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Quatar Pass per Timurass: i migliori vini degustati tra i Colli Tortonesi

Slow Food Piemonte e Valle D’Aosta fa centro, un’altra volta. Si è conclusa con un successo la grande domenica tra le cantine della Doc Colli Tortonesi, lo scorso 19 giugno. Quatar Pass per Timurass, quarto appuntamento del ricco programma di Cantine a Nord Ovest, ha visto la partecipazione di 210 persone. E mentre la macchina organizzativa di Slow Food è già all’opera per il prossimo appuntamento (il 23 luglio per “Scopri il Canelli”, incentrato sull’Oro Giallo, il Moscato d’Asti) Leo Rieser, responsabile eventi della banda piemontese della chiocciola, gongola per il risultato raggiunto. “E’ stata l’edizione di Quatar Pass per Timurass di maggiore successo – evidenzia – pur essendo questo appuntamento uno dei meno storici dell’intero candelario. Abbiamo incontrato persone che erano già state qui nelle edizioni precedenti, a dimostrazione della grande attrattività di questo territorio, che oltre al Timorasso offre grandi vini rossi e specialità gastronomiche eccezionali, come il formaggio Montebore e il salame Nobile del Giarolo”. Un ‘microclima’ particolare, dunque, anche per i rapporti tra viticoltori. “La peculiarità dei Colli Tortonesi – sottolinea Rieser – è che l’esponente d’eccellenza Walter Massa ha saputo recuperare un vitigno autoctono come il Timorasso e creare, assieme ad altri grandi pionieri della zona, un sistema di sincera collaborazione tra viticoltori. Una collaborazione fattiva, tutt’altro che di facciata. Non so quanto sia sincera o puramente provocatoria la dichiarazione che nel 2018 smetterà di fare vino, a voi rilasciata. Quello che mi sento di dire – conclude l’esponente Slow Food – è che qualsiasi cosa farà, la saprà fare benissimo. Walter Massa è un grande, non hai mai sbagliato un colpo. Ma è anche l’uomo dei grandi annunci, dunque staremo a vedere”.

CLAUDIO MARIOTTO

Non è iniziato da Walter Massa il tour di vinialsupermercato.it tra le cantine dei Colli Tortonesi. Bensì da un altro grande riferimento della zona: Claudio Mariotto. Lo abbiamo raggiunto nella cantina di strada per Sarezzano 29, proprio a Tortona, dopo aver ritirato il nostro calice al banchetto Slow Food allestito presso “Il Dì Cafè” di corso Leoniero, angolo piazza Duomo. Grande ressa già alle 11 alla cantina di Mariotto. “Il Timorasso – dichiara il viticoltore – ha fatto sì che un territorio pressoché sconosciuto avesse visibilità. Oggi il Timorasso è a New York, Tokyo, Londra e in tutto il mondo. in vigna l’attività viene portata avanti nel rispetto dell’ambiente, senza entrare però nella partitocrazia del mondo del vino di oggi: mi riferisco alle bandierine del ‘biologico’ o del ‘vino etico’. Facendo vino buono, senza avere soldi per fare pubblicità, si diventa dei riferimenti: il marketing nel vino si fa con le bottiglie buone, bicchiere dopo bicchiere. In una parola, il mio vino è vero”. Oltre a uno splendido Derthona 2010, vino delizioso che promette ancora parecchi anni di evoluzione in bottiglia, degustiamo Pitasso 2004: ottenuto dalla vigna storica di Timorasso, esposta a sud est sul territorio di Vho, colpisce per la potenza espressa dalla struttura, ma anche per le note fruttate che esaltano una beva lenta e voluttuosa, in un sorso che pare di glicerina pura. Le radici profonde della vecchia vecchia pescano gli elementi nutritivi da un suolo che regala un’espressione fantastica di Timorasso, da provare. Ottimi anche i rossi di Mariotto. La Freisa 2014 Braghé è un esempio di quanto questo antico vitigno autoctono piemontese possa essere (anzi debba essere) ulteriormente valorizzato in Italia e nel mondo. Un naso elegante e fine di rosa e piccole bacche rosse, precede un palato in cui le note fruttate di marasca e lampone – chiare, distinte, pulite – chiudono un sorso di grande corpo e sapidità. Chiudono il cerchio i vini Barbera di Mariotto, vero trait d’union di un terroir capace di regalare grandi bianchi, ma anche eccellenti rossi. Non a caso Poggio del Rosso è il vino preferito del viticoltore tortonese, quello che considera la migliore espressione della sua intera produzione. E non solo per una questione di cuore, dal momento che “Il Rosso” è il soprannome col quale veniva chiamato il padre Oreste. Il Poggio del Rosso affina 3 anni in cantina, per la maggior parte in rovere. Risulta così un vino dal tannino morbido ma vivace, impreziosito da note di ciliegia e cioccolato. Sentori terziari di grande pregevolezza già percepibili al naso: dalla cannella al tabacco dolce, dal caffè alla liquirizia.

LA COLOMBERA

Non è dello stesso impatto “emotivo” la visita all’azienda Agricola Semino Piercarlo “La Colombera” di strada comunale per Vho, 7, a Vho per l’appunto. Degustiamo Derthona e Il Montino, entrambi ottenuti da uve Timorasso. Viene proposta una mini verticale che mette in luce le grandi capacità di invecchiamento del vitigno, anche se i prodotti de La Colombera paiono meno ‘pronti’ in gioventù rispetto ad altri degustati domenica 19 in zona Tortona. Le annate 2014 e 2013 suggeriscono di bere Cortese piuttosto che Timorasso, per trovare soddisfazioni immediate sia al naso sia al palato. Merita invece una menzione il Derthona 2009: caldo, complesso, finalmente corposo e strutturato. Capace di regalare i tipici idrocarburi e sentori minerali del vitigno. Lascia perplesso il prezzo di vendita della vendemmia 2009 Derthona: soli 9 euro, a dispetto degli 8 euro delle vendemmie ‘giovani’. In una zona vinicola capace di fare squadra come in poche altre in Italia, una tale disparità di prezzi tra le stesse annate di diversi produttori rischia di sconcertare il consumatore. E deviarlo verso la ricerca del prezzo, più che della qualità. Un punto, questo, su cui devono lavorare in concerto i produttori di Timorasso, pur nell’autonomia delle singole aziende vitivinicole. Alla Colombera apprezziamo anche il naso di Suciaja, rosso ottenuto da uve Nibiò, vitigno autoctono dei colli tortonesi, ‘parente’ del Dolcetto. Ottimo invece nel complesso Arché 2011, altro vino rosso de La Colombera, ottenuto questa volta da uve Croatina. Dopo un breve appassimento sulla pianta, i grappoli vengono raccolti e vinificati. Il vino matura 14 mesi in tonneaux, regalando un naso speziato (pepe) e di piccoli frutti a bacca rossa. Al palato buona la struttura e il corpo: tannino piuttosto elegante e alcolicità sostenuta (14,5%) ma tutt’altro che fastidiosa, impreziosita da una sapidità non banale.

WALTER MASSA
Il filosofo del vino, il pioniere e marinaio che ha condotto Tortona a Hong Kong, passando per Londra, New York e Tokyo. Dire Timorasso senza citare Walter Massa è come parlare di calcio senza aver mai toccato un pallone. Lo raggiungiamo all’ora di pranzo nel suo quartier generale di piazza Capsoni 10, a Monleale. Quando arriviamo, Massa sta dicendo messa. E’ al centro di una lunga tavolata, affollata di ospiti che lo ascoltano come se stesse parlando il Messia. Perché Walter Massa è il verbo del Timorasso e il Timorasso è il verbo di Walter Massa. Per questo, chi non c’era, provi a portarsi a casa un Costa del Vento (dalla vendemmia 2014 in giù, finché il portafogli lo consente); o uno Sterpi 2013, un Timorasso che pare per certi versi Vermentino di Gallura. “Io prendo quello che la natura mi dà e cerco di portarlo in bottiglia”, dice Walter Massa mentre invita Pigi, la sua graziosa “badante”, a smettere di riempire i piatti di cassoeula e brodo con i ceci: “Sono qui per il vino, mica per mangiare!”. “Qui abbiamo l’acqua ligure, il vento piacentino, ma ci troviamo in Piemonte: siamo bastardi pieni”, scherza (ma non troppo) Massa, sollevando l’ilarità generale. E tra un sorriso e l’altro spuntano i vini rossi. E che rossi. Pertichetta 2010, 14,5%, ottenuto da uve Croatina, e soprattutto Bigolla 2001, 14,5% di Barbera granata, da definire con una sola parola: eccezionale.

OLTRETORRENTE
Dal mito alla new entry. Il passo è breve tra i Colli Tortonesi. Approdiamo così in via Cinque Martiri, a Paderna, dove Chiara Penati e Michele Conoscente, marito e moglie di 35 e 38 anni, sono espatriati da Milano per inseguire il loro sogno, dopo la laurea in Agronomia e diverse esperienze in aziende del settore. Tutto inizia nel 2010, con l’acquisto dell’attuale cantina su tre piani, un edificio storico nel centro del paese, parzialmente ristrutturato. Vengono condotte qui nei primi anni, per la vinificazione, le uve provenienti dal primo ettaro e mezzo di Oltretorrente, che prende il nome “da un romantico episodio di resistenza nell’omonimo quartiere di Parma – spiega Chiara – durante il ventennio fascista: alcuni abitanti, grazie a fantasiosi espedienti, fecero credere di essere armati fino ai denti, barricandosi in un palazzo e scacciando così le milizie. Un episodio che dimostra come, a volte, basta poco per fare le cose in grande e raggiungere grandi obiettivi”. In effetti la produzione di Oltretorrente è degna di nota. Oggi l’azienda può contare su un’altra struttura, sempre a Paderna, in grado di sostenere la lavorazione dei 3,5 ettari complessivi sin ora acquistati. “Si tratta di vigne vecchie – spiega Chiara – dai 20 anni ai 100 anni, con una media di 60”. Un aspetto fondamentale per comprendere la maturità di questa piccola ,e interessantissima realtà. In degustazione non troviamo (purtroppo) una grande varietà di prodotti. L’antipasto è il Cortese 2015, ottenuto dalla pressatura soffice delle uve intere, seguita da un affinamento di 8 mesi in acciaio sui propri lieviti, senza malolattica. Un’attenzione che offre un ottimo naso, fragrante, floreale e fruttato. Al palato vince invece lo spunto minerale, apprezzabilissimo. Sorprendente il Timorasso 2014, che regala note eleganti di fiori bianchi (camomilla). Al palato grande acidità e bel corpo, sorretto anche da una sapidità e da una mineralità che fanno presagire le grandi potenzialità del prodotto. Sulla via di una buona evoluzione anche il Timorasso 2013, l’unico in occasione di Quatar Pass a mostrare venature di uva passa e frutta candita. Buoni prodotti anche i due Barbera dei Colli Tortonesi, con quella Superiore (vendemmia 2012) che si eleva nettamente sulla prima per la grande pulizia delle note fruttate, sia al naso sia in bocca, impreziosite dalle spezie (liquirizia) e da un tannino levigato. “Accorpando vigne di anno in anno – annuncia Chiara – non siamo ancora riusciti a certificarci come produttori biologici, ma questo è il progetto per il futuro”.

POGGIO AZIENDA VINICOLA
Un capitolo a parte merita l’azienda vincola Poggio di Vignole Borbera, sempre in provincia di Alessandria ma all’estremo confine con la Liguria: per intenderci, siamo a pochi chilometri dall’outlet dell’abbigliamento di Serravalle Scrivia (buon motivo per combinare le due visite). Ci troviamo nella preziosa sottozona delle “Terre di Libarna”. Ezio e Mary Poggio, fratello e sorella, lui enologo, lei farmacista, rappresentano la terza generazione di una famiglia che vive nel mondo del vino da 50 anni, che da circa 15 anni ha iniziato a produrre in proprio, appoggiandosi anche su una filiera di piccole aziende agricole limitrofe, alcune delle quali condotte da giovani viticoltori. “Il Timorasso nasce qui come vitigno, in Val Borbera – sottolinea Mary – poi è stato portato nel Tortonese. A un certo punto scomparve per via delle malattie della vite e dello spopolamento delle valli, con gli abitanti della zona attirati dalle industrie, nelle grandi città come Genova, nel dopoguerra. Negli anni 90 Walter Massa ha avuto il merito di cominciare la riscoperta di questo autoctono. Noi siamo arrivati un po’ più tardi, nel 2002, avviando la produzione”. Nella Valle Borbera e nella limitrofa Valle Spinti, negli anni 40, c’erano 275 ettari di vigneto, tutti persi. Oggi in produzione ce ne sono una decina, tutti inseriti nella sottozona Terre di Libarna della Doc Colli Tortonesi. Quella della famiglia Poggio è stata una scommessa: “Abbiamo iniziato a impiantare Timorasso nella speranza che di lì a pochi anni fosse riconosciuta la Doc, altrimenti avremmo dovuto estirpare – sottolinea Mary -. Fortunatamente l’abbiamo ottenuta e abbiamo deciso di chiamare questa sottozona ‘Terre di Libarna’ in onore del sito archeologico di Libarna, che si trova a 4 Km da noi: un’antica cittadella romana, del II secolo avanti Cristo, che godeva di una fiorente viticoltura in Val Borbera e Spinti”.

I vigneti del Poggio si trovano tutti a un’altezza compresa tra i 450 ai 550 metri sul livello del mare. Le viti, come nel Tortonese, affondano le radici in un terreno argilloso e calcareo. Ma le grandi escursioni termiche permettono di produrre un Timorasso da degustare a tutti i costi. Diverso da quello di Tortona e Vho: un Timorasso dall’acidità ancora più spiccata. Con una gradazione alcolica inferiore anche di due gradi rispetto alla media tortonese, che si aggira sui 14 – 14,5%, compensata però da una balsamicità magicamente avvolgente. I risultati ottenuti dal Poggio dalla prima vendemmia del 2008, fa pensare ai coraggiosi Ezio e Mary che avrebbero potuto produrre con successo anche una versione spumantizzata. Ed è così che nel 2010 nasce Lusarein, ottenuto in purezza da uve Timorasso, raccolte precocemente, ottenendo una “base” da 11,5 gradi. Uno charmat d’autoclave lunga (6 mesi), imbottigliato a 12,5 gradi. Di colore giallo paglierino con riflessi verdognoli, Lusarein sfodera una spuma leggera con perlage fine e persistente. Al naso note minerali e agrumate. In bocca una sapidità piuttosto spiccata, cui fa eco un’acidità notevole: caratteristiche che invitano al sorso successivo, che si chiude con un retrogusto amarognolo. Ottimo come aperitivo, può essere abbinato a primi e secondi di pesce, ma anche alle carni bianche. Di Lusarein 2014 sono state prodotte 4 mila bottiglie. Ottimi, del Poggio, anche L’Archetipo e il Caespes, ottenuti sempre da uve Timorasso 100%. Caespes è il base, di cui degustiamo l’annata 2014, già pronta a sorprendere per la grande acidità che regala una beva facile, ma tutt’altro che banale. Si sale ulteriormente di livello con L’Archetipo 2013, dalla notevole vena balsamica, che diventa ancora più profonda e fresca nella vendemmia 2011, davvero degna di nota. Tutti vini ottenuti da rese per ettaro basse, sotto i 50 quintali. Un numero che, per la vendemmia 2015, è sceso addirittura a 35 quintali. Diciottomila le bottiglie prodotte complessivamente dal Poggio, tutte all’insegna di una grande qualità.

AZIENDA AGRICOLA RICCI
Di grande pregio anche la produzione dell’azienda Azienda Agricola Ricci, situata in via Montale Celli 9, Costa Vescovato. Una realtà alla quale ci siamo avvicinati in occasione del Vinitaly 2015. Carlo Daniele Ricci, il titolare, si è ormai specializzato nella produzione di un Timorasso senza pari. Il viaggio tra i sapori (e i colori) di questo uvaggio inizia con Terre del Timorasso 2013, vinificato in acciaio. Vino di un giallo dorato, sfodera un naso non particolarmente intenso, preludio tuttavia di un palato caldo e persistente. Si passa dunque a San Leto 2009, ottenuto mediante fermentazione e affinamento in acacio. San Leto 2006 stupisce per l’intensità olfattiva, che sfiora le tinte balsamiche. Giallo di Costa 2011 scorre nel calice tingendolo di un ambra allettante, che in bocca diventa piacere puro, tanto risulta morbido e rotondo il nettare, nonostante il calore dei suoi 14 gradi di alcol in volume. Giallo di Costa 2007, è l’eleganza fatta vino. E San Leto 2004 la ciliegina su una torta di una produzione di altissimo livello. “Lavorare bene in vigna – commenta il produttore Carlo Daniele Ricci – è il primo passo per ottenere vini di grande equilibrio. Conosco ogni singolo componente dei terreni che coltivo, avendo effettuato per anni delle ricerche accuratissime che mi permettono di capire come sarà il vino ancor prima di produrlo. Nell’area di produzione del Timorasso c’è grande rispetto per l’ambiente e unità tra produttori. Siamo partiti come carbonari, contro tutti i commercianti di vino e le cantine sociali. Dopo 20 anni di fatiche e battaglie, possiamo finalmente affermare che il territorio ce l’abbiamo in mano noi, produttori attenti alla terra e all’ambiente”. Quale immagine migliore per la Doc Colli Tortonesi?

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Numeri da record per I Rossi del Rosa Slow Food: ecco la nostra selezione di Nebbioli

Il bel tempo e la ricollocazione della manifestazione a metà marzo aiutano Slow Food. Record di presenze domenica 20 marzo in Alto Piemonte per “I Rossi del Rosa”. La terza edizione della manifestazione organizzata da Cantine a Nord Ovest ha visto la partecipazione di 550 persone.

“Numeri alti – commenta Leo Rieser, responsabile Eventi di Slow Food Piemonte e Valle d’Aosta – che di solito riusciamo a raggiungere solo per gli eventi legati al Gavi, sulla cresta dell’onda ormai da 17 anni”.

Riflettori puntati per un giorno intero, dalle 10 alle 18, su ventidue produttori di Nebbiolo (e non solo) distribuiti in tre province: Vercelli, Novara e Biella. Tutti uniti dal rispetto per il territorio, vero mantra della Chiocciola. “Lo scopo – aggiunge Leo Rieser, nella foto sotto – era far conoscere l’Alto Piemonte e i suoi vini di qualità a un pubblico più vasto possibile, comunemente abituato a pensare solamente a Langhe e Roero.

I Nebbioli del Nord sono invece prodotti di grande qualità, che meritano certamente meritano assolutamente una simile ribalta. E adesso tocca al Giro del Nizza, in programma per il 17 aprile”.

Per esigenze espresse da alcune aziende agricole, numerosi produttori di Bramattera Doc hanno preferito darsi un punto comune di ritrovo. Il tour inizia proprio da Casa del Bosco, Biella, piccola frazione del Comune di Sostegno che ospita il Museo del Bramaterra.

Un vero e proprio mausoleo in cui sono conservati documenti storici sulla viticoltura locale, d’interesse anche didattico, oltre a strumenti antichi come il torchio, lo sgranatoio a mano, tini, gerle per la raccolta dell’uva e altri curiosi attrezzi d’epoca.

LE DEGUSTAZIONI
Dal sapiente blend tra uve Nebbiolo, Croatina, Bonarda (Uva Rara) e Vespolina, in percentuali definite dal rigido disciplinare, si produce il vino Bramaterra.
Le uve provengono dai vigneti di Roasio, Lozzolo, Sostegno, Villa del Bosco, Masserano, Curino e Brusnengo. Tra i vini in degustazione segnaliamo su tutti il Bramaterra 2012 dell’azienda vitivinicola Antoniotti Antoniotti Odilio di Sostegno.
Di un rubino brillante, trasparente come vuole la base Nebbiolo, offre al naso sentori floreali di viola e piccoli frutti di bosco. Il vino è stato portato sul posto dallo stesso produttore ed è ancora piuttosto freddo al momento della degustazione.
Ci mette un po’ ad aprirsi e sprigionare la carica dei terziari, copiosa: dal tabacco al cuoio, con una punta di pepe. Vino di corpo, rotondo, d’acidità spiccata ma ben vestita, fa registrare 14 gradi di percentuale d’alcol in volume. Evidenti i margini di miglioramento negli anni a venire.
Buono anche il Coste della Sesia Doc 2013 di Antoniotti: un base Nebbiolo (95%) cui viene addizionata ogni anno una percentuale differente di Croatina, Vespolina e Uva Rara che colpisce soprattutto per la persistenza e l’intensità retro olfattiva, oltre alla beva davvero elegante e fine. Ottimo il rapporto qualità prezzo: 18 euro per il Bramaterra Doc 2012, che scendono a 12 per il Coste della Sesia Doc 2013.
Restiamo invece soddisfatti ‘a metà’ dall’assaggio del Bramaterra Riserva 2007 de La Palazzina di Montà Leonardo (Roasio, Vercelli). Quarantotto mesi in legno utili a smorzare le spigolosità del Nebbiolo, riducendolo forse un po’ troppo: 12,5%, ottima acidità, ma un corpo che ci saremmo aspettati più ‘muscoloso’.
TRAVAGLINI GATTINARA
Si risale in auto con destinazione Gattinara. Il navigatore satellitare segna l’indirizzo di uno dei riferimenti della zona: l’azienda vitivinicola Travaglini di via delle Vigne 36. Si registra un po’ di ressa, ma l’ottimo staff accoglienza è svelto nell’organizzare i gruppi di visitatori.
Veniamo condotti nelle cantine, dove in gigantesche botti grandi di rovere di Slavonia riposa il prezioso nettare, che ha contribuito a diffondere il verbo dei Nebbioli del Nord Piemonte fuori dai confini regionali e nazionali.
La “base” Travaglini riposa 3 anni in legno, la Riserva 4. Si tratta di roveri presenti dal ’58 nelle cantine del fondatore Giancarlo. Il Gattinara 2011 sarà presentato al Vinitaly 2016. Per la nuova Riserva se ne riparla nel 2018. Tutti i vini della linea Travaglini, oltre alle botti grandi, subiscono una maturazione in barrique della durata variabile tra i 7 e i 9 mesi.
In questo caso si tratta di legni sostituiti ogni 3 anni. Più di mille barrique in bella mostra. E accatastate su un bancale “a testa in giù”, a riposare alla stregua dello Champagne nelle pupitres, si scorgono le bottiglie di Nebolè: è il Metodo Classico Travaglini.
Quarantotto mesi sui lieviti, anche per la 2011, seconda ‘edizione’ delle bollicine Nebbiolo 100% Extra Brut, made in Gattinara. Trentatré euro il costo, giustificato non solo dalla tiratura limitata (meno di 2 mila bottiglie) ma anche dal fatto che la vinificazione viene condotta ad Alba.
Il gruppo di visitatori viene dunque condotto nell’ampia sala di degustazione dei vini Travaglini, presenti anche in alcune enoteche della Gdo. Si parte dal Coste della Sesia 2014 (13,5%, 9,50 euro): rosso rubino intenso, al naso ribes, lampone; tannino vivo, grande acidità, che conferisce piacevolezza e freschezza a una beva morbida, rotonda. Il Gattinara “base” è invece della vendemmia 2010 (13,5%, 14,50 euro).
Di colore granato aranciato, al naso regala note minerali, floreali e fruttate. Aprendosi nel calice dona il meglio di sé: liquirizia dolce, cuoio. La grande acidità e freschezza in entrata fa spazio alla sapidità finale, sostenuta da un tannino vivo, elegante. Tre Vigne 2010 (13,5%, 22,30 euro) è il vino più ruffiano della Travaglini. Quello che, per intenderci, fa strage di donne e giovani.

Il prodotto più beverino della linea, ottenuto da tre microclimi differenti di Gattinara. Tre vigne, appunto, il cui frutto viene sapientemente mixato.

Un vino di più facile e immediata lettura, con le sue note fruttate (bacca rossa) e balsamiche, tra le cui righe scorgiamo anche una parte ‘vegetale’, che ricorda il rosmarino, e una curiosa nota dolce di cipolla caramellata, a fare da eco alle note speziate di cuoio e liquirizia.

L’acidità spiccata lo rende vino capace di maturare ancora per diversi anni. Finiamo in bellezza, quasi ad occhi chiusi, con Il Sogno 2010 (15,5%, 49,50 euro), il vino da uve appassite di Travaglini, in stile “Sforzato” o “Amarone”. Lo spettro gusto olfattivo impressiona e la maggior parte dei sentori offrono corrispondenza.

Si va dalla prugna all’albicocca sciroppata, per passare alla scorza d’arancia in confettura e all’uvetta sotto spirito, sino a sentori più complessi e speziati come cannella, chiodi di garofano, curcuma. Cento giorni sui graticci ad appassire per le uve 100% Nebbiolo stramature, poi sottoposte a 4 mesi di rovere. Vino sontuoso da meditazione, o da accompagnare al dolce, registra una straordinaria persistenza.

ANZIVINO
Nel cuore di Gattinara, facciamo dunque visita alla Anzivino Viticoltori. Un’azienda relativamente giovane, fondata nel 1998 da due milanesi, Emanuela e Sabrina, che hanno deciso di dare una svolta alla loro vita, ridando lustro a una vecchia distilleria chiusa da anni a Gattinara, trasformandola in azienda vitivinicola.
Marco, del servizio accoglienza, guida i suoi ospiti in un viaggio tra i vini Anzivino che ci porta a segnalare, su tutti, il Bramaterra Doc 2013: 60% Nebbiolo, 30% Croatina e un 10% tra Uva Rara e Vespolina.
Possiamo definirlo in assoluto il miglior Bramaterra in degustazione nella giornata, in termini di prontezza e potenzialità future. Di colore rosso rubino tendente al granato, offre un olfatto intenso, florale di viola e fruttato di lamponi e ribes.
L’affinamento di 24 mesi, di cui almeno 18 in legno, dona complessità a un nettare che assume tinte eteree e regala sentori di vegetali di rosmarino, salvia, mentuccia e speziati di cuoio e liquirizia. Un vino di corpo e struttura, eppure morbido, rotondo, molto fresco e di buona sapidità.
Al cospetto del Bramaterra Doc Anzivino rischiano di finire in secondo piano i due Gattinara, anche se la Riserva merita più d’una menzione. Interessante anche il Faticato Coste della Sesia Nebbiolo Doc 2007 Anzivino. Le uve provenienti dai vigneti più impervi, dopo la vendemmia arrivano in cantina e vengono delicatamente distese su graticci, sui quali appassiscono fino al mese di dicembre. La fermentazione avviene nei tradizionali tini di legno.
Il vino viene poi affinato in legno medio-piccolo di secondo o terzo passaggio per almeno due anni, con un ulteriore anno di riposo in bottiglia. Anzivino è stato il primo produttore in zona a pensare a un vino da appassimento che, per la vendemmia in degustazione, è stato sottoposto a una maturazione di 5 anni in rovere.
Ne scaturisce un vino sullo stile Sforzato-Amarone che si presenta nel calice d’un rosso rubino intenso con riflessi granati. Il profumo è invitante, complesso e intenso, ma al palato lo avremmo preferito più strutturato e persistente. Il rapporto qualità prezzo (che si aggira attorno ai 24 euro), giustifica comunque il gap con il prodotto di riferimento per tipologia della zona, Il Sogno di Travaglini (49,50 euro).
IOPPA
Dopo un tour alla Cantina del Castello Conti di Maggiora (Novara), pittoresca location che non riusciamo ad annoverare tra le più memorabili, in termini di prodotti offerti in degustazione, ci spostiamo in quella che, a conti fatti, risulterà la vera “sorpresa” della giornata. Parliamo dell’azienda vitivinicola Ioppa Fratelli Gianpiero e Giorgio di Romagnano Sesia, Novara.
Qui a guidarci c’è il giovane Luca, settima generazione di una famiglia di agricoltori di cui si hanno tracce già a partire dal 1852. Siamo al cospetto di un’attività agricola che ha saputo riconvertire la produzione dal cerealicolo al vitivinicolo. Un processo iniziato a metà degli negli anni Novanta, che ha portato i terreni vitati della Ioppa a crescere dai 7 ettari degli dell’anno 2000 agli oltre 20,5 ettari attuali.
E un alto ettaro e mezzo è pronto per essere impiantato durante la Primavera 2016, con l’obiettivo di raggiungere i 30 ettari complessivi entro i prossimi 10 anni. Luca Ioppa mostra le aree di produzione della cantina. Una cantina proiettata principalmente al mercato estero.
“Produciamo complessivamente circa 140 mila bottiglie – spiega il giovane viticoltore -. La parte del leone è riservata al Nebbiolo Rosato, con 65 mila bottiglie. Si tratta del prodotto più apprezzato nel nostro mercato di riferimento, la Norvegia”.
Di recente stiamo entrando anche in Svezia, mentre siamo già presenti e strutturati in Paesi come Stati Uniti e in Giappone”. In Italia, Ioppa si è di recente slegata da un canale di distribuzione horeca della zona, affidandosi a una rete interna di rappresentanti. Una scelta dovuta alla necessità di legarsi a doppio filo con la ristorazione locale”.
Dopo il tour della cantina ci concentriamo su una degustazione che lascia il segno. A sorprendere è il vino bianco San Grato, di cui vengono prodotte 3 mila bottiglia. Si tratta di un vendemmia 2014 a base Erbaluce (60%), cui vengono addizionati un 30% Timorasso e un 10% Traminer aromatico. Le percentuali di uva variano di anno in anno, così come è variata la percentuale di alcol in volume, passata dagli 11,5 gradi della vendemmia 2014, ai 14% della vendemmia 2015.
Il San Grato Ioppa 2014 si presenta nel calice di un giallo paglierino con riflessi verdolini. Al naso richiami di pesca e frutta tropicale (ananas), ma è al palato che dà il meglio di sé: la sapidità accentuata è bilanciata dalla struttura conferita all’Erbaluce dal Timorasso. Ne scaturisce un bianco semplice ma di corpo, intenso e persistente nel retro olfattivo, che ci piacerebbe abbinare all’istante a un piatto di buon sushi o sashimi. Un vino base fuori dagli schemi, al costo di soli 5 euro: da provare.
Passiamo dunque al rosato Colline Novaresi Doc Nebbiolo Ioppa: un vino intrinsecamente legato al mercato cui è destinato, ruffiano, piacione, in cui la buona vena acida è smorzata da una percezione fruttata zuccherina. Piace ai norvegesi.
Ottimo invece il Ghemme Docg Bricco Balsina 2006, ottenuto da un vigneto con esposizione a sud-ovest situato nella zona più vocata del paese, denominata appunto “Balsina”, con un terreno alluvionale ricco di sali minerali che consente alle radici di scavare in profondità, alla ricerca dei migliori elementi nutritivi.
Si tratta di un blend Nebbiolo (85%) Vespolina (15%), invecchiato 4 anni in legno, di ottima mineralità e acidità, che si distingue per struttura, corpo e persistenza. Ne vengono prodotte 3 mila bottiglie.  Degno di nota anche Stransì (2000 bottiglie), il passito di Vespolina di casa Ioppa, unico produttore che lo realizza con questo uvaggio autoctono.
Un vino dolce, da dessert, che si presta anche all’abbinamento con il gorgonzola piccante. La Vespolina, uva tannica e strutturata, conferisce tali caratteristiche anche al passito in questione, che risulta tutt’altro che stucchevole. Chapeau. Viene prodotto ininterrottamente dal 2005.
“Mio padre e mio zio – spiega Luca – si ricordavano che mio nonno, loro padre, durante il periodo delle feste di Natale era solito portare in tavola un vino dolce, ottenuto da una produzione ad hoc. Da questa tradizione è nata l’idea di un vino passito ottenuto dalle prime uve raccolte dal 10 al 15 settembre, dunque con un grado di acidità che consenta l’invecchiamento, lasciate appassire fino alla fine di febbraio.
Da 100 chili d’uva otteniamo 10-15 litri di vino, a dimostrazione della grande ricercatezza che cerchiamo di conferire al prodotto. In seguito alla fermentazione – continua Luca Ioppa – il vino viene invecchiato in legno. Raggiunge i 15-16 gradi e, attualmente, abbiamo in legno la vendemmia 2008, che presto sarà imbottigliata”.
Degli Antichi Vigneti di Cantalupo (Ghemme) abbiamo già speso “ampie” pagine del nostro wine blog. E per chi ancora non lo conoscesse, invitiamo tutti i winelovers a visitare il regno dell’immenso Alberto Arlunno, uomo di grande cultura e profonda sensibilità, ben oltre il mondo del vino. Qui, invece, il nostro reportage dalla cantina Nervi.
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