Si fermi, chi può. Anche solo per un attimo. Per vedere l’effetto che fa. L‘ultima trovata di Riccardo Coratella sono due vini fermi realizzati da Muratori Franciacorta, con le stesse piante (cloni) utilizzati per i vini con le “bollicine”. Uno Chardonnay e un Pinot nero in rosso, Muratori Setticlavio e Muratori Mantorosso, dell’ormai (quasi) dimenticata Igt Sebino. L’obiettivo del noto enologo umbro e della cantina di Adro (Brescia), per la quale presta consulenza dal 2020, non è certo quello di far rivivere l’indicazione geografica bresciana, impacchettata tra la polvere dei cassetti del Consorzio di Tutela del Franciacorta, ormai da anni focalizzato esclusivamente sulla promozione dello spumante. Si tratta, piuttosto, di due «vini di doverosa sperimentazione», come li ha definiti lo stesso winemaker in mattinata, durante il lancio ufficiale. Etichette che hanno, tuttavia, un posizionamento prezzo già rivelante.
Si parla di 45-50 euro per lo Chardonnay 2023 Muratori Setticlavio; e 70-75 euro per il Pinot Nero Muratori Mantorosso (cifre riferite all’acquisto in enoteca). I due nuovi vini saranno venduti separatamente, solo in cassetta di legno da 6 bottiglie e «senza applicazione di alcuna scontistica». A giustificare il prezzo, secondo quanto spiegato dall’azienda, sarebbe la tiratura limitata a sole 2.065 bottiglie per il bianco e 2.927 per il rosso. Un «punto di partenza», come hanno chiarito il patron della cantina, Bruno Muratori, e lo stesso Riccardo Cotarella. In futuro, sia lo Chardonnay che il Pinot Nero del progetto speciale “Nuove forme di continuità“, potranno subire variazioni produttive, su aspetti come l’utilizzo del legno e la macerazione.
MURATORI SETTICLAVIO E MANTOROSSO: UN PROGETTO SPERIMENTALE
Ma la novità sostanziale – quella che potrebbe costituire il vero salto di qualità se non del rosso, almeno del bianco – è il recente impianto di un vigneto di Chardonnay con clone della Borgogna, specifico per vini fermi. Una volta in produzione, le uve di Muratori Setticlavio non saranno più – o saranno solo in parte – quelle dello “Chardonnay da Franciacorta” attuale, ricavate dall’unità vocazionale numero 4 del parco vigneti dell’azienda di Adro (suoli morenici profondi). Diversa la sorte del Pinot Nero Muratori Mantorosso, per il quale non è previsto il medesimo “upgrade”. A meno di stravolgimenti, il vino continuerà ad essere prodotto dagli stessi ceppi adottati per la produzione dei Franciacorta Muratori. Ovvero dall’unità vocazionale 5 dei “colluvi gradonati”, con suoli argillosi, profondi e poveri di sedimenti.
Del resto, in Franciacorta la cantina gestisce 52 ettari di proprietà, con una capacità produttiva di mezzo milione di bottiglie (circa 350 mila quelle commercializzate in media all’anno, di cui 200 mila della tipologia Brut). «Fino a prima dell’arrivo di Riccardo Cotarella – ha spiegato Michela Muratori, terza generazione della cantina bresciana – l’unico ad aver pensato a un vino fermo in azienda era stato il nonno, fondatore della cantina. Il suo desiderio di produrre un vino rosso non è mai stato esaudito. Oggi sarebbe fiero di questa scelta, che si inserisce nel progetto che abbiamo voluto chiamare “Nuove forme di continuità”».
MURATORI SETTICLAVIO CHARDONNAY 2023: 92/100
13,5% vol. Giallo tendente al dorato. Bella aromaticità, tipica dell’espressione più piena del vitigno, al primo naso: frutta a polpa gialla più che bianca e agrume si mescolano con sbuffi di vaniglia e spezie orientali. Corrispondenza naso-bocca perfetta. Ingresso sul frutto giallo, prima di un netto viraggio del centro bocca e dell’allungo sull’agrume e sulla freschezza, che esalta ancor più le venature sapide. Legno che si conferma magistralmente “dosato”. Ottima la persistenza di Muratori Setticlavio, che convince anche per la chiusura di sipario giustamente asciutta, in grado di chiamare il sorso successivo. Vino di gran precisione tecnica, con la varietà al centro di ogni fase dell’assaggio.
MURATORI MANTOROSSO PINOT NERO 2022: 89/100
13,5% vol. Di un bel rubino luminoso, penetrabile alla vista. Naso tipico del vitigno, con prevalenza dei piccoli frutti rossi sui neri (fragolina, lampone). Non manca una speziatura che si fa sempre più marcata, con lo scaldarsi del nettare nel calice, così come i ricordi di burro salato. Anche in questo caso buona corrispondenza gusto olfattiva, ma col frutto che pare più maturo al palato che al naso. Chiude fruttato, su tinte vagamente mielate che non attenuano, al momento, un alcol respirabile. Un vino, secondo Riccardo Cotarella, che ha «potenzialità enormi di evoluzione» e che «esprime la Franciacorta».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Si scrive “Rizzini“, si legge “perla nascosta”. Di una Franciacorta che ama poco la ribalta e lavora a testa a bassa, in silenzio. Ma con una formula ben precisa, che sa di dogma infrangibile. Di comandamento non scritto, nell’immaginaria Bibbia della bollicina perfetta: un solo vigneto, una sola uva (Chardonnay). Solo millesimati e solo lunghi affinamenti sui lieviti. “Solo”, o quasi, è anche Guido Rizzini in azienda. Anima e corpo – qualcuno direbbe Deus ex machina – di questa piccola cantina di Monticelli Brusati da 2 ettari e 15 mila bottiglie dell’universo Fivi. Senza sito web. Senza cartellonistica in ingresso. Senza frasi fatte. Anzi, di parole da estrapolare come dentisti a un produttore che t’accoglierebbe semplicemente con calice e bottiglie da stappare. Che tutto il resto, in fondo, è contorno. Cornice. Non quadro.
Rizzini Franciacorta – e non c’è da meravigliarsi – è tutto tranne che una nuova realtà. «Mio padre è nato qui – spiega Guido Rizzini, classe 1976 – e qui lavorava come mezzadro. Alla morte del proprietario, è riuscito ad acquistare questo piccolo terreno, con annessa la casa in disuso, poi ristrutturata. Nel 1985 ha piantato il primo vigneto di Chardonnay e Pinot Bianco, varietà poi estirpata. Fino al 1991 abbiamo venduto le uve. Le nostre prime mille bottiglie “non ufficiali” risalgono al 1992. Poi, dal 1994, abbiamo messo le carte in regola, con una produzione di 5 mila bottiglie». Un paio d’anni, dunque, per fare il “salto di categoria”. Da dilettanti a professionisti. Affidandosi a un enologo del calibro di Alberto Musatti, tra i “padri” del Franciacorta, rimasto a Rizzini sino al 2007. L’anno in cui è subentrato Andrea Rudelli.
RIZZINI FRANCIACORTA DAGLI ESORDI AGLI ANNI DUEMILA
Era l’epoca in cui l’esperienza contadina portava, nel bresciano, a produrre più vini rossi che bianchi e spumanti. «Tra l’85 e il ’92 – ammette Guido – mio padre aveva provato da solo a fare un bianco, ma il risultato era stato un orange. Grazie all’enologo abbiamo fatto un salto di qualità, indirizzando tutta la produzione sullo spumante Metodo classico». Tempismo perfetto, a cavallo di quel 1995 in cui la Franciacorta si è vista riconosciuta la Docg, prima denominazione italiana della categoria ottenuta con il metodo della rifermentazione in bottiglia.
Visionarie anche le scelte sul clone dello Chardonnay (da spumante) e portinnesto (SO4, poi Kober, prima del recente ritorno all’SO4, meno vigoroso e dunque meno soggetto a mal dell’esca). Nel 1999, dopo la scomparsa del padre, Guido Rizzini si ritrova una cantina avviata: «Da buon bresciano volevo la bici – ricorda con una certa commozione – e ho iniziato a pedalare. Ma soprattutto non volevo abbandonare il sogno di papà, oltre a dover fare i conti con una mia grande convinzione: o tutto, o niente. Compromessi zero». Parole che spiegano più d’una scheda tecnica i vini targati Rizzini Franciacorta.
«COMPROMESSI ZERO»: LA FORMULA MAGICA DI RIZZINI FRANCIACORTA
«Equilibrio sopra la follia», direbbe Vasco Rossi. E, a guardar bene, Guido Rizzini «cammina per la strada senza nemmeno guardare per terra», un po’ come Sally. «Se mi basassi solo sulla convenienza economica – ammette – le mie scelte sarebbero chiaramente sbagliate, soprattutto per i lunghi affinamenti e la volontà di produrre solo nei migliori millesimi». Elementi che fanno quasi passare in secondo piano il dettaglio del “singolo vigneto” da cui provengono le uve Chardonnay, posto su un terrazzamento che sovrasta la piccola cantina di Monticelli Brusati.
«Imbottiglio al 100% Franciacorta da singola annata – spiega ancora il produttore – e in catasta ho solo vini da singola vendemmia. La decisione di non uscire sul mercato dopo 18 mesi è dettata dalle caratteristiche dei suoli, che hanno sempre dato vini di grande struttura e di grande corpo. Allungando i tempi per avere vini più “pronti”, sono arrivato a portare l’uscita del mio vino “base” solo dopo 60 mesi sui lieviti, per poi salire a 130, 140…».
In cantina, il Franciacorta millesimo 2005 è il più datato: «Volevo arrivare a 240 mesi sui lieviti (20 anni, ndr) – ma adesso che ci sono quasi arrivato mi spiace, quindi forse lo lascerò lì ancora un po’». Non scherza, Guido Rizzini. Spoiler alert: nel 2025 Rizzini Franciacorta compirà 40 anni. Lo stock da cui attingere per i festeggiamenti? Circa 120 mila bottiglie. Quasi una bottiglia per ogni abitante della vicina Brescia. Trentatré a testa per quelli del piccolo comune di Monticelli Brusati.
RIZZINI FRANCIACORTA: LA DEGUSTAZIONE
Franciacorta Docg Brut Millesimato 2017 (92/100)
Sboccatura 11/2023, 3/3,5 grammi litro il dosaggio. Solo acciaio, 68 mesi su lieviti. Perlage raffinato. Naso e sorso sul frutto, in particolare su una mela gialla matura e su ricordi di frutta esotica. Chiusura lunga che non perde l’impronta decisamente fruttata. Un Brut goloso, pur teso e dissetante.
Franciacorta Docg Dosage zero 2016 (95/100)
È il re della batteria di Rizzini Franciacorta sottoposti in assaggio. Settantadue mesi sui lieviti, solo acciaio, sboccatura a marzo 2023. Diciotto mesi di tappo, dunque. Un dosaggio zero che rispetta i canoni della tipologia, su una tensione acida e una verticalità marcata, tanto da staccarlo in maniera netta dal Brut 2017. Meno opulenza del frutto, più stratificazione e balsamicità. Chiude giustamente asciutto, senza risparmiarsi sul fronte della spalla acida, neppure in retro olfattivo. Un pugile più che mai pronto per il ring, con cui giocare negli abbinamenti.
Franciacorta Docg Extra Brut 2010 (92/100)
132 mesi sui leviti, 90% acciaio e 10% barrique usata. Sboccatura avvenuta ad aprile 2022: 30 mesi di tappo. Un altro (ris)volto di casa Rizzini Franciacorta, forse quello più vicino all’opulenza dei suoli dei vigneti di Monticelli Brusati. Struttura e trama vinosa, complessità della lisi. Chiusura precisa, sul frutto giallo, mai urlato. Sorso giustamente fresco, che chiama la beva e ammalia, grazie al tocco mielato riscontrabile in persistenza aromatica intensa.
ANTEPRIMA E “ARCHIVIO”
Franciacorta Docg 2018 (93/100)
Aperto à la volée, dunque senza liqueur. Dà la tara al gran lavoro compiuto in vigna e in cantina da Guido Rizzini e dall’enologo Andrea Rudelli. Sorso di gran sostanza e buona struttura, abbinato a una certa morbidezza glicerica naturale, in un’annata genericamente generosa per la denominazione bresciana e di qualità medio-alta per chi ha superato indenne fenomeni temporaleschi violenti e improvvisi. Sarà ulteriormente sboccato tra dicembre 2024 e gennaio 2025, quando avrà passato la soglia dei 70 mesi sui lieviti. Con un dosaggio che dovrebbe aggirarsi attorno ai 2,5 grammi per litro.
Centoventi mesi sui lieviti per il Brut Nature Riserva 2009 di Rizzini. Sboccatura ad aprile 2022, senza aggiunta di zucchero. Ancora una volta, acciaio e barrique usata. Giustamente il Franciacorta più evoluto della gamma scelta per l’assaggio ma il primo che vira in maniera netta sulla pasticceria, chiudendo su ricordi netti di zabaione. Consueta struttura, resa ancora più compatta dalle note evolutive-terziarie, che tuttavia non sovrasta né scalfisce la finezza. Bollicina da pasto, che non teme piatti strutturati e le carni.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
La vendemmia 2024 in Franciacorta è già nella storia. L’inizio della raccolta delle uve è coinciso con l’avvio delle attività del nuovo Laboratorio di microvinificazione del Consorzio Franciacorta, in via dell’Industria 46/F, ad Erbusco (Brescia). Questa struttura innovativa, realizzata in collaborazione con Accademia Symposium in una parte degli spazi dell’Istituto Oeno Italia, supporterà d’ora in avanti le attività del team di Ricerca e Sviluppo guidato da Flavio Serina. Il Laboratorio di microvinificazione, investimento da circa 300 milaeuro, è il supporto essenziale per trasformare le diverse “tesi sperimentali” in vino spumantizzato secondo il metodo classico, valutando sul prodotto finito la bontà delle scelte agronomiche ed enologiche. La supervisione delle fasi di vinificazione è affidata, in loco, all’enologo Mario Falcetti (ex Quadra Franciacorta) e a un gruppo di tecnici. Un passo decisivo rispetto al passato, quando tali operazioni venivano svolte presso strutture esterne. Più attrezzate, ma lontane da Brescia.
FRANCIACORTA, VISITA AL NUOVO LABORATORIO DI MICROVINIFICAZIONE
Uno degli aspetti più significativi delle attività di ricerca e sviluppo condotte dal nuovo Laboratorio di microvinificazione del Consorzio Franciacorta riguarda la selezione genetica. Il gruppo di ricerca genetica dell’Istituto di San Michele all’Adige ha avviato degli incroci che potrebbero portare a ottenere, nel lungo periodo, nuove varietà di vite con caratteristiche adattive e qualitative superiori. Questi incroci, nati da genitori come l’Erbamat e lo Chardonnay, mirano a combinare resistenza alla siccità e qualità del raccolto, rispondendo così alle sfide poste dal cambiamento climatico in Franciacorta.
Nel vigneto sperimentale di Erbusco sono state messe a dimora circa 50 piante per incrocio, frutto delle selezioni iniziali. Lo screening continuerà negli anni, eliminando gli incroci meno promettenti e studiando quelli con maggiore potenziale e resistenza alle avversità. È il futuro che bussa alla porta del Consorzio Franciacorta, con la possibile introduzione di nuovi incroci capaci di sintetizzare (ed elevare) le caratteristiche positive di Chardonnay ed Erbamat. Un percorso che si svilupperà nell’arco dei prossimi decenni, con Mario Falcetti pronto a mettere a disposizione del territorio le competenze acquisite in anni di sperimentazione sull’Erbamat, con risultati sorprendenti a Quadra.
PIWI FRANCIACORTA: UN CAMPO SPERIMENTALI SUI VITIGNI RESISTENTI
In parallelo, il Laboratorio di Microvinificazione del Consorzio Franciacorta ha in carico lo studio dei comportamenti di una serie di vitigni Piwi resistenti alle malattie fungine, come Johanniter e Solaris, che potrebbero accelerare i tempi di risposta alle sfide climatiche. Alcuni di questi sono ancora in fase di omologazione. Altri sono già stati testati con successo in ambienti montani, come presso la Fondazione Mach di San Michele all’Adige. L’adattamento dei vitigni Piwi alle condizioni specifiche della Franciacorta è uno dei principali focus di questa fase di valutazione. Una sorta di risposta della più nota denominazione spumantistica italiana del Metodo classico alle sperimentazioni condotte in Champagne dall’Institut National de l’Origine et de la Qualité (Inao), sul vitigno Piwi Voltis.
In questo senso, il nuovo Laboratorio di microvinificazione del Consorzio – che sarà ufficialmente inaugurato il 5 ottobre, alle ore 11 – si presenta come un vero e proprio incubatore di idee e innovazioni. Oltre a fornire risultati nel breve termine, come la possibilità di vinificare in micro-lotti, in condizioni controllate, rappresenta un punto di svolta strategico per il futuro della viticoltura della Franciacorta. Il Consorzio, in collaborazione con l’Università di Milano e l’Accademia Symposium, sta infatti esplorando nuove tecniche di potatura, ombreggiamento e gestione del “microclima” delle vigne franciacortine. Tutte iniziative rivolte a migliorare la qualità dei vini della denominazione, con un occhio alla sostenibilità della produzione.
LABORATORIO DI MICROVINIFICAZIONE: IL FUTURO DELLA FRANCIACORTA È OGGI
La ricerca sui portainnesti resistenti alla siccità e il miglioramento genetico delle varietà tradizionali rappresentano infatti solo una parte di un piano molto più ampio e ambizioso. L’iniziativa, di fatto, ha anche un forte valore formativo, coinvolgendo studenti e tirocinanti che potranno apprendere “sul campo”, partecipando in prima persona alle attività del Laboratorio di Microvinificazione. Un apporto significativo della Franciacorta alle competenze delle generazioni future di tecnici del settore che, proprio in via dell’Industria 51 ad Erbusco, potranno “sporcarsi le mani” e fare vera esperienza.
La struttura non solo permette di vinificare sul territorio bresciano le uve cresciute nella zona, evitando i problemi legati al trasporto delle uve in altri laboratori – come in passato avveniva appunto con l’Istituto di San Michele all’Adige, nei pressi di Trento – ma offre anche la possibilità di migliorare le tecniche di vinificazione e di sperimentare con una varietà di tecnologie innovative. Tra queste l’uso di kegs in acciaio (gli stessi contenitori utilizzati per la birra) per lo stoccaggio e il controllo delle fasi della fermentazione di piccole partite di mosto.
MARIO FALCETTI: «FRANCIACORTA PRONTA ALLE SFIDE INTERNAZIONALI»
«Il nuovo Laboratorio di microvinificazione del Consorzio Franciacorta – commenta Mario Falcetti – getta le basi per una nuova era di ricerca e sviluppo della denominazione, in grado di confrontarsi non solo con le sfide poste dai cambiamenti climatici, ma anche con il panorama competitivo internazionale, valorizzando ancor più le specificità e le eccellenze del territorio. La sfida, dunque, non è tanto competere con altre zone vitivinicole, come la Champagne, quanto valorizzare e potenziare le risorse locali attraverso l’innovazione scientifica e tecnologica».
Laboratorio di microvinificazione del Consorzio Franciacorta
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
«Vendemmia 2024 dell’Alta Langa? Siamo fiduciosi che possa essere un’ottima annata. Grazie al costante impegno dei nostri viticoltori, le uve sono belle e sane. In un contesto in cui le condizioni climatiche sono meno prevedibili, il ruolo del viticoltore è sempre più cruciale». Lo assicura Giovanni Carlo Bussi, vicepresidente del Consorzio Alta Langa, che raggruppa i produttori degli spumanti metodo classico che si promuovono sui mercati e tra gli appassionati come “Alte Bollicine piemontesi“. La vendemmia 2024 dell’Alta Langa è cominciata con la raccolta dei primi grappoli di Pinot nero, nei giorni scorsi. Proseguirà quindi con le uve Chardonnay.
In vista della raccolta, il Consorzio Alta Langa ha avviato sin dai mesi scorsi una serie di appuntamenti dedicati ai soci, al fine di diffondere la conoscenza delle migliori tecniche agronomiche in vigneto e consolidare gli alti livelli qualitativi delle uve destinate a diventare Alta Langa Docg. Salvo qualche lieve riduzione di resa dovuta alle condizioni meteorologiche instabili nel momento della fioritura, quello che si attende è un raccolto quantitativamente nella media e con una buona qualità delle uve.
VENDEMMIA 2024 ALTA LANGA: LE CONDIZIONI CLIMATICHE
La stagione è stata caratterizzata da un innalzamento delle temperature a inizio primavera, seguito da un periodo alquanto piovoso e fresco. Le precipitazioni sono state circa il doppio della media, rendendo l’annata agricola 2024 la più piovosa degli ultimi 67 anni. Nei vigneti delle province di Asti, Cuneo e Alessandria l’esperienza e la tempestività di intervento dei viticoltori sono dunque state ancor più fondamentali per scongiurare la comparsa di fitopatie.
Con l’arrivo dell’estate, le condizioni si sono ristabilizzate, consentendo una regolare maturazione delle uve. Ciò ha collocato il periodo di vendemmia tra l’ultima decade di agosto e l’inizio di settembre. In particolare, la vendemmia 2024 dell’Alta Langa è iniziata nelle zone più precoci e assolate di Strevi (Alessandria), Serralunga d’Alba (Cuneo) e Castel Rocchero (Asti). Nei prossimi giorni la raccolta entrerà nel vivo risalendo i vigneti a quote collinari via, via più elevate. È il caso di Roddino (CN) e Bossolasco (CN), dove l’invaiatura non è ancora completata.
IL SUCCESSO DELL’ALTA L’ALGA
Il Consorzio Alta Langa vanta oggi oltre 70 case spumantiere aderenti, 440,5 ettari di vigneti e 3,2 milioni di bottiglie prodotte in occasione della vendemmia 2023. Nel 2002, l’Alta Langa ottenne il riconoscimento di prima Doc piemontese dedicata al metodo classico. Un vero e proprio traguardo enologico, con l’obiettivo di «far crescere il territorio nel rispetto della grande storia vinicola che lo contraddistingue, portando la vigna dove un tempo era marginale per riuscire a valorizzarne al meglio l’unicità nel pieno rispetto delle singole entità produttive».
A seguire, nel 2011, l’Alta Langa otterrà la Docg retroattiva al millesimo 2008. Caratteristica distintiva dell’Alta Langa è quella di essere prodotto con uve Pinot nero e Chardonnay, in purezza o insieme, esclusivamente millesimato. Ogni etichetta riporta infatti l’anno della raccolta delle uve. Può essere bianco o rosé, brut o pas dosé. Ma avrà sempre, come prevede il rigoroso disciplinare, non meno di 30 mesi di affinamento sui lieviti.
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Vini bianchi per l’estate e non solo? Nei migliori supermercati, da nord a sud, ecco Verdeca, Fiano, Chardonnay, Vermentino di Notte Rossa, cantina che da anni, ormai, porta con continuità sulle tavole degli italiani i sapori e i profumi del Salento. Ma come scegliere l’etichetta giusta per i propri gusti nell’ampia gamma di vini bianchi Notte Rossa? La premessa è che Verdeca, Fiano, Chardonnay e Vermentino sono tutti vini dal modesto contenuto di alcol (12,5% vol.), molto freschi sapidi, dunque facili da bere. Caratteristiche che li rendono perfetti per la stagione più calda dell’anno, ma anche per pranzi leggeri a base di piatti di mare o per accompagnare spuntini salati, tutto l’anno. Un’ottima alternativa agli spumanti Notte Rossa, sempre più scelti dagli amanti delle bollicine.
Lavorata per valorizzare al meglio la delicatezza delle note floreali e la sua mineralità, la Verdeca Notte Rossa è ideale con la cucina di mare. Si abbina perfettamente a frutti di mare, crostacei e pesci accompagnati da salse leggere. Naso molto intenso, floreale fresco, agrumato, frutta esotica come ananas, melone, papaya, tocco di erbe della macchia mediterranea in sottofondo. Al palato un’ottima corrispondenza, con una sorprendente freschezza e una buona mineralità a sostenere i ritorni di frutta già avvertita al naso, che si ripresentano con altrettanta intensità. Convince in particolare la vena agrumata, che rende il sorso fresco e teso. Chiusura altrettanto fresca, leggermente sapida, certamente fruttata.
Scegli il Fiano Salento Igp 2023 Notte Rossa se…
Un vino ideale per la cucina di mare: antipasti misti, crostacei crudi, primi piatti con sughi rosa di pesce. Il Fiano Salento Notte Rossa rivela un naso in cui prevalgono gli agrumi e le note di frutta esotica matura. Più in sottofondo ricordi di erbe della macchia mediterranea, che rendono intrigante il quadro e invitano all’assaggio. Sorso disteso sul frutto esotico a polpa gialla e chiusura sapida, agrumata che invoglia a farne un altro speso. Vino di gran beva, che non stanca mai.
Scegli il Chardonnay Salento Igp 2023 Notte Rossa se…
È l’ideale per accompagnare antipasti leggeri di terra (carne bianca) e di mare, ma anche primi e secondi di pesce. Da provare anche con i formaggi a pasta semidura lievemente stagionati. Lo Chardonnay Salento Notte Rossa presenta il naso tipico del vitigno, su ricordi di frutta a polpa bianca e gialla perfettamente matura. Un quadro elegante in cui nessuna nota prevale sulle altre, tra ricordi di mela, pesca e un accenno di melone. Sorso pieno e goloso, connotato da una incantevole morbidezza. Finale leggermente sapido, sempre appannaggio della frutta gialla. Chiusura di sipario su richiami di banana matura.
Scegli il Vermentino Salento Igp 2023 Notte Rossa se…
Ami la cucina di mare, dagli antipasti ai primi piatti con salse leggere e ai secondi di pesce? Allora il vino da scegliere al supermercato è il Vermentino Salento Notte Rossa. Ha il naso più esotico del “gruppo”, con ricordi di frutta tropicale come ananas e melone, oltre a pesca gialla e fico d’india, che ben si amalgamano alle venature aromatiche mediterranee, di rosmarino e salvia. Sorso che abbina in maniera esemplare acidità e morbidezza, prima di una chiusura sapida e asciutta, che invoglia al prossimo sorso e al prossimo boccone, per godere ancora dell’abbinamento.
Secondo il National Vintage Report 2024 di Wine Australia, nel 2024 la produzione di uva da vino australiana è aumentata del 9% rispetto all’anno precedente, raggiungendo una stima di 1,43 milioni di tonnellate. Con una sorpresa: per la prima volta dal 2014, le uve bianche superano quelle rosse in occasione della vendemmia 2024 in Australia, seppur di pochissimo (51% vs 49%). Determinante il crollo del Shiraz, compensato dalla crescita dello Chardonnay (+31%). L’annata 2024 fa seguito al minimo storico di 23 anni registrato nel 2023. Nonostante la crescita, la produzione di quest’anno è ancora ben al di sotto della media decennale di 1,73 milioni di tonnellate.
«Questa è la terza annata delle ultime cinque che è stata al di sotto della media decennale – sottolinea Peter Bailey, responsabile del settore Market Insights di Wine Australia. Negli ultimi anni si è infatti registrata una tendenza alla diminuzione della produzione di uva da vino australiana. Negli ultimi due anni, la media quinquennale è diminuita di oltre 100 mila tonnellate. «Tuttavia – continua Bailey – la riduzione della produzione non riflette necessariamente una diminuzione dell’offerta. Non ci sono indicazioni che la superficie viticola sia diminuita in modo significativo; quindi, il potenziale per un raccolto abbondante esiste ancora senza una gestione attiva delle rese”.
Un tema che non lascia insensibile il governo australiano, che ha di recente annunciato un pacchetto di sostegno alla redditività a lungo termine del settore vitivinicolo, che prevede tra l’altro lo sviluppo di un catasto nazionale dei vigneti. L’obiettivo è aiutare i viticoltori ad avere un quadro più chiaro della reale offerta a livello nazionale.
AUSTRALIA: CRESCE LA PRODUZIONE DI UVE BIANCHE
L’aumento complessivo della raccolta rispetto all’anno precedente è stato di 112 mila tonnellate e interamente determinato dalle varietà di uve bianche, che sono aumentate di 117 mila tonnellate (19%), raggiungendo le 722 mila tonnellate. Nonostante ciò, la quantità delle varietà bianche è rimasta del 10% inferiore rispetto alla media decennale, classificandosi come la seconda più scarsa degli ultimi 17 anni. La vendemmia delle uve rosse è diminuita di poco meno di 5 mila tonnellate (1%), attestandosi a 705 mila tonnellate, la più bassa dall’annata 2007, colpita dalla siccità, e il 40% in meno rispetto al picco di 1,2 milioni di tonnellate raggiunto nel 2021. La quota complessiva di uva bianca è aumentata al 51% e, per la prima volta dal 2014, la è stata superiore a quella rossa.
«La riduzione complessiva delle uve rosse in occasione della vendemmia 2024 in Australia – spiega ancora Bailey – è dovuta interamente allo Shiraz, che è diminuito di quasi 48 mila tonnellate, mentre la maggior parte delle altre varietà rosse è aumentata. Questa diminuzione non è stata causata solo dalle regioni interne, con le valli di Barossa e Clare che hanno rappresentato un terzo della riduzione. Più in generale, i fattori stagionali hanno contribuito a far sì che il 2024 sia un’altra annata scarsa. Tuttavia, l’ulteriore e significativa riduzione della produzione di vino rosso può essere in gran parte attribuita alle decisioni prese dai viticoltori e dalle aziende vinicole di ridurre la produzione. Queste decisioni sono dettate dai bassi prezzi dell’uva, dal notevole eccesso di scorte di vino rosso e dalla riduzione della domanda globale di vino».
PREZZI DELLE UVE E INCOGNITE DEL VINO AUSTRALIANO NEL 2024
Lo Chardonnay è aumentato del 31%, raggiungendo le 333 mila tonnellate, superando lo Shiraz e riprendendo il titolo di varietà regina in occasione della vendemmia 2024, detenuto l’ultima volta nel 2013. Lo Shiraz è diminuito del 14%, passando a 298 mila tonnellate, la cifra più piccola dal 2007. Il South Australia ha rappresentato la quota maggiore della raccolta (49%), ma è diminuito del 4% e ha perso 6 punti percentuali rispetto agli altri Stati. Tutti gli altri Stati, ad eccezione dell’Australia Occidentale, hanno incrementato le loro rese rispetto al 2023, con la Tasmania che ha registrato un aumento del 42%, raggiungendo una resa record di 16.702 tonnellate.
Il valore della vendemmia 2024 in Australia è stimato in 1,01 miliardi di dollari, con un aumento del 2% rispetto all’anno precedente. L’aumento del 9 % del quantitativo è stato compensato da una diminuzione complessiva del valore medio, passato da 642 dollari per tonnellata a 613 dollari per tonnellata. Nelle regioni calde dell’entroterra, sia i rossi che i bianchi hanno subito un calo del valore medio del 5%, mentre nelle regioni fredde e temperate si è registrato un piccolo aumento (3%) dei bianchi, mentre il valore medio dei rossi è rimasto invariato. Bailey afferma che il calo complessivo del valore medio è stato determinato principalmente dalla diminuzione dei prezzi medi pagati per le uve rosse e bianche provenienti dalle regioni calde dell’entroterra e dall’aumento della quota di tonnellate provenienti da queste regioni.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Cinquant’anni e non sentirli. Cesarini Sforza, rinomata cantina trentina fra i pionieri del Trentodoc, festeggia i suoi primi 50 anni di attività. Una realtà fondata nel 1974 per volontà del Conte Lamberto Cesarini Sforza, che diede il nome all’azienda, e di Giuseppe Andreaus, personaggio di rilievo nella produzione di spumante metodo classico. L’azienda dedica il suo marchio, l’Aquila, al simbolo della casata di cui porta il nome, anche stemma della città di Trento.
La selezione delle migliori zone del Trentino per la produzione di uve Chardonnay base spumante, unita alla ricerca enologica e a una forte passion,e danno vita nel 1976 al primo spumante Cesarini Sforza elaborato secondo il Metodo Classico, lo stesso dello Champagne. Nel 1985 viene lanciato sul mercato un Rosé metodo classico prodotto unicamente con uve Pinot Nero, coltivate sulle colline della Valle di Cembra.
CESARINI SFORZA: NEL 1986 LA PRIMA RISERVA AQUILA REALE
La continua ricerca viticola ed enologica e il desiderio di dar vita a un Metodo Classico di altissimo livello, prodotto in poche bottiglie, ma in grado di condensare in sé tutta l’energia e il potenziale del territorio trentino, porta alla nascita, nel 1986, della prima Riserva Aquila Reale, da sole uve Chardonnay coltivate sopra i 500 metri di altitudine.
Nel 2001 la casa spumantistica viene acquisita da parte di Cantina di La-Vis. Nello stesso anno, l’Aquila Reale diviene un “cru”, creato con le sole uve del vigneto “Maso Sette Fontane” in Valle di Cembra. Nel 2019 Cesarini Sforza entra a far parte del Gruppo Cavit, che dà inizio a una fase di grandi investimenti sia nella struttura produttiva sia nella valorizzazione del brand.
«In questi ultimi anni – racconta Andrea Buccella, enologo e responsabile di produzione (nella foto, sopra) – ci si è focalizzati sul potenziamento tecnologico in cantina, al fine di garantire costanza e qualità del prodotto. Sono stati numerosi gli acquisti di macchine di ultima generazione. Il tutto a garanzia di una perfetta preparazione dello spumante. Inoltre, quest’anno, installeremo anche un impianto fotovoltaico, simbolo della nostra attenzione all’efficientamento energetico e alla sostenibilità ambientale».
AQUILA REALE 2004: EDIZIONE LIMITATA PER I 50 ANNI DI CESARINI SFORZA
Per suggellare l’importante traguardo Cesarini Sforza ha presentato un’edizione limitata di sole 1.200 bottiglie di Trento Doc Aquila Reale Riserva 2004. Uve Chardonnay del Cru del Maso Sette Fontane, in Valle di Cembra, a una quota di circa 500 metri sul livello del mare, con affinamento sui lieviti di 228 mesi (19 anni).
Figlia di un’annata segnata da un inverno piovoso a cui è seguito un clima, Aquila Reale 2004 si presenta come uno Spumante di grande complessità ed evoluzione olfattiva. Affianca a note agrumate e di frutta candita la piacevolezza di sentori evoluti di pasticceria e panificazione. Ancora timido al naso, il tempo post sboccatura non potrà che giovare a questo Trento Doc già ora estremamente godibile.
Gavi Docg e Timorasso Doc Derthona per la prima volta insieme e a confronto con blasonati Chardonnay e Riesling da Borgogna, Mosella e Franken (Franconia). L’appuntamento da non perdere è Abaccabianca 2024, annuale edizione dell’evento organizzato dal 2016 da Ais Piemonte che andrà in scena sabato 11 e domenica 12 maggio a Villa La Bollina (via Monterotondo 60, Serravalle Scrivia – AL). Settanta i produttori delle due denominazioni coinvolti, con circa 150 etichette. «Gavi e Tortona – ricordano Maurizio Montobbio e Gian Paolo Repetto, rispettivamente presidente del Consorzio Tutela del Gavi e del Consorzio Tutela Vini Colli Tortonesi – sono due territori separati geograficamente dal Torrente Scrivia. Abaccabianca costruisce un ponte tra le due denominazioni che, seppur con storie differenti, sono due eccellenze che esercitano un’importante influenza nel contesto enologico dei bianchi in Italia e nel mondo».
ABACCABIANCA, UN “PONTE” TRA GRANDI BIANCHI DEL PIEMONTE
«Con questo evento, grazie all’Ais Piemonte – concludono Montobbio e Gian Paolo Repetto – i due vini raccontano insieme la loro unicità, con la consapevolezza di una nuova forza identitaria che nasce dall’unione». Il Gavi, con il suo prestigio internazionale, è presente in oltre cento Paesi al mondo e punta a consolidarsi sul territorio nazionale. La recente rielezione del presidente Maurizio Montobbio dovrebbe poi portare il Gavi verso l’incremento del valore. Una mission da centrare anche grazie alle necessarie modifiche al disciplinare di produzione, che consentirebbero un aumento della produzione del Gavi Riserva, il vino al vertice della piramide qualitativa della denominazione, senza intaccarne la qualità.
Il Derthona è invece simbolo della rinascita di un vitigno dimenticato, il Timorasso, sempre più conosciuto e ricercato in Europa e nel mondo grazie al recupero della varietà avviato negli anni Novanta da un manipolo di produttori, tra cui Walter Massa. Sotto i riflettori di Abaccabianca 2024 ci saranno dunque due vini progonisti indiscussi dell'”isola bianca” del Piemonte, il comprensorio che abbraccia i Colli Tortonesi e le Terre del Gavi Docg, interamente incluso nella provincia di Alessandria, lembo meridionale della regione, incastonato tra Liguria e Lombardia. A Villa La Bollina, dimora gentilizia e resort a Serravalle Scrivia, è previsto un fitto calendario di degustazioni, assaggi e incontri sia sabato 11 – dalle 11.00 alle 19.00 – sia domenica 12 maggio, dalle 11.00 alle 18.00.
GAVI E TIMORASSO A CONFRONTO CON BORGOGNA, MOSELLA E FRANKEN
Sono inoltre in programma due masterclass che mettono a confronto Gavi Docg e Derthona Timorasso rispettivamente con alcuni Chardonnay e Riesling internazionali (sabato e domenica solo su prenotazione sul sito dell’Ais Piemonte). “Gavi e Chardonnay: longevità a confronto, tra Italia e Francia” è la prima delle masterclass: tra gli 8 vini in degustazione, ecco lo Chablis 1er cru Forêts 2018 di Patrick Piuze e lo Chassagne-Montrachet 1er cru Champgains 2016 di Domaine Fernand et Laurent Pillot.
“Così lontani, così vicini: il Timorasso sfida il Riesling del Reno” è la masterclass che metterà alla prova il Timorasso Derthona con il Riesling Trocken Sauer-Escherndorfer 2021 di Weingut Horst Sauer, Kreuznacher Kahlenberg Riesling Trocken 2021 di Helmut Donnhoff, Mosel QbA Riesling Kabinett Brauneberger Juffer 2020 di Fritz Haag e Riesling Mosel Kabinett Graacher 2018 di Dr. Loosen. L’ingresso al pubblico ad Abaccabianca 2024 ha un costo di 25 euro per il pubblico, mentre i soci dell’Associazione italiana sommelier potranno accedere al prezzo agevolato di 20 euro. Ingresso gratuito per gli operatori del settore Horeca, tramite prenotazione via email a eventi.aisasti@gmail.com.
Abaccabianca 2024
Villa La Bollina, via Monterotondo 60 – Serravalle Scrivia (AL)
Sabato 11 e domenica 12 maggio 2024
Ingresso: 25 euro per il pubblico; 20 euro soci Ais: gratuito per gli operatori Horeca
Ingresso masterclass e operatori Horeca su prenotazione
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
È una delle zone vinicole più rinomate a livello internazionale. Tra le più quotate dai collezionisti e tra le più battute dalle case d’asta mondiali. Ma la Borgogna è anche una regione di cui si conosce poco sul fronte del “rapporto qualità prezzo“. Poche, inoltre, le garanzie di continuità della disponibilità delle bottiglie, specie nelle ultime annate. Dell’intera produzione – circa 150-200 milioni di bottiglie annue – solo il 2% è classificata Grand Cru (con 33 Aoc) e il 10% Première Cru (su 570 “Climats”). Ed è proprio il vertice della piramide qualitativa che rende speciale la Borgogna, riflettendosi come un volano sui suoi 29.500 ettari complessivi. La masterclass tenuta ieri all’Excelsior Hotel Gallia di Milano da Gabriele Gorelli MW ha avuto lo scopo di sondare «La Borgogna che non ti aspetti».
LaBourgogne moins connue, per dirla in francese. Un viaggio calice alla mano reso possibile da Les Grands Chais de France, il gruppo fondato e gestito dalla famiglia Helfrich che da tre anni collabora con il primo Master of Wine italiano. Tra le firme borgognotte di GCF Group – colosso che, solo in Francia, controlla 3.471 ettari in 10 regioni – figurano Chartron et Trébuchet, Maison François Martenot e Moillard.
PINOT NOIR E CHARDONNAY: I VINI QUALITÀ PREZZO DELLA BORGOGNA
«Le difficoltà di trovare e acquistare vini della Borgogna “a prezzi umani” – ha sottolineato Gabriele Gorelli MW – è ormai evidente. Se l’impennata dei prezzi verificatasi nel 2022 per via della scarsa quantità della vendemmia 2021 era giustificabile, il ripresentarsi della medesima dinamica l’anno successivo è da derubricare al posizionamento ormai consolidato dei vini della denominazione. Grazie ai cambiamenti climatici stanno però emergendo diverse zone della Borgogna che, altrimenti, sarebbero rimaste all’ombra. I prezzi sono più abbordabili, tra i 15 e i 45 euro circa, e la qualità dei vini offre valide alternative».
Ecco dunque appellazioni come Santenay, Ladoix, Cote de Nuits Villages, Chorey-les-beaunes, Savigny Les Beaunes, ma anche Beaujolais Blanc, Saint-Veran, Rully, Ladoix Blanc e Montagny. Si tratta, ça va sans dire, di Pinot Noir e Chardonnay che rispondono alle caratteristiche della «Borgogna che non ti aspetti»: quella «a prezzi umani, dall’ottimo rapporto qualità-prezzo e reperibile con continuità». Gabriele Gorelli cita peraltro anche il Gamay come alternativa al Pinot nero. LO fa ricorrendo a due dei dieci Crus del Beaujolais, ovvero Fleurie e Moulin-a-vent, all’incrocio delle coordinate della Borgogna e del Rodano.
Del resto, a confermare le difficoltà di approvvigionamento dei vini provenienti dai Cru e dalle zone della Bourgogne più note è anche l’alta ristorazione milanese. «È vero che i prezzi sono arrivati alle stelle – spiega a winemag.it Marco Spini (nella foto sopra, a destra), head-sommelier di uno dei templi milanesi della cucina cinese, Ba Restaurant di via Raffaello Sanzio 22 – ed è per questo che, personalmente, da anni batto le strade meno conosciute. La richiesta c’è, il prodotto sempre meno. Ben venga, dunque, che ai colleghi venga raccontato che esiste un’altra Borgogna, alternativa al Grand Cru».
«LA BORGOGNA A PREZZI UMANI» DI GORELLI E GCF: DUE VINI DA PROVARE
Tra i quattordici vini proposti in degustazione a una platea affollata da una decina di giornalisti di settore e da numerosi sommelier, ristoratori ed enotecari operanti a Milano, sono due quelli che convincono più di tutti. Si tratta dell’Aop Rully 2020 di Domaine Rolan Sounit e dell’Aop Chorey-les-Beaunes 2020 “Vieilles Vignes Rouge” di Moillard. Uno Chardonnay e un Pinot Noir, senza ricorso all’alternativa del Gamay proposta da Gorelli (su questo fronte, meglio il Moulin-a-vent Rouge 2022 del Fleurie Rouge 2022 targati Domaine du Chapitre).
Aop Rully 2020, Domaine Roland Sounit (prezzo in Italia: circa 30 euro) Siamo nel cuore della Côte Chalonnaise, a sud della Côte d’Or per uno Chardonnay in purezza da terreni rocciosi-rossastri, ricchi di marna. Raccolta meccanica e vinificazione tradizionale. Le uve vengono pigiate immediatamente all’arrivo in cantina tramite presse pneumatiche. Fermentazione alcolica in botti di rovere e affinamento per 8-10 mesi in botti di rovere, con travasi regolari. Vino che presenta un’ottima stratificazione, sin dal naso. Alle note di frutta tropicale a polpa bianca e gialla si accosta un bel pompelmo rosa, oltre a una netta matrice minerale, calcarea. Al palato svela un utilizzo del legno composto e raffinato, tale da contribuire alla complessità, senza appesantire affatto il sorso. Chiude su burro salato e si allunga deciso, in persistenza, su ricordi di nocciola e cereali. Vino giovane, con ottime prospettive in termini di ulteriore affinamento.
Aop Chorey-Les-Beaune 2020 “Vieilles Vignes Rouge”, Moillard (prezzo in Italia: circa 30 euro) Eccoci in Côte de Beaune per questo Pinot Noir in purezza che prende vita da un suolo calcareo, molto duro e sassoso, con pendenza regolare e dolce. Alla base della collina il terreno diventa di colore bruno, ricoperto di limo. Vinificazione tradizionale in tini di acciaio inox termoregolati per un periodo di 3 settimane. Macerazione prefermentativa a freddo, intorno ad 8°. Rimontaggi frequenti al fine di estrarre colore e struttura e fermentazione con temperatura di punta intorno ai 30°. Seguono macerazione post-fermentativa a 25° e affinamento in barriques di rovere per il 20-30% nuove da 8 a 16 mesi. Malolattica svolta.
Colore piuttosto carico ma luminoso per questo Chorey-Les-Beaune da vigne vecchie. Primo naso su tinte terrose che si accostano a un frutto di piena maturità, a polpa rossa e nera. Ci si aspetta di trovare lo stesso al palato, che invece si rivela teso, sapido, con la frutta che si svolge su profilo finemente tannico. Un Pinot Noir goloso ma tutt’altro che semplice e stringato, capace anzi di sintetizzare morbidezze e durezze in maniera ineccepibile e di farsi trovare prontissimo all’appuntamento con il calice e con l’abbinamento.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
La vendemmia 2023 in Alta Langa è iniziata – all’insegna di un probabile calo della quantità – con la raccolta del Pinot nero. I primi grappoli sono stati messi in cassetta il 17 agosto tra i vigneti delle province di Asti, Cuneo e Alessandria. Nelle ultime ore il testimone è passato anche allo Chardonnay. Come sempre, le uve per l’Alta Langa Docg sono le prime ad essere vendemmiate in Piemonte. La raccolta proseguirà fino ai primi giorni di settembre, a seconda delle differenti esposizioni e altitudini.
Se l’inizio del mese di agosto è stato caratterizzato da un’importante escursione termica tra il giorno e la notte che ha favorito lo sviluppo perfetto del grappolo, il caldo particolarmente intenso di questi giorni sta accelerando rapidamente la maturazione delle uve Pinot nero e Chardonnay alle diverse altitudini. Anche nei vigneti più in quota, dove nelle scorse settimane l’invaiatura non era completata, si sta assistendo adesso a una veloce maturazione.
ALTA LANGA «SEMPRE PIÙ DISTINTIVA E DI QUALITÀ»
Le uve risultano sane e con un’ottima pigmentazione. Si registra una lieve flessione quantitativa, dovuta alla diminuzione delle precipitazioni estive e ad alcuni episodi di maltempo, in particolare la consistente grandinata che nel pomeriggio del 6 luglio scorso ha interessato i vigneti delle zone tra Neviglie, Benevello, Borgomale e Lequio Berria.
«La nostra – commenta la presidente Mariacristina Castelletta – è una denominazione speciale e in crescita. Aumenta la base dei soci e, grazie all’apertura del bando, il nostro vigneto si amplierà in modo importante nei prossimi anni. Dal punto di vista consortile, continuiamo a investire per accrescere e consolidare il valore della denominazione Alta Langa Docg».
«Uno spumante metodo classico che – continua l’esponente di Tosti 1820 – anche per le regole del suo disciplinare (vini sempre millesimati e con 30 mesi minimo di affinamento in bottiglia), non può che essere un prodotto distintivo e di alta qualità. Le uve Pinot nero e Chardonnay che stiamo raccogliendo in questi giorni diventeranno eccellenti calici di Alta Langa solo all’inizio del 2027: è anche per questo che ci sentiamo così unici».
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Prima dell’Alta Langa 2023: il millesimo 2019 tra new entry e conferme. Lo spumante piemontese si presenta e convince alla Reggia di Venaria
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Nuova varietà di uva, stesso “timbro”, all’insegna della tipicità e dell’ottimo rapporto qualità prezzo al supermercato. Terre di Sava propone ormai da qualche mese sugli scaffali dei supermercati lo Chardonnay Salento Igp Notte Rossa, tra le new entry del nuovo corso della cantina della provincia di Taranto.
Le uve Chardonnay, selezionate tra le migliori vigne locali, danno vita a un bianco fresco e minerale, dal carattere tipicamente salentino e dal palato che ricorda la frutta esotica.
L’affinamento in rovere francese rende lo Chardonnay Salento Igp della linea Notte Rossa un vino morbido ed elegante, ideale per accompagnare antipasti leggeri di terra e di mare, ma anche primi e secondi di pesce. Un bianco da provare anche con i formaggi a pasta semidura lievemente stagionati.
Entro il 2050, oltre un quinto del Regno Unito potrebbe avere un clima adatto alla coltivazione di uve Chardonnay per la produzione di vini fermi. Lo riferisce un recente studio targato University of Reading, proprio mentre – in questi minuti – winemag.it sta sbarcando a Londra per un tour delle zone vinicole dedite alla produzione degli spumanti inglesi Metodo classico (aggiornamenti sulle pagine Instagram winemag.it e Davide Bortone).
L’Università inglese ha applicato lo stesso modello di una ricerca precedente, riguardante l’effetto dei cambiamenti climatici sulla qualità dei vini di Chablis. I sorprendenti risultati sono stati pubblicati a inizio dicembre 2022 da OENO One, rivista scientifica dell’associazione accademica International Viticulture and Enology Society (IVES).
In sintesi, entro la metà del secolo, l’impatto del climate change sarà evidente anche sulle uve Chardonnay coltivate nel Regno Unito. I grappoli saranno «sufficientemente maturi per produrre più vini fermi di alta qualità». Il vitigno Chardonnay, con i suoi 1.180 ettari sui circa 3.500 presenti in GB, fa già la parte del leone. Ma è coltivato con successo per produrre vino spumante. Solo nelle migliori annate, anche vino fermo.
«Nel Regno Unito – spiega Alex Biss, ricercatore che ha guidato il progetto – si producono già ottimi vini spumanti da uve Chardonnay. Le uve utilizzate per i vini spumanti non hanno bisogno di una maturazione così lunga come quella dei vini fermi. Il clima sembra destinato a cambiare le cose, in un futuro non troppo lontano».
PIÙ VINI FERMI DA CHARDONNAY NEL REGNO UNITO
Biss, insieme al professor Richard Ellis, ha preso in considerazione tre aspetti del clima che influenzano la qualità del vino Chardonnay fermo. In primis la temperatura media tra aprile e settembre; poi la temperatura minima media a settembre (“Cool night index“); infine le precipitazioni totali tra giugno e settembre.
Sulla base di questo modello, il duo di ricercatori ha potuto stabilire che il 20-25% delle regioni del Regno Unito potrebbero essere in condizioni ideali per la produzione di Chardonnay entro il 2050. Un grande passo avanti rispetto alla situazione attuale, pari a circa il 2%.
Naturalmente – precisa Alex Biss – ci sono delle incognite. Solo perché una regione ha un clima adatto, non significa che abbia il tipo di terreno adatto alla coltivazione della vite. Ma resta il fatto che il cambiamento climatico porterà molto probabilmente a un’ulteriore espansione della viticoltura nel Regno Unito».
Le aree che con maggiore probabilità avranno le migliori condizioni per produrre vino Chardonnay fermo di alta qualità entro il 2050 sono l’Inghilterra sudorientale, l’Inghilterra orientale e l’Inghilterra centrale. Ad oggi, i vini fermi rappresentano circa un terzo della produzione totale di vino del Regno Unito. La percentuale aumenta, pur marginalmente, nelle annate più secche e calde (2018: 31%; 2019: 28%; 2020: 36%; 2021: 32%).
CLIMA FAVOREVOLE ANCHE PER IL PINOT NERO NEL REGNO UNITO
Lo scenario ipotizzato è quello di un aumento della temperatura globale tra i 2 e i 3 gradi centigradi, entro il 2100, limitato dalle politiche derivanti dal dibattito attuale sul climate change. Le emissioni, secondo la proiezione dei due ricercatori, dovrebbero continuare ad aumentare fino al 2040 circa, per poi diminuire.
«Non stiamo celebrando il riscaldamento globale – si affretta a precisare Alex Biss – che per molti versi sta già causando grandi problematiche alla produzione alimentare e alla salute. Piuttosto, è qualcosa che dobbiamo monitorare e a cui dobbiamo rispondere, cambiando ciò che coltiviamo e dove».
L’implicazione immediata delle nostre scoperte è che i viticoltori del Regno Unito che piantano nuovi vigneti nelle aree citate dovrebbero prendere in considerazione la possibilità di piantare cloni di Chardonnay a duplice attitudine, adatti sia alla produzione di vino frizzante che di vino fermo».
Le ultime evidenze fanno seguito a un’altra ricerca di fine luglio 2022, condotta da University of East Anglia (UEA), London School of Economics, Vinescapes Ltd e Weatherquest Ltd, secondo cui il potenziale della produzione di vino del Regno Unito è destinato a crescere nei prossimi anni, a causa dei cambiamenti climatici. In particolare, la ricerca fa riferimento ed enfasi specifica «all’idoneità a produrre un maggior numero di Pinot Nero fermo in alcune parti del Regno Unito». Non va dimenticata, poi, la chance di Piwi come il Divico, in Inghilterra. Chissà come la prenderà Parigi.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Prodotto con Chenin Blanc (50% di cui 10% vini di riserva), Chardonnay e Cabernet franc, il Crémant de Loire di Langlois Chateau rappresenta uno specchio fedele della denominazione d’Oltralpe. Le uve provengono da una selezione di 6 appezzamenti, scelti per l’espressione tipica dei vitigni che compongono la cuvée, negli specifici suoli della Loira: Côtes de Saumur (silice e calcare), Bas Layon (scisto), Haut Layon (argilla e calcare), Coteaux St Léger (calcare), Puy Notre Dame (argilla e calcare) e Montreuil Bellay (argilla e calcare).
Netta, dunque, la prevalenza di suoli calcarei, evidente anche nell’espressione del vino. Un Crémant da godere in gioventù, per apprezzare freschezza e slancio verticale del vitigno principe dell’assemblaggio scelto da Langlois Chateau, lo Chenin Blanc (re delle varietà a bacca bianca della Loira). Le note dominanti sono quelle della frutta a polpa bianca, appena matura, introdotte da un naso piuttosto generoso e finissimo, che abbina un floreale fresco a tinte minerali, ancor più nette al palato.
La vinificazione del Crémant de Loire di Langlois Chateau avviene per varietà e terroir, in tini di acciaio inox a temperatura controllata. La degustazione dei vini base suddivisi per parcella determina l’assemblaggio finale. L’affinamento avviene secondo il metodo tradizionale, con successiva maturazione sui lieviti per un minimo di 24 mesi. Molto ben integrati i 12 g/l di dosaggio.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Regole di produzione più restrittive e un nuovo nome: Oltrepò Docg Metodo Classico, senza “pavese“. Se da un lato l’Assemblea dei soci del Consorzio Tutela Vini Oltrepò pavese semplifica la comunicazione delle proprie “bollicine”, dall’altro introduce importanti novità verso il riconoscimento qualitativo internazionale. In particolare, la raccolta delle uve atte alla spumantizzazione (Pinot Nero e Chardonnay, ma anche Pinot Grigio e Pinot Bianco) dovrà essere manuale e in cassetta. Introdotta poi la tipologia “Riserva“, con almeno 48 mesi di permanenza sui lieviti.
Le modifiche al disciplinare della Denominazione di origine controllata e garantita sono state votate a maggioranza dai soci riunitisi martedì 6 dicembre 2022, presso la sala Gallini di Riccagioia a Torrazza Coste (PV).
IL COMMENTO DI VERONESE E FUGAZZA
«Il territorio – spiega Carlo Veronese, direttore del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese – ha approvato modifiche importanti per il futuro della denominazione al vertice della piramide qualitativa dell’Oltrepò, in un’assemblea caratterizzata da un clima sereno e costruttivo. Inizieremo subito a lavorare per dare attuazione alle richieste dei soci e poter inviare, nel più breve tempo possibile, alla Regione Lombardia la documentazione necessaria all’approvazione di Regione Lombardia, Masaf e Commissione Europea».
Soddisfazione anche da parte della presidente del Consorzio, Gilda Fugazza, che tocca anche altri argomenti: «Questo lavoro molto tecnico – ha dichiarato – è frutto di un percorso che parte da lontano, dai Tavoli dedicati alle Denominazioni e non è di fatto ancora finito. Da presidente mi auguro che in futuro la burocrazia che condiziona le “buone” pratiche del mondo della viticoltura e non solo si snellisca. E, soprattutto, sia più connessa alle esigenze dell’attualità, condizionata pesantemente da variabili che ci impongono la vera resilienza e capacità di affrontare gli imprevisti».
La recente modifica al disciplinare di produzione dei vini a Denominazione di origine controllata e garantita “Oltrepò pavese” Metodo classico – Doc dal 1970 e Docg dal 2007 – arriva a distanza di quasi 10 anni dall’ultimo ritocco, approvato dal Mipaaf tramite il D.M. 7/03/2014.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Ha preso il via il 10 agosto la raccolta delle uve Pinot nero per i vini Alta Langa Docg. I primi grappoli della vendemmia 2022 , che si preannuncia di ottima qualità, sono stati vendemmiati nelle vigne di Canelli, Castel Boglione, Castel Rocchero, San Marzano Oliveto e Santo Stefano Belbo, tra Astigiano e Cuneese.
La raccolta delle uve Chardonnay, nella norma dell’Alta Langa, si vendemmiano solitamente 7/10 giorni dopo il Pinot nero. Con le operazioni che si concluderanno entro la fine del mese di agosto.
«L’anticipo dei tempi rispetto alla norma è collegato al periodo della fioritura della vite, avvenuto quest’anno intorno al 15/20 maggio: solitamente avviene tra gli ultimi giorni di maggio e l’inizio giugno», spiega il vicepresidente del Consorzio Alta Langa, Giovanni Carlo Bussi.
Le alte temperature del mese di maggio hanno accorciato notevolmente le differenze tra le quote più basse e quelle più alte, che in annate normali possono differenziarsi anche di 25/30 giorni.
La qualità delle uve può definirsi ottima: non vi sono stati danni causati dalle classiche patologie della vite, grazie alla scarsità di precipitazioni. La siccità potrebbe ridurre i quantitativi di produzione, ma la vendemmia anticipata, seguita con cura dai tecnici delle aziende, garantirà la perfetta qualità”.
VENDEMMIA 2022 IN ALTA LANGA: VALLE BELBO E BORMIDA LE ULTIME
Nelle vigne più alte e fresche, tra Valle Belbo e Valle Bormida, le maturazioni sono più lente e le temperature massime sono leggermente inferiori: seppure in anticipo di una decina di giorni rispetto al 2021, le maturazioni stanno avvenendo in maniera regolare.
«La nostra compagine – sottolinea Mariacristina Castelletta, presidente del Consorzio Alta Langa – sta vivendo un momento molto positivo. Assistiamo a un solido aumento della produzione a cui si accompagna l’incremento degli associati al Consorzio, che a oggi sono 134.
«C’è entusiasmo – continua Castelletta – e la volontà è quella di continuare a perseguire la strada dell’alta qualità, a partire proprio dalla vendemmia che adesso si trova nel pieno del suo svolgimento. Ci sono i presupposti per un’ottima annata, che ritroveremo nei calici tra non meno di tre anni. A tutti i produttori di Alta Langa auguro un buon raccolto».
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Era il 1972 quando il primo Chardonnay australiano “in purezza” faceva il suo esordio sul mercato. In cinquant’anni di storia, il vino bianco più iconico dell’Australia ha attraversato mode e trend. Si è lasciato accarezzare dal burro e dalle note tostate tipiche dello Chardonnay francese, affinato in legno. Sino ad arrivare, oggi, a trainare il mercato internazionale grazie a uno stile ben riconoscibile.
Una via di mezzo tra la schietta freschezza che contraddistingue altre uve a bacca bianca note al pubblico mondiale (vedi Sauvignon Blanc o Chenin) e l’aristocratica eleganza nell’utilizzo del legno. Che torna “contenitore” e smette d’essere “ingrediente”.
Questa l’impressione data dagli 8 Chardonnay australiani in degustazione con Wine Australia nel pomeriggio di martedì 5 aprile. Il modo scelto per celebrare con la stampa internazionale l’anniversario dei 50 anni del primo bianco varietale prodotto e commercializzato nel Paese.
Un percorso lento, che ha preso avvio nel 1830, anno in cui le prime barbatelle di Chardonnay iniziarono ad essere “addomesticate” nei molteplici terroir del vino australiano.
Si arriva così agli anni Novanta, contraddistinti dall’imperare delle vinificazioni in barrique, oggi retaggio del passato. Al loro posto, Chardonnay che privilegiano territorialità e raffinatezza. Nel segno dell’equilibrio tra frutto, terziari e potenziale d’affinamento.
«La sua popolarità può essere aumentata e diminuita nel corso degli anni – ha sottolineato Mark Davidson, referente di Wines of Australia – ma una cosa è certa: lo Chardonnay australiano è una leggenda con un futuro brillante».
Davidson ha condotto il digital tasting degli 8 Chardonnay scelti per celebrare i 50 anni, assieme a MaryAnna Worobiec (Wine Spectator) e Oz Clarke Obe (wine writer e presentatore televisivo britannico).
E proprio a Londra, nella giornata di oggi, sbarcano centinaia di vini australiani in degustazione per stampa e trade al Royal Horticultural Halls (Westminster), altro appuntamento che winemag.it sta seguendo in presenza, in queste ore, dalla capitale del Regno Unito.
LO CHARDONNAY IN AUSTRALIA
Lo Chardonnay e le sue Nozze d’Oro non potranno che essere tra i grandi protagonisti. È infatti il vitigno a bacca bianca più coltivato in Australia, in 58 delle 65 regioni vinicole del Paese. È secondo secondo solo allo Shiraz e continua ad essere il vino bianco più esportato. Secondo le stime di Wine Australia, sarebbero 3,8 i milioni di bicchieri di Chardonnay australiano gustati ogni giorno, all’estero.
Gli stili sono molteplici, soprattutto per via delle differenze climatiche in cui matura l’uva. Si passa dagli Chardonnay occidentali, in particolare quelli di Margaret River, influenzati dell’Oceano, a quelli dell’area subtropicale, come Hunter Valley, ad est.
La varietà riflette caratteristiche locali ovunque sia coltivata – ha evidenziato ancora Mark Davidson – e viene prodotta in una serie di stili che vanno da quelli leggeri e croccanti, a quelli più corposi e complessi, maturati in botte».
Un’altra discriminante, evidente nel tasting di martedì 5 aprile, è legata alla fermentazione malolattica. Lo Chardonnay si presta ad essere teso e freschissimo, senza aver compiuto la “seconda fermentazione” in vinificazione. Oppure più “morbido”, quando l’acido malico si trasforma in lattico in seguito alla fermentazione alcolica (solitamente in Primavera).
8 CHARDONNAY AUSTRALIANI PER CELEBRARE I 50 ANNI
Hunter Valley Chardonnay 2018 “Winemaker’s Selection Vat 47”, Tyrrell’s: 87/100
Siamo a ovest, per l’esattezza nella Hunter Valley, a Nord di Sidney (New South Wales). Chardonnay da clone Penfold, vendemmiato il 12 gennaio e imbottigliato il 1 novembre 2018. Fermentazione iniziale in acciaio, poi in barrique di rovere francese. Maturazione di 9 mesi per il 20% in barrique di rovere francese nuove. Fermentazione malolattica non svolta.
Alla vista di un bel giallo paglierino. Legno presente al naso e in retro olfattivo. Burro fuso, vaniglia, note mielate tra i descrittori utili a comprendere la natura di questa etichetta, caratterizzata da una buona freschezza e da una chiusura tendenzialmente morbida, ma asciutta.
Margaret River Chardonnay 2018 “Art Series”, Leeuwin Estate: 92/100
Ci spostiamo a sud-est, per l’esattezza a Margaret River. Chardonnay da clone Gingin, vendemmiato tra la metà e la fine di febbraio 2018 e imbottigliato il 26 agosto del 2019. Fermentazione in barrique, 100% rovere nuovo francese. Maturazione di 11 mesi in nuove botti dello stesso materiale. Fermentazione malolattica non svolta.
Alla vista di un giallo paglierino. Splendido naso, dal legno molto più garbato rispetto al precedente campione. Frutto tropicale di perfetta maturità, mai sbavato. Colpisce per precisione e focus sul frutto, abbinato a una freschezza vibrante, d’agrume.
Tornando all’utilizzo del legno, non manca una carta dose di burro fuso. Ma l’acidità lo “asciuga” e rende ancora più croccante il frutto, polposo. Chiusura nel segno del centro bocca: asciutto, agrumato. Zona vinicola da tenere in grande considerazione, Margaret River.
Great Southern Chardonnay 2018 “Block 8′ Mount Barker”, Forest Hill Vineyard: 90/100
Torniamo a sud-ovest, nella regione vinicola del Great Southern, altra cullo dello Chardonnay australiano. Non cambia invece il clone: ancora una volta quello scelto dalla cantina è il Gingin. Vendemmia avvenuta il 24 febbraio; imbottigliamento nel dicembre 2018.
Fermentazione spontanea con lieviti indigeni in rovere francese da 225, 300 e 500 litri. Maturazione per 9,5 mesi in rovere. Malolattica svolta per meno del 5%. Naso che si stacca in maniera netta dai precedenti campioni. Risulta meno ampio e il vino pare contratto, inizialmente ridotto.
Ecco poi il frutto che deve ancora esplodere in maturazione, tra note verdi preziose che ricordano la buccia d’agrume (lime, limone) e la polpa d’una pesca bianca. Sullo sfondo un tocco di ginger. Al palato, come da attese (e premesse): struttura acida importante, per uno Chardonnay sorretto da una freschezza importante, attorno alla quale gioca un ruolo fondamentale la frutta esotica.
Che c’è. E si fa apprezzare, pur nell’accezione “fresca”, poco glicerica, per nulla morbida. Il mondo è pieno di vini “vuoti” che puntano solo all’acidità, specie nel mondo vinnaturista, contraddistinto da lieviti indigeni e fermentazioni spontanee. Qui, la freschezza diventa lo strumento e il manifesto di una raccolta delle uve magistrale, volta a dare un tocco di personalità a un vino inconfondibile e longevo.
Si passa a un’espressione di Chardonnay che coniuga uve allevate in tre zone: Tumbarumba, Adelaide Hills e Tasmania, tra la piccola isola austraiana e la parte “continentale”, a sud ovest.
Vendemmia compiuta da marzo ad aprile 2019. Fermentazione (alcolica e malolattica, integrale) al 100% in barrique francesi, dove avviene anche l’affinamento (8 mesi, per il 35% in rovere francese nuovo). Vino che cambia molto in base alla temperatura di servizio, caratterizzandosi (a quella corretta) per la precisione enologica.
Frutto e freschezza si dividono equamente il palco, con un accento particolare dato dai suoli duri, basaltici delle prime due zone. Vino che entra teso, su ricordi di pietra bagnata, melone e pesca bianca, per poi ammorbidirsi nel finale.
Stato di Victoria, a pochi chilometri dalla città di Melbourne. È qui che si trova la Penisola di Mornington, dalla quale provengono le uve di Moorooduc Estate. La raccolta è avvenuta tra il 26 e il 28 febbraio per i cloni I10V3, 95 e 96 (Robinson) e l’imbottigliamento il 14 gennaio 2019.
Fermentazione spontanea in 29 barrique di rovere e 2 puncheon (20% legno nuovo). L’affinamento si prolunga per 8 mesi, nei medesimi contenitori (20% nuovo, 80% 1/8 anni). Fermentazione malolattica svolta.
Vino che si stacca completamente dal resto dei campioni in degustazione per i 50 anni dello Chardonnay australiano. Si parte, di fatto, da un giallo più dorato, ben distante dai paglierini precedenti. Leggera vena ossidativa per un vino più largo che teso. Bell’agrume in chiusura, a conferire un po’ di nerbo a un sorso tendenzialmente dominato dalla frutta esotica matura.
Yarra Valley Chardonnay 2021, Giant Steps: 90/100
Restiamo nello Stato di Victoria, ma ci allontaniamo dalla città di Melbourne, distante circa 100 chilometri dal vigneto di Giant Steps. Un’areale fresco, condizionato dalle correnti dell’oceano Pacifico. Fermentazione spontanea per le uve Chardonnay raccolte a cavallo di febbraio e marzo 2021, con imbottigliamento avvenuto ad ottobre.
La scelta della cantina è per il rovere francese, ma solo il 15% è nuovo. La maturazione si protrae per 8 mesi in botti di rovere francese: anche in questo caso, nuove solo per il 15%. Solo il 10% della massa ha svolto la fermentazione malolattica in maniera spontanea.
A differenza di altre etichette di Giant Steps, questo vino non è frutto di un singolo vigneto. Parlare di “entry level” è comunque sbagliato, in quanto si tratta di una ricercata espressione di “sintesi” dello Chardonnay della Yarra Valley: un vino che ne sintetizzi il carattere. Missione compiuta, a giudicare dal calice.
Questo Chardonnay abbina in maniera deliziosa frutto e acidità, con quest’ultima a fare da spina dorsale, mentre tutt’attorno si diverte un frutto goloso. Sorprendono i soli 12.5%, perché il palato è pieno: perfetto equilibrio tra freschezza e vena setosa, “glicerica”. Vino “immediato”, di sapiente fattura. Chiude asciutto, su un leggero ricordo di stecco di liquirizia e sale, capace di chiamare il sorso successivo.
Le colline di Adelaide sono una delle zone di produzione massiva dello Chardonnay australiano. Siamo ancora nel South Australia, non lontano da Melbourne. Nello specifico, la vendemmia dei cloni B95, B96, B76 e 277 è avvenuta a marzo 2020 e il nettare è stato imbottigliato il 1 febbraio 2021.
Fermentazione spontanea in barrique di rovere francese, per un terzo nuove. Affinamento di 9 mesi per il 25% in rovere francese nuovo, principalmente da 500 litri. Il resto in barrique da 228 litri. “M3” ha svolto interamente la malolattica.
All’analisi, un vino caratterizzato da un’espressione del frutto piuttosto piena, sia al naso sia al palato. Buona freschezza agrumata a controbilanciare la vena glicerica. Proprio a proposito di alcol (13,5% vol.), la componente disturba un poco in chiusura. Vino semplice.
Voliamo in Tasmania per l’ultimo campione scelto da Wine Australia per celebrare i cinquant’anni dello Chardonnay australiano. Diversi i cloni a disposizione di Tolpuddle Vineyard, cantina di Richmond, a nord della capitale Hobart: B96, I10V1, I10V3, 76, B95, G9V7.
Le uve sono state raccolte a cavallo di marzo e aprile 2020, con il successivo imbottigliamento a giugno 2021. Anche in questo caso, la scelta del produttore è per la fermentazione spontanea in barrique di rovere francese, nuove per un terzo. Malolattica svolta interamente.
Eppure, questo vino vibra di freschezza, sin dal naso. Merito del clima montano della Coal River Valley, fresca ma assolata e asciutta. Una nuova isola felice per lo Chardonnay australiano. Convince per lo stratificato bouquet, che si apre in tutta la sua pienezza appena lo sbuffo di burro fuso lascia spazio ai fiori bianchi e a un frutto croccante e pieno.
In bocca un’acidità elettrica, ben controbilanciata da ritorni di frutta perfettamente matura, che denota la sapienza di Tolpuddle Vineyard nella scelta del m0mento perfetto per la raccolta delle uve. Venature ammandorlate in chiusura smussano l’acidità sferzante che caratterizza il sorso agrumato. Finale lungo, preciso, asciutto, per un vino che non stanca mai. E ha ottime chance di ulteriore, positivo affinamento.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Il bilancio 2021 di Cantina Tramin raggiunge per la prima volta quota 15 milioni di euro di vino imbottigliato. La crescita complessiva si attesta sul +30% rispetto al 2020 e sul +9% in rapporto al 2019. A trainare le vendite si conferma come prima varietà il Gewürztraminer, per un introito che rappresenta il 27% del fatturato totale. Segue lo Chardonnay, cresciuto del 26% rispetto al 2019.
«Siamo molto soddisfatti del traguardo raggiunto – sottolinea Wolfgang Klotz, direttore commerciale di Cantina Tramin -. In particolare, tengo a sottolineare la performance di Glarea, la nuova interpretazione di Chardonnay alpino presentata lo scorso ottobre. Nei primi tre mesi di messa in commercio, infatti, le vendite hanno superato il 63% della produzione. Risultato che conferma la qualità del lavoro svolto intorno a questa varietà».
IL TREND
La crescita di Cantin Tramin sorprende ancora di più considerando il -10% registrato a livello regionale a causa della mancata stagione invernale del 2021, calo che ha toccato soprattutto i vini rossi autoctoni come il Lagrein. Il trend positivo ha riguardato anche il mercato estero, con le esportazioni cresciute del +35% rispetto al 2019.
Le premesse per il 2022 sono altrettanto favorevoli in termini di qualità di prodotto, con una flessione tuttavia per quanto riguarda la quantità, dovuta alla scarsità vendemmiale dell’ultima annata.
L’evento più atteso di Cantina Tramin del 2022 sarà la presentazione di Epokale 2015., conico Gewürztraminer vendemmia tardiva che affina sette anni al buio della miniera di Ridanna Monteneve, a oltre 2.000 metri di altitudine.
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
Nuove etichette per i vini di Lodali. La cantina di Treiso rilancia su Barbaresco, Barolo e sul resto della gamma, con un investimento sull’immagine. Un compito affidato all’agenzia Sga Wine Design di Bergamo, leader nel settore delle wine labels di qualità.
Walter Lodali ritiene i nuovi “vestiti” uno strumento necessario per dare ancora più importanza ai numerosi investimenti compiuti negli ultimi anni. Non ultima, l’entrata in produzione e l’acquisto di nuove particelle e cru delle due pregiate denominazioni delle Langhe. Una zona in cui Cantina Lodali gioca un ruolo da protagonista, dal 1939.
Al centro del restyling – e non poteva che essere così per una famiglia che nel 2019 ha festeggiato gli 80 anni di attività – c’è l’elemento affettivo. La scritta “Lorens“, in onore al defunto padre di Walter Lodali, marito della splendida donna del vino Maria Margherita Ghione, diventa ancor più il cuore battente dei vini top di gamma.
Lo studio a cui abbiamo affidato il lavoro sulle nuove etichette, durato circa un anno – spiega il padron della cantina di Treiso – ha ricavato la grafia di “Lorens” da un tema scolastico di mio padre, datato 2 settembre 1950. L’obiettivo, oltre a richiamare la sua importante figura, era quello di dare ai nostri vini un vestito che comunicasse la nostra vera identità. La nostra storia».
Dal punto di vista cromatico, lo sfondo avorio sostituisce quello bronzeo, conferendo maggiore eleganza. E richiamando, con una sorta di “greca”, un motivo degli anni 50, presente sui vini prodotti dal fondatore dell’azienda, Giovanni Lodali.
Sul resto della gamma spiccano invece le iniziali di Walter Lodali, “WL“, incrociate. Una scelta con cui l’attuale patron corona il percorso di totale dedizione alla cantina di famiglia, salvata da mamma Maria Margherita alla scomparsa prematura e improvvisa del marito, nel 1982.
IL VINO DA NON PERDERE: BARBARESCO DOCG 2018 LORENS
La nuova etichetta rende ancora più onore al Barbaresco Docg 2018 Lorens, uno dei vini presenti nella Guida Top 100 Migliori vini italiani 2022 di WineMag.it. Riassaggiato dopo le sessioni alla cieca della scorsa estate, conferma la prospettata crescita e il ruolo di vino bandiera di Cantina Lodali.
Al suo fianco il Barolo Docg Bricco Ambrogio 2018 che, dal canto suo, esalta il crescendo di Lodali sul re dei vini delle Langhe. Uve perfettamente sane e una lavorazione del tutto rispettosa della materia prima (e dei primari) favoriscono un calice che è goduria assoluta.
Un Barolo che spazia dai frutti rossi di bosco, freschi e croccanti, alle spezie, su una trama tannica elegante che regala una bevibilità assoluta, solleticata da venature sapide. L’ultima sorpresa della cantina di Treiso tinge il calice di bianco. È il Langhe Doc Chardonnay 2020 Lorens, ottenuto da barbatelle reperite in Borgogna.
Un vino che sta ottenendo consensi di mercato unanimi. Tanto da costringere Walter Lodali ad aumentare la produzione – avviata a partire da una singola barrique, nel 2012, quasi per gioco – sino alle 5 mila bottiglie della vendemmia 2021. E ad immettere sul mercato la 2020 prima di quando avrebbe voluto. Di certo, anch’essa, col vestito migliore. “Lorens”, lassù, non potrà che esserne fiero.
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I numeri ufficiali dell’annata 2020 confermano una produzione di 4,46 milioni di ettolitri per i vini siciliani. Quantità in media con gli ultimi 5 anni ma con un -11,3% rispetto alla media degli ultimi 10 anni. È quanto emerge dall’analisi elaborata dalla società di consulenza vitivinicola Uva Sapiens, sulla base dei dati degli associati Assovini Sicilia.
I DATI DELL’ANNATA 2020
Grillo e Catarratto, sono le varietà che nel 2020 hanno registrato performance produttive e qualitative migliori, con una produzione media di 110 quintali per ettaro, seguiti da Nero d’Avola e Nerello mascalese (70 gli/ha), Chardonnay e Merlot (50 gli/ha).
Secondo il report di Uva Sapiens, la viticoltura siciliana risulta avere una media produttiva che si attesta intorno ai 65 quintali per ettaro, tra le più basse di Italia seconda soltanto alla Toscana e al Piemonte. Rese che varano in base al vitigno, influenzate da variabili come il sistema di allevamento, irrigazione, microclima, suoli.
Uno dei motivi del calo quantitativo negli ultimi dieci anni, è la riconversione, nell’agricoltura siciliana, degli ettari vitati in altre colture, insieme ad una gestione viticola sempre più rivolta a massimizzare la qualità.
Dalla Sicilia orientale a quella occidentale, passando per il centro-sud dell’Isola, l’ideale andamento della stagione climatica lungo tutta la regione ha consentito alle aziende di sfruttare al massimo la maturazione fenolica.
«La vendemmia 2020 è stata qualitativamente molto importante, come si può riscontrare dall’eleganza, freschezza e struttura dei vini prodotti dai nostri associati in tutte le aree dell’ Isola», commenta il presidente di Assovini Sicilia, Laurent Bernard de la Gatinais.
LE PREVISONI PER LA VENDEMMIA 2021
La vendemmia 2021, che dovrebbe iniziare la prima settimana di agosto nella Sicilia occidentale, per poi proseguire nelle settimane successive nel centro-sud e nella Sicilia orientale, si preannuncia di ottima qualità.
«Si prospetta veramente una grande annata per le uve bianche – sono le previsioni di Uva Sapiens – e se il clima non fa brutti scherzi sarà una grandissima annata per i rossi. Fino ad adesso è stata l’annata ideale, abbiamo avuto un inverno lungo, freddo e abbastanza piovoso, che ha permesso alle viti un ottimo riposo».
«Le miti temperature e le poche piogge primaverili, hanno rinfrescato i suoli, permesso un buon accumulo idrico per le piante e non hanno causato problemi fitoiatrici. L’estate fino ad ora è stata calda – aggiunge Uva Sapiens -ma con venti di nord che mantengono le temperature sotto la media degli ultimi 30 anni, conferma che il clima mediterraneo è naturalmente in equilibrio e non teme il climate change».
VINI SICILIANI SEMPRE PIÙ SOSTENIBILI
Continua a crescere il numero di cantine siciliane cantine che aderiscono a protocolli volontari o a certificazioni legate alla sostenibilità. Da SOStain alle altre certificazioni italiane ed europee.
«In Sicilia è nata Fondazione SOStain Sicilia che ha sviluppato un disciplinare di sostenibilità tarato sulle peculiarità della nostra terra», commenta Alberto Tasca, presidente di SOStain Sicilia.
«Questo ci consente – prosegue il presidente – di calare i risultati della ricerca scientifica nel contesto in cui lavoriamo. Posiamo così le misure più adatte per valorizzare i nostri punti di forza e di lavorare in modo più organico e consapevole su tutte le problematiche che inevitabilmente incontriamo».
«Ad oggi, sono 20 le cantine che seguono il disciplinare SOStain e oltre 50 quelle in fase di analisi. Il nostro sogno – conclude Tasca – è giungere a un intero sistema Sicilia sostenibile riconosciuto in Italia e all’estero. Questo farebbe la differenza e ci porterebbe sempre più in alto nell’olimpo dei territori vitivinicoli del mondo».
La Sicilia detiene il 28,8% della superficie biologica complessiva della viticoltura italiana, pari a 84 mila ettari, seguita dalla Puglia che si attesta al 16%, mentre la superficie viticola biologica siciliana rappresenta il 30,9% di tutta la viticoltura siciliana (convenzionale e biologica).
I fattori che permettono alla Sicilia un approccio così fortemente indirizzato alla sostenibilità e al biologico sono molteplici, ad iniziare dal clima mediterraneo. Clima che non risente particolarmente dell’innalzamento delle temperature medie.
Dalle analisi dei dati, si può sostenere che la Sicilia, nel 2020, «non ha subito innalzamenti di temperatura significativi rispetto alla media degli ultimi 30 anni, al contrario di altre regioni viticole nazionali ed europee».
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Un’elegante Special edition serigrafata per due etichette della linea premium Piccini Collezione Oro. Orvieto Classico Doc e Rosato Toscana Igt vestono i colori dell’estate per allietare gli appassionati nella stagione più spensierata dell’anno.
Una novità che ravviverà gli scaffali del vino dei migliori supermercati italiani. E se è vero che l’occhio vuole la sua parte, anche il calice non fa eccezione: i vini Collezione Oro sono stati infatti premiati da Vinialsupermercato.it per l’ottimo rapporto qualità prezzo, nonché per il rispetto della tipicità delle uve e dei territori di produzione.
«Questa edizione speciale serigrafata – commenta Mario Piccini, amministratore delegato di Piccini 1882 – è un piccolo omaggio che rivolgiamo a tutti i winelovers. L’auspicio è che possano finalmente degustare ottimi ed eleganti vini, in compagnia delle persone più care e degli amici».
«Le etichette sono raffinate e prodotte attraverso un’antica tecnica artigiana che consentiva di imprimere un’immagine sui più preziosi tessuti in seta. Ma soprattutto rievocano la spensieratezza dell’estate. Una leggerezza d’animo che ci siamo meritati dopo i difficili mesi passati e che ci auguriamo possa allietare i pranzi, le cene e gli aperitivi di tutti noi».
ORVIETO CLASSICO DOC COLLEZIONE ORO
Le due etichette Collezione Oro Special Edition non sono state scelte a caso da Mario Piccini. Orvieto Classico Doc nasce dalla collaborazione con l’enologo Riccardo Cotarella, originario delle terre orvietane.
Un vino che si distingue per complessità e fresca piacevolezza. Una nobile espressione del territorio e della selezione dei migliori cloni di Grechetto, vinificato con Procanico e Chardonnay.
Fine ed elegante, è un vino dal colore giallo paglierino. Al naso un profumo delicato e complesso, con note floreali e frutta a polpa gialla. Al palato rivela la sua morbidezza ed intensità aromatica.
La frutta matura, con accenni esotici, trova supporto in freschezza e sapidità. Orvieto Classico Doc è perfetto per ogni cena estiva. Accompagna antipasti, risotti a base di verdure, carni bianche e pesce.
ROSATO TOSCANA IGT COLLEZIONE ORO
Rosato Toscana Igt è un vino fresco e profumato. Piccini 1882 lo dedica ai winelovers più giovani. Il vino è un blend di Sangiovese, Merlot e Malvasia che racchiude in sé la moltitudine di suoli e climi della Toscana.
Un insieme che, dalla zona costiera mitigata dalle brezze marine, giunge fino alle grandi escursioni termiche tipiche del Chianti. Il Rosato si presenta delicato, dal colore rosa tenue ottenuto grazie a una breve macerazione del mosto sulle bucce.
Al palato mostra la sua freschezza ben bilanciata da note di frutta rossa matura. Il finale è intenso e persistente. Rosato Toscana Igt è un vino perfetto per l’estate. Ottimo per accompagnare aperitivi, antipasti, pesce e carni bianche.
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«Vignaioli indipendenti, con una filosofia comune». Così amano raccontarsi i vigneronartisan di Terroirs Originels. Un’unica bandiera per quella che si autodefinisce «l’élite dei viticoltori» della Côte Beaujolaise e della Côte Mâconnaise. Gente che, da quasi 20 anni, condivide «una visione artigianale del mestiere».
«Ogni viticoltore è indipendente – spiegano i 21 vignaioli aderenti a Terroirs Originels – e pone al centro del suo pensiero la valorizzazione dei terroir e del savoir faire». Un team che abbina esperienza e giovani di ottimo prospetto, pronti a crescere sotto l’ala dei fondatori.
LA FILOSOFIA DI TERROIRS ORIGINELS
Idee molto chiare anche sul fronte pratico, come solito in terra di Francia. Fanno parte del gruppo solo piccole aziende che curano al 100% il processo produttivo. Dalle vigne di proprietà, alle pratiche di cantina.
Solo due le varietà ammesse, una a bacca bianca e l’altra a bacca rossa: Chardonnay e Gamay Noir. L’obiettivo è infatti quello di «rispettare l’equilibrio ecologico dei terreni e dei vitigni della Borgogna meridionale».
Un puzzle completo, che comprende tutte le Appelations della Côte Beaujolaise e della Côte Mâconnaise. Terroirs Originels si pone inoltre come «l’estensione commerciale e logistica di ogni cantina».
Un modello unico al mondo, che prevede un singolo interlocutore per tutti i vigneron. Un team di vendita al servizio dei clienti, sull’omonima piattaforma online. Con le spedizioni gestite da un unico magazzino, situato a Quincié-en-Beaujolais. Tutto pensato affinché ognuno, pur lontano, abbia un sorso di Terroirs Originels.
LA DEGUSTAZIONE
Beaujolais-Villages Aoc 2019 “Terres Blanches”, Robert Perroud
Chardonnay in purezza, 14% d’alcol in volume. Bel giallo paglierino intenso. Altrettanto intenso si rivela il naso. Si gioca nel campo della frutta esotica, con note precise di frutti tropicali a polpa gialla e bianca in cui risalta l’ananas e la banana. L’agrume, tra l’arancia e il lime, stuzzica ed elettrizza il quadro.
Sorso in perfetta corrispondenza: si divide, per l’appunto, tra i ritorni di frutta esotica matura e una freschezza elettrica. A far da spalla, una vena iodico minerale. Chiude pieno e asciutto, su una persistenza ottima che riflette la trama di frutti freschi. (92/100)
Morgon Grand Cras Aoc 2019, Laurent Gauthier
Uve Gamay, 13,5% d’alcol in volume. Colore rosso rubino luminoso, cristallino. Al naso intriga con la croccantezza e succosità di un cesto di frutti di bosco. In particolare fragoline e lamponi, grondanti di succo.
Conquista anche per la bella trama di spezie dolci e rinfrescanti, tra accenni di cannella e sbuffi di pepe nero. Non manca una matrice vegetale, mentolata e resinosa. Il sorso è altrettanto delizioso.
La frutta croccante si ripresenta nella medesima sequenza del naso, seguita dai toni vivaci e freschi della speziatura. Chiude sul perfetto mix di tutte le componenti, su un’ottima persistenza. Vino manifesto di Terroirs Originels. (94/100)
Gamay in purezza, 12,5% d’alcol in volume. Fiori e frutta al naso, una gran freschezza e un tocco di mineralità al palato. Tipico rosé glu-glu, da bere tutto d’un fiato. Con un plus: l’alto gradiente di gastronomicità. (88/100)
Chénas Naturellement Aoc 2020, Pascal Aufranc
Gamay Noir in purezza, 13,5% d’alcol in volume. Rosso rubino con riflessi violacei, purpurei. Ottima concentrazione e al contempo pulizia del frutto, al naso. In bocca il nettare si snoda su una freschezza dirompente, che al momento sovrasta il frutto.
Vino ancora giovane, che ha bisogno di tempo per stiracchiarsi e mostrarsi al meglio in tutte le sue sfaccettature. Sarà il momento in cui frutti rossi e neri, animati da ricordi di menta e liquirizia, canteranno all’unisono l’inno alla Borgogna meridionale di Terroirs Originels. (90/100)
Vin de France Gamay “Poppy”, Yohan Lardy
Gamay in purezza, 13% d’alcol in volume. Rosso rubino luminoso, cristallino. Al naso, le tipiche note floreali e fruttate del vitigno risultano in secondo piano rispetto alle spezie e ai ricordi di matrice “selvatica”. Mancano, in definitiva, precisione e pulizia degli aromi primari.
Anche in bocca, freschezza (acidità) e spezie (nere) risultano slegate dal resto delle componenti (frutto ancora una volta in sordina, soffocato). Un vino che può trovare sicuri estimatori tra gli amanti (estremi) dei cosiddetti “vini naturali” a tutti i costi. (80/100)
Gamay in purezza, 12,5%. Rosso rubino luminoso, cristallino, riflessi violacei che sottolineano l’estrema gioventù del nettare. Al naso un gran bel gioco tra fiori (violette), frutta a bacca rossa (fragoline, ribes, lamponi) e spezie (cannella leggera, più marcato il chiodo di garofano).
In bocca, direbbero i latini, nomen omen: la precisa trama di frutta e spezia, nonché una freschezza elettrica, rendono irresistibile la beva. Vino semplice, ma tutt’altro che banale, ben costruito attorno al suo nome di fantasia: “Glou-Glou”. (89/100)
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Rappresentante di un territorio che non ha bisogno di presentazioni, il Franciacorta Dosaggio Zero “Essence Nature” di Antica Cantina Fratta nasce dall’assemblaggio di uve Chardonnay e Pinot Nero. Qui nel millesimo 2015, sboccatura gennaio 2020.
LA DEGUSTAZIONE
Giallo paglierino carico con perlage fine e persistente. Ampio al naso apre su note fresche d’agrume e frutta bianca cui seguono leggeri sentori speziati ed una piacevole vena di frutta secca che accompagna l’immancabile “crosta di pane”.
In bocca è pulito, fragrante ed equilibrato con una spiccata acidità che rende il sorso quasi croccante. Buona corrispondenza naso-bocca anche nel retro olfattivo, di buona persistenza. Un Franciacorta che sarebbe sprecato relegare solo all’aperitivo.
LA VINIFICAZIONE
70% Chardonnay e 30% Pinot Nero vendemmiati a partire dalla metà agosto quando le uve raggiungono la corretta maturazione zuccherina e conservano ancora notevole acidità e freschezza. Essence Nature riposa per un minimo di di 36 mesi sui lieviti e dopo la sboccatura le bottiglie riposano ancora in cantina per altri 5-6 mesi senza aggiunte di sciroppo di dosaggio.
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(3,5 / 5) Inclinare la bottiglia verso il basso, roteare il fondo per favorire la sospensione dei lieviti , stappare e degustare. Queste le istruzioni per assaporare al meglio lo spumante extra dry non filtrato Crudoo di Giorgi Wines, oggi sotto la nostra lente di ingrandimento.
Bollicina davvero particolare che nasce da un procedimento brevettato che si ispira alle birre crude. Da qui il nome “Crudoo”.
Una intuizione fortunata della cantina nel 2011, anni in cui i vini naturali, col fondo non erano alla ribalta e tantomeno destinati ad un ampio pubblico.
Un vino “naturista” col Rolex, non improvvisato e realizzato con l’ausilio della tecnologia moderna. Meno “steinerista” ma decisamente commerciale e con una storia da raccontare.
LA DEGUSTAZIONE Lo Spumante Extra Dry Crudoo di Giorgi si presenta nel calice di colore bianco carta leggermente velato. Il perlage è poco fitto ma mediamente fine e di buona persistenza.
Naso molto fruttato di mela cotogna e banana matura. Accenni di maggiorana ma anche un sentore di lieviti molto forte, al limite del formaggio, tipo camembert. In linea con la tecnica di produzione.
Ma è al palato che lo spumante Crudoo di Giorgi dà il meglio di sé, risultando cremoso e godibile. Sorso burroso con ritorni di banana e sensazioni di noci brasiliane.
Il dosaggio zuccherino armonizza il tutto e la beva prende un ritmo “sincopato” che può incontrare il favore di molti, anche dei meno addetti ai lavori. Aperitivo fuori dall’ordinario, si presta anche a tutto pasto.
LA VINIFICAZIONE
Prodotto con uve Pinot Nero e Chardonnay allevate a Guyot su terreni calcare argillosi esposti a sud, sud est. Vendemmia manuale in cassette. Dopo la pressatura soffice e la fermentazione il vino sosta in autoclave per 12 mesi sui lieviti e viene imbottigliato senza filtrazione.
Giorgi Wines si trova a Canneto Pavese e dispone di circa sessanta ettari vitati. Dalla lunga tradizione vinicola produce una ampia gamma di vini, rossi, bianchi e spumanti oltre alla linea di Gerry Scotti.
Prezzo pieno: 8,90 euro
Acquistato presso: Famila/Carrefour
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(5 / 5) Uno spumante “spumeggiante”, consentiteci il gioco di parole. Spensierato ma di carattere ed “empatico” come chi gli dà il nome. Sotto la lente di ingrandimento di Vinialsuper l’Oltrepò pavese Metodo Classico Docg Extra Brut 2016 Gerry Scotti, prodotto da CantineGiorgi a Canneto Pavese (PV).
LA DEGUSTAZIONE Giallo paglierino dorato, si presenta nel calice con un perlage fine e persistente. Il naso è molto fresco, con sentori di frutta bianca, mela, pesca tabacchiera, accenni di fieno e pasticceria. All’assaggio conferma la freschezza espressa all’olfatto.
Il frutto diventa più maturo, il sorso è cremoso e di buon corpo. Dosaggio Extra brut, ha l’acidità ben bilanciata dal corpo e dagli zuccheri. Lo spumante Gerry Scotti risulta molto armonioso e piacevole. Il rapporto qualità prezzo è buono, anche se fuori dalla fascia prezzi medio bassa della Gdo.
Un Metodo classico, insomma, che valica – seppur di poco – la linea Maginot dei “vini democratici” da 10 euro, con cui Scotti e Cantine Giorgi hanno presentato l’iniziativa nel 2017. Ma 12,90 euro sono un prezzo ampiamente giustificato per un Metodo classico Docg dell’Oltrepò pavese.
Buona anche la versatilità del nettare in cucina: lo spumante di Gerry Scotti è apprezzabile come aperitivo, su piatti a base di pesce e, perché no? Anche in accompagnamento a una buona pizza. Il piatto più democratico che sia. Cracco a parte, s’intende.
LA LINEA DI GERRY SCOTTI
L’Oltrepò Pavese Metodo Classico Extra Brut Gerry Scotti è la prima etichetta ad essersi aggiunta alle tre del progetto originale dell’accoppiata Scotti-Cantine Giorgi, nel 2017. Dal lancio sono cambiate un po’ di cose.
È stato accantonato il nome di fantasia “Nato in una vigna” presente in etichetta frontale, una “vigna” che allora aveva fatto discutere. Inoltre, il viso dello zio Gerry non occupa più la scena, sulle bottiglie: un’immagine che, forse, rischiava di distogliere l’attenzione dalla qualità del prodotto, facendo presupporre a una mera operazione di marketing.
La gamma di vini di Gerry Scotti si è evoluta ulteriormente con un Buttafuoco Doc, il ’56, come la data di nascita del noto conduttore televisivo. Un vino prodotto in tiratura limitata: 1956 bottiglie, chiaramente un po’ meno “democratiche” nei prezzi.
All’orizzonte c’è una Bonarda e chissà quale altra sorpresa, per una linea e un progetto che sono tutto, tranne che di immediata comprensione per il pubblico dei supermercati. Sul sito della Cantina Giorgi, partner e produttore dei vini, alla voce “Linea Vini Gerry Scotti”, il tempo si è fermato ai primi tre vini, dell’annata 2016.
“In tv chi usa meno il copione dura di più”, sostiene Gerry Scotti. Diversi film di successo sono stati scritti senza un copione, o addirittura senza un finale. Non resta che seguire la “scalata” di Gerry, nel mondo del vino al supermercato targato Oltrepò pavese.
LA VINIFICAZIONE
L’Oltrepò pavese Metodo Classico Docg Extra Brut 2016 Gerry Scotti è ottenuto da uve Pinot Nero e Chardonnay allevate su terreno calcareo-argilloso, a 250-400 metri sul livello del mare. Le vigne sono esposte a sud, sud-est.
La vendemmia viene compiuta manualmente, con la scelta dei migliori grappoli riposti in piccole cassette, portate immediatamente in cantina per preservare le caratteristiche organolettiche delle due varietà.
Dopo la pressatura soffice avviene la prima fermentazione in acciaio a temperatura controllata, seguita dalla seconda fermentazione in bottiglia, secondo il Metodo classico (lo stesso di Champagne e Denominazioni italiane come la Franciacorta). L’affinamento in bottiglia è di almeno 30 mesi.
Il vino di Gerry Scotti è prodotto dalla Cantina Giorgi a Canneto Pavese, partner del progetto dal 2017. L’azienda storica del territorio è nata nel 1875 ed oggi esporta in 59 paesi del mondo.
Prezzo pieno: 12,90 euro Acquistabile presso: Famila
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Cinque vini dall’ottimo rapporto qualità prezzo, inferiore ai 15 euro, per le Feste di Natale e Capodanno dalla Top 100 Migliori vini italiani 2021 di WineMag.it. Si tratta di etichette inserite nella sezione “Vino quotidiano” della Guida Vini edita dalla nostra testata indipendente, grazie a una rigorosa degustazione alla cieca.
Pavia Igt Chardonnay 2019 “Il Fermo”, Finigeto
Giallo paglierino, leggeri riflessi verdolini. Naso tipicissimo, con un po’ di agrume e frutto pieno. In bocca si allarga sulla frutta esotica ma in chiusura di sipario sorprende per la matrice calcarea e per quanto risulti asciutto ed equilibrato. Un’ottima espressione dello Chardonnay in Oltrepò pavese.
Capriano del Colle Doc 2019 “Fausto”, Lazzari
Giallo paglierino, acceso. Naso con tocco di mandorla, frutta esotica, ananas. Gran bella “spinta” calcarea. Bella verticalità, sembra quasi un bianco di montagna. Asciutta la chiusura, elegantissima.
Lazio Igp Moscato 2019, Casa della Divina Provvidenza
Giallo paglierino, naso pieno, aromatico. Banana, ananas, tocco tropicale e di lime che raddrizza il sorso. Ben equilibrato e bel retro olfattivo. Un ottimo “vino quotidiano”, a un passo dall’ingresso nella “Top 100” WineMag.it 2021.
Lacryma Christi del Vesuvio Rosato 2019 “Munazei”, Casa Setaro
Rosso carico, corallo. Naso con richiami esotici, ma anche di fragoline, lamponi, ribes e banana. Bel sorso pieno con un allungo fresco e salino su note agrumate.
Sicilia Monreale Doc Bianco 2019 “Murriali”, Baglio di Pianetto
Giallo paglierino, naso non esplosivo, delicato, floreale fresco e fruttato. Vino che riempie bene la bocca, in un gioco prezioso tra morbidezze e durezze. Bella macchia mediterranea sul frutto esotico maturo.
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Cinque vini bianchi per Natale dalla Top 100 Migliori vini italiani 2021 di WineMag.it, la Guida Vini edita dalla nostra testata indipendente, grazie a un rigoroso blind tasting.
Alto Adige Doc Chardonnay 2018 “Flora”, Girlan
Giallo paglierino, riflessi dorati. Nota mielata di primo naso. L’ingresso in bocca è morbido per poi affilarsi grazie alla viva freschezza. Ricco e con una intrigante complessità data dal varietale, non dall’affinamento. Di grande eleganza, bilancia sapientemente note citriche e cremosità da pasticceria.
Soave Doc 2017 “Le Cervare”, Zambon
Giallo paglierino. Al naso una pietra focaia “didattica”, esuberante. Il vulcano ammansisce fiori e frutti pur presenti, dimostrando come il vino sia ancora giovanissimo. In bocca una buona freschezza e grande sapidità, su note di frutta matura ed una leggera chiusura citrica. Persistenza da campione.
Vino bianco “Escamotage”, Simone Cerruti
Giallo paglierino carico. Naso splendidamente aromatico. Salvia, mentuccia, uva sultanina, eucalipto, verbena. In bocca domina una gran vena salina. Dritto e verticale, con ritorni del varietale in chiusura. Un vino gastronomico che dà il meglio di sé a tavola.
Trebbiano Spoletino Igt 2019 “Maceratum”, Fongoli Orange. Naso di erbe, radice di liquirizia, zenzero ed agrume candito. In bocca tannino non ruvido ma presente, a sua volta stuzzicato da un agrume succoso. Chiude su ritorni di radice di liquirizia, lungo. Accenno di sale e gran freschezza. Vino manifesto di un movimento, quello dei cosiddetti “vini naturali”, che troppo spesso si perde in sofismi. Ma quando fa sul serio, fa sul serio. Così.
Melissa Doc Greco di Bianco 2019 “Caraconessa”, Fezzigna
Giallo paglierino. Bel naso di bergamotto, agrumi, erbe mediterranee. Leggero tocco di spezia bianca. Sorso teso ma agile, lungo sulla freschezza e su ritorni di agrumi. Vino manifesto del vitigno e della zona.
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Friuli Dop e Friuli Venezia Giulia Dop, con le rispettive traduzioni in sloveno “Furlanija” e “Furlanija Julijska krajina“, sono state iscritte nel registro europeo dei vini a Denominazione di origine protetta (Dop). L’atteso via libera è arrivato il 13 novembre, attraverso la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del Regolamento di esecuzione Ue 2020/1680 del 6 novembre 2020, in riferimento all’articolo 99 del regolamento Ue 1308/2013 del Parlamento e del Consiglio europeo.
La tutela delle nuove Dop potrà essere riservata ad alcuni vini fermi e frizzanti originari delle provincie di Pordenone, Gorizia, Trieste e Udine nel Friuli Venezia Giulia. Un’area importante per la viticoltura italiana, con le prime tracce comprovate già a partire dall’VIII secolo a.C.
In particolare, nella Dop della Regione Friuli Venezia Giulia sono state inserite 18 tipologie di vini e spumanti: Bianco friulano, Ribolla gialla Spumante Metodo italiano (Charmat) e Spumante Metodo classico, Verduzzo, Riesling, Chardonnay, Traminer, Malvasia, Pinot bianco, Pinot grigio, Pinot nero, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Merlot e Refosco dal Peduncolo Rosso. I vini friulani si uniscono così ad altri 1174 vini Dop già tutelati dall’Ue.
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Saggezza, tenacia, tecnica, emozione. In una parola Monsupello Blanc de Blancs, il nuovo Metodo classico Extra Brut della storica maison di Torricella Verzate (PV). Un’etichetta che condensa la storia centenaria degli eredi di Carlo Boatti e Carla Dallera. E accende la luce sull’Oltrepò pavese del presente e del futuro, sempre più casa dello spumante italiano di gran qualità. Che non teme confronti. Neppure con i francesi della Champagne.
La presentazione del Monsupello Blanc de Blancs – in vendita da questa mattina a 30 euro più Iva – è avvenuta ieri al Castello di San Gaudenzio di Cervesina (PV). Un elegante Albergo Ristorante che dal giorno dell’inaugurazione – avvenuta il 16 dicembre 1977 – brinda con le bollicine oltrepadane della cantina fondata dal compianto Boatti.
La location perfetta per un Metodo classico base Chardonnay di classe assoluta, che ha già fatto incetta di premi dalle maggiori guide enologiche italiane. Inserito nella Top 100 Migliori Vini italiani di WineMag.it, è stato premiato anche da Gambero Rosso e Slow Wine e inserito nella “Top 25” vini italiani del Merano Wine Festival 2020, notizia data ieri dal patron della kermesse altoatesina, Helmuth Köcher.
“Dedico questo spumante a mia madre Carla”, ha commentato un commosso Pierangelo Boatti, insieme alla sorella Laura Boatti: “Questo Metodo classico – ha aggiunto – è la risposta alla sfida lanciataci da alcuni amici e colleghi italiani e francesi, che hanno voluto metterci alla prova con lo Chardonnay, uvaggio tipico in Champagne adottato per la prima volta in purezza da Monsupello, da sempre fedele al Pinot Nero dell’Oltrepò pavese”.
Non a caso l’etichetta, a livello grafico, strizza l’occhio al noto brand di Champagne Salon, produttore di Mesnil sur Oger, Grand Cru della Côte des Blancs. Tinte verde scuro e scritte oro, a richiamare una sfida accettata a tutto tondo. Dal concept al calice.
“Lo Chardonnay non è una novità assoluta per Monsupello – ha precisato l’enologo Marco Bertelegni – dal momento che le stesse uve, provenienti dalla vigna Montagnera, sono da sempre impiegate per completare la cuvée composta al 90% dal Pinot Noir, nel Brut e nel Nature”.
In particolare, la vigna con esposizione a Est, situata di fronte alla sede aziendale, presenta piante con età media compresa fra i 25 e i 30 anni. Il 60% del vino base è d’annata e vinificato in acciaio, mentre il restante 40% affina in barrique usate, scelte per completare e arricchire la verve dello Chardonnay più giovane.
La prima sboccatura del Metodo Classico Blanc de Blancs di Monsupello (novembre 2019) ha riposato sui lieviti 50 mesi. Ne seguiranno altre, sino a un massimo di 70, 80 mesi, come nel caso della Cuvée Ca’ del Tava.
“L’Oltrepò pavese – ha ricordato nel suo intervento Carlo Veronese, direttore del Consorzio Tutela Vini locale – è uno dei pochi territori dove vengono bene praticamente tutte le uve”.
“Quello che manca – ha aggiunto – è riuscire a essere come Monsupello, unica azienda oltrepadana veramente conosciuta in tutta Italia e non solo. È arrivato il momento che anche altri colleghi facciano lo stesso, girando il mondo per rendere ancora più famoso l’Oltrepò”. Chi accetta la sfida?
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Non si chiamano a caso “Settesoli Collezione” i due vini di Cantine Settesoli. La cantina di Menfi propone sugli scaffali dei supermercati il riuscitissimo matrimonio tra due varietà autoctone siciliane e due internazionali. Si tratta di Collezione Bianco, ottenuto da uve Grillo e Chardonnay e Collezione Rosso, blend di Nero d’Avola e Syrah. Due vini top di gamma, nel vasto assortimento riservato alla Gdo. Ma le novità in casa Settesoli non finiscono qui. In esclusiva per Penny Market, la cooperativa di Menfi ha dato vita al Perricone “Isoletta”, vino ottenuto dall’omonima varietà autoctona siciliana.
La linea di vini Settesoli Collezione è ottenuta, come suggerisce appunto il nome, dalla “selezione” delle migliori uve autoctone e internazionali vinificate in blend. Dopo una maturazione lenta e costante, le uve Grillo e Chardonnay vengono raccolte in periodi differenti: ad inizio agosto lo Chardonnay, tra l’ultima settimana di agosto e la prima decade di settembre il Grillo.
Collezione Rosso è invece un blend che, in casa Settesoli, viene definito “Caldo come il vento di Scirocco“: un vino che racchiude, in perfetto equilibrio, gli aromi fruttati dell’autoctono Nero d’Avola e il tocco di spezia e freschezza dell’internazionale Syrah.
Ma è il Perricone “Isoletta” l’ultimo nato in ordine cronologico, prodotto in esclusiva per i supermercati Penny Market. Un vino, dunque, reperibile in tutta Italia grazie alla capillare distribuzione dei punti vendita dell’insegna.
LA DEGUSTAZIONE
(5 / 5) Sicilia Doc Grillo Chardonnay 2019 “Collezione”, Cantine Settesoli
Giallo paglierino luminoso. Al naso l’eleganza dello Charodnnay e il frutto esotico e la mineralità del Grillo. Naso prevalentemente agrumato, con richiami tropicali di papaia e ananas perfettamente maturo.
Sorso altrettanto elegante e fresco, in cui le note di frutta giocano con la mineralità. Vino di grande gastronomicità, accompagna piatti a base di pesce (prime e seconde portate) oltre ai formaggi freschi, non stagionati.
VINIFICAZIONE
I vigneti di Grillo prediligono suoli a medio impasto; quelli di Chardonnay i suoli argillosi. L’allevamento a controspalliera e la potatura a guyot consentono il massimo controllo sulla qualità e la resa delle uve.
La fermentazione avviene in silos di acciaio, a temperatura controllata. Sempre in acciaio l’affinamento. Prima dell’immissione in commercio, Collezione Bianco Settesoli riposa in bottiglia per almeno 4 mesi.
Prezzo: 6,49 euro Acquistabile presso: Carrefour, Conad
(4,5 / 5) Sicilia Doc Nero d’Avola Syrah 2018 “Collezione”, Cantine Settesoli 2018
Rosso rubino mediamente trasparente. Al naso i tipici frutti rossi delle due varietà, così come tipiche sono le spezie. Non mancano richiami a erbe mediterranee e a piante come la carruba, che contribuiscono a rendere ancora più complesso l’olfatto, sino a sfiorare percezioni umami.
Il sorso del blend Nero d’Avola Syrah Collezione Settesoli è fresco, prettamente giocato sulla frutta rossa matura, che ben si combina con la mineralità. In chiusura, bel connubio tra le note pepate e la frutta perfettamente matura. Un vino perfetto a tavola, dai primi piatti ricchi di ragù alle grigliate di carne, passando per i formaggi di media stagionatura.
VINIFICAZIONE
I vigneti di Nero d’Avola prediligono i suoli calcarei: le uve vengono raccolte tra la fine di agosto e la prima settimana di settembre; i vigneti di Syrah prediligono invece i suoli sabbiosi: le uve vengono raccolte tra la fine di agosto e l’inizio di settembre.
L’allevamento a controspalliera e la potatura a guyot, come nel caso di Grillo e Chardonnay, consentono il controllo sulla qualità e sulla resa delle uve. La fermentazione avviene in silos di acciaio, a temperature controllata. Lo stesso vale per l’affinamento. Il vino riposa poi in bottiglia per 6 mesi, prima della commercializzazione.
Prezzo: 6,49 euro Acquistabile presso: Carrefour, Conad
(4,5 / 5) Terre Siciliane Igt Perricone 2019 “Isoletta”, Cantine Settesoli
Rosso rubino luminoso, nel calice, per il prezioso autoctono siciliano. Al naso tanta frutta, perfettamente matura: lampone, fragolina, ribes. Pregevole, ancora una volta, il connubio con la macchia mediterranea e con sentori floreali come la rosa e la viola. Al palato il Perricone “Isoletta” risulta morbido e suadente, nel suo incedere fruttato.
Mostra comunque un’ottima freschezza, capace di invogliare il sorso successivo. In chiusura, un tocco salino che contribuisce a rendere la beva instancabile. Un Perricone che accompagna la cucina a tutto pasto, su piatti non troppo elaborati. Da provare in accompagnamento a brodetti di pesce, in alternativa al vino bianco.
VINIFICAZIONE
Il Perricone è un vitigno tipico dell’area mediterranea che predilige suoli argillosi e a medio impasto. I suoi grappoli sono di media grandezza, dalla forma cilindrico-conica allunga. Gli acini sono rotondi, dal colore blu scuro. Le uve di “Isoletta” vengono raccolte tra fine agosto e inizio settembre e vinificate in serbatoi di acciaio inossidabile.
Prezzo: 2,19 euro Acquistabile presso: Penny Market
Winemag.it, giornale italiano di vino e gastronomia, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online, sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze dell’enogastronomia italiana e internazionale. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, vincitore di un premio giornalistico nazionale nel 2024. Editiamo con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Apprezzi il nostro lavoro? Abbonati a Winemag.it, con almeno un euro al mese: potrai così sostenere il nostro progetto editoriale indipendente, unico in Italia.
“Siamo contenti del premio, ma anche un po’ imbarazzati”. A trent’anni suonati dalla fondazione di Garamvári Szőlőbirtok, il direttore commerciale Gáspár Miklós pensava d’averle viste tutte, o quasi. Ci ha pensato Lidl a scompigliare le carte in tavola, inviando al più importante concorso enologico dell’Ungheria un’etichetta a marchio privato (private label) prodotta proprio da Garamvári, in esclusiva per l’insegna tedesca.
Così, il Méthode traditionnelle Extra Dry “Pannon Imperial“, degustato alla cieca da decine di giudici internazionali alla 21esima edizione della VinAgora International Wine Competition, si è aggiudicato il primo premio assoluto nella categoria “Spumanti”.
La notizia fa parlare da giorni in Ungheria ed è destinata a lasciare un segno indelebile nella storia del concorso. Oggi, proprio all’interno della sontuosa “residenza” di Budapest dove ha sede Garamvári, si terrà la festa per il prestigioso riconoscimento e per gli altri premi “minori” assegnati dai giudici di VinAgora.
In particolare, “Pannon Imperial” è uno spumante Metodo classico base Chardonnay, che affina sui lieviti per 36 mesi. Sulla retro etichetta, il nome della cantina produttrice si cela dietro alla sigla H-0098.
Un modo per non mostrare il brand Garamvári, intenzionato ad alzare la propria quota Horeca, al cospetto di un 80-85% di quota nel retail. Covid-19 prima e Lidl poi devono aver cambiato i piani.
“Ci rendiamo conto che va bene così, con tanti ristoranti che hanno chiuso e i supermercati che, invece, hanno garantito la costanza delle vendite anche durante il lockdown”, commenta Gáspár Miklós a WineMag.it. Tutto è bene, quel che finisce quasi bene.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
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