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Denny De Vito e il Classese dell’Oltrepò: il Metodo classico Pavese al cinema


denny de vito classese. Mille dubbi e una certezza assoluta. Per l’Oltrepò pavese che, ieri pomeriggio, ha scelto il nome Classese per rilanciare il Metodo classico Docg da uve Pinot Nero, oggi è un risveglio “da vigilia di Natale”. Nel toto-nomi da affibbiare solo e solamente alle bollicine Docg, quello prescelto dall’assemblea del Consorzio ha già un ambasciatore d’eccezione. Sua maestà Denny De Vito. In una scena centrale di Ops! È già Natale – A Sudden Case of Christmas, remake di Improvvisamente Natale diretto da Peter Chelsom, l’attore e regista statunitense, di chiare origini italiani, imbraccia una magnum di Classese di Quaquarini. E la stappa, per celebrare la (presunta) notizia dell’arrivo di un altro bebè in famiglia. Non importa se la trama svelerà un’altra storia. La Magnum di Classese esplode. E la spuma schizza sul volto dei protagonisti, seduti a tavola. Una scena che, oggi, brilla negli occhi di Umberto Quaquarini, patron della cantina-gioiello di Canneto Pavese che ha deciso di cedere quel nome al Consorzio. «Per il bene del territorio».

UMBERTO QUAQUARINI: «HO DONATO IL CLASSESE, UN PEZZO DI FAMIGLIA, ALL’OLTREPÒ»

«Il nome Classese – spiega il vignaiolo a Winemag – è storico per lo spumante dell’Oltrepò pavese. Negli ultimi anni, tuttavia, siamo rimasti solo in due ad utilizzarlo: noi dell’Azienda agricola biologica Francesco Quaquarini e l’azienda Monterucco della famiglia Valenti. Un nome bellissimo, secondo me, che è sempre piaciuto anche a mio padre. Negli anni abbiamo proposto molte volte al Consorzio Oltrepò di utilizzarlo come nome collettivo degli spumanti Metodo classico Docg da uve Pinot Nero, come brand collettivo, ma ci hanno sempre detto di no. Le ultime ricerche affidate dal Consorzio ad enti esterni, per trovare un nuovo nome con cui chiamare la Docg, non hanno convinto. E così, prima con l’ex direttore Carlo Veronese e poi con il benestare dell’attuale direttore Riccardo Binda, abbiamo trovato la quadra».

Quaquarini e Monterucco hanno così ceduto al Distretto del Vino di Qualità dell’Oltrepò Pavese il “marchio”. Il gruppo di aziende oltrepadane guidato dal presidente Fabiano Giorgi ha poi ceduto, a sua volta gratuitamente, il nome al Consorzio. Classese è diventato così il nome assunto ieri pomeriggio dall’assemblea dei soci del Consorzio per lo spumante Metodo classico base Pinot Nero dell’Oltrepò pavese. «Non volevo diventasse una transizione economica a nessun livello – garantisce Umberto Quaquarini a Winemag – bensì una cosa per tutti. Classese è un nome nato liberamente e tale deve rimanere. L’unica cosa che ho chiesto è fosse strettamente legato alle sole bollicine metodo classico da Pinot Nero, ovvero alla gemma del nostro territorio. E così è stato. Qualcuno, invece, proponeva di poterlo usare anche per il Vsq o per gli spumanti con lo Chardonnay». denny de vito classese.

DUBBI (FUGATI) SULL’APPROVAZIONE DEL NOME CLASSESE DA PARTE DEL MINISTERO

«Oggi mi sento un po’ strano – ammette Quaquarini, evidentemente commosso – perché è come se avessi “ceduto” qualcosa di famigliare, a cui ero molto legato, insieme a mio padre. In realtà, se ci penso bene, ho donato a tutti i produttori un nome che diventerà ancora più importante e conosciuto. Simbolo degli spumanti metodo classico di qualità dell’Oltrepò pavese, solo da uve Pinot Nero. I produttori pavesi hanno così un nome unitario, così come altri grandi territori dediti alla produzione di spumanti come Franciacorta, Alta Langa e Trento Doc». Del resto, il Classese di Quaquarini resta una chicca. Prodotto al massimo in 15 mila bottiglie annue, è ottenuto da solo due vigneti selezionatissimi. In commercio c’è l’annata 2016, che lascerà spazio al millesimo 2017 a Vinitaly 2025.

«Il nome Classese – assicura il produttore – rimane in testa facilmente. È facile da ricordare e da pronunciare, anche se non abbiamo particolare evidenze all’estero, vendendolo poco fuori dai confini italiani».y de vito classese.      Quanto alla possibile censura del nome da parte del Ministero, che potrebbe bloccare l’iter di approvazione del provvedimento, il Consorzio guidato da Francesca Seralvo si è già mosso per trovare garanzie legali. «Anni fa – rivela Umberto Quaquarini – il Ministero dell’Agricoltura aveva bocciato il nome Classese perché era troppo uguale a “metodo classico” e creava confusione. Il Consorzio fece ricorso e lo perse, ma nessuno portò avanti la discussione. Già con Carlo Veronese, negli anni scorsi, l’argomento fu ripreso in mano. Il nuovo direttore Riccardo Binda assicura di aver già effettuato i controlli legali necessari, per assicurarsi che nessuno possa bloccare più questo nome».

IL CONSORZIO: LA FAMIGLIA QUAQUARINI HA GARANTITO LA CONTINUITÀ DEL CLASSESE

«La continuità commerciale del Classese – conferma Riccardo Binda – è stata garantita dalla caparbietà della famiglia Quaquarini nel tenerlo vivo negli anni. Sul nome non ci sono dubbi. Il Ministero aveva dato un parere contrario, nel 1991, perché ammiccava a “metodo classico”, ma il Classese è ora esclusivamente Metodo classico! La certezza, quando si fanno modifiche di nomi di denominazione, non c’è mai. Ma niente, in questo momento, può dare più garanzie di Classese. Ed era l’unica scelta praticabile – conclude il direttore del Consorzio -. Tutte le altre sono boutade lanciate da chi non ha ben chiari tutti i meccanismi del sistema delle Doc». Mal che vada, uno squillo a Denny De Vito. E via.

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Bonarda (pardon, “Red Bolla”) o Pinot Nero? Retroscena dell’infinita guerra d’Oltrepò


EDITORIALE –
Bonarda o Metodo classico? Sangue di Giuda o Pinot Nero? La scelta dei vini da promuovere
è al centro del dibattito del Consorzio Oltrepò Pavese, che si ritrova a dover affrontare nel 2025 l’ennesimo ribaltone. Nove cantine, tra cui diversi imbottigliatori e aziende con ingenti interessi nel mondo del Bonarda e di altre tipologie di vini locali – quasi tutte caratterizzate da grandi volumi e prezzi aggressivi sugli scaffali dei supermercati – hanno deciso di uscire dal Consorzio a fine 2024. Non a caso, tra le recriminazioni (ufficiali) fornite dalle nove aziende dimissionarie, l’enfasi maggiore viene data alla presunta mancanza di «proporzionalità tra contributi versati e promozione delle singole denominazioni». «Ormai da mesi – denunciano le 9 cantine uscite dal Consorzio – è stata azzerata quella su prodotti ritenuti “minori”, ma che in realtà sono quelli su cui oggi vive l’intero territorio».

Per accorgersi che al centro del dibattito ci sia soprattutto la Bonarda, apparentemente “accantonata”, di recente, da un Consorzio che – sotto la guida della presidente Francesca Seralvo e del direttore Riccardo Binda – sembra invece voler puntare più sul Pinot Nero (in primis Metodo classico, ma anche rosso fermo), basta analizzare le ultime mosse della precedente gestione dell’ente. Il duo Gilda Fugazza – Carlo Veronese, espressione vicina al mondo degli imbottigliatori oltrepadani (ovvero alla gran parte delle aziende oggi dimissionarie) aveva dato il via a una massiccia operazione di marketing sulla Bonarda, con numerosi post social e affissione di manifesti pubblicitari in città come Milano.

BONARDA, ALIAS “RED BOLLA”: UNA CAMPAGNA… DIMENTICABILE

Toni piuttosto discutibili quelli scelti, a suo tempo, per promuovere la Bonarda. Sul profilo Instagram del Consorzio Oltrepò, accompagnate da immagini e grafiche finanziate da un contributo Masaf, appaiono frasi come: «Equilibrismo enologico: quando l’amore per la Bonarda dell’Oltrepò Pavese Doc raggiunge nuovi livelli!»; «Chi ha detto che il multitasking è difficile? Ecco a voi l’arte della ‘Bonarda balancing‘!»; «Dalle campagne pavesi con furore, la Bonarda dell’Oltrepò Pavese Doc merita un selfie anche quando scollina su Milano»; o ancora: «Ogni volta che entro in un locale, incrocio le dita… nella speranza di trovare la mia adorata Bonarda dell’Oltrepò Pavese Doc», che sembrano non aver fatto molta presa, se si considerano le recenti recriminazioni dei dimissionari, già preoccupati dalla “distrazione” di fondi su altre denominazioni.

I (TANTI) VOLTI (ED INTERESSI) DELLA BONARDA

Da notare che all’epoca (era il 2023) nessuna piccola azienda del Consorzio si era opposta (almeno ufficialmente) a una così massiccia promozione di una denominazione sulla quale si concentrano principalmente interessi di imbottigliatori e grandi cantine. Vero, poi, che il territorio è ormai storicamente diviso anche sulla Bonarda: da un lato quella “di massa”, di aziende come Losito e Guarini (tra le dimissionarie, che più volte l’ha proposta in Gdo a prezzi promozionali davvero stracciati). E dall’altra la “Bonarda dei produttori”, nota anche come “Bonarda perfetta” realizzata per “statuto” – dell’ormai silente “Distretto dei vini di qualità” dell’Oltrepò pavese – da aziende di filiera, con uve Croatina in purezza e rese contenute rispetto ai limiti stabiliti dal disciplinare. Qualcosa, insomma, che non può essere sintetizzato, anzi – diciamola tutta – “sbeffeggiato” dall’assurdo claim “Red Bolla”, affibbiato dalla precedente gestione del Consorzio Oltrepò alla Bonarda, in stile “Milanese imbruttito”.

LO SCONTRO POLITICO: A CHI GIOVA?

Ma ci sono anche altri aspetti da sottolineare e analizzare, rispetto al tempismo dell’uscita di nove aziende dall’ente oltrepadano. La recente elezione di Michele Zanardo a presidente del Comitato nazionale vini Dop e Igp è una di queste. Si tratta infatti di una figura molto vicina all’Oltrepò pavese. Zanardo è enologo di Bosco del Sasso, la cantina dell’Oltrepò fondata e guidata da Manuela Elsa Centinaio, sorella del vicepresidente del Senato, Gian Marco Centinaio. L’esponente della Lega, pavese di nascita, è da mesi protagonista di uno scontro diretto sui social con il Ceo e figlio del presidente di Terre d’Oltrepò, Umberto Callegari – membro del Cda del Consorzio – che non risparmia critiche feroci al gruppo guidato da Matteo Salvini, definendolo pubblicamente un «troglodita».

Con gli imbottigliatori fuori dai giochi del Consorzio, la centralità della cooperativa di Santa Maria della Versa negli equilibri dell’ente è ancora più evidente. E così lo sono le responsabilità della famiglia Callegari nei confronti di tutti i soci della cooperativa (che di recente si è dotata di una Spa, non senza polemiche). Lo scontro con il senatore Centinaio, che dal fronte politico si sposta su quello dirigenziale, toccando uno dei “nervi scoperti” oltrepadani, è una delle chiavi di lettura del futuro del territorio. Da considerare che, nel suo nuovo ruolo, Michele Zanardo sarà chiamato a “vidimare” – tra gli altri – le modifiche al disciplinare del Metodo classico base Pinot Nero dell’Oltrepò pavese: un altro motivo del contendere tra dimissionari e attuale Cda dell’ente di Torrazza Coste. Ammesso (e concesso) il ruolo super partes del numero uno del Comitato Vini, a chi giova uno scontro politico così acceso?

RIVOLUZIONE O AUTOGOL: L’OLTREPÒ DEI “PICCOLI” PUÒ FUNZIONARE?

Neppure troppo sullo sfondo c’è però una gigantesca opportunità per il Consorzio. Francesca Seralvo e l’ex Bolgheri Riccardo Binda, decisi a tirare dritto e a «governare l’ente anche senza erga omnes» sulla maggior parte delle denominazioni (i conti esatti si faranno a giugno 2025), potrebbero ritrovarsi a capo di uno dei pochi Consorzi del vino italiano realmente guidati da aziende di filiera. Un organismo “modello Fivi”, che da anni tenta di promuovere una modifica dei meccanismi di rappresentatività dei Consorzi del vino italiano.

In altre parole, quello che si sta profilando nel pavese è un Consorzio (per lo più) a “conduzione famigliare”, in cui le piccole e medie aziende hanno la meglio sugli imbottigliatori nelle logiche di promozione, come quelle che vedono appunto “contrapposto” Bonarda e Metodo classico. Ma anche, e soprattutto, nella stesura dei disciplinari di produzione, nella programmazione. E nella necessaria identificazione di una piramide della qualità ben definita, che oggi manca ai vini dell’Oltrepò. Alla finestra, tra l’altro, gli ultimi arrivati: i siciliani di Ermes, che hanno acquistato Cantina di Canneto e che hanno già dato parecchio filo da torcere al tessuto cooperativo locale, in occasione della vendemmia 2024 (la prima nel pavese).

IL PESO DELLA STORIA: BERLUCCHI TRA GLI “AGHI DELLA BILANCIA” IN OLTREPÒ

«Non ci sentiamo più rappresentati da un Consorzio che sta inoltre cercando in tutti i modi di modificare lo Statuto con lo scopo di accentrare i poteri decisionali al Cda», denunciano non a caso le cantine dimissionarie. Nel silenzio, più di nove aziende sono pronte a rimpiazzare – non quantitativamente, ma più che mai qualitativamente – quelle fuoriuscite. E si tratta proprio di piccole medie aziende di filiera, tra cui spicca il nome – pesantissimo – di Vigne Olcru: la cantina oltrepadana fortemente voluta dalla famiglia Ziliani (Berlucchi), profonda conoscitrice delle dinamiche pavesi e nuovo, prestigioso protagonista di un territorio che, sino ad oggi, con le “scelte a metà” – quelle alla Tancredi nel Gattopardo – ha raccolto poco, anzi nulla rispetto al proprio potenziale. Perché non è detto che “piccolo è bello”. Ma che fascino provarci, se non hai (quasi) nulla da perdere.

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Peronospora, soci e Cda in fuga: trema Terre d’Oltrepò


Trema Terre d’Oltrepò, a poche settimane dall’inizio della vendemmia 2024. Due membri del Cda, l’agronomo Alessandro Fiamberti e il viticoltore Giulio Romanini, hanno dato le dimissioni nelle scorse ore. Spaventa anche la peronospora, che secondo dati raccolti in Oltrepò pavese starebbe falcidiando la zona, limitando di parecchio la capacità produttiva di molti vigneti. Dall’inizio dell’anno, inoltre, decine di soci conferitori – una sessantina – avrebbero chiesto di liberarsi dal vincolo che li lega alla cooperativa di Casteggio – con sedi a Broni e Santa Maria della Versa – a quanto pare senza averne pienamente diritto. Poche le disdette andate effettivamente a buon fine, mentre lo scorso anno – giugno 2023 – la cantina aveva già perso una sessantina di soci.

CDA TERRE D’OLTREPÒ: DIMISSIONI DI DUE CONSIGLIERI

Le acque, insomma, rimangono molto turbolente a Terre d’Oltrepò, nonostante la presentazione di un piano industriale che avrebbe dovuto rilanciare l’azienda e dare fiducia a soci e investitori. I due consiglieri dimissionari non intendono comunque rilasciare dichiarazioni alla stampa in merito alla propria decisione. Alessandro Fiamberti risponde al telefono con un «no comment», mentre Giulio Romanini è irraggiungibile. In un recente comunicato, il Ceo Umberto Callegari, che dirige la cantina sotto l’ala del padre presidente, Lorenzo Callegari, il Cda si era scagliato contro la precedente gestione, con parole molto pesanti che potrebbero aver scatenato reazioni a catena.

IL COMMENTO DI TERRE D’OLTREPÒ

“Terre d’Oltrepò – commenta il direttore generale – rassicura tutti i propri stakeholder che l’azienda è in una posizione finanziaria estremamente solida, sostenuta da un piano industriale robusto e da un’esecuzione operativa che rispetta pienamente le aspettative prefissate. È importante sottolineare che Tdo si è prontamente attivata per affrontare l’emergenza climatica e fitosanitaria, collaborando attivamente sul punto con l’Assessore Beduschi e con Regione Lombardia. Questo dimostra l’impegno proattivo e il ruolo di leadership di Terre d’Oltrepò nel settore».

«Per quanto riguarda l’uscita dei consiglieri Romanini e Fiamberti – continua Callegari – si desidera esprimere il ringraziamento dell’azienda e dei soci per l’impegno e la dedizione dimostrati nell’ultimo anno. Tali dimissioni sono attribuibili esclusivamente a motivazioni personali e non riflettono in alcun modo la stabilità e la solidità della nostra azienda. Vogliamo inoltre chiarire che non esiste alcun esodo di Soci; la nostra azienda continua a operare con il pieno supporto e la fiducia di tutti i membri del nostro team. Rinnoviamo il nostro impegno verso i soci e auguriamo a tutti buon lavoro, ringraziandoli per la continua fiducia e collaborazione».

CONSORZIO VINI OLTREPÒ: VIA VERONESE, ARRIVA BINDA MA…

L’uscita dei due consiglieri è solo l’ultimo segnale dell’irritazione di alcune cantine oltrepadane, stuzzicate dal recente sbarco in Oltrepò del colosso siciliano Cantine Ermes, che a marzo 2024 ha finalizzato l’acquisto all’asta della Cantina Sociale di Canneto pavese (a proposito: ai soci sarà liquidato il 27,6% del credito). Venti bollenti anche nei corridoi del Consorzio Tutela Vini Oltrepò pavese, che ha da poco salutato il direttore Carlo Veronese, pur tardando ad annunciare il suo sostituto. Come già pubblicato da winemag.it lo scorso 4 giugno, si tratta di Riccardo Binda, che potrebbe essere ufficializzato all’inizio del mese di settembre nonostante le resistenze di Bolgheri, Consorzio toscano dal quale Binda – originario di Voghera, in provincia di Pavia – proviene.

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Nuovo direttore Consorzio Oltrepò pavese: arriva Riccardo Binda da Bolgheri?


È giallo sul nome del nuovo direttore del Consorzio Tutela Vini Oltrepò pavese. Riccardo Binda avrebbe accettato l’incarico da oltre una settimana. L’annuncio ufficiale da parte dell’ente di Torrazza Coste (Pavia) tarda però ad arrivare. Lo stesso vale per la smentita del direttore (potenzialmente) uscente, Carlo Veronese, che preferisce non rilasciare commenti, tanto sul suo presente quanto sul suo futuro. Secondo verificate indiscrezioni raccolte da winemag.it, l’arrivo del nuovo direttore Riccardo Binda e l’annuncio ufficiale del suo nuovo incarico di direttore del Consorzio Tutela Vini Oltrepò pavese sarebbero in bilico per via delle resistenze del Consorzio Bolgheri e Bolgheri Sassicaia, dal quale proviene.

BINDA IN OLTREPÒ? BOLGHERI NON MOLLA

L’ente toscano presieduto da Albiera Antinori non vorrebbe privarsi di Binda, che ricopre il ruolo di direttore dal gennaio 2014 ma che ha origini oltrepadane, per l’esattezza di Voghera. Da qui il giallo sul nuovo direttore del Consorzio Oltrepò pavese, dopo le rivoluzionarie elezioni dello scorso marzo che hanno portato all’elezione della nuova presidente Francesca Seralvo (Tenuta Mazzolino). Una scelta che ha fatto vacillare – sin dalle prime ore – la possibile riconferma del direttore Carlo Veronese, uomo ritenuto da molti vicino alla corrente che ha sostenuto – senza successo – il terzo mandato della presidente uscente Gilda Fugazza, considerata la figura più apprezzata dal mondo degli imbottigliatori operanti in Oltrepò.

LE SFIDE DI RICCARDO BINDA IN OLTREPÒ PAVESE

Di certo, per Riccardo Binda, l’avventura in Oltrepò pavese costituirebbe una sfida professionale dalle tinte completamente differenti rispetto a quelle di Bolgheri e Sassicaia. Non solo dal punto di vista della percezione delle denominazioni a livello di marketing nazionale e internazionale, ma anche del valore medio di mercato effettivo della produzione, sostenuta nel pavese da molti meno brand blasonati e da cantine che operano in assenza di una chiara piramide della qualità, ancora tutta da costruire nel pavese. Altro nodo che attenderebbe il nuovo direttore Riccardo Binda è quella dell’export dei vini dell’Oltrepò pavese, per via del peso meno rilevante della produzione oltrepadana rispetto a quella di Bolgheri e Sassicaia. Elementi che portano l’ennesimo “giallo pavese” ad infittirsi. Giorno dopo giorno.

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Resistente e popolare: l’Oltrepò pavese scopre il Pinot Meunier


Non solo Pinot Nero per il Metodo classico dell’Oltrepò pavese. Negli ultimi anni, i produttori hanno scoperto il Pinot Meunier, terza varietà di uva della Champagne con 10.348 ettari. Conosciuto in Francia per la maggiore vigoria e resistenza al gelo rispetto a Pinot Noir e Chardonnay, il vitigno sta iniziando a prendere sempre più piede nei fondovalle oltrepadani. La strada per la sua definitiva consacrazione nella cuvée del Metodo classico Docg dell’Oltrepò è stata avviata dal Consorzio nei mesi scorsi. Dopo la modifica al disciplinare votata a maggioranza dai produttori nel dicembre 2022, il Meunier attende i necessari passaggi burocratici (Regione Lombardia, Roma, Bruxelles).

«Non va dimenticato – sottolinea il direttore del Consorzio di Tutela, Carlo Veronese – che ci sarà richiesto di dimostrare, a livello organolettico, le migliorie che il vitigno può apportare all’attuale cuvée della Docg». In prima fila tra i promotori c’è Oltrenero, la cantina oltrepadana della famiglia Zonin. «Al di là delle caratteristiche organolettiche – commenta il direttore Paolo Tealdi – nella discussione dell’inserimento del Pinot Meunier nella Docg fino a un massimo del 15%, c’è il fatto che è un vitigno che soffre meno le gelate. Fa molto comodo, ai nostri tempi, avere una varietà da poter impiantare nelle zone più basse, ossia nel fondovalle. Per lo stesso motivo è stato inserito il Pinot Bianco».

Grazie a “Cuvée Emme“, Oltrenero propone sul mercato un Meunier in purezza, sin dal millesimo 2017, ovviamente catalogato come Vsq – Vino Spumante di qualità. I due ettari della varietà francese sono stati impiantati nel 2012 su terreni profondi, argilloso-limoso-calcarei, con ricca presenza di marne. In commercio, al momento, c’è il millesimo 2018 (Brut Blanc de Noir, minimo 24 mesi sui lieviti). La base 2019, degustata in anteprima, alza ulteriormente l’asticella delle aspettative sul Meunier in Oltrepò pavese.

CRESCONO GLI ETTARI DI PINOT MEUNIER IN OLTREPÒ PAVESE

A crederci è anche Cantina Scuropasso, a Pietra de Giorgi. «È una varietà che abbiamo nel cuore – commenta il titolare, Fabio Marazzi – viste le grandi interpretazioni in purezza della Champagne, che conosciamo ormai da diversi anni. I produttori che piantano Meunier in Oltrepò stanno crescendo. Trovo che sia un bel segnale, ben oltre alla semplice “moda”. Noi abbiamo impiantato il nostro vigneto 6 anni fa, su terreni calcarei, scegliendo barbatelle dalla Francia e un’esposizione non troppo soleggiata. Si è ambientato molto bene: mostra una bella vigoria, con una resa di 90 100 quitali per ettaro. Abbiamo alcune prove di spumantizzazione in purezza, che abbiamo scelto di inserire nella Cuvée del nostro Blanc de Noir Roccapietra».

È Flavia Marazzi a spiegare le ragioni di questa scelta. «Ci siamo accorti che il Pinot Meunier conferisce una morbidezza e “grassezza” perfetta per essere abbinata al carattere del nostro Pinot nero. Aggiungendone il 10-15% ci consente di rispettare la nostra precisa identità stilistica, riducendo la necessità di ricorrere al dosaggio. Mi auguro che il percorso di introduzione del Meunier nel Metodo classico Docg dell’Oltrepò pavese giunga a compimento, in quanto è un vitigno nobilissimo, che dà ottimi risultati anche nella nostra zona. D’altro canto, l’apertura al Meunier offre un’opportunità in più ai produttori, senza toglie nulla in termini di territorialità e tipicità».

IL PINOT MEUNIER NELLA CUVÉE DELL’OLTREPÒ METODO CLASSICO

Della stessa opinione Alessio Brandolini: «Ho piantato mezzo ettaro nel 2013 – spiega il vignaiolo Fivi di San Damiano al Colle – in una vigna dove il Pinot Nero soffre molto il gelo, a 150 metri sul livello del mare, esposto a Nord. Sono molto contento di questa scelta: in questi anni, a parte nel 2017, non ho mai avuto problemi di gelate. Stilisticamente apprezzo il Pinot Meunier per la sua verticalità».

«Lo considero un vino da taglio – continua Brandolini – arrivando a un massimo di utilizzo dell’8% nella cuvée. Ne pianterò sicuramente altro nei prossimi anni, ma sempre nell’ottica di vitigno gregario: resto infatti convinto che in Oltrepò si debba puntare tutto sul Pinot nero. Sono stato tra i produttori più favorevoli alla sua introduzione nel disciplinare e ritengo sia molto più funzionale al territorio rispetto a vitigni come il Pinot Grigio, che non c’entra nulla».

Freschissima l’esperienza sul vitigno di Cantine Bertelegni. «Siamo tra gli ultimi ad avere impiantato questo vitigno in Oltrepò pavese – commenta Andrea Bertelegni – con lo scopo preciso di inserirlo nella nostra cuvée Metodo classico, formata così da Pinot Nero, Chardonnay e Meunier. La prima vendemmia “vera” è stata quella del 2023. Potremo dunque presentare sul mercato il nostro vino non prima di 24 mesi minimi di affinamento. L’obiettivo è arrivare a regime con a 36-48 mesi di affinamento. Più in generale, ci auguriamo che siano premiati gli sforzi del Consorzio per rendere più appetibile una Docg che, ad oggi, non lo è».

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Enoteca Regionale della Lombardia: il nuovo presidente è Giorgio Allegrini


FOTONOTIZIA – Giorgio Allegrini è il nuovo presidente dell’Enoteca Regionale della Lombardia di Broni (frazione Cassino Po). Già alla guida della Strada del Vino e dei Sapori dell’Oltrepò Pavese, è stato incaricato dal nuovo Consiglio di Amministrazione. Avvocato, classe 1960, Allegrini subentra a Fabiano Giorgi. Una staffetta «nel segno della continuità». Con l’obiettivo di «proseguire e rafforzare il lavoro impostato fino ad oggi».

Il rinnovo delle cariche è avvenuto nella giornata di lunedì, 10 luglio. Nominati consiglieri, oltre allo stesso neo presidente, il sindaco di Broni Antonio Riviezzi, il direttore del Consorzio di Tutela Vini Oltrepò Pavese, Carlo Veronese e il presidente uscente Fabiano Giorgi. Resta al momento non designato il rappresentante di Regione Lombardia, la cui nomina andrà a completare il Consiglio di Amministrazione.

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Via “pavese” dall’Oltrepò Docg Metodo Classico: raccolta manuale e Riserva 48 mesi sui lieviti


Regole di produzione più restrittive e un nuovo nome: Oltrepò Docg Metodo Classico, senza “pavese“. Se da un lato l’Assemblea dei soci del Consorzio Tutela Vini Oltrepò pavese semplifica la comunicazione delle proprie “bollicine”, dall’altro introduce importanti novità verso il riconoscimento qualitativo internazionale. In particolare, la raccolta delle uve atte alla spumantizzazione (Pinot Nero e Chardonnay, ma anche Pinot Grigio e Pinot Bianco) dovrà essere manuale e in cassetta. Introdotta poi la tipologia “Riserva“, con almeno 48 mesi di permanenza sui lieviti.

Le modifiche al disciplinare della Denominazione di origine controllata e garantita sono state votate a maggioranza dai soci riunitisi martedì 6 dicembre 2022, presso la sala Gallini di Riccagioia a Torrazza Coste (PV).

IL COMMENTO DI VERONESE E FUGAZZA

«Il territorio – spiega Carlo Veronese, direttore del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese – ha approvato modifiche importanti per il futuro della denominazione al vertice della piramide qualitativa dell’Oltrepò, in un’assemblea caratterizzata da un clima sereno e costruttivo. Inizieremo subito a lavorare per dare attuazione alle richieste dei soci e poter inviare, nel più breve tempo possibile, alla Regione Lombardia la documentazione necessaria all’approvazione di Regione Lombardia, Masaf e Commissione Europea».

Soddisfazione anche da parte della presidente del Consorzio, Gilda Fugazza, che tocca anche altri argomenti: «Questo lavoro molto tecnico – ha dichiarato – è frutto di un percorso che parte da lontano, dai Tavoli dedicati alle Denominazioni e non è di fatto ancora finito. Da presidente mi auguro che in futuro la burocrazia che condiziona le “buone” pratiche del mondo della viticoltura e non solo si snellisca. E, soprattutto, sia più connessa alle esigenze dell’attualità, condizionata pesantemente da variabili che ci impongono la vera resilienza e capacità di affrontare gli imprevisti».

La recente modifica al disciplinare di produzione dei vini a Denominazione di origine controllata e garantita “Oltrepò pavese” Metodo classico – Doc dal 1970 e Docg dal 2007 – arriva a distanza di quasi 10 anni dall’ultimo ritocco, approvato dal Mipaaf tramite il D.M. 7/03/2014.

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Monsupello Blanc de Blancs: sfida allo Champagne e dedica a mamma Carla

Saggezza, tenacia, tecnica, emozione. In una parola Monsupello Blanc de Blancs, il nuovo Metodo classico Extra Brut della storica maison di Torricella Verzate (PV). Un’etichetta che condensa la storia centenaria degli eredi di Carlo Boatti e Carla Dallera. E accende la luce sull’Oltrepò pavese del presente e del futuro, sempre più casa dello spumante italiano di gran qualità. Che non teme confronti. Neppure con i francesi della Champagne.

La presentazione del Monsupello Blanc de Blancs – in vendita da questa mattina a 30 euro più Iva – è avvenuta ieri al Castello di San Gaudenzio di Cervesina (PV). Un elegante Albergo Ristorante che dal giorno dell’inaugurazione – avvenuta il 16 dicembre 1977 – brinda con le bollicine oltrepadane della cantina fondata dal compianto Boatti.

La location perfetta per un Metodo classico base Chardonnay di classe assoluta, che ha già fatto incetta di premi dalle maggiori guide enologiche italiane. Inserito nella Top 100 Migliori Vini italiani di WineMag.it, è stato premiato anche da Gambero Rosso e Slow Wine e inserito nella “Top 25” vini italiani del Merano Wine Festival 2020, notizia data ieri dal patron della kermesse altoatesina, Helmuth Köcher.

“Dedico questo spumante a mia madre Carla”, ha commentato un commosso Pierangelo Boatti, insieme alla sorella Laura Boatti: “Questo Metodo classico – ha aggiunto – è la risposta alla sfida lanciataci da alcuni amici e colleghi italiani e francesi, che hanno voluto metterci alla prova con lo Chardonnay, uvaggio tipico in Champagne adottato per la prima volta in purezza da Monsupello, da sempre fedele al Pinot Nero dell’Oltrepò pavese”.

Non a caso l’etichetta, a livello grafico, strizza l’occhio al noto brand di Champagne Salon, produttore di Mesnil sur Oger, Grand Cru della Côte des Blancs. Tinte verde scuro e scritte oro, a richiamare una sfida accettata a tutto tondo. Dal concept al calice.

“Lo Chardonnay non è una novità assoluta per Monsupello – ha precisato l’enologo Marco Bertelegni – dal momento che le stesse uve, provenienti dalla vigna Montagnera, sono da sempre impiegate per completare la cuvée composta al 90% dal Pinot Noir, nel Brut e nel Nature”.

In particolare, la vigna con esposizione a Est, situata di fronte alla sede aziendale, presenta piante con età media compresa fra i 25 e i 30 anni. Il 60% del vino base è d’annata e vinificato in acciaio, mentre il restante 40% affina in barrique usate, scelte per completare e arricchire la verve dello Chardonnay più giovane.

La prima sboccatura del Metodo Classico Blanc de Blancs di Monsupello (novembre 2019) ha riposato sui lieviti 50 mesi. Ne seguiranno altre, sino a un massimo di 70, 80 mesi, come nel caso della Cuvée Ca’ del Tava.

“L’Oltrepò pavese – ha ricordato nel suo intervento Carlo Veronese, direttore del Consorzio Tutela Vini locale – è uno dei pochi territori dove vengono bene praticamente tutte le uve”.

“Quello che manca – ha aggiunto – è riuscire a essere come Monsupello, unica azienda oltrepadana veramente conosciuta in tutta Italia e non solo. È arrivato il momento che anche altri colleghi facciano lo stesso, girando il mondo per rendere ancora più famoso l’Oltrepò”. Chi accetta la sfida?

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Terre d’Oltrepò batte i piedi in Consorzio: “Non è possibile lavorare”. Fivi alla finestra

BRONI – Il presidente di Terre d’Oltrepò, Andrea Giorgi, boccia senza giri di parole la gestione dell’ultimo anno del Consorzio Tutela Vini Oltrepò Pavese. Al centro del dibattito anche la battaglia di Fivi sulla revisione dei meccanismi di rappresentanza. Una presa di posizione che si basa su “situazioni che si sono venute a creare con la presidenza di Luigi Gatti“. Oggi lo sfogo di Giorgi, che ha abbandonato l’ultimo consiglio di amministrazione. “Divergenze sull’operato”, in sintesi.

Un attacco che farebbe tremare la stessa poltrona di Gatti. “Spero che la consapevolezza e la responsabilità di tutti i consiglieri e dei produttori associati ponga fine ad una situazione surreale – commenta Andrea Giorgi – che da troppi anni si protrae. Dico tutto questo per il bene del nostro territorio. Per troppo tempo Terre d’Oltrepò è stato il facile capro espiatorio, ora gli altri dimostrino di assumersi le proprie responsabilità”.

“Ci sono aspetti estremamente positivi come l’assunzione del direttore Carlo Veronese – spiega il numero uno del colosso vitivinicolo oltrepadano – altri invece non sono concepibili. Ad esempio l’immobilismo presidenziale nell’affrontare questioni organizzative: non è tollerabile, come non è comprensibile, la chiusura rispetto all’aiuto che possono dare gli altri consiglieri e soprattutto i vicepresidenti”.

Per non parlare – continua Giorgi – delle mancate risposte ai consiglieri o i silenzi su questioni che sono state sollevate. In questo contesto non è possibile lavorare e per questo motivo, mio malgrado, sono stato costretto a lasciare anzitempo l’ultimo consiglio”.

Il presidente di Terre d’Oltrepò entra ancor più nel dettaglio delle situazioni contestate al presidente Gatti. “In questo anno la nostra cantina cooperativistica all’interno del consiglio ha dato il proprio apporto in merito a decisioni importanti quali l’allargamento del numero dei consiglieri, le azioni per ripulire la gestione da precedenti ed incomprensibili decisioni che hanno minato credibilità e funzionamento del Consorzio stesso”.

LA BATTAGLIA FIVI IN CONSORZIO
Al centro del dibattito, una delle battaglie della Federazione italiana vignaioli indipendenti (Fivi): la riforma dei meccanismi di rappresentanza all’interno dei Consorzi del vino italiano, volta a riequilibrare i rapporti di potere tra cooperative e piccoli produttori. Un punto cardine per il 2020, come anticipato da WineMag.it nei giorni scorsi.

“La riforma del diritto di voto all’interno dei Consorzi – evidenzia Giorgi – è una giusta richiesta ma occorre puntualizzare che nel Consorzio la nostra cantina non detiene assolutamente la maggioranza assoluta. Anzi, il voto risulta molto distribuito e diffuso”.

“I problemi sbandierati negli ultimi mesi sorgono solamente per la mancata partecipazione dei soci alle assemblee. È infatti usuale, in Oltrepò, blaterare fuori e poi fuggire davanti alle scelte e alla responsabilità”, attacca Giorgi.

“Comunque se una riforma del voto in Consorzio può servire, noi non ci tiriamo assolutamente indietro. Tutto questo per il bene di un territorio e per il bene dei produttori. Ma non possiamo partecipare e condividere alcune delle scelte operate nella gestione perpetrata in questo anno”.

Ad appoggiare la riforma è la stessa Regione Lombardia, con l’assessore Fabio Rolfi. Una bufera, quella scatenata da Terre d’Oltrepò, che giunge (non a caso) giusto a poche settimane dal risicato riconoscimento e autorizzazione Erga Omnes al Consorzio di Tutela Vini, da parte del Ministero competente.

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Analisi e Tendenze Vino

Vendemmia 2019 in Lombardia, Rolfi in Oltrepò: “Rilancio in vista, ma serve unità”


MAZZOLINO (PV) –
Taglio del nastro della vendemmia 2019 in Oltrepò pavese per l’assessore regionale Fabio Rolfi. Una scelta non casuale, che dimostra la voglia di rilanciare la maggiore area vinicola della Lombardia (13.500 ettari complessivi) alle prese con atavici problemi di divisione interna.

In particolare, Rolfi ha indetto la conferenza stampa a Tenuta Mazzolino, una delle cantine più virtuose e di qualità del territorio oltrepadano e lombardo. Al suo fianco, alle 11 di questa mattina, Carlo Veronese (ex Consorzio Tutela Lugana Doc), ormai prossimo all’investitura di direttore del Consorzio Tutela Vini Oltrepò pavese.

A fare gli onori di casa, il managing director di Mazzolino, Stefano Malchiodi. “Siamo qui non solo per dare avvio alla vendemmia 2019 in Lombardia, ma per esprimere forte ottimismo per il futuro dell’Oltrepò”, ha esordito Rolfi.

Questa zona – ha proseguito il titolare dell’assessorato all’Agricoltura regionale – costituisce una grande ricchezza per la Lombardia, non solo per i suoi vini, ma anche per il suo paesaggio straordinario. Nell’epoca dell’enoturismo l’Oltrepò, con quello che può offrire, può tranquillamente vincere questa battaglia, se compatto e unito. Bisogna organizzarsi”.

Come? “Prima di tutto – ha precisato Rolfi – serve un Consorzio riconosciuto e compatto. Inoltre sono contento che c’è una riduzione della quantità prevista per la vendemmia 2019, in Oltrepò e in altre zone.L’obiettivo non è vincere la classifica della quantità, ma far percepire meglio e valorizzare il vino e posizionare meglio la bottiglia in termini di prezzo”.

In quest’ottica – dopo la legge regionale che stabilisce l’obbligo per gli agriturismi della Lombardia di servire esclusivamente vino lombardo – sono due le strategie che Rolfi ha intenzione di mettere in atto.

In primis l’Osservatorio regionale sulle carte dei vini. “La mia intenzione – ha spiegato l’assessore – è cercare di indirizzare le carte dei vini dei ristoranti lombardi, a partire da quelli della ‘capitale’ Milano, nella direzione del territorio”.

“È quello che il turista chiede – ha sottolineato Rolfi – e, per di più, la Lombardia è in grado da sola di produrre tutte le tipologie possibili di vino, dagli spumanti ai vini dolci, passando per i rossi, i bianchi e i frizzanti”.

L’altra operazione riguarda la promozione all’estero. Per la prima volta, Regione Lombardia sarà presente in maniera compatta con uno stand alla Prowein Trade Fair, in programma a Düsseldorf, in Germania, dal 15 al 17 marzo 2020. Si tratta della maggiore “Fiera del vino” internazionale, dedicata a buyer e professionisti del settore.

“Finalmente uno spazio in cui cercheremo di riunire cantine e Consorzi lombardi, per aiutare le aziende a presentarsi in una grande realtà internazionale e valorizzare la Lombardia vitivinicola“, ha commentato Fabio Rolfi.

Ci sarà certamente, tra questi, anche l’Oltrepò pavese del nuovo direttore Carlo Veronese. L’ex manager della Lugana, la cui investitura ufficiale nel pavese è prevista per l’1 settembre – ricoprirà il posto lasciato vacante da uno dei direttori più controversi della storia del Consorzio oltrepadano, il silurato Emanuele Bottiroli – sta prendendo le misure in Oltrepò.

Arrivando da una zona di pianura come quella del Lago del Garda – ha ammesso Veronese – per me queste sono colline, anzi quasi montagne! Mi sto ancora ambientando qui. Abbiamo un inizio di vendemmia che parte con un dato interessante: sarà più scarsa, in termini quantitativi”.

“Il fatto che in Oltrepò non ci sia un prodotto identificativo – ha aggiunto – non è necessariamente un male, se si riesce a vendere tutto. In questo momento c’è un po’ di difficoltà, anche perché c’è tanto prodotto. In questo senso, un’annata più scarsa può aiutare”.

“Il vino più importante, non tanto dal punto di vista della qualità ma da quello dell’immagine, ovvero lo spumante Metodo classico da uve Pinot Nero scelto dal territorio – ha assicurato Veronese – servirà a trainare tutti gli altri vini dell’Oltrepò”.

“Il lavoro sulla qualità è fondamentale – ha concluso il futuro direttore – e il gioco del Consorzio è quello di aumentare la promozione e tornare a fare gruppo, mettersi assieme. Condividere idee e attività. Se ci riusciamo, sono sicuro che in poco tempo arriveranno i risultati, anche grazie a una Regione molto vicina”.

I dati su una vendemmia 2019 in calo quantitativo vengono confermati da Stefano Malchiodi. “Abbiamo iniziato a raccogliere la base spumante la scorsa settimana – ha evidenziato il managing director di Tenuta Mazzolino – sia Chardonnay che Pinot Nero. Ottime le analisi sulle prime vasche”.

“L’escursione termica verificatasi nei primi giorni di agosto, dopo un fine luglio rovente – ha precisato Malchiodi – ha permesso di mandare avanti la maturazione fenologica senza troppo accumulo zuccherino, né calo dell’acidità. Il 20% in meno rispetto allo scorso anno non è un male: sarebbe peggio avere problemi sulla qualità, che è invece è entusiasmante”.

La vendemmia di Tenuta Mazzolino, del resto, è solo all’inizio. Si concluderà con le uve destinate ai vini rossi da affinare in legno, base Pinot Nero. Per di più, l’azienda di 20 ettari è suddivisa in 39 particelle, ognuna delle quali vendemmiata in diversi momenti.

Una “zonazione” alla altoatesina, insomma. O, ancora meglio, una visione “francese” dei vigneti, suddivisi in cru e micro vinificati. Una bella ricetta contro l’Oltrepò delle quantità, che spesso si traducono nei prezzi stracciati “massacra denominazioni”, riscontrabili al supermercato.

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Analisi e Tendenze Vino

Il “fenomeno Lugana” traina l’export dei vini lombardi

È sempre più forte l’interesse dei buyer stranieri per i vini della Lombardia. Il Padiglione lombardo a Vinitaly, il Salone internazionale dei vini e dei distillati in corso a Verona fino a domani, sta infatti registrando una presenza sempre più ampia e qualificata di operatori esteri interessati ad approfondire la conoscenza e ad acquistare le produzioni regionali, con il fenomeno Lugana in testa.

L’eccezionale incremento dell’export registrato dai vini di qualità della Lombardia, che negli ultimi quindici anni hanno visto crescere il valore sui mercati esteri del 66,8%, arrivando a quota 258 milioni di euro, con punte estreme in Cina (+8.686,5%), Hong Kong (+1.508,8%), Spagna (+722,6%) e Belgio (+709,4%), è quindi destinato a proseguire anche in futuro.

NUMERI RECORD
“Stiamo vedendo un pubblico molto qualificato e stiamo registrando parecchie presenze di operatori provenienti da Stati Uniti, Canada, Corea e Paesi del Nord Europa”
, spiega il direttore del Consorzio Tutela Lugana, Carlo Veronese. Un fenomeno, quello del Lugana, citato come esempio dall’assessore regionale all’Agricoltura, Gianni Fava, durante la conferenza stampa di presentazione del padiglione Lombardia a Vinitaly.

Centocinquanta milioni di euro di fatturato, 14 milioni di bottiglie nella vendemmia 2015, 1.675 ettari coltivati, un lungo tour promozionale negli USA con 10 tappe e tanti progetti in cantiere, in Italia e all’estero, per festeggiare nel 2017 i 50 anni della DOC, la prima della Lombardia. Questi i numeri più che positivi di un Consorzio, quello del Lugana Doc, che ha chiuso un 2016 in forte crescita, confermando un trend che dura ormai dal 2006. Con una produzione raddoppiata in dieci anni.

GLI OUTSIDER IN CRESCITA
“Gli stranieri stanno dimostrando un grande interesse per un territorio che all’estero è poco conosciuto, ma che stanno scoprendo insieme ai nostri vini”, conferma Emanuele Medolago Albani, presidente del Consorzio Tutela Valcalepio. “In questi tre giorni abbiamo ricevuto diverse delegazioni straniere, soprattutto da Cina, Regno Unito e Paesi del Nord Europa”.

Ma l’interesse dei buyer esteri è forte anche verso i vini eroici della Valtellina, dove “le aziende stanno facendo incontri interessanti con operatori provenienti prevalentemente da Svizzera e Stati Uniti”, spiega Mamete Prevostini, presidente del Consorzio Tutela Vini di Valtellina, così come verso le produzioni di nicchia che contribuiscono a rendere la Lombardia la regione con la più ampia possibilità di scelta a livello nazionale.

È il caso, ad esempio, del Montenetto, piccola denominazione bresciana che a Vinitaly “sta attirando sempre più interesse da parte dei buyer stranieri, soprattutto cinesi”, spiega la presidente del Consorzio Montenetto, Maria Grazia Marinelli

“Negli ultimi due anni la scelta di Vinitaly è stata quella di andare in maniera sempre più netta verso la vocazione di momento di business: la soddisfazione delle aziende per la presenza qualificata di delegazioni di buyer stranieri dimostra che la scelta sta pagando”, commenta il presidente di Unioncamere Lombardia, Gian Domenico Auricchio.

“Oggi che la sfida si gioca più che mai sui mercati internazionali il nostro obiettivo è quello di sostenere i produttori lombardi a fare ‘fronte comune’: il Padiglione Lombardia a Vinitaly – ha concluso Auricchio – dove è riunito l’85% delle aziende lombarde presenti in fiera, è un esempio positivo di come si possa lavorare insieme per un obiettivo comune”.

“La sfida dell’internazionalizzazione è un percorso ineluttabile per i nostri vini, anche alla luce di consumi che sul mercato domestico non mostrano grandi segni di vitalità – dichiara l’assessore all’Agricoltura della Lombardia, Gianni Fava –. L’elevata qualità dei vini lombardi e la varietà così ampia ha attirato operatori qualificati e buyer esteri, a conferma di un interesse che sta crescendo”.

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