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Vini al supermercato

EspressoWine sbarca da Carrefour: pronti alla rivoluzione?

Nell’era del take away, ecco il bicchiere di vino monodose. Si chiama EspressoWine. Una razione da 187 ml, confezionata in atmosfera protettiva e sottovuoto.

Un prodotto in cui sta credendo la Grande distribuzione organizzata, con Carrefour in prima linea.

EspressoWine è un marchio registrato del Gruppo De Angeli Srl di Treviso. A produrlo è la Casa Vinicola Botter di Fossalta di Piave, in provincia di Venezia.

Tre le tipologie di vino attualmente in commercio: un vino bianco fermo da uve 100% Chardonnay, un vino rosso fermo da uve 100% Merlot e un rosé Igt Veneto. Il prezzo? Novantanove centesimi, ovvero 5,29 euro al litro.

Nel portfolio di Angeli sono presenti anche un Bianco d’Italia, un Pinot Grigio Igt Venezie, un Moscato Igt Veneto, un Merlot, un Cabernet e un Syrah d’Italia, un Primitivo Igt Salento e un altro rosato, blend di uvaggi a bacca rossa prodotti in Italia.

EspressoWine è un bicchiere in Pet alimentare riciclabile, sigillato ermeticamente, senza l’uso di collanti specifici. Il risultato di 10 anni di studi. Come spiega la stessa De Angeli, viene garantita una shelf life superiore ai 10 mesi, dalla data di produzione.

L’obbiettivo dell’azienda è “ottimizzare il processo di sviluppo prodotto che prende avvio proprio dall’analisi delle precise richieste del consumatore e da un’attenta valutazione delle dinamiche di mercato”.

In effetti, in America, EspressoWine ha vinto il Campionato Mondiale quale “miglior proposta nel mondo del vino”.

Il primo “Ready to Drink” Italiano sul mercato fa eco ad altre proposte che stanno rivoluzionando il modo di consumare vino nel mondo. Lo scorso anno, a Prowein, vinialsupermercato.it raccontava i Pinot Noir in lattina dell’americana Union Wine Co – Made in Oregon. Pronti alla rivoluzione?

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Sorgentedelvino Live 2018: i migliori assaggi

PIACENZA – Che non si tratti di una degustazione di Château d’Yquem al Marina Bay Sands di Singapore, lo si intuisce dal colpo d’occhio iniziale.

E’ un pannello di plexiglass marrone, con la scritta a pennarello “Ingresso Sorgentedelvino Live”, ad accogliere una cinquantina di persone. Un freddo lunedì 12 febbraio segna le ultime 6 ore di fiera, a Piacenza Expo.

Il pannello, poggiato a terra, davanti alla cancellata che si spalanca a mezzogiorno in punto, la dice tutta sulla tre giorni che ha visto protagonisti 150 vignaioli (circa 800 vini) provenienti da ogni angolo d’Italia, oltre che da Austria, Croazia e Francia. Conta più la sostanza della forma.

E di “sostanza” ne troviamo tanta nei calici dei produttori, accomunati dal credo in un’agricoltura “biologica, biodinamica e sostenibile”. “Vino che si affida alla natura, per arrivare dall’uva alla bottiglia”, come piace definirlo agli organizzatori Paolo Rusconi, Barbara Pulliero e Francesco Amodeo, con l’astuzia linguistica di chi ha visto crescere Sorgentedelvino Live sin dalla prima edizione del 2008, 10 anni fa.

Quattromilacinquecento gli ingressi quest’anno, rende noto l’ufficio stampa. Cinquecento in più, nel 2018, rispetto all’edizione precedente. Una manifestazione che cresce. Come cresce l’interesse, in Italia, per i vini cosiddetti “non convenzionali”.

I MIGLIORI ASSAGGI
Ecco, dunque, i nostri migliori assaggi. Parte del leone la fa la Calabria, regione posta appositamente sugli scudi dagli organizzatori di Sorgentedelvino Live 2018. Buona rappresentanza anche per l’Oltrepò Pavese, che si conferma culla lombarda di una viticoltura alternativa, tra i colli del miglior Pinot Nero spumantizzato d’Italia.

Segnaliamo l’attento lavoro di recupero di due autoctoni in Toscana, da parte di una produttrice che, di “autoctono”, ha ben poco (ed è anche questo il bello). Poi qualche realtà emergente che saprà certamente imporsi dalle parte di Soave, in Veneto, ma non solo.

E una conferma assoluta in Liguria, con uno dei produttori più interessanti dell’intero panorama nazionale dei vini naturali. Infine, uno straordinario assaggio in Sardegna. Quello dal quale vogliamo partire per raccontare i migliori calici di Sorgentedelvino Live 2018.

1) Barbagia Igt 2016 Perda Pintà, Cantina Giuseppe Sedilesu. Giallo luminoso come una spada laser il Perda Pintà di Giuseppe Sedilesu, ottenuto dal vitigno autoctono di Mamoiada, paesino 2.500 anime in provincia di Nuoro: la Granazza, allevata ad alberello.

Un vitigno che non risulta ancora classificato ufficialmente. I Sedilesu lo hanno riscoperto e valorizzato, unendo il frutto di alcune viti presenti tra i filari di Cannonau. Al naso un’esplosione di macchia mediterranea, unita a sentori aromatici e avvolgenti che, poi, caratterizzeranno il palato.

L’avvolgenza è quella dei 16 gradi di percentuale d’alcol in volume, che rendono Perda Pintà perfetto accompagnamento per formaggi stagionati e piatti (etnici) speziati, come per esempio un buon pollo al curry o i dei semplici granchietti al pepe.

2) Azienda Agricola I Nadre. Degustare i vini della vitivinicola I Nadre, significa compiere un tuffo nel calcare, sino a respirarlo. Siamo in provincia di Brescia, più esattamente in località Muline, a Cerveno, Val Camonica. Il terroir calcareo e sassoso dei 2 ettari vitati conferisce un fil rouge di grande salinità a tutti gli assaggi di questa cantina.

Ottimo il Riesling che degustiamo in apertura, seguito dall’ancora più sorprendente Metodo Classico Vsq millesimato 2012 “A Chiara”: Chardonnay in purezza, dosaggio zero (tiraggio giugno 2013, sboccatura 19 settembre 2016).

A giugno 2018 sarà messo in commercio il millesimato 2015 e conviene prenotarsene almeno un cartone. Interessante anche la Barbera Igt Vallecamonica Le Muline 2015 “Vigneti della Concarena”, anche se appena imbottigliata.

3) Igt Toscana spumante rosato 2016 “Follia a Deux”, Podere Anima mundi. Altro assaggio memorabile e forse irripetibile. Già, perché Marta Sierota – l’elegante padrona di casa franco polacca di Podere Anima mundi – lo commercializza solo in cantina, per pochi intimi.

Il resto finisce in alcuni wine bar ben attrezzati di Roma, Bologna e della stessa Casciana Terme Lari, paese che ospita la cantina, in frazione Usigliano (Pisa). Centocinquanta bottiglie in totale per questo sparkling, su un totale di 10-15 mila circa complessive per Podere Anima Mundi.

Si tratta di uno spumante metodo ancestrale (non filtrato e non sboccato) base Foglia Tonda, autoctono a bacca rossa che qualche lungimirante produttore sta tentando di valorizzare, nella Toscana dei tagli bordolesi alla vaniglia. Un vino da provare a tavola, per il bel gioco che sa creare al palato tra frutto e salinità.

Di Podere Anima Mundi, interessante anche il Foglia Tonda 2015 “Mor di Roccia”, lunghissimo in bocca. Non delude neppure l’altro autoctono, il Pugnitello: “Venti” 2015 è ancora giovane ma di ottime prospettive, mentre la vendemmia 2014 sfodera una freschezza e una mineralità da applausi, unite a un tannino presente, ma tendente al setoso.

4) Calabria Igt Magliocco 2013 Toccomagliocco, L’Acino. Tutto da segnalare dalle parti di Dino Briglio Nigro. Siamo sulla Piana di Sibari, tra lo Jonio e il Tirreno, tra il Pollino e la Sila. Meglio non perdersi neppure un’etichetta di questo fiero produttore calabrese.

Da Giramondo (Malvasia di Candia) ad Asor (“rosa”-to di Magliocco e Guarnaccia nera) passando per Cora Rosso e Toccomagliocco, il Magliocco in purezza che costituisce la punta di diamante di questa cantina.

Grande pienezza sia al naso sia al palato, per un vino che riesce a esprimere – oltre a classiche note di frutta rossa e rosa – anche curiosi sentori di arancia a polpa rossa matura. Non mancano richiami speziati e minerali e un tannino che lo rende perfetto accompagnamento per piatti a base di carne.

5) Cirò Riserva 2012 “Più vite”, Vini Cirò Sergio Arcuri. Altro giro, altra giostra. Sempre in Calabria. Salire su quella di Sergio Arcuri è come catapultarsi a Cirò. Tra le vigne ad alberello di quel grande vitigno del Meridione d’Italia che è il Gaglioppo, sino ad oggi fin troppo offuscato dalla lucentezza dell’Aglianico.

Se “Aris 2015” è il campione di domani, il Cirò Riserva 2012 “Più vite” è il fuoriclasse di oggi. Ottenuto dal cru Piciara, costituisce la materializzazione in forma liquida della terra argillosa, quasi appiccicosa, della vigna più vecchia di casa Arcuri.

Un vino che ha tutto e il contrario di tutto: frutto, sapidità, tannino (quest’ultimo quasi scontato, presente ma dosato). Un rosso pronto, eppure di grande prospettiva. In definitiva, uno di quei vini da avere sempre in cantina.

Un po’ come il rosato da Gaglioppo “Il Marinetto”: splendido, per la sua grande consistenza acido-tattile al palato. E, non ultimo, per il suo colore vero, carico del sole di Calabria più che della nebbia di Provenza ormai tanto in voga tra i rosè.

6) Bonarda Oltrepò pavese Doc 2012 Giâfèr, Barbara Avellino. Forse il vino dal miglior rapporto qualità prezzo degustato a Sorgentedelvino Live 2018 (8,50 euro in cantina). Ma non immaginatevi il classico “Bonardino” dal residuo zuccherino piacione.

Giâfèr sta tutto nel nome: giovane, fresco, vivace. Un Bonarda dell’Oltrepò pavese che sfodera un naso e un palato corrispondenti, sulla trama che accompagna i tipici frutti rossi e i fiori di viola: un’esplosione di erbe di campo e liquirizia dolce in cui si esalta il blend di Croatina (85%), Barbera e Uva Rara.

Ma brava e coraggiosa Barbara Avellino non si ferma qui. Ha ancora in cantina qualche bottiglia di Metodo Classico 2005 “I Lupi della Luna”, base Pinot Noir con un 10% di Chardonnay. Uno spumante non sboccato (tiraggio 2008) interessantissimo, la cui commercializzazione è stata avviata solo dal 2014. Più di 110 i mesi sui lieviti.

Naso di erbe (ebbene sì, ancora loro) e palato appagante per corpo e complessità, giocata su tinte balsamiche e elegantemente mielose. Buona anche la persistenza. Le uve utilizzate per questo sparkling provengono dai terreni di Roberto Alessi de “Il Poggio” di Volpara (PV).

7) Pinot Nero Provincia di Pavia Igt “Astropinot” 2013, Ca’ del Conte. Uno di quei Pinot d’Oltrepò che fanno rima con chapeau. Paolo Macconi, titolare con la moglie Martina dell’azienda a condizione famigliare Ca’ del Conte di Rivanazzano Terme (PV) è uno che i vini li sa fare e anche vendere.

Non a caso va forte in Giappone, dove si vanta di vendere “vini che arrivano in perfetto stato, nonostante l’assenza di solforosa aggiunta e 40 giorni di nave”. E “Astropinot” 2013 è tutto tranne che un autogol.

Bellissima l’espressione del frutto “Noir” che riempie di gusto il palato, mentre l’anima animale del Pinot si fa largo con le unghie, espresse (anche) dal tannino vivo ma ben amalgamato. Un cru ottenuto dal vigneto “Il Bosco”, capace di rende merito al meglio della produzione vitivinicola dell’Oltrepò pavese.

Di Ca’ del Conte (azienda che fa delle lunghe macerazioni un credo, con un media di 90 giorni per le annate precedenti alla 2016) ottimi anche i bianchi. Segnaliamo il Riesling renano con un riuscitissimo tocco di Incrocio Manzoni, ma sopratutto lo Chardonnay 2013 Fenice: strepitoso. E aspettiamo il prossimo anno, quando sarà messa in commercio la prima vendemmia (2017) di Timorasso.

8) Insolente Vini. Lo dicevamo all’inizio: “sostanza” più che “forma” a Sorgentedelvino Live. Ecco una giovane cantina che riesce a coniugare entrambi gli aspetti: la sostanza dei vini di Insolente è pari alla loro forma.

Ovvero all’estetica, accattivante e moderna, delle etichette elaborate da Luca Elettri, pubblicitario prestato all’azienda di cui sono titolari i tre figli Francesca, Andrea e Martina. Il risultato sono 6 vini (3 bianchi, due rossi e uno spumante) elaborati in uno dei Comuni roccaforte del Soave Classico, Monteforte d’Alpone (VR).

Per l’esattezza: Bianco PR1, bianco macerato LE1, frizzante RM1 2016, rosso FC1, rosso jat AE1 e spumante ME1 2016, tutti alla prima vendemmia assoluta (2016). Garganega per i bianchi. Tai Rosso, Cabernet e Merlot per i rossi. Ma tra tutti, oltre al Tai, risulta molto interessante la “bollicina” di Durella, da vigneti vocati a Brenton di Roncà (VR), situati a 400 metri sul livello del mare.

Seicento bottiglie in totale, per uno spumante fresco, croccante. Una di quelle bottiglie che non stancano mai. Una bella espressione di uno strepitoso terroir, che sta conquistando sempre maggiore credibilità. E che ora può contare su un altro interprete. Giovane. Ma soprattutto Insolente.

9) Gewurztraminer 2016, Weingut Lieselehof. Una vecchia conoscenza di vinialsuper, già segnalata tra i migliori assaggi del Merano Wine Festival 2017, per lo strepitoso Piwi Julian 2008 e per il passito Sweet Claire (100% Bronner).

A Sorgentedelvino Live 2018 le strade si incrociano per un altro cavallo di battaglia di Weingut Lieselehof: il Gewurztraminer. Uno di quelli da provare, perché si discostano dalla media. Tipico più in bocca che al naso, dove sembra assumere note che lo avvicinano di molto al Moscato Giallo. La spiccata acidità al palato rende questo vino davvero speciale

10) Tra i migliori vini passiti degustati, due calabresi dominano la scena: il Moscato di Saracena di Cantine Viola, vendemmia 2014, è uno di quei vini che riescono ad andare al di là di un calice assoluto valore. Attorno alla riscoperta del Moscato di Saracena, Luigi Viola e la sua famiglia sono riusciti a creare un mondo.

Una sorta di indotto, costituito dalla recente fondazione di una cinquantina di cantine nella provincia di Cosenza. A raccontarlo è lo stesso Alessandro Viola, col garbo dei grandi uomini di vino.

Ottimo anche il Greco di Bianco passito dell’Azienda agricola Santino Lucà di Bianco (Reggio Calabria). Un passito dalle caratteristiche più classiche rispetto al Mantonico passito proposto in degustazione dalla stessa cantina, a Sorgentedelvino Live 2018.

Chiudiamo con un classico per i lettori di vinialsuper: il vino cotto Stravecchio Marca Occhio di Gallo della Cantina Tiberi David. Un unicum nel suo genere, che ancora attende (a differenza del Moscato di Saracena di Cantine Viola) il riconoscimento di “presidio Slow Food” per la definitiva consacrazione. Un aspetto che vi racconteremo presto, in un servizio ad hoc. Straordinaria l’espressione della vendemmia 2003 in degustazione.

Letteralmente “fuori concorso” il Pigato 2003 in versione “Armagnac” di quel santuario ligure che è Rocche del Gatto. A presentarlo è il guru Fausto De Andreis, che nella sua Albenga (SV) è artefice di vini immortali, a base Pigato e Vermentino.

Fausto ha chiamato questa “bevanda spiritosa” da 33% “Oltre Spigau 03”. Un altro passo avanti verso la battaglia irriverente di un vignaiolo d’altri tempi e senza tempo. Come i suoi vini.

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Prontuario delle Langhe: vino, gastronomia e degustazione da Gaja e Cavallotto

Il nome Piemonte deriva dal latino Pedemontium, cioè la regione situata “ai piedi dei monti”. In origine tale nome era limitato a un territorio molto più ristretto dell’attuale, compreso tra il corso superiore del Po e il Sangone.

In seguito si estese sempre più, seguendo le fortune dei Savoia, fino a comprendere il Canavese, il Monferrato, le Langhe, le valli alpine, il Vercellese e il Novarese.

Proprio le Langhe e il suo vitigno principe, il Nebbiolo, sono l’oggetto del nostro wine tour. L’etimo del nome “Langa”, che in piemontese indica proprio la collina, è incerto. L’ipotesi più accreditata è quella di “lanka” con il significato di “conca, avvallamento”.

Le Langhe sono una regione del Piemonte situata a cavallo delle provincie di Cuneo e di Asti, confinante con altre regioni storiche del Piemonte, quali il Monferrato ed il Roero ed è costituita da un esteso sistema collinare delimitato dai fiumi Tanaro, Belbo, Bormida di Millesimo e Bormida di Spigno.

IL NEBBIOLO
L’origine del nome, un tempo scritto “Nebiolo”, pare derivare dal latino “nebia”, probabilmente dovuto al fatto che il periodo di raccolta è quello in cui le prime nebbie iniziano a salire dal fiume Tanaro verso la sommità delle colline.

Un’alternativa a tale ipotesi è collegata alla pruina biancastra che ricopre gli acini: la “pruina”, una cera secreta che produce un rivestimento biancastro sugli acini, concentrando sulla loro superficie i lieviti.

Il termine Nebbiolo apparve per la prima volta nelle Langhe il primo dicembre 1431, ed era riferito ad una varietà di vitis vinifera che qui aveva trovato il suo habitat naturale, e dai cui grappoli si otteneva un vino già allora lodato ed apprezzato.

In tutto il territorio delle Langhe il Nebbiolo viene considerato il re dei vitigni: ad esso vengono riservati i terreni migliori, vale a dire i versanti collinari esposti a mezzogiorno, con altitudine compresa tra i 200 e i 400 m slm.

Si tratta di una varietà molto vigorosa che richiede potatura lunga con 10-12 gemme, il cui bisogno di spazi si accentua grazie alla sterilità delle prime 2-3 gemme, che impediscono un infittimento d’impianto sul singolo filare; a tale scopo è possibile ridurre la distanza tra i filari.

Le Langhe si sono formate durante il Miocene (da 15 a 7 milioni di anni fa), per sedimentazioni successive di rocce prevalentemente terrigene (conglomerati, arenarie, argille).

I terreni delle zone del Barolo e del Barbaresco, formatisi in età Elveziana (era geologica che va da 15,97 a 13,82 milioni di anni fa, e Tortoniana, che va tra 7, 24 e 11,60 milioni di anni fa) sono composti da marne argillo- calcaree sedimentarie intervallati da strati di sabbia più o meno compatta e da arenarie di colore grigio- bruno.

BAROLO E BARBARESCO
I terreni delle zone del Barolo e del Barbaresco si sono venuti a formare in Età Elveziana e Tortoniana e sono prevalentemente composti da marne argillo- calcaree sedimentarie, intercalate in strati di marne più o meno importanti di colore grigio- azzurro (dette Marne di Sant’Agata) e da strati di sabbia o arenarie di colore grigio- bruno e giallastro ( le così dette Arenarie di Diano).

Le Marne di Sant’ Agata che troviamo nei comuni di La Morra e Barolo danno origine a vini eleganti, profumati dalla maturazione un po’ più veloce, mentre le Arenarie di Diano (presenti nelle zone di Castiglione Falletto e in parte in quelle di Monforte) danno origine a vini più alcolici, più robusti e più longevi. Nella zona del Barbaresco predominano le Marne di Sant’Agata di origine tortoniana.

Nell’ambito di una zona completamente caratterizzata dal clima continentale temperato, i dati termici dimostrano che il comprensorio del Barbaresco gode di temperature lievemente superiori, rispetto ai comuni di Barolo con conseguente anticipazione della maturazione delle uve e della vendemmia di circa una settimana.

Nelle Langhe il mese più piovoso è maggio che registra precipitazioni medie vicine ai 100 millimetri, seguito da aprile (circa 80) e settembre (vicino ai 70). È evidente che l’influenza della pioggia può essere notevole sia in fase di fioritura (dove è in grado di determinare riduzioni produttive anche consistenti) sia in fase di raccolta (dove periodi di pioggia prolungata possono comportare problemi di muffe o marciumi).

Più in generale, modificando sensibilmente la qualità del prodotto finale. L’eccesso di pioggia nel periodo pre vendemmiale può, provocare una caduta di acidità non supportata da un incremento di zuccheri. Il Nebbiolo è  senza dubbio un vitigno resistente, la zona è caratterizzata da una luminosità decisamente alta, che garantisce l’ottimale svolgimento della fotosintesi clorofilliana.

Altro fenomeno meteorologico di particolare rilievo è costituito dalla grandine, che può avere conseguenze sia sulla quantità dell’uva:  in annate particolarmente flagellate si può arrivare a riduzioni complessive del 20-30%, con alcune zone in cui l’uva viene completamente rovinata, come è avvenuto nei raccolti del 1986 e del 1995. Per fortuna, la grandine non si avverte mai in modo generalizzato su tutta la zona, limitandosi a qualche fascia collinare.

GASTRONOMIA NELLE LANGHE: GLI ABBINAMENTI CIBO-VINO
“Non di solo pane vive l’uomo”, Matteo 4,4 e Luca 4,4. Ma resistere, in Langa, è quasi impossibile. La cucina piemontese ha sicuramente risentito, nel corso dei secoli della vicinanza di quella francese, ma pur subendone l’influsso, ha conservato una sua inconfondibile fisionomia di schiettezza ed originalità.

Il Piemonte è una regione che offre ai visitatori una vastissima gamma di antipasti caldi e freddi, come i crostini di tartufo d’ Alba, il carpaccio di carne cruda condita con olio extra vergine d’oliva e una spolverata di pepe nero, i salumi crudi e cotti nel cui impasto viene messo spesso del vino nobile maturo come Barolo, Barbaresco, e Barbera d’Alba. Per gli antipasti sarebbe opportuno stappare un buon Barbera.

Tra i primi piatti, i più importanti e ricercati sono gli agnolotti del plin, nome che deriva dal gesto fatto per chiudere la pasta, ripiena in più versioni con carne magra, arrosto o al tartufo.

Da non dimenticare i tajarin al tartufo, pasta fatta in casa con 30 tuorli d’ uovo per chilo di farina, tagliata molto fine, condita con abbondante burro, parmigiano reggiano e sottili scaglie di tartufo. Da abbinare un Barbaresco.

Passando alle pietanze più ricercate dagli amanti della buona cucina, ricordiamo il brasato al Barolo, manzo marinato e stufato lentamente nel vino omonimo da abbinarsi con lo stesso Barolo con cui si è marinata la carne.

GAJA: LA STORIA
La famiglia Gaja si stabilì in Piemonte a metà del diciassettesimo secolo. Cinque generazioni si sono alternate nella produzione di vino da quando Giovanni Gaja, nel 1859, fondò la cantina a Barbaresco, nelle Langhe.

Il bisnonno di Angelo, Giovanni, titolare di una fiorente attività di trasporti che sa far rendere il duro lavoro suo e dei suoi figli, cinque maschi e due femmine. tanto da lasciare in eredità una cascina ad ognuno di loro. Tre dei suoi figli la dilapideranno al gioco.

Fu nonna Tildin, vedova dal 1944, a reggere le redini della cantina che allora  vendeva vino soltanto a privati. Privati illustri, come i Somaini di Milano, gli Zegna, i Nasi: famiglie con lo chef in cucina e la cantina colma di grandi vini francesi, che ordinavano le damigiane di Barbaresco per il consumo “da pasto”.

Il vino si vendeva, dunque, con cadenze tranquille, senza affanni: poteva restare anche dieci anni in vasca, in attesa che arrivassero i compratori. Già da allora, per volere di nonna Tildin si seguiva una politica di rigore di produzione, votata all’alta qualità.

Quando Angelo Gaja entra in azienda, nel 1961, trova una situazione economica invidiabile, un nome già famoso in Italia, oltre a 33 ettari di splendide vigne nell’areale di Barbaresco. Quando nel 1965-66 sente l’esigenza di entrare nella grande ristorazione, ha già a disposizione un’eccellente gamma di vini.

Poi nascono i cru: il primo, Sorì San Lorenzo, è del 1967. Nel 1970 entra in azienda l’enotecnico Rivella; nasce nello stesso anno Sorì Tildin, seguito nel 1978 da Costa Russi. Nel territorio delle Langhe vi sono terreni ed esposizioni dalla vocazione straordinaria, non soltanto atti a produrre grandi vini, da varietà autoctone, ma anche in grado di esprimere vini di qualità superiore anche da varietà non tradizionali, quali: Chardonnay e Sauvignon blanc.

LA DEGUSTAZIONE
1) BARBARESCO 2011 DOCG
Uve: Nebbiolo 100%  Titolo alc. Vol. 14,5%. Barrique e botte grande. Prezzo: 135 euro
Nel calice si presenta di colore rosso rubino, i suoi profumi sono di note scure, eleganti e profondi. Si percepiscono nettamente sentori di humus, funghi, sottobosco, foglie, in successione si presentano note fruttate di giuggiole, e note floreali di violetta oltre ad una leggera volatile.

Alla gustativa non delude rispecchiando alla perfezione tutto ciò che si è percepito all’olfattiva: il tannino è presente, ma non invadente, la freschezza e l’acidità si sorreggono e spalleggiano formando in degustazione  due binari paralleli e ben distinti.

2) SORI’ SAN LORENZO 2011 LANGHE NEBBIOLO DOC
Uve: Nebbiolo 95% Barbera 5%  Titolo alc. Vol 14,5% Barrique e botte grande. Prezzo: 300 euro
Granato non impenetrabile. Forte presenza di note scure di humus foglia di tabacco, legno di cedro; in seconda battuta sentori di erbe aromatiche. Le componenti olfattive sono di notevole spessore ed eleganza.

Anche all’assaggio a farla da padrona sono queste note scure: sapido e piacevolmente tannico, chiude con un finale di bocca pulito.

3) SORI’ SAN LORENZO 2004 LANGHE NEBBIOLO DOC
Uve: Nebbiolo 95% Barbera 5%  Titolo alc. Vol 14,5% Barrique e botte grande. Prezzo: 220 euro
Granato luminoso. Impianto olfattivo molto generoso e complesso con note di arancia rossa, bouquet salino-salmastro con sentori di conchiglia, salamoia. Alla gustativa vi è una buona interazione tra parte acida, sapidità e tannino. La parte acida si percepisce in maniere preponderante sorreggendo l’intero vino.

4) GAYA&REY 1993 MAGNUM
Uve: Chardonnay 100%  Titolo alc.Vol 13,5% Botte grande.
Colore oro-verde brillante. Naso burroso, fumè, minerale con sentori riconoscibili nella frutta secca, frutta esotica, canna di fucile. Alla gustativa si percepisce una buona tridimensionalità, con freschezza centrale che racchiude una buona morbidezza e sapidità con una nota lunga burrosa in chiusura.

CANTINA CAVALLOTTO, TENUTA VITIVINICOLA BRICCO BOSCHIS
La Tenuta Cavallotto si trova alle porte di Castiglione Falletto, nel cuore della zona del Barolo, sul Bricco Boschis, ed occupa una superficie di 23 ettari vitati.

I Cavallotto sono proprietari e produttori da generazioni: Giacomo ed i figli Giuseppe e Marcello acquistano nel 1928 la tenuta Bricco Boschis ed insieme continuarono a lavorare come viticoltori nei vigneti attorno alla cantina.

A quel tempo, gran parte delle uve era venduta alle cantine commerciali e solo una parte di essa vinificata nella proprietà per la vendita in bottiglia e in damigiana.

Nel 1944, Giuseppe e i figli Olivio e Gildo decisero di vinificare interamente le uve prodotte e nel 1948 nacque, ufficialmente, la Cantina Cavallotto con la commercializzazione delle proprie bottiglie etichettate. Ad oggi i figli di Olivio, Laura e i fratelli Giuseppe ed Alfio, entrambi enologi continuano a vinificare esclusivamente le uve prodotte nella tenuta e da loro dipende l’impostazione tecnica dell’azienda e la produzione dei vini.

Il pregio di questi vini deriva da un’interessante combinazione di svariati fenomeni: l’uomo con il suo attaccamento alla terra e a una civiltà contadina che dalla terra ha tratto le sue origini più remote; la lunga esperienza sul vino maturata negli anni; gli sviluppi costanti e la crescita della tecnica enologica e agronomica; e soprattutto, le condizioni pedoclimatiche di cui gode questa zona di Langa.

LA DEGUSTAZIONE
1) BARBERA D’ALBA SUPERIORE 2011 Vigna del Cuculo
Uve: Barbera 100%  Titolo alc. Vol. 14,5% Maturazioni in botte di Slavonia per 2 anni. Prezzo: 24 euro
Rosso granato. Al naso si percepisce nettamente un frutto croccante molto accentuato (ciliegia, fragola, marasca), ma anche sentori di terziarizzazione quali cuoio, pellame, spezie dolci (ginepro). Alla gustativa si percepisce un tannino lieve e vellutato ed una marcata acidità. Un vino di gran classe.

LANGHE NEBBIOLO 2011
Uve: Nebbiolo 100%  Titolo alc Vol. 14,5%  Botte grande per 18 mesi. Prezzo:17 euro
Colore granato. All’olfattiva si percepiscono sentori scuri e che escono con difficoltà dopo una lunga areazione nel bicchiere, di china, spezie, liquirizia, frutti maturi di prugna, ciliegia, pera. Alla gustativa si percepisce un calore leggermente cadente sull’acidità. Sfuma con  erbe mediterranee. Lascia in bocca una sensazione alcolica troppo presente.

BAROLO RISERVA VIGNOLO 2008
Uve: Nebbiolo 100%  Titolo alc. Vol. 14,5%. Quattro anni in grandi botti di rovere di Slavonia da 50 hl. Prezzo: 75 euro
Rosso granato. Bouquet fruttato floreale si percepiscono note delicate e gradevoli di rosa, miele, prugna matura, giuggiole. Al gusto è “monocorde” esclusivamente fruttato con un tannino presente, ma levigato e piacevole. Uno splendido vino, un Barolo di assoluto riferimento.

CONCLUSIONI
Il 22 giugno 2014 durante la trentottesima sessione di comitato Unesco a Doha, le Langhe sono state ufficialmente incluse, insieme a Roero e Monferrato nella lista dei beni Patrimonio Mondiale dell’Unesco.

Svegliandosi a La Morra, spostando le tende oscuranti per far entrare la luce del giorno, ti si palesa davanti uno spettacolo mozzafiato, con vigneti a perdita d’occhio. Ricoperti da una nebbia fitta, ma sottile.ù

A rendere emozionante questa visuale è stata proprio la nebbia. Nebbia che nei giorni successivi riesce a farsi odiare, restandoti incollata addosso. Un po’ come il sole delle Puglie, che ti entra nelle ossa, ma con effetti differenti.

Che il Barolo sia il re dei vini è ormai noto a tutti. Ma quello che non sanno tutti è che anche la cucina langarola non è da meno. E si sposa magnificamente con un qualsiasi vino ottenuto da Nebbiolo. Che sia Barolo, Barbaresco, giovane o invecchiato.

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vini#1

Trento Doc Brut Nature Cuvée Perlé Zero 10, Ferrari

Perlé Zero è l’ultimo spumante Metodo Classico partorito da Ferrari Trento. Una Cuvée di tre vendemmie di solo Chardonnay, messa in bottiglia nel 2010.

Un mosaico costruito con grande gusto ed eleganza dalla casa spumantistica trentina, che arricchisce il proprio curriculum dell’ennesimo capolavoro.

LA DEGUSTAZIONE
Il calice del Ferrari Perlé Zero Cuvée Zero (sboccatura 2017) si colora di un giallo dorato luminosissimo, spezzato da un perlage finissimo e di rara persistenza. Un vulcano in eruzione nel vetro.

Ma siamo in montagna. E il naso del Perlé Zero stabilisce coordinate geografiche (e ampelografiche) indiscutibilmente riconoscibili. Nette. Quelle del grande Chardonnay del Trentino.

A flebili richiami di crosta di pane e lieviti, tipici del Metodo Classico, rispondono con fierezza sentori morbidi di pasticceria. Un prato su cui spuntano fiori di camomilla, arnica, verbena, radice di liquirizia. Erba appena sfalciata. Quando la temperatura si alza un poco nel calice, ecco i caldi risvolti meno attesi: le zaffate del cumino e dello zenzero.

In bocca, il Trento Doc Ferrari Perlé Zero entra dritto, sul filo di un rasoio. Poi si allarga. Il filo conduttore resta comunque la sapidità, unita a un’acidità invidiabile. Tutt’attorno rimbalzano sentori fruttati esotici (ananas maturo) che giocano a smussare durezze e dosaggio (zero, appunto), assieme alla tipica avvolgenza ammandorlata dello Chardonnay. Sembra il lavoro del mare, attorno agli scogli.

Rendono ancora più complesso il quadro gustativo i richiami balsamici di mentuccia e macchia mediterranea. Il tutto prima di una chiusura lunga e persistente, connotata da una vena amara di pompelmo, capace di stuzzicare il sorso successivo.

Un grande spumante, complesso ed elegante, questo Perlé Zero di Ferrari. Perfetto in abbinamento a portate di pesce e crostacei, anche se – per struttura – non disdegna affatto le carni bianche. Da provare con un piatto esotico come l’anatra alla pechinese, tutt’altro che scontato.

LA VINIFICAZIONE
Tre vendemmie, messe in bottiglia nel 2010, compongono la Cuvée Zero 10 di Ferrari. In particolare, si tratta dell’assemblaggio del miglior Chardonnay 2006, 2008 e 2009. Uve provenienti dai vigneti di montagna di proprietà della famiglia Lunelli, alle pendici dei monti, in Trentino.

Come spiega la stessa Ferrari, la Cuvée di Perlé Zero prende il nome dall’anno della messa in bottiglia, in questo caso 10 (2010). Il mosaico di millesimi viene precedentemente affinato in acciaio e in legno, poi in vetro. Una volta imbottigliata, la cuvée matura per un minimo 6 anni su lieviti selezionati in proprie colture.

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Sicilia, sorpresa Glera: è il vitigno “minore” più coltivato

PALERMO – C’è un po’ di “Veneto” in Sicilia. Centoventisette ettari, per l’esattezza. A tanto ammonta la superficie vitata di Glera sull’isola del Sud Italia.

Un vero e proprio boom per il vitigno balzato agli onori delle cronache per il “fenomeno Prosecco”. Dopo l’avallo della Regione, che ne ha autorizzato la coltivazione tra le Igt nel 2009, gli ettari di Glera si sono moltiplicati a vista d’occhio.

Tanto che oggi, l’ex “Prosecco” è il “vitigno minore” più allevato in Sicilia. Con 127 ettari sui 245 complessivi, riservati alle varietà non autoctone o tradizionali.

Secondo i dati forniti da Marco Perciabosco, a capo dell’Unità operativa Ocm Vino siciliana, a credere nella Glera “Made in Sicily” sono soprattutto i viticoltori della provincia di Trapani. E’ nell’areale a Nord Ovest dell’isola che si concentra la maggior parte della superficie vitata a Glera. Centodieci ettari.

Seguono Agrigento e Palermo, rispettivamente con 17 e 2 ettari vitati circa. Numeri in crescita, che fanno pensare a un incremento costante della richiesta di Glera sul mercato locale. Eppure non v’è traccia di una “Glera mania” tra gli abitanti dell’isola. E trovare cantine che producano e commercializzino vini a base Glera in Sicilia è quasi un’impresa.

Una di queste è l’Azienda Agricola Vitivinicola Tenute Rinaldi. Siamo a Bolognetta, “Agghiastru” in siculo. Un Comune di 4.200 anime, a 25 chilometri da Palermo. Il “Bianco Rinaldi”, di fatto, è un blend tra Glera e Chardonnay. Una vera e propria rarità.

Che fine fa il resto della Glera prodotta in Sicilia? “Sono noti, ma solo a livello informale – precisa Marco Perciabosco dal palazzo della Regione – i rapporti tra produttori siciliani e del nord Italia in materia di vino. Relazioni in cui non può entrare nel merito l’amministrazione regionale, finché si tratta di operazioni di tipo commerciale, svolte con tutti i crismi“.

“Se qualcuno possiede notizie di reato – commenta Stefano Zanette, presidente del Consorzio Prosecco Doc – ha il dovere di fornirle alle autorità preposte, diversamente devono essere derubricate a illazioni. Non va comunque dimenticato che molti operatori, anche nel nostro territorio, utilizzano la Glera per la produzione di spumanti generici o per l’infustamento”.

IL CASO ERMES
Ma in Sicilia c’è anche chi ha messo su una “filiale”, in Veneto. E’ Cantine Ermes, società cooperativa di Santa Ninfa (Trapani) in mano alla famiglia Di Maria (Rosario ne è presidente, Paolo il direttore generale). Una realtà da 2 milioni di euro di capitale sociale, attiva anche nella Grande distribuzione organizzata.

Con lo stesso nome, Cantine Ermes opera in via Restiuzza 7 a Mansuè, in provincia di Treviso. E allo stesso indirizzo, sempre in Veneto, si trovano le Tenute Di Maria Srl. Società che, a sua volta, dipende dalla “casa madre” siciliana di Contrada Salinella, a Santa Ninfa.

Quella di Mansuè figura ufficialmente come “struttura secondaria” di Cantine Ermes. O, meglio, come “stabilimento”. Diversi magazzini, numerosi silos. E una “Bottega del vino” in cui si organizzano degustazioni delle etichette siciliane di “Tenute Orestiadi”, brand del gruppo Ermes.

Ma è su portali enogastronomici come SicilShop.com che è acquistabile “Taravan”, il Prosecco Doc Extra Dry prodotto da Cantine Ermes. Un filo conduttore che sembra funzionare bene, quello tra la Sicilia e il Veneto del vino.

Un asse su cui Cantine Ermes investe da anni, forte soprattutto di una preziosa partnership con un colosso del posto: Cantina di Soave. Una joint venture stipulata nel 2006. Agli albori, dunque, del vero cambio di rotta di Ermes. Dal vino sfuso al vino imbottigliato, di maggiore qualità.

“Ci tengo a sottolineare che non esiste oggi alcuna partnership o joint venture tra Cantina di Soave e Cantine Ermes”, precisa il direttore generale di Cantina Soave, Bruno Trentini. A distanza di 12 anni, l’operazione pubblicizzata dalla stessa cantina veneta tramite un apposito comunicato stampa, viene minimizzata: “Si trattava di un semplice accordo commerciale con Cantine Ermes, come tanti stretti con altre aziende”.

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Approfondimenti news vini#1

Enrico Baldin, alias Champagne Encry: un italiano alla corte di Francia

“Il n’est Champagne que de la champagne” ovvero “Non è Champagne se non è della Champagne”. Verissimo, ma non è detto che a fare lo Champagne debba essere per forza un francese.

Ed in effetti un’eccezione c’è. Si chiama Enrico Baldin, italiano quanto il tricolore, produttore di Champagne. E che Champagne!

La storia di Enrico e di Encry, la sua cantina, la si potrebbe riassumere semplicemente citando Eleanor Roosevelt: “Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni”. È infatti una storia di sogni e di caparbietà quella che l’ha portato ad essere ciò che è oggi.

Abbiamo avuto modo di ascoltarla proprio dalla sua viva voce, grazie ad un’interessante serata organizzata dalla sezione Onav di Varese. Serata che ha visto Enrico Baldin e i suo vini protagonisti sotto l’occhio (ed il naso!) attento dei presenti. Cinque le proposte di Enrico per sorprendere i suoi ospiti, tutte provenienti dal Grand Cru, 100% Chardonnay, di Mesnil sur Oger.

LA DEGUSTAZIONE
Apre la serata il Blanc de Blancs Brut. Base annata 2012 più il 20% di vini di riserva 2004 e 2006. Niente malolattica e utilizzo di estratto di vinaccioli per bloccare le fermentazioni (Enrico è molto attento a limitare l’utilizzo di solforosa). Quarantadue mesi sui lieviti e 4,5 g/l di dosaggio.

Colore paglierino carico con riflessi dorati, perlage fine e persistente. Note spiccate di mela verde, poi pesca e pera, un sentore erbaceo di fieno che si sposa con le note tostate e mandorlate.

Freschezza d’agrume e dolcezza di miele. In bocca pieno ed equilibrato, di grande sapidità e lunga persistenza.

Segue il Zero Dosage. Stesso vino del precedente ma non dosato. lo avevamo già incontrato durante “Mare di Champagne” ad Alassio e confermiamo il nostro parere.

Al naso è graffiante e molto minerale, inizialmente sembra quasi chiuso. Si apre poi sulla sua grande verticalità con note di agrume (pompelmo, lime) e frutta a polpa bianca. In bocca spiccano la sapidità e la finezza del perlage. La lunga persistenza è ben supportata dalla morbidezza.

Grand Rosé. 95% Chardonnay e 5% di Pinot Noir vinificato rosso proveniente da un altro Grand Cru: Bouzy. 36 mesi sui lieviti, 3 g/l di dosaggio. Accattivante nel colore, più tenue seppur intenso rispetto a molti altri Champagne.

Al naso è intenso e pulito. Frutti rossi come lampone e fragolina di bosco che si mescolano ai sentori tipici dello Chardonnay, un rosé non-rosé. In bocca la sapidità è appena smorzata dalla rotondità del Pinot.

La quarta proposta è Blanche Estelle, uno champagne nato dall’unione di 4 produttori divisi su 3 villaggi Grand Cru. 36 mesi di affinamento e 6 g/l di dosaggio.

L’idea è quella di creare in cooperativa con altri vigneron uno Champagne più morbido ed immediato che possa essere commercializzato in mescita a prezzi più contenuti.

Il risultato è un prodotto di grande bevibilità, diverso dal resto della gamma Encry. Al naso profumi di cipria e confetto con note fruttate. Morbido in bocca seppur supportato da una buona acidità. Persistenza più breve rispetto ai precedenti assaggi.

Chiude la carrellata il Millésime 2009. Racconta Enrico che in prima fermentazione si è dovuto abbassare la temperatura per via dell’esuberanza delle uve. 72 mesi, 4,5 g/l il dosaggio. Colore dorato e perlage finissimo. Molto evoluto al naso, sembra anche più vecchio del 2009.

Note di torrefazione, nocciola, terziario di caffè e liquirizia. Molto fine al naso con una nota di dolcezza burrosa pur senza aver fatto legno. Grande acidità e sapidità al palato. Lunga persistenza.

LA STORIA DI VEUVE BLACHE ESTELLE – ENCRY
La storia di Encry comincia quando Enrico, pur grande amante delle bollicine, non apparteneva per cultura professionale al mondo vinicolo. Lui si occupava all’epoca di ingegneria naturale e ripristino ambientale con particolare attenzione alle tecniche di idrosemina.

Tecniche che possono essere applicate anche in vigna per rinfoltire l’erba fra i filari. Quelle tipologie di erba che non entrano in competizione con la vigna ma al contrario favoriscono una buona ossigenazione del terreno e agevolano il proliferare di quegli insetti che favoriscono le azioni antiparassitarie.

Proprio questa sua specializzazione ha portato, 17 anni fa, Baldin in contatto con un vigneron che necessitava del suo aiuto per migliorare le proprie colture. Colture di Chardonnay a Mesnil sur Oger, in piena Côte de Blancs, Grand cru posto proprio fra le vigne di alcune grandi Maison. Il vigneron in realtà non produce vino, si limita a conferire uve o mosti proprio a quelle Maison.

È di Enrico l’idea, nel 2004, di mettersi a produrre Champagne in collaborazione col vigneron, rilevando da lui 3,5 ettari di vigna ed investendo nella costruzione di una cantina. Coltivazione biologica e biodinamica “non estrema”, pressa tradizionale da 4000 kg, vinificazione in solo acciaio. Estrema attenzione alla qualità in ogni fase.

Nel 2007 le prime bottiglie sono pronte e ben etichettate col neonato marchio Encry (dal soprannome di Enrico, Enry, con in più la C di Champagne) quando il CIVC (Comité interprofessionnel du vin de Champagne) blocca la vendita. Perché? Perché ad Encry manca la “fondatezza”, vale a dire una storia alle spalle che possa in qualche modo “garantire” la serietà e la tradizione della Maison.

Dopo quattro mesi è il socio-vigneron di Baldin a trovare la soluzione: suo nonno aveva in fatti registrato relativamente a quel terreno un marchio di Champagne, Veuve Blache Estelle, nel 1917. Mai prodotto un solo litro di vino, ma tant’è, il marchio esiste ormai da un secolo e tanto basta a garantire una “fondatezza”. Enrico rileva il marchio e rinomina i propri vini come “veuve Blache Estelle – Encry”. Il gioco è fatto!

Ed invece no. Il CIVC si mette ancora di traverso. Il Comité non accetta che un francese possa cedere il blasone ad un non-francese. La soluzione questa volta arriva da Nadia, la compagna di Enrico. Lei ha una zia francese, basta far nominalmente figurare lei come depositaria del marchio ed anche questo ostacolo è superato. Dopo l’ennesimo tira e molla il CIVC è costretto a riconoscere Vue Blache Estelle Encry (anche se con un escamotage non viene concesso di utilizzare da dicitura RM, Récoltant Manipulnat, in etichetta).

Volontà, caparbietà, intelligenza, grande qualità in vigna e nel bicchiere. Ingredienti che sembrano la trama di un romanzo. Il romanzo dell’italiano che andò in terra di Francia a produrre il più prestigioso dei vini francesi.

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Ecco Miolo Cuvée Tradition: il primo spumante brasiliano affinato in mare

Da oggi, “Abissi” di Bisson ha un fratello. Miolo Wine Group ha annunciato lo storico recupero della prima partita di spumante brasiliano affinato in mare. La cantina di Bento Gonçalves, nello Stato del Rio Grande do Sul, non lontano da Porto Alegre, è la prima ad ever utilizzato questo metodo in Brasile.

L’operazione di recupero delle bottiglie è avvenuta lo scorso 12 ottobre, a un anno dall’immersione del “Miolo
Cuvée tradition Brut” nel mare della Bretagna, nell’estremo nord-ovest della Francia. Lo spumante sarà distribuito entro fine anno nel mercato locale, ma anche in America e in Europa. In edizione “speciale e limitata”.

“Ci sono grandi aspettative in seguito al recupero delle bottiglie del nostro spumante dal mare – dichiara Adriano Miolo, amministratore delegato del gruppo -. Le festività natalizie di avvicinano. Siamo dunque in un momento speciale dell’anno per la vendita dei vini spumanti. Siamo sicuri che i nostri clienti e collezionisti vogliano avere nelle loro cantine il primo spumante brasiliano affinato in mare, per brindare alle vacanze”.

Strategicamente affondate nell’isola di Ouessant, in una regione nota come Baie du Stiff, le bottiglie di Miolo Cuvée Tradition sono rimaste per una anno a diretto contatto con l’acqua del mare, a una temperatura compresa tra gli 11 e i 13 gradi. Cullate da correnti morbide e costanti.

“Una grotta marina – evidenzia Adriano Miolo – dalle condizioni ideali per l’invecchiamento del vino: oscurità, umidità, costante temperatura e pressione. Potremo osservare gli effetti dell’invecchiamento dell’acqua attraverso prove di laboratorio e degustazioni. Un vino affinato in mare può avere 10 volte più composti molecolari di un vino invecchiato in modo tradizionale”.

Per questo, la Miolo Cuvée Tradition Brut avrebbe “più aromi e complessità”. “Nelle degustazioni alla cieca – continua Miolo – i risultati parlano chiaro sulla qualità di questo metodo. Gli spumanti affinati in mare presentano sapori più ricchi e floreali, complessità e freschezza, eccellenti note di burro e di mandorle”.

Nel 2018 sarà possibile apprezzare i risultati dell’affinamento di nuovi lotti di spumante nelle cave subacquee dell’isola di Ouessant. Il prossimo anno sarà infatti prelevato lo spumante Miolo Cuvée Tradition Brut Rosé, in prodotto in quantità ancora più limitata rispetto al primo esperimento.

Lo spumante rosato si trova nel mare francese dal mese di giugno 2017, accanto a un altro lotto di Miolo Cuvée Traditon Brut che non sarà prelevato prima di un anno. Entrambi i prodotti Miolo sono ottenuti dalla vinificazione col metodo classico di uve Pinot Noir e Chardonnay allevate nella Vale dos Vinhedos (DO).

Miolo Wine, che ha per claim “vinhos brasileiros, vinhos do mundo“, opera in quattro diverse regioni del Brasile con vigneti di proprietà. Centoventi ettari nella Vale dos Vinhedos, 200 ettari nella Seival Estate della Campanha meridionale, 600 ettari nella Almadén Winery (Campanha centrale) e ulteriori 200 ettari nella Terranova Winery, nella Vale do São Francisco.

AL PRINCIPIO FU “ABISSI”
Molte le affinità degli spumanti marini di Miolo con quelli dell’italiana Bisson. Da 8 anni, la cantina di Chiavari affonda uno spumante metodo classico a base Bianchetta (60%), Vermentino Ligure (30%) e Cimixià (10%) al largo della Baia del Silenzio di Sestri Levante, in provincia di Genova.

Un progetto che ha avuto avvio nel maggio 2009, quando le prime 6500 bottiglie hanno iniziato a maturare nel fondale marino. Lo spumante viene prelevato solo in seguito a 18 mesi di permanenza in acqua. Anche per Bisson, l’immissione sul mercato è prevista nel periodo delle festività natalizie. Un’idea di Pierluigi Lugano, che conduce l’azienda ligure con la figlia Marta.

“Guardandomi attorno e pensando agli antichi relitti dei galeoni in fondo al mare che più volte hanno restituito prodotti alimentari dalle caratteristiche organolettiche intatte – spiega il produttore – ho deciso di coniugare la mia passione per il vino e il mare, pensando che l’ambiente ideale per l’affinamento di uno spumante potesse essere proprio il fondale marino. Profondità 60 metri, temperatura costante di 15 gradi, penombra, contropressione e una serie di fattori favorevoli per ottenere in questo contesto ideale la bollicina più esclusiva”.

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Vini al supermercato

Franciacorta Brut Satèn Docg 2012, Contadi Castaldi

(5 / 5) Cinque “cestelli della spesa” per quello che può essere considerato uno degli “Champagne italiani”, al supermercato. Se li aggiudica il Franciacorta Brut Satèn Docg 2012 di Contadi Castaldi, sugli scaffali di Auchan.

Ma cominciamo con una curiosità: per scoprire la data esatta della sboccatura – ovvero il momento nel quale vengono eliminati dalla bottiglia i lieviti inattivi, prima del rabbocco con vino e zuccheri di dosaggio – occorre osservare l’etichetta posteriore.

Nel campione degustato da vinialsuper compare la scritta L.262/13-334164. Leggendo le cifre da destra a sinistra, il “4” rappresenta un numero interno alla Contadi Castaldi, che non va considerato. Notiamo poi un “16”: l’anno in cui è avvenuta la sboccatura. Ancora prima un “334”, che rappresenta il giorno esatto in cui è avvenuta la sboccatura: il 334° dell’anno 2016.

Si deduce così che la sboccatura del Franciacorta Brut Satèn Docg 2012 Contadi Castaldi, oggi sotto la lente di vinialsuper, è avvenuta il 29 novembre 2016. Ora vediamo cos’ha da raccontare il prodotto.

LA DEGUSTAZIONE
Bell’aspetto per questo Metodo classico franciacortino. Il calice si veste di un giallo paglierino di brillante limpidezza, con riflessi dorati. La grana del perlage soddisfa al meglio tutti i parametri: molto fine e molto persistente.

Il naso è uno di quelli capaci di divertire, nel susseguirsi dei sentori. Alla classica impronta del lievito (crosta di pane) fanno spazio note agrumate di buccia di limone e zenzero candito. Un quadro che si arricchisce di percezioni più profonde, capaci di giocare sull’altalena con quelle floreali fresche (biancospino): mentuccia, salvia. Rendono complesso l’olfatto pregevoli note di frutta secca, come quelle di arachidi.

In bocca, l’ingresso del vino non tradisce il nome: Satèn, si riferisce appunto alla percezione carezzevole, “setosa”, del perlage al palato. Una sensazione che accompagna un sorso di gran finezza. Di nuovo gli agrumi, seguiti dal miele. Sapidità presente, ma tutt’altro che dura. E in perfetto equilibrio sul contraltare dell’acidità.

Lunghissimo il retro olfattivo in cui le note agrumate si ammorbidiscono, accompagnando l’infinita vena balsamica. La chiosa è tipicissima per l’uvaggio: una mandorla, che si fa quasi “lattosa”. Versatile questo spumante metodo classico nell’abbinamento in cucina. Perfetto a tutto pasto, per la sua versatilità, accompagnamento dagli antipasti a base di verdure alle fritture di pesce, passando per i crostacei e i primi con sughi non troppo ricchi.

LA VINIFICAZIONE
Il Franciacorta Brut Satèn Docg 2012 Contadi Castaldi è ottenuto al 100% da uve Chardonnay. Le viti sono allevate col metodo Guyot, Casarsa e Cordone Speronato, con una densità di impianto di 3-5 mila ceppi per ettaro e una resa di 95 quintali di uva per ettaro. La resa in vino è pari al 60% (57 hl/ha). L’età media delle viti è di 20 anni.

La vendemmia delle uve Chardonnay avviene tra la fine del mese di agosto e l’inizio di settembre. La tecnica di vinificazione, in cantina, prevede una decantazione statica a freddo, inoculo con lieviti selezionati e fermentazione di 20 giorni in acciaio inox.

La fermentazione malolattica viene svolta solo parzialmente. Il primo affinamento avviene nell’arco di 7 mesi, in parte in acciaio e parte in barrique. La stabilizzazione è statica, a freddo. L’imbottigliamento (tiraggio) avviene nel mese di maggio.

L’affinamento sui lieviti varia dai 30 ai 36 mesi, con sboccatura prevista dalla fine del mese di novembre. Segue un periodo di ulteriore affinamento in bottiglia, per almeno 3-4 mesi. “Fresca”, dunque, la sua presenza sugli scaffali del supermercato.

Prezzo: 21,90 euro
Acquistato presso: Auchan

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news vini#1

Lo Champagne secondo Louis Roederer

Louis Roederer è una delle poche Maison de Champagne ancora gestita dalla famiglia fondatrice. Una storia che affonda le radici nel lontano 1776, a Reims. La cantina ottiene il nome attuale nel 1833, quando viene ereditata da Louis Roederer, che intraprende un percorso di crescita e ristrutturazione in controtendenza rispetto alle altre realtà della regione.

A differenza di altre Maison (i cosiddetti Négociant Manipulant) che acquistano uve da altri vignaioli, Louis è convinto che il segreto di un grande vino risieda nella terra. Inizia così a investire nell’acquisto di vigne nei territori dei Grand Cru e Premier Cru. Un approccio da piccolo vignaiolo (Récoltant Manipulnat, come si dice Oltralpe) ma su larga scala.

Nel 1850, la Maison Roederer può contare su 100 ettari di proprietà. Oggi su oltre 240 ettari, suddivisi in 410 appezzamenti fra la Montagne de Reims, la Cote de Blancs e la Vallée de la Marne. Unica nel suo genere, la cantina coniuga in sé tanto l’abilità enologica propria delle grandi Maison quanto l’attenzione alla viticoltura tipica dei Vigneron.

Per dar modo di conoscere ed approfondire gli Champagne di Louis Roederer lo scorso 20 ottobre la sezione Onav di Varese ha organizzato un’interessante degustazione.

LA DEGUSTAZIONE
Sette le proposte. Apre la serata il Brut Premier, il “base” di casa Roederer, lo champagne pensato per dare continuità alla Maison dopo la prima guerra mondiale.

Vinificazione in fusti di rovere per la cuvée composta dal 40% di Pinot Noir, 40% di Chardonnay e 20% di Pinot Meunier. Tre anni di affinamento sui lieviti, 6 mesi di riposo in bottiglia dopo la sboccatura, 9 g/l di dosaggio.

Giallo paglierino brillante, perlage piuttosto fine. Molto pulito al naso con note fruttate di mela, di agrume, vegetali di fieno ed una dolcezza di crema pasticcera. In bocca il perlage è un poco aggressivo. Grande acidità e buona sapidità. Evidente la presenza del Meunier. Equilibrato con una dolcezza di miele e camomilla che accompagna la breve persistenza.

Brut Rosè Vintage 2011. Annata difficile con inverno secco, primavera calda ed estate fresca e piovosa che costrinse a vendemmia anticipata. 63% Pinot Noir, 37% Chardonnay. Il 22% dello Chardonnay è vinificato fusti di rovere mentre il 13% fa fermentazione malolattica. Quattro anni di affinamento e 6 mesi di riposo in bottiglia dopo sboccatura. 9 g/l il dosaggio zuccherino.

Color buccia di cipolla brillante, il perlage è piuttosto fine e persistente. Al naso è più timido del brut con note di melograno, gesso e salmastre di ostrica seguite da una speziatura di pepe bianco.
Un poco aggressivo il perlage, di buona acidità, chiude su di una nota amarognola forse dovuta al residuo zuccherino.

Blanc de Blanc Vintage 2008. Annata con primavera molto piovosa ed estate secca che hanno dato una maturazione lenta e progressiva delle uve. 100% Chardonnay, il 15-20% vinificato in botti di rovere con battonage settimanale e nessuna fermentazione malolattica, 5 anni di affinamento sui lieviti ed un dosaggio zuccherino di 8-10 g/l.

Paglierino con riflessi dorati al naso è molto fine, delicato. Uno champagne che non urla i propri sentori ma che sussurra note floreali e fruttate contornate da un profumo di erba tagliata. Molto elegante in bocca non rivela il proprio dosaggio zuccherino forte di una grande mineralità. Lunga la persistenza.

Brut Nature 2009 e Brut Nature 2006. Una mini verticale. Il Brut Nature 2009 nasce in un’annata ricordata come una delle migliori in Champagne, con inverno rigido e secco ed estate soleggiata ed asciutta. 70% di Pinot Noir e Pinot Meunier, 30% Chardonnay. 25% della vinificazione in rovere, nessuna malolattica, nessun dosaggio zuccherino.

Colore paglierino con riflessi dorati. Naso molto espressivo ove si riconoscono note floreali di ginestra, frutta bianca, agrumi, mandorla e marzapane ed una nota di tabacco da pipa. Al palato il perlage è molto piacevole in contraltare con la schietta acidità del pas dosé.

Il 2006 è l’anno che suggella le varie prove della Maison, iniziate nel 2003, per la realizzazione del primo Brut Nature. 70% di Pinot Noir e Pinto Meunier, 30% Chardonnay. Fermentazione spontanea del 100% dei vini in botti di legno. Nessun dosaggio.

Colore più carico rispetto al 2009 al naso è più chiuso con sentori simili a quelli del 2009 contornati da una nota dolce di confetto. In bocca è teso e pulito con una grande mineralità.

Vintage 2009. 70% Pinot Noir, 30% Chardonnay. 30% circa dei vini vinificati in legno. 9 g/l di dosaggio. Color giallo dorato con perlage molto fine e persistente. Estremamente pulito al naso con note di cera d’api, di frutta disidratata, note di spezie, di tostatura e di pasticceria.

Finissimo in bocca col perlage che accarezza il palato, uno champagne rotondo con acidità e mineralità perfettamente bilanciate. Lunga la persistenza.

Chiude la degustazione Cristal 2007. Annata con primavera calda ed estate fresca chiusa da una vendemmia in condizioni ideali. La cuvée, ottenuta da vecchie viti, si compone del 58% Pinot Noir e 48% Chardonnay con il 15% dei vini vinificati in rovere. 9,5 g/l il dosaggio.

Colore dorato con perlage finissimo. Pulizia assoluta al naso con agrume maturo, tostatura che vira al fumé e note minerali di pietra focaia. Bocca equilibrata ed estremamente armonica. Finale lungo.

LA STORIA DEL CRISTAL
Correva l’anno 1867 quando la Maison Roederer confezionò una versione speciale della propria Cuvée de Prestige per lo Zar di Russia Alessandro II.

A causa di tensioni nazionali ed internazionali si temevano attentati alla vita dello Zar e così, in occasione della “Cena dei tre imperatori” cui Alessandro II avrebbe partecipato (insieme a Guglielmo I di Prussia ed al principe Otto von Bismarck) venne realizzata una bottiglia particolare.

La bottiglia era in cristallo trasparente (da cui il nome) per garantire che al suo interno vi fosse champagne e non qualche liquido infiammabile o esplosivo.

Allo stesso modo il fondo della bottiglia era piatto per evitare che vi si potessero nascondere altre minacce. La bottiglia così nata, adornata da una etichetta dorata che ne esalta l’eleganza, divenne un’icona a tal punto da essere oggi considerata dagli economisti un “bene di Veblen”.

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Vini al supermercato

Terre Siciliane Igt Chardonnay 2016, Duca di Saragnano

(2 / 5) Il vino Terre Siciliane si presenta nel calice di un colore giallo paglierino. Al naso si percepisce abbastanza intenso e complesso, con sentori floreali e fruttati che spaziano dalla frutta esotica alla frutta matura a polpa bianca, in cui primeggiano la mela, il cedro ed il pompelmo.

Al palato appare secco, abbastanza caldo e morbido, fresco, sapido. Nel complesso abbastanza equilibrato, anche se prevalgono le durezze dovute dalla giovane annata. Un vino che può essere degustato anche nei prossimi mesi, quando dovrebbe risultare meno “spigoloso”.

Si accosta bene a tutti i piatti di pesce, soprattutto antipasti di pesce crudo e crostacei, formaggi a pasta molle, ma anche a primi piatti di pasta con verdure, secondi di pesce e carni bianche. Da provare in abbinamento ad una vellutata gustosa come la crema di patate di Siracusa.

LA VINIFICAZIONE
Lo Chardonnay Terre Siciliane Igt 2016 dell’azienda Duca di Saragnano è ottenuto da uve Chardonnay raccolte durante la prima quindicina di settembre. La vinificazione avviene in acciaio. A novembre viene unita una piccola percentuale di Insolia (vendemmiata a fine agosto).

Il blend resta dunque a riposo sino a febbraio, a temperatura controllata, in modo che i loro caratteri specifici si fondano. L’affinamento avviene poi, per almeno un mese, in bottiglia.

Saragnano è il nome della frazione del Comune di Baronissi, in provincia di Salerno. La storia dell’azienda risale all’Alto Medioevo, nel X secolo d.c., quando il Meridione fondò nell’entroterra Baronissi e Saragnano, per allontanarsi dalle incursioni dei pirati saraceni.

Il Duca di Saragnano si distinse per aver combattuto con coraggio ed onestà, anche se gli arabi ebbero la meglio. Il duca si rifugiò con la famiglia nel centro Italia, protetto dal Sacro Romano Impero.

Dopo l’allontanamento degli arabi, uno dei discendenti divenne un grande amico di Luigi Barbanera, che concesse al casato di tornare nella terra natale e così la linea dei vini assunse questo nome.

Prezzo: 1,99 euro
Acquistato presso: Lidl

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Alto Adige Extra Brut Cuvée Marianna, Arunda

Torniamo in Alto Adige, terra capace di regalare grandi vini, per parlare di Metodo Classico. La nostra attenzione cade oggi sull’extra brut Cuvée Marianna di cantina Arunda, sboccatura gennaio ’17.

LA DEGUSTAZIONE
Veste il calice con bel colore paglierino carico e brillante con evidenti riflessi dorati. Il perlage è inizialmente raccolto, ci mette qualche istante prima di liberarsi nel bicchiere, ma superata l’iniziale timidezza ecco apparire delle belle catenelle, fini, ricche, vivaci e continue.

Al naso è complesso. Apre immediatamente su note terziarie di noci, di burro e di vaniglia. Seguono note di frutta fresca come albicocca e pesca ed una bella freschezza agrumata. Chiude il quadro olfattivo un piacevole sentore di frutto rosso che ricorda la fragola. Un bouquet particolare, molto elegante e ricercato.

In bocca il perlage mostra tutta la sua eleganza rendendo il sorso cremoso ed ampio. Ritroviamo tutti i profumi percepiti al naso contornati da una buona sapidità. Armonico ed equilibrato. Lunga la persistenza. Un Metodo Classico che non teme abbinamenti gourmet con preparazioni di pesce o di carne bianca.

LA VINIFICAZIONE
Le uve provengono dalle zone vitivinicole di Terlano e Salorno, terroir ricchi di porfido e calcare. La cuvée si compone del 20% di Pinot Nero vinificato in bianco e dall’80% di Chardonnay vinificato in barrique. Minimo 60 mesi di affinamento sui lieviti prima della sboccatura e basso dosaggio zuccherino (4g/l).

Sektkellerei Arunda, di Meltina (BZ), è con ogni probabilità la cantina più alta d’Europa forte dei suoi 1200m s.l.m.. Fondata da Josef Reiterer nel 1979, dopo lunga esperienza in altre realtà. Arunda produce solo spumanti Metodo Classico selezionando le uve nei terroir più vocati della regione. Dieci etichette diverse che raccontano le differenti sfumature del territorio.

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Il vino a Malta e Gozo: dai vignaioli alle “vigne in franchising”

Sei cantine per raccontare il vino di Malta. Dai due grandi gruppi che si contendono il primato commerciale sull’isola, Delicata e Marsovin. Passando per Meridiana – che ormai parla italiano – azienda di proprietà dei marchesi Antinori.

Proseguendo con Maria Rosa, il “giocattolino” di un milionario ultranovantenne del posto. E chiudendo, a Gozo, con Ta Mena Estate e Tal-Massar. Questo il percorso del wine tour.

Caccia agli autoctoni Gellewza, Girgentina e Serkuzan. Ma anche alle sfumature locali di varietà internazionali come Chardonnay e Sauvignon, tra i bianchi. Cabernet, Merlot e Syrah, tra i rossi. Una viticoltura, quella di Malta, che deve molto agli aiuti giunti dalla Comunità europea, a cui l’ex colonia britannica ha aderito il primo maggio 2004.

Un lasso di tempo che consente oggi all’isola di candidarsi a ruoli di tutto rispetto nel panorama enologico internazionale. Francia e Italia sono i modelli, seppur ancora lontani. Ancor di più se si considerano i 400 ettari liberi per investimenti nel settore, a fronte delle scelte di un governo distratto dai soldi facili delle compagnie assicurative internazionali e, soprattutto, del gaming e del gioco d’azzardo online.

Malta piace sempre di più agli investitori esteri in cravatta e ventiquattrore. Attirati dai vantaggi di una lingua ufficiale internazionalmente parlata, l’inglese. E dagli effetti della Brexit, che la stanno trasformando in una piccola cassaforte dei sudditi della regina.

Nel frattempo, le nuove generazioni maltesi abbandonano la campagna, preferendo i centri urbani disposti a raggio attorno alla capitale La Valletta. L’età media dei lavoratori impiegati nei 750 ettari vitati dell’isola, secondo dati forniti sul posto, si assesterebbe sui 50 anni.

Roba per vecchi, insomma, zappare la terra e godere dei frutti di Bacco, a Malta. D’altro canto, strade sempre più trafficate e in pessimo stato rallentano l’economia della piccola nazione del Mediterraneo.

E rimandano il countdown per l’Olimpo del vino, almeno di qualche anno. Mentre il turismo punta sempre più sui Millennial, la Generazione Y. Quella che si fa andar bene pure le spiagge sporche – oggi più di 10 anni fa – purché il deejay pompi musica a palla, che arrivi tra le onde.

Trovare manodopera qualificata, a Malta, è ormai un’impresa. Spesso sono aziende siciliane ad aggiudicarsi le aste per i lavori nel pubblico. E i privati, come le cantine, faticano addirittura a reperire elettricisti, idraulici, esperti nella catena del freddo e manovalanza in generale. Costi quintuplicati, dunque, per ogni singolo intervento necessario in un’ottica di modernizzazione delle strutture e delle attrezzature enologiche.

Se di mezzo ci si mette pure il cielo, con le ultime vendemmie stroncate da siccità e mancanza di reti idriche adeguate per l’irrigazione di soccorso, si comprende perché grandi gruppi come Delicata e Marsovin stiano tentando di raggiungere accordi col Palazzo del Gran Maestro, sede del nuovo parlamento progettata da Renzo Piano.

Alla viticoltura maltese occorrono denaro fresco, un programma che invogli i giovani a tornare a credere nella terra e investimenti sulla valorizzazione dei vitigni autoctoni, estirpati in massa nei due secoli di dominazione araba. Basti pensare che sull’isola cresce meno di un ettaro di Gellewza.

Completano il quadro incredibili rivalità commerciali tra l’isola madre, Malta, e la più grande delle due “isole satellite” dell’arcipelago: Gozo. Nella capitale La Valletta è impossibile reperire un vino gozitano al ristorante. Scarseggia l’offerta anche nella maggior parte delle enoteche. Mentre le catene di supermercati sembrano non curarsi dell’antagonismo.

TA MENA ESTATE
Eppure è Gozo a offrire il miglior vino in circolazione a Malta. Un assortimento di etichette di ottimo livello dal produttore Joseph Spiteri, 58enne dagli occhi azzurri come la Blue Lagoon, che ha raccolto l’eredità dei bisnonni Carmela, detta “Mena”, e Frank: a loro si deve l’inizio di un’avventura chiamata Ta Mena Estate. La copertina del wine tour a Malta è tutta sua.

Joseph Spiteri è il guardiano dell’isola di Gozo. Dai 2 ettari del 1986, l’azienda di famiglia è passata negli anni a 25 ettari, quindici dei quali vitati. E Joseph ha ancora voglia comprare terre da convertire alla viticoltura e ad altri progetti in ambito agricolo. Mentre tutt’attorno i giovani sembrano aver perso il nesso con le origini.

A Ta Mena Estate lo staff è internazionale. In cantina anche un enologo italiano, Claudio De Bortoli. Ed è proprio all’Italia che si ispira Spiteri, che ha “imparato a fare il vino in Veneto, sui Colli Euganei, e poi in Toscana”. Un “allievo dell’università della strada”, come ama definirsi, che opera in regime naturale, pur senza alcuna certificazione.

Nel 2017 cade il decennale delle “vendemmie professionali” di Ta Mena, cantina con una capacità produttiva di 150 mila bottiglie. “Servizi finanziari, scommesse, assicurazioni – denuncia Spiteri – sono il nuovo male dell’economia maltese, in crescita di 6,5 punti ogni anno. Ma a che prezzo? Senza investimenti nell’agricoltura si gioca col destino”. Nel frattempo, Joseph, pensa a produrre vini che rappresentino appieno il terroir matese.

Il Vermentino Gozo Dok 2016 “Juel” si fa apprezzare per il naso salino e fruttato e per un palato morbido, pieno, piacevolmente disorientante per la mancata corrispondenza gusto-olfattiva. Il rosè “Grecal”, altro Gozo Dok, vendemmia 2015, è invece una delle chicche di Ta Mena Estate.

Ottenuto al 35% dall’autoctona Gellewza su una base di Merlot (50%) e con l’aggiunta geniale di un 15% di Tempranillo (colore e corpo), regala note floreali dolci al naso, tipiche del vitigno maltese a bacca rossa, e un vegetale prezioso offerto dal Merlot. Bella acidità e persistenza da campione. Incredibile si tratti di un rosato 2015, con altri 3-4 anni davanti, a ottimi livelli.

Sul gradino più alto del podio, però, c’è Gabillott 2009, blend di cinque uve: Merlot, Serkuzan (Nero d’Avola), Cabernet Sauvignon e Franc (15-20%) e Syrah.

Un vino capace di concentrare in bottiglia e riversare poi nel calice il clima di un’isola baciata dal sole 300 giorni l’anno (60 mm totali di pioggia), con venti per l’80% provenienti da Nord Ovest, secchi, e un suolo prettamente calcareo e limoso.

Naso generoso e intenso, dalla frutta alle spezie, con quella costante iodica che caratterizza tutti i vini di Ta Mena Estate. Al palato la mineralità è il tratto distintivo, assieme alle note fruttate, ancora croccanti come un biscotto. Chapeau.

Peccato che gli americani preferiscano la versione “barrique” (9 mesi / 1 anno) di Gabillott, con Carmenere al posto del Cabernet Franc.

Joseph Spiteri ha un’anima d’artista. Dipinge i paesaggi di Malta, la notte, al posto di dormire. Con le canzoni dei Pink Floyd o la musica classica di Beethoven a fare da sottofondo. Vere e proprie tele sono anche i suoi vini. Gli unici capaci di rappresentare davvero la verità del terroir di Malta, senza cercare di piacere per forza. Vini veri, insomma.

MASSAR WINERY
Vini che avrebbe potuto fare “così” anche Anthony Hili di Massar Winery. Il vicino di casa, a Gozo, di Joe Spiteri. Peccato che Hili offra, con le sue etichette, la netta sensazione di non considerare Spiteri alla stregua di un genuino modello da imitare.

A Massar Winery l’obiettivo sembra più il consenso internazionale. E qualche premio (l’ultimo in Spagna) è effettivamente arrivato per la cantina di L-Għarb, Garbo in italiano, paesino situato nella parte Nord Ovest dell’isola satellite di Malta.

Vini come Tanit 2016, San Mitri 2014 e Garb 2013 paiono troppo “pensati” in cantina. Etichette che non riescono a nascondere l’abile mano di un enologo che ha l’intento di colpire il pubblico straniero. Non a caso, i residui zuccherini dei Sirkusian proposti in degustazione fanno impazzire le due turiste del Minnesota presenti al tavolo.

Abile intrattenitore, Anthony Hill racconta come “tutto, a Malta, è stato distrutto dalla politica che non crede nel ‘local’ e che non valorizza le imprese”. Come la sua, 6 ettari complessivi (3 di proprietà), e un record produttivo di 16 mila bottiglie.

A Massar Winery si allevano Vermentino, Sangiovese (importato dall’Emilia), utilizzato per la produzione di un rosso leggero e di un rosè, e l’autoctono Sircusian (anche detto Serkuzan e Sirakuzan il Nero d’Avola giunto proprio dalla Sicilia). A meritare una menzione è proprio quest’ultimo, nella versione simil “passito” di Garb 2013: vendemmia tardiva che sprigiona sentori di mela cotta, ciliegia, liquirizia, cioccolato e rabarbaro.

MERIDIANA WINE ESTATE
Tratti ancora più internazionali alla Meridiana Wine Estate, l’investimento su Malta della famiglia fiorentina dei Marchesi Antinori. Un’azienda vocata principalmente al mercato locale (export al 3%) soprattutto per lo scarso numero di bottiglie prodotte (circa 140 mila) da 17 ettari di terreni, con l’apporto di alcuni conferitori.

Un progetto nato nel 1997, che vede protagonisti vitigni francesi come lo Chardonnay (il più venduto), il Cabernet Sauvignon, il Merlot e il Syrah, accanto a Vermentino, Moscato, Viognier e piccole percentuali di Girgentina.

Vendemmia manuale e pratiche di cantina volte a preservare il “Maltese character” delle uve, non sempre con i risultati sperati – in termini di distintività – per l’utilizzo di un legno che tende a uniformare al gusto internazionale il singolo vitigno utilizzato.

Ma a colpire sono i prezzi di questi vini, letteralmente “regalati” per la qualità che riescono a esprimere (dai 9,20 ai 18,40 euro del Merlot top di gamma). A colpire, in modo particolare, sono i 15,90 euro del blend tra Cabernet Sauvignon (70%) e Merlot (30%). Il vino è Melquart 2014, 10-12 mesi di barrique. Naso splendido, ricco, balsamico, con richiami vegetali puliti, tipici dei due vitigni e in particolare del Merlot.

Grande corrispondenza al palato, dove alle note balsamiche fanno eco venature sapide che invitano la beva. Un calice e una bottiglia che rischia di finire in pochi minuti, davanti al giusto piatto. Più che soddisfacente anche il retro olfattivo, lungo. Il vino di Malta “fatto” meglio, in assoluto.

MARIA ROSA WINE ESTATE
Da Castrofilippo, paesino di 3 mila anime alle porte di Agrigento, passando per Saint-Émilion, vicino Bordeaux. Ha visto il mondo dalle vigne, dopo gli studi in Enologia e Viticoltura a Udine, la 31enne Lorena Molito. E’ atterrata a Malta due vendemmie fa. E la sua mano, a Maria Rosa Wine Estate, si sente eccome.

Poco più di 4 ettari, allevati per la maggior parte a Sirakuzan (Nero D’Avola), Cabernet Sauvignon (8%) e Syrah (2%). La tenuta, situata ad Attard, nel centro dell’isola di Malta, poco lontano dalla cittadina di Mdina, è dal 2006 il gioiellino di proprietà di Joseph Fenech. Un milionario maltese di 93 anni, imprenditore nel settore alberghiero, con la passione per il vino.

Ventimila bottiglie l’anno, zero export. Una piccola produzione di medio alto livello, cresciuta (qualitativamente) negli ultimi anni proprio grazie all’arrivo, in cantina, dell’enologa siciliana Lorena Molito.

“Questa – spiega – è una piccola realtà che punta a produrre vini di qualità. Quando sono arrivata qui, tre anni fa, mancavano però alcuni accorgimenti indispensabili, come il sistema di controllo della temperatura per le vasche in inox. Ho dovuto impormi per far comprendere che occorrevano investimenti senza i quali non si sarebbe mai raggiunto l’obiettivo”.

Nelle vasche riposa l’ultima annata, la 2017, che si preannuncia ottima. Sono pronti per essere imbottigliati il Sirakuzan Dok 2016 – grande facilità di beva, favorita da un bellissimo frutto rosso – e il Cabernet Dok 2016.

Il meglio riposa in barrique: da assaggiare le riserve di Sirakuzan, Syrah e, su tutte, quella di Cabernet Sauvignon. Peccato per il Sirakuzan vinificato in bianco, una chicca di Maria Rosa Wine Estate: non sarà prodotta quest’anno, per via della scarsità della vendemmia.

MARSOVIN WINERY
Un elenco infinito di vini sulla “carta” di Marsovin, uno dei due maggiori gruppi del settore, a Malta. Ben 43 etichette, utili a spaziare dalla base alle linee di medio livello (vini destinati alla Gdo, tutti con un ottimo rapporto qualità prezzo) sino al top di gamma.

Un milione e mezzo le bottiglie prodotte dai 23 ettari di proprietà, cui vanno a sommarsi i 330 ettari dei selezionati e storici conferitori. Mercato locale al 96% e tante richieste dall’estero (per esempio dalla Cina) impossibili da soddisfare, per via dei numeri risicati e dell’andamento climatico delle ultime vendemmie.

I terreni di proprietà, in particolare, sono dislocati nelle aree a maggiore vocazione dell’isola e consentono a Marsovin di offrire un quadro completo dei terroir maltesi. A Marnisi Estate (8,5 ettari a Marsaxlokk, uno degli appezzamenti più grandi dell’isola) su producono vini in stile Bordeaux; a Ghajn Rihana (1.2 ettari a Burmarrad, nella zona di St. Paul Bay) grazie alla competizione radicale (120 centimetri tra una pianta e l’altra), si punta a rese più basse, in grado garantire una maggiore qualità per le varietà di Cabernet Sauvignon e Franc; a Wardjia Valley (1,5 ettari) sempre a nord, vicino a Ghajn, il vento è forte e le vigne sono disposte in suo favore, protette da alberi tra i filari di Chardonnay.

Marsovin, storica realtà maltese, fondata nel 1919 da Anthony Cassar, merita una menzione proprio per il coraggio: è l’unica cantina di Malta a produrre un Metodo Classico, il Cassar De Malte, un Brut ottenuto dal cru in Wardija Valley. Record produttivo di 5 mila bottiglie.

Perlage fine e persistente, naso tipico del vitigno, con richiami alla crosta di pane e al lievito dovuti ai 24 mesi di permanenza sui lieviti. Il bouquet è floreale e fruttato fresco, marcatamente agrumato e tendente all’esotico. Corrispondente al palato, dove il perlage si rivela cremoso. Lungo il retrolfattivo. Passare da Malta e non provarlo è un vero peccato.

Ma Marsovin non si limita alla produzione di un ottimo sparkling. Bernard Muscat, wine specilist che si occupa di PR ed Eventi per il gruppo Cassar Camilleri, guida la degustazioni delle migliori referenze della cantina, nel quartier generale della cittadina portuale di Paola (Pawla o Raħal Ġdid), a Sud della capitale La Valletta.

La famiglia Cassar ama l’Italia e, in particolare, l’Amarone. Per questo, dal 2009, ha pensato di produrre il Malta Dok “Primus”, ottenuto da Gellewza (65%) e Syrah (35%) da appassimento (“Imwadded” in etichetta). Nel calice la vendemmia 2015 presenta il tipico colore concentrato. Così come spessi sono i sentori che si liberano al naso: note di fico, prugna secca, confettura di frutti rossi.

E poi tabacco, miele d’acacia. Note bilanciate tra l’affumicato e il dolce che si ritroveranno anche al palato, dove a colpire è la presenza di una componente minerale salina e un tannino di velluto, coperto da cioccolato, che fa capolino nel retrolfattivo. Un vino perfetto davanti a un libro, oltre che con il giusto abbinamento a tavola.

Molto interessante anche il Passito “Guze” 2014, lanciato sul mercato da Marsovin in occasione del 16° anniversario dalla morte di “Sur Guzi”, “Signor Giusè(ppe)”, Joseph Cassar, uno dei discendenti del fondatore. Si tratta sempre di Syrah appassito, con un residuo zuccherino di 120 g/l tutt’altro che stucchevole. Naso intenso, come quello di “Primus”, con cui lotta in quanto a finezza dei sentori.

Marnisi Old Vines 2015 è invece un blend di Merlot (40%), Carbernet Sauvignon (30%) e Cabernet Franc (30%). Un taglio bordolese tout court, ottenuto dalle vecchie vigne di Marsaxlokk. Il passaggio in legno è evidente, sia al naso che al palato, ma non invasivo.

Rosso rubino poco trasparente, questo rosso di Marsovin Winery sfoggia un naso molto elegante, nonostante la prevalenza di note vegetali spinte: carruba, rosmarino, origano, ma anche frutta rossa come la ciliegia. I terziari sfiorano liquirizia, tabacco e incenso. Il palato completa il quadro con la consueta mineralità, ancora una volta ben bilanciata alle note fruttate. Particolare il gioco tra sale e frutta: componenti tra le quali mette il dito un tannino ancora vivo. Lunga vita davanti a questo taglio, degno di Bordeaux.

Non male, tra i bianchi, la Girgentina Igt Maltese Islands 2016 in purezza della linea “La Torre”, reperibile anche al supermercato. Giallo paglierino, naso tendente all’aromatico, ricorda per certi versi il Moscato secco. Un vino che aspira alla Dok, per la quale Marsovin sta riducendo sempre più le rese, che oggi si assestano sui 90-100 quintali/ettaro.

Un vino dal corpo leggero (10%) ma non banale, adatto all’aperitivo e alle calde estati maltesi. Naso e bocca corrispondenti, giocate soprattutto sulla freschezza acida di agrumi come limone, il lime e il bergamotto. Sorprendente la chiusura sulla nocciola.

EMMANUEL DELICATA WINEMAKER
Sesta ed ultima tappa del wine tour a Malta, alla Emmanuel Delicata Winemaker. Restiamo a Paola, a poche centinaia di metri in linea d’aria da Marsovin. Con 1,2 milioni di bottiglie, Delicata è il secondo gruppo dell’isola.

Storia antica anche per questa grande azienda, fondata nel 1907 da Eduardo Delicata e passata nel 1937 nelle mani del figlio, Emmanuel, all’epoca appena diciannovenne.

Una politica aziendale completamente diversa rispetto a quella di Marsovin. “Non abbiamo nessun terreno di proprietà – spiega Georges Meekers, da 17 anni a capo dell’Ufficio vendite – sulla base del nostro progetto denominato ‘Vines for Wines’. Lavoriamo con oltre 300 viticoltori maltesi, che seguiamo attentamente con il nostro staff, a disposizione in ogni procedimento in vigna”.

Un progetto più unico che raro di “vigne in franchising”, quello della Emmanuel Delicata Winemaker. “Chiunque decida di diventare nostro conferitore – aggiunge Meekers – viene seguito dall’individuazione dei vigneti alla vendemmia. Siamo diventati così la prima cantina di Malta per quantità di uve e varietà allevate, più di 25 nel 2017. E a differenza dei competitor crediamo da oltre 20 anni nelle potenzialità degli autoctoni Girgentina e Gellewza”.

Cinquanta i vini prodotti da Delicata, “ma tutti in piccole quantità”, tiene a precisare Meekers: “I nostri sono boutique wines”. Export al 5% e grande concentrazione sul mercato maltese, specie in quello della Grande distribuzione, dove Delicata occupa un ruolo di grande rilievo a scaffale.

Nella linea non potevano mancare dei vini “mossi”. Ma non si tratta di Charmat o frizzanti. Delicata produce “aerated wines” con gli autoctoni Gellewza e Girgentina, perfetti per l’aperitivo. Peccato che le “bollicine” siano ottenute mediante aggiunta di anidride carbonica al vino. “Ma solo in piccole quantità – precisa Meekers – in quanto cerchiamo di conservare le bollicine che si creano naturalmente durante la fermentazione”.

Sono tutti vini “leggeri” quelli della Emmanuel Delicata Winemaker, pensati per un pubblico maltese non troppo esigente. A colpire è il solo Merlot Malta Dok Superior 2015 della linea Grand Cavalier, tra i vini più strutturati della casa di Paola. Frutto di un mix di barrique (Slavonia, Francia e Usa) che non sbilancia sui terziari naso e palato. Anzi, il Merlot risulta piuttosto caratteristico per la sua parte minerale-salina, che ben si amalgama alle note tostate di caffè e toffee conferite dal passaggio in legno.

Da provare anche il Moscato Malta Dok 2012 Grand Vin de Hauteville , vino liquoroso (15%) a base Moscato. Lievi e piacevoli note ossidative al naso e richiami all’idrocarburo per questo nettare di grande concentrazione gusto-olfattiva. Al palato per nulla stucchevole, sembra non stancare mai. Perfetto con formaggi e dolci come crostate alla frutta.

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vini#1

Ferrari Perlé Zero Trentodoc, la nuova perla di Casa Ferrari

È stato presentato oggi Ferrari Perlé Zero, il primo Pas Dosé (spumante senza aggiunta zuccherina in dosaggio) di Casa Ferrari.

Perlé Zero nasce da un sapiente lavoro in cantina, dove i vini base di più annate vengono affinati con materiali diversi: l’acciaio, che esalta l’espressione del frutto e dell’eleganza aromatica dello Chardonnay, il legno, che conferisce struttura e ricchezza gustativa, e il vetro, che dona un ulteriore tocco di profondità ed espressività.

Una volta imbottigliata, la cuvée affronta un lungo affinamento sui lieviti, di almeno 6 anni, prima di venire sboccata senza l’aggiunta di zuccheri, ossia a dosaggio zero.

Ogni cuvée identifica quindi un preciso assemblaggio, unico e irripetibile, ed è comunicata in etichetta con un richiamo all’anno del tirage. Quella presentata in anteprima è la Cuvée Zero 10, un mosaico di tre millesimi diversi, 2006, 2008 e 2009, messo in bottiglia nel 2010.

La veste grafica, disegnata dallo Studio Robilant Associati, è “coerente con la nuova immagine della linea Perlé”. La cromia scelta è il verde inglese, che comunica “eleganza e un’idea di naturalità”.

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Vini al supermercato

Champagne Brut Imperial, Moet & Chandon

(4 / 5) E’ ottenuto dall’assemblaggio di più di cento vini lo Champagne Brut Imperial di Moet & Chandon. Uno dei mostri sacri della maison francese, che è possibile reperire in tutte le maggiori catene di supermercati in Italia.

Non certo l’eccellenza assoluta tra le bollicine d’Oltralpe, pur restando nel ristretto spettro della gamma offerta dalla Gdo nostrana. Per di più a un prezzo fuori dalla portata di molti.

L’Imperial di Moet & Chandon è comunque un ottimo Champagne “base”. L’antipasto di un mondo tutto da scoprire e approfondire. Ecco motivato il giudizio di 4 cestelli della spesa su 5.

LA DEGUSTAZIONE
Di limpidezza cristallina, questo Champagne presenta una veste dorata luminosa, con riflessi verdolini. Perlage di grana fine e di buona persistenza. Al naso evidenti richiami alla mela verde e al lime fanno da contraltare alle classiche note di lievito (brioche) e di noci. Spazio anche per una componente minerale non indifferente, che sembra voler mostrare i muscoli davanti a un bouquet di fiori bianchi freschi.

Al palato, lo spettro fruttato si allarga. Mela e limone si mescolano alla morbidezza della pesca bianca e della pera. L’acidità, piuttosto spiccata nelle sue reminiscenze di ribes, è ben equilibrata col resto delle percezioni. La mineralità avvertita al naso si fa soffice, sotto al velo di un dosaggio zuccherino ben calibrato. Obiettivo centrato, per Moet Chandon. La vera vittoria è la facilità di beva di uno Champagne Brut che di “Imperial” ha più il nome che la struttura imponente.

Più che versatile l’abbinamento di questo sparkling wine francese con la tavola. Perfetto per annaffiare le chiacchiere tra amici, come aperitivo “di classe”, accompagna bene il pescato crudo, dalle ostriche ai tipici tagli da sushi (salmone, branzino, tonno). Buono anche con le carni bianche come il pollo, purché non sia troppo speziato.

LA VINIFICAZIONE
Lo Champagne Brut Imperial di Moet & Chandon è ottenuto – come da tradizione – in percentuali variabili dal blend tra uve Pinot Noir, Pinot Meunier e Chardonnay. Si va dal 30 al 40% dei Pinot Noir e Meunier al 20-30% di Chardonnay.

“Dosi” che cambiano, per garantire di anno in anno il medesimo risultato al consumatore. Concorrono all’assemblaggio, come anticipato, più di cento vini, con un 20-30% di utilizzo di vini di riserva. Moet & Chandon produce questo Champagne, sua vera icona, dal 1869.

Si tratta della maison che detiene, da sola, la parte più vasta dell’intero territorio della Champagne. Per l’esattezza 1150 ettari vitati, la metà dei quali godono dell’appellazione “Grand cru” e il 25% della “Premier cru”.

Vigneti dislocati dalla Montagne de Reims alla Côte des Blancs, dalla Vallée de la Marne a Sézanne e Aube. Per un totale di 200 dei 323 “cru” nella regione (17 Grand cru e 32 dei 44 Premier cru).

Prezzo: 28/32 euro
Acquistabile presso: maggiori catene Gdo

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Vini al supermercato

Pomino bianco Doc 2016 Castello Pomino, Frescobaldi

(5 / 5) Preziosa etichetta quella che la catena di supermercati Il Gigante ha “in carta” ormai da diversi anni. Parliamo del Pomino Bianco Doc Frescobaldi, da qualche mese reperibile anche nelle “enoteche” dei punti vendita Esselunga più “attrezzati”.

LA DEGUSTAZIONE
Di un giallo paglierino carico con vaghi (ma accesi) riflessi verdolini, Pomino è uno di quei vini che invogliano la beva, già dal colore. Al naso sentori di frutta esotica (banana e papaya su tutti), ma anche di mela cotogna e agrumi come il cedro.

Conferiscono freschezza i richiami ai fiori di gelsomino e biancospino. Non manca una vena più “austera”, che ricorda la nocciola. Profumi che si rincorrono nel calice. Un’analisi olfattiva da promuovere a pieni voti per la finezza che è capace di esprimere.

Al palato, il Pomino Bianco Doc Frescobaldi conferma le attese e rincara la dose con la consueta eleganza. Sapidità e acidità molto ben bilanciate: una “salinità” che sboccia subito, in ingresso, per lasciare poi spazio a un sottofondo fruttato finissimo, esotico.

Il fin di bocca, leggermente amarognolo, completa una beva raffinatissima. Perfetto come aperitivo d’eccezione, questo vino bianco della cantina toscana Frescobaldi si abbina a piatti a base di verdure e pesce, non troppo elaborati.

LA VINIFICAZIONE
Il Pomino Bianco Doc Castello di Pomino Frescobaldi è prodotto in una delle zone della Toscane più vocate alla coltivazione delle varietà di uva a bacca bianca. Si ottiene dal blend di Chardonnay e Pinot Bianco, completato da altre varietà complementari.

I vigneti si trovano a un’altitudine di 700 metri sul livello del mare. La tecnica di vinificazione è particolare. La fermentazione di gran parte del mosto avviene in serbatoi di acciaio inox. Un’altra porzione fermenta invece in barrique, dove si svolge anche la malolattica, ovvero la trasformazione dell’acido malico in acido lattico, utile a conferire tinte più “morbide” al nettare.

Anche l’affinamento avviene in acciaio, per una durata complessiva di quattro mesi. Prima di essere messo in commercio, il vino affina in bottiglia per un altro mese.

Il Pomino Bianco Doc di Frescobaldi prende il nome dal Castello di Pomino. Una splendida tenuta della famiglia dei Marchesi de’ Frescobaldi, nel cuore della campagna fiorentina. Vigneti che si arrampicano fino a un’altitudine di 700 metri sul livello del mare, strappati a un bosco di sequoie, abeti e castagni.

Prezzo: 8,49 euro
Acquistato presso: Il Gigante / Esselunga

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a tutto volume

Grappa affinata in terracotta “Anfora”, Marzadro

Utilizzare l’anfora, il contenitore più antico della storia dell’uomo, per affinare il vino è una pratica ormai nota ed accettata, ma utilizzarla per i distillati è possibile? E con che risultato?

Ha provato a dare una risposta la distilleria Marzadro di Nogaredo (TN) con la sua “Anfora. Grappa affinata in terracotta”, 43%.

LA DEGUSTAZIONE
Incolore, perfettamente trasparente e brillante. Intensa e pulita al naso, emergono da subito note di erba tagliata e un bel bouquet floreale, con sentori di calendula in primo piano. Più in profondità si colgono profumi fruttati sia di frutti a polpa bianca sia di piccoli frutti rossi.

In bocca, la grappa affinata in terracotta “Anfora” delle distillerie Marzadro, entra morbida. L’alcolicità è presente ma non fastidiosa, ben integrata nel corpo vellutato della grappa. Una leggera dolcezza iniziale che lascia subito spazio a tutti i profumi sentiti al naso, che si percepiscono chiaramente nel retronasale. Piena ed armonica, chiude con una leggera nota amaricante ed una lunga persistenza.

LA PRODUZIONE
Sul collo della bottiglia è apposta la fascetta con il marchio “Trentino Grappa”, rilasciato dall’Istituto Tutela Grappa del Trentino, che certifica l’utilizzo di solo vinacce della provincia per “offrire al consumatore la garanzia di una qualità certificata dall’Istituto Agrario di San Michele all’Adige, attraverso analisi di laboratorio, e della Camera di Commercio di Trento presso la quale è operante una commissione per l’analisi organolettica”.

Una grappa al 100% figlia del territorio, quindi, per la quale viene utilizzato un blend di uve: 80% da vitigni a bacca rossa (Teroldego, Marzemino, Merlot) e 20% a bacca bianca (Chardonnay, Müller Thurgau, Moscato). Base molto simile a quella di un grande classico di casa Marzadro, la “Diciotto Lune”.

Come per tutte le grappe di Marzadro, la distillazione avviene solo nei cento giorni fra settembre e l’inizio del mese di dicembre, con vinacce fresche di spremitura. La distillazione segue i canoni della tradizione, con alambicco discontinuo a bagnomaria. Alambicchi in rame costruiti artigianalmente ma dotati di controlli computerizzati per impedire sbalzi di temperatura e salvaguardare gli aromi, la fragranza e la morbidezza tipici della grappa trentina. Artigianalità e tecnologia a braccetto.

La grappa riposa per minimo 10 mesi in anfore da 300 litri, realizzate con creta e argilla, che giungono da Montelupo e da Impruneta, località toscane note fin dal Medioevo per la lavorazione della terracotta.

Queste anfore garantiscono una micro ossigenazione doppia rispetto a quella che avviene con l’uso della botte. La grappa si arricchisce in eleganza e morbidezza, regalando così le caratteristiche tipiche dell’invecchiamento senza però ricevere profumi, sapori e colore dal legno.

LA DISTILLERIA
Nata sul finire degli anni ’40 a Brancolino (TN) per volere dei fratelli Sabina ed Attilio Marzadro, la distilleria si contraddistinse subito per la qualità della propria produzione e negli anni ’50 e ’60 divenne sinonimo stesso di “grappa trentina”.

Dall’introduzione nel 1975 della prima grappa da monovitigno autoctono trentino (il Marzemino) l’azienda è cresciuta costantemente, con nuovi alambicchi negli anni ’80 ed i primi distillati di frutta, fino alla realizzazione della nuova e moderna sede di Nogaredo (ad 1 Km da dove nacque) nel 2004.

Giunta alla terza generazione, Marzadro oggi offre 46 etichette di grappa differenti (fra bianche, affinate, monovitigno ed aromatizzate) e 28 etichette di liquori, coniugando una capacità produttiva industriale con l’attenzione artigianale, utilizzando quasi esclusivamente materie prime del territorio.

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Vini al supermercato

Umbria Igt 2016 Vipra Bianca, Bigi

(4,5 / 5) Giallo paglierino lucente, con sfumature verdoline. Quante degustazioni di vino bianco iniziano così? Molte. Ma l’Umbria Igt 2016 di Cantine Bigi offre anche altro.

Un’ottima etichetta nel rapporto qualità prezzo, reperibile sugli scaffali di diversi supermercati. Tra cui Carrefour ed Esselunga.

LA DEGUSTAZIONE
Definito il colore, l’analisi si focalizza sulla parte olfattiva. Il naso della Vipra Bianca Bigi striscia, suadente, tra sentori di frutta tendente al maturo (pesca gialla, albicocca), agrumi (arancia e bergamotto) e fiori di ginestra.

La mandorla accompagna sino a richiami minerali salini, sempre più evidenti col permanere del vino nel calice. Al palato, Vipra Bianca si rivela fresca e succosa in ingresso, sfoderando poi tutta la mineralità dei vitigni con cui viene prodotta da Cantine Bigi.

Solo in apparenza sensazioni contrastanti: in realtà, il quadro è quello di una morbidezza di eleganza esemplare, vero punto forte di questo vino umbro. Un po’ come bere velluto. Corrispondenti al naso le percezioni gustative, con la frutta a polpa gialla e la mandorla di nuovo evidenti (quest’ultima, in particolar modo, nel retro olfattivo).

Vipra Bianca 2016 di Cantine Bigi è un ottimo vino da aperitivo, abbinabile alla perfezione con salumi, primi piatti a base di pesce, nonché carni bianche e formaggi non stagionati.

LA VINIFICAZIONE
Vipra Bianca è un blend costituito per il 60% da uve Grechetto e per il 40% da Chardonnay, principale “responsabile” della parte ammandorlata sopra descritta. Le vigne si trovano a 300 metri di altitudine, nel circondario di Orvieto.

Vigne che vengono selezionate di anno in anno tra quelle con esposizione a Sud-Ovest. Densità di 4.500 piante per ettaro per le viti, allevate a cordone speronato e Guyot su terreni di natura argilloso sassosa. La resa in vino è di 56 ettolitri per ettaro.

Giunte in cantina, le uve Grechetto e Chardonnay fermentano in acciaio, per tre settimane su lieviti selezionati, a una temperatura di 14-16 gradi. Segue un ulteriore affinamento in acciaio di 5 mesi, prima dell’imbottigliamento.

La vendemmia 2016 ha segnato per Cantine Bigi (oggi parte integrante di Giv, Gruppo italiano vini) i 10 anni dall’inizio della produzione di Vipra Bianca.

Prezzo: 6,49 euro
Acquistato presso: Carrefour

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Tenimenti Civa, nuova cantina a Bellazoia. Tutto puntato sulla Ribolla Gialla

Dopo il restyling delle etichette, la nuova cantina che punta tutto (o quasi) sulla Ribolla Gialla. Sarà inaugurata venerdì prossimo, 1 settembre, l’azienda agricola Tenimenti Civa di Bellazoia di Povoletto, in provincia di Udine.

Una tenuta di 43 ettari vitati, suddivisi tra Bellazoia, Povoletto, Ravosa, San Giovanni al Natisone e Manzano, nella quale la Ribolla Gialla avrà sempre più spazio. E non a caso. Secondo l’indagine di Coldiretti presentata al Vinitaly 2016, il vitigno friulano è quello che ha subito il maggior incremento nelle vendite tra i vini al supermercato (31%), seguito dalla Passerina delle Marche (24%) e dal Valpolicella Ripasso del Veneto (23%).

IL PROGETTO
Al titolare parmense Valerio Civa – già fondatore di Effe.ci Parma – piace definirlo “un progetto agricolo per la grande distribuzione”. Nato attorno al 2014 con il curioso nome “Jean Paul Roble” in etichetta, viene poi corretto il tiro per la vendemmia 2016. Un cambio d’immagine dovuto alle numerose critiche ricevute nel Collio, per la scarsa rappresentatività territoriale del nome francese.

La scritta “Tenimenti Civa”, di fatto, è oggi in bella evidenza sulle nuove label dei vini friulani della tenuta, distribuiti massicciamente da Auchan e Iper Coop. Prodotti che è facile reperire in promozione nelle due catene della grande distribuzione.

I “friulani per la Gdo” di Tenimenti Civa “sono ottenuti esclusivamente da uve della tenuta e di piccole realtà agricole locali costantemente monitorate”. “L’obiettivo – evidenzia la cantina in una nota – è garantire una qualità medio alta dei vini, destinati a un pubblico ampio di consumatori, distribuiti attraverso la grande distribuzione organizzata (Gdo), sempre più attenta alla soddisfazione dei propri clienti che puntano non solo alla qualità di ciò che acquistano, ma anche alla tracciabilità dei prodotti”.

RIBOLLA SUPERSTAR
L’attenzione è rivolta in particolare ai vitigni autoctoni: Ribolla gialla, Friulano (un tempo Tocai), Refosco dal peduncolo rosso, Schioppettino. Oltre a queste varietà, Tenimenti Civa alleva Sauvignon, Pinot grigio, Chardonnay, Glera, Cabernet e Merlot. Il 75% della produzione è rivolta ai vini bianchi. Tra questi è la Ribolla gialla a occupare il posto d’onore.

Tra Manzano e San Giovanni al Natisone è stato realizzato un podere di circa 10 ettari dedicato a questa varietà, unico per dimensioni sui Colli Orientali del Friuli, destinato a diventare di 30 ettari in un prossimo futuro. “Il controllo dell’intera filiera produttiva risulta in questo modo semplificato – riferisce la cantina – a garanzia della qualità del prodotto finale”. Altri 2 ettari sono stati piantati di recente a Bellazoia.

Nella nuova cantina vengono vinificate tutte le uve, soprattutto in acciaio. La cantina ospita 78 vasche termo-condizionate per una capacità complessiva di 7 mila ettolitri hl. Nel 2017 sono state acquistate 4 autoclavi da 60 ettolitri per spumantizzare la Ribolla gialla. Tenimenti Civa utilizza tini in legno e barrique solo per alcune selezioni di vini.

Tutti i vini sono prodotti sotto la denominazione d’origine Friuli Colli Orientali e la più recente Doc Friuli. La filosofia produttiva è sintetizzata nel logo 8515 (un tempo preceduto dalla scritta “Jean Paul Roble”) riportato sulle etichette dei vini, che riflettono per l’85% il vitigno della Doc, “mentre il 15% – spiega la cantina – è rappresentato dalle migliori varietà della proprietà”.

Nel 2016 sono state prodotte complessivamente 350 mila bottiglie. Con la Ribolla gialla viene realizzato il vino fermo e lo spumante, nelle versioni extra brut e dry, che verrà presentato il 1° settembre in occasione dell’inaugurazione ufficiale della Tenimenti Civa.

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Tenimenti Civa corre ai ripari: rivista l’etichetta dei friulani Jean Paul Roble

Dopo aver incassato mesi di critiche, Tenimenti Civa ha revisionato l’etichetta della linea di vini friulani Jean Paul Roble. Nel mirino la scarsa riconoscibilità del territorio, rappresentato da un nome francese.

Oggi i vini si presentano sugli scaffali dei supermercati delle insegne Iper Coop e Auchan con un’etichetta bianca al posto della nera.

La scritta “Jean Paul Roble”, prima in bella evidenza, è stata sostituita dalla denominazione. Colpo d’occhio importante sulla scritta “Tenimenti Civa“. Il nome di fantasia “Jean Paul Roble” non è scomparso dall’etichetta. Occupa una posizione centrale, ma il corsivo ha preso il posto del megalomane stampatello tanto criticato.

LA LINEA JEAN PAUL ROBLE
Frutto di un concept raro da rinvenire tra i banchi della grande distribuzione organizzata italiana, i vini “Jean Paul Roble 85 15” nascono “da un concetto di terroir ispirato ai territori della Borgogna, di Pomerol, di Bordeaux e della Loira”.

Vini francesi destinati prevalentemente a un pubblico di nicchia, la cui filosofia, coniugata all’italiana, mira a rivolgersi “a un pubblico più vasto”. Non a caso Jean Paul Roble non è il nome del produttore, bensì lo pseudonimo dietro al quale si cela Effe. Ci Parma Srl: uno dei colossi del mercato italiano del vino.

Le Doc commercializzate con questo marchio, prodotte esclusivamente nei Colli Orientali del Friuli, sono ottenute da un appezzamento di 16 ettari sulla collina di Ipplis, coltivato per 3 ettari a Pinot Grigio, 3 a Friulano, 3 a Sauvignon, 5,5 a Chardonnay, 1,5 a Refosco e 1 a Merlot.

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Bollicine 2017: Oltrepò culla del Pinot Nero. Franciacorta, scommessa Erbamat

Oltrepò pavese e Franciacorta, due tra le zone più vocate in Italia per la produzione di spumante Metodo classico, hanno dato il via alla vendemmia 2017.

Una raccolta anticipata che non trova memoria in epoca recente, nel Pavese. Già il 2 agosto il taglio dei primi grappoli sulle colline di Oliva Gessi, pittoresco borgo di 200 abitanti alle porte di Pavia, tra Casteggio e Montalto pavese.

I primi vigneti a raggiungere la giusta maturazione in Franciacorta sono invece quelli localizzati sul versante esposto a Sud del Monte Orfano, grazie al microclima più caldo.

Ma se in Oltrepò, primo terroir di Lombardia con 13.500 ettari di vigna sui 22 mila totali, si parte di consueto dalla raccolta delle uve base spumante (Pinot nero e Chardonnay), in Franciacorta l’attenzione è focalizzata sulla risposta di un altro vitigno: l’Erbamat.

L’AUTOCTONO RISCOPERTO
Il primo agosto è entrato in vigore il nuovo Disciplinare di Produzione approvato dal Ministero, che prevede la possibilità di utilizzare lo storico autoctono bresciano a bacca bianca nella misura massima del 10%, nel blend con Chardonnay, Pinot Bianco e Pinot Nero.

Sono interessate tutte le tipologie, tranne il Satèn. L’obiettivo del Consorzio di Tutela è quello di “permettere di testare le sue potenzialità in modo graduale e valutarne eventuali incrementi in futuro”. Un traguardo raggiunto dopo anni di sperimentazioni condotte in sordina sull’Erbamat, vitigno dimenticato ma di cui si ha notizia fin dal ‘500.

“Le modifiche al disciplinare – continua il Consorzio – che si riconferma il più restrittivo al mondo fra i vini rifermentati in bottiglia, restano quindi vocate all’obiettivo di perseguire l’eccellenza in ogni singolo passaggio produttivo e aprono la strada a nuove possibilità di differenziazione. In un mondo spumantistico che prevede pressoché ovunque l’impiego di Chardonnay e Pinot Nero, infatti, l’uso dell’Erbamat può diventare un fattore di esclusività importante, capace di ripercuotersi anche sull’interesse dei consumatori internazionali”.

LE STIME
Il clima pazzo ha lasciato il segno sui vigneti della Lombardia con un taglio medio del 20% sui raccolti. E’ quanto stima la Coldiretti regionale in occasione della vendemmia 2017, iniziata il 2 agosto in Oltrepò e Franciacorta per concludersi a ottobre, in Valtellina.

E se in alcune zone le rese sono in calo del 30% con punte anche del 50% a causa delle gelate della scorsa primavera che hanno colpito a macchia di leopardo, “il caldo e la siccità di questi ultimi mesi – evidenzia Coldiretti – hanno esaltato la qualità e la maturazione dei grappoli”.

Secondo la stima di Coldiretti Lombardia, la produzione regionale dovrebbe superare il milione e 200 mila ettolitri di vino, la maggior parte dei quali per Docg, Doc e Igt. “Con i nostri vini di qualità raccontiamo l’Italia nel mondo – spiega Ettore Prandini, Presidente di Coldiretti Lombardia e vice presidente nazionale di Coldiretti – si tratta di un patrimonio di cultura, conoscenza ma anche economico visto che l’export supera i 5 miliardi di euro all’anno”.

Le province più “vinicole” sono Pavia e Brescia, che da sole rappresentano i due terzi delle superfici vitate in Lombardia e il 70% delle oltre tremila aziende lombarde. A seguire Mantova, Sondrio, Bergamo, Milano e Lodi (con le colline fra San Colombano e Graffignana), ma zone viticole con piccole produzioni si contano anche fra Como, Lecco, Varese e Cremona.

Crescono poi le superfici dedicate ai vigneti “organic”, salite a 2.570 ettari, quasi tre volte in più rispetto a quelle di dieci anni fa, con un’incidenza del 15% sul totale delle aree dedicate alle produzioni di alta qualità. Per quanto riguarda la mappa dei vigneti bio o in conversione al bio, il 61% è concentrato in provincia di Brescia con 1.581 ettari, il 32% in provincia di Pavia con 829 ettari e il resto fra Bergamo (71 ettari), Mantova (43 ettari), Sondrio (26 ettari), Lecco (11 ettari) e Milano (10 ettari).

L’intera filiera del vino, fra occupati diretti e indiretti, temporanei e fissi offre lavoro in Lombardia a circa 30 mila persone e la produzione genera un export di circa 260 milioni di euro all’anno, in particolare verso Stati Uniti, Gran Bretagna, Svizzera, Canada e Giappone.

Sul fronte dei consumi, sempre secondo le stime Coldiretti, in Lombardia quasi 5 milioni di persone bevono vino durante l’anno puntando sempre di più alla qualità, come testimonia il boom delle enoteche, arrivate a sfiorare quota mille, con un aumento di oltre il 30% negli ultimi sette anni. La provincia con la maggior concentrazione di “oasi delle Doc” è quella milanese con 261 realtà, seguono Brescia (175), Bergamo (109), Varese (99), Monza e Brianza (82), Como (63), Pavia (59), Mantova (47), Cremona (34), Lecco (31), Sondrio (25), Lodi (9).

LE STRADE DEL VINO LOMBARDO
Ma il vino è anche un mezzo di scoperta del territorio. In Lombardia si contano oltre mille chilometri di sentieri del nettare di Bacco.

Al primo posto Brescia, con 370 chilometri suddivisi tra la Strada dei Vini e dei Sapori del Garda (200 chilometri), la Strada del Vino Colli dei Longobardi (90 chilometri) e  la Strada del Vino Franciacorta (80 chilometri).

A seguire c’è la provincia di Mantova, con la Strada dei Vini e dei Sapori Mantovani che si estende per circa 300 chilometri, quella di Sondrio con i 200 chilometri della Strada dei Vini e dei Sapori della Valtellina, Bergamo con la Strada del Vino e dei Sapori della Valcalepio (70 chilometri) e infine, Lodi e Pavia, rispettivamente con la Strada del Vino San Colombano e dei Sapori Lodigiani e la Strada del Vino e dei Sapori dell’Oltrepò Pavese (con 60 chilometri ognuna).

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Vini al supermercato

Bianco Veneto Igt 2016 Pràtalea, Abbazia di Praglia

(3,5 / 5) Un progetto nato nel 2006, con l’impianto dei primi vigneti di varietà locali come Garganega e Raboso. Siamo ai piedi dei colli Euganei, a circa 12 chilometri da Padova.

Qui, l’Abbazia di Praglia produce il Pratàlea Bianco Veneto Igt. Un blend di Chardonnay, Moscato giallo e Garganega dalla storia antica. Come quella del luogo in cui prende vita.

LA DEGUSTAZIONE
Sotto la lente di vinialsuper finisce la vendemmia 2016. All’esame visivo, il vino si presenta di un giallo paglierino cristallino e abbastanza consistente. Avvicinando il calice al naso si percepisce l’intensità tipica dei vitigni aromatici. Sentori floreali e fruttati di buona finezza e complessità.

Si individuano nel bouquet frutti a polpa bianca come la pesca, ma anche frutti esotici come mango e ananas. Gradevoli profumi aromatici come quelli inconfondibili della foglia di geranio. Al palato, Pratàlea Bianco Veneto Igt risulta secco, caldo e morbido nonostante l’annata giovane e abbastanza persistente. Sapidità e freschezza si percepiscono in un secondo momento, mentre il corpo leggero lo rende un vino da tutto pasto, piuttosto armonico nel complesso.

Un vino perfetto per un pranzo domenicale in famiglia, a base di piatti non particolarmente elaborati di verdure, pesce e carni bianche, consigliato col baccalà alla vicentina. Un bianco senza grosse pretese, conviviale, che rispetta la terra di provenienza e la filosofia di vita della regola monastica benedettina.

LA VINIFICAZIONE
Come anticipato, Pratàlea è un vino appartenente alla tipologia Bianco Veneto Igt. L’uvaggio comprende due vitigni aromatici/semi-aromatici come Chardonnay e Moscato giallo, oltre alla Garganega. Il metodo di allevamento utilizzato è il sistema a guyot (a spalliera) che garantisce migliori risultati qualitativi, ottimizzando l’insolazione, e il cordone speronato, più semplice da lavorare anche da mani poco esperte perché più adattabile alla potatura e alla vendemmia meccanizzata.

La densità d’impianto si aggira sui 4500 ceppi per ettaro. L’alta densità d’impianto, abbinata alla riduzione del numero di gemme per ceppo, porta alla formazione di grappoli con acini più piccoli e con una maggiore ricchezza in polifenoli e sostanze aromatiche, che daranno vini più colorati e profumati. Il terreno argilloso conferisce sensazioni olfattive complesse, ricchezza di alcol etilico, morbidezza e longevità in linea con la degustazione.

La vendemmia dello Chardonnay si svolge generalmente nella prima decade di settembre. Per il Moscato giallo si aspetta la terza decade, mentre la Garganega viene raccolta tra la fine di settembre e gli inizi di ottobre. La vinificazione avviene con un’iniziale macerazione sulle bucce per 5-6 ore, seguita da una pressatura soffice con sgrondro statico.

Il mosto fiore, inoculato con lieviti selezionati, fermenta in serbatoio di acciaio per 10-12 giorni a temperatura controllata. Poi, il vino riposa a contatto con le fecce per poter acquisire le specifiche caratteristiche varietali, in serbatoi di acciaio per circa 6 mesi.

VINO E STORIA
L’abbazia di Praglia fu fondata nell’XI secolo come dipendenza dell’Abbazia di San Benedetto in Polirone di Mantova, ma solo con gli inizi del XIV secolo la comunità di Praglia, conosciuta originariamente col nome di Pratalia, si rese del tutto autonoma eleggendo un Abate.

L’Abbazia benedettina fu fiorente fino alla soppressione napoleonica del 1810 ma, nel 1904 due monaci ritornarono in monastero e poté riprendere a pieno la vita regolare che continua fino ai nostri giorni.

Questa piccola e isolata abbazia è conosciuta in tutto il mondo per i suoi manoscritti, libri d’arte e pergamene, ma negli ultimi decenni è inoltre riconosciuta per la produzione di vini locali. I documenti ci raccontano di due tipologie di prodotto: il “vino de monte”, di buona qualità, ricavato dalle vigne di collina, impiegato per le funzioni liturgiche; e il “vino de plano”, meno pregevole, destinato ad essere consumato nelle taverne.

Nel 2006, il progetto riceve nuova linfa dall’impianto di varietà tipiche locali come Garganega, Raboso Piave e Veronese e Moscato Giallo, detto Fior d’Arancio, ma anche di vitigni internazionali come Chardonnay, Merlot e Cabernet.

Viene allestita in quegli anni, negli antichi spazi, una una piccola cantina moderna ed efficiente, in grado di coniugare la millenaria tradizione benedettina alla tecnologia più recente. Dalla vigna fino alla vinificazione, tutto viene controllato personalmente da Paolo Briani, che insieme ai monaci, ideatori e promotori dell’impresa, offrono il loro prezioso apporto.

Prezzo: 6,90 euro
Acquistato presso: Alìper – Alì Supermercati e Ipermercati

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Vini al supermercato

Blanc de Blancs Brut, J.P. Chenet

(3,5 / 5) Attenzione a non confondere questo bel prodotto di J.P. Chenet con lo Champagne. Prima avvisaglia il prezzo, nettamente inferiore a quello della gamma di “bollicine francesi” presenti nei supermercati italiani. Uno sparkling wine che dà comunque soddisfazioni. Soprattutto nel rapporto qualità prezzo. Gran bell’affare se in promozione.

Giallo paglierino con riflessi oro, il Blanc de Blancs Brut della cantina J.P. Chenet evidenzia nel calice un perlage fine e persistente. Naso profondo di lieviti, crosta di pane e mandorla, sfodera una leggera nota ossidativa che, solo in una fase iniziale, tende a smorzare la piacevolezza delle note fruttate mature di pesca e albicocca. Fanno capolino anche note floreali fresche, sempre meglio definite.

In bocca, lo spumante Blanc de Blancs Brut Chenet riconferma la leggera ossidazione. Trattasi, di fatto, di una bollicina da bere presto, a un anno circa dall’immissione in commercio. Al palato risulta comunque morbido, rotondo.

Una piacevolezza rinvigorita da una spuma avvolgente, per nulla appuntita, che solletica la lingua e chiama il sorso successivo. La nota zuccherina finale conferisce ulteriore gradevolezza alla beva. Peccato duri poco: la pecca di questo Blanc de Blancs (quella che gli costa mezzo punto nella nostra valutazione in “cestelli” della spesa) sta proprio nella semplicità monocorde del finale e nella scarsa persistenza.

Quanto agli abbinamenti, il Brut J.P. Chenet è un vero e proprio “animale” da aperitivo. Uno sparkling che, se servito alla corretta temperatura (6-8 gradi), finirà in un baleno, senza dare alla testa. Per tecnica di vinificazione e uvaggio (100% Chardonnay) si presta anche ad accompagnare pesce grigliato e carni bianche.

LA STORIA
Il vero tratto distintivo della J.P. Chenet è certamente la caratteristica bottiglia dalle curve originali e dal corpo generoso. Una forma nata nel 1984, per mano dell’artista e imprenditore Joseph Helfrich. La chiamò “Joséphine”.

L’originale prevedeva un collo leggermente inclinato. Una forma che conserva tuttora una linea di vini della J.P. Chenet. Forse questo il segreto del successo di un’azienda capace di guadagnarsi il podio delle vendite fra le cantine d’Oltralpe, distribuendo prodotti in oltre 160 Paesi.

Prezzo: 6,49 euro
Acquistato presso: Coop

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Dieci Champagne da favola nel “mare” di Alassio

Meno “zucchero”, ma più “legno” e struttura nel calice. E in vigna, grande attenzione alle frontiere della viticoltura biodinamica, oltre a una spinta sostanziale sulla valorizzazione della parcellizzazione.

“Un Mare di Champagne”, evento di punta delle bollicine francesi in Italia, si conferma anche quest’anno passerella privilegiata per comprendere i nuovi trend di mercato del Metodo Classico più venduto al mondo.

Dall’11 al 14 giugno, al Grand Hotel Alassio & Spa, le 56 maison presenti hanno presentato Champagne con dosaggi zuccherini generalmente risicati, o comunque al di sotto dei massimali della classificazione ufficiale. Un discorso che vale soprattutto per i Brut, trovati troppe volte “piacioni” all’edizione precedente di “Un mare di Champagne”. Merito del dilagare della moda Pas Dosè? Può darsi.

Altro dato che emerge, l’innalzamento qualitativo degli Champagne biodinamici. Con le maison “verdi” ormai pronte a competere alla pari con chi adotta metodi tradizionali, in campagna e dans la cave. “Merito, nella maggior parte dei casi – spiega Livia Riva, La Dame du Vin – della grande attenzione alla pulizia in cantina da parte delle maison che si cimentano nella viticoltura biodinamica”.

Realtà eccezionali come quella di Hugues Godmé, vigneron di Verzenay che vive quasi ventiquattr’ore su ventiquattro tra le sue vigne. Troviamo Godmé direttamente sul podio dei nostri migliori assaggi all’edizione 2017 di Un Mare di Champagne.

I MIGLIORI SECONDO VINIALSUPER
1) Brut Reserve, Boizel. Blend composto per il 55% da Pinot Noir, 30% da Chardonnay e 15% da Pinot Meunier. Tre anni sui lieviti, 30% di vini di riserva. Bollicina finissima e persistente. Al naso zabaione, crema pasticcera, biscotti e lime. In bocca tagliente, minerale e agrumato.

Complesso, ma di una bevibilità eccezionale. Caratteristiche che, unite a un prezzo da listino veramente interessante, gli consentono di raggiungere la vetta della nostra classifica. Uno Champagne, il Brut Reserve Boizel, distribuito in Italia da Feudi di San Gregorio.

2) Cuvée Extra Brut 3c, Bourgeois-Diaz. Il “base”, che “base” non è. Champagne eccezionale questo, considerando il posizionamento nella gamma della maison di Crouttes-sur-Marne.

Nasce dai 7 ettari in conversione biodinamica di proprietà della Bourgeois-Diaz ed è composto da un 55% di Pinot Meunier, un 28% di Pinot Noir e un 17% di Chardonnay. Eccole le “3c”, ovvero i tre vitigni (cépages), che danno vita a un calice indimenticabile, in perfetto equilibrio tra il morbido e l’austero.

3) Extra Brut Fins Bois, Hugues Godmé. Eccolo qui il capolavoro bionamico dell’uomo che sussurra alle vigne. Sessanta percento Pinot Noir, 40 Chardonnay, con il 60% di vini di riserva affinati per l’80% in botti piccole: la formula, più complicata a leggersi che a bersi, di uno Champagne profumato, freschissimo e succoso. Tre grammi litro di residuo zuccherino, giusto per offrire l’ultimo dettaglio tecnico. Per il resto, è da provare.

4) Brut Nature – Dosage zero, Ar Lenoble. Altro ottimo blend che vede il Meunier farla da padrone con un 45%, su Chardonnay (25%) e Pinot Noir (30). Prezzo da listino, 27 euro. Qualità da vendere. Il Meunier proviene da Damery, Valle della Marna, mentre per lo Chardonnay Ar Lenoble ricorre al Grand Cru di Chouilly.

Il Pinot nero, Premier Cru, è invece coltivato a Bisseuil. Un Brut Nature che ha conferma nel calice tutte le aspettative: “dritto”, capace di arrivare al cuore con note fruttate di pera e arancia candita, ben bilanciate con una schietta mineralità e da folate di zenzero.

5) Zero dosage Blanc de Blancs, Encry. Finalmente uno Chardonnay emozionante, pensato e voluto da Encry come la “massima espressione del territorio”. Per intenderci, stiamo parlando dei “vicini di vigna” di Krug, a Mesnil-sur-Oger. Il Blanc de Blancs Zero dosage, 36 mesi sui lieviti, è sboccato à la voleè. Un Blanc de Blancs tipico, ma anche moderno. Impossibile staccarsi da un calice che offre un sorso non eccessivamente complesso ma assolutamente pieno, rigoglioso.

6) Brut Esprit Nature, Henri Giraud. Non tragga in inganno il nome di fantasia, “Nature”. Si tratta infatti di un Brut, da 7-8 grammi litro di dosaggio. Diciotto mesi di affinamento sui lieviti. Quanto basta per ottenere un altro Champagne tutt’altro che banale, ma dalla straordinaria bevibilità. Ottanta percento Pinot Noir, 20 Chardonnay della Valle della Marna. Colpisce per la mineralità e la muscolatura, capaci insieme di “coprire” lo zucchero e di far pensare a un dosaggio zero sui generis. Uno dei prodotti più caratteristici della Maison Henri Giraud.

7) Extra Brut Le Fond du Bateau n 9, Pertois-Lebrun. Un luogo unico come il villaggio di Cramant, grand cru della Côte des Blancs. Un unico vitigno, ovviamente Chardonnay. Un solo anno di raccolta, che riflette l’andamento climatico. E un basso dosaggio zuccherino, pari a 1,5 grammi. Le Fond du Bateau n 9 è lo Champagne  che fa dell’insieme di diverse unicità il proprio punto forte. Minimo cinque anni di affinamento sui lieviti per un Extra Brut che offre un pregevole naso di pasticceria, utile a “stordire” prima di un palato tagliente, dominato da note agrumate di pompelmo. Finale e retro olfattivo virano nuovamente sulla crema. Uno Champagne stupefacente, di delicata complessità.

8) Rosé, Boizel. Di nuovo Boizel, questa volta con il rosé ottenuto al 55% da Pinot Nero, cui viene aggiunto un 30% di Chardonnay e un 15% di Meunier. L’impronta dell’uvaggio predominante è evidente, grazie anche all’utilizzo di un 8% di vino rosso proveniente dai vigneti di Cumières e Les Riceys. Come dalle migliori attese dominano il quadro i frutti rossi, la cui fragranza viene mitigata dalla morbidezza del Meunier e dall’eleganza dello Chardonnay. Uno Champagne che fa dell’equilibrio il suo punto forte, sfoderando un finale lungo, fresco e piacevolmente sapido.

9) Cote de Noir, Henri Giraud. Tutto bellissimo, tranne il conto: si aggira attorno ai 100 euro il prezzo medio sul mercato di Cote de Noir, Champagne Blanc de Noir della maison Henri Giraud. Un calice che fa della struttura e della profondità il proprio asso nella manica. Frutta esotica e miele si incontrano al naso col pepe bianco. Grande freschezza al palato, con il sorso chiamato da una spiccata mineralità, che contribuisce a definire la struttura della beva. Un 100% Pinot Noir di grande compattezza e carattere.

10) Brut Selection, Le Brun Servenay. Vien voglia d’assaporare un’altra delle ostriche servite dagli chef Selecta al Grand Hotel Alassio & Spa mentre si assapora il Brut Selection della maison Le Brun Servenay. Un 100% Chardonnay, dunque un Blanc de Blancs, di tutto rispetto. Ottenuto da vigne di età compresa tra i 20 e i 25 anni, regala un naso intenso di iodio e agrumi. Pregevole la corrispondenza al palato, dove questa selezione proveniente dal gran cru di Avize si conferma Champagne di finissima struttura e carattere.

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Metodo Classico Extra Brut Nobilis Naturae, Rossi de’ Bellagente Torrevilla

(3,5 / 5) Sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper, un Metodo Classico dell’Oltrepò pavese. E’ l’Extra Brut Nobilis Naturae di Rossi de’ Bellagente, azienda di Stradella del gruppo Torrevilla.

LA DEGUSTAZIONE
Colore giallo paglierino pieno e brillante. Il perlage è abbastanza fine, vigoroso e molto persistente. Al naso, lo spumante Nobilis Naturae è intenso. Ben marcata la nota di lievito e crosta di pane. Un poco di frutta secca, accompagnata da sentori di frutta molto matura. In bocca caldo ed ampio, riempie bene il sorso.

Al palato la “bollicina” non infastidisce, per quanto tenda a smorzare la morbidezza del vino. Il finale, poco persistente, regala tuttavia una piacevole sensazione a metà tra i lieviti e il fruttato. In definitiva, un Metodo classico piuttosto equilibrato, non complesso, che trova nella sua immediatezza il punto forte, unita alla forza e persistenza del perlage e alla fine compattezza del bouquet. Un buon compagno in cucina, per abbinamenti non troppo elaborati.

LA VINIFICAZIONE
Nobilis Naturae è una cuvée composta da Pinot Nero e Chardonnay, di cui non sono dichiarate le percentuali in etichetta. I vigneti sono quelli dell’Oltrepò Pavese di fascia medio collinare, nei comuni di Rocca de Giorgi e Montalto Pavese. L’affinamento sui lieviti è pari a 18 mesi.

Realtà votata alla spumantizzazione Metodo classico, come da grande tradizione dell’Oltrepò, Rossi de’ Bellagente elabora, assembla ed affina i propri spumanti a Stradella. Le radici storiche della cantina affondano nel lontano XVII secolo, ma è dalla sua storia recente che nascondo i prodotti attualmente in commercio, distribuiti i modo più capillare dal 2014, quando l’azienda è entrata a far parte del gruppo Torrevilla.

Prezzo: 8,45 euro
Acquistato presso: Esselunga

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Vini al supermercato

Brut Rosè Trentodoc Le Premier, Cesarini Sforza

(4 / 5) E’ tra i vini spumanti Metodo Classico trentini più diffusi al supermercato. Parliamo del Brut Rosè Trentodoc Le Premier di Cesarini Sforza. La variante rosata del classico Le Premier, prodotto con sole uve Chardonnay.

Per ottenere il colore rosato viene infatti aggiunta una piccola percentuale di Pinot Nero, uva dal grappolo rosso. Sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper la sboccatura 2016.

LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il Brut Rosè Trentodoc Le Premier Cesarini Sforza si presenta di un colore buccia di cipolla cristallino, luminoso. Il perlage è fine e persistente. Non resta che avvicinarlo al naso per avvertire l’impronta tipica del Pinot Nero: i frutti rossi come la fragolina di bosco, i lamponi e il ribes fanno tuttavia da sfondo alle più marcate note di lieviti e crosta di pane.

Corrispondente al palato, il Rosè Cesarini Sforza Le Premier sfodera nuovamente la carica delicata e sottile dei frutti rossi già avvertita al naso. Netta, poi, la svolta verso tinte mediamente balsamiche, che ricordano le erbe di montagna. Chiusura sulla mineralità tipica del Trentodoc, capace di ricordare la soluzione salina. Percezioni che, unite in un sorso mediamente caldo e secco, esaltano la sottigliezza di un perlage capace di solleticare delicatamente la lingua. Un bel quadro trentino, di assoluta qualità.

LA VINIFICAZIONE
Il Brut Rosè Le Premier Cesarini Sforza è prodotto all’85% con uve Chardonnay, cui viene addizionato un 15% di Pinot Nero. La zona di produzione, come da disciplinare, è quella della Trento Doc. In particolare, i vigneti hanno esposizione a Sud, Sud-est e sono collocati su una fascia che va dai 450 ai 700 metri sul livello del mare.

La composizione del terreno è di tipo strutturato e profondo, franco argilloso. Le radici della vite affondano in un composto ricco di pietre, sciolti fluvio-glaciali da disfacimento di rocce porfiriche e sabbiosi. La forma di allevamento è il Guyot, a pergola semplice trentina, con una densità di impianto di 4 mila ceppi per ettaro.

La vinificazione prevede la raccolta manuale di Chardonnay e Pinot Nero nella prima decade di settembre, pressatura soffice delle uve intere, decantazione statica dei mosti, fermentazione a temperatura controllata in serbatoi di acciaio inox e affinamento sulle lisi per circa 6 mesi.

Prezzo: 11,70 euro
Acquistato presso: Esselunga

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Vini al supermercato

Sorpresa da Auchan: Franciacorta 2005 a 5,93 euro

(5 / 5) L’astuccio nero, è vero, è un po’ usurato. Ma chi se ne importa, se poi il vino in bottiglia è buono. E di fatto non riserva sorprese il calice di Franciacorta Docg Brut Millesimato 2005 La Scuderia, prodotto dall’omonima cantina di Erbusco, nel Bresciano.

La catena di supermercati Auchan doveva “disfarsi” di alcuni avanzi di magazzino. Ecco dunque il prestigioso metodo classico lombardo a prezzi pazzi sugli scaffali: 5,93 euro. Un 40% di sconto su un prezzo pieno comunque allettante per uno spumante vendemmia 2005: 9,89 euro.

Decidiamo di acquistare tre bottiglie e di testarlo. Ne traiamo l’ennesima testimonianza di come i prezzi del vino della Grande distribuzione, spesso, non siano figli della qualità del prodotto. Piuttosto delle mere logiche commerciali (qui il nostro approfondimento), legate ai contratti stipulati con i fornitori e ai costi di stoccaggio, non indifferenti.

LA DEGUSTAZIONE
Una degustazione, quella del Franciacorta Docg Brut Millesimato 2005 La Scuderia che tornerà sicuramente utile in futuro: perché questo spumante – ne siamo certi – tornerà a presentarsi nei prossimi mesi sugli scaffali di Auchan o di altre catene di supermercati, vista l’impronta aziendale della cantina di Erbusco. E allora voi sarete lì, pronti a farne incetta.

Nel calice, questo metodo classico franciacortino si presenta di privo di particelle in sospensione. Cristallino, molto trasparente, luminoso. Il colore è un invitante giallo dorato, di grande intensità. Le premesse per un’ottima conservazione del nettare in bottiglia, prima della sboccatura avvenuta nel 2016 (a scaffale anche una 2015), ci sono tutte: di fatto, anche il naso non delude.

Con intensità sostenuta, ma allo stesso tempo con grande pulizia, si riescono a distinguere sentori di frutta matura e richiami esotici di lime, uniti alla scorza della buccia d’arancia. Poi, il corredo che ci si può attendere da un metodo classico affinato così a lungo: biscotto al burro e lievito. Non manca una vena sottile balsamica, che impreziosisce il quadro complessivo.

Al palato, nuove conferme della straordinarietà del prodotto, in termini di qualità prezzo: la nota di lime già avvertita al naso si fa tutt’uno col perlage, in ingresso, per tornare poi a presentarsi in un finale sufficientemente lungo.

In mezzo, il Franciacorta Docg Brut Millesimato 2005 La Scuderia sfodera corpo e calore di tutto rispetto, giocato sull’equilibrio tra un’acidità piena e la vena dolciastro-balsamica del miele di tiglio. Non mancano echi di frutta secca. Chapeau.

Per quanto riguarda l’abbinamento in cucina, è straordinaria anche la versatilità di questo prodotto, che ricorda quella di certi metodo classico a base di uve Durella: evoluti sì, ma non troppo impegnativi. Dunque bene a tutto pasto, o in accostamento a primi e secondi a base di carne bianca e pesce (in frittura, perché no?), mediamente elaborati.

LA VINIFICAZIONE
Il Franciacorta Docg Brut Millesimato 2005 La Scuderia si compone per il 70% di uve Chardonnay e per il 30% di uve Pinot Nero, allevate a mezza collina in diversi comuni della Franciacorta. In seguito alla raccolta manuale delle uve viene eseguita la pressatura soffice. La fermentazione del mosto avviene in serbatoi d’acciaio a temperatura controllata, con l’impiego di lieviti selezionati. In primavera il vino viene posto in bottiglia per una lenta rifermentazione, a contatto con il proprio lievito. Ultimo dettaglio? Sul web, il Franciacorta Docg Brut Millesimato 2005 La Scuderia è reperibile a un prezzo che oscilla tra i 19 e i 25 euro. Ancora dubbi sui vini in offerta al supermercato?

Prezzo: 9,89 euro
Acquistato presso: Auchan

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vini#1

Curtefranca Doc Bianco 2010 Uccellanda, Bellavista

Ci avviciniamo oggi a uno dei must della Doc bresciana Curtefranca, prodotto da una grande cantina che del suo vino bianco fermo ha fatto una bandiera, assieme alle bollicine. Parliamo del Curtefranca Doc Bianco Uccellanda di Bellavista. La vendemmia sotto la lente di ingrandimento è la 2010.

Un vino che si presenta giallo oro, limpidissimo, scorrevole. Archi strettissimi che scendono sulla parete del calice, opponendo un minimo di resistenza.

Al naso tanta complessità: frutti esotici predominanti, con litchi più evidenti di banana e ananas. Poi l’Uccellanda 2010 di Bellavista vira su note di mandorla e miele, che ne denotano la perfetta evoluzione in bottiglia.

Estremamente elegante la bevuta. Sapidità e morbidezza ben si sposano. Un 2010 vigoroso, fragrante, ma soprattutto ancora giovanissimo, che fa presagire una potenzialità ulteriore di invecchiamento.

La componente alcolica è molto percettibile e regala alla beva del vino calore e pienezza. Al palato anche leggere note di agrumi, che precedono una chiusura lunga, su sentori di frutta secca, mandorle e nocciole. In cucina, l’abbinamento è con primi e secondi piatti (anche piuttosto elaborati) a base di carne bianca, pesce e crostacei.

LA VINIFICAZIONE
Il Curtefranca Doc Bianco Uccellanda Bellavista è prodotto in purezza da uve Chardonnay provenienti dal vigneto Uccellanda, situato nella frazione Nigoline del Comune di Corte Franca, a una quota altimetrica media di 300 metri sul livello del mare. I filari sono disposti parallelamente alle curve di livello, in numero variabile a seconda della profondità delle terrazze. L’esposizione del vigneto è totalmente a Sud-Est.

La raccolta avviene a perfetta maturazione dopo un’attentissima selezione in pianta. Dopo la pigiatura, il mosto è sottoposto a una leggera macerazione con le bucce. La fermentazione avviene in pièces da 228 litri. L’Uccellanda termina la sua evoluzione in contenitori in acciaio inox, dove riceve il freddo dell’inverno. Nella seconda primavera dalla vendemmia, il vino viene imbottigliato. Prima della commercializzazione l’Uccellanda affina per almeno altri 6 mesi in bottiglia.

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news visite in cantina

Langhe wine tour: visita alle cantine Porro, Sobrero, Sordo, Rivella e Rinaldi

La meta, stavolta, è “La Meta”: ovvero la Langa. Le idee sono chiare. Mix tra produttori emergenti poco noti e top di gamma. Il programma prevede il passaggio attraverso tre comuni della denominazione Barolo: Serralunga per visita all’azienda agricola Guido Porro, Castiglione Falletto alle Aziende agricole Sobrero Francesco e Giovanni Sordo, poi a Barolo per conoscere Giuseppe Rinaldi. E infine puntata a Barbaresco per incontrare Teobaldo Rivella. Questi ultimi due? Monumenti del territorio, memorie storiche della Langa. E vignaioli fino al midollo. Non per niente infatti iscritti al Consorzio ViniVeri.

AZ. AGRICOLA GUIDO PORRO
La giornata inizia presto, si parte da Milano alle 7. La prima visita è fissata per le 9 del mattino. Ad aprire le porte dell’Azienda agricola Guido Porro è il papà Giovanni: batteria di vini al completo sul tavolo, insieme a un bel cestino di grissini. Guido è impegnato a imbottigliare l’annata nuova. Passerà più tardi per un saluto.

Giovanni racconta la storia dell’azienda e dei cru in possesso, tutti sul territorio di Serralunga. Il Gianetto la cui porzione è esposta a est/sud-est, con terreno caratterizzato da argilla e tufo ma con una componente sabbiosa in maggioranza.

Poi c’è il Lazzarito: terreni di sola argilla e tufo dai quali nascono i Baroli aziendali delle vigne Santa Caterina e Lazzairasco. Quest’ultimo è il Barolo premiato della casa. Il Cru Lazzarito è esposto a nord-ovest e prende sole tutto il giorno. Una balconata guarda il paese di Serralunga e la conca del Lazzarito. “Uno spettacolo – evidenzia Giovanni Porro, come se per lui fosse la prima volta – vedi… quel pezzo là dietro alla cascina rossa è il cru Gabutti. Mentre alle spalle del paese, là dietro, scende la Vigna Rionda”. Fantastico. Vedere coi propri occhi quello che avevi sempre e solo letto è emozionante.

LA DEGUSTAZIONE
Dolcetto 2016
, 14%. Splendida beva, molto piacevole. Lontano dai Dolcetti tannici di Dogliani. Qui la frutta fresca rossa la fa da padrona, tannini morbidi e acidità bilanciata. Macerazione, veloci svinature e poco tempo in acciaio. Il vino è pronto in fretta. E’ quello che qui si beve tutti i giorni, a tavola.

Barbera d’Alba vigna Santa Caterina 2016, 15%. Tempi più lunghi di fermentazione e 20/22 giorni di macerazione. La freschezza e l’acidità spiccano, ma la componente fruttata è vasta e il tutto invita al sorso compulsivo. Tutto acciaio, niente legno. Fantastica.

Barbera d’Alba vigna Santa Caterina 2015 è la Barbera Perfetta. Ben bilanciata in tutte le componenti e la freschezza dell’annata le conferisce una miglior succosità e piacevolezza nel sorso. Un po’ piaciona forse. Di certo quella che fa meno fatica a risultare la preferita.

Nebbiolo 2016. 24/25 giorni di macerazione. In cantina si utilizzano vasche di acciaio di stampo più largo che alto. “In modo tale – spiega Giovanni – da avere un cappello più basso e più facile da rompere”. Due rimontaggi al giorno. Le uve arrivano quasi tutte dal Gianetto. Il vino è giovane, molto giovane. Al naso prevale una nota che rimanda a un’erba officinale poco gradevole al naso. In bocca va un po’ meglio, ma è ancora spigoloso e deve armonizzarsi.

Nebbiolo 2015. Decisamente meglio, la nota verde c’è ancora ma l’acidità è splendida e il sorso per niente scontroso. Un vino comunque da aspettare, in cantina. La stessa punta verde la trovo nel Barolo Gianetto 2013 anche se meno marcata. L’affinamento dei Baroli avviene in botti classiche di Rovere di Slavonia da 25 e 30 ettolitri con tempi da disciplinare classico.

Barolo Santa Caterina 2013. Tannino già morbido per essere stato messo in bottiglia da qualche settimana , componente fruttata leggera … un Barolo atipico si direbbe per queste parti. Meglio la 2012 con tannino marcato quanto basta e bel frutto classico con richiamo di viola . questo mi piace. Ne prendo 2 .

Lazzairasco 2013. E’ il Serralunga per antonomasia, quello riconoscibile. Austero, scontroso, tannico e duro ma allo stesso tempo elegante, molto elegante. Il 2012, con un anno in più di bottiglia, mostra già i primi equilibri tra le parti ma ha ancora tanta strada da fare. Sarà premiato anche il 2013? Vedremo.

Capitolo Vigna Rionda. La famiglia Porro, alla morte del cugino Tommaso Canale, divide con Ettore Germano e Giovanni Rosso la porzione del cru in possesso a Canale. La parcella migliore della Vigna Rionda, si dice in Langa. Giovanni Rosso riesce a recuperare la vigna piantata mentre Porro si trova davanti alla dura decisione di dover espiantare tutte le vecchie vigne e reimpiantarne di nuove.

La prima annata di produzione è la 2014, che uscirà solo nel 2018. Poter assaggiare tutti i campioni di botte in verticale (2014, 2015 e 2016) è una vera fortuna. Beh, questi sono vini eccezionali: eleganza pura, tannino suadente, morbido. Che accarezza il palato e lascia una pulizia sopraffina. Emozione pura quando nel fondo del calice della 2015, già vuoto, si sprigiona un sentore di chinotto mai sentito prima.


AZ. AGRICOLA FRANCESCO SOBRERO
L’arrivo all’Azienda agricola Francesco Sobrero avviene attorno alle 10.40. Ad aspettarci Flavio Sobreo, classe 82. Capito bene? 1982. Dopo la scuola enologica di Alba, conduce adesso con le sorelle l’azienda di famiglia. La generazione è di quelle che farà strada in Langa. In quest’ultimo periodo la sferzata di gioventù è ottima e ha idee molto chiare.

Tornare all’origine, alla vinificazione che ha fatto la storia di questi paesi e agli affinamenti in botti grandi. Basta barrique. Come lui anche i nipoti della Palladino (azienda a Serralunga) stanno dando la stessa impronta giovane e fresca all’azienda di famiglia, con grandi risultati (prendere nota: Barolo Serralunga di Palladino, da assaggiare). Flavio è reduce dalla giornata precedente a Milano, per ritirare un premio. Altro che new entry.

Qui i cru aziendali sono Villero, Parussi, Valentino, Piantà, Rocche e Pernanno. C’è grande variabilità. Nessuno vicino all’azienda. Flavio usa l’acciaio solo per Dolcetto e Chardonnay, mentre fa fermentazione e macerazione lunghe in tini da 50 ettolitri a cappello sommerso solo per i grandi Cru di Nebbiolo. Per le Riserve i passaggi sono tino, vasche di cemento vetrificato e, infine, botte grande. Per i 2015 e 2016 le macerazioni sono durate anche 70 giorni.

LA DEGUSTAZIONE
Partiamo col Langhe Bianco, 100% Chardonnay. Le vigne hanno 32 anni e si trovano in paese, sul versante Nord di Castiglione Falletto. Meno sole, quindi più freschezza e acidità. Quello che serve a un bianco. Pressatura diretta, ovvero non si pigia: si mette subito in macchina. Un veloce passaggio in vasca per raffreddare il mosto e separare il sedimento, poi si va in fermentazione.

Il processo alcolico inizia sui 18°, ma Flavio abbassa lentamente la temperatura fino a 10°. Ma non si arresta così la fermentazione? “No – risponde Flavio Sobreo – va solo più lentamente e in questo modo la fermentazione dura anche 2 mesi. La permanenza sulla fecce dipende da come vanno le annate e di batonnage se ne fanno pochi”. Anche la malolattica non viene sempre svolta al 100% . “Sui bianchi – evidenzia Flavio – se deve avvenire, viene come vuole. Sui rossi il discorso è diverso e la mallolattica deve completarsi al 100%”.

Il colore è un giallo paglierino tenue, molto limpido e trasparente. Al naso il vino è fresco, classica frutta polpa bianca fresca, qualche fiore di campo. In bocca sapido e acido ma non tanto persistente. Piacevole, da aperitivo. Passiamo ai rossi. Qui di 2016 non ce ne sono ancora in bottiglia.

Dolcetto 2015. 7/8 giorni di macerazione, poi travasi e in vasca ad affinare. Colore rubino, quasi porpora. Un’esplosione di frutta giovane, fresca, con acidità esaltante ma con un tannino presente sulla mucosa.

Nebbiolo 2015. Venticinque giorni di macerazione sulle bucce, poi un anno in botte grande dai cru Valentino , Piantà e Pernanno. Qui il tocco di Flavio consiste nell’inserire un 10% di Barolo dell’annata declassato. In questo caso si tratta del Barolo 2013 Ciabot Tanasio (assemblaggio anch’esso dei cru Valentino, Piantà e Pernanno). Quindi siamo davanti ad un Nebbiolo con 10% di Barolo.

Naso e bocca da campione. E’ immediato ma ti riempie e non finisce mai. Acidità in ingresso, sentori classici di viola e piccola frutta rossa in centro bocca. E poi il tannino morbido e avvolgente a chiudere, pulire e chiamare il prossimo sorso. Bottiglia centrata, perfetta. Uno di quei Nebbioli di cui vorresti riempirti la cantina.

Barolo Ciabot Tanasio 2012. Valentino, Piantà e Pernanno. Le vigne vengono vinificate separatamente e poi assemblate. Trentacinque giorni di macerazione sulle bucce e poi trenta mesi di legno grande. Il naso è avvolgente: richiami floreali e fruttati freschi in prevalenza, che col tempo divengono quasi marascati. Un Barolo giovane, dai sentori freschi, non certamente evoluti, ma dolci, non pungenti. In bocca altra storia: il tannino scalpita e tiene il palato sul pezzo. Questo è Barolo. L’assemblaggio risulta piacevole e armonico. Il vino prende le caratteristiche singole dei vigneti e le armonizza.


AZ. AGRICOLA GIOVANNI SORDO
Prima di pranzo, tappa obbligata da Giovanni Sordo, sempre a Castiglione Falletto. Altra azienda storica. In uscita quest’anno con ben 8 differenti cru. Tutti singolarmente. Solo qualche settimana fa, nell’enoteca di fiducia, avevamo scorto una bottiglia di Sordo con la menzione Monprivato. Come Monprivato?? Ma non era un monopole di Mascarello? Sì, fino a qualche anno fa. L’Azienda agricola Sordo è proprietaria, all’interno del cru, di una piccola parcella e vendeva le uve a Mascarello. Ma adesso, per qualche motivo, ha deciso di vinificarlo direttamente.

Interessante sapere cosa ne pensano da Mascarello, considerando il prezzo di uscita dell’etichetta di Sordo, nettamente inferiore. Ho avuto la fortuna di assaggiarlo e il vino è strepitoso. Qui a Castiglione Falletto, i Sordo hanno allestito un nuovissimo wine point con sala vendita e sala degustazione, enorme. Vetrate sulle vigne , architettura moderna. Sembra per un attimo di stare in Alto Adige, tanto per capirci.

Ad accoglierci è un commerciale. I cru aziendali in produzione spaziano in tutti i comuni della denominazione: Monprivato, Villero, Parussi, Rocche di Castiglione a Castiglione Falletto; Gabutti a Serralunga; Perno a Monforte; Ravera a Novello; Monvigliero a Verduno.

LA DEGUSTAZIONE
Primo nel calce è il Pelaverga 2015, uva storica di Verduno da cui si vinifica questo meraviglioso vino. Sentori speziati in prevalenza, classici di questo vino, accompagnati da ottima spinta acida e succosità. E’ un vino sincero, distintivo di Verduno. Molto piacevole.

Passiamo poi ai cru, cercando di suddividerli per area: Villero, Monvigliero e Perno. Tutti 2013. Villero il più rotondo e lungo, Perno il più elegante e di corpo, il meno tannico dei tre, poi Monvigliero: ritrovo la spezia di Verduno e la frutta rossa.


AZ. AGRICOLA RIVELLA
Alle 14 siamo a Barbaresco. Il citofono di Teobaldo Rivella è il vero punto d’arrivo della giornata. Persona meravigliosa, semplice, vignaiolo con tante vendemmie sulle spalle (“cinquanta”, ci confida). In cantina, da Teobaldo, lavorano anche la moglie e un’aiutante per la vendemmia. Basta. Due vini: un Dolcetto e un Barbaresco. Tutte le uve sono nel cru Montestefano. Tremila bottiglie di Dolcetto, 8 mila di Barabresco.

La cantina è piccolissima, ci sono tre vasche di acciaio per il Dolcetto e 7 botti grandi per il Barbaresco. Sembra irreale a confronto con quanto visto prima. Allevamento a Guyot classico della Langa, vigne di 54 anni, terreni di argilla e tufo. Niente sabbia a Montestefano. La visita inizia dalla cantina dove vengono stoccate le bottiglie. Il luogo in cui la moglie, con pazienza, le etichetta una ad una. Non ci sono macchine industriali. Che meraviglia.

La sua riserva privata di Barbaresco consta di tutte le annate. Nella piccola saletta degustazione, sediamo uno di fronte all’altro. Novanta minuti di chiacchiere, sul più e sul meno. Della storia dell’azienda, del suo papà, di come non si sia mai certificato biologico perché “non serve”: “Il mio vino è genuino, niente chimica, solo poltiglia bordolese e qualche ramato”. Cura della vigna? “Quel che basta. Meno la tocchi, meglio è”. E poi cantina. Macerazioni di 34 giorni, 10 mesi in botti, poi in bottiglia per affinamento. “E ricorda: non è vino finché non ha fatto la malolattica”.

LA DEGUSTAZIONE
Dolcetto 2015
. Shock! Pochi filari sulla sommità della vigna che Teobaldo produce solo perché piace a lui, altrimenti qui si pianterebbe esclusivamente Nebbiolo. 5/6 giorni di macerazione, poi acciaio. Ci rimane per un anno, prima di passare in bottiglia. Porpora, limpidissimo, naso splendido, carico già di sentori fruttati di sottobosco e di freschezza. Finale di bocca di mandorla di rara finezza e precisione. E’ il top del giorno, senza dubbio.

Barbaresco Montestefano 2012. Altro shock. Il miglior Barbaresco in circolazione. Il colore è carico ma siamo ancora sul rubino, il naso è esplosivo ma in bocca più gentile e composto rispetto alla 2011, provata in altre occasioni. Leggera spezia a chiudere. Tannino deciso ma levigato.

Barbaresco Montestefano 2009. Colore granato classico da Nebbiolo, naso mandorlato che nasconde note fruttate più aspre e decise, domate da una leggera tostatura ancora lontana.


GIUSEPPE RINALDI
Il portone della Cantina di Rinaldi si apre su un altro mondo. Un luogo meraviglioso, un misto tra un museo di attrezzi agricoli grandi e piccoli e una stanza dove si custodiscono mobili di antiquariato. Tutto sembra tranne che una cantina. Ci accoglie Marta, la figlia di Giuseppe Rinaldi. Il “citrico” c’è. Ci scruta come fossi un personaggio tra il losco e il malandrino. “Cosa vuoi?”, chiede. Quasi intimorisce.

Interviene Marta: “Vieni, vieni”. Eccoci nella cantina vera e propria, dove una fila di 10, 15 tini e altrettante botti grandi e medie si fiancheggiano su due lunghi corridoi dalla luce soffusa, tendente al rosso, granato. Sembra di stare in mezzo al vino. Si respira qui, il vino.

Azienda agricola Giuseppe Rinaldi, 6,5 ettari vitati tutti a Barolo nei cru Ravera, Le Coste, Brunate e Cannubi San Lorenzo. Trentotto mila bottiglie circa all’anno. Brunate e Ravera caratterizzati da argilla e tufo e marne bluastre. Cannubi e Le Coste hanno percentuali di sabbia maggiori, che li rendono tratti più acidi ma con meno ricchezza. Ravera è il cru più tardivo, perché è in una posizione più arieggiata. La vinificazione è classica, le uve vengono fatte fermentare e macerare nei tini per 25-30 giorni,  a cappello emerso con due rimontaggi al giorno e follature ancora manuali.

Si vinifica Freisa, Ruché,  Dolcetto, Barbera e Nebbiolo. Il Ruchè e il Dolcetto affinano in acciaio, mentre il resto passa tutto in legno dopo aver fatto la malolattica, tranne il Nebbiolo. Una volta imbottigliati, tutti i vini affinano almeno un anno in cantina. I Nebbioli 3 anni, come vuole il disciplinare.

LA DEGUSTAZIONE
La Freisa 2016, dalla botte, conquista al primo sorso. Il vino perfetto da tutti i giorni, spensierato, tutto freschezza e “succo” di frutta.  Cosi come la Barbera 2016 dove emerge l’acidità classica, accompagnata dal giovane frutto. Passiamo poi alle bottiglie. Marta porta il Nebbiolo 2015, incredibilmente “piacione” e già perfetto. In bottiglia da qualche settimana, sembra affinato da almeno 2 anni.

A seguire Barolo Tre Tine, ovvero Cannubi, San Lorenzo, Ravera e Barolo Brunate. Due Baroli immensi, più piacevole il Brunate. Spicca una tipicità unica, riconoscibile impronta di un vignaiolo d’altri tempi. Sarà per questo che ormai il Barolo di Rinaldi è diventato un prodotto mitologico, che dura un giorno in cantina e che è sempre più difficile reperire se non a prezzi stratosferici.

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Vini Doc e Docg Montefalco: i migliori al supermercato

Seconda fermata Montefalco. Dopo la grande degustazione di vini dell’Oltrepò pavese destinati agli scaffali della Grande distribuzione organizzata, vinialsuper passa al setaccio la denominazione Montefalco.

Un territorio che conta 1500 ettari vitati e 70 aziende vinicole, per una produzione complessiva di poco superiore a 3 milioni di bottiglie. Un balzo nell’Umbria di grandi vini come il Montefalco Sagrantino Docg, secco e passito, o il Montefalco Rosso Doc. Senza dimenticare vini bianchi come il Montefalco Grechetto Doc e il Montefalco Bianco Doc, poco trattati dalla critica enologica e spesso bistrattati dalle catene della Gdo.

L’occasione per la degustazione è offerta dall’ultima edizione di Vinitaly. A guidarla è Maruska Passeri, responsabile delle attività promozionali, tecniche e amministrative del Consorzio di Tutela Vini Montefalco, accanto al presidente Amilcare Pambuffetti.

“Con le recenti modifiche al disciplinare della Denominazione di origine controllata Montefalco – evidenzia Pambuffetti – abbiamo cercato prima di tutto di valorizzare i nostri vini bianchi. La distinzione tra Montefalco Grechetto e Montefalco Bianco ci consente di valorizzare rispettivamente due vitigni autoctoni come il Grechetto e il Trebbiano spoletino. Successivamente abbiamo allargato per il Montefalco Rosso la parte a Sagrantino, portandola dal 15 al 20% (rispetto alla base preponderante di Sangiovese, ndr). Questo perché il Montefalco Rosso è il vino più venduto della denominazione, anche in Gdo. E quindi abbiamo inteso dare ulteriore spinta a questo fenomeno”.

Le modifiche arrivano in un 2017 da ricordare per il Consorzio umbro. Non solo perché il disciplinare del Montefalco non subiva “ritocchi” dal 1992. Ma soprattutto per il 25° compleanno della Docg Sagrantino. “Molte aziende del territorio sono di medie e piccole dimensioni – evidenzia il presidente Pambuffetti (nella foto) – e riescono a raggiungere la Gdo solo a livello locale, dove le varie catene di supermercati intendono valorizzare le produzioni locali”

“Ci sono invece altre aziende – continua Pambuffetti – che riescono a penetrare la Gdo a livello nazionale. In base ai dati in nostro possesso non possiamo che essere soddisfatti: agiamo in una fascia medio alta e costituiamo una componente di lustro nell’assortimento dei vini dei supermercati. Ovviamente la promozione del nostro territorio, come Consorzio, passa anche da iniziative come quelle legate al giro d’Italia del ciclismo”.

La Crono Sagrantino, con i suoi 40 chilometri tra le colline vitate di Montefalco, Bevagna, Giano dell’Umbria e Gualdo Cattaneo, svoltasi proprio martedì 16 maggio. Iniziative che danno lustro a un territorio che, negli anni, ha visto salire l’export di vino sino al 30% della produzione totale, con Stati Uniti e Canada a fare da apripista, seguiti da Inghilterra e Germania.

LA DEGUSTAZIONE
“Come Consorzio abbiamo il compito di rappresentare tutti indistintamente, ma possiamo dire che l’integrazione delle aziende italiane che hanno investito nella nostra zona costituisce un arricchimento complessivo. Dopodiché, come ovvio, ogni singola azienda promuove una diversa filosofia di fare vino ed è giustificata dalle caratteristiche della propria rete distributiva. La cosa a cui teniamo è il livello singolo e complessivo, con la consapevolezza che le ‘interpretazioni’ possono essere diverse”.

E’ questo il commento del presidente del Consorzio di Tutela Vini Montelfalco, in seguito all’esito della nostra degustazione di 20 referenze di Montefalco Doc e Docg destinati ai supermercati. A uscirne male, di fatto, è un’azienda molto nota a livello nazionale, la Casa Vinicola Luigi Cecchi: una storica realtà del vino di Toscana con base a Castellina in Chianti (SI), che alla fine degli negli anni Novanta ha deciso di acquistare Tenuta Alzatura nel territorio del Montefalco Sagrantino (tre vigneti a Monterone, San Marco e Alzatura). Il Montefalco Rosso Doc di Cecchi, in batteria con altri 8 vini della medesima tipologia, non convince: facile, “piacione”, sfacciatamente “quotidiano”. In poche parole, poco territoriale e molto commerciale.

I ROSSI
Già, perché si può essere “autentici” anche in Gdo. Ne sono una prova altri due Montefalco Rosso Doc. Quelli di Fratelli Pardi e dei Viticoltori Broccatelli Galli. Il primo è un vendemmia 2015 ottenuto dal blend tra Sangiovese (70%) più un 15% di Sagrantino, completati da Merlot e Cabernet (vecchio disciplinare).

Il secondo è costituito da Sangiovese e Sagrantino e convince per il grande equilibrio. Menzione anche per il Montefalco Rosso Doc di Goretti: 60% Sangiovese, 20% Merlot, 20% Sagrantino, perfetto compromesso tra semplicità della beva e austerità del corpo, senza cadere in banalità.

Tra i Montefalco Sagrantino Docg la spunta su tutti Cantina Adanti, con quello che è uno dei suoi vini di riferimento, prodotto sin dal 1979. Naso pregiato per la vendemmia 2009, che vibra tra le classiche note fruttate, la grafite e la balsamicità delle erbe aromatiche. Un Sagrantino di grande freschezza quello della casa di Bevagna (PG).

Merita tanto, tra i Sagrantino Docg presenti nei supermercati italiani, anche quello di Antonelli San Marco. Stessa vendemmia, la 2009. E stessa lunga tradizione, per un’etichetta, “Chiusa di Pannone”, prodotta ininterrottamente dal 1981. Un olfatto strepitoso per ricchezza e intensità, cui risponde un palato all’altezza, di grande pienezza. Un Sagrantino da mordere. Prodotti talmente lontani dal Sagrantino di Montefalco Docg “La Campana” di Cecchi, da sembrare di un’altro pianeta.

MONTEFALCO GRECHETTO E BIANCO DOC
E’ di nuovo Antonelli San Marco a spuntarla tra i Montefalco Grechetto Doc in degustazione. La vendemmia è la 2016, davvero fortunata. Il bianco, ottenuto al 100% dal vitigno autoctono a bacca bianca più coltivato in Umbria, esprime un naso intenso che vira dall’esotico al floreale fresco.

Un vino da bere a secchiate d’estate, eppure non banale. La percentuale d’alcol in volume (14%) è sostenuta e conferisce morbidezza e intensità al palato. Completa il quadro un’acidità che aiuta i sorsi a rincorrersi.

Menzione anche per il Montefalco Grechetto Doc 2016 di Adanti, vino bianco che colpisce per l’equilibrio e l’eleganza delle note fruttate e la spiccata mineralità. Un vino da riscoprire negli anni, conservando in cantina qualche bottiglia per valutarne l’evoluzione.

Infine è senza rivali, tra i Montefalco bianco Doc, quello di Scacciadiavoli. Un blend tra Grechetto (50%), Trebbiano (25%) e Chardonnay (25%) vinificati separatamente. Il Grechetto affina in serbatoi di acciaio, lo Chardonnay in botti di legno e il Trebbiano in serbatoi di acciaio, con le bucce. Un bianco strutturato, complesso sia al naso sia al palato, che consente di spingersi a tavola verso abbinamenti di pari entità. Colpisce l’intercalare tra la frutta fresca e quella secca: un gioco bellissimo tra morbidezze e percezioni croccanti. Completa il quadro, al naso, una punta di idrocarburo e di erbe aromatiche.

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Tarlant e Laherte Frères: bio Champagne al top a Vinnatur 2017

Tarlant e Domaine Laherte Frères. Sono le due maison di Champagne che ci hanno convinto di più all’edizione 2017 di Villa Favorita – Vinnatur. Vediamole dunque nel dettaglio, dopo aver stilato la lista dei migliori vini bio italiani degustati all’ultima edizione della preziosa rassegna veneta.

CHAMPAGNE TARLANT
“Crediamo sia importante che il nostro vino sveli la ricchezza del sottosuolo, delle vigne e degli uvaggi. Ogni partita ha la sua particolare identità ed è proprio questa che desideriamo far ‘cantare’ in ogni nostro vino”. Parole e musica della famiglia Tarlant (Jean-Mary, la moglie Micheline e i figli Benoit e Melanie), che al 21 della Rue Principale di Oeuilly custodisce i segreti di dodici generazioni di vignaioli. Una storia iniziata nel lontano 1687.

A Villa Favorita brilla la stella dello Champagne Cuvee Louis, Brut Nature prodotto assemblando parti uguali di Chardonnay e Pinot Noir. Un vendemmia 2000, sorretto da vini di riserva delle annate 1999, 1998, 1997 e 1996, provenienti dal vigneto “Les Crayons” di Oeuilly, Valle della Marna, terreni gessosi. Sessantacinque anni l’età media delle viti. Una Cuvee messa in bottiglia nel maggio del 2001, ma di sboccatura recente: settembre 2016, recita la contro etichetta.

Alla vista di un giallo dorato, perlage finissimo. Naso e bocca si rivelano corrispondenti nella loro esplosività. Note d’agrumi, frutta secca, grande mineralità. Al palato una struttura da gigante. Adatto all’alta cucina, lo Champagne Cuvee Luois è un perfetto nettare da meditazione.

DOMAINE LAHERTE FRÈRES
“Cominicia tutto dalla vigna”. Il segreto di Domaine Laherte Frères sta tutto nel principio fondante la maison: “produrre il miglior vino utilizzando direttamente l’uva da loro prodotta, fin dal 1889”. Sotto la nostra lente di ingrandimento finisce, in particolare, lo Champagne Extra Brut 2006 Le Millésime.

Metodico assemblaggio delle migliori uve Chardonnay (85%) Pinot Meunier (15%), provenienti dai vigneti più vocati. La straordinaria ricchezza e pienezza dell’olfatto si tramuta in densità palpabile al palato: una grande armonia e freschezza, esaltata dai 4,5 grammi/litro del dosaggio zuccherino, tutt’altro che disturbanti. Uno Champagne meno muscoloso del precedente, che ha nella persistenza la sua carta vincente.

Una storia antica anche quella della tenuta Laherte. Fondata nel 1889 da Jean-Baptiste Laherte, può contare su undici ettari di vigneti, per la maggior parte situati nella zona originaria del villaggio di Chavost.

Alla quinta generazione, quella di Michel Laherte, si deve l’iniziale ampliamento della tenuta. Oggi la maison è guidata da Christian e Thierry, che possono anche contare sull’apporto del figlio di quest’ultimo, Aurélien, profondo sostenitore delle tecniche di viticoltura biodinamica.

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