A partire dal 1° settembre, Fabio Baldazzi, Giampaolo Bassetti e Valentino Tonini saranno i nuovi direttori del Gruppo Caviro, la più grande cantina vitivinicola d’Italia. Le nuove direzioni opereranno congiuntamente all’interno di un Consiglio Direttivo e risponderanno direttamente al Presidente del Gruppo, Carlo Dalmonte.
«Crediamo che la strada individuata – spiega Carlo Dalmonte, Presidente Gruppo Caviro ha commentato – risponda alle esigenze attuali del Gruppo e del mercato e sia coerente ad una logica di valorizzazione delle competenze acquisite e delle risorse interne. Le nuove nomine garantiscono continuità e sono guidate dalla conoscenza dei meccanismi aziendali e dalla profonda comprensione della complessa realtà del nostro Gruppo». La nomina dei nuovi direttori, secondo Caviro, segna «l’inizio di una conduzione che mira, con impegno e passione, a perseguire i valori cari all’azienda quali sostenibilità, innovazione, valorizzazione e rispetto per le persone, per il territorio e per l’ambiente».
La nomina dei tre nuovi direttore da parte del Consiglio di Amministrazione di Caviro – tre figure esperte del settore, nonché già appartenenti al Gruppo: Fabio Baldazzi, Direttore Area B2B; Giampaolo Bassetti, Direttore Area B2C; Valentino Tonini, Direttore Funzioni Centrali – arriva dopo dopo l’annuncio delle dimissioni di SimonPietro Felice, Direttore Generale del Gruppo Caviro che concluderà il suo mandato il 31 agosto.
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Giovanni Lai è il nuovo Direttore generale di Gerardo Cesari Spa, azienda storica della Valpolicella, oggi parte del Gruppo Caviro. L’ex Direttore commerciale Europa di Biondi-Santi e Isole Olena entrerà in organico dal primo ottobre 2023. «Il mio obiettivo in Cesari – sono le prime parole di Giovanni Lai – è quello di continuare il percorso di crescita della qualità dei vini attraverso una chiara riconducibilità con l’espressione del territorio della Valpolicella».
«Esaltare – continua Lai – attraverso i prodotti, le persone che ogni giorno, con passione, si dedicano alla vigna e alla cantina, e trasferire questi valori al mercato italiano ed internazionale, attraverso una distribuzione coerente con il lavoro che i nostri viticoltori ogni anno svolgono. Vorrei dunque rendere Cesari il punto di riferimento di un territorio dall’alto potenziale ed estremamente interessante per i diversi stili produttivi che offre agli appassionati del vino».
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Il Direttore Generale del Gruppo Caviro, SimonPietro Felice, comunica che, per motivi personali, il proprio rapporto professionale con l’azienda terminerà il 31 agosto 2023, data di chiusura dell’anno fiscale. «Nell’assicurare stabilità e continuità della gestione aziendale – si legge in una nota del gruppo – Caviro ringrazia l’Ing. Felice per la professionalità e l’impegno dimostrati alla guida di tutte le società del Gruppo nel corso degli ultimi 6 anni».
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FOTONOTIZIA – Caviro ha approvato questa mattina il bilancio al 31 agosto 2022. Il Gruppo vitivinicolo romagnolo ha chiuso l’esercizio con un fatturato consolidato di oltre 417 milioni di euro, con un incremento del 7,1% sull’esercizio precedente. Un nuovo anno da record con conferma del continuo trend di crescita.
Patrimonio netto a quota 136 milioni di euro (+10,7% sul 2021) e approvazione di un bilancio con utile complessivo di 9,6 milioni di euro. L’anno è contraddistinto dai buoni risultati della società Extra e dalle esportazioni, con ottime performance dei mercati anglosassoni.
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Cantine Riunite & Civ, Cantina Sociale di San Martino in Rio, Caviro, Terre Cevico, ed il Centro di ricerche Ri.Nova hanno costituito il Consorzio VITIRES. Lo scopo è di dare vita ad un percorso innovativo di sperimentazione e ricerca che porti alla creazione di Vitigni Resistenti Emiliano-Romagnoli, i cosiddetti Piwi.
Il Consiglio d’Amministrazione, che vede rappresentati tutti i soci fondatori, è composto da Claudio Biondi per Cantine Riunite & Civ, Alessandro Gallo per Cantina Sociale di San Martino in Rio, Stefano Lazzarini per Centro di Ricerche Ri.Nova, Marco Nannetti per Terre Cevico e Alessandro Patuelli per Caviro. Il nuovo consiglio di amministrazione appena insediato, ha dato corso alla nomina del presidente del Consorzio Marco Nannetti e del Vicepresidente Alessandro Gallo.
L’unione in forma consortile rappresenta il 70% delle uve prodotte in Emilia-Romagna e l’11% a livello nazionale (dati vendemmiali 2022). Nasce dalle esperienze già maturate dai soggetti partecipanti nell’ambito dei programmi di miglioramento genetico delle varietà di vitigni locali Emiliano-Romagnoli, programmi che hanno coinvolto anche la Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige.
Per tale scopo, al fine di dare concretezza ai risultati delle ricerche che si andranno ad ottenere, le cooperative hanno costituito un unico soggetto, VITIRES, a cui affidare la gestione delle nuove varietà dei Vitigni di origine autoctona o locale resistenti alle malattie fungine, tramite l’integrazione ed il coordinamento della filiera nonché la promozione, tutela e valorizzazione dei vini e delle uve, agendo come fulcro di tutte le azioni rivolte ad enti, istituzioni e mercati, sul tema di nuovi vitigni resistenti e sostenibili Piwi.
VITIGNI RESISTENTI PIWI IN EMILIA ROMAGNA: NASCE VITIRES
Scopo primario della neonata società è quello di coordinare ed ampliare programmi di ricerca e sperimentazione, in sinergia con centri di ricerca pubblici e privati, riguardanti lo studio, la selezione, il miglioramento genetico e varietale di vitigni locali ed autoctoni dell’Emilia-Romagna, al fine di ottenerne cloni e fenotipi resistenti alle malattie fungine ed adatti alle tecniche di coltivazione nel territorio Emiliano-Romagnolo.
Sono 16 i vitigni regionali ad oggi oggetto di ricerca, oltre 700 gli incroci già eseguiti, le cui prime selezioni sono già in corso di valutazione per saggiarne le caratteristiche di resistenza ai patogeni (in particolare oidio e peronospora), l’adattabilità ai nostri ambienti di coltivazione anche in relazione ai cambiamenti climatici in atto, nonché per valutarne le potenzialità enologiche in confronto alle varietà tradizionali di riferimento.
VITIRES non intende limitarsi alle sole attività di sperimentazione varietale in campo, ma anche avviare alla coltivazione i Vitigni Resistenti ottenuti; curare quindi le fasi di moltiplicazione e diffusione delle varietà in accordo con i vivai selezionati, definire programmi pluriennali comuni di coltivazione e fornire assistenza tecnica, agronomica ed enologica in tutte le fasi della “Filiera dei Vitigni Resistenti”, promuovendo tecniche rispettose per l’ambiente e per la salute.
VITIRES, TRA RICERCA E PROMOZIONE DEI VITIGNI RESISTENTI
L’impegno del consorzio verso le nuove varietà di Vitigni Resistenti, sarà inoltre rivolto alla loro regolamentazione, anche tramite la gestione delle procedure per l’iscrizione al Registro Nazionale e Regionale delle Varietà di Vite, la messa a punto di disciplinari di coltivazione, la produzione e trasformazione delle uve, nonché la tutela dei produttori tramite licenze, marchi d’impresa e attività di vigilanza e verifica contro pratiche commerciali sleali, affinché l’accesso alle selezioni varietali di Vitigni Resistenti Piwi possa rappresentare un vantaggio competitivo per i produttori che – attraverso le proprie aziende cooperative aderenti a VITIRES – ne hanno avviato e finanziato le attività di miglioramento genetico.
Infine, compito di VITIRES sarà quello di promuovere strategie di marketing integrate per la valorizzazione nazionale ed internazionale delle uve e dei vini derivati, attraverso la diffusione di marchi collettivi e le attività di comunicazione, organizzazione e partecipazione ad eventi, percorsi culturali, enoturistici ed enogastronomici, il tutto allo scopo di presentare a livello nazionale ed internazionale i prodotti ottenuti dalle varietà resistenti dell’Emilia-Romagna che saranno il risultato del percorso di studio, sperimentazione e creazione posto in essere dal consorzio VITIRES.
«Il consorzio VITIRES – dichiara il neopresidente Marco Nannetti , numero uno di Terre Cevico – intende dare una voce unica e partecipativa volta allo sviluppo dei Vitigni Resistenti tipici dell’Emilia-Romagna. Ad unire le nostre strutture, che complessivamente producono più del 70% delle uve conferite nella regione (11% a livello nazionale), è stato il senso di responsabilità sia verso gli operatori della filiera, sia verso i consumatori, supportando i viticultori nel raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità previsti dalle politiche europee della Farm to Fork».
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L’inclusione dei vini analcolici e a basso contenuto alcolico nella legislazione dell’Ue è «un primo passo importante». Ma è «necessario un adeguato quadro giuridico e di marketing per il loro sviluppo, per gestire le aspettative dei consumatori e garantire le strategie a lungo termine delle aziende vinicole». È l’opinione sui vini dealcolati espressa dai colossi che hanno preso parte al Forum Mondiale della Cooperative vitivinicole 2022.
Un incontro tenutosi proprio in Italia, per la precisione nelle sedi di Caviro, in Emilia Romagna, tra il 18 e il 20 ottobre. Con queste premesse, è facile ipotizzare un pressing sempre più costante e iniziative di lobbying nei confronti dell’Unione europea, volto ad ottenere maggiori aperture legislative sui “vini senza alcol“. Includendoli, si presuppone possa essere questo l’obiettivo finale, tra i vini a Denominazione di origine e a Indicazione geografica protetta (Dop e Igp, per l’Italia) dell’Ue.
Perché, come dicono chiaro i massimi rappresentanti di alcune tra le cantine più influenti del mondo, «il quadro giuridico dovrebbe garantire condizioni di parità, basate su regole qualitative di produzione e presentazione». Tradotto: il vino tradizionale e i vini analcolici dovrebbero avere parità di trattamento, nel contesto dei disciplinari di produzione.
A sostenerlo, insieme a Caviro, sono Capel, Fecovita, La Riojana, Vicca, Cenecoop, Aurora, Garibaldi, Sao Joao, Nova Alianca, Pradense, Cevipe. E ancora: Val D’Orbieu – Cordier, Vinadeis, Baco D-Coop, Cuatro Rayas, Manjavacas, Martin Codax, Porto do Barca, Adega Vila Real e CCWCoop. Ovvero alcune tra le maggiori cooperative vitivinicole mondiali, con sede in Italia, Spagna, Francia, Uruguay, Cile, Argentina, Portogallo, Brasile, Australia e Bolivia.
I VINI DEALCOLATI NELL’UE: DIBATTITO CALDO
Tutto si baserebbe sulle richieste di mercato crescenti per il segmento delle bevande low and no-alcohol. «La domanda è in crescita – sottolinea a winemag.it Ignacio Sánchez Recarte, segretario generale del Ceev – Comité Européen des Entreprises Vins – e se le aziende vinicole non la “catturano”, altri lo faranno con prodotti non basati sul vino».
Del resto, «poiché un numero crescente di persone sceglie di bere “meno e meglio”, l’universo delle bevande a basso e nullo contenuto alcolico si sta rapidamente espandendo e sta migliorando dal punto di vista qualitativo».
Secondo una recente ricerca di InsightAce Analytic, il mercato globale delle bevande a basso e nullo contenuto alcolico è valutato 22,5 miliardi di dollari nel 2021. E si prevede che raggiunga i 68,9 miliardi di dollari entro il 2030. Con un tasso di crescita annuale composto (Cgar) del 14%, nel periodo di previsione 2022-2030.
Il gigante della birra Anheuser-Busch InBev, alias AB InBev, che commercializza marchi come Corona, Leffe, Stella Artois, Tennent’s e Becks, ha dichiarato di voler raggiungere con i propri prodotti a basso o nullo contenuto alcolico almeno la quota del 20% sul volume globale commercializzato, entro il 2025.
VINI SENZA ALCOL VS VINI TRADIZIONALI NELLE DO ED IG
«Mentre la categoria dei prodotti a basso e nullo contenuto alcolico è dominata dalla birra – spiega ancora Ignacio Sánchez Recarte – alcuni studi indicano il vino tra gli 0% e i 0,5% di percentuale in volume d’alcol come il settore in più rapida crescita. Con un aumento del 26% e consumatori identificati principalmente come “over 45”. Bevitori abituali di vino che cercano di ridurre le spese durante la settimana, senza sacrificare la cerimonia legata al vino o il gusto».
Considerando che questi prodotti innovativi a base di uva non sono mai stati commercializzati nell’Unione come “vino”, il Ceev ha sostenuto con forza la definizione di questi prodotti all’interno della legislazione vinicola dell’Ue».
Le richieste della filiera sono state inserite nel dicembre 2021 nella legislazione vitivinicola. «Ma sebbene sia autorizzata la dealcolazione parziale e totale per i vini senza Indicazione geografica o Denominazione di origine – continua il segretario Ceev – è autorizzata al momento solo la dealcolazione parziale per i vini con Indicazione geografica protetta o Denominazione di origine protetta».
Un dettaglio che, al momento, sbarra la strada alle cooperative vitivinicole mondiali che intendono investire sul mercato dei vini analcolici dell’Ue (altrove già molto fiorente, vedi gli Stati Uniti). Nel frattempo, in Italia, a fare passi da gigante verso i vini senza alcol è la grande distribuzione.
Da Esselunga è in vendita da qualche mese “Virgola Zero“, Alcohol Free Sparkling prodotto a partire da un Riesling della Mosella dal produttore altoatesino Martin Foradori (Hofstätter), proprietario in Germania di Dr. Fischer. La stessa cantina commercializza un altro spumante dealcolato, “Steinbock”, presentato a Vinitaly nel 2021.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Risultati in crescita per il Gruppo Caviro. Approvato questa mattina il bilancio d’esercizio chiuso al 31 agosto 2021 con un fatturato consolidato di 390 milioni di euro, in aumento dell’8% rispetto al 2020. In aumento anche il livello occupazionale sui territori con un complessivo di 583 persone mediamente impiegate, 15 unità in più rispetto all’anno precedente.
La crescita del Gruppo vitivinicolo romagnolo è stata sostenuta da ottimi risultati dell’export (+17%), di cui vino +6% e B2B +75% e, in particolare, dalle performance straordinarie della società Caviro Extra. La composizione dei ricavi nel fiscal 1° settembre 2020-31 agosto 2021 del Gruppo è così suddivisa: vino 65%, mosti, alcol e acido tartarico 20%, energia e ambiente 15%.
«In un anno in cui i consumi di vino in Grande distribuzione hanno avuto una flessione abbiamo registrato un deciso aumento sul fatturato trainato principalmente dalle esportazioni. Questo – commenta il Presidente di Caviro Carlo Dalmonte – è di particolare soddisfazione. Lo sviluppo del vino italiano dovrà guardare con sempre maggiore attenzione ai mercati esteri».
«In generale il Gruppo ha dimostrato grande flessibilità in un anno assolutamente particolare caratterizzato da frenate e ripartenze improvvise. Un legame sempre più stretto con la filiera – prosegue Dalmonte -. I risultati dei tanti investimenti realizzati negli anni per la sostenibilità e una struttura coesa hanno dato concretezza e valore economico alla gestione rendendo Caviro un ‘gigante agile’».
I NUMERI IN DETTAGLIO
Dando un’occhiata ai numeri si evidenzia un ulteriore consolidamento del Gruppo con una crescita del patrimonio netto che passa da 89 a 123 milioni di euro. L’Ebitda passa da 27 milioni di euro (incidenza sul fatturato del 7,4%) a 31 milioni di euro (incidenza sul fatturato dell’8%).
L’utile di esercizio al 31 agosto 2021 è di 8,7 milioni di euro, mentre gli investimenti realizzati dal Gruppo hanno raggiunto quota 22 milioni di euro. Nel corso della vendemmia 2020 i conferimenti ordinari dei soci sono stati liquidati ad un valore mediamente superiore del 7% rispetto ai prezzi di mercato.
IL VINO
Tra di dati più significativi del segmento vino (società Caviro sca, Cesari e Leonardo da Vinci spa) c’è la crescita del 6% sul mercato estero. Un ottimo risultato da ricondurre alla diversificazione dei prodotti con cui il Gruppo si presenta sul mercato, sia dal punto di vista del segmento che del territorio di provenienza (sono 7 le Regioni italiane rappresentate dal Gruppo).
Nel comparto daily prevale lo storico marchio Tavernello, il vino più consumato in Italia e il vino italiano più venduto al mondo. Caviro si posiziona infatti al primo posto per le vendite nel segmento dei vini confezionati, con una market share del 6,7% a valore e del 13,4% a volume. Nel segmento premium hanno performato bene i brand delle società controllate Leonardo da Vinci e Cesari e il nuovo marchio di Caviro sca Vigneti Romio.
Il Regno Unito, con un peso del 36%, si conferma il primo mercato di destinazione delle esportazioni, seguito da Stati Uniti (12,5%) e Germania (11,5%). Gli altri principali mercati esteri nel mondo del vino sono, in ordine, Canada, Svizzera, Francia, Giappone, Cina e Russia.
MOSTI, ALCOL, ACIDO TARTARICO, ENERGIA
Molto bene i risultati di Caviro Extra, società controllata che porta avanti e completa l’economia circolare del Gruppo. Caviro Extra valorizza i sottoprodotti della produzione trasformandoli in prodotti nobili, alcol ed energia. Nel 2020/2021 Extra ha conseguito ottime performance dimostrando una buona capacità di aprire nuovi business e conseguendo un incremento di fatturato del 23% rispetto al fiscal precedente.
«Il segmento B2B del ‘non vino’ ha evidenziato performance straordinarie. Un risultato dovuto a fattori contingenti ma anche alla capacità di Extra di penetrare nuovi mercati – aggiunge Dalmonte -. Il legame con la filiera e gli investimenti in economia circolare sono per noi elementi concreti e non operazioni di puro green washing».
INVESTIMENTI E SOSTENIBILITÀ
Nel 2020/21 l’azienda ha investito circa 22 milioni di euro in impianti e tecnologie rivolti a migliorare le proprie performance ambientali. Una direzione, quella della sostenibilità, che il Gruppo porta avanti da anni e che caratterizzerà anche la gestione 2022.
Nell’ambito di questo percorso, nel 2021 è stata introdotta la funzione interna Sustainability Management, affidata ad un team di sole donne. Il Sustainability Management ha già definito tre obiettivi strategici che caratterizzeranno il triennio 2021-2024 del Gruppo.
«Il primo step sarà la certificazione del Bilancio di Sostenibilità che verrà presentato a marzo 2022 – racconta il Direttore Generale di Caviro SimonPietro Felice -. Puntiamo all’integrazione del Piano della Sostenibilità con il Piano Industriale a livello di azioni, risorse, costi e investimenti. Inoltre puntiamo a portare la sostenibilità in vigna attraverso la diffusione di un protocollo condiviso tra i soci. Il terzo progetto riguarda la business continuity in ottica di risorse umane e formazione».
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Il vino italiano è in recupero del 3,5% nel 2021, a fronte del calo del 4,1% registrato nel 2020. Il risultato grazie alla spinta dell’export (+3,8%) che vede il migliore potenziale di crescita in Cina (+6,3%), Canada e Giappone (+5,9% annuo).
È quanto emerge dal primo report congiunto di Area Studi Mediobanca, Ufficio Studi di Sace e Ipsos sul settore vino & spirits italiano. Studio dedicato all’analisi dei mercati domestici e internazionali e alle dinamiche socio-culturali di consumo.
Boom dell’e-commerce (+74,9% le vendite sui siti aziendali) e degli investimenti nel digital (+55,8%) nel 2020. Crescita record per il bio (+10,8%) con un bevitore italiano su quattro si dichiara bio-fan e per i i formati alternativi al vetro (+5,8%).
Aumenta la ricerca di qualità ed esperienza insieme alla voglia degli italiani di frequentare le enoteche con i “non frequentatori” in calo dal 48% pre-pandemia al 42% post-pandemia. Spirits in calo nel 2020 dell’1,7%, ma con un rimbalzo del 5,4% atteso per il 2021.
L’ANDAMENTO 2020 E ATTESE PER IL 2021
Il 2020 dei maggiori produttori italiani di vino ha chiuso con un calo di fatturato del 4,1% (-6,3% il mercato interno, -1,9% l’estero). L’ebit margin ha riportato una lieve contrazione arretrando al 5,8%, rispetto al 6,2% del 2019.
L’incidenza del risultato netto sul fatturato ha performato bene, con una leggera variazione dal 4,2% al 4,1%. I vini frizzanti hanno perso più terreno (-6,7%) dei vini fermi (-3,5%). Le cooperative hanno contenuto la flessione al 2%.
Il canale Gdo ha visto la propria incidenza salire al 38% rispetto al 35,3% del 2019 (a valore è cresciuto del +2,3%). Quello Horeca si contrae dal 17,9% al 13,4% (-32,7%), mentre wine bar ed enoteche passano dal 7% al 6,7% (-21,5%).
L’online è esploso durante la pandemia: +74,9% le vendite sui portali web di proprietà, +435% per le piattaforme online specializzate, +747% i marketplace generalisti. Nel 2020 gli investimenti nel digital dei maggiori produttori di vino sono aumentati del 55,8%, a fronte di un calo del 14,3% degli investimenti complessivi e del 13,4% della spesa pubblicitaria.
Le imprese con fatturato 2020 in aumento hanno venduto vino base (meno di 5 euro) per il 70,8% del loro fatturato. quota che scende al 52,6% all’interno del gruppo di imprese con vendite in calo. Ma lo spostamento verso segmenti più alti appare solo rinviato a quando si assesteranno gli stili di consumo post pandemici.
Sugli scudi il bio, con vendite 2020 in aumento del 10,8%, per una quota di mercato del 2,3%. Tiene il vino vegan (+0,5%, anch’esso al 2,3% del totale). Non fanno ancora presa i vini biodinamici, in caduta del 21,9% e confinati allo 0,1% del mercato.
Infine, il 2020 ha portato uno sviluppo del 5,8% per i vini confezionati in contenitori alternativi al vetro (brick, lattine, bag in box), leggeri, ecosostenibili, adatti all’online e in linea con l’interesse per le novità delle giovani generazioni.
I maggiori produttori di vino si attendono per il 2021 una crescita del 3,5%, che arriverebbe al 4,6% per la sola componente export. Per le maggiori società di spirits, si prevede un anno con vendite in crescita del 5,4% e del 4% per le esportazioni.
VINO E SPIRITS: PROPENSIONE AL CONSUMO INTERNAZIONALE
La mappa mondiale della propensione al consumo di vino e di spirits rivela che il rapporto maggiormente emancipato con il rito del bere è appannaggio dei Paesi di matrice anglofona (Australia, Gran Bretagna e Usa), con sporadiche incursioni di alcuni Paesi dell’Est europeo (Serbia e Polonia, con la Russia più arretrata) e del Nord del mondo (Canada e Svezia).
La Cina emerge come un mercato aperto e tollerante. La core Europe appare ben allineata in posizione intermedia con Germania, Francia e Italia che mostrano livelli simili di accettazione. Più problematico l’atteggiamento nel Sud e Sud Est del mondo, con la sola importante eccezione del Sud Africa. In generale la propensione al consumo di vino è superiore a quello degli spirits.
L’EXPORT ITALIANO
Nel biennio 21-22 si attende un aumento dei consumi di vino del 3,8% l’anno per molti tra i principali mercati. Per i due grandi importatori di vino italiano la crescita media annua è del 2% per gli Usa e del 3,1% per la Germania. In Svizzera i consumi di vino sono attesi stabili.
Discorso a parte per il Regno Unito. Crescita del 2,4% l’anno, ma prospettive complicate dagli sviluppi post Brexit. Opportunità possono arrivare da mercati già noti al vino italiano. Canada e Giappone segnano un consumo atteso in forte crescita (+5,9% annuo per entrambi). ma è la Cina a mostrare uno dei maggiori potenziali con un +6,3% annuo nel biennio 2021-22.
Una curiosità: il Vietnam, mercato ancora molto piccolo, ma che annovera una rilevante crescita dei consumi (+9,6%), anche grazie agli accordi commerciali con l’Ue che proteggono le indicazioni geografiche e riducono le tariffe e i dazi.
Le esportazioni italiane di vini e spirits valgono il 30% delle nostre vendite di alimenti e bevande oltreconfine e ammontano a 7,8 miliardi di euro nel 2020. Il comparto proviene da una crescita pluriennale: +6,3% medio annuo per i vini nel periodo 2010-19, che sale addirittura al +9,7% per gli spirits.
Il 2020 ha segnato una frenata: l’export di vini si è contratto del 2,3%, quello di spirits del 6,8%. Nel 2020 l’export di vino italiano vale 6,3 miliardi di euro e si stappa in prevalenza sulle tavole statunitensi (23,1%), tedesche (17,1%) e britanniche (11,4%).
Il 2020 ha consegnato variazioni differenziate: le nostre vendite sono in flessione negli Stati Uniti (-5,6%) e in Uk (-6,4%), mentre si è mossa in controtendenza la Germania (+3,9%). La pandemia ha colpito pesantemente gli spumanti (-6,9%).
Più modesto l’export italiano generato dal comparto degli spirits, che vale 1,5 miliardi di euro e ha nell’Europa la destinazione privilegiata (60,4%). Due i mercati di sbocco preferenziali, Stati Uniti e Germania, che fanno il 40% del totale.
Nel 2020 lo sviluppo del mercato statunitense (+21,5%) ne ha fatto il primo approdo per le vendite oltreconfine di spirits italiane, scalzando dal primo gradino del podio la Germania (+3,5%).
AD OGNI REGIONE I SUOI VINI
Nel 2019 il Veneto detiene il primato di vino prodotto, sia a volume che a valore, con il 20% del totale nazionale. Segue la Puglia con il 19,6% a volume e il 13,3% a valore. Toscana e Piemonte hanno il 5% circa dei volumi, ma raddoppiano il peso se si guarda al valore.
Le caratteristiche regionali si notano anche nelle dinamiche di esportazione. La principale regione esportatrice, nel 2020, di vini è il Veneto con il 35,5% del totale delle vendite oltreconfine, più del doppio della seconda, il Piemonte con il 17,2%. La Toscana, terza regione, rappresenta il 15,5% dell’export nazionale di vino.
Nell’anno della pandemia il Veneto ha subito un calo dell’export del 3,3%, ma sono diminuite le vendite all’estero anche dei vini di Toscana e Lombardia. Fra le altre regioni il calo più consistente è dell‘Umbria (-24,2%), seguita dalla Valle d’Aosta (-21,9%), dalla Sardegna (-18,8%) e dalle Marche (-14,5%).
In controtendenza i vini del Trentino-Alto Adige, dell’Emilia-Romagna e del Piemonte con aumento delle vendite al di fuori del territorio nazionale. Anche sui conti delle aziende i tratti regionali lasciano la propria impronta.
Il maggior Roi tocca agli abruzzesi (9,7%), piemontesi (8,6%) e veneti (7,8%). Best in class per solidità finanziaria i produttori toscani, con debiti finanziari pari ad appena il 26,8% del capitale investito. Grandi esportatori i produttori piemontesi (66,9%) e toscani (61,7%) che superano il 60% di export sul fatturato.
L’EVOLUZIONE DEI CONSUMI POST-PANDEMIA
La pandemia ha inciso su alcune abitudini di consumo, anche in maniera sorprendente. La propensione dei consumatori ad acquistare bottiglie di vino nei supermercati è calata di 6 punti. Il 58% degli italiani che in epoca pre-Covid si approvvigionava nella Gdo si è ridotto al 52%.
La Gdo rimane il canale preferito per l’acquisto di vino, ma mostra dinamiche in evoluzione con una sempre maggiore ricerca di qualità, specificità e unicità. Un trend confermato dalla percentuale di persone che ha iniziato a frequentare enoteche, cantine e negozi specializzati.
Gli italiani che non si sono mai rivolti a un’enoteca per comprare una bottiglia di vino è in calo dal 48% prepandemico, al 42% attuale. L’aumento degli acquisti in enoteca ha coinvolto, in primis, l’universo femminile con un decremento delle non frequentatrici dell’8% (dal 52% ante Covid al 44% del 2021), ed ha toccato tutti i segmenti della società.
Si ha infatti una riduzione del 5% tra i Millennials, del 6% nella Generazione X e tra i Baby Boomers. Sono in aumento anche gli acquirenti di vino nelle cantine dei produttori: nel periodo pre-Covid gli italiani che non si erano mai recati in una cantina di un produttore erano il 46%, oggi scesi al 39%.
L’acquisto online è la stella dell’ultimo anno con l’e-commerce di proprietà consente alle persone di accedere direttamente al viticoltore. Prima del lockdown il 71% degli italiani non aveva mai fatto un acquisto online dai siti di una cantina, quota scesa oggi di sette punti (64%).
Inoltre, la percentuale di persone che prima del Covid non aveva mai fatto ricorso al sito e-commerce o all’offerta online di una enoteca era del 74%, oggi la percentuale è scesa al 69%. Alcuni tratti accomunano i nuovi comportamenti di acquisto dei consumatori come la ricerca di qualità e il valore del locale, dei suoi prodotti e delle imprese.
In termini di costo della bottiglia, la tendenza, anche se con scostamenti minimi, sembra essere orientata verso due fenomeni. Da un lato una crescente polarizzazione della fascia di prezzo, con l’accentuarsi della forbice tra bottiglie di livello basso e alto. Dall’altro un conseguente indebolimento della fascia di prezzo intermedia, con uno scivolamento verso quella inferiore.
Infine, il tema bio fa registrare tre distinti livelli di interesse. I bio-attratti, altamente interessati ai vini biologici e che rappresentano il 36% dei bevitori I bio-light, caratterizzati da un approccio non convinto e un po’ modaiolo ai prodotti biologici che arrivano al 33%. Infine i bio-refrattari che formano il residuo 31%.
Tra i bio-attratti si possono trovare dei veri e propri bio-fan, che sono in parte anche high-spender, e valgono il 24% dei consumatori di vino.
LE MIGLIORI IMPRESE ITALIANE
La leadership di vendite nel 2020 è appannaggio del gruppo Cantine Riunite-Giv, con fatturato a 581 milioni di euro (-4,4% sul 2019), nettamente distanziato dalla seconda posizione ricoperta da un’altra cooperativa, la romagnola Caviro, il cui fatturato è cresciuto del 10%, avvicinandosi ai 362 milioni di euro. Completa il podio la veneta Casa Vinicola Botter (230 milioni, +6,4%).
Seguono altre cinque aziende con ricavi superiori a 200 milioni di euro: la toscana Antinori, il cui fatturato 2020 pari a 215 milioni di euro ha subito un calo del 12,5%, la trentina Cavit (fatturato 2020 pari a 210 milioni di euro, +9,6% sul 2019), le piemontesi Fratelli Martini (208 milioni di euro, +1,1% sul 2019), Iwb (204 milioni, +29,7%) e la veneta Enoitalia che ha realizzato una crescita del +0,8%, portandosi a 201 milioni di euro.
In merito ai maggiori incrementi di fatturato nel 2020, Iwb domina la scena con un +29,7% che la colloca davanti alla Contri Spumanti con un +13,8%, a Caviro e Mondodelvino, appaiate a +10%, a Cavit (+9,6%) e La Marca (+8,7%), per chiudere con il +6,4% di Botter e il +5,7% di Schenk Italia.
Osservando la redditività (rapporto tra risultato netto e fatturato), il 2020 vede in testa le società toscane e venete. Antinori (26%), Frescobaldi (24,5%) e Santa Margherita (24,2%). La recente acquisizione di Iwb su Enoitalia forma un player da circa 405 milioni di euro che sarebbe secondo in Italia nel 2020.
Le attività del fondo Clessidra (Botter e Mondodelvino) ammontano a circa 353 milioni e ne farebbero il quarto produttore italiano nel 2020, dietro Caviro.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Romagna Doc Trebbiano Vigneti Romio è la nuova referenza dell’omonima collezione di Caviro, ideata per celebrare il patrimonio vitivinicolo romagnolo attraverso i vini Doc più caratteristici.
La linea, come spiega il gruppo di Forlì, è destinata al canale della grande distribuzione , ovvero il mondo dei supermercati. Vuole essere «espressione della Romagna più autentica, intesa non solo come luogo ad alta vocazione vinicola, ma anche come uno stile di vita».
LA WEB-SERIE CON PAOLO CEVOLI
Come tutte le referenze di Vigneti Romio, la bottiglia racconta un tratto distintivo della cultura romagnola attraverso la sua raffigurazione in etichetta, per mano di un’artista del territorio.
Tra i principali archetipi della tradizione di Romagna – il Sognatore, il Romantico, il Leggendario, lo Spensierato, l’Audace – c’è la figura dell’Audace, il soggetto del nuovo episodio di “Ti verso una storia”.
La web-serie, nuovo progetto di comunicazione digitale prodotto da Caviro, vede l’attore romagnolo Paolo Cevoli nella veste di storyteller e gli stereotipi delle etichette della collezione nel ruolo di protagonisti.
Nel nuovo appuntamento, Cevoli conduce lo spettatore in un’officina meccanica, cornice di una storia in cui rock, motori e sentimenti si intrecciano. Un racconto in cui si alternano grandi passioni, aspirazioni e legami autentici che sorprendono lo spettatore sul finale per la loro spontaneità.
È così che l’uomo dei motori, dopo aver intrapreso un viaggio solitario, si rivela nella sua natura più romantica e fa ritorno a casa dove ad attenderlo c’è l’abbraccio della sua musicista. Lo stesso Romagna Doc Trebbiano, grande classico del territorio, diviene un simbolo del legame alla vita e alla terra.
LA LINEA VIGNETI ROMIO
Alla vista si presenta con un colore giallo paglierino deciso e riflessi tendenti al verde. Al naso rivela profumi floreali delicati e persistenti dove prevalgono fresche note di mela seguite da fiori d’acacia.
Sentori familiari e riconoscibili che riportano alla memoria sensazioni conosciute e mai sopite, confortanti e accoglienti, come il sapore di casa. Primo vino della linea Vigneti Romio è stato il Romagna Doc Sangiovese Superiore Riserva, vino iconico della tradizione enologica del territorio.
È stata poi la volta del Romagna Novebolle Doc Spumante Bianco, referenza nata dalla riscoperta e reinterpretazione della tradizione spumantistica romagnola di inizio ‘900, con l’approccio contemporaneo dei viticoltori più esperti della zona.
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Caviro ha stretto una partnership con Volio, importatore e marketer affermato nel mercato statunitense, per la distribuzione negli Usa di Tavernello, sia nel formato brik che in bottiglia.
La cooperativa leader in Italia nel settore vitivinicolo ha trovato in Volio «un partner ideale per ampliare la propria presenza nello scenario vitivinicolo internazionale». Oltre 70 i Paesi già interessati dall’export, per una vasta gamma di vini italiani destinati ad ogni target di consumo e mercato (Horeca e Gdo).
STRATEGIE CONDIVISE
Un’alleanza strategica, che nasce dalla condivisione degli obiettivi di «innovazione, crescita, qualità e sostenibilità». Da un lato Gruppo Caviro, forte di investimenti in ricerca e sviluppo e innovazione in nuovi formati di packaging, utili a garantire la migliore qualità di prodotto e ampliare la distribuzione all’estero. Una realtà che punta ad essere «portavoce dell’eccellenza del vino italiano sui mercati internazionali».
Dall’altra parte Volio, rinomato importatore statunitense – presente in 45 Stati con 58 distributori – che negli ultimi anni ha incrementato il fatturato dell’85%. Un player concentrato sulle migliori produzioni vitivinicole italiane, forte nel segmento Horeca e interessato a crescere in volume e valore. E, dunque, ad allargare il proprio raggio d’azione anche al canale della Grande distribuzione.
Il risultato è la sigla di un accordo che viene definito “di reciproca soddisfazione”. In Caviro, Volio trova un alleato ideale per rappresentare un prodotto come Tavernello, con una consolidata esperienza nel mercato Gdo. Potendo così rispondere in maniera adeguata all’incremento del consumo domestico.
Caviro con Volio potrà contare su un partner di alto profilo, capace di trasmettere correttamente l’immagine e il vissuto del brand italiano. E con cui poter collaborare, per il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi di presidio del mercato.
AL CENTRO LA SOSTENIBILITÀ
Una perfetta corrispondenza nella visione aziendale, focalizzata sul concetto di sostenibilità. Caviro, con il proprio modello completo di economia circolare, ha di recente rinnovato l’impegno in questo ambito, presentando la seconda edizione del Bilancio di Sostenibilità. Un nuovo tassello, divenuto una Best Practice in Italia e all’estero.
Volio è invece impegnato nella riduzione del proprio impatto ambientale ed è certificato Carbon Free dal 2019. La partnership prende il via in un anno particolarmente importante per il gruppo di Forlì, forte di una chiusura di bilancio in positivo e di performance economiche trainate anche dall’export. Un ambito in cui Caviro ha rafforzato le proprie quote.
«Abbiamo trovato in Volio il partner ideale per realizzare questo ambizioso progetto – commenta Massimo D’Isep, Direttore Export Caviro – grazie alla sua esperienza, competenza e passione nei vini italiani e alla profonda conoscenza dei consumatori americani. Il nostro obiettivo è di incrementare la presenza di Caviro negli Usa focalizzandoci sui nostri brands principali.
L’INTERVISTA. D’ISEP: «NEGLI USA CON I NOSTRI VALORI»
Dottor D’Isep, quali sono i risultati dell’analisi di mercato condotta da Caviro negli Usa? In particolare, qual è la situazione attuale dello scaffale, sul fronte dei vini in brik?
La partnership con Volio nasce da un’analisi di mercato e dalla voglia di essere presenti in tutti gli stati con i nostri prodotti e marchi principali, cercando non solo di far crescere le vendite, ma anche riposizionando il nostro marchio con un partner giovane, dinamico e che ha condiviso fin da subito il nostro ambizioso progetto.
Oggi negli Usa vendiamo principalmente bottiglie ma il brik/Bib, anche per dna aziendale, deve essere un focus su cui lavorare in futuro. Le varietà più vendute sono nell’ordine: Pinot Grigio, Cabernet, Chardonnay, Merlot, Moscato, il resto dei vitigni rimane marginale.
Quanto costerà il Tavernello in brik e in bottiglia e in quali catene ed insegne Usa sarà distribuito? Previsioni di vendita e di fatturato?
Da una ricerca effettuata in collaborazione con WineSearcher, il prezzo medio a scaffale per brik 500 ml si attesta tra i $ 3.99 ed i $ 5.99. Ma dal momento che $ 4.99 rappresenta più del 60% del totale, Tavernello sarà posizionato tra $ 4.99 e $ 5.99, a seconda del vino e della linea di riferimento. Le catene di riferimento sono in genere player con presenza nazionale, tra i quali Costco, Target, H-E-B, Trader’s Joe, ABC Stores.
Quali saranno le strategie di comunicazione che intraprenderete per entrare nelle case degli americani con Tavernello in brik e in bottiglia?
Cercheremo di comunicare al cliente finale il nostro progetto di sostenibilità e di filiera controllata e trasparente. Il consumatore pretende sempre più trasparenza e chiarezza sui metodi di produzione e provenienza del vino.
È importante fare in modo che queste informazioni siano di facile reperibilità e a portata di click. Inutile aggiungere che il digitale rappresenta un mezzo indispensabile per veicolare i contenuti di un’azienda come la nostra.
Al contempo, la sostenibilità legata ad un vino/brand ha assunto un ruolo chiave: non basta più parlare del prodotto in sé ma occorre raccontare la filosofia e i valori correlati e collegati al prodotto stesso.
L’etichettatura del brik, secondo la regolamentazione americana, dovrà contenere informazioni particolari o aggiuntive sul processo di produzione, rispetto all’Italia?
Per prodotti “Conventional” deve contenere informazioni aggiuntive relative alla catena di importazione ed alcune diciture specifiche in merito ai “Government Warnings”, ma non informazioni sul processo di produzione, che invece non differisce dagli standard Italiani ed Europei.
Per quanto riguarda invece i prodotti “Organic” la legislazione è completamente diversa. Si richiede una certificazioni specifica dal punto di vista produttivo (divieto totale di utilizzo di solforosa) ed informazioni particolari da riportare in etichetta/brik.
Su quali Denominazioni italiane siete pronti a scommettere, in particolare, negli Usa?
Per quanto riguarda le denominazioni non c’è dubbio che il mercato sia sempre legato al Pinot Grigio piuttosto che al Prosecco- Ma da parte nostra ci dedicheremo come sempre alla crescita dei vini provenienti dalla nostra base sociale, che è presente nella maggior parte delle regioni più vocate alla produzione del vino in Italia.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Tavernello in brik vendemmia 2020. Questa l’ultima novità in casa Caviro. Il colosso di Forlì ha deciso di indicare l’annata sui vini in brik della linea “Tavernello Classico“: Vino Bianco d’Italia, Vino Rosso d’Italia e Vino Rosato d’Italia, disponibili in confezioni tris da 0,25 cl o singolo Tetra Pak da 1 litro.
In casa Caviro la chiamano “evoluzione”, accompagnando la new entry con un gioco di parole: «Taverbello, il nuovo Tavernello». La motivazione? «Abbiamo scelto di indicare l’anno di vendemmia sul fronte del brik oltre alla data di confezionamento, quale garanzia indiscussa della qualità del vino», sottolinea la cooperativa.
«Nuova forma e più valori, ma la bontà è quella di sempre. Il vino più scelto dalle famiglie italiane si è fatto ancora più bello e sostenibile. Una confezione speciale che porta in tavola il frutto della vendemmia 2020 e racconta tutto l’impegno e le buone scelte di Cantine Caviro, la più grande Cantina d’Italia»
C’è da scommettersi, non sarà l’ultima novità. Dopo aver lanciato lo scorso anno la linea Sunlight, ovvero i primi Tavernello in brik senza solfiti aggiunti, Caviro sta lavorando alacremente sull’immagine del brand, puntando anche su Instagram. La pagina “Tavernello Italia”, ma soprattutto il claim, la dicono lunga: “L’orgoglio, senza pregiudizio“. Prosit.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Il primo vino in brik senza solfiti aggiunti non poteva che essere firmato da Caviro, azienda leader in Italia nel segmento. La nuova linea Tavernello “Sunlight” fa il suo esordio sul mercato in questi giorni, con due etichette dal packaging fresco e giovanile, capace di richiamare l’estate. Si tratta di un bianco e un rosso allergen free, vendemmia 2019, ottenuti con uve Trebbiano e Sangiovese Rubicone Igt.
“L’obiettivo di questo nuovo progetto di Caviro – spiega Rosa Prati, responsabile Ricerca e Sviluppo Caviro – è quello di ottenere uno standard qualitativo all’altezza del brand Tavernello, ma nella sua versione Sunlight, senza solfiti aggiunti, quindi di ottenere un vino Allergen Free.
La presenza di solfiti sviluppati naturalmente in una quantità inferiore ai 10 mg/l è stata possibile solo attraverso pratiche enologiche e protocolli brevettati che ci consentono di ottenere un vino di qualità e con una shelf life minima garantita di 12 mesi“.
La procedura messa in campo da Caviro consente di preservare al meglio l’integrità aromatica di Trebbiano e Sangiovese. Le uve scelte per il lancio della linea Tavernello Sunlight vengono sottoposte a macerazione a temperatura controllata e vinificate con lieviti selezionati che consentono di evitare l’aggiunta di solforosa.
Due vini in brik pensati per tutte le occasioni, dall’aperitivo alle feste in giardino, senza il rischio di incorrere nel noioso “mal di testa”. I solfiti sono infatti utilizzati nel settore alimentare per le loro capacità conservanti e antiossidanti.
Se presenti nel vino in concentrazioni superiori ai 10 mg per litro, devono essere segnalati sulla confezione, in quanto rientrano tra le sostanze che possono provocare allergie o intolleranze.
“I Tavernello Sunlight senza solfiti aggiunti – suggerisce Benedetto Marescotti, Marketing Caviro – rendono più piacevole l’occasione di consumo e consentono anche a chi ha intolleranze ai solfiti di gustare la genuina bontà di Tavernello, il vino più scelto dagli italiani”.
LA DEGUSTAZIONE
Trebbiano Rubicone Igt 2019 Tavernello “Sunlight” (12%) Il Trebbiano Igt selezionato esprime una nota fresca e fruttata di pesca ed agrume, freschezza incrementata dal processo di vinificazione e dall’assenza di solfiti. È adatto per essere degustato con piatti a base di pesce, con piatti vegetariani per la sua allegra semplicità.
Sangiovese Rubicone Igt 2019 Tavernello“Sunlight” (12,5%) Sangiovese Igt selezionato è un’esplosione di profumi ed aromi di frutta rossa estiva: ciliegia, prugna, in un vino gradevole da bere e da degustare a tavola in qualsiasi occasione, ottimo con le carni ma anche con le ricche paste tradizionali, adatto ad ogni occasione.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Il fatturato pre-consuntivo del 2019 conferma i tre maggiori player italiani: Gruppo Cantine Riunite & Civ a 630 milioni (+2,9% sul 2018) – al cui interno Giv fattura 406 milioni (+4,7%) – seguito da Caviro a 329 milioni (-0,4%) e Palazzo Antinori a 246 milioni (+5,3%).
Lo evidenzia l’Area Studi Mediobanca, nell’ambito dell’Indagine annuale sul settore vinicolo nazionale e internazionale. Lo studio riguarda le 215 principali società di capitali italiane con fatturato 2018 superiore ai 20 milioni di euro e ricavi aggregati pari a 9,1 miliardi di euro, oltre a 14 imprese internazionali quotate con fatturato superiore a 150 milioni di euro che hanno segnato ricavi aggregati pari a 5,7 miliardi di euro.
Seguono il terzetto del podio Casa Vinicola Botter a 217 milioni (+10,9%), Fratelli Martini a 210 milioni (-2%), Casa Vinicola Zonin a 205 milioni (+1,4%), Enoitalia a 199 milioni (+9,7%), Cavit a 191 milioni (+0,5%), Santa Margherita a 189 milioni (+6,8%) e, in decima posizione, Mezzacorona a 187 milioni (-0,8%).
Casa Vinicola Botter è campione di export nel 2019 con il 93,7% del fatturato, seguita da Farnese al 92,0%, Ruffino al 91,4%, F.lli Martini con l’86,1%, Mondodelvino con l’83,3% e La Marca all’82,8%.
Con riferimento alle sole esportazioni, il 60% delle imprese si aspetta per il 2020 una flessione delle vendite e, all’interno di queste, il 37,5% prevede che la flessione sarà superiore al 10%. Un quadro peggiore a quello del 2009, quando il 60,6% delle imprese vinicole subì un calo di vendite con una flessione del fatturato del 3,7% e con cadute oltre il 10% che riguardarono il 24,2% delle imprese.
Il 53,4% delle cooperative, maggiormente legate al mass market e alla distribuzione attraverso la Gdo rispetto all’Horeca, ha formulato per il 2020 previsioni meno pessimistiche sul fatturato di quelle delle S.p.A. e s.r.l., il 68% delle quali si aspetta un calo nell’anno in corso (la quota di cooperative che attende cali di vendite oltre il 10% si ferma al 26,7% contro il 50% delle altre).
Anche la distinzione per tipologia di prodotto porta ad aspettative differenziate. In questo caso sono i produttori di vini spumanti a esprimere attese meno negative rispetto a quelli di vini non spumanti. Tra i primi, il 55,5% prevede perdite di fatturato con una contrazione dell’export del 41,2%; quota che sale oltre il 65%, sia per perdite di fatturato che export, per i secondi.
Su queste stime incide la maggiore stagionalità dei vini spumanti le cui vendite crescono in misura significativa soprattutto in corrispondenza delle festività di fine anno, periodo entro il quale si auspica il pieno superamento della crisi sanitaria.
In generale, se si assume che le esportazioni italiane di vino si ridurranno in linea con la caduta del commercio mondiale ipotizzata dalla WTO, si stima una contrazione dell’export per i maggiori produttori italiani nel 2020 compresa tra € 0,7 e € 1,4 miliardi.
Quanto al mercato domestico, considerato che circa il 65% delle vendite nazionali è veicolato da canali diversi dalla Gdo, si stima fino alla metà di maggio una perdita di oltre € 0,5 miliardi. Ipotizzando per i mesi a seguire una riapertura dei canali extra-Gdo a ritmi inferiori del 30% rispetto ai livelli dell’anno precedente, si registrerebbe un’ulteriore contrazione del fatturato pari a €0,5 miliardi.
Una fotografia che porta a stimare nel 2020 una contrazione complessiva del fatturato per circa €2miliardi, frutto di minori vendite nazionali e estere, con una riduzione stimabile del settore tra il 20% e il 25% rispetto al 2019.
CRESCITA MODESTA
I dati preconsuntivi relativi al 2019 indicano che i maggiori produttori italiani hanno chiuso lo scorso anno con una crescita del fatturato dell’1,1%, un risultato modesto se confrontato con il quadriennio precedente (2014-2018) in cui le vendite sono cresciute a ritmi compresi tra il 6,7% del 2018 e il 4,7% del 2015.
Il rallentamento del 2019 è attribuibile alla dinamica negativa del mercato interno (-2,1%) in controtendenza rispetto all’export, che ha segnato una crescita del 4,4% rispetto al 2018 anche se lontano dalle crescite oltre il 7% del triennio 2015- 2017.
Il fatturato di S.p.A. e s.r.l. cresce del 3,2% (+5,1% all’estero), mentre le cooperative segnano un decremento sul 2018 (-1,9%) per la contrazione del mercato domestico (-4,4%,) parzialmente compensata dall’espansione di quello estero (+1,8%).
Anche gli spumanti hanno rallentato nel 2019 (-0,2%), mentre i vini non spumanti sono cresciuti dell’1,5%; per entrambi i comparti, importante è stato il contributo dell’export (+3,2% per gli spumanti, +4,6% per gli altri), a fronte di vendite domestiche in regresso (-2,4% per i primi, -1,9% per i secondi).
Gli investimenti materiali nel 2019 registrano un decremento del 15,9% sul 2018, dopo quattro anni di forte crescita. La riduzione più importante è quella degli spumanti (-23,9%) seguiti da S.p.A. e s.r.l. (-16,7%). Tiene l’occupazione, in aumento del 2,6% sul 2018.
L’indice di borsa delle società vinicole Da gennaio 2001 al 3 aprile 2020 l’indice di Borsa mondiale del settore vinicolo, in versione total return (comprensivo dei dividendi distribuiti), è cresciuto del 222,5%, al di sopra delle Borse mondiali (+129%).
La capitalizzazione complessiva delle 52 società che compongono l’indice è migliorata dell’8% tra marzo e dicembre 2019, per poi subire una brusca perdita del 30% nel 1° trimestre 2020 a seguito del Covid-19 scendendo, a fine marzo 2020, a 35,8 miliardi di euro (rispetto ai 47,4 miliardi del marzo 2019), bruciando in tre mesi quasi l’intera crescita dell’ultimo quinquennio.
Tra le maggiori solo il 30% delle imprese fa il bilancio di sostenibilità, il 25% non ne parla Su un totale di 39 imprese con fatturato superiore a 60 milioni (5,2 miliardi di fatturato aggregato), 7 imprese (1,6 miliardi di fatturato, il 31% del totale) redigono un documento di sostenibilità, in 6 casi si tratta del Bilancio di Sostenibilità e in un caso della sola Dichiarazione Ambientale.
In tema di certificazioni di sostenibilità, 5 società hanno aderito al progetto ministeriale V.I.V.A., una società ha conseguito la certificazione Equalitas. Altre 20 imprese (2,3 miliardi, 44% del totale) riportano sui propri siti internet alcune informazioni in materia di sostenibilità.
Si tratta principalmente degli aspetti ambientali e delle certificazioni di qualità, nella metà dei casi in sezioni dedicate. Le restanti 12 società (1,3 miliardi, 25% del totale), di cui il 60% circa sono familiari, non fanno alcun riferimento alla sostenibilità nei propri siti.
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Una degustazione alla cieca di vini in brik, non brandizzata, non sponsorizzata e soprattutto non “testimonializzata“, che vede trionfare il “Castellino” come migliore vino in cartone in vendita al supermercato, in Italia. L’abbiamo chiamata, simpaticamente, “Another brik in the wall“.
Molto più di un semplice gioco di parole. Già, perché è un vero e proprio “muro” quello che erigono molti esperti di vino nei confronti di brand-bandiera del segmento come Tavernello. Critiche che arrivano, spesso, da persone che ammettono candidamente di non averlo mai assaggiato.
Il partito “No Tetra Pak” coincide il più delle volte con quello che lotta – senza distinzioni – contro il vino al supermercato, ma che all’amico o al famigliare, a Natale, regala il Ferrari astucciato con la confezione bianco-nera, in offerta in Gdo: “Tanto costa poco ed è buono”.
Noi lo scriviamo e sottoscriviamo, assumendoci le responsabilità del caso: alla cieca, alcuni dei vini degustati nell’ambito di “Another brik in the wall”, potrebbero essere scambiati tranquillamente per vini in bottiglia, degni di panel di degustazione più che mai dignitosi.
Vini in brik come il bianco Castellino vanno insomma ben oltre la scaloppina da sfumare. A incidere, piuttosto, a parità di produttore, è la data di scadenza riportata sul cartone (lo chiarisce bene il caso de L’Oste e del San Gaudenzio): più è recente, più il vino conserva le proprie caratteristiche intatte (e in questo il Tavernello è imbattibile).
Caviro (qui la cronaca della nostra visita allo stabilimento) imbattibile anche dal punto di vista della comunicazione, visto che è l’unica azienda in grado di rispondere alle nostre domande sul segmento. Gli altri? Tutti in silenzio: tra un “viaggio all’estero” e “non c’è il capo” come scusa.
“Siamo da tempo riconosciuti produttori leader di vini di consumo quotidiano – commenta Benedetto Marescotti, Marketing manager del colosso forlivese – e saremo sempre impegnati su questo fronte, in quanto emanazione di una base sociale Cooperativa molto diffusa, con quasi 13 mila soci viticoltori operanti in 7 regioni italiane enologicamente vocate”.
A conferma del ruolo di leader, da Caviro ci si aspetta innovazione. “È nel nostro Dna dagli anni ’80 – risponde Marescotti – con la creazione del segmento brik, su cui manteniamo leadership e consenso”.
Tra le novità, il recente lancio delle referenze Tavernello Gold nei blend Pinot Bianco – Famoso Igt e Sangiovese Merlot Igt, cui ne seguiranno altri, nell’innovativo formato Tetra Pak Prisma 500 ml: “Molto maneggevole ed elegante grazie alla carta alluminata”, sottolinea Marescotti.
“Stiamo lanciando anche le referenze bianco e rosso Biologico – annuncia il Marketing manager di Caviro – attraverso una selezione di vini e di soci nelle regioni ove c’è maggior cultura del Bio, di per sé non facile da ottenere in vigna, con l’alternanza di stagioni climaticamente poco uniformi”.
“In altre parole – sintetizza Benedetto Marescotti – stiamo investendo sul brik, sostenendo il mercato, comunicando sempre di più e se possibile meglio le caratteristiche dei vini, che abbiamo aggiornato nel tempo più volte seguendo il cambiamento del percepito dei consumatori, perché questo segmento è acquistato con fiducia e soddisfazione”. Solo Tavernello conta oltre 5 milioni di famiglie acquirenti e ha trovato sbocco anche all’estero.
“Comunichiamo in ottica trasparente ed anche provocatoria se vogliamo, invitando i consumatori a degustare senza pregiudizio il vino nel bicchiere, perché siamo sicuri della qualità ed i feedback che riceviamo dal mercato ci confortano nelle nostre scelte”, conclude il portavoce di Caviro intervistato da Vinialsuper. Più in generale, quello del vino in brik è un segmento che pare godere di buona salute.
Lo dicono i dati Iri sull’andamento del 2019, sostanzialmente in linea col trend generale. Nell’anno che volge al termine, il segmento segna vendite in valore per 207.184.641 euro sul totale di circa 1,7 miliardi di euro del vino confezionato battuto in cassa dalla Grande distribuzione organizzata (Gdo), fino a settembre.
Le vendite in volume (136.762.315) calano dello 0,5%, ma aumentano dello 0,1% in valore rispetto al 2018. Il prezzo medio del vino in cartone è di 1,51 euro in Italia nel 2019, in crescita dello 0,6%.
Non resta che godersi la descrizione, oggettiva e super partes, dei brand di di vino in cartone reperiti nei maggiori supermercati e discount italiani. A ognuno, d’ora in poi, la scelta. Anche solo per le scaloppine.
BIANCHI
– Tavernello Vino Bianco, Caviro Sca Faenza (nelle cantine di Forlì): 1,51 euro
Giallo paglierino. Naso dalla leggera vena aromatica, floreale, frutta a polpa bianca e gialla. In bocca morbido, senza rinunciare alla freschezza. Chiude asciutto.
– San Crispino Vino Bianco, Cantine Ronco (Terre Cevico T.C. Soc. Coop. Agricola Lugo): 1,85 euro
Giallo paglierino, riflessi dorati. Più sui fiori secchi che freschi, frutta a polpa bianca. Naso e palato meno espressivi del precedente.
– “L’Oste” Trebbiano Rubicone Igt (Ca.Vi.M. Srl Ovada nella cantina di Costigliole d’Asti): 1,19 euro
Giallo paglierino. Naso convincente, espressivo, sulla frutta a polpa gialla e i fiori. Bocca inconsistente, il vino scappa via, piuttosto “slavato”.
– “San Gaudenzio” Trebbiano Rubicone Igt (confezionato da Ca.Vi.M. Srl Ovada nella cantina di Costigliole d’Asti per Md Discount): 1,19 euro
Giallo paglierino. Naso sul frutto maturo, polpa gialla sulla bianca. Pesca netta. In bocca morbido e corto, ma i ritorni di frutta matura sono precisi e il retrogusto asciutto.
– “Sorsetto” Vino Bianco (confezionato da Ca.Vi.M. Srl Ovada nella cantina di Costigliole d’Asti per Md Discount): 0,99 euro
Giallo paglierino. Al naso nota smaltata e ammandorlata. In bocca inconsistente, solo “salato”, sulle durezze.
– “Albestro” Vino Bianco (confezionato per Auchan Spa da Cierrevi Sca Faenza nelle cantine di Forlì): 1,29 euro
Giallo paglierino. Naso molto pulito, frutta bianca e gialla con leggera vena di surmaturazione. Accenni floreali. Al palato conferma le buone impressioni: finale asciutto, fruttato. Vino equilibrato.
– “Castellino” Bianco d’Italia (confezionato da C.R.V. Sca Faenza nelle cantine di Forlì): 1,99 euro
Il vino in brik più costoso. Giallo paglierino. Naso molto preciso e intenso. Frutta leggermente più matura del precedente, gialla e bianca, pompelmo. Note floreali fresche. In bocca corrispondente, preciso sulle note fruttate mature, finale asciutto e buona persistenza. Un vino davvero equilibrato e ben costruito.
– “Il” Vino Bianco (confezionato per Unes Maxi Spa da Casa Vinicola Poletti, Imola): 1,19 euro
Vino in vendita da U2 – Unes supermercati. Giallo paglierino scarico. Altro naso pulito, lineare. Meglio della bocca, dove la sola acidità connota il sorso. Chiude amaro.
– “Poggese” Vino Bianco (prodotto da Caviro Sca nella cantina di Forlì): 0,99 euro
Paglierino verso il carta. Naso di frutta a polpa bianca e gialla matura, tendente al surmaturo, non precisissimo. In bocca non pervenuto: slavato, finale asciutto. Esselunga, per una volta, bocciata in toto nel rapporto qualità prezzo.
– “Primia” Trebbiano Rubicone Igt (confezionato da G.C. Soc. Coop Agr., Lugo – Gruppo Cevico): 1,39 euro Si tratta del vino in brik realizzato in private label per Tigros. Naso pulito, solita frutta bianca e gialla. In bocca frutta matura, non del tutto corrispondente. Chiusura asciutta, piuttosto precisa.
– Vino Bianco (Lidl, imbottigliato par Cuzares Sca, prodotto in España): 0,99 euro
Giallo paglierino scarico. Naso tendente al maturo, smalto. In bocca inconsistente, con chiusura nuovamente “smaltata”. Vino in cartone da evitare senza esitazioni.
ROSATI
– “San Crispino” Rosato (Terre Cevico T.C. Soc. Coop. Agricola Lugo): 1,85 euro
Bel colore, che rispecchia quello sul cartone. Naso non molto espressivo, floreale, piccoli frutti rossi, ribes e fragolina su tutto. In bocca corrispondente. Vino che si fa bere agilmente, chiusura asciutta.
– “Albestro” Vino Rosé (Cierrevi Sca Faenza nelle cantine di Forlì): 1,29 euro
Confezionato per Auchan Spa. Naso più intenso del precedente. Ancora una volta frutta a bacca rossa, ma più matura. La nota smaltata torna anche al palato, asciutto e poco equilibrato, spostato in maniera netta sulle durezze, nel segno di una scarsa corrispondenza col naso.
– “Primia” (G.C. Soc. Coop Agr., Lugo – Gruppo Cevico): 1,39 euro
Torniamo alla private label di Tigros. Colore leggermente più carico dei precedenti. Naso su note di frutta ancora più matura. Palato ordinato, piuttosto equilibrato, su note di fragola e lampone maturi.
ROSSI
– Tavernello Vino Rosso (Caviro Sca Faenza nelle cantine di Forlì): 1,51 euro
Rosso rubino mediamente trasparente. Frutta rossa (fragole, lamponi), unita a una nota ematica, ferrosa, arancia rossa tra scorza e succo. Corrispondente al palato, chiusura asciutta e di moderata persistenza.
– “San Crispino” Vino Bianco, Cantine Ronco (Terre Cevico T.C. Soc. Coop. Agricola Lugo): 1,85 euro Colore rosso rubino carico, poco trasparente. Naso preciso, sul frutto rosso di bosco e l’agrume. Perfetta corrispondenza al palato.
– “L’Oste” Vino Merlot (Ca.Vi.M. Srl Ovada nella cantina di Costigliole d’Asti): 1,19 euro
Colore rubino più scarico dei precedenti. Naso sul maturo, piuttosto garbato, accenni verdi. In bocca non eccelle in equilibrio, per via delle durezze.
– “Bricconcello” Vino Rosso (Ca.Vi.M. Srl Ovada nella cantina di Costigliole d’Asti): 0,99 euro
Rubino trasparente. Naso sulla frutta matura, che preannuncia una certa morbidezza al palato. L’assaggio conferma le impressioni. Vino semplice ma piuttosto equilibrato, che scivola via e si lascia bere agilmente.
– “Sorsetto” Vino Rosso (confezionato da Ca.Vi.M. Srl Ovada nella cantina di Costigliole d’Asti per Md Discount): 0,99 euro
Naso sulla frutta maturo. Bocca non corrispondente, smalto e nota amara. Vino inconsistente.
– “San Gaudenzio” Vino Merlot (confezionato da Ca.Vi.M. Srl Ovada nella cantina di Costigliole d’Asti per Md Discount): 1,19 euro
Naso con poco frutto e surmaturo, sovrastato da nota verde acerba. In bocca altro vino senza consistenza e privo di equilibrio, tra note fruttate surmature e acidità.
– “San Gaudenzio” Sangiovese Rubicone Igt (confezionato da Ca.Vi.M. Srl Ovada nella cantina di Costigliole d’Asti per Md Discount): 1,19 euro
Colore rubino mediamente trasparente, più carico e luminoso del predente. Frutto rosso e agrume netto. In bocca più polpa ed equilibrio, finale giustamente asciutto, coerente.
– “Albestro” Vino Rosso (confezionato per Auchan Spa da Cierrevi Sca Faenza nelle cantine di Forlì): 1,29 euro
Rosso rubino mediamente trasparente. Smalto, goudron, frutta matura. Meglio al palato, dove la nota smaltata è attenuata dal frutto maturo. Vino che non raggiunge comunque canoni di equilibrio degustativo.
– “Castellino” Rosso d’Italia (confezionato da C.R.V. Sca Faenza nelle cantine di Forlì): 1,99 euro
Naso non esplosivo, giocato su note nette floreali di viola e di rosa, lampone, fragolina, frutta rossa in generale. La giusta morbidezza, la giusta freschezza, la giusta armonia anche in chiusura. Un vino molto equilibrato, beverino e “presente” al palato.
– “Il” Vino Rosso (Casa Vinicola Poletti, Imola): 1,19 euro
Prodotto per U2 – Unes supermercati. Rosso rubino trasparente. Frutto rosso e smalto, al naso. In bocca una spremuta di limone, con vaghi ritorni di frutta rossa matura che, in chiusura, tentano inutilmente di riequilibrare il sorso.
– “Poggese” Vino Rosso (prodotto da Caviro Sca nella cantina di Folrì): 0,99 euro
L’altra esclusiva di Esselunga. Rosso rubino trasparente. Naso esile, frutto e smalto. In bocca scappa via veloce: alla nota morbida e rotonda di frutta matura fa seguito una chiusura amara, piuttosto sgarbata. Non ci siamo, come per il bianco “Poggese”.
– “Primia” Rubicone Igt Sangiovese (confezionato da G.C. Soc. Coop Agr., Lugo – Gruppo Cevico): 1,39 euro
La private label di Tigros. Rosso rubino mediamente trasparente. Lampone, fragola, ribes, tendente al maturo. Accenno verde. Corrispondente al palato, con nota verde e amara che si ripresenta in un finale asciutto, non equilibratissimo.
– Vino Rosso (Lidl, imbottigliato par Cuzares Sca, prodotto in España): 0,99 euro
Rosso rubino mediamente trasparente. Naso garbato, frutta matura, a bacca rossa. Bocca scialba, inconsistente, fin troppo asciutta, “legnosa”, da bastoncino del ghiacciolo. Brik da brividi sulla schiena.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
EDITORIALE – Tre sommelier esperti fanno degustare alla cieca quattro vini a degli aspiranti sommelier. Unico indizio fornito: tre sono vini costosi, uno è Tavernello. In realtà si scopre che sono tutti Tavernello. Basterebbe la trama dello spot per capire quanto i tre sommelier ingaggiati da Caviro siano stati oggetto di un autogol pazzesco, giustificabile (forse) solo dal compenso offerto per girare il video, in qualità di testimonial.
Già, perché l’ultima trovata di Caviro giova solo a chi l’ha promossa: ovvero a Caviro stessa. Dopo aver usato (per alcuni ab-usato) sapientemente lo storytelling per raccontare Tavernello come il frutto del sudore dei propri conferitori (spot dell’aprile 2018, a sua volta oggetto di critiche feroci da parte dei leoni del web) il colosso di Forlì, abilissimo nel marketing, ha pensato bene di armare i sommelier. Contro i sommelier.
La mia impressione, infatti, è che il target del video non siano i consumatori – ai quali Caviro intenderebbe raccontare il Tavernello come vino buono, a dispetto del pensare comune – bensì gli stessi sommelier.
La cooperativa non lo ammetterà mai, ma sarebbe meglio parlare di un vero e proprio “bersaglio“. Una rivisitazione in salsa Tetra Pak dell’Eneide di Virgilio, da leggere in quel passaggio in cui Laocoonte avverte i Troiani: “Timeo Danaos et dona ferentes”, “Temo i Dànai anche quando portano doni”.
Grazie ai tre professionisti che hanno girato lo spot, Caviro arma il proprio cannone contro le associazioni professionali, “colpevoli” di formare nuove schiere di enofighetti che bevono etichette, più che vini. Lo fa con classe, in punta di piedi.
Mettendosi addirittura in una posizione subalterna rispetto a quella delle tre pedine, scelte come vittime sacrificali, da esporre al prevedibile fuoco incrociato di critiche e ritorsioni.
Caviro, nell’ultimo spot, si traveste dietro le quinte da vecchio saggio che gioca a scacchi davanti al camino, con la coperta di lana sulle ginocchia. Mentre fuori piove a dirotto, sulla crapa di tre sventurati.
Manda loro a dire alla sommellerie che “così non va bene, suvvia”. Tanto è vero che i tre giudici fanno la ramanzina a quelli che vengono dipinti come il prototipo dei futuri sommelier: gente che, in fondo – pare suggerire lo spot – non capisce più di tanto di vino e si fa condizionare dal prezzo e dal marketing.
A guardar bene, il video, così come è costruito, non ha altro senso logico. Ci avete pensato? In una vera degustazione alla cieca non si conosce nessuno dei vini “coperti”, tanto meno il prezzo. Il solo suggerimento che uno dei vini in degustazione possa essere Tavernello rende vano lo scopo più alto del tasting alla cieca.
Per di più, anticipare che tre dei quattro vini siano costosi, non fa altro che disorientare ulteriormente gli sfortunati degustatori. Peraltro: aspiranti sommelier di quali associazioni? Non si sa. E il punto è proprio questo.
Con la scusa di una “blind”, Caviro arma genericamente tre sommelier contro le associazioni della sommellerie italiana. Senza neppure citarle. Facendo incazzare non poco – peraltro – uno come Daniele Cernilli (affezionato uomo Ais) che ha allontanato dal panel della sua guida uno dei tre testimonial, con cui collaborava in Toscana.
Il messaggio lanciato dall’azienda del Tavernello è chiaro e più che mai condivisibile. Di discutibile, forse, c’è solo la scelta dei tre sommelier, che si sono prestati a un attacco generalizzato e banale alla sommellerie, più che al mondo dei consumatori di vino distratti dalle variabili del formato, del prezzo e del segmento di vendita.
Ma del resto si sa: a questo mondo (at)tira più un contratto da testimonial che un carro di buo…ne intenzioni super partes. E allora cin, cin. Col brik, da stappare a la (B)olé. Altro che Champagne.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
EDITORIALE – Aprile 2018. Le televisioni e il web iniziano a mettere in onda lo spot di Caviro, l’azienda che produce il famoso Tavernello. Si vedono mani sporche di terra e ragazze con “troppo trucco” e le “curve troppo al posto giusto per rappresentare contadine e vignaiole”, sostengono i benpensanti.
Uno spot fortemente criticato, che causa a Caviro l’infamante accusa di “sessismo”: tanto lapidaria da andare ormai di moda, specie tra i logorati blogger di gossip, o intra-giù di lì.
I “Tavernello guys” se ne fregano e non cambiano di una virgola la campagna pubblicitaria, lasciando in onda la versione originale (cosa per nulla scontata: pensate al Buondì Motta, o alla recente corsa ai ripari del Mamertino).
E’ passato un anno e un altro Vinitaly è ormai nel cassetto, da poche ore. Nessuno, però, si è sognato di dire la sua (criticamente) sulla presentazione della nuova campagna del Consorzio Garda Doc, avvenuta proprio tra i padiglioni di Verona Fiere, nei giorni scorsi. Eccola.
E’ titolata “The Gods and the lake” (“Gli Dei e il lago”) ed è stata presentata lunedì all’ingresso di Vinitaly, con un flashmob. C’è il Dio Nettuno, con le sue addominali. Ci sono le dee Venere e Diana, mitologicamente e ostentatamente in déshabillé. C’è il tridente.
E ci sono i calici pensati per il Trento Doc: gli Etoilé Sparkle di Italesse, opera di Luca Bini ormai evidentemente sdoganata. Lo hanno chiamato “Fashion Film“. Ed evidentemente è piaciuto a tutti. Tutti convinti dall’effettiva necessità di un simile storytelling, per raccontare una denominazione del vino.
Cinque minuti la durata complessiva. Il video è stato proiettato in tutte le piazze di Verona, in occasione della rassegna Vinitaly and The City. Su maxischermo. Pensate se l’avesse fatto Caviro: apriti cielo, a proposito di Dei. Ma non è tutto Tavernello quel che è della zona di Soave, o giù di lì. E allora God save… the Garda Doc. Cin, cin.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
CERVIA – Dal Romagna Doc Spumante Bolé Novebolle, allo spumante Metodo Classico base Viognier, passando per i vitigni resistenti (Piwi). Un mare di novità e conferme a CerviaINbolla 2018. Tutti attorno a calici ribollenti, per un evento che si è rivelato più mondano che tecnico, legato dunque al piacere di condividere il nettare di Bacco senza troppe formalità.
Ben organizzato nella suggestiva location degli storici Magazzini del sale di Cervia, l’appuntamento ha visto una buona affluenza di persone che hanno potuto assaggiare eccellenze spumantistiche da 10 denominazioni diverse. Oltre alle specialità gastronomiche custodite nei vari food corner.
Piccoli produttori ed etichette meno note ad affiancare nomi rinomati delle bollicine italiane. Presenti in degustazione a CerviaINbolla 2018 non solo spumanti, ma anche alcuni vini fermi.
I MIGLIORI ASSAGGI Conferme – e non poteva essere altrimenti – per gli spumanti di montagna. Ferrari (presente con la linea Maximum), Letrari (Brut e Brut Rosè) e Arunda (Pralien e Brut Rosè) non deludono le aspettative confermandosi produttori d’eccellenza, a partire dalle linee base.
Anche la Franciacorta si dimostra in linea con le aspettative. Antica Fratta, Villa Franciacorta, Quadra presentano prodotti senza sbavature.
Stesso discorso per l’Oltrepò pavese – ben rappresentato da Monsupello e Calatroni – e per il Veneto, dove Ruggeri sbanca la concorrenza del Prosecco col suo Valdobbiadene Superiore Docg Giustino B., vecchia conoscenza per i lettori di vinialsuper.
Interessante l’assaggio di BoléNovebolle Romagna Doc Spumante, prodotto dalla joint ventureCaviro-Cevico. Un metodo Martinotti (30 giorni) composto da un 95% di Trebbiano e un 5% di Famoso, 9 g/l di dosaggio.
Floreale e fruttato, con un tocco di frutta esotica, in bocca risulta facile e morbido pur conservando una certa vena di acidità. Un sorso piacevole e poco impegnativo, quasi sbarazzino.
Dicevamo, piacevoli scoperte. Prima fra tutte è Solatio di Tenuta la Pennita. Metodo Classico millesimo 2013, 38 mesi sui lieviti. Solo 2 mila bottiglie: 100% Viognier da meno di 2,5 ettari di vigna.
Un produzione tanto piccola da non essere neppure a catalogo aziendale. Giunto ormai alla quarta vendemmia, questo brut seduce con gentilezza. Naso intenso ma non invadente. La crosta di pane è presente, ma non sovrasta le piacevoli note fruttate.
Albicocca, pesca gialla e prugna bianca mature che si sposano a note fresche di scorze d’agrumi ed una leggera nota speziata. In bocca entra morbido per poi crescere in acidità e sapidità.
Restano impressi nella mente i due prodotti presentati da LieseleHof, cantina altoatesina già incontrata da vinialsuper durante il Merano Wine Festival 2017 e segnalata tra i migliori assaggi. Vino del passo è un bianco fermo da vitigno Piwi Solaris.
Molto complesso, avvolge il naso con note floreali, note di frutta esotica come ananas e litchi ma anche frutti bianchi come pesca, note morbide di miele ed una leggera spezia (pepe bianco). Strutturato, minerale, persistente e con una chiusura leggermente amaricante.
LieseleHof Brut è invece uno spumante metodo ancestrale con sboccatura (“metodo LieseleHof” come ci tiene a specificare la cantina, visto il lavoro di perfezionamento della tecnica). Vitigno Piwi Souvignier gris, 30 mesi sui lieviti. Fresco la naso. Lime, mela renetta, pesca gialla, lievito. In bocca è morbido e setoso con finale elegante.
Interessante la proposta di Azienda Agricola Randi. Quattro vini, due bianchi da uve Famoso (Rambela Bianca e Ramba) e due rosati da uve Longanesi (Bruson Rosè Brut e Rosa per Fred).
Rambela Bianca è un vino fresco ed immediato, frutti a polpa bianca ed agrumi al naso, secco e morbido, con chiusura amarognola del sorso. Ramba è un metodo ancestrale, velato e con buon perlage che accoglie con profumi di mela verde e macchia mediterranea. Piacevolmente fresco al sorso ha nella buona persistenza la stessa vena amaricante di Rambela Bianca.
Bruson Rosè Brut avvolge in naso con piccoli frutti rossi ed accarezza il palato con un bolla non invasiva, ma è Rosa per Fred a sorprendere. Metodo ancestrale senza sboccatura si presenta di colore carico, quasi rubino, e velato.
Naso pulito ed inteso, quasi balsamico, ricco di frutti rossi maturi ed erbe aromatiche. Sorso pieno, secco, fresco e leggermente tannico. piacevolissima persistenza. Elegante e fine l’ormai noto Pertinello Brut Blanc de Noir 2014 da uve Sangiovese.
Vincente anche il trittico presentato da Azienda agricola Nevio Scala, noto per il suo trascorso di successo nel mondo del calcio italiano. Tre vini da Garganega in purezza con raccolta e lavorazione differente ed utilizzo di lieviti indigeni.
Gargante, rifermentato in bottiglia, è fresco e bevernio con bella nota fruttata. Diletto (fermentazione in acciaio) è altrettanto fruttato con una evidente spalla agrumata. Contame è invece un macerato dai profumi più vicini alla frutta surmatura che coinvolge in bocca per la sua grande sapidità.
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Molte conferme e qualche novità caratterizzano il nuovo Consiglio d’Amministrazione di Enoteca Regionale Emilia Romagna. Nel corso della prima seduta del CdA avvenuta nei giorni scorsi (n.d.r. giovedì 24 maggio, mentre le elezioni ci sono state martedì 15 maggio), Pierluigi Sciolette è stato confermato alla presidenza per il secondo mandato consecutivo. Sciolette è in carica dal 2014 e rimarrà per i prossimi 4 anni, fino a maggio 2022, alla guida dell’Ente regionale incaricato di promuovere e valorizzare il patrimonio vinicolo emiliano romagnolo in Italia e nel Mondo.
Riconfermati anche i due Vice Presidente, Paola Frabetti di Unioncamere Emilia-Romagna e Giordano Zinzani del Consorzio Vini di Romagna, e gran parte del Consiglio d’Amministrazione, a dimostrazione che l’operato intrapreso da Enoteca Regionale Emilia Romagna in questo ultimo quadriennio è stato valutato positivamente dalla maggior parte dei 206 Soci di Enoteca Regionale. Soci che rappresentano l’84,7% della produzione di vino DOC imbottigliato in Emilia Romagna (601.501 hl su un totale regionale di 710.212 hl) e il 70% della produzione di vino IGT imbottigliato (1.079.811 hl su un totale regionale di 1.528.842 hl).
«Per la vitivinicoltura dell’Emilia Romagna, Enoteca Regionale rappresenta una realtà molto importante in quanto ha il compito di organizzare e gestire un comparto di altissimo valore economico. Il vino è una delle attrattive principali della nostra regione, in grado di promuovere anche il turismo e le eccellenze gastronomiche – sottolinea il Presidente Sciolette – In questi ultimi anni l’autorevolezza e la reputazione dei nostri vini in Italia e nel Mondo è cresciuta grazie agli sforzi congiunti di Enoteca e dei tanti produttori nostri Soci, con i quali condividiamo obiettivi e strategie comuni, all’insegna della trasparenza e dell’innovazione».
Conclude Sciolette: «Per il prossimo quadriennio, nel quale avrò ancora l’onore di essere Presidente, Enoteca Regionale ha importanti obiettivi da realizzare, proseguendo lungo il solco tracciato negli anni precedenti, fra attività di comunicazione e di promozione internazionale, ma anche di ricerca e sviluppo in un’ottica di sostenibilità ambientale, sociale ed economica, per rispondere sempre più alle esigenze mutevoli del mercato vitivinicolo».
Oltre al Presidente Sciolette, fanno parte del nuovo Consiglio d’Amministrazione: Sante Baldini del Consorzio Tutela Vini DOC Bosco Eliceo (FE), Claudio Biondi del Consorzio Marchio Storico dei Lambruschi Modenesi, Francesco CavazzaIsolani dell’Azienda Cavazza Isolani e del Consorzio Vini Colli Bolognesi (BO), Anselmo Chiarli di PR.I.VI. (MO), Enrico Drei Donà della Tenuta La Palazza (FC), Massimiliano Fabbri dell’Azienda Agricola Trerè (RA), Andrea Ferrari di Monte delle Vigne (PR); Davide Frascari, del Consorzio Vini Reggiani, Paola Frabetti di Unioncamere Emilia-Romagna, Massimo Lorenzi dell’Azienda Ottaviani (RN), Marco Nannetti del Gruppo Cevico (RA), Gianfranco Rossi di Casabella srl (PC), Roberto Sarti di Caviro (RA), Giordano Zinzani del Consorzio Vini di Romagna (RA). Per un totale di 15 consiglieri.
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C’è una parte (cospicua) di mondo del vino italiano (commentatori, esperti, presunti tali, simpatizzanti e produttori, convenzionali e non) che è convinta che il Tavernello sia una specie di spremuta di merda prodotta da stronzi in dissenteria cronica. Un giorno si sono svegliati e, non sapendo che altro fare, hanno iniziato a produrre vino in brik per i supermercati.
E’ a tutta questa fetta di pubblico italiano che parla il nuovo spot del Tavernello. Un’idea di Lorenzo Marini Group, l’azienda pubblicitaria che ha convinto maggiormente Caviro tra le quattro in “gara” a inizio anno.
Della pianificazione della campagna pubblicitaria, in onda da domenica 8 aprile in tv, sulla carta stampata e sui mezzi di comunicazione digitale, si occupa invece Media Italia.
Due agenzie di grido, insomma. Perché è un “grido” che lancia Caviro. Che tenta con questo spot un riposizionamento concettuale – quasi filosofico – del brand. La risposta (pacata) del gigante a tante formichine insolenti.
E il vero scandalo è proprio questo. Ovvero che una Cooperativa da 300 milioni di fatturato debba investire denaro per spiegare a qualcuno che non sta vendendo merda, o veleno. Ma vino. “Vino vero”. “Il prodotto della fermentazione alcolica di mosto d’uva”, come insegnano ai ragazzini delle scuole alberghiere, o ai corsi sommelier.
Caviro deve difendere, attraverso uno spot, il prodotto che l’ha resa la prima cantina italiana nel mondo: il Tavernello. Frutto del lavoro di 13 mila viticoltori, che arriva sulle tavole di 4 milioni di italiani.
E allora ecco che questo, più che uno spot, pare tanto una preghiera. Un inno al rispetto non tanto del brand, o del vino in sé, col marchio Tavernello – che sia in brik o in bottiglia – ma chi ci sta “dietro”.
Un inno al rispetto di chi “lavora la terra”. Un inno a chi la “coltiva, pota le viti e raccogliere i suoi frutti”. Un inno a chi “controlla gli acini, aspetta la pioggia se non arriva” e si “brucia la pelle se c’è troppo sole”. Perché la Cooperativa paga per la qualità dell’uva conferita. E allora è meglio fare un buon lavoro in vigna.
Un inno al rispetto di chi, orgogliosamente, lavora per Caviro e per il suo indotto. Non è un’iperbole, per tutta questa gente, parlare di Tavernello come di un “vino che fa battere il cuore”, o che “gonfia il petto” e “non ti fa sentire mai stanco”. Per tutte queste famiglie, il Tavernello, è davvero un motivo “orgoglio”.
“Quello che tu trovi semplice, noi lo troviamo difficile”, recita la prima frase dello spot, in apertura di quello che la stessa Caviro descrive come uno “storytelling emotivo“. Una vera e propria chiamata alla riflessione. Per superare le facili ironie che, quasi quotidianamente, vedono Tavernello protagonista.
Il gigante, così, fa un passo indietro. E mostra le sue 13 mila facce. Deridere il vino in brik vuol dire prendersi gioco di tutti loro. Di chi si sveglia quotidianamente per produrlo. Dalla vigna ai laboratori enologici. Vuol dire deridere le anime di 30 cantine della galassia Caviro. E un interno team di enologi, tra i migliori al mondo.
Una squadra che, nello stabilimento di Forlì, effettua campionature e assaggi alla cieca con cadenza pressoché settimanale, per garantire la continuità del gusto di un prodotto che non vuole esprimere tipicità, ma piuttosto semplicità e memoria gusto-olfattiva.
Quello di Caviro, con Tavernello, è un altro modo di concepire il vino. Lo stesso utilizzato per altri prodotti, come per esempio il caffè. Andate al supermercato e dirigetevi nella corsia dedicata. Cercate tra i tanti caffè uno dei più amati dagli italiani: il Lavazza Qualità Rossa.
Fatto? Girate la confezione e leggete cosa c’è scritto nell’angolo, in basso, a destra. Vi aiutiamo noi: “Al fine di mantenere la perfetta costanza del gusto, l’origine geografica del caffè può variare a seconda delle caratteristiche annuali del raccolto”.
Nulla di più normale. Per chi punta a produrre un prodotto “standard”, la regola numero uno è la continuità del gusto. Una continuità organolettica che il Tavernello garantisce da Milano a Palermo, da New York a Hong Kong. Ma non attraverso chissà quali aggiunte chimiche vietate, o magheggi enologici di laboratorio.
Il segreto del gusto “standard” di Tavernello sono i 30 territori delle 30 cantine da cui può attingere Caviro per la produzione del suo vino simbolo. Un puzzle di vigneti situati da Nord a Sud Italia, da dove poter pescare uve qualitativamente atte a garantire il medesimo risultato. Di anno in anno. E di vendemmia in vendemmia.
Immaginate di avere a disposizione uve da tutto il Paese per produrre il vostro vino: usereste anche voi quelle migliori, raccogliendole dai territori dove il clima ha garantito le perfette condizioni di maturazione. Questo è Tavernello. Semplicemente questo.
E allora ecco di seguito il testo dello nuovo spot, dedicato a tutti quelli che nei bar social, dall’8 aprile, si sono sono lasciati andare alle solite, facili, ritrite ironie.
Troviamo duro lavorare la terra con tutto il rispetto che merita. Troviamo duro coltivare, potare, tagliare e raccogliere i suoi frutti. Troviamo duro selezionare le viti, controllare gli acini, aspettare la pioggia se non arriva, bruciare la pelle se c’è troppo sole.
Siamo in tredicimila, raccogliamo il nostro lavoro in 30 cantine, in tutto il paese. Dalla creatività della primavera alla generosità dell’autunno. Senza mai risparmiare sul tempo. Che un vino nasce dalla generosità. Ma anche dall’orgoglio. Quello che ti fa battere il cuore, che ti gonfia il petto, che non ti fa sentire mai stanco.
Quello che ti fa diventare il più grande produttore italiano di vini, che ti fa portare nelle tavole di tutta Italia un vino vero, un vino forte, un vino di casa.
Dalle nostre cantine nasce questo sangue della terra color rubino. Morbido come il velluto e buono come il pane. Semplice come il vento e armonioso come un canto. Forte come l’amore. Ma quello che tu trovi semplice, per noi non è cosi facile. Noi di Caviro, la più grande cantina d’Italia. Tavernello. Semplice non vuol dire Facile.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
FAENZA – “Bollicine e territorio: la Romagna si muove e chiama l’Unione Europea”. Questo il titolo dell’incontro alla Fiera di Faenza domani, lunedì 26 febbraio, alle 20.30.
La serata chiama a raccolta tutto il mondo vitivinicolo della Romagna con particolare riferimento ai produttori di sparkling wine.
Secondo i dati del Consorzio Vini di Romagna lo scorso anno sono stati imbottigliati 5,4 milioni di bottiglie di vini frizzanti Igt con indicazioni romagnole, 900 mila di spumanti sempre Igt, inferiori sono stati i numeri per i vini a denominazione di origine controllata (Doc Romagna): 12mila bottiglie frizzanti, e 38mila spumanti.
Il trend pare destinato a crescere ancora di più, all’orizzonte poi c’è l’aggiornamento della Romagna Doc Spumante. Un progetto (criticato da associazioni come Fivi, la Federazione italiana Vignaioli indipendenti) che nasce “dall’esigenza di traguardare la viticoltura romagnola nei prossimi 20 anni, cercando di generare valore aggiunto attraverso una qualificazione dei disciplinari”.
Sempre secondo il Consorzio, lo spumante Romagna Doc favorirebbe “un forte impegno nell’innalzamento qualitativo delle produzioni e un altrettanto forte impegno nella capacità di intercettare i trend ed i mercati, nazionali ed esteri, maggiormente remunerativi per i produttori”.
Un pensiero rivolto sopratutto alle varietà autoctone, con la seconda fase che dovrà essere dedicata al Sangiovese di collina. Il progetto è promosso dal Consorzio Vini di Romagna con tutti i produttori impegnati a livello di Consiglio di amministrazione, commissioni tecniche e valorizzazione, in stretta sinergia con il coordinamento vino di Alleanza Cooperative Agroalimentari.
Non è un caso, appunto, che all’incontro a Faenza prendano parte i principali protagonisti del mondo vitivinicolo della Romagna e non solo: Paolo De Castro (nella foto) Vice presidente della Commissione agricoltura del Parlamento europeo, Stefano Bonaccini Presidente della Regione Emilia Romagna, Simona Caselli Assessore regionale all’Agricoltura.
Al convegno “Bollicine e territorio: la Romagna si muove e chiama l’Unione Europea” parteciperanno anche Ruenza Santandrea Coordinatrice settore vino Alleanza Cooperative Agroalimentare, Carlo Dalmonte Presidente Caviro, Marco Nannetti Presidente Terre Cevico, Giordano Zinzani del Consorzio Vini di Romagna, Mauro Sirri delle Cantine Celli di Bertinoro. Coordina la serata Antonio Farnè, caporedattore del Tg3 Emilia Romagna.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Anche Golia ha un cuore. E batte slow. Very slow. Il gigante romagnolo del Tavernello, lo stesso capace di imbottigliare 2 milioni di ettolitri di vino l’anno, si avvale di due enologi attivisti di Slow Food e Slow Wine.
Il gigante in questione di nome fa Caviro, leader indiscusso del mercato nazionale del vino al supermercato. Tra i primi dieci al mondo per fatturato, con 304 milioni di euro. Nulla a che vedere con la Chiocciola di Carlo Petrini? Solo in apparenza. Pietro Cassani e Giacomo Mazzavillani (nella foto, sotto), rispettivamente responsabile del laboratorio enologico e del processo di lavorazione vino alla Caviro di Forlì, sono lì a dimostrare il contrario.
Il volto meno conosciuto della più grande cooperativa agricola italiana. Un impero fondato sui numeri, ma anche sulla qualità. “La costanza nella riconoscibilità dei nostri prodotti sul mercato – spiega Giordano Zinzani, responsabile Normative e Tecniche Enologiche di Caviro – è per noi il primo sinonimo di qualità, che riusciamo a garantire grazie al confronto trentennale con i nostri conferitori di uve e al lavoro dei nostri enologi. Un aspetto che ci viene riconosciuto da 7 milioni e 200 mila famiglie consumatrici in Italia”.
“I nostri standard qualitativi – precisa Zinzani – sono dettati da frequenti panel di assaggio dei prodotti dei nostri competitor internazionali. A livello operativo, invece, stimoliamo le 34 cantine conferitrici, situate da nord a sud del Paese, con un sistema di liquidazione che invogli a fare sempre meglio in vigna, di vendemmia in vendemmia”.
Tredicimila i viticoltori che fanno parte della famiglia Caviro, in sette regioni d’Italia. Trentasette mila gli ettari di vigneti lavorati, in totale. Tradotto: la cooperativa romagnola produce, da sola, l’11% dell’uva italiana. E’ grazie a questa grande disponibilità che i blend Tavernello riescono ad essere sempre uguali negli anni. “Riconoscibili dal consumatore”, per dirla con Zinzani.
Un puzzle, anzi la sintesi, “del meglio della produzione annuale dei vigneti dei conferitori”, assemblati da uno staff di 6 enologi (cinque di stanza a Forlì, uno a Savignano sul Panaro, nei pressi di Modena), tre analisti di laboratorio e quattro impiegati all’Assicurazione qualità.
“Il numero degli enologi, in realtà – spiega Giordano Zinzani – si aggira sulla cinquantina. I primi controlli vengono effettuati dalle nostre cantine associate, in loco. Le uve arrivano a Caviro già vinificate, secondo i rigidi parametri dettati ai viticoltori. Solo in questa fase, si assiste all’intervento diretto del nostro personale, che degusta e testa i campioni e li assembla, dopo aver identificato il blend più consono alle esigenze del mercato di riferimento, che sia italiano o estero”.
Altra faccia della medaglia, la produzione di vini a Indicazione geografica tipica (Igt) e a Denominazione di origine controllata (Doc), “in cui – commenta Zinzani – puntiamo a garantire, valorizzare e conservare la tipicità dei singoli territori”.
LE UVE CAVIRO: IL SISTEMA DI LIQUIDAZIONE
Dal Friuli Venezia Giulia arrivano principalmente Merlot, Cabernet, Refosco, Pinot Grigio, Glera, Chardonnay e Sauvignon (una cantina associata, 1790 ettari). Dall’Emilia Romagna Sangiovese, Lambrusco (principalmente Sorbara), Merlot, Ancellotta, Trebbiano, Chardonnay, Albana e Grechetto Gentile (14 cantine, 19.002 ettari). Dalla Toscana giungono Sangiovese, Brunello, Merlot, Trebbiano e Vermentino (2 cantine, 1.090 ettari).
Dall’Abruzzo Montepulciano, Trebbiano, Pecorino e Chardonnay (9 cantine, 8.218 ettari). Dalla Puglia Primitivo, Negroamaro, Malvasia Nera, Nero di Troia, Chardonnay, Bombino e Verdeca (3 cantine in Salento, 922 ettari). Dalla Sicilia, infine, Nero d’Avola, Syrah, Grillo, Catarratto, Inzolia e Grecanico (6366 ettari, una cantina: la Petrosino di Trapani, seconda per dimensioni in Italia solo a Settesoli).
Uve che hanno un prezzo. Di fatto, è sul terreno della liquidazione dei conferitori che si gioca una delle partite più importanti per Caviro. “Di anno in anno, verso dicembre – spiega Giordano Zinzani – la cooperativa stabilisce un budget per i vini. Viene stabilito un minimo garantito, che viene corretto in base alla conformità agli standard richiesti”.
Le sorti dei viticoltori è delle cantine associate a Caviro sono nelle mani di uno staff di enologi che si riunisce una volta alla settimana, a Forlì. “Tutte le singole partite – evidenzia Zinzani (nella foto) – sono valutate in funzione della qualità specifica di quel campione. Ogni ritiro viene catalogato e degustato da una commissione composta dagli enologi Caviro e da quelli delle stesse cantine associate. Degustazioni che, ovviamente, avvengono alla cieca, sulla base di schede di valutazione Assoenologi, con punteggio in centesimi. Questo punteggio, assieme alla rispondenza dei caratteri analitici, contribuisce alla modifica del prezzo base garantito ai soci”.
Raffaele Drei, presidente della Cooperativa Agrintesa, non ha dubbi. “Oggi Agrintesa è il socio più grande della compagine sociale Caviro e tramite il Consorzio colloca direttamente al consumatore una quota importante del proprio vino. Siamo fortemente impegnati e interessati alla crescita sia come quota di mercato che come modello di filiera vitivinicola integrata”.
“I fattori di successo per i soci Caviro sono stati ben delineati dai direttori delle Cantine intervenuti all’ultimo incontro con la base sociale: Cristian Moretti, direttore generale Agrintesa, Roberto Monti, direttore della Cantina Sociale Forlì e Predappio, Fabio Castellari, direttore della Cantina Sociale Faenza. Tutti hanno sottolineato, come comuni denominatori di crescita e sviluppo, l’avanguardia qualitativa per una buona liquidazione dei soci, l’innovazione e la capacità di differenziare”.
Rispetto alle zone più lontane dalla “base”, ai soci viene riconosciuta una cifra che si aggira attorno ai 35 centesimi al litro. Per i viticoltori dell’Emilia Romagna, si sale sino a 45 centesimi con il Lambrusco. I picchi si toccano con i vini Igt, 60 centesimi al litro, e a Denominazione di origine controllata, valutati in media fino a 1 euro. Cifre che Zinzani snocciola senza timore.
“Fra i principali tratti vincenti – aggiunge Raffaele Drei – sono stati individuati la concentrazione e specializzazione dei centri di vinificazione, la capacità di realizzare velocemente progetti di produzione per vini con caratteristiche diverse e una buona integrazione di pianura e collina. Per i soci di Caviro è di fondamentale importanza poter ragionare in una logica di mercato fatta anche di liquidazioni differenziate su molteplici variabili, come lo stabilimento, l’area di produzione, le giornate di conferimento e l’effettiva qualità. Merito anche di una base sociale caratterizzata da coesione e ricettività, aperta a un ricambio generazionale in grado di garantire uno sguardo sul futuro”.
IL TOUR E che Caviro sia proiettata al futuro, lo si capisce al primo sguardo dello stabilimento di Forlì. Dall’esterno, gli 82 serbatoi del sito produttivo di via Zampeschi 117 offrono bene l’idea delle dimensioni del business della cooperativa, con i loro 340.578 ettolitri di capacità complessiva. All’interno, altri 133 “silos” contenenti vino, per un totale di 126.670 ettolitri. Caviro, per chi non l’avesse capito, è questo, prima di tutto: una delle maggiori cantine italiane, con serbatoi per un totale di 467.248 ettolitri complessivi. E’ qui che staziona il vino prima delle chiarifiche e delle filtrazioni, che anticipano la stabilizzazione.
Centonovantaquattro milioni di litri le vendite a volume del colosso romagnolo nel 2016, suddiviso tra i brand Tavernello, Castellino, Botte Buona, Terre Forti, Romio, VoloRosso, Salvalai, Cantina di Montalcino, Da Vinci, Leonardo, Monna Lisa e Cesari. Export in 70 Paesi. Due le linee per l’imbottigliamento. Quella nuova, inaugurata a settembre dello scorso anno, ha una velocità di 18 mila bottiglie l’ora. La più vecchia risale agli anni ’90 ed è ancora in funzione, anche se in fase di ammodernamento.
In quest’area dello stabilimento, il prodotto finito viene movimentato su pallet da veri e propri robot. “Le chiamiamo navette – precisa l’enologo Pietro Cassani, che guida il tour -. Si muovono autonomamente su percorsi prestabiliti del magazzino di stoccaggio e sono solo uno degli aspetti all’avanguardia del sito produttivo di Forlì”. In uno degli angoli dello stabile, di fatto, sembra aprirsi una porta temporale sul futuro. Roba da farti sentire – almeno per un attimo – un po’ come Donny Darko, alle prese col suo coniglio gigante.
Un magazzino da 10 mila posti pallet completamente robotizzato, col quale alcune catene della Grande distribuzione (o, meglio, i loro Ce.Di, i centri distributivi delle varie insegne) hanno la possibilità di connettersi via web, emettendo ordini che vengono indirizzati direttamente a una delle 14 “ribalte” del magazzino, in base alla destinazione. Ti pizzichi la guancia mentre osservi quel braccio meccanico, senza il minimo controllo umano, andare a pescare proprio quel pallet, lassù.
La voce dell’enologo Cassani, Cicerone per un giorno, ti riporta alla realtà, poco più in là. Davanti alle bobine di Tetra Pak pronte per la sterilizzazione, prima di essere riempite di vino in impianti simili a quelli utili per “inscatolare” latte. Guardi in faccia i dipendenti uno ad uno, credendo che all’improvviso salti fuori Michael J. Fox. Aguzzi le orecchie per sentire qualcosa d’altro (che so? Johnny B. Good, per restare in tema).
Ma il suono, sottile e monotono, è quello della catena di montaggio dei brik di Tavernello. L’unico elemento che, nel suo piccolo, ricorda quella chitarra rosso fiammante. Altro che quattro quarti. Qui si gira al ritmo di 7-8 mila pezzi l’ora, su un totale di 10 linee. Vino in brik pronto per il consumo, “senza pastorizzazione, bensì con filtrazione sterile”, tiene a precisare Cassani. L’enologo del rock’n’roll di Caviro.
Prima di raggiungere i laboratori d’analisi, dove l’intero staff è all’opera sugli ultimi campioni giunti allo stabilimento, ecco l’unica zona inattiva del magazzino: quella per il confezionamento dei “Bag in Box” da 3 e 5 litri, destinati sopratutto al mercato francese. La grandeur. Come formato, s’intende. Biensûr.
IL FENOMENO TAVERNELLO Italiana, italianissima, anzi romagnola (se no si offende), l’inclinazione (linguistica) di Elena Giovannini (nella foto). “L’upgrade qualitativo dei prodotti – commenta la responsabile Marketing Daily di Caviro – è stato uno degli obiettivi perseguiti dalla nostra azienda sin dal 1983, anno in cui abbiamo dato vita al vino in brik. Inizialmente era soltanto Sangiovese o Trebbiano. Poi, chiaramente, i volumi venduti erano talmente elevati che il sourcing non era più sufficiente a coprire la richiesta. I due vitigni sono ancora parte fondamentale dei nostri blend, vino bianco e vino rosso d’Italia”.
Cosa caratterizza questa marca? “Il fatto di garantire uniformità di gusto e una costanza negli anni – replica Giovannini – un grande pregio per i nostri consumatori”. Chi sono? “Il target è ben definito: è chiaro che si parla di quotidianità, ma anche di garanzia di un certo standard qualitativo”. La diversificazione dell’approccio al mercato del vino da parte dei consumatori, anno dopo anno, ha convinto tuttavia Caviro ad allargare la proposta di referenze, riunite sempre sotto lo stesso marchio.
“Nel 2010 lanciamo i frizzanti bianco e rosato – ricorda Elena Giovannini – come naturale prosecuzione della marca generica Tavernello, sempre a base delle nostre cantine sociali socie. Successivamente il lancio dello Chardonnay e, per la prima volta, vini di provenienza siciliana come il Syrah Cabernet: per la prima volta inseriamo vini di provenienza siciliana. Fino ad arrivare alla prima Doc che è il Pignoletto, proveniente dalle colline di Imola. Un vino non molto conosciuto fuori dai confini regionali, che noi abbiamo contribuito a distribuire sul mercato”.
“Facile dunque intendere come sul mercato internazionale il ‘Red blend’ Tavernello giochi un ruolo fondamentale – evidenzia la responsabile Marketing Daily di Caviro – dato che i tanti vitigni italiani non sono semplici da conoscere e da scegliere, per il consumatore straniero. Red blend, dunque, come sintesi della qualità italiana. Ovviamente abbiamo bene in mente qual è il nostro mestiere e il consumatore al quale vogliamo parlare, sia in Italia sia all’estero. E di conseguenza sviluppiamo prodotti adatti a quel tipo di esigenza: quella quotidiana”.
Un’azienda, Caviro, capace di rispondere col Pignoletto al fenomeno Prosecco. Un botta e risposta che lega il vitigno emiliano a quello veneto, anche dal punto di vista dialettico-ampelografico: Glera-Prosecco, Grechetto Gentile-Pignoletto. Inutile precisare che Caviro produca anche il re delle bollicine Charmat, grazie alle rinnovate sinergie con la Viticoltori Friulani La Delizia, in seguito all’inaugurazione della nuova sede di Orcenico Inferiore di Zoppola, il maggiore polo per la spumantizzazione del Friuli Venezia Giulia.
Tra i blend in degustazione segnaliamo, su tutti, il Trebbiano – Pinot Bianco Rubicone Igt 2016. Un mese e mezzo di legno per il Trebbiano, il resto acciaio. Altro vino dall’ottimo rapporto qualità prezzo al supermercato, tra i varietali, il blend tra Sangiovese e Merlot.
GLI ALTRI SEGMENTI DEL BUSINESS
Caviro, in realtà, non significa solo vino. La cooperativa romagnola è un vero e proprio universo circolare. “Il nostro modello di business – commenta Giordano Zinzani, tra l’altro presidente del Consorzio Vini di Romagna – è tale da iniziare in vigna per poi tornarci, con uno scarto sulla produzione quantificabile in un risicato 1%”.
Oltre al vino, la cooperativa romagnola è leader in Italia nel settore distilleria. Una diversificazione che consente a Caviro di inserirsi nel mercato dei farmaci, con la produzione – su tutti – di acido tartarico e delle “basi” alcoliche già addizionate di mentolo per il colluttorio Listerine, commercializzati dall’altro colosso Johnson & Johnson.
“In Francia vendiamo molti alcoli destinati alle liqueur d’expedition degli Champagne”, rivela Zinzani. Non ultimo il business del recupero degli scarti dell’attività di vigna, che consente a Caviro di produrre – oltre a derivati farmaceutici, alimentari e agronomici – anche energia.
Quella prodotta dal sito produttivo di via Zampeschi 117 sarebbe in grado di illuminare a giorno l’intera città di Forlì (120 mila abitanti). Energia che si tramuta in compost e fertilizzanti, chiudendo il cerchio col loro ritorno nelle vigne italiane dei soci. E allora tutto questo è slow, very slow o rock ‘n’ roll? Ai posteri l’ardua sentenza.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
“Drinktec sarà l’occasione per portare l’eccellenza storica di SIMEI, organizzata da Unione Italiana Vini dal 1963, all’interno di un contesto internazionale che consentirà alle nostre aziende di crescere ancora”.
Antonio Rallo, presidente di Unione Italiana Vini, fa il punto su SIMEI, la più importante fiera delle tecnologie per enologia e imbottigliamento che si svolgerà dall’11 al 15 settembre 2017 a Monaco di Baviera, in partnership strategica con Drinktec, fiera leader mondiale del liquid food e beverage. La macchina organizzativa della 27esima edizione è già a pieni giri per dare vita ad un’edizione che si preannuncia sempre più all’insegna dell’innovazione e della sostenibilità, con un respiro ancora più globale.
“Drinktec – aggiunge Rallo – sarà un evento che permetterà ai nostri espositori di esplorare mercati diversi e altri settori del beverage, grazie alla possibilità di raggiungere visitatori nuovi e buyer trasversali. Il pubblico abituale di Drinktec, invece, potrà conoscere i nostri operatori che da sempre si distinguono come nessun altro nell’ambito delle tecnologie dedicate alla filiera vitivinicola”.
“Sarà anche un’importante occasione formativa – evidenzia Rallo – grazie ai convegni e ai workshop in programma, che faranno dialogare rappresentanti dell’industria, del mondo accademico e delle istituzioni internazionali come il CEEV (Comité Européen des enterprises vins), l’OIV (Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino), il CERVIM (Centro di Ricerca, Studi e Valorizzazione per la Viticoltura di Montagna), la Stazione Sperimentale del Vetro, l’associazione francese di produttori di superalcolici Spirits Valley, sulle tematiche più significative del comparto e su uno dei temi prioritari di questa edizione: la sostenibilità”.
L’ESPOSIZIONE, I PROTAGONISTI A SIMEI Drinktec l’eccellenza produttiva e l’innovazione in fatto di macchine e attrezzature del comparto si potranno toccare con mano esplorando gli oltre 20 mila metri quadrati dedicati all’esposizione.
Sarà possibile scoprire, come confermano cinque grandi produttori italiani che non mancheranno a questa edizione 2017, soluzioni tecnologiche estremamente innovative dedicate alla viticoltura, delle quali l’Italia è leader mondiale.
“A SIMEI trovi sempre ciò che cerchi in tema di innovazione e processi – racconta Ernesto Abbona, presidente di Marchesi di Barolo -. Soluzioni inaspettate, frutto della genialità dei nostri imprenditori e ricercatori, che nemmeno immaginavi esistessero. Essere a Monaco sarà un’ottima occasione sia per noi, che potremo ampliare il nostro territorio a livello di vendita, sia per le aziende espositrici, che si faranno conoscere in nuovi mercati. Un’occasione unica di cui potremo beneficiare tutti, perché il benessere di un’azienda del territorio favorisce il benessere del territorio stesso, con ricadute positive ad ogni livello”.
“Ho partecipato a tutte le edizioni sin da bambino e oggi ritorno con i miei dipendenti e i tecnici – aggiunge Quirico Decordi, presidente della Vinicola Decordi. SIMEI mostra un panorama completo del meglio della tecnologia esistente in campo vitivinicolo. La concomitanza con Drinktec rinnoverà il successo dell’evento e lo porterà all’attenzione di nuovi potenziali clienti e mercati, in attesa che torni in Italia nel 2019. SIMEI è, infatti, una fiera che sentiamo molto nostra e, non a caso, i produttori top sono italiani”.
“SIMEI è l’unica fiera dove le macchine sono fisicamente esposte, cosa che permette di verificarne e testarne il funzionamento e l’operatività – commenta Domenico Zonin, presidente di Zonin 1821.Certamente si tratta di un’operazione molto onerosa a carico degli espositori ripagata però, senza dubbio, dall’impatto e dalla ricaduta che un grande evento come questo può generare. Essere a Monaco permetterà agli espositori di confrontarsi con un pubblico ancora più internazionale e di implementare l’export”.
“SIMEI è un motivo di orgoglio italiano: se l’Italia, negli ultimi anni, ha perso terreno in diversi settori strategici, questo non è successo nel campo della tecnologia enologica, dove il nostro Paese primeggia – spiega Sergio Dagnino, direttore generale di Caviro. Noi saremo lì per aggiornarci, vedere quali sono i trend e capire se c’è qualche innovazione da implementare in tempi brevi. Essendo in concomitanza con Drinktec, i visitatori riusciranno ad ottimizzare il loro tempo e gli espositori potranno sfruttare una vetrina che consentirà loro di metter piede anche in territori diversi, andando a solleticare, magari, i concorrenti di beverage e birre”.
“E’ essenziale esserci per sviluppare contatti, ma soprattutto per conoscere il nuovo, perché non c’è niente di peggio del pensare di essere arrivati – sottolinea Lamberto Frescobaldi, presidente di Marchesi de’ Frescobaldi. Bisogna essere umili e andare con tutto l’interesse possibile per portare a casa nuove idee che spingano a un continuo miglioramento. SIMEI è da sempre una fiera di altissimo livello, quindi siamo certi che Monaco, col suo baricentro internazionale, possa stimolare ancora di più la fantasia e dare stimoli nuovi, essenziali per continuare e ripartire alla grande”.
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(4 / 5) Pluripremiata a livello nazionale per i prodotti destinati al mercato horeca, Fattoria Alois propone in qualità di imbottigliatore una linea di vini campani per la Gdo, appoggiandosi per la distribuzione a Caviro, la cooperativa emiliana del Tavernello (progetto Dalle Vigne). E lo fa con buoni risultati.
Sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper finisce oggi la Falanghina Campania Igt Strangolagalli 2016, messa in bottiglia da Fattoria Alois Azienda Agricola Srl nello stabilimento di via Ragazzano, località Audelino di Pontelatone, in provincia di Caserta. Il vino si presenta di un giallo paglierino intenso, con riflessi dorati. Al naso è intensa, aromatica. Le note floreali fresche di ginestra e macchia mediterranea si mescolano piacevolmente a quelle fruttate (pera su tutte, ma anche banana).
Un olfatto che rivela una componente “minerale” importante, poi confermata da un palato sapido. In bocca, la Falanghina Strangolagalli svela un’acidità sostenuta, che gioca a rinfrescare la beva e a chiamare – assieme alla percezione di soluzione salina – il sorso successivo. Un vino decisamente secco, di alcolicità moderata (12.5%) ma comunque capace di scaldare e stuzzicare il palato, anche grazie a una chiusura agrumata, ravvivata da una spruzzata di polvere di zenzero ed anice. In cucina, perfetto l’abbinamento della Falanghina Strangolagalli ad antipasti leggeri e primi a base di frutti di mare. Un vino che si adatta bene anche a minestre o zuppe di verdura.
LA VINIFICAZIONE
La Falanghina è un uvaggio autoctono della Campania, che negli ultimi anni si sta imponendo sul mercato in maniera dinamica, proponendo versioni spumantizzate accattivanti. Strangolagalli è invece la versione ferma: quella fedele alla tradizione. Per mantenere e dare risalto agli aromi tipici del vitigno, la vinificazione avviene in maniera classica, con l’utilizzo dell’acciaio.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Viticoltori Friulani La Delizia, la più grande cantina del Friuli Venezia Giulia, raddoppia nell’anno del suo 85° anniversario dalla fondazione. Ieri, 19 agosto, l’apertura della nuova area produttiva di Orcenico Inferiore di Zoppola. La struttura, unita alla sede storica di Casarsa della Delizia, che rimarrà pienamente operativa, ha portato alla nascita del più grande polo per la vinificazione e spumantizzazione dell’intero Friuli Venezia Giulia. Che diventa così uno dei maggiori d’Italia. “La logica con cui si è sviluppato questo nuovo sito – ha spiegato il presidente Flavio Bellomo, di fronte a un nutrito pubblico, tra cui quasi tutti i 450 soci della cantina – è stata quella di affrontare nell’immediato le esigenze produttive e logistiche conseguenti a questi anni di crescita, ma è una logica legata anche ad una visione a medio e lungo termine, cercando di predisporre il tutto per uno sviluppo razionale e organico che può avvenire nei prossimi anni. Questo nuovo stabilimento – ha proseguito Bellomo – deve essere un punto di partenza per costruire il nostro futuro, fedeli alle radici del nostro passato che ha come punti di forza la produzione di vino di qualità che racconta il territorio friulano in cui nasce e la presenza nei mercati esteri”.
L’ESPANSIONE Dai pionieri di 85 anni fa (era il 7 maggio 1981 quando settanta viticoltori decisero di unire le forze in una cooperativa che gli permettesse di dare un futuro stabile alle proprie famiglie) si giunge ai 450 soci attuali, le cui vigne coprono un territorio che va da Pordenone fino a Cervignano del Friuli. L’allora Cantina Sociale Cooperativa Destra Tagliamento – questo il nome assunto agli esordi – è stata capace di superare la Seconda guerra mondiale, nella quale fu bombardata, e il terremoto del 1976, durante il quale subì la rottura dei serbatoi. La cantina continuò a crescere per tutta la seconda metà del Novecento, cambiando nome a partire dagli anni Ottanta in Viticoltori Friulani La Delizia, dopo l’incorporazione di altre cantine. Investimenti continui nella qualità e tecnologia di produzione hanno infine portato La Delizia a essere una realtà capace di commercializzare il proprio vino a livello internazionale. Tutti i soci aderiscono al percorso tecnico-agronomico della cantina, che punta “alla qualità del prodotto e alla gestione rispettosa e mirata dell’ambiente e del territorio”. Al loro fianco i 60 dipendenti della cantina, che effettuano a 360 gradi le operazioni necessarie alla trasformazione dell’uva in vino: dai controlli in vigna alla vinificazione, dalla spumantizzazione all’imbottigliamento fino alla commercializzazione del prodotto. Al direttore de La Deliza, Pietro Biscontin, il compito di illustrare il progetto dello stabilimento di Zoppola. “Con un investimento di 12,5 milioni di euro – ha spiegato – La Delizia ha avviato la nascita di questa nuova area produttiva in posizione strategica sulla strada statale Pontebbana. Un progetto che rappresenta un volano per l’economia locale (nel cantiere hanno operato in questa prima fase 12 aziende, ndr) nonché la riqualificazione di un’area industriale dismessa per diversi anni, quella dell’ex cantina Friulvini”. Su un’area di 80 mila metri quadri totali, attualmente sono 11 mila i metri quadri coperti. Un’ampiezza di quasi due campi da calcio, nei quali trova spazio un impianto di vinificazione e stoccaggio da 90 mila ettolitri di Pinot Grigio e Prosecco, i vini più richiesti del momento. Cuore dell’impianto i 50 “giganti”: serbatoi dalla capacità di 1.900, 1.600 e 900 ettolitri e alti 12 metri, realizzati in acciaio inossidabile austenitico e dotati di un moderno sistema di controllo della temperatura, gestibile anche in remoto dalla sede di Casarsa. “Lo sviluppo della sede di Zoppola – ha annunciato Biscontin – che sarà utilizzata già dalla vendemmia 2016, proseguirà nei prossimi anni. Prevedendo, tra i futuri step, anche la gestione logistica dei vini imbottigliati a inizio 2017”.
GLI INTERVENTI
“Un esempio di qualità e coraggio imprenditoriale”: così la presidente della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani ha definito durante la cerimonia di inaugurazione la cantina La Delizia di Casarsa, aggiungendo che “questa è la più grande cantina del Friuli Venezia Giulia che oggi aumenta notevolmente la propria produzione grazie alla sua espansione avvenuta con il recupero di un vecchio stabilimento. Un’azienda sana, con un fatturato assolutamente positivo e un export estremamente interessante, esempio di qualità sia per i mercati in cui opera sia per la capacità di compiere nuovi investimenti, grazie ai 12,5 milioni di euro utilizzati che inevitabilmente si ripercuotono positivamente tanto nel territorio quanto nei soci”. Secondo il vicepresidente regionale e assessore alle Attività produttive Sergio Bolzonello questa realtà rappresenta un’eccellenza perché “è capace di comprendere che la forte dinamicità dei mercati si può affrontare solo attraverso importanti investimenti. E quello compiuto a Orcenico – ha aggiunto Bolzonello – è straordinario non solo per il valore economico ma anche per la qualità di ciò che viene messo a disposizione di un sistema vitivinicolo regionale che qui ora ha a disposizione la più grande realtà nel campo della vinificazione”.
Parole di elogio sono giunte anche da Carlo Dalmonte, presidente di Caviro (la più grande cantina cooperativa italiana) che ha rilanciato sulle sinergie già in essere tra le due realtà vitivinicole intervenendo all’interno della tavola rotonda sulla cooperazione agricola condotta dal direttore del Messaggero Veneto Omar Monestier. Le comunità di appartenenza della Cantina, Casarsa e Zoppola, sono state rappresentate nel loro saluto rispettivamente dalla sindaca Lavinia Clarotto e dalla sindaca Francesca Papais. Presente anche il presidente del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia, Franco Iacop, numerosi consiglieri regionali, sindaci e amministratori del territorio nonché i rappresentanti delle categorie economiche. Non sono mancati i numeri. Il 55% della produzione de La Delizia è richiesto all’estero, più esattamente in 30 Paesi. Oltre ai canali distributivi consolidati in Usa, Canada, Germania e Regno Unito (dove recenti statistiche di mercato indicano come il Prosecco sia richiesto tanto quanto lo champagne francese), altre aree del mondo stanno iniziando a premiare la cantina friulana come l’Europa dell’Est (con la Russia in primis) e la Cina, alle quali si aggiungono mercati vinicoli emergenti dal Messico al Sudest asiatico. Il 45% della produzione destinata al mercato nazionale è richiesta principalmente dal canale Horeca (Hotellerie-Restaurant-Café) e dalla grande distribuzione.
I PREMI Nell’occasione sono stati consegnati dei riconoscimenti ad alcune persone che rappresentano la storia di questa realtà divenuta, grazie all’impegno loro come di tutti gli altri soci, amministratori e dipendenti, tra le più importanti dell’intero Friuli Venezia Giulia, sia dal punto di vista economico che sociale: a Mara Nacci per i suoi 36 anni di lavoro nella Cantina, dipendente donna da più tempo all’interno de La Delizia; a Paolo Bertolin per i suoi 38 anni di lavoro nella Cantina, dipendente uomo da più tempo all’interno de La Delizia; a Giocondo Bozzetto nato come i Vini La Delizia nel 1931 e socio conferitore della Cantina da più tempo (66 anni ininterrotti); e infine al cavaliere Noè Bertolin per i suoi 29 anni da presidente dei Vini La Delizia, fondamentali per la crescita internazionale e la modernizzazione della Cantina. Don Ugo Gaspardo parroco di Orcenico Inferiore e don Roberto Stefanon (già cantiniere della stessa La Delizia) hanno impartito la benedizione al nuovo stabilimento prima del taglio del nastro (presente durante la cerimonia pure don Lorenzo Camporese parroco di Casarsa). Il direttore de La Delizia Pietro Biscontin ha inoltre presentato i positivi dati della cantina. Nella vendemmia 2015 sono stati lavorati 2 mila ettari di vigneti (compresi quelli dell’Azienda speciale regionale di Pantianicco gestita dalla cantina) nelle zone Doc Friuli Grave e Prosecco (per quest’ultima gli ettari lavorati sono 500), per una produzione di 300 mila quintali di uve. Da esse sono stati prodotti 22 milioni di litri di vino, di cui 8 milioni di Prosecco Doc e altri spumanti, sempre più richiesti dal mercato. L’ultimo bilancio è stato chiuso con un fatturato di 45,5 milioni di euro, +20% rispetto all’anno precedente. Numeri che, per la vendemmia 2016 pronta a partire a fine agosto, sono previsti in crescita visto anche l’avvio della nuova Doc Friuli. Attualmente La Delizia propone 6 linee di vino (Naonis, Naonis Collection, Sass Ter, La Delizia, La Delizia Aquila, Vigneti) con 42 etichette. Inoltre è stata lanciata un’anticipazione sul ritorno nel mercato del marchio Friulvini.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Un concerto gratuito di Elio e le Storie Tese, in piazza del Popolo a Faenza. Ha deciso di festeggiare così, Caviro, i suoi 50 anni dalla fondazione. Appuntamento per mercoledì 29 giugno, alle 21.30. Una scelta originale quella di supportare l’Emilia Romagna Festival per il concerto di Elio e le Storie Tese, “dettata – spiega in una nota il colosso che produce, su tutti, il vino in brik Tavernello – da una forte comunanza di tratti tra Caviro e la famosa band, come lo spirito avanguardista, la genuinità e la trasparenza, ma soprattutto la popolarità, che trasversalmente ha portato entrambi ad avere un vasto successo nel proprio campo”. Una crescita lunga mezza secolo, quella di Caviro, che ha portato il gruppo di Faenza a diventare leader italiano per quota di mercato, distribuzione e awareness dei propri marchi. Dodicimila i viticoltori che costituiscono la più grande filiera vitivinicola in Italia, 34 le cantine in sette regioni. Per un totale di 35 mila ettari e una produzione totale che si assesta su numeri impressionanti: il 10% dell’uva italiana trasformata in vino. “Quest’anno – commenta Carlo Dalmonte, presidente di Caviro Sca – festeggiamo una ricorrenza davvero significativa per il gruppo. Il merito è di tutti coloro che durante la vita della Cooperativa hanno dato il loro imprescindibile contributo: dai fondatori, che per primi hanno avuto la capacità di visione che ha determinato il carattere e la forza di Caviro, a tutti i soci, collaboratori e dirigenti di ieri e di oggi”. “Proprio per celebrare questo storico anniversario – continua Dalmonte – abbiamo deciso di fare un regalo ai cittadini di Faenza: un concerto gratuito in piazza del Popolo di Elio e le storie tese che speriamo possa non solo far divertire, ma anche contribuire a rinsaldare ancora di più il nostro legame con i cittadini, anzi le persone, che come noi vivono e lavorano in un territorio che conferma ogni giorno la sua forte capacità produttiva”. I festeggiamenti iniziano in realtà martedì 28 giugno, in una serata ad hoc organizzata da Caviro con la stampa. Mattatore della serata, rigorosamente a porte chiuse presso il Teatro Masini di Piazza Nenni, a Faenza, sarà Elio, per una volta senza Storie Tese. Sul palco proporrà al pubblico un repertorio eterogeneo e sorprendente. Dallo swing di Fred Buscaglione alle canzoni della mala di Strehler passando per ‘Largo al Factotum’, Cavatina di Figaro, tratta dal Barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini. La serata sarà moderata da Federico Fazzuoli, primo testimonial Tavernello e volto storico di Linea Verde. Poi Caviro festeggerà con il territorio che storicamente la ospita: la sera del 29 giugno in piazza del Popolo a Faenza Elio e le Storie Tese al gran completo faranno ballare la città con la tappa di “Energumeni in ferie tour”, concerto-anteprima dell’Emilia Romagna Festival, offerto da Caviro.
I NUMERI DEL GRUPPO Costituita nel 1966, Caviro rappresenta la più grande filiera vitivinicola italiana con 12 mila viticoltori. Tra i 34 soci figurano 31 cantine cooperative, che raggruppano produttori su una superficie di oltre 33 mila ettari e che producono circa 6 milioni di quintali di uva. Del totale soci, 26 cantine cooperative conferiscono vino, 5 cantine e 1 Consorzio conferiscono i sottoprodotti delle loro lavorazioni. Inoltre Caviro comprende una cooperativa del settore ortofrutticolo e si avvale di un socio sovventore. Sono ben 50 gli enologi del gruppo, che esporta in oltre 70 Paesi una vasta gamma di vini italiani, acquistabile in Gdo, nell’Horeca e sul web. “A permettere questa competitività sui diversi mercati – evidenzia Caviro – sono strategie di branding in continua evoluzione e la decisione di operare con partner importatori scelti fra i primi tre di ogni Paese o direttamente tramite proprie strutture. A fare la differenza però sono anche le sinergie attuate in termini organizzativi, logistici e di investimento, un’elevata esperienza tecnica e una conoscenza approfondita dell’enologia italiana e dei suoi trend a livello mondiale”. Il gruppo presieduto da Carlo Dalmonte comprende anche la Divisione Distilleria, seconda in Italia nella produzione di alcool con una quota del 25% e co-leader mondiale nell’acido tartarico naturale. “Caviro – evidenzia Delmonte – opera prestando la massima attenzione non solo al rapporto qualità-prezzo, ma soprattutto all’ecosostenibilità. La tutela dell’ambiente per questa realtà passa attraverso una serie di fattori e di pratiche che interessano ogni fase, dal vigneto al bicchiere. Per garantire l’anima ‘green’ delle proprie etichette l’azienda utilizza fonti rinnovabili per la generazione di energia dagli scarti di lavorazione, valorizza i sotto-prodotti agroindustriali trasformandoli in materie prime per il comparto farmaceutico e beverage. A questo si aggiunge il recupero dell’acqua”.
Con un fatturato 2015 di 300 milioni di euro, Caviro occupa 494 dipendenti. Le vendite di vino a volume nel 2015 sono stimate in 190 l/mln. Il target di riferimento sono le 7,3 milioni di famiglie consumatrici in Italia, con una quota di mercato a valore dell’8,3%. Le 31 cantine del gruppo ricavano 4,8 milioni di ettolitri di vino che conferiscono a Caviro in misura fra il 17% e il 60%. Il gruppo di Faenza imbottiglia circa 2 milioni di ettolitri, di cui l’88% è vino dei soci. Negli ultimi 6 anni Caviro ha investito circa 100 milioni di euro nei suoi stabilimenti produttivi di Forlì (vino), Savignano sul Panaro (vino), Faenza (distilleria ed energia) e Treviso (acido tartarico). La posizione competitiva in Italia vede Caviro sempre sul podio: primo gruppo per quota di mercato a volume e valore, primo nel brik a volume e valore, terzo nel vetro a volume e valore. La posizione competitiva sui mercati esteri vede Tavernello come primo marchio di vino italiano nel mondo. Caviro è inoltre uno dei leader del settore distilleria: secondo produttore alcool in Italia a valore, secondo a volume, secondo produttore mondiale di acido tartarico naturale e primo in Italia per recupero acque reflue aziende alimentari.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Diffusi i dati di un’indagine Mediobanca fatta su 136 principali società di capitali italiane operanti nel settore vinicolo che nel 2014 hanno fatturato più di 25 milioni di euro e i cui bilanci sono stati aggregati per il periodo 2010-2014. Si tratta di 42 cooperative (incluse sette S.p.A. e s.r.l. controllate da una o più cooperative), 87 S.p.A. e s.r.l. a controllo italiano e sette società a controllo estero che hanno segnato nel 2014 un fatturato pari a 6,2 miliardi di euro e un tasso di rappresentatività del 59,4% in termini di produzione (circa 10,5 miliardi di euro nel 2014) e del 61,6% in termini di export (5,1 miliardi di euro). Dall’indagine emerge un aumento di fatturato del settore vinicolo 2015 su 2014 del 4,8%, anche grazie alla crescita delle vendite estere +6,5%, ma anche al buon contributo di quelle interne +3,1%. Un risultato, quello del comparto, decisamente migliore di quelli negativi dell’intera manifattura (-2,6%) e dell’industria alimentare (-0,8%). Anche se il 2015 si prospetta uno degli anni a crescita più modesta dal 2010, esso consente alle vendite del settore di superare del 31,6% i livelli del 2010, all’export del 46,6% e al fatturato domestico del 18,7%, lungo un trend di crescita ininterrotta anche se discontinua. Il maggiore sviluppo è stato realizzato dagli spumanti +10%, mentre i vini non spumanti si fermano a +3,7%. Per i mercati esteri nel 2015 l’area più dinamica è il Sud America (+18,3% le vendite sul 2014), pur rappresentando una minima quota del fatturato estero (1,5%). Vivace anche la crescita del Nord America (+13,3%), dove si realizza ben il 34% dell’export. Il dato complessivo del +6,5 % delle esportazioni italiane di vino deriva da queste due regioni, poiché i Paesi UE sono cresciuti solo 3,7% e il resto del mondo (Africa, Medio Oriente e Paesi Europei non UE) del 3,2% e c’è stata una flessione del 10% sull’area asiatica. Per quanto riguarda le aziende, nel 2015, Cantine Riunite-GIV si conferma prima per fatturato (547 milioni, +2,7% sul 2014), seguita da Caviro in flessione del 4,4% a 300 milioni e da Antinori, primo gruppo non cooperativo che guadagna l’8,7% con 202 milioni di fatturato. In forte crescita Zonin (+14,3%) che con 183 milioni si porta dalla settima alla quarta posizione. Mezzacorona con 175 milioni (+2,1%) si conferma in quinta posizione. La divisione vini della Campari è sesta con 171 milioni, ma paga la crisi russa e perde il 18,2% di fatturato. Seguono nell’ordine: 7° posizione, cooperativa Cavit a 167 milioni (+1,9%); 8° posizione, Fratelli Martini a 162 milioni (+1,2%); 9° posizione, Botter a 154 milioni (+12,5%); 10° posizione, IWB a 145 milioni (+4%). Ma il record di crescita nel 2015 spetta alla cooperativa La Marca che passa da 60 a 76 milioni (+25,1%), scalando dalla 25esima alla 22esima posizione, seguita dalla Ruffino che sale del 17% da 81 a 94 milioni, portandosi dalla 21esima alla 18esima posizione. La più rilevante presenza sui mercati esteri è della Botter che vi realizza il 94,5% del proprio fatturato, seguita dalla Ruffino (93,1%), dalla Fratelli Martini (88,8%) e dalla Masi Agricola (88,4%); altre 15 società realizzano all’estero oltre il 50% delle vendite. Quanto alle prospettive per il 2016, tra le aziende coinvolte c’è molta positività, ma improntata a grande prudenza. Circa la metà ritiene di non andare oltre il 5% di crescita dei ricavi nel 2016. Le attese per l’export ricalcano la stessa tendenza, ma hanno un’intonazione un po’ migliore: il 94,5% degli intervistati prevede un fatturato in crescita o al più stabile nel 2016 (era l’89,5% nel 2015). ma solo 1 su 4 ha attese di crescita superiori al 10%. Solo il 5% degli intervistati invece teme in una riduzione dei volumi . I più frizzanti sulle previsioni sono, manco a dirlo, i produttori degli spumanti di cui un 15% si aspetta nel 2016 di aumentare il fatturato totale di oltre il 10%, percentuale che sale al 35% guardando i mercati esteri.
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