la produzione del Prosecco sono chiare e non lasciano spazio a interpretazione. Ma la comune richiesta di “Prosecco” come sinonimo di “spumante” porta con sé un altro equivoco: quello del “Prosecco rosé”. Semplice smontarlo: non esiste.
La tecnica di vinificazione delle varie tipologie di Prosecco, infatti, vieta l’utilizzo di uve rosse vinificate in rosa, ovvero con breve contatto delle bucce a contatto con il mosto.
Le uve a bacca rossa come il Pinot Nero (per un massimo del 15%) adatte alla produzione del Prosecco, infatti, devono essere vinificate senza buccia, responsabile del rilascio del colore rosso (o rosato), in base alla durata del contatto con il mosto.
La vinificazione in bianco prevede dunque la fermentazione del solo succo d’uva, senza la parte solida costituita dalla buccia.
Se sulla carta dei vini di un ristorante doveste mai leggere “Prosecco Rosé”, come nel caso clamoroso denunciato da vinialsuper che vede come protagonista il Ricci di Milano (ristorante di Belen e Bastianich) sappiate che si tratta di un (patetico) escamotage per vendere qualcosa che non esiste, approfittandosi della riconoscibilità e notorietà, ormai internazionale del “Prosecco”.
In quel caso: rimbalzate la proposta e chiedete lumi al ristoratore. Oppure, meglio: alzatevi e cambiate ristorante. Magari consigliando di leggere questo articolo. #nonsoloprosecco
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(3 / 5) È spumantizzata nella patria del Prosecco (in provincia di Treviso) la Passerina Brut Spumante di Velenosi oggi sotto la nostra lente di ingrandimento.
Un vitigno autoctono tipico di Marche, Abruzzo e Lazio riscoperto negli ultimi anni, che (fonte Coldiretti) nel 2016, con un incremento vendite del 24,4%, si è piazzato al secondo posto della classifica “Top 5 wines” venduti nella regione Marche. Primo incontrastato ancora il Verdicchio che resta il vino più consumato.
La Passerina resta seconda anche sul podio nazionale dei vini emergenti dopo la Ribolla Gialla e prima del Ripasso (fonte Vinitaly). Che il successo sia dovuto anche all’ambiguità del nome?
Insomma, ordinare una bottiglia di Passerina mette già allegria, anche se l’etimologia del nome (stessa del vitigno) ha ben altra origine e deriva dagli acini ad elevata concentrazione di zuccheri e di quercitina (flavonoide) di cui vanno ghiotti i passeri.
LA DEGUSTAZIONE Di colore giallo paglierino scarico, si presenta nel calice con un perlage mediamente fine e persistente, apprezzabile per un metodo charmat. Il profilo olfattivo è poco intenso, tra il vegetale e il minerale, con lievi note agrumate di pompelmo giallo.
Al palato l’ingresso è ruvido, per una carbonica non adeguatamente bilanciata da altre sensazioni. Un effetto che sommato a una freschezza citrina rende il sorso un po’ sopra le righe della moderatezza e poco morbido.
Il finale, disimpegnato e con rimandi agrumati, si delinea sapido e pulito. Il che lo rende certamente perfetto in abbinamento ad un fritto di paranza.
LA VINIFICAZIONE Dieci anni dalla prima vendemmia per la Passerina Brut Spumante (2007). Prodotta con uve 100% Passerina allevate a guyot a circa 200-300 metri sul livello del mare, su terreni in parte sabbiosi, con densità di impianto di 5 mila ceppi, resa per ettaro 80 quintali (1,5 Kg per ceppo). La vendemmia è effettuata manualmente, in cassette da 20 kg.
Il vino base viene rifermentato in autoclave con sosta sulle fecce per oltre 90 giorni, secondo il metodo charmat. Velenosi vini nasce nel 1984 come idea imprenditoriale di Ercole e Angela Velenosi. La cantina si trova ad Ascoli Piceno e i vigneti nella circostante zona del Tronto.
Prezzo : 8,79 euro Acquistato presso: Sì con Te Supermercati
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(3,5 / 5) Bio e Vegan il Prosecco Millesimato Doc annata 2016 di 47 Anno Domini, oggi sotto la nostra lente di ingrandimento. Accoppiata, quella bio e vegan, che in qualche contesto scatenerebbe una disputa tra intransigenti integralisti enoappassionati o vignaioli.
Scelta etica o commerciale oppure combinazione delle due? Poco importa, fatto sta che negli ultimi anni è cresciuto in Italia il numero di consumatori di prodotti biologici ed il numero di persone che scelgono l’alimentazione vegana. L’ offerta del vino si è adeguata.
La menzione vegan, certificata da Vegan Society in questo caso, garantisce il non utilizzo, lungo tutta la filiera produttiva, di materiali o coadiuvanti di origine animali (come le colle utilizzate per la filtrazione).
LA DEGUSTAZIONE
Il Prosecco Millesimato Doc Bio Vegan 2016 di 47Annodomini si presenta nel calice color giallo paglierino. Una spuma vaporosa e compatta si sviluppa nel calice con bollicine di media finezza discretamente persistenti.
Dal punto di vista olfattivo è un vino semplice con il frutto a far da padrone. Un naso intenso con i sentori tipici di mela e pera Williams corredati da ricordi floreali. Di alcolicità moderata il Prosecco Millesimato Doc Bio Vegan di 47 Anno Domini ha una buona freschezza che si bilancia al residuo zuccherino regalando un aperitivo gradevole, equilibrato coerente per la tipologia di prodotto.
Se siete vegani il suo posizionamento nella Gdo tradizionale è assolutamente vantaggioso (circa tre euro in meno) rispetto a quello praticato da note catene specializzate, piattaforme online o siti affini a prodotti biologici e vegani.
LA VINIFICAZIONE Il Prosecco Millesimato Doc Bio Vegan di 47 Anno Domini è imbottigliato dall’azienda Vinicola Tombacco di Trebaseleghe in Provincia di Padova, di cui fa parte anche la Tenuta 47 Anno Domini, nata nel 1919 con all’attivo già tre generazioni.
E’ prodotto con uve 100% Glera bio da vigneti della provincia di Treviso. Le uve, accuratamente selezionate, vengono sottoposte a spremitura soffice e quindi a fermentazione in vasche di acciaio per dieci giorni.
Seguono travasi per rendere limpido il vino che diverrà spumante con rifermentazione secondo il metodo Charmat, in autoclave. Valoritalia, società specializzata nella certificazione della qualità delle produzioni aziende vitivinicole si occupa di verificare il rispetto dei protocolli biologici.
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(3,5 / 5) Un prodotto particolare, “diverso”. È la Cuvèe Sergio Rosè MO Collection di Cantine Mionetto. Diverso perché Mionetto, cantina che ha fatto del Prosecco una bandiera, presenta qui uno spumate Extra dry rosè.
LA DEGUSTAZIONE
Colore rosa tenue, brillante, con bei riflessi rosa intenso. Anche la ricca spuma, piuttosto persistente, ha un leggero colore rosato che adorna piacevolmente il bicchiere. Il perlage è abbastanza fine, vigoroso e persistente.
Al naso, Sergio Rosè MO di Cantine Mionetto è molto fruttato. Prevalgono note agrumate di pompelmo, seguite da sentori di piccoli frutti rossi. In bocca è agile, l’effervescenza lo rende giustamente tagliente e beverino. Di buon corpo se paragonato a molti altri charmat.
La buona acidità controbilancia la nota zuccherina (14-17 grammi per litro il dosaggio dichiarato). Nota zuccherina che equilibra il finale, altrimenti leggermente amarognolo. Persistente quanto basta. Valida alternativa ai “cugini” Prosecchi per un aperitivo, Segio Mo Collecion Mionetto è una cuvèe che, a tavola, si sposa bene con fritture leggere o carni non troppo saporite.
LA VINIFICAZIONE Sergio Rosè è ottenuto da un blend di uve rosse autoctone delle regioni Veneto e Trentino, vinificate in rosato con pressatura soffice e poche ore di macerazione sulle bucce. Il vino base subisce poi il processo di spumantizzazione in autoclave.
Fondata nella zona di Valdobbiadene nel lontano 1887 da Francesco Mionetto, capostipite della famiglia, Mionetto ha saputo in quasi un secolo e mezzo di storia divenire una delle realtà più rappresentative del Prosecco anche a livello internazionale. La svolta nel 2008, quando la cantina è stata acquisita dal gruppo tedesco Henkell & CO. Sektkellerei KG, uno dei maggiori produttori europei di bollicine.
L’accesso ai mercati internazionali è stato così più agevole, senza tuttavia snaturare la propria tradizione e vocazione ai territori della Doc e della Docg. Oggi Mionetto è presente in tutti i maggiori mercati mondiali con 32 tipologie di spumante suddivisi in 7 linee di prodotto differente.
Prezzo: 8,19 euro
Acquistato presso: Iper, la Grande I
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Pur restando ampio il divario in valore (circa 1,5 miliardi di euro), nel 2016 le esportazioni di spumanti italiani continuano a ridurre le distanze con quelle francesi, mettendo a segno una crescita a valore superiore al 25% – sulla scia della crescita per i primi sette mesi di quest’anno, come anche segnalato dall’Osservatorio del Vino di cui Wine Monitor è partner – a fronte di una leggera flessione degli spumanti d’oltralpe (-1%).
Manco a dirlo, tutto merito del Prosecco che dovrebbe chiudere l’anno con il vento in poppa, trascinando così al rialzo tutta la categoria, al contrario del più blasonato Champagne che invece terminerà con gli stessi valori di export dell’anno precedente (o giù di lì, con una riduzione a cavallo dell’1%), così come il Cava spagnolo che arretrerà di qualche punto percentuale (-3%).
“In alcuni tra i principali mercati mondiali, gli spumanti italiani mettono a segno crescite nell’export a fronte di cali dei principali concorrenti” sostiene Denis Pantini, Responsabile Wine Monitor di Nomisma. “Basti pensare al Regno Unito, dove le importazioni dall’Italia aumentano, nel periodo gennaio-ottobre di quest’anno, di oltre il 38% in volume rispetto allo stesso periodo del 2015; al contrario, quelle dalla Francia si riducono del 4% mentre dalla Spagna calano di oltre il 13%”.
Ma non è solo la Gran Bretagna a dare soddisfazione ai nostri produttori di spumanti. Anche negli Stati Uniti, che rappresentano il principale paese al mondo per import di sparkling, i vini italiani “fanno meglio” del mercato. A fronte di una crescita nelle importazioni (sempre riferite ai valori dei primi dieci mesi dell’anno) pari all’11%, quelle provenienti dall’Italia superano il 30%. La stessa tendenza si ripete in Canada (+9% l’import totale, +20% quello italiano), in Svizzera e in Germania. All’opposto, gli spumanti spagnoli vedono ridursi la loro quota (calcolata sulle importazioni della categoria) dal 6,2% al 5,3% in Uk e dal 19,2% al 15,5% in Germania.
Non solo cresciamo più dei francesi nell’export, ma sono gli stessi cugini d’oltralpe ad aumentare gli acquisti dei nostri spumanti. “Tra il 2010 e il 2015 – continua Pantini – l’export degli spumanti Dop italiani verso la Francia, al netto dell’Asti, è praticamente decuplicato, passando da meno di 4.000 a quasi 46.000 ettolitri, per un controvalore superiore ai 15 milioni di euro”.
La stessa tendenza sembra ulteriormente rafforzarsi nell’anno in corso: le esportazioni in Francia di spumanti Dop nei primi 9 mesi del 2016 evidenziano un’ulteriore crescita in volume dell’80%, superando già per questo periodo (e ancora prima delle festività di fine anno) i 55.000 ettolitri. Insomma, la moda dello Spritz ha contagiato i francesi e il Prosecco ne cavalca l’onda.
Nel complesso, sarà proprio grazie agli spumanti se l’export di vino italiano riuscirà anche quest’anno a ritoccare verso l’alto il proprio record, alla luce del fatto che i vini fermi imbottigliati – che rappresentano i tre quarti del valore complessivo delle nostre vendite oltre frontiera – segnalano per i primi 9 mesi del 2016 un calo dell’1,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
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Quattrocentocinquanta espositori tra cantine e aziende produttrici di attrezzature professionali e commerciali di prodotti alimentari. Questo e molto altro è stata Cosmofood, manifestazione svoltasi dal 12 al 15 novembre a Vicenza, di cui vinialsupermercato.it è stata partner. Un pubblico di 42 mila persone ha è stato coinvolto in un ricco programma di oltre cento eventi e corsi semi professionali. Senza dimenticare degustazioni e seminari con ospiti illustri del mondo del food, come Ernst Knam.
Ma partiamo nel nostro raccontò tra le varie aziende di vino e non, addentrandoci nel mondo della birra. Due le realtà degne di nota tra quelle “industriali” e “garage”: il birrificio Engel e Tum. Il birrificio Engel, naturalmente di nazionalità tedesca, ha una produzione industriale che definiremmo “limitata”: la grande richiesta di questa birra di qualità ne limita la disponibilità. Un birrificio molto ricercato e in crescita, che sfodera interessanti Pils, Bock, Hell, oltre alla pluripremiata Gold.
L’azienda agricola Tum, di provenienza piemontese, più precisamente di Cavour, in provincia di Torino, si presenta con una base birra molto chiara e acida, sulla tendenza di birre antiche. Ma con un concetto giovanile e versatile: miscelare questa birra con vari sciroppi e aromatizzazioni.
Finito questo piccolo passaggio nel mondo delle birre ci avviciniamo naturalmente a ciò che più cattura il nostro interesse: il vino e i suoi produttori. Un viaggio che non poteva che iniziare da una bollicina, tra le più rappresentative della regione ospitante, il Veneto. Ci troviamo nello stand dell’azienda San Gregorio in Valdobbiadene, che produce Prosecco e non solo da generazioni. Un’azienda che ben si distingue con una sorpresa di ottima fattura. Una Docg ferma, ai più sconosciuta: la denominazione Prosecco Tranquillo, vino 100% Glera che si presenta al naso con tutte le caratteristiche olfattive di un Prosecco, ma che esalta la parte gustativa spesso celata, nel Prosecco “tradizionale”, dalla carica invasiva di anidride carbonica.
Superata la parte delle bollicine Charmat, ci avviciniamo a una delle bollicine italiane più in voga del momento: quella Franciacorta. Anche qui, ecco la sorpresa: quella di un’azienda che propone un ‘Metodo Solera’ per la produzione dei propri vini. Parliamo di Riva di Franciacorta. Naturalmente produttori delle varie declinazioni di Franciacorta, ben si fa apprezzare il Satén.
Ci spostiamo poi nel cuore dell’enologia italiana. Siamo in Umbria per conoscere la storia del Montefalco Sagrantino e delle cantine Rialto. Una realtà attiva dagli anni Cinquanta, che con passione coltiva non un vitigno ma una pianta definita ‘Sacra’, il Sagrantino appunto, capace di dare vita a una versione passita tradizionale, per poi essere “trasformata” anche nella classica versione secca.
Il viaggio enologico prosegue poi in Calabria, regione sempre poco citata, ma che produce ottime varietà, incontrando iGreco: azienda di qualità, si è fatta conoscere e premiare per i propri vini sul palcoscenico nazionale. Originaria di Cariati, in provincia di Cosenza, si presenta con diverse etichette tra cui spiccano alcuni spumanti di Greco bianco e Gaglioppo, oltre alle declinazioni classiche di bianco fermo di Greco e Nero di Calabria. Questa interessante azienda calabrese produce anche una versione di Gaglioppo che entra nel marchio WRT- Wine Researcher Team, un protocollo di vini con un regime rivolto alla naturalezza e alla chimica ridotta all’osso, sia in vigna che cantina.
Concludiamo il nostro tour al cospetto di sua maestà, l’Amarone. Vino della tradizione veneta, ma vinialsupermercato.it ama stupire. Segnalando questa volta un’azienda con uno sguardo rivolto al futuro di questo vino. Parliamo de Le Calendre, produttori in Valpolicella che si rendono protagonisti di un concetto di vino fresco e moderno, ma allo stesso tempo con la voglia di riscoprire vitigni antichi, che possono differenziare la produzione. Una riscoperta che punta a integrare uvaggi come la Corbina, la Croatina e la Turchetta, vinificati in cemento vetrificato e sottoposti a leggeri filtraggi, solo nel pre imbottigliamento.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
“Non voglio polemizzare. Loro, semplicemente, non si riconoscono nelle ‘Bollicine di Lombardia’ e noi ne prendiamo atto”. Commenta così Fiorenzo Detti, presidente Ais Lombardia, la decisione del Consorzio Franciacorta di disertare l’evento “Bollicine di Lombardia”, organizzato proprio dall’Associazione Italiana Sommelier in Oltrepò Pavese. L’appuntamento, in programma da ieri pomeriggio e fino a questa sera all’Enoteca Regionale della Lombardia di Cassino Po, a Broni, ha come obiettivo la valorizzazione e la promozione degli spumanti Metodo Classico e Metodo Charmat prodotti nella regione. Più di 50 le aziende che hanno aderito, di cui 35 sono pavesi. Secondo quanto spiegato da Detti, i “franciacortini” avrebbero storto il naso proprio di fronte alla definizione di “Bollicine di Lombardia”. Troppo “riduttiva” per descrivere quello che, dalle parte di Brescia, amano definire “Metodo Franciacorta”, snobbando così anche la definizione di “Metodo Classico”, internazionalmente riconosciuta per la seconda rifermentazione in bottiglia. Il presidente Ais si mostra pacato davanti ai microfoni di vinialsupermercato.it. Ma non risparmia qualche stoccata in occasione della conferenza di presentazione del banco di assaggio. “Da qualche parte, in Lombardia – ha dichiarato Detti – amano guardare gli altri dall’alto al basso. I 15 milioni di bottiglie che è arrivata a produrre la Franciacorta sono tanti, ma credo che faranno sempre più fatica in futuro, soprattutto per come intendono posizionarsi su un mercato dove il competitor principale è lo Champagne, con i suoi 340 milioni di bottiglie”.
L’APPELLO ALL’UNITA’ DELL’OLTREPO’
Parole in cui affiora l’orgoglio pavese del presidente Ais, nato e cresciuto a Bereguardo. Di fatto, Fiorenzo Detti coglie la palla al balzo per lanciare un appello anche al suo Oltrepò. “La Franciacorta – ha commentato – resta per tutti un esempio da imitare. Da osservatore mi sembra di poter sostenere che da quelle parti viga una sorta di dittatura democratica: tutti parlano, ma alla fine si arriva al dunque e si decide qualcosa. E quello che si decide è sempre nel bene comune della Franciacorta. Vorrei che anche il nostro Oltrepò discutesse e si confrontasse costruttivamente, per portare a casa un valore aggiunto e non per distruggere. Sono convinto che le idee possano essere diverse, ma nel momento in cui insieme discutiamo, litighiamo, picchiamo i pugni sul tavolo, da quella riunione si debba uscire più compatti e più forti di prima, non più frazionati”.
Un appello al cuore del Consorzio Tutela Vini dell’Oltrepò Pavese, rappresentato nella giornata di ieri all’enoteca regionale dal direttore e segretario Emanuele Bottiroli. Ma anche al Distretto del Vino di Qualità dell’Oltrepò Pavese, costola scissionista dello stesso Consorzio, capitanata da Fabiano Giorgi. La ricetta del presidente Ais? “Non è facile, ne sono consapevole – ha chiosato -. Se fosse un piatto, sarebbe sicuramente complicato da realizzare e ricco di tanti ingredienti difficili da far sposare assieme. Ci sono tante teste, tanti interessi. Il mio invito, tuttavia, è quello di mettere nel cassetto i personalismi in nome di un valore che possa essere di territorio e di gruppo”.
IL BANCO D’ASSAGGIO
Un valore assoluto, quello dei vini dell’Oltrepò Pavese, che spicca al banco d’assaggio organizzato dall’Ais, anche tra ottime “bollicine” di Franciacorta. All’eccezionale Extra Brut Riserva 2009 “Curtel”, di cui la cantina Massussi di Iseo (Brescia) ha prodotto solo 2.500 bottiglie (70% Chardonnay, 15% Pinot Bianco, 15% Pinot Nero, 60 mesi sui lieviti che danno vita a un nettare dorato, dai profumi intensi e dal palato in cui lievitano note persistenti di agrumi) risponde a testa alta il Pinot Nero Brut Roccapietra di Cantina Scuropasso (Pietra de’ Giorgi, Pv), tra gli assaggi più interessanti di “Bollicine di Lombardia” per complessità, senza disdegnare un rapporto qualità-prezzo strabiliante.
Delizioso anche il Metodo Classico Extra Brut La Perla di Marco Triacca, interessante realtà della Valtellina capace di spaziare da un’austera Chiavennasca (Nebbiolo) a una bollicina fragrante, ottenuta dalla vinificazione per iperossidazione dell’autoctona Pignola valtellinese, vitigno a bacca rossa. Ventiquattro mesi sui lieviti. Risponde per l’Oltrepò l’ottima Cuvée Bussolera Extra Brut Pinot Nero 2013 Le Fracce (Mairano di Casteggio, Pv) nonché il 100% Pinot Nero Giorgi 1870, Gran Cuvèe storica Metodo Classico Docg provenienti dalle zone più vocate del vigneto, nei comuni di Montecalvo Versiggia, Santa Maria Della Versa e Rocca De’ Giorgi.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
“Scusate la domanda un po’ da ‘ignorante’. C’è da fidarsi ad acquistare un Planeta Santa Cecilia scontato così tanto? Di solito lo vedo in qualche enoteca a 22 euro circa”. E’ la domanda apparsa su un noto social network nei giorni scorsi, all’interno di un gruppo di appassionati di vino e sommelier professionisti.
Ad accompagnarla, una fotografia dello scaffale di un supermercato che mostra il Nero D’Avola Doc Noto “Santa Cecilia” in promozione al 37%. Acquistabile, dunque, per soli 12,50 euro. Avete capito bene? L’enoappassionato chiede ai sommelier se può “fidarsi” (usa esattamente il verbo “fidare”) ad acquistare uno dei migliori Nero D’Avola di Sicilia a prezzo scontato in Gdo. Chiede insomma agli esperti di illuminarlo sulle oscure ragioni che potrebbero nascondersi dietro a quel prezzo, così stranamente al ribasso.
Facciamo qualche ipotesi: rischio di contaminazioni da mucca pazza, ebola, vaiolo? O – forse peggio – qualcuno può aver scoperto che quelle bottiglie di Santa Cecilia sanno di tappo, prima ancora di averle aperte? La verità è un’altra. Ecco perché abbiamo deciso di spiegarvi come, quando e perché potete trovare il vino in promozione nel vostro supermercato di fiducia.
SCONTI E PROMOZIONI: PERCHE’? Le catene della Gdo (da Esselunga a Lidl, da Carrefour ad Auchan, passando per Conad, Iper la Grande I, Eurospin e Coop, per citarne qualcuno) acquistano ingenti quantitativi di merce sulla base di piani promozionali che, nella maggior parte dei casi, vengono stilati una volta all’anno dalle centrali di acquisto. Piani che servono a far quadrare margini di ricavo e bilanci al termine dell’anno fiscale.
Tali piani promozionali, spesso, vengono concordati con fornitori e distributori di beni – tra cui anche i produttori di vino – addirittura al momento della stipula dei contratti. Il buyer della Gdo cerca di abbassare il prezzo d’acquisto di un bene, promettendo la spinta promozionale del prodotto.
Ma ci sono anche altri due casi: l’insegna acquista merce e gestisce autonomamente il prezzo di vendita, senza ‘rendere conto’ al fornitore ; oppure gli garantisce un prezzo concordato, non inferiore a una certa soglia, per tutelarne l’immagine.
Gli acquisti di merce da parte delle centrali della Gdo si basano fondamentalmente sulla presunzione di vendita del bene. E, dunque, sul presunto successo – per rimanere in tema vino – della singola etichetta sugli scaffali del supermercato. Per questo, una delle possibili ragioni alla base degli sconti ‘shock’ è l’eccessivo stock di una determinata etichetta di vino nei magazzini della catena.
Lo stoccaggio di merce invenduta, come è facilmente immaginabile, comporta dei costi. Così, l’insegna preferisce ‘svendere’ un prodotto (garantendosi comunque un minimo di margine, riducendolo dal 30-45% originario) piuttosto che conservarlo nel ‘retrobottega’ senza il minimo profitto.
I prezzi sorprendenti del vino al supermercato possono essere inoltre giustificati dall’immissione in commercio, da parte dei fornitori, di nuove annate. Per intenderci, la stessa operazione a cui assistiamo quando una casa automobilistica ‘svende’ un modello di auto, dopo aver annunciato la produzione del successivo.
In concomitanza con la presentazione ufficiale delle nuove vendemmie da parte delle aziende vitivinicole aderenti ai consorzi delle Doc e delle Docg italiane (ma il discorso vale anche per le Igt), le rimanenze della precedente annata vengono poste in promozione dalle insegne dei supermercati, costrette ad operare al ritmo forsennato del consumatore moderno, sempre più consapevole e informato (ricordate, a tal proposito, il caso del Novello della Valcalepio in promozione a 90 centesimi nei supermercati Il Gigante?). Tutto ciò, ovviamente, non incide sulla qualità della bottiglia, a meno che non si tratti di vini da bere giovani o giovanissimi.
PRODOTTI “FUORI ASSORTIMENTO”
Il prezzo del Nero D’Avola Doc Santa Cecilia Planeta può essere spiegato, infine, da un’ultima ragione. L’offerta risulta valida – come evidenzia l’etichetta prezzo – fino al 31/12/2016: la catena della Gdo si concede insomma tre mesi di tempo per terminare le scorte a magazzino.
Tale vino, dunque, rimarrà scontato per un periodo che va oltre la scadenza del volantino. Molto probabilmente, il buyer, tenendo conto delle scarse rotazioni (vendite) del vino in questione, ha deciso di eliminarlo dall’assortimento, a partire dal 2017. Provando dunque a terminare le rimanenze spingendo le vendite con il 37% di sconto.
Così facendo, la catena guadagna comunque: senza compromettere in alcun modo la salute del consumatore, libera uno spazio a scaffale che destinerà a un nuovo prodotto – magari della stessa casa produttrice? – su cui intende puntare dal nuovo anno. In sintesi? Niente paura, fidatevi degli sconti. Soprattutto se il prezzo pieno del vino supera i 7-8 euro: da questa soglia – ve lo assicuriamo noi di #vinialsuper – si può bere bene. Anche al supermercato.
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Slow Food Piemonte e Valle D’Aosta fa centro, un’altra volta. Si è conclusa con un successo la grande domenica tra le cantine della Doc Colli Tortonesi, lo scorso 19 giugno. Quatar Pass per Timurass, quarto appuntamento del ricco programma di Cantine a Nord Ovest, ha visto la partecipazione di 210 persone. E mentre la macchina organizzativa di Slow Food è già all’opera per il prossimo appuntamento (il 23 luglio per “Scopri il Canelli”, incentrato sull’Oro Giallo, il Moscato d’Asti) Leo Rieser, responsabile eventi della banda piemontese della chiocciola, gongola per il risultato raggiunto. “E’ stata l’edizione di Quatar Pass per Timurass di maggiore successo – evidenzia – pur essendo questo appuntamento uno dei meno storici dell’intero candelario. Abbiamo incontrato persone che erano già state qui nelle edizioni precedenti, a dimostrazione della grande attrattività di questo territorio, che oltre al Timorasso offre grandi vini rossi e specialità gastronomiche eccezionali, come il formaggio Montebore e il salame Nobile del Giarolo”. Un ‘microclima’ particolare, dunque, anche per i rapporti tra viticoltori. “La peculiarità dei Colli Tortonesi – sottolinea Rieser – è che l’esponente d’eccellenza Walter Massa ha saputo recuperare un vitigno autoctono come il Timorasso e creare, assieme ad altri grandi pionieri della zona, un sistema di sincera collaborazione tra viticoltori. Una collaborazione fattiva, tutt’altro che di facciata. Non so quanto sia sincera o puramente provocatoria la dichiarazione che nel 2018 smetterà di fare vino, a voi rilasciata. Quello che mi sento di dire – conclude l’esponente Slow Food – è che qualsiasi cosa farà, la saprà fare benissimo. Walter Massa è un grande, non hai mai sbagliato un colpo. Ma è anche l’uomo dei grandi annunci, dunque staremo a vedere”.
CLAUDIO MARIOTTO
Non è iniziato da Walter Massa il tour di vinialsupermercato.it tra le cantine dei Colli Tortonesi. Bensì da un altro grande riferimento della zona: Claudio Mariotto. Lo abbiamo raggiunto nella cantina di strada per Sarezzano 29, proprio a Tortona, dopo aver ritirato il nostro calice al banchetto Slow Food allestito presso “Il Dì Cafè” di corso Leoniero, angolo piazza Duomo. Grande ressa già alle 11 alla cantina di Mariotto. “Il Timorasso – dichiara il viticoltore – ha fatto sì che un territorio pressoché sconosciuto avesse visibilità. Oggi il Timorasso è a New York, Tokyo, Londra e in tutto il mondo. in vigna l’attività viene portata avanti nel rispetto dell’ambiente, senza entrare però nella partitocrazia del mondo del vino di oggi: mi riferisco alle bandierine del ‘biologico’ o del ‘vino etico’. Facendo vino buono, senza avere soldi per fare pubblicità, si diventa dei riferimenti: il marketing nel vino si fa con le bottiglie buone, bicchiere dopo bicchiere. In una parola, il mio vino è vero”. Oltre a uno splendido Derthona 2010, vino delizioso che promette ancora parecchi anni di evoluzione in bottiglia, degustiamo Pitasso 2004: ottenuto dalla vigna storica di Timorasso, esposta a sud est sul territorio di Vho, colpisce per la potenza espressa dalla struttura, ma anche per le note fruttate che esaltano una beva lenta e voluttuosa, in un sorso che pare di glicerina pura. Le radici profonde della vecchia vecchia pescano gli elementi nutritivi da un suolo che regala un’espressione fantastica di Timorasso, da provare. Ottimi anche i rossi di Mariotto. La Freisa 2014 Braghé è un esempio di quanto questo antico vitigno autoctono piemontese possa essere (anzi debba essere) ulteriormente valorizzato in Italia e nel mondo. Un naso elegante e fine di rosa e piccole bacche rosse, precede un palato in cui le note fruttate di marasca e lampone – chiare, distinte, pulite – chiudono un sorso di grande corpo e sapidità. Chiudono il cerchio i vini Barbera di Mariotto, vero trait d’union di un terroir capace di regalare grandi bianchi, ma anche eccellenti rossi. Non a caso Poggio del Rosso è il vino preferito del viticoltore tortonese, quello che considera la migliore espressione della sua intera produzione. E non solo per una questione di cuore, dal momento che “Il Rosso” è il soprannome col quale veniva chiamato il padre Oreste. Il Poggio del Rosso affina 3 anni in cantina, per la maggior parte in rovere. Risulta così un vino dal tannino morbido ma vivace, impreziosito da note di ciliegia e cioccolato. Sentori terziari di grande pregevolezza già percepibili al naso: dalla cannella al tabacco dolce, dal caffè alla liquirizia.
LA COLOMBERA
Non è dello stesso impatto “emotivo” la visita all’azienda Agricola Semino Piercarlo “La Colombera” di strada comunale per Vho, 7, a Vho per l’appunto. Degustiamo Derthona e Il Montino, entrambi ottenuti da uve Timorasso. Viene proposta una mini verticale che mette in luce le grandi capacità di invecchiamento del vitigno, anche se i prodotti de La Colombera paiono meno ‘pronti’ in gioventù rispetto ad altri degustati domenica 19 in zona Tortona. Le annate 2014 e 2013 suggeriscono di bere Cortese piuttosto che Timorasso, per trovare soddisfazioni immediate sia al naso sia al palato. Merita invece una menzione il Derthona 2009: caldo, complesso, finalmente corposo e strutturato. Capace di regalare i tipici idrocarburi e sentori minerali del vitigno. Lascia perplesso il prezzo di vendita della vendemmia 2009 Derthona: soli 9 euro, a dispetto degli 8 euro delle vendemmie ‘giovani’. In una zona vinicola capace di fare squadra come in poche altre in Italia, una tale disparità di prezzi tra le stesse annate di diversi produttori rischia di sconcertare il consumatore. E deviarlo verso la ricerca del prezzo, più che della qualità. Un punto, questo, su cui devono lavorare in concerto i produttori di Timorasso, pur nell’autonomia delle singole aziende vitivinicole. Alla Colombera apprezziamo anche il naso di Suciaja, rosso ottenuto da uve Nibiò, vitigno autoctono dei colli tortonesi, ‘parente’ del Dolcetto. Ottimo invece nel complesso Arché 2011, altro vino rosso de La Colombera, ottenuto questa volta da uve Croatina. Dopo un breve appassimento sulla pianta, i grappoli vengono raccolti e vinificati. Il vino matura 14 mesi in tonneaux, regalando un naso speziato (pepe) e di piccoli frutti a bacca rossa. Al palato buona la struttura e il corpo: tannino piuttosto elegante e alcolicità sostenuta (14,5%) ma tutt’altro che fastidiosa, impreziosita da una sapidità non banale.
WALTER MASSA Il filosofo del vino, il pioniere e marinaio che ha condotto Tortona a Hong Kong, passando per Londra, New York e Tokyo. Dire Timorasso senza citare Walter Massa è come parlare di calcio senza aver mai toccato un pallone. Lo raggiungiamo all’ora di pranzo nel suo quartier generale di piazza Capsoni 10, a Monleale. Quando arriviamo, Massa sta dicendo messa. E’ al centro di una lunga tavolata, affollata di ospiti che lo ascoltano come se stesse parlando il Messia. Perché Walter Massa è il verbo del Timorasso e il Timorasso è il verbo di Walter Massa. Per questo, chi non c’era, provi a portarsi a casa un Costa del Vento (dalla vendemmia 2014 in giù, finché il portafogli lo consente); o uno Sterpi 2013, un Timorasso che pare per certi versi Vermentino di Gallura. “Io prendo quello che la natura mi dà e cerco di portarlo in bottiglia”, dice Walter Massa mentre invita Pigi, la sua graziosa “badante”, a smettere di riempire i piatti di cassoeula e brodo con i ceci: “Sono qui per il vino, mica per mangiare!”. “Qui abbiamo l’acqua ligure, il vento piacentino, ma ci troviamo in Piemonte: siamo bastardi pieni”, scherza (ma non troppo) Massa, sollevando l’ilarità generale. E tra un sorriso e l’altro spuntano i vini rossi. E che rossi. Pertichetta 2010, 14,5%, ottenuto da uve Croatina, e soprattutto Bigolla 2001, 14,5% di Barbera granata, da definire con una sola parola: eccezionale.
OLTRETORRENTE Dal mito alla new entry. Il passo è breve tra i Colli Tortonesi. Approdiamo così in via Cinque Martiri, a Paderna, dove Chiara Penati e Michele Conoscente, marito e moglie di 35 e 38 anni, sono espatriati da Milano per inseguire il loro sogno, dopo la laurea in Agronomia e diverse esperienze in aziende del settore. Tutto inizia nel 2010, con l’acquisto dell’attuale cantina su tre piani, un edificio storico nel centro del paese, parzialmente ristrutturato. Vengono condotte qui nei primi anni, per la vinificazione, le uve provenienti dal primo ettaro e mezzo di Oltretorrente, che prende il nome “da un romantico episodio di resistenza nell’omonimo quartiere di Parma – spiega Chiara – durante il ventennio fascista: alcuni abitanti, grazie a fantasiosi espedienti, fecero credere di essere armati fino ai denti, barricandosi in un palazzo e scacciando così le milizie. Un episodio che dimostra come, a volte, basta poco per fare le cose in grande e raggiungere grandi obiettivi”. In effetti la produzione di Oltretorrente è degna di nota. Oggi l’azienda può contare su un’altra struttura, sempre a Paderna, in grado di sostenere la lavorazione dei 3,5 ettari complessivi sin ora acquistati. “Si tratta di vigne vecchie – spiega Chiara – dai 20 anni ai 100 anni, con una media di 60”. Un aspetto fondamentale per comprendere la maturità di questa piccola ,e interessantissima realtà. In degustazione non troviamo (purtroppo) una grande varietà di prodotti. L’antipasto è il Cortese 2015, ottenuto dalla pressatura soffice delle uve intere, seguita da un affinamento di 8 mesi in acciaio sui propri lieviti, senza malolattica. Un’attenzione che offre un ottimo naso, fragrante, floreale e fruttato. Al palato vince invece lo spunto minerale, apprezzabilissimo. Sorprendente il Timorasso 2014, che regala note eleganti di fiori bianchi (camomilla). Al palato grande acidità e bel corpo, sorretto anche da una sapidità e da una mineralità che fanno presagire le grandi potenzialità del prodotto. Sulla via di una buona evoluzione anche il Timorasso 2013, l’unico in occasione di Quatar Pass a mostrare venature di uva passa e frutta candita. Buoni prodotti anche i due Barbera dei Colli Tortonesi, con quella Superiore (vendemmia 2012) che si eleva nettamente sulla prima per la grande pulizia delle note fruttate, sia al naso sia in bocca, impreziosite dalle spezie (liquirizia) e da un tannino levigato. “Accorpando vigne di anno in anno – annuncia Chiara – non siamo ancora riusciti a certificarci come produttori biologici, ma questo è il progetto per il futuro”.
POGGIO AZIENDA VINICOLA
Un capitolo a parte merita l’azienda vincola Poggio di Vignole Borbera, sempre in provincia di Alessandria ma all’estremo confine con la Liguria: per intenderci, siamo a pochi chilometri dall’outlet dell’abbigliamento di Serravalle Scrivia (buon motivo per combinare le due visite). Ci troviamo nella preziosa sottozona delle “Terre di Libarna”. Ezio e Mary Poggio, fratello e sorella, lui enologo, lei farmacista, rappresentano la terza generazione di una famiglia che vive nel mondo del vino da 50 anni, che da circa 15 anni ha iniziato a produrre in proprio, appoggiandosi anche su una filiera di piccole aziende agricole limitrofe, alcune delle quali condotte da giovani viticoltori. “Il Timorasso nasce qui come vitigno, in Val Borbera – sottolinea Mary – poi è stato portato nel Tortonese. A un certo punto scomparve per via delle malattie della vite e dello spopolamento delle valli, con gli abitanti della zona attirati dalle industrie, nelle grandi città come Genova, nel dopoguerra. Negli anni 90 Walter Massa ha avuto il merito di cominciare la riscoperta di questo autoctono. Noi siamo arrivati un po’ più tardi, nel 2002, avviando la produzione”. Nella Valle Borbera e nella limitrofa Valle Spinti, negli anni 40, c’erano 275 ettari di vigneto, tutti persi. Oggi in produzione ce ne sono una decina, tutti inseriti nella sottozona Terre di Libarna della Doc Colli Tortonesi. Quella della famiglia Poggio è stata una scommessa: “Abbiamo iniziato a impiantare Timorasso nella speranza che di lì a pochi anni fosse riconosciuta la Doc, altrimenti avremmo dovuto estirpare – sottolinea Mary -. Fortunatamente l’abbiamo ottenuta e abbiamo deciso di chiamare questa sottozona ‘Terre di Libarna’ in onore del sito archeologico di Libarna, che si trova a 4 Km da noi: un’antica cittadella romana, del II secolo avanti Cristo, che godeva di una fiorente viticoltura in Val Borbera e Spinti”.
I vigneti del Poggio si trovano tutti a un’altezza compresa tra i 450 ai 550 metri sul livello del mare. Le viti, come nel Tortonese, affondano le radici in un terreno argilloso e calcareo. Ma le grandi escursioni termiche permettono di produrre un Timorasso da degustare a tutti i costi. Diverso da quello di Tortona e Vho: un Timorasso dall’acidità ancora più spiccata. Con una gradazione alcolica inferiore anche di due gradi rispetto alla media tortonese, che si aggira sui 14 – 14,5%, compensata però da una balsamicità magicamente avvolgente. I risultati ottenuti dal Poggio dalla prima vendemmia del 2008, fa pensare ai coraggiosi Ezio e Mary che avrebbero potuto produrre con successo anche una versione spumantizzata. Ed è così che nel 2010 nasce Lusarein, ottenuto in purezza da uve Timorasso, raccolte precocemente, ottenendo una “base” da 11,5 gradi. Uno charmat d’autoclave lunga (6 mesi), imbottigliato a 12,5 gradi. Di colore giallo paglierino con riflessi verdognoli, Lusarein sfodera una spuma leggera con perlage fine e persistente. Al naso note minerali e agrumate. In bocca una sapidità piuttosto spiccata, cui fa eco un’acidità notevole: caratteristiche che invitano al sorso successivo, che si chiude con un retrogusto amarognolo. Ottimo come aperitivo, può essere abbinato a primi e secondi di pesce, ma anche alle carni bianche. Di Lusarein 2014 sono state prodotte 4 mila bottiglie. Ottimi, del Poggio, anche L’Archetipo e il Caespes, ottenuti sempre da uve Timorasso 100%. Caespes è il base, di cui degustiamo l’annata 2014, già pronta a sorprendere per la grande acidità che regala una beva facile, ma tutt’altro che banale. Si sale ulteriormente di livello con L’Archetipo 2013, dalla notevole vena balsamica, che diventa ancora più profonda e fresca nella vendemmia 2011, davvero degna di nota. Tutti vini ottenuti da rese per ettaro basse, sotto i 50 quintali. Un numero che, per la vendemmia 2015, è sceso addirittura a 35 quintali. Diciottomila le bottiglie prodotte complessivamente dal Poggio, tutte all’insegna di una grande qualità.
AZIENDA AGRICOLA RICCI
Di grande pregio anche la produzione dell’azienda Azienda Agricola Ricci, situata in via Montale Celli 9, Costa Vescovato. Una realtà alla quale ci siamo avvicinati in occasione del Vinitaly 2015. Carlo Daniele Ricci, il titolare, si è ormai specializzato nella produzione di un Timorasso senza pari. Il viaggio tra i sapori (e i colori) di questo uvaggio inizia con Terre del Timorasso 2013, vinificato in acciaio. Vino di un giallo dorato, sfodera un naso non particolarmente intenso, preludio tuttavia di un palato caldo e persistente. Si passa dunque a San Leto 2009, ottenuto mediante fermentazione e affinamento in acacio. San Leto 2006 stupisce per l’intensità olfattiva, che sfiora le tinte balsamiche. Giallo di Costa 2011 scorre nel calice tingendolo di un ambra allettante, che in bocca diventa piacere puro, tanto risulta morbido e rotondo il nettare, nonostante il calore dei suoi 14 gradi di alcol in volume. Giallo di Costa 2007, è l’eleganza fatta vino. E San Leto 2004 la ciliegina su una torta di una produzione di altissimo livello. “Lavorare bene in vigna – commenta il produttore Carlo Daniele Ricci – è il primo passo per ottenere vini di grande equilibrio. Conosco ogni singolo componente dei terreni che coltivo, avendo effettuato per anni delle ricerche accuratissime che mi permettono di capire come sarà il vino ancor prima di produrlo. Nell’area di produzione del Timorasso c’è grande rispetto per l’ambiente e unità tra produttori. Siamo partiti come carbonari, contro tutti i commercianti di vino e le cantine sociali. Dopo 20 anni di fatiche e battaglie, possiamo finalmente affermare che il territorio ce l’abbiamo in mano noi, produttori attenti alla terra e all’ambiente”. Quale immagine migliore per la Doc Colli Tortonesi?
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
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