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L’assurda guerra del Montepulciano tra Abruzzo e Marche: una storia italiana

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EDITORIALE – Tra Abruzzo e Marche è in atto un’assurda guerra sul Montepulciano. Una classica storia italiana,
condita dalla retrograda, testarda e anacronistica difesa del mero nome di un vitigno, più che di un territorio. Un principio su cui le due regioni stanno percorrendo strade diametralmente opposte. Mentre le Marche, con l’Istituto Marchigiano di Tutela Vini presieduto da Michele Bernetti, intendono rendere facoltativo il nome del vitigno Verdicchio sui vini Riserva di Jesi e Matelica (questa sì che è visione e futuro), il Consorzio di Tutela Vini d’Abruzzo, con il presidente Alessandro Nicodemi, chiede al governo Meloni – in particolare al Masaf guidato dal ministro Francesco Lollobrigida – di vietare a tutte le altre denominazioni – non solo ai vicini marchigiani – di nominare il Montepulciano sull’etichetta dei vini, sulle loro schede tecniche e su qualsiasi opuscolo aziendale.

Al suo posto, gli “altri” dovrebbero utilizzare un sinonimo che non è neppure inserito nel Registro nazionale delle varietà di Vite: lo sconosciuto Cordisco. Una vicenda con molti lati oscuri. Quello che Nicodemi non racconta, in primis, è che la guerra è anche interna al “suo” Abruzzo. Già perché, tra le denominazioni a cui vorrebbe vietare l’utilizzo della parola Montepulciano, vi è anche il Cerasuolo d’Abruzzo Doc, prodotto per lo più con Montepulciano in purezza, vinificato “in rosa”. A svelarlo è Enrico Cerulli Irelli, presidente del Consorzio Tutela Vini Colline Teramane – la Docg del Montepulciano d’Abruzzo – che si schiera con il Consorzio Doc nonostante l’ammissione che «il peccato originario è avere tutti i vini regionali che riportano il nome del vitigno, scelta fatta decenni e di cui paghiamo oggi le conseguenze».

CERASUOLO D’ABRUZZO, SCIVOLONE DEI PRESIDENTI ABRUZZESI

Tuttavia, sui siti web ufficiali (come da photogallery, sotto), sia la sua azienda (Tenuta Cerulli Spinozzi) che quella del collega presidente Nicodemi (Fattoria Nicodemi) indicano “Montepulciano” alla voce “uve” dei loro Cerasuolo, contravvenendo – nella forma e nella sostanza – alla normativa attuale (non al nuovo DM, se fosse approvato come da bozza contestata!). Il tutto al pari di numerose aziende marchigiane che, negli ultimi anni, hanno subito sanzioni per l’uso improprio del termine “Montepulciano” (posizioni poi sanate in seguito al ricorso presso il Giudice di Pace, come informa l’Istituto Marchigiano di Tutela Vini). Non solo. Lo stesso Consorzio di Tutela Vini d’Abruzzo utilizza il nome “Montepulciano” in deroga rispetto al Vino Nobile di Montepulciano.

Una causa legale, quella tra Toscana e Abruzzo, spuntata dagli abruzzesi proprio grazie alla larga diffusione del vitigno in diverse regioni del centro-sud Italia (in primis in Abruzzo, con circa 18 mila ettari, e a seguire le Marche, con circa 2 mila ettari). Il “Nobile” viene invece prodotto per la maggior parte con uve Sangiovese. Nel marchio collettivo del Nobile, “Montepulciano” indica la località geografica, mentre per il vino “Montepulciano d’Abruzzo” il mero vitigno. Dopo aver firmato nel 2012 un protocollo d’intesa con il Consorzio del Nobile per l’utilizzo della parola “Montepulciano”, l’Abruzzo di Nicodemi pretende ora che la menzione del vitigno diventi sua esclusiva.

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UN COMUNICATO FUMOSO E IL CLASSICO “COPIA-INCOLLA” DELLA STAMPA

La querelle si è accesa sul finire di luglio 2023, quando il Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo ha diramato una nota stampa che ha finito – come spesso accade – per essere pubblicata col “copia-incolla” da quasi tutte le testate di settore, oltre che da quotidiani generalisti. Un comunicato fumoso, sul quale non sono arrivate delucidazioni valide neppure a fronte di nostre precise richieste. Nel testo veniva infatti menzionato il timore per i contenuti del “DM Etichettatura” e, in particolare, per l’ormai diventato celebre «articolo 16».

Secondo Nicodemi, «la proposta di una sorta di “liberalizzazione indiscriminata” dell’uso dei vitigni in etichetta, senza nessuna eccezione, come previsto invece per altri vitigni e sinonimi, porterebbe un danno incalcolabile non solo in termini economici, ma anche di comunicazione, creando una vera distorsione di mercato. L’utilizzo di un sinonimo garantirebbe sia la corretta informazione al consumatore, sia il patrimonio storico delle denominazioni-vitigno».

A tal proposito il Consorzio, già in data 10 marzo 2023, aveva richiesto al Masaf il reinserimento del sinonimo “Cordisco” per il vitigno “Montepulciano” nel Registro Nazionale Varietà delle Viti, già presente nel 1988 e poi scomparso misteriosamente nella trasformazione dello stesso da cartaceo ad informatico. Con l’inserimento del sinonimo Cordisco nel Registro nazionale delle varietà, le denominazioni riconosciute in altre regioni, che contemplano la presenza del vitigno Montepulciano nella base ampelografica di riferimento delle relative DO, potrebbero colmare il proprio gap informativo verso il consumatore riportando in etichetta il sinonimo».

L’ABRUZZO ATTACCA SUL MONTEPULCIANO. IL MASAF TERGIVERSA

Aggiunge Nicodemi: «Dobbiamo difendere il lavoro di centinaia di operatori che per decenni hanno investito e continuano ad investire importanti risorse sulla promozione e sull’affermazione nei mercati internazionali del Montepulciano d’Abruzzo, da sempre legato in maniera indissolubile ad un vitigno, il Montepulciano, e al nostro territorio che, se non adeguatamente tutelati, rischiano di essere “banalizzati” ed utilizzati da altri operatori solo per “meri fini commerciali”, a danno del radicamento storico e territoriale da tutti unanimemente riconosciuto». Interpellato da winemag.it, l’ufficio stampa del Ministro Lollobrigida si limita a precisare che «nulla è ancora deciso» e che «il Masaf approfondirà ulteriormente la questione prima di procedere con il decreto».

Secondo voci di corridoio, il titolare del dicastero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare e delle Foreste intenderebbe prima promuovere un tavolo di lavoro con gli attori coinvolti nella vicenda (non ultime le forze di governo regionali, in quota FdL e Lega sia in Abruzzo che nelle Marche). Oltre al Consorzio guidato da Nicodemi, l’Abruzzo si mostra compatto nella battaglia con le associazioni Copagri (Leo Spina), Confagricoltura (Mauro Lovato e Camillo Colangelo), Confcooperative (Antonio Marascia), Lega Coop (Andrea Di Fabio), Coldiretti (Roberto Rampazzo e Pier Carmine Tilli), DAQ Vino (Rocco Pasetti), Assoenologi (Gianni Pasquale) e CIA (Domenico Bomba), che «chiederanno la revisione del testo in presentazione, con il mantenimento delle tutele esistenti in materia di utilizzo del nome del vitigno Montepulciano alla sola regione Abruzzo».

LA POSIZIONE DELLE MARCHE CON L’IMT


Di tutt’altro avviso l’Istituto Marchigiano di Tutela Vini. «Il Testo unico del vino – commenta il presidente Michele Bernetti (nella foto, sopra) – prevede l’inserimento in etichetta, con la dovuta regolamentazione, del nome del vitigno utilizzato. Riteniamo perciò, al pari delle principali organizzazioni del vino sia in ambito nazionale che comunitario, che le corrette informazioni in etichetta rappresentino una garanzia a tutela dei consumatori, e quanto stabilito dal Testo unico per i vini Dop e Igp vada in questa direzione».
Secondo l’Imt, la norma orizzontale riguarda tutti i vitigni che compongono i blend dei vini a denominazione, compresi molti marchigiani a partire dal Verdicchio.

Non c’è perciò ragione di fare eccezioni, violando peraltro il principio di eguaglianza, come ipotizzato da un nuovo comma (nr. 16, articolo 5) del decreto attuativo, già criticato dalla maggioranza delle organizzazioni di filiera. Il mondo del vino, come previsto dal Testo unico, deve ambire alla massima trasparenza nei confronti dei consumatori, anche e soprattutto per un vitigno, il Montepulciano, coltivato in quasi tutte le regioni italiane per un totale di 35 mila ettari, 2 Docg, 36 Doc e 88 Igt».

Quanto all’uso del sinonimo Cordisco: «Non esiste neppure – chiosa Bernetti – e sono stupito da questa proposta che giunge dall’Abruzzo, che usa “Montepulciano” in deroga. Pretendere che una regione o un gruppo possa registrare il nome di un vitigno sembra un concetto vicino alle logiche degli OGM, con le multinazionali che registrano un seme e non lo danno a nessuno. Nelle Marche siamo fedeli al nostro territorio e non vogliamo sostituirci o imitare nessuno. Stiamo di fatto raccogliendo materiale per dimostrare la storicità della presenza del Montepulciano nella nostra regione. D’altro canto, come ci stanno insegnando gli stessi americani con le loro nuove denominazioni, il territorio vince sempre sul nome dell’uva. Non intendiamo dunque accettare le condizioni di questa guerra di retroguardia, avendo imboccato, nella nostra regione, la strada opposta». Al Masaf e al ministro Lollobrigida l’ultima parola.

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Approfondimenti

Verso il Parco del Cerasuolo di Vittoria: investimento da 500 mila euro


Con un investimento di 500 mila euro da parte del Gal Valli del Golfo, in Sicilia si pongono le basi per il Parco del Cerasuolo di Vittoria. «Un progetto che contribuirà a valorizzare il territorio», nelle parole di Achille Alessi, presidente del Consorzio di Tutela dei vini Cerasuolo di Vittoria Docg e Vittoria Doc. Una buona notizia che arriva a un anno dal cinquantesimo anniversario della nascita della Doc Cerasuolo di Vittoria.

«Il Parco del Cerasuolo di Vittoria – continua Alessi – sosterrà attività di sperimentazione e dimostrazione di nuove tecnologie, tecniche, processi, pratiche, metodi, soluzioni innovative di prodotto, di servizio, di processo».

Progetti rivolti alla valorizzazione della biodiversità ed alla introduzione di tecniche di risparmio idrico, energetico, riuso delle acque, monitoraggio fitopatologico, valorizzazione delle diversità biologiche presenti nel territorio nonché progetti di promozione e valorizzazione del prodotto vitivinicolo».

In itinere anche la creazione di un «Sistema Marchio Paesaggistico di Qualità Collettivo» legato ai “Paesaggi del Cerasuolo di Vittoria Docg – Vittoria Doc”.

«Il Parco del Cerasuolo di Vittoria – dichiara Francesco Aiello, presidente Gal Valli del Golfo e sindaco di Vittoria – prevede la realizzazione di iniziative rivolte alla valorizzazione della biodiversità e delle tipicità agro-alimentari, potenziando ed innovando le filiere ed i sistemi produttivi di riferimento secondo logiche eco-compatibili, in linea con il nostro Piano di Azione Locale e con l’Agenda Europea 2030».

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degustati da noi vini#02

I vini di Terra d’Aligi, dalla Cococciola al Montepulciano: una finestra sull’Abruzzo

Terra d’Aligi, in una parola l’Abruzzo. Non poteva scegliere nome migliore, la famiglia Spinelli, per celebrare l’attaccamento alle proprie origini: “È la regione d’Italia in cui viviamo, la Terra d’Aligi, la terra dei nostri vini”.

Un riferimento al pastore Aligi, protagonista de “La Figlia di Iorio”, celebre tragedia in tre atti di Gabriele D’Annunzio, eterno poeta abruzzese. Come pastori, anche gli Spinelli dimostrano di sapersi muovere “con i piedi per terra e lo sguardo avanti”.

“I piedi per terra sono l’amore per il territorio e la profonda conoscenza di ciò che può produrre: sono la tradizione, la capacità innata di tastare il terreno, di sentire l’aria, di scovare vigne nuove e sfruttare al massimo le potenzialità dei terroir”.

Nei vini Terra d’Aligi, prodotti con le uve della Val di Sangro, si ritrovano tradizione e futuro, “pastorizia” e abilità imprenditoriale. Lo dimostrano gli otto assaggi della linea riservata all’Horeca dalla famiglia Spinelli.

LA DEGUSTAZIONE

Terre di Chieti Igt Cococciola 2019, Terra d’Aligi (13%): 90/100
Giallo paglierino non particolarmente carico, ma luminoso. Naso intenso, che lascia grande spazio agli agrumi: lime, pompelmo, bergamotto, tra buccia e polpa. Poi pesca e melone bianco ed ananas, in un incedere prezioso e preciso di note esotiche, circoscritte in un quadro marino, iodico, incomplessito da ricordi di macchia mediterranea sempre più presenti, con l’ossigenazione

Il sorso è teso, vibrante, animato da una gran freschezza e salinità che giocano sulla frutta matura. Più che sufficiente anche la persistenza, su tinte ammandorlate. Un vino che non stanca mai e si presta anche ad ottimi abbinamenti a tavola, in particolar modo con piatti a base di pesce e sushi.

Terre di Chieti Igt Passerina 2019, Terra d’Aligi (13%): 88/100
Giallo paglierino. Naso sul frutto esotico, tropicale, con ricordi minerali e calcarei. Sorso connotato da una freschezza agrumata, veriticale. Buon apporto di frutto in un calice che si rivela sorprendentemente giovane, per affilatezza dei sentori. Una Passerina di carattere, insomma, che non rinuncia alla consueta vena fruttata, ma che mostra al momento più la sua anima “marina”. Perfetto, di fatto, l’abbinamento col pesce.

Terre di Chieti Igt Pecorino 2019 “Zite”, Terra d’Aligi (13,5%): 91/100
Naso intrigante per questo Pecorino che tinge il calice di un giallo paglierino acceso. Al bel bouquet di fiori di campo di abbinano ricordi di nocciola tostata e di una succosa pesca a polpa gialla. Intensa anche la macchia mediterranea, con rosmarino, timo e alloro in primissima vista.

Il sorso denota una buona struttura e un buon corpo, oltre che una freschezza e una salinità capaci di giocare sull’equilibrio dei ritorni di frutta matura. Lungo e intenso il finale, per un nettare di buona gastronomicità.

Cerasuolo d’Abruzzo Doc 2019, Terra d’Aligi (13%): 92/100
Colore tipico della Denominazione, un bel cerasuolo per l’appunto, luminoso, quasi psichedelico e carico di profumi. Si avverte la piccola frutta a bacca rossa perfettamente matura, come la ciliegia, il lampone e la fragolina, ma anche un ribes ancora croccante.

Il palato è quello di un vino di assoluta dignità propria, quello che non tutti i rosati italiani riescono ad avere. La frutta è pienamente matura, in perfetto equilibrio con la freschezza.

Tra le voci del “cesto” palesatosi al naso domina quella della ciliegia matura, ben sostenuta da ricordi erbacei, che accompagnano verso un finale disteso, giustamente amaricante e preziosamente “vinoso”. Vino con cui divertirsi a tavola, anche in accompagnamento a zuppe di pesce o, ancor meglio, legumi.

Montepulciano d’Abruzzo Doc 2017, Terra d’Aligi (13,5%): 89/100
Rosso rubino impenetrabile, dalla bell’unghia violastra. Naso intenso, in cui frutto e vegetale convivono all’unisono, in armonia, lasciando il giusto spazio ai terziari. Primo naso effettivo del frutto, che sfiora la confettura di ciliegia e di mora.

Al palato una bella tensione di freschezza e salinità, in pregevole contrasto (ed equilibrio) coi i ritorni di frutta già avvertita al naso. Lungo il finale, con sorprendenti ricordi d’agrume rosso (arancia sanguinella) a dimostrare quanto la pienezza del sorso e la struttura non siano affatto “sedute” sulla glicerina dei 13,5 gradi di percentuale d’alcol in volume. Vino importante e serio, che necessita di altrettanta consistenza nel piatto, per l’abbinamento.

Abruzzo Doc Rosso 2015 “Zurle”, Terra d’Aligi (14%): 88/100
Rosso rubino intenso, con unghia violacea. Primo naso e palato sui terziari, accostati un po’ troppo prepotentemente ai sentori di frutta, coprendoli. Vino che piace certamente all’estero, segno di una gamma costruita sì sulla tipicità, ma che tiene conto anche delle esigenze (e dei gusti) del mercato internazionale.

Tanta spezia, dunque, calda ed orientaleggiante: cumino e curcuma, oltre alla vaniglia Bourbon. Bei ritorni di confettura in chiusura, sul filo sospeso dell’alcol. Del resto, come ricorda la retro etichetta, “Zùrle” è la parola che, nel dialetto abruzzese, descrive il divertimento dei bambini nel saltellare e rincorrersi. L’ebrezza e il distacco dalla quotidianità che non guastano mai, anche nella vita degli adulti.

Montepulciano d’Abruzzo Doc 2016 “Tatone”, Terra d’Aligi (14%): 94/100
Rosso rubino impenetrabile e denso che inizia già a disegnare, sin dal colore e dalle prime movenze, le fattezze di un monumento: quello a nonno Spinelli, chiamato appunto “Tatone”. Al naso e al palato, in perfetta corrispondenza, un tesoro di frutta e di terra, di mani pulite del lavoro in vigna e dei suoi risultati più attesi.

C’è la mora, l’amarena, il ribes. Note precise, senza sbavature. E poi c’è la polvere di cacao, la radice di rabarbaro e di liquirizia, l’avena tostata. C’è la macchia mediterranea, immancabile in un rosso del centro Italia che ha così tanto da raccontare. La chiusura è tesa, come il sorso. Col tannino che tenta, in cravatta, di asciugare un succo grondante. “Tatone” è il vino della domenica. Un contadino con la giacca.

Montepulciano d’Abruzzo Doc Riserva 2014 “Tolos”, Terra d’Aligi (14,5%): 92/100
Rosso rubino dall’unghia ancora una volta violacea, a denotarne una gioventù tutt’altro che scontata. Al naso è un vino prezioso, ricercato, tipico. Capace di esaltare la grande Denominazione abruzzese e la denominazione dell’uva Montepulciano.

Tanta mora, di quelle che si trovano d’estate ancora appese alle piante, in campagna: nere come la pece con qualche pois rosso, segno di una maturazione non ancora compiuta nella propria interezza. C’è poi il ribes, in tutta la sua croccantezza. Tanta macchia mediterranea (rosmarino, alloro, su tutti), unita a risvolti di terra bagnata, di muschio, terra bagnata. Di fungo, oltre che di resina di pino.

In bocca si ritrova tutto questo, in un quadro di perfetta corrispondenza che segna un sorso materico e cerebrale. Terziari un po’ troppo pronunciati sul tannino, specie in chiusura, appiattiscono tale vigoria su note polverose, di cacao. Un bel bere, in compagnia di piatti di selvaggina e carni alla griglia.

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∗DISCLAIMER L’articolo e la degustazione non sono stati commissionati dall’inserzionista
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degustati da noi vini#02

Cerasuolo d’Abruzzo Doc 2016, Emidio Pepe

Sulla scia della stagionalità, che richiede vini freschi che ben si adattano alle temperature estive, ecco l’ottimo Cerasuolo d’Abruzzo Doc 2016 di Emidio Pepe. Un grande produttore abruzzese, fermo difensore (dal 1964) dei suoi “terroir”, rispetto alle veloci evoluzioni della chimica in viticoltura.

Un fautore, pertanto, di una filiera agricola totalmente biologica. Una filosofia produttiva vincente, che ha permesso alla cantina Emidio Pepe di essere conosciuta e apprezzata in tutto il mondo.

LA DEGUSTAZIONE
Alla vista, quella del Cerasuolo d’Abruzzo Doc 2016 di Pepe è una delle più belle rappresentazioni di “rosa” della tipologia. Al naso spicca tutto il frutto demandato dalla bacca rossa del Montepulciano d’Abruzzo. Lampone e fragole mature, quasi da confettura, si abbinano al melograno.

Presente anche una parte floreale, dalla trama fitta e delicata. Al palato, il Cerasuolo 2016 di Emidio Pepe si dimostra un vino dalla forte predisposizione alla gastronomia, anche quella più complessa.

Un frutto pertanto persistente, ricco ed intenso a livello aromatico, che contribuisce al bell’equilibrio del vino. L’espressione massima, in tema di abbinamento, può ricercarsi in secondi a base di carne bianca, brodetto di pesce abruzzese, oppure salumi e formaggi (specie dell’Abruzzo) di media stagionatura.

LA VINIFICAZIONE
Come da tradizione, le uve della cantina Pepe vengono pigiate ancora con i piedi, in tini di legno, per poi essere vinificate in bianco con una fermentazione senza bucce, in vasche di cemento vetrificate.

L’imbottigliamento e il successivo affinamento avviene senza alcuna filtrazione e conferisce al Cerasuolo autenticità e territorialità. Quella più vocata, per tradizione, all’artigianalità abruzzese.

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Cerasuolo d’Abruzzo Doc 2016, Azienda Agricola Valentini

Riconosciuto a livello internazionale come una delle leggende enologiche italiane, il Cerasuolo d’Abruzzo dell’Azienda Agricola Valentini conferma la sua fama di grande vino rosato anche con la vendemmia 2016.

LA DEGUSTAZIONE
Il vino si presenta di un rosa corallo, un colore che potremmo definire “di evoluzione”, carico ed apparentemente impenetrabile. Impronta olfattiva profonda, che si apre progressivamente, continuando a regalare diversi profumi in successione. Sentori di frutta, in particolare fragoline di bosco e scorzette d’arancia, poi pietra bagnata ad anticipare terziari avvolgenti.

L’ingresso in bocca è rotondo, morbido. Sapidità e mineralità sono perfettamente amalgamate, mai ruvide. Ricorda quasi un vino rosso vestito da rosato. Una bella struttura supporta l’intero sorso, forte di una coinvolgente carica di freschezza.

Il tutto verso una chiusura lunga, caratterizzata da una mineralità difficile da dimenticare. Un vino ha ancora molto da dire, nel futuro. Caratteristica da non sottovalutare, considerando che si tratta di un vino rosato.

LA VINIFICAZIONE
Uve 100% Montepulciano coltivate attraverso lotta integrata e figlie di una vendemmia, la 2016, particolarmente fortunata. Naturalità anche nel processo di vinificazione: fermentazione spontanea in grandi botti (35 hl) di rovere senza controllo delle temperature e senza filtrazioni. Botti nelle quali il vino affina per 12 mesi, prima di passare in bottiglia dove riposerà ancora per almeno un altro anno.

Nome noto agli appassionati, l’Azienda Agricola Valentini di Loreto Aprutino (PE) rappresenta la realtà storicamente più antica della regione Abruzzo. Presente dal 1650, è conosciuta da decenni in tutto il mondo grazie alle eccellenti produzioni di Montepulciano d’Abruzzo, Cerasuolo e Trebbiano.

Attività fondata da Camillo Valentini premiato già nel lontano 1821 per un eccellente Trebbiano D’Abruzzo, e proseguita dal compianto Edoardo, che ha saputo centrare i migliori successi ed ora brillantemente condotta da Francesco Paolo. Un “artigiano del vino”, come che ama definirsi.

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Milano, è l’ora del rosato. Marina Cvetic Masciarelli: “E’ il vino dei giovani”


MILANO –
Sempre più vini rosati nelle scelte dei turisti internazionali che popolano Milano. Ma non è solo merito dell’arrivo dell’estate. Lo conferma Paolo Porfidio, sommelier dell’Excelsior Hotel Gallia Milano, location prescelta da Marina Cvetic Masciarelli, donna simbolo del vino d’Abruzzo, per la presentazione alla stampa di tre etichette della cantina teatina.

Per la produttrice, il Rosato Colline Teatine Igt “Linea Classica” e i Cerasuolo d’Abruzzo Doc “Gianni Masciarelli” e “Villa Gemma” non sono “né rosati, né rosé, né vini rosa: la corretta definizione dei Cerasuolo è ‘vino rosso leggero di colore rosato’, come indicavamo in etichetta fino a qualche anno fa. La vera tradizione abruzzese”.

Vini che sanno essere al contempo semplici, freschi e beverini e adatti ai giovani, che li amano sempre più per la loro semplicità – evidenzia Marina Cvetic Masciarelli – o più strutturati e gastronomici, perfetti per essere abbinati ai piatti della tradizione italiana e internazionale”.

Al Terrazza Gallia – Rooftop Bar Milano i rosati vanno forte. “Ho notato un vero e proprio cambiamento all’inizio dell’inverno scorso – spiega il sommelier Paolo Porfidio -. Al termine della stagione avevo una convinzione: il 2019 sarebbe stato l’anno dei rosati. Già all’inizio dell’anno ho assistito a un vero e proprio cambio di rotta verso questa tipologia”.

“Con l’esplosione dell’estate, che si è fatta davvero desiderare molto, soprattutto per noi qui in Terrazza Gallia, l’incremento del consumo del rosato è stato sensibile. I più continuano a considerarlo un vino dell’estate – continua Porfidio – ma la verità è che molti amanti dei rossi stanno virando direttamente sui rosati, senza passare più dai vini rossi ‘da frigorifero’. Questo per merito dell’indubbia qualità crescente dei rosati italiani”.

Rosati, sì. Ma di che “rosa”? “I produttori che hanno iniziato a spingere sui vini rosati – risponde il sommelier del Gallia Hotel Milano – si sono orientati sul rosa provenzale. Il rosato troppo carico spaventa i consumatori, ancora scottati dai rosati ‘vecchia scuola’, troppo strutturati. I nostri clienti si orientano su colori tipici dei rosati d’Oltralpe, e quindi su etichette di sapore piacevole e fresco”.

E il Cerasuolo, allora? “Questa tipologia resta un must – spiega Paolo Porfidio – sempre molto richiesta e dal forte impatto sul mercato. L’incremento dei vini in stile provenzale, tuttavia, è un dato di fatto. In generale, qui in Terrazza i vini rosati accompagno il più delle volte l’aperitivo o il dopo cena. Ma vengono richiesti anche a tavola, in abbinamento al nostro menu come un vino a tutti gli effetti gastronomico e da abbinamento”.

I ROSATI MASCIARELLI

Ce n’è per tutti i gusti e per tutti i “momenti” della tavola, anche tra i rosati presentati da Marina Cvetic Masciarelli all’Hotel Gallia Milano. Più informale quello della “Linea Classica” (10 euro), mentre risultato più adatti al piatto “Gianni Masciarelli” (11-15 euro) e “Villa Gemma” (12-15 euro).

Tutti vini ottenuti da Montepulciano d’Abruzzo in purezza, vinificato in bianco e in acciaio, con differenti tempi di permanenza a contatto con le bucce, in base all’annata e alle relative caratteristiche organolettiche dell’uva.

Rosato Colline Teatine Igt 2018 “Linea Classica”
Rosa salmone. Naso femminile, vanitoso il giusto. Floreale e fruttato, ma anche minerale. In bocca è delicato, fresco, molto equilibrato. Conferma una salinità che chiama il sorso successivo. Vino a tutto pasto, informale, perfetto per l’aperitivo e per i piatti a base di verdure, pasta con pomodorini, pizza. Coraggiosa e azzeccata la scelta del tappo a vite (Stelvin) che ne garantisce la perfetta conservazione.

Cerasuolo d’Abruzzo Doc 2018 “Gianni Masciarelli”
Colore tipico che ricorda appunto le “cirasce”, ovvero le ciliegie. Naso intenso, sui frutti rossi. In bocca molto consistente, croccante, carico. Un rosato che fa della freschezza assoluta la sua arma vincente, unita a un carattere deciso ma elegante. I vigneti di Montepulciano d’Abruzzo si trovano a Cocciapazza a Loreto Aprutino (PE).

Cerasuolo d’Abruzzo Doc 2018 Villa Gemma
Conferma il colore tipico e al palato è il più consistente e pieno. Fresco, da abbonamento più importante, rivela un bouquet di fragolina di bosco, lampone e ciliegia. La vena dolce, zuccherina, compensa in chiusura l’importante vena acido-fresca. Lunga la chiusura, sferzata da una leggera salinità. Un Cerasuolo che si abbina a piatti di carne, pesce, pasta e verdure.

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Sette sfumature di Cerasuolo d’Abruzzo: consigli rosé per l’estate

Sette Cerasuolo d’Abruzzo per l’estate. E’ l’esito della nostra degustazione alla cieca, alla scoperta delle caratteristiche di uno dei vini rosati più noti e bevuti in Italia, senza i condizionamenti dell’etichetta.

Scegliamo la blind (chi ci segue sa quanto siamo appassionati alle degustazioni alla cieca!) per goderci le sfumature che questa denominazione è in grado di offrire, in base alla zona in cui si trovano i vigneti. Più o meno vicini al mare, in zona collinare, “montana” o nell’entroterra.

Sette etichette che, a vario titolo, si sposano perfettamente con la bella stagione, ormai cominciata. Tutte acquistabili in enoteca, o reperibili nella ristorazione. Ecco come è andata.

Cerasuolo 2016, Cataldi Madonna. Siamo nell’entroterra abruzzese, nell’Aquilano, in località Macerone, a 380 metri sul livello del mare. Il colore è quello più classico, un rosa quasi lampone, limpido.

Vino ottenuto da uve che subiscono una parziale criomacerazione, per estrarre al massimo la componente fruttata classica dell’uva Montepulciano.

Al naso infatti spiccano frutti rossi piccoli, di sottobosco, fragolina, lampone. Finale più sul floreale. Poca persistenza aromatica in bocca, ma spicca la freschezza. Un Cerasuolo didattico.

Cerasuolo 2015 “Apollo”, Ausonia. Entroterra Teramano. Siamo ad Atri, vicino alla riserva WWF dei Calanchi. Una zona collinare, tra il massiccio del Gran Sasso e l’Adriatico. Il microclima è perfetto per la viticultura.

Il colore di questo Cerasuolo è quasi un rosa mattone, tendente al buccia di cipolla. Macerazione di una notte, pressatura soffice e veloce, poi in acciaio per circa 10/12 mesi.

Fermentazione spontanea e niente filtrazioni. Naso complesso e sfaccettato, lampone e fragola, amarena, quasi una nota di violetta.

Sorso corposo, pieno, con ottima mineralità e un accenno di sapidità. Lungo. Per molti degustatori un vino appagante, che richiama la territorialità e la tradizione.

Vino Rosato “Tauma” 2015, Az. Agr. Pettinella. Questa bottiglia è il frutto della ricerca sul territorio e delle soffiate di ottimi scout. Azienda microscopica, solo 1.800 bottiglie all’anno, di solo Cerasuolo, o meglio di Rosato, come l’etichetta dichiara.

Uve Montepulciano provenienti da due vigneti posti uno in prossimità dell’Adriatico, a Silvi Marina (TE), e uno più all’interno, in collina, nel comune di Tocco da Cesauria (PE). Quarantacinque anni l’età delle viti nell’entroterra e 25 quelle che si affacciano sul mare. Una pergola e un cordone speronato. Un mix affascinante.

Vinificazione in bianco. Fermentazione spontanea in barrique ultradecennali a temperature non controllate. Il vino affina in legno per 6 mesi con frequenti battonage, permane sulle fecce fini e poi riposa in acciaio per un ulteriore mese.

Rosato carico, con riflessi quasi cupi. Al momento il meno Cerasuolo dei 3. Il naso non è ruffiano, è carico, robusto. Le note fruttate sono accompagnate da sentori di spezia, cannella, salvia, timo, quasi un accenno di china leggera.

In bocca è caldo, il legno si percepisce appena, non è invadente. Sorso ampio, buona persistenza. Si sente tanta materia nel bicchiere. Forse il nome “Rosato” gli si addice di più… Non è certo uno di quei Cerasuoli fighetti, tutta Big Babol!

Cerasuolo 2015, Emidio Pepe. Non ha certo bisogno di presentazione questo Artigiano del Vino, ma la cieca ci permette di avere occhi, naso e bocca solo per il bicchiere. Risalta un colore rosso. Il Cerasuolo di Pepe è ottenuto da uve  Montepulciano vinificate “in bianco”.

Le uve vengono pigiate con i piedi in vasche di legno e il mosto viene fatto fermentare senza le bucce in cemento vetrificato. Affinamento in bottiglia senza filtrazioni. Un chiaro richiamo alla tradizione contadina.

Naso intenso, sincero ed espressivo.Marasca, fragola, melograno. Ma anche balsamicità. In bocca tannino, sapidità e mineralità. Forse troppo il calore alcolico che ne appesantisce un po’ il sorso.

Vino Rosato 2014 “Lusignolo” , Az. Agr Feudo D’Ugni. Anche qui siamo di fronte ad una chicca, se non per numero esiguo di bottiglie prodotte dalla piccola (ma grande) artigiana che è Cristiana Galasso.

Lei che se la vedi sembra un’eremita scesa dalla sua montagna, per portarti in dono le sue bottiglie.

Colore Cerasuolo velato. Cristiana lavora in naturale, niente filtrazioni e stabilizzazioni. Il naso è un po’ chiuso , accenni di frutta rossa bacca piccola e spezie leggere.

In bocca esplosiva l’acidità ma la percezione è di poca sostanza, al limite della soglia di percezione degli aromi e sapori tipici. Comunque un sorso snello, facile, non stancante.

Cerasuolo d’Abruzzo superiore 2014, Az. Agr. Praesidium. Entroterra Aquilano, comune di Prezza, vigneti a 400 metri sul livello del mare.

Azienda a conduzione famigliare. Dalle uve Montepulciano, con macerazione di quasi 2 giorni, si ottiene questo Cerasuolo dal colore rosato intenso e carico, quasi rubino.

Affinamento di circa 5 mesi in acciaio. Naso espressivo, netto, tutta la gamma dei frutti rossi a bacca piccola, lampone, ciliegia, fragola, poi melograno, rose selvatiche.

Sorso denso ma snello, agile, più salino che acido. Sottofondo minerale, con retro olfattivo che rimanda ancora alla ciliegia. Finale “alcolico” ma non stancante. Il migliore per tipicità e godubilità.

Cerasuolo 2016, Az. Agr Valentini. Qui siamo di fronte al Gota dell’Abruzzo, il non plus ultra. Bottiglia che da sola può valere una serata, che ti rimane impressa nella mente e nella pancia. Lascia segni indelebili.

Nel bicchiere un rosa tenue, quasi una leggera buccia di cipolla. Naso espressivo come un marchio di fabbrica per Francesco Paolo Valentini. Iniziale riduzione che via, via si attenua. Note erbacee affiancano l’espressività del piccolo frutto rosso classico del Montepulciano.

E’ delicato il Cerasuolo 2016, quasi timido. Come a invogliare ancor prima della bocca il naso. Non smetteresti mai di buttarcelo dentro. Sprigiona note quasi minerali. Ciliegia, geranio, fiori selvatici, sottobosco. In bocca elegante, suadente, avvolgente, ti copre ogni papilla e non smette mai di mostrarsi.

Complesso. Mutevole. Sapidità e mineralità ben bilanciate, alcol non preponderante. Un vino che racconta tutto l’Abruzzo. Austero e delicato allo stesso tempo.

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Spumante Rosè Brut MiA, La Casetta

Dalla cantina dell’Azienda Agricola “La Casetta”, nasce lo Spumante Brut “MiA”, proveniente dalle colline
dell’appennino tosco-romagnolo, figlio di un blend in cui Chardonnay e Pinot Nero si sposano con il
Sangiovese. Ne nasce una bollicina semplice, elegante e versatile che nel canale horeca si aggira intorno ai dieci euro di prezzo.

LA DEGUSTAZIONE
Passando all’analisi visiva, troviamo nel calice un vino di un elegante rosa Cerasuolo e dal perlage fine e persistente.

Al naso la predominanza è quella dei sentori caratteristici del Sangiovese, come il bouquet delicato di violetta, ciliegia, fragola accompagnati da frutta esotica e pietra focaia.

La bevuta è piena, una bella freschezza si sprigiona sulla lingua chiudendosi con la tipica avvolgenza
ammandorlata dello Chardonnay.

Un piacevole metodo charmat, perfetto per l’aperitivo ma anche a tutto pasto, magari con una delicata
pasta alla burrata e salmone.

LA VINIFICAZIONE
Vinificato con metodo charmat, spumantizzazione 6 mesi in autoclave in acciaio inox, affinamento di 3 mesi
sulla bottiglia.

In provincia di Ravenna, sulle colline tosco-romagnolo, nasce nel 1963 l’Azienda agricola “La Casetta” dai
fratelli Antonio ed Angelo Errano, a cui si unisce nel 70’ anche Giuseppe Bartolini. Etichette caratteristiche nascono dall’amore per il proprio lavoro e per le proprie terre, dove autoctoni come il grechetto, trebbiano e sangiovese si uniscono a vitigni internazionali come Pinot Nero e Chardonnay.

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Approfondimenti

Vinitaly in Rosa con il Chiaretto di Bardolino

Un Vinitaly nel segno del rosa per il Consorzio di tutela del vino Bardolino che nel suo stand (Pad. 4 – Stand G3) proporrà i vini di cinque territori nei quali storicamente si producono vini rosati da uve autoctone.

I DETTAGLI
Dal 15 al 18 aprile alla fiera di Verona si potranno così conoscere e degustare oltre al Chiaretto di Bardolino, prodotto sulla sponda veneta del lago di Garda prevalentemente da uva Corvina Veronese, il Valtènesi Chiaretto (sulla sponda lombarda dello stesso lago, principalmente da uve Groppello).

Ma anche il Cerasuolo d’Abruzzo (da uve Montepulciano), il Salice Salentino Rosato (in Puglia, da uve Negroamaro) e il Castel del Monte Rosato (sempre in Puglia, con Bombino Nero e Uva di Troia). In tutto saranno circa 60 i vini in assaggio.

Il territorio di Bardolino conferma ancora una volta la volontà di puntare sul Chiaretto, il rosé da sempre prodotto in riva al lago di Garda, che dal 2014 ha conosciuto un deciso rilancio con la decisione di proporre un vino dal colore rosa molto tenue, più agrumato e floreale.

È stata la Rosé Revolution. Una rivoluzione che ha portato anche lo scorso anno ad aumentare del 12% le vendite di Chiaretto, giunto a 9,5 milioni di bottiglie: ormai nella zona quasi 4 bottiglie su 10 sono rosé.

“Stiamo vivendo un momento particolarmente felice per i vini rosati – spiega Franco Cristoforetti, presidente del Consorzio del Chiaretto di Bardolino – con un’esplosione dei consumi a livello internazionale. È solo facendo sistema tra i diversi territori italiani che hanno una consolidata tradizione nella produzione di vini rosati da uve autoctone che potremo proporre in modo convincente il nostro paese sui mercati mondiali. È questa l’idea che accomuna il mondo del Chiaretto di Bardolino e i Consorzi del Valtènesi, del Cerasuolo d’Abruzzo, del Salice Salentino e del Castel del Monte”.

Gli stessi vini saranno i protagonisti di due degustazioni gratuite aperte al pubblico martedì 17 aprile in Sala Argento2 (piano -1 Palaexpo ingresso A2), la prima alle ore 11 e la seconda alle ore 15, entrambe condotte dal giornalista Angelo Peretti, direttore di The Internet Gourmet, insieme con i rappresentanti dei cinque Consorzi di tutela. Verranno proposte due etichette per ciascuna denominazione e per ribadire ancora una volta la collaborazione tra i diversi territori. Le prenotazioni vengono raccolte dal Consorzio Valtènesi all’indirizzo email info@consorziovaltenesi.it.

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news ed eventi

Vini Doc Sicilia in crescita: accordo con il Consorzio Cerasuolo di Vittoria

PALERMO – Le sette denominazioni territoriali del vino della Sicilia unite per promuovere le eccellenza dell’isola.

Un accordo firmato nei giorni scorsi affida al Consorzio di Tutela Vini DOC Sicilia il ruolo di consulente per la gestione degli aspetti operativi del Consorzio Cerasuolo di Vittoria DOCG e Vittoria DOC, riconosciuto il 10 febbraio 2017 dal Ministero delle Politiche Agricole.

Assieme, le 7 zone (Docg Cerasuolo di Vittoria, Doc Contea di Sclafani, Doc Contessa Entellina, Doc Eloro, Doc Menfi, Doc Noto, Doc Vittoria) hanno prodotto, nel 2017, 2 milioni 300 mila bottiglie. Con una crescita di poco più del 20% rispetto al 2016 e del 50% rispetto al 2014.

Il Consorzio DOC Sicilia assisterà il Consorzio Cerasuolo di Vittoria DOCG e Vittoria DOC (che ha sede a Ragusa) nelle diverse fasi della sua attività: amministrazione, attività promozione e rapporti con Ministero delle Politiche Agricole; vigilanza e rapporti con l’Istituto repressione frodi, azioni a tutela del Consorzio.

I DETTAGLI
L’accordo è stato sottoscritto da Antonio Rallo (nella foto), presidente del Consorzio di Tutela Vini DOC Sicilia, e da Massimo Maggio, presidente del Consorzio volontario di tutela Cerasuolo di Vittoria DOCG e Vittoria DOC.

Secondo i dati del Consorzio DOC Sicilia, l’anno 2017 si è chiuso con più di 29,5 milioni di bottiglie con la dicitura in etichetta “DOC Sicilia”. Un trend sempre in crescita dalla prima vendemmia del 2012 e che nel 2016 ha toccato quota 26 milioni di bottiglie.

Il Consorzio DOC Sicilia ha chiuso l’attività di vigilanza 2017 con più di 100 controlli sul vino in commercio effettuati in tutta Italia, in Germania e Svizzera e campioni prelevati ed inviati al laboratorio della repressione frodi di Catania.

Nel 2017 il Cerasuolo di Vittoria Docg ha raggiunto una produzione di 870.000 bottiglie mentre la DOC Vittoria ha chiuso il 2017 con 307.000 bottiglie. Numeri in crescita rispetto a quelli registrati nel 2016 di circa l’ 11%. Le aziende vinicole che imbottigliano Cerasuolo di Vittoria DOCG e Vittoria DOC sono 31.

“La sinergia con il Consorzio DOC Sicilia dimostra la lungimiranza dei nostri produttori – dichiara Massimo Maggio, presidente del Consorzio volontario di tutela Cerasuolo di Vittoria DOCG e Vittoria DOC -. Unire le forze, riuscire a fare economia di scala nei controlli di qualità, ottenere una maggiore incisività nella promozione del brand Sicilia e del territorio di Vittoria è un modello che potrebbe essere da esempio per altri”.

“Lavorare insieme, per tutte le componenti della filiera – aggiunge Antonio Rallo, presidente del Consorzio di Tutela Vini DOC Sicilia – è la strada principale al fine di aiutare lo sviluppo del mondo viticolo siciliano”.

“Questo accordo tra i due Consorzi – continua Rallo – arriva anche sull’onda di un’esperienza concreta: la ‘DOC Sicilia’ ha svolto un ruolo da traino di tutte le DOC ‘territoriali’ che hanno in etichetta il nome della nostra Sicilia”.

Conclude Maurizio Lunetta, direttore della DOC Sicilia: “Questa convenzione salda i rapporti tra due Consorzi di denominazioni differenti con l’obiettivo comune di far crescere più velocemente l’intero sistema regionale dei vini Doc e allinearsi alle principali regioni vitivinicole italiane, regioni in cui la qualità dei vini si fonda sulla Denominazione di Origine Controllata”.

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Fornovo boys: i migliori assaggi a “Vini di vignaioli” 2017

E’ la “fiera” nel cuore di tanti amanti della viticoltura “autentica”, “naturale”. Siamo a Fornovo di Taro, in provincia di Parma, per “Vini di vignaioli – vins des vignerons”. Una rassegna giunta ormai alla sedicesima edizione.

La fiera dei vignaioli artigiani si tiene sempre nello stesso tendone. La differenza è che, negli anni, è sempre più affollato. Di appassionati, sì. Ma anche di produttori. Sempre più “vignaioli” e sempre meno “imprenditori del vino”. Perché a Fornovo, il vino è inteso come risorsa alimentare corroborante e salutare, come è stata riconosciuta nei secoli. E non come bevanda che può essere alterata e corretta correggendo i costituenti.

La giornata di lunedì 6 novembre è uggiosa. Piove, come capita spesso nel periodo di inizio novembre. Il tendone posizionato all’inizio del paese, sulle sponde del Taro, è fatiscente. In alcuni angoli piove dentro. Ma lo spazio, quest’anno, è meglio distribuito e l’organizzazione ha apportato qualche modifica che rende la disposizione dei vignaioli più confortevole per i visitatori: 163 produttori, di cui 9 stranieri. Questi i nostri migliori assaggi. O, meglio, i più interessanti.

  • Agr. Foradori , Mezzolombardo (TN), Trentino Alto Adige

Manzoni bianco Fontanasanta 2016. macerazione di 5/7 giorni, poi affinamento in legno di acacia per 12 mesi. Colore giallo paglierino intenso, naso esplosivo di fiori e frutta bianca, con inserti di note tropicali. Al palato rimane concorde: bel glicine e continua frutta a polpa bianca e gialla, un discreto sale e un legno ancora da amalgamare.

Pinot grigio Fuoripista 2016. Macerazione in anfora per 8 mesi, poi un rapido passaggio in vasca solo per la decantazione. Vino dal colore rosa tenue tendente al chiaretto, sorprendentemente limpido e trasparente. Al naso fragoline e spezie in un mix quasi orientale. La bocca è complessa e lunga, fresca e avvolgente. Un leggero tannino accarezza le mucose e chiude il sorso lasciando la bocca immediatamente pulita. Dalla prima annata, la 2014 – tra l’altro non proprio facile, bisogna riconoscerlo – ad oggi, l’evoluzione di Elisabetta Foradori è convincente.

Perciso 2016. Elisabetta, insieme ad altre 10 aziende (Castel Noarna, Cesconi, Dalzocchio, Eugenio Rosi, Maso Furli, Mulino dei lessi, Gino Pedrotti,  Poli Francesco, vignaiolo Fanti e Vilar) ha formato un consorzio, “I dolomitici”, con l’intento di valorizzare l’originalità e la diversità dell’agricoltura trentina. Nell’ambito di questo progetto nasce il “Perciso”, vino dedicato a Ciso, contadino locale che ha consegnato nelle mani di questi 11 amici una vigna di Lambrusco a foglia frastagliata a piede franco, i cui 727 ceppi sono stati piantati ad inizio 1900.

Vino ottenuto da lunga macerazione e affinamento per 10 mesi in legno grande. Un vigneto storico, un’uva rara, espressione di quella tipicità trentina che il Consorzio punta a valorizzare. Con successo. Vino dal colore rosso porpora carico , limpido. Naso di frutta rossa di sottobosco, non ha mezze misure e in bocca è dritto, schietto,  con una discreta acidità e freschezza e una buona persistenza. Si fa bere facile, non è per niente segnato dal legno. Molto interessante. Considernado gli esemplari in commercio (2500) una vera e propria chicca.

  • Agr. Radikon , Gorizia (GO), Friuli Venezia Giulia

Ribolla 2010. Sasa Radikon qui non sbaglia mai. La vinificazione dei bianchi di casa Radikon è la stessa per tutte le uve: 4 mesi di macerazione, più 4 anni di affinamento in botte, più 2 anni di bottiglia. L’orange wine per definizione dopo quelli di Josko Gravner. Il colore è un giallo carico, dorato. Profumi di spezie, fiori appassiti, frutti canditi, miele, albicocca matura, rabarbaro e un accenno di zafferano. La compessità olfattiva accontenterebbe di per sè già il più scettico dei degustatori. Ma in bocca si completa. Di sottofondo il retro olfattivo aromatico. E in prima linea un tira e molla tra acidità, freschezza e tannino. Con chiusura sapida e minerale. Una meraviglia. Stop.

  • Agr. Ausonia , Atri (TE), Abruzzo

Qui ci imbattiamo in una mini verticale di Cerasuolo, annate 2016 , 2015 e 2014. Il Cerasuolo di Simone e Francesca, due giovani mantovani con la passione per l’agricoltura e per il vino, è una storia meravigliosa.

Simone lascia la farmacia e Mantova e insieme alla compagna si trasferisce in Abruzzo, dove dal 2008 inizia l’avventura. Siamo ad Atri, nell’entroterra teramano, a 270 metri sul livello del mare. Dodici ettari piantati a Trebbiano, Montepulciano e Pecorino.

Il Cerasuolo effettua una macerazione velocissima, di poche ore, massimo 10 (la 2014, “annata scarica”, ha fatto una notte intera in macerazione, ci racconta Simone) per poi passare senza bucce per la fermentazione in acciaio, dove completa anche la malolattica.

L’annata che convince di più è la 2015: meglio delle altre esprime le caratteristiche splendide di questo vino. Il colore rosato, quasi lampone (un rosa “Big Babol” ). Naso di piccoli fruttini rossi, lampone appunto, ma anche ribes, fragoline e sfumature di violetta. Bocca sapida, fresca e  minerale. Uno di quei vini da scolarsi senza ritegno, in estate, a bordo piscina. O in spiaggia.

  • Az- Agr. Franco Terpin, San Fiorano al Collio (GO), Friuli Venezia Giulia

Qui, dal buon Franco Terpin, ci accoglie la moglie. Già è di poche parole lui. Lei? Gli fa un baffo. Versa, versa e versa. Ma non fatele troppe domande. Assaggiamo Sauvignon 2011 e Pinot grigio 2012, senza rimanere a bocca aperta come invece ci era capitati a VinNatur per il Sauvignon 2010. Il colpo arriva quando meno te lo aspetti. Mentre stai andando via, un po’ deluso, vedi spuntare una magnum con etichetta tutta nera e orange, con un disegno stile “gta”. Lì si fermano tutti.

Compresi quelli di spalle, pronti ad abbandonavano il banchetto. I malfidenti. Si sente sollevarsi un “Oooh, mmmh, wow”, dai pochi rimasti lì davanti. Il gioco è fatto appena metti il naso nel bicchiere. Parolaccia. Clamoroso. Ci dicono Malvasia, ma da un’attenta ricerca il Bianco Igt delle Venezie “il legal” esce senza specifiche di vitigno. Anzi, una specifica c’è. E’ il bianco fatto da uve “non so”: a base Malvasia, sicuramente. Ma con altri uvaggi che non ci è dato sapere.

Il naso è di quelli ipnotici, magnetici, non riesci a staccarlo dal bicchiere. Uno di quei vini che ti accontenti anche solo di annusare, non importa la bocca, talmente è appagante l’olfazione. Non serve altro. Proviamo a dare qualche descrittore. Non sappiamo nulla della vinificazione, dell’affinamento. Il naso inizia sull’uva sultanina, poi frutta bianca matura, pesca, albicocca secca.

Ma anche miele e note di caramello. In bocca, a dir la verità, ha convito meno tutta la platea, peccato. Bella acidità e mineralità, ma chiude forse troppo corto per l’aspettativa che aveva creato nel pubblico estasiato.  E’ giovane e “si farà”. I presupposti ci sono tutti. Comunque il naso più roboante dell’intera giornata.

  • Agr. Eno-Trio, Randazzo (Ct), Sicilia

Giovane cantina, nata nel 2013. Fino a qualche hanno fa conferiva le uve ad altri produttori. Siamo in contrada Calderara, una delle più vocate del versante nord dell’Etna. Si coltiva Nerello mascalese, Pinot nero, Carricante e Traminer aromatico, Grenache e Minnella nera. Un bel mix. Il Traminer prende vita a 1100 metri sul livello del mare, i rossi più in basso. Le vigne di Nerello sono tutte pre filossera a piede franco, con più di cento anni di vita. Ottima tutta la gamma.

Il Pinot nero 2015, viti di quasi 40 anni, macerazione per 6-8 giorni, dopo la fermentazione e la svinatura passa in acciaio per completare la malolattica. Affina in barrique e tonneau per 16 mesi. Colore porpora con unghia violacea, naso bellissimo di marasca e frutti rossi. In bocca è fresco, non si sente per niente il legno, bella acidità, chiusura morbida, avvolgente. Chi dice che l’Etna è la nostra Borgogna non sbaglia, davanti a vini come questo. Un vino incantevole.

Il botto arriva però col Nerello mascalese 2014, 18  mesi di barrique  e tonneau. Rubino fitto, naso commovente, frutto dolce e spezia. Ciliegia matura, prugna, mora, china su tutti, ma anche pepe e balsamico. Sorso appagante, fresco, tannino morbido, levigato, bel corpo sostenuto nel centro bocca e un finale persistente. Grande vino.

  • Az. Agr Stefano Amerighi, Poggio bello di Farneta – Cortona (AR), Toscana

Stefano Amerighi, l’uomo che ci regala il Syrah più buono dello stivale, non lo scopriamo certo adesso e soprattutto non grazie a chi lo ha premiato quest’anno come “vignaiolo dell’anno”. Amerighi è da tempo una garanzia. Lui e il suo Syrah.

Apice 2013. La selezione è un mostro che potrebbe tenere testa a qualche rodano importante. Complesso, spezia, fumé, frutta, non ti stancheresti mai di berlo. In bocca è talmente equilibrato e armonico che non finisce mai di farti scoprire piccole sfaccettature. Lunghissimo.

  • Az . Agr. La Stoppa , Rivergaro (PC) , Emilia Romagna

La realtà di Elena Pantaleoni è ormai conosciuta oltre i confini nazionali, specie per gli ottimi vini rossi a base soprattutto Barbera e Bonarda e per il noto Ageno, vino a lunga macerazione da un uvaggio di Trebbiano, Ortrugo e Malvasia di Candia.

Noi però siamo qui per uno dei vini più incredibili della fiera e dello stivale in toto: il Buca delle canne. Il vino prende il nome da una conca, appunto la “buca delle canne”, dove Elena ha piantato Semillon, tanto per intenderci l’uva principe da cui si ricava il Sautern.

Qui, a causa proprio della conformazione geografica e pedoclimatica, in alcuni anni le uve vengono colpite dalla muffa nobile, la Botrytis cinerea. Pigiatura solo degli acini colpiti dalla muffa, con torchio verticale idraulico, 10 mesi di barrique di rovere francese e almeno 2 anni di bottiglia per una produzione annua di soli 500 esemplari in bottiglia da 0,50 litri.

Giallo dorato con riflessi ambrati, il naso è ciclopico così come la bocca, tutta la gamma della frutta passita in una sola olfazione. Fichi secchi, canditi, agrumi, scorza d’arancia e poi zafferano, curcuma, mallo di noce. Esplosivo. In bocca sontuoso, ma di una freschezza imbarazzante, potente e armonico. Uno dei migliori vini dolci prodotti in italia, senza se e senza ma.

  • Agr. Cinque Campi, Quattro Castella (RE) Emilia Romagna

Questa forse una delle sorprese più belle incontrate. La soffiata arriva girando tra la fiera: “Assaggiate la Spergola, ragazzi!”. Questa cantina del reggiano a conduzione famigliare coltiva autoctoni come il Malbo gentile , la Spergola, il Lambrusco Grasparossa e in più qualche uvaggio internazionale come Sauvignon, Carmenere e Moscato.

Puntiamo alla soffiata e ci viene servito il Particella 128 Pas dose 2016, metodo classico di Spergola 100%, macerazione sulle bucce per 3 giorni, 6 mesi in acciaio e poi presa di spuma con 8 mesi di sosta sui lieviti. Una bolla allegra, spensierata, gradevole al palato. Con una nota fruttata gialla e citrica invitante la beva e un bouquet di fiori di campo ben in evidenza. Bella acidità e bevibilità.

Il secondo convincente assaggio è L’artiglio 2014, Spergola 90% e Moscato 10%. Altro metodo classico non dosato. Qui siamo sui 36 mesi sui lieviti ed è stato sboccato giusto, giusto per la fiera. La piccola percentuale di Moscato ne fa risaltare il naso e in bocca ananas, frutta bianca, pompelmo rosa ed erbe aromatiche. Una bellissima “bolla”. “Cinque campi”, nome da tenere a mente.

  • Agr. Plessi Claudio, Castelnuovo Rangone (MO), Emilia Romagna

Lui lo puntavamo. Trebbiano modenese degustato al ristorante, volevamo vederlo in faccia. Uomo schivo, di poche parole, quasi infastidito al banchetto. Si direbbe un garagista del Lambrusco.

Tarbianein 2016. Trebbiano di Spagna, non ci dice altro sulla vinificazione. Sappaimo solo che sono tutti rifermentati in bottiglia. Il colore è un giallo paglierino torbido, il naso è dolce, richiama quasi lo zucchero filato e il candito da panettone. Poi agrume e fiori. E’ un naso straordinario. In bocca una bollicina morbida, il sorso è corposo e fresco. Bel finale ammandorlato e sapido.

Lambruscaun 2014. Lambrusco Grasparossa, capito bene, 2014. Un Lambrusco. Colore porpora carico, dai sentori di frutta matura, prugna, fragola, in bocca morbido, dal tannino composto e dalla bevibilità infinita. La freschezza e l’acidità sono ottimamente armonizzate dal tannino vellutato. Chiude la bocca lasciandola perfettamente pulita. Un grandissimo Lambrusco.

  • Agr. Praesidium, Prezza (AQ), Abruzzo

Entroterra abruzzese. Siamo ai piedi della Majella e del Gran Sasso, a 400 metri sul livello del mare. Qui, dopo una veloce macerazione sulle bucce del Montepulciano, nasce lo splendido Cerasuolo d’Abruzzo di Praesidium. Nell’annata in degustazione esce come Rosato Terre Aquilane 2015. Una caramellina, un confetto.

Colore rosato carico, sembra di avere nel bicchiere un rosso a tutti gli effetti. Limpido e trasparente. Il naso è un’esplosione di frutti rossi, fragolina di bosco, lampone, melograno, rosa e note di spezie e minerali. Il sorso è appagante, richiama tutto quello che l’olfazione ti trasmette. Ottima acidità e freschezza. La forte escursione termica della vigna rende questo vino di una acidità ben integrata al fine tannino derivante dal Montepulciano. Da riempirsi la cantina.

  • Occhipinti Andrea , Gradoli (VT) , Lazio

Siamo sulle sponde del lago di Bolsena, a 450 metri sul livello del mare. Terroir caratterizzato da terreno di lapillo vulcanico.

Alea viva 2015. Da uve Aleatico 100%, vinificato in secco. Una settimana di macerazione sulle bucce e fermentazione in cemento, poi passaggio in acciaio fino all’imbottigliamento. Color porpora, naso di rosa e viola, gelso e ciliegia. Bocca fresca e appagante. Pulito. Vino dell’estate.

Rosso arcaico 2016. Grechetto 50%, Aleatico 50%. Macerazione di un mese sulle bucce, fermentazione in anfore di terracotta, dove il vino poi affina per almeno 6 mesi. Rubino, naso di rabarbaro, albicocca e spezia con finali  note di erbe officinali. In bocca morbido e fresco.

  • Agr Francesco Guccione, San Cipirello (PA), Sicilia

Territorio di Monreale, 500 metri sul livello del mare. Voliamo nella Valle del Belice, in contrada Cerasa a San Cipirello, provincia di Palermo.

 “C” Catarratto 2015. Qualche giorno di macerazione, il giusto, poi solo acciaio. Nel calice è color oro, naso balsamico, di the, agrume. Un richiamo di idrocarburo e tanto iodio. In bocca salinità e freschezza e il retro olfattivo che torna sulla frutta. Grande acidità e spinta. Un prodotto notevole.

“T” Trebbiano 2015. Anche qui qualche giorno di macerazione, poi viene affinato in legno piccolo usato e acciaio. Color oro e un naso che non stanca mai. Camomilla, fiori di campo, fieno, frutta gialla e agrume. Poi ginestra. La bocca è piena, rotonda e morbida . Persistenza infinita. Ricorda tanto, ma proprio tanto, certi trebbiani storici per il nostro paese.

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Approfondimenti

Marchesi Antinori vs Cataldi Madonna: è diffida per il Cerasuolo ”Piè delle Vigne”

Due nomi troppo simili per due prodotti distinti. Un ”bisticcio di parole” che finisce per vie legali con protagonisti Marchesi Antinori Spa,  azienda storica toscana e Cataldi Madonna, produttore di Ofena in provincia dell’Aquila.

Oggetto della contesa l’utilizzo (improprio) secondo il ”Golia” toscano dell’etichetta “Piè delle Vigne”, troppo simile a   “Pian delle Vigne’‘ da parte del “Davide” abruzzese.

Antinori non le manda a dire e per mezzo di posta elettronica certificata ha invitato il produttore  abruzzere a cessare immediatamente l’utilizzo di ”Piè delle Vigne” nel mercato e nel web.

LE PAROLE DELLA DISCORDIA
Piè delle Vigne è un Cerasuolo d’Abruzzo ottenuto dalla vinificazione in bianco (85%) e in rosso (15%) di uve Montepulciano d’Abruzzo. pluripremiato Gambero Rosso e Vini Buoni d’Italia. Pian delle Vigne è la linea altrettanto pluripremiata del marchio Antinori che comprende Rosso di Montalcino e Brunello di Montalcino.

Due prodotti nettamente diversi di due aziende altrettanto diverse per dimensioni e per storia. Quella di Antinori passa attraverso i secoli, con la produzione vinicola già a partire dal 1385. Quella di Cataldi Madonna invece è decisamente più recente.

L’imbottigliamento è iniziato nel 1975 e sono solo 31 gli ettari gestiti nel territorio di Ofena. Ma le ”dimensioni” qui non contano. A contare pare siano solo le parole e Antinori difende l’integrità e l’unicità di quelle utilizzate nel nome della sua linea.

IL CONTENZIOSO
“Il segno utilizzato presenta numerosi elementi di somiglianza a livello visivo, fonetico e concettuale con il marchio di titolarità di Marchesi Antinori – ha scritto il legale nella Pec inviata a Cataldi – posto che presenta due dei tre elementi denominativi che lo costituiscono, precisamente le parole ”delle Vigne”, mentre le parole ‘Pian’ e ‘Piè’ sono estremamente simili. Inoltre il segno contestato si riferisce a prodotti identici a quelli rivendicati dal marchio dalla mia cliente”.

“Alla luce di quanto precede – continua la Pec – ed essendo il marchio ‘Pian delle Vigne’ rinomato ai sensi dell’art. 12 lett. e Cpi, la società mia assistita la invita e diffida a cessare immediatamente qualsiasi impiego sul mercato e su internet del segno ‘Piè delle Vigne’ in relazione ai prodotti della classe 33”. Questo quanto riportato dal giornale Il Centro.

Davide però sfida Golia. “Nessun gioco di parole”, rivendicano da Cataldi Madonna. “L’utilizzo del nome è assolutamente legittimo in quanto si riferisce ad un toponimo di vigna autorizzato dalla Giunta regionale e iscritto allo schedario viticolo della Regione Abruzzo”.

“Se ti concentri sul gigante inciamperai, se ti concentri su Dio i tuoi giganti crolleranno”. Come andrà a finire questo duello a singolar tenzone? Come nel racconto biblico? Ai posteri l’ardua sentenza.

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