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Non è che questa cosa del “vino rosa” ci sta sfuggendo di mano?


EDITORIALE –
“Il Cerasuolo d’Abruzzo non è un rosato ma un vino rosa“. Questa la frase d’esordio della verticale organizzata dal Consorzio di Tutela Vini d’Abruzzo, a Vinitaly 2019. Si è trattato della prima uscita ufficiale di Rosautoctono, che ha di fatto indirizzato sul nuovo canale del “vino rosa” la comunicazione dell’evento.

Cos’è Rosautoctono? E’ l’Istituto del Vino Rosa italiano che vede impegnati in un progetto di promozione comune i Consorzi del Bardolino Chiaretto, del Valtènesi Chiaretto, del Castel del Monte Rosato e Bombino Nero, del Salice Salentino Rosato, del Cirò Rosato e, appunto, del Cerasuolo d’Abruzzo.

Da qui i dubbi: ha davvero senso promuovere a livello di marketing e comunicazione una dicitura come “vino rosa”, quando metà dei vini dei Consorzi aderenti a Rosautoctono si chiamano ufficialmente “rosati”? A chi giova?

Ma sopratutto chi la spiega, di fronte a uno scaffale di vino – che sia del supermercato o di un’enoteca, poco importa – la differenza tra “vino rosa”, “vino rosé” o “vino rosato”? Davvero in Italia serve complicarsi la vita con azioni di marketing e comunicazione non coerenti con l’etichetta dei vini, né tantomeno con le Denominazioni?

In realtà, per Franco Cristoforetti, presidente del nuovo Istituto, è tutto chiaro. “Perché vino rosa? Innanzitutto perché in Italia facciamo Chiaretto sul Lago di Garda, Cerasuolo in Abruzzo e Rosato in Puglia e Calabria”, commenta.

“Però se io dico ‘rosato’ – continua Cristoforetti – penso al Sud Italia, non certo al Lago di Garda. Quindi il nome di tutti è il nome di nessuno. Tutti facciamo piuttosto ‘vini rosa’ ma nessuno li chiama così. L’Istituto nasce proprio per valorizzare i ‘vini rosa’ d’Italia”.

In favore di questa tesi anche altri elementi. “In Italia parliamo di ‘vini rossi’ e di ‘vini bianchi’. Perché allora parliamo di ‘vini rosati’ e non di ‘vini rosa’? Se lei mette una cravatta rosa non le dico che mette una cravatta rosata, ma una cravatta rosa”.

“E’ anche un messaggio volutamente diverso, per dare dignità a una categoria di vini da sempre considerata un sottoprodotto dei vini rossi. Una categoria, tra l’altro, che ha un problema nelle nomenclature doganali, essendo confusa con i vini rossi: un elemento che non ci consente di avere statistiche chiare sul peso del vino rosa prodotto in Italia ed esportato”.

Nessun problema, per il presidente Cristoforetti, neppure sul fronte consumatori. “Siamo convinti che la dicitura ‘vino rosa’ non crei problemi – spiega – e l’Istituto si chiama Rosautoctono per simboleggiare il colore del vino, ma anche che si tratta di vino autoctono. Le singoli Denominazioni rischierebbero di perdere la propria identità se tutti in etichetta indicassimo ‘vino rosa’. Vogliamo invece continuare a valorizzare le tipicità di ognuna”.

Per questo, spiega ancora il presidente dell’Istituto, “il payoff della nostra comunicazione è ‘vino rosa autoctono italiano‘, accanto al nome di ogni singola Denominazione, dal Chiaretto al Cirò. Poi ognuno di noi ha la propria identità che deve continuare a spingere con forza”. Ai posteri l’ardua sentenza.

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Rosato da uve autoctone italiane: cinque consorzi alleati per la promozione

Insieme per la valorizzazione del vino rosato autoctono italiano. Cinque consorzi di tutela uniscono l’Italia da nord a sud per portare nel mondo uno stile italiano del vino rosato, fatto di un’interazione unica e irripetibile tra il sapere umano e la peculiare vocazione di vitigni tradizionali, suoli e climi.

I territori sono quelli che da sempre esprimono una particolare vocazione nella produzione di vini rosé e che costituiscono oggi i capisaldi dei rosati a menzione geografica ottenuti da uve autoctone: Chiaretto di Bardolino, Valtènesi Chiaretto, Cerasuolo d’Abruzzo, Castel del Monte Rosato e Salice Salentino Rosato.

Alla vigilia dell’apertura di Vinitaly, sabato 14 aprile alle ore 10, i cinque presidenti dei consorzi si riuniranno a Villa Carrara Bottagisio di Bardolino, futura sede del Consorzio di tutela del Bardolino e del Chiaretto che nel progetto assumerà il ruolo di capofila. Di fronte al sindaco della cittadina lacustre, Ivan De Beni, sigleranno un Patto d’Intenti nel quale si impegnano ad una promozione unitaria delle loro produzioni.

Tanto in Italia, dove la diffusione dei vini rosati è ancora marginale, quanto all’estero, dove invece il mercato è in rapida espansione e si registra una sempre maggiore sensibilità verso questa tipologia.

L’auspicio dei cinque organismi di tutela è quello di allargare l’intesa agli altri territori nei quali si producono tradizionalmente vini rosati da uve autoctone per giungere presto alla costituzione di un Centro del Rosato Autoctono Italiano che possa essere sede di confronto, promozione e ricerca.

Primo banco di prova sarà già Vinitaly, dove le cinque denominazioni saranno presenti in degustazioni collettive e dibattiti nei rispettivi spazi consortili.

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