Si chiama Lunaria il primo Pinot Nero Metodo classico di Bosco del Sasso, la cantina dell’Oltrepò pavese guidata da Manuela Elsa Centinaio, sorella del vicepresidente del Senato, Gian Marco Centinaio. Uno spumante di qualità (Vsq) – non un Docg Oltrepò – dosaggio Brut, 30 mesi sui lieviti, che mostra la struttura corpulenta del Pinot Nero dei vigneti situati tra la Valle Versa e la Valle Scuropasso. Senza tuttavia perdere di vista l’obiettivo primario: la beva. Quattro gli ettari a disposizione di Bosco del Sasso in frazione Roncole 8, a Canneto Pavese. La cantina, tuttora in allestimento sul fronte dell’accoglienza del pubblico, ha aperto i battenti nel 2022, con Manuela Elsa Centinaio nel ruolo di amministratore unico della società. Un ritorno alle origini pavesi nelle vesti di imprenditrice vinicola, dopo i trascorsi nel settore Food & Beverage come responsabile della qualità.
ECCO LUNARIA, IL METODO CLASSICO DI BOSCO DEL SASSO
«Con Lunaria – ha spiegato Centinaio lunedì 2 dicembre, in occasione del lancio ufficiale del nuovo spumante, all’Enoteca Regionale della Lombardia di Broni – completiamo la nostra gamma di vini che raccontano l’Oltrepò pavese, nostra casa e territorio che abbiamo scelto e in cui crediamo molto. Dopo Buttafuoco Doc, Buttafuoco Storico Doc e uno spumante Extra Dry Metodo Martinotti “19.09“, chiudiamo il cerchio con un Metodo classico ottenuto da sole uve Pinot Nero». Lunaria richiama il nome di una pianta, conosciuta in Italia anche come “Moneta del Papa” – in Olanda come “Judaspenning”, ovvero “Monete di Giuda”, allusione ai trenta denari d’argento, paga di Giuda Iscariota – ma soprattutto il colore e la luminosità della Luna.
L’etichetta nera esalta la scritta dorata del logo di Bosco del Sasso, il cui simbolo è un cipresso. «Un filare di cipressi conduce all’ingresso della nostra cantina – ha sottolineato la titolare – aprendo la porta al nostro mondo. Lo stesso fa il packaging studiato da Alberto Cei, design director della branding agency Robilant, offrendo un’esperienza tattile, oltre che visiva, grazie ai rami del Pinot Nero stilizzati sullo sfondo, in rilievo. Un modo per comunicare che si può iniziare a degustare Lunaria sin dall’etichetta, a bottiglia chiusa».
L’OLTREPÒ PAVESE DI BOSCO DEL SASSO
L’enologo di Bosco del Sasso è Michele Zanardo. «Avevamo già tre vini – ha commentato – ma uno sgabello sta in piedi con quattro gambe. Dopo i primi due vini rossi è arrivato un Martinotti. Ma l’Oltrepò pavese è terra di Metodo classico e di Pinot Nero. Così è nato Lunaria, uno spumante che vuole essere fine, elegante e di gran bevibilità, in assoluta coerenza con il percorso dei vini di Bosco del Sasso, tutti orientati sul piacere della beva e sul desiderio che un sorso chiami l’altro, senza appesantire. Del resto sono convinto che il lavoro dell’enologo può dirsi compiuto solo quando la bottiglia finisce facilmente sul tavolo».
«Con Lunaria – ha aggiunto il sommelier della cantina, Roberto Galli – abbracciamo finalmente tutte le sfumature dello spumante da uve Pinot Nero dell’Oltrepò. Un vino perfetto come aperitivo con salumi, formaggi freschi o di media stagionatura, o in abbinamento con antipasti di pesce, crostacei o cucina di mare gourmet». Soddisfazione anche per il presidente dell’Enoteca regionale della Lombardia. «Eventi come questo – ha evidenziato Roberto Allegrini, sempre in occasione del lancio del primo metodo classico di Bosco del Sasso – consentono all’Enoteca regionale della Lombardia di raggiungere uno dei suoi obiettivi. Questo spazio non è di Regione Lombardia, ma è dell’Oltrepò pavese e dei produttori. Mi auguro che in molti prendano esempio, rendendo l’Enoteca regionale un riferimento per questo territorio e non solo».
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Le vigne eroiche del Buttafuoco storico tra pendenze e basse rese abbinamento col pesce si puo 2
In fondo, basta un po’ di fantasia. A ovest il Torrente Scuropasso: la Garonne. A est il Torrente Versa: la Dordogne. Con le dovute proporzioni, Buttafuoco storico e Bordeaux condividono l’abbraccio di due corsi d’acqua. Ma è l’approccio alla singola vigna, più unico che raro in Oltrepò pavese, a rendere meno azzardato il parallelismo tra lo “Sperone di Stradella” – l’areale di produzione del Buttafuoco Storico – e una porzione della mitica regione vinicola francese.
Solo 22 ettari, compresi nei comuni di Canneto Pavese, Montescano, Castana e parte dei comuni di Broni, Stradella, Cigognola e Pietra de’ Giorgi. Tutti in provincia di Pavia, a sud del fiume Po. Si trovano qui le vigne del Buttafuoco Storico, molte delle quali presentano pendenze esasperate e basse rese, tipiche della viticoltura eroica.
Una zona di eccellenze, tanto nel calice quanto nel piatto. La riprova grazie al (provocatorio) menu ideato dallo chef Alessandro Folli del Ristorante Ad Astra di Santa Maria della Versa. Piatti a base di pesce, crostacei e molluschi, ingredienti lontani dalla tradizione locale, dimostrano una certa poliedricità nell’abbinamento del Buttafuoco storico, oltre a confermare il buon livello della ristorazione pavese.
UNA «DOCG PRIVATA» ALLA SFIDA DEI TEMPI
Ad accettare la sfida, uscendo dalla comfort zone della classicità del pairing, sono i 17 produttori aderenti al Club del Buttafuoco Storico, desiderosi di allargare i confini di un vino prodotto in tiratura limitatissima – appena 90 mila bottiglie all’anno – assimilabile, per definizione degli stessi vignaioli pavesi, a una sorta di «Docg privata» (se ne era parlato prima del Covid-19).
La guida del Club, prossimo a inaugurare una nuova sede con wine-bar proprio accanto a quella attuale, in frazione Vigalone a Canneto Pavese (PV), è affidata al produttore Davide Calvi. Una mente curiosa e lucida, affiancata nella direzione dal manager Armando Colombi e dall’esperienza del vice presidente Giulio Fiamberti.
Per l’abbinamento, Club e chef hanno scelto due annate (2017 e 2012) della bottiglia consortile “Vignaioli del Buttafuoco storico“, frutto della volontà dei produttori di condensare, in un unico vino, le caratteristiche delle vigne iscritte al rigido “disciplinare” di produzione.
Una “cuvée speciale” ambasciatrice del Buttafuoco storico, assemblata ogni anno, sin dal 2011, da un enologo italiano esterno (l’ultima in commercio, la 2017, è firmata da Michele Zanardo, vicepresidente vicario del Comitato Nazionale Vino Dop e Igp). Per il dolce, un’altra chicca: il Buttafuoco storico chinato.
LE VIGNE DEL BUTTAFUOCO STORICO: GHIAIE, ARENARIE E ARGILLE
I 20 “cru” sono suddivisi da nord a sud in tre macro areali, definiti dalle caratteristiche del suolo. Ghiaie a nord, Arenarie al centro e Argille nella parte meridionale. Sei le espressioni delle Ghiaie: Badalucca, Casa del Corno, Solenga, Beccarie-Carì, Pianlong e Sacca del Prete.
Per le Arenarie ecco gli otto Buttafuoco Storico Bricco in Versira, Pregana, Montarzolo, Canne, Pitturina, Costera, Rogolino e Poggio Ca’ Cagnoni. Meno “congestionata” la sottozona delle Argille con le altre 6 espressioni delle vigne Frach, Catelotta, Garlenzo, Ca’ Padroni, Poggio della Guerra e Casa Barnaba.
Buttafuoco storico dalle Ghiaie: alcolicità e acidità
Territorio più a nord della zona di produzione del Buttafuoco Storico con fondo di ghiaie inglobate in sabbie. Sottozona caratterizzata da vigne molto ripide che esprimono il meglio a monte della metà collina. Le uve raggiungono elevati gradi di maturazione e si trasformano in vini ricchi, leggermente spigolosi da giovani, ma con elevata longevità.
Producono qui:
Azienda Agricola Fiamberti Giulio
Azienda Agricola Il Poggio di Alessi Roberto
Giorgi
Cantina Scuropasso
Azienda Agricola Bruno Verdi
Buttafuoco storico dalle Arenarie: alcolicità e tannicità
Territorio centrale della zona di produzione del Buttafuoco Storico con fondo di arenarie compatte in alcuni punti quasi affioranti. Le vigne di questa sottozona sono esposte prevalentemente a Sud-Ovest. La compattezza delle arenarie ostacola la crescita della pianta nei primi anni per dare però alla vite matura una forte resistenza alla siccità. Le uve concentrano la mineralità del sottosuolo e la trasmettono ai vini che si presentano in gioventù leggermente aspri, ma che evolvono in complessa austerità.
Producono qui:
Azienda Agricola Poggio Rebasti
Azienda Maggi Francesco
Azienda Agricola Piovani Massimo
Azienda Agricola Riccardi Luigi
Azienda Vitivinicola Calvi
Buttafuoco storico dalle Argille: alcolicità e corpo
Territorio più a sud della zona di produzione del Buttafuoco Storico con fondo di argille stratificate. In questa sottozona la pendenza delle vigne è inferiore alle altre due, il fondo è generalmente più fresco e dona alla pianta particolare robustezza. Le uve, favorite da un decorso vegetativo di solito costante, maturano perfettamente. I vini si presentano da subito rotondi e intriganti pur evidenziando notevole struttura e corposità.
Producono qui:
Azienda Agricola Diana
Azienda Agricola Quaquarini Francesco
Tenuta La Costa
Azienda Agricola Giorgi Franco
Azienda Agricola Cignoli Doro
Azienda Agricola Colombi Francesco
Piccolo Bacco dei Quaroni
LE UVE DEL BUTTAFUOCO STORICO: CROATINA, BARBERA, UGHETTA E UVA RARA
L’infernòt dell’Azienda agricola Massimo Piovani, a Monteveneroso (PV)
Come a Bordeaux, anche in quest’angolo posto all’estremo nord-est della denominazione oltrepadana si produce un vino rosso da uvaggio. Al posto di Cabernet e Merlot, il Buttafuoco Storico nasce dal sapiente assemblaggio di Croatina, Barbera, Ughetta di Canneto e Uva Rara.
La prima varietà definisce l’impronta tannica, il colore e i sentori di frutta; la seconda apporta acidità. Le ultime due – spesso raccolte in sovra maturazione, per evitare astringenze ed eccessiva rusticità – regalano ricordi pronunciati di spezie, liquirizia e uvetta passa. Un matrimonio tra uve che, almeno sulla carta, rischia di spaventare il consumatore moderno, sempre più alla ricerca di vini che non eccedano in sovraestrazioni e tenore alcolico. Eppure, non sempre è così.
A dispetto del nome, che richiama l’espressione del dialetto pavese «Al buta me al feüg», ovvero “brucia come il fuoco“, il Buttafuoco storico sa essere elegante e fresco. Nelle migliori espressioni, la potenza dell’uvaggio è attenuata dal savoir-faire dei produttori locali, riuniti sin dal 1996 nel Club del Buttafuoco Storico.
BUTTAFUOCO STORICO E ABBINAMENTO COL PESCE
Gioca tra terra e mare il menu pensato dallo chef Alessandro Folli del Ristorante Ad Astra di Santa Maria della Versa. La vendemmia 2017 dei Vignaioli del Buttafuoco storico non sfigura affatto al cospetto dell’entrée. Nel piatto, tre morsi: un bignè ripieno di robiola, con basilico e caviale di salmone; una carotina in Giardiniera, ricotta di pecora filtrata e perlage di basilico; e una polpetta di tonno alletterato, erbette amare e calemansi (calamondino).
Si osa ancora di più con la portata successiva: capesante scottate con ‘Nduja, mela marinata nel limone, caviale di acciughe, cedro candito e nasturzio. Sorprendente la risposta del Buttafuoco storico alla leggera piccantezza e al gusto delicato ma deciso del mollusco, nella sua componente “dolce”. Chiave del pairing è l’acidità, oltre al lavoro sottile di tannini già piuttosto amalgamati.
Il carico aumenta quando nei calici viene viene versato il millesimo 2012 dei Vignaioli del Buttafuoco storico. Qui spazio alla carne al posto del pesce, come a suggerire che siano le versioni più “recenti” del Buttafuoco storico quelle più adatte ai pairing meno convenzionali. Perfetto, di fatto, l’abbinamento con gli agnolotti che lo chef Alessandro Folli definisce «tra passato e presente».
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Per la preparazione ha fatto ricorso a due tecniche di cottura. Il ripieno cucinato in maniera classica, ottenendo il brasato. Il sugo cuoce invece a bassa temperatura, sottovuoto, per 16 ore. Viene poi passato a mano, a coltello, prima di essere unito alla pasta con olio all’alloro macerato 20 giorni e il fondo ottenuto dalle ossa. Un tocco di agrume lega ancor più il piatto al vino.
Perfetto anche l’abbinamento tra il Buttafuoco storico Chinato, vera e propria chicca del territorio, e il gelato al Pepe di Timut, noto anche come Pepe selvatico di Szechuan. Un omaggio dello chef Alessandro Folli al suo maestro Alain Ducasse e al suo sorbetto al limone. Il vino, vendemmia 2017 con infusione di spezie e affinamento per 6 mesi in legno, convince anche con il secondo dessert.
Si tratta di una Mela di Soriasco rivisitata. Dell’originale conserva la forma e il tipico colore rosso dell’involucro di cioccolato bianco e burro di cacao. All’interno uno strudel ottenuto dalla varietà di mele tipica della zona di Santa Maria della Versa e dall’emulsione di tutti gli ingredienti tipici del dolce austro-ungarico.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
EDITORIALE – La forma a grappolo d’uva è un invito sulla cartina geografica. Eppure, l’Oltrepò pavese è ancora sconosciuto a gran parte dei milanesi. Vino e ospitalità, col passare degli anni, si sono fusi sempre più in quello che potrebbe essere uno dei paradisi dell’enologia italiana.
Oggi, le nuove formule di turismo di prossimità, dettate dall’emergenza Coronavirus, mettono involontariamente gli abitanti di Milano nell’angolo. Basta scuse, insomma. È ora di scoprire, anche solo per un weekend o una gita fuori porta, le bellezze di una terra che dista un’ora dal capoluogo della Lombardia.
Il biglietto da visita è fatto di numeri. L’Oltrepò conta 13.500 ettari di vigneti e 1.700 aziende vitivinicole, molte delle quali a conduzione famigliare, capaci di produrre oltre il 60% del vino lombardo. Il tutto lungo l’asse magico del 45° parallelo, che accomuna le migliori aree vinicole del mondo.
Ce n’è per tutti i gusti: dall’eleganza assoluta dello spumante Metodo classico a base Pinot Nero, ottenuto con la stessa tecnica dello Champagne, passando per i preziosi vini rossi da lungo affinamento, come il Buttafuoco Storico.
L’Oltrepò è anche terra di bianchi, grazie alla coltivazione di Riesling Renano e Italico, nonché del dolce Moscato. Spazio anche agli autoctoni come la Croatina e l’Ughetta di Canneto, dal nome del borgo alle porte di Pavia. Ecco una lista di cantine in cui scoprire la meraviglia dell’Oltrepò pavese. Dentro e fuori dal calice.
Siamo a Santa Giuletta, a circa 20 chilometri da Piemonte ed Emilia Romagna e a 50 dalla Liguria. “700 Enolocanda” è l’ultima sfida di Stefano Milanesi, vignaiolo che ha voluto creare “un posto in cui star bene, mangiare bere e dormire senza pensieri, in cui potersi sentire a casa”. Quattro le camere, tutte doppie, messe a disposizione da “700 Enolocanda” per il pernotto. Una proposta che ben si abbina a quella gastronomica dell’annesso ristorante.
700 Enolocanda
via Castello 31 27046 Santa Giuletta (PV) 0383 899137 info@700enolocanda.it
Storica realtà dell’Oltrepò pavese, Frecciarossa ha da poco celebrato 100 anni di orgoglio e rigore nella conduzione dell’azienda, avviata nel 1919. Tutti aspetti che la famiglia Radici Odero sa tramettere in ogni goccia dei propri vini, la cui punta di diamante è costituita proprio dal Pinot Nero. Frecciarossa è di fatto una delle aziende imperdibili per gli amanti del grande vitigno francese, così ben acclimatatosi in provincia di Pavia. Dal punto di vista dell’ospitalità, all’elegante “Villa Odero”, che può essere affittata per matrimoni ed eventi, Frecciarossa affianca “La Casina”, una casa vacanza con due camere da letto, a Casteggio (PV).
Frecciarossa Società Agricola Via Fratelli Vigorelli, 141 27045 Casteggio (PV)
+39 3939103208 info@frecciarossa.com
Questo il nome scelto per l’agriturismo da Amedeo Pietro Quaroni, attuale sindaco di Montù Beccaria (PV), ma ancor prima produttore di vino in Oltrepò pavese. Per l’esattezza siamo a Zenevredo. La Casa dei Nonni, oltre a un ristorante in cui gustare le prelibatezze enogastronomiche pavesi, mette a disposizione 5 camere da letto.
La Casa dei Nonni
Frazione Poalone, 6
27049 Zenevredo (PV)
Una formula ben rodata, quella dell’accoglienza di Montelio in Oltrepò pavese, certificata dal marchio Agriturismo Italia del Mipaaf. Ogni anno sono infatti 1.500 i visitatori, provenienti da tutto il mondo. All’interno di uno dei cortili sono state ristrutturate quelle che nel 1800 erano le case dei braccianti agricoli, per un totale di 6 comodi appartamenti completi di cucina, tutti arredati con l’elegante semplicità della campagna lombarda.
Azienda Agricola Montelio di C. e G. Brazzola via Domenico Mazza, 1
27050 Codevilla (PV) 0383 373090 cantine@montelio.it
Tra le realtà più giovani del vino dell’Oltrepò pavese, Tenuta Quvestra conta 12 ettari nel territorio di Santa Maria della Versa, patria degli spumanti italiani ottenuti da uve Pinot Nero. Lo staff ha puntato sin dagli esordi sul binomio tra ospitalità e produzione di vini di alto profilo, con la consulenza enologica di Mario Maffi. “Wine & Hospitality”, insomma, è molto più di uno slogan.
Un credo da portare avanti assieme alla scommessa sul territorio pavese, attraverso 6 soluzioni per il soggiorno: Bordolese, Renana, Jeroboam, Magnum, Balthazar e la maestosa Villa Magna. Tutte case-appartamento con piscina privata, da un minimo di 2 posti letto a un massimo di 12.
Tenuta Quvestra Società Agricola
Località Case Nuove, 9 – SP. 189
27047 Santa Maria della Versa (PV) +39 347 601 4109 info@quvestra.it
Circondata da boschi e vigneti, Tenuta Travaglino mette a disposizione un’accogliente struttura di charme: un ristorante con quattro eleganti camere e una suite con vista sul meraviglioso paesaggio collinare, lungo la strada che dal centro di Calvignano conduce a Casteggio. Il ristorante offre piatti della tradizione pavese, con rivisitazioni in chiave moderna attente agli abbinamenti con i vini del territorio.
Sono 32 le stanze dell’Agriturismo Torrazzetta a Borgo Priolo, nelle tipologie Standard, Superior e Suite famigliare. Nel complesso anche una piscina, un campo da tennis e calcetto e la possibilità di far visita agli animali della fattoria. Non manca ovviamente la proposta enologica, con i vini biologici prodotti secondo canoni vicini al mondo dei “naturali”. Non a caso Torrazzetta è la prima cantina certificata bio dell’Oltrepò pavese, sin dal 1984.
Due vocazioni per Torre degli Alberi: la produzione di “bollicine” e l’ospitalità. Siamo a Ruino, per un’offerta particolare. La struttura agrituristica viene infatti affittata a soli gruppi autogestiti, a disposizione di coloro che volessero visitare l’azienda, assaggiare gli spumanti e trascorrere un weekend o un soggiorno più lungo in campagna. La casa, denominata “Costantina”, è isolata e dista 300 metri dal piccolo paese. Ospita un massimo di 24 persone, distribuite in cinque stanze con letti a castello.
Torre Degli Alberi – Azienda Agricola Camillo e Filippo Dal Verme 27040 Ruino (Pv) 0385 955905 – 335 1320166 info@torredeglialberi.it
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Club del Buttafuoco Storico compleanno a Milano per il grande rosso dellOltrepò
MILANO – Martedì 11 febbraio, i 15 produttori del Consorzio Club del Buttafuoco Storico saranno a Milano per festeggiare il loro 24° compleanno, insieme al pubblico milanese. Nato nel 1996 in Oltrepò pavese, su iniziativa di undici vignaioli, il Club ha permesso di far conoscere il Buttafuoco al di fuori della provincia pavese e milanese, raggiungendo anche i mercati orientali e americani.
L’appuntamento è dalle 19.00 alle 22.00 da Serendepico, location speciale che affaccia su Piazza Castello, nel centro di Milano. Sarà allestito un banco d’assaggio aperto al pubblico, per scoprire i segreti e le particolarità del Buttafuoco Storico dalla vendemmia 2012 alla 2015. Per prenotazioni: info@buttafuocostorico.com.
“Per noi produttori – spiega Marco Maggi, presidente del Club del Buttafuoco Storico – questa è l’occasione di raccontare il nostro territorio, le nostre vigne e il lavoro di questi anni al pubblico di Milano, agli appassionati, alla stampa e a tutti gli amanti del buon vino”.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Vigna Solenga 2015 il Buttafuoco storico Fiamberti che illumina la strada allOltrepò pavese 1
“Tanta fatica, tanta passione, tanta volontà. E i risultati, anche se arrivano, sono minimi rispetto allo sforzo necessario per raggiungerli”. Che il Buttafuoco storico “Vigna Solenga” fosse molto più di un semplice vino per la famiglia Fiamberti, era chiaro a tutti. Mai, però, qualcuno era riuscito a sintetizzare così bene il concetto come ha fatto ieri Ambrogio Fiamberti, al Chic’n Quick dello chef Claudio Sadler.
La vendemmia 2015 del rosso simbolo di una delle cantine storiche dell’Oltrepò pavese ha sfilato a due passi dal Naviglio, come un guerriero tornato vincitore in patria col suo esercito, dopo la battaglia. Con l’armatura tirata a lucido e lo sguardo fiero all’orizzonte.
Già, perché è questo l’effetto che fanno i migliori vini di uno dei territori più massacrati d’Italia dalle (il)logiche dei commercianti d’uva, quando superano i confini pavesi per approdare con successo a Milano (città in cui dovrebbero essere presenti per principio costituzionale, nelle carte di tutti i ristoranti che si definiscano tali).
Uno squillo di tromba prodotto in sole 2 mila bottiglie, dunque una vera e propria chicca enologica. Del resto, il Buttafuoco Storico “Vigna Solenga” 2015 è quello che fa dire “buona la seconda” a Giulio Fiamberti, orgoglioso figlio di Ambrogio.
Il cru fu acquistato dai miei antenati nel 1814 e fu ‘ritoccato’ solo negli anni Venti del Novecento. Dopo il necessario reimpianto avvenuto nel 2007, abbiamo dovuto attendere 7 anni prima di poter produrre di nuovo il nostro Buttafuoco Storico, sulla base delle regole del Consorzio fondato nel 1996″.
Peccato che “7 anni”, a partire dal 2007, voglia dire 2014. “Un’annata particolarmente sfortunata in Oltrepò – ricorda Giulio Fiamberti – come in altri territori d’Italia. Eccoci dunque a presentare con grande soddisfazione questa 2015, prima vendemmia della Vigna Solenga dopo il reimpianto“.
UN VINO BANDIERA
Un vino che indica la strada a tutto l’Oltrepò pavese: quella della zonazione e dei “cru“, come leva per puntare alla qualità assoluta, da raccontare ai mercati, dalla vigna fin dentro (e fuori) dal calice.
“Sono assolutamente convinto che l’Oltrepò, così come qualunque altra grande zona di produzione di vini, non sia tutta uguale – commenta Fiamberti -. Ciò non vuol dire che una zona sia migliore dell’altra, ma che ci siano delle specificità da valorizzare in ognuna, prima di tutto a livello ampelografico”.
Un territorio come il nostro – aggiunge il produttore oltrepadano – con differenze impressionanti di altitudini, di microclimi, di terreni e di esposizioni, non può fare a meno della zonazione. Altri territori hanno, per fortuna o sfortuna, una maggiore omogeneità. Da noi, la zonazione diventa non soltanto una strada da seguire: è assolutamente necessaria“.
Un passaggio non ancora affrontato in maniera seria, a livello consortile. “Conforta, per ora – chiosa Fiamberti – che molte aziende simbolo dell’Oltrepò abbiano avviato questo percorso autonomamente, all’interno dei vigneti di proprietà. Chiunque alzi l’asticella nel nostro territorio, per noi è solo un amico e un compagno di viaggio“.
E “l’asticella” oltrepadana si alza anche in enoteca e nella ristorazione, grazie al Buttafuoco Storico “Vigna Solenga” 2015. L’etichetta di Fiamberti sarà in vendita attorno ai 35 euro nelle migliori “botteghe” del vino.
Al ristorante, sarà invece in carta attorno ai 45 euro: il posizionamento che merita un Oltrepò che ha bisogno di sdoganarsi dalle logiche della Grande distribuzione organizzata, puntando a mercati degni del proprio valore.
Del resto, come sottolinea Giulio Fiamberti, “nel ‘Vigna Solenga’ c’è tutta la storia della nostra famiglia e anche il suo futuro, dal momento che per noi il Buttafuoco è la cifra dell’azienda e vogliamo che lo sia sempre di più”.
“Siamo convinti che i cru siano una chiave di successo per tutti i territori che producono grandi vini rossi, tra cui va annoverato l’Oltrepò pavese del Buttafuoco Storico”. Il calice, del resto, conferma questa tesi.
LA DEGUSTAZIONE
[Voto WineMag.it: 94/100 – Rapporto qualità prezzo: 5/5] Parola d’ordine “finezza” per sintetizzare quello che c’è da aspettarsi dal calice di “Vigna Solenga” 2015, uvaggio di Croatina (50%), Barbera (40%), Uva Rara (5%) e Ughetta di Canneto (5%).
A garantirla sono i conglomerati di Rocca Ticozzi presenti nel terreno: ghiaie di origine marina che offrono preziosi sali minerali alle radici della pianta, permettendo un eccellente drenaggio delle acque.
La Valle Solinga, strettissima, accentua poi le escursioni termiche tra vetta e fondo valle, utili a trovare il giusto punto di equilibrio tra i vari gradi di maturazione delle uve, che crescono tra i 200 e i 280 metri sul livello del mare.
La freschezza e la sapidità garantite dalle condizioni microclimatiche, si traducono nel calice in una estrema raffinatezza ed eleganza, capaci di garantire al Buttafuoco Storico 2015 “Vigna Solenga” una beva davvero instancabile. Merito di una sapiente estrazione durante la lunga macerazione e di un utilizzo di legni non invasivi.
Evidenti anche le garanzie di positivo affinamento negli anni a venire, quando l’ulteriore periodo “in vetro” amalgamerà tra loro le varie componenti. A beneficiarne sarà soprattutto la parte olfattiva, al momento ancora leggermente “slegata”. Il guerriero ha solo il raffreddore. Roba da niente. Domani sarà già passato.
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Buttafuoco storico verso la Docg scomparirà la versione frizzante compleanno milano palazzo bovara marco maggi
MILANO – Il Veliero del Buttafuoco Storico è pronto a salpare. Ma per farlo deve liberarsi dell’àncora: la versione frizzante, certamente più nota al grande pubblico. Un ostacolo che Marco Maggi, presidente del Club del Buttafuoco Storico, sa bene come superare.
In Oltrepò pavese dovrebbe infatti partire l’iter burocratico per il riconoscimento della Docg per il Buttafuoco Storico. Con la relativa scomparsa della versione frizzante. E’ lo stesso Maggi ad annunciarlo, in un’intervista concessa a WineMag in mattinata, in occasione dei festeggiamenti del 23° compleanno del Club-Consorzio, a Palazzo Bovara.
Si tratta della prima volta del Buttafuoco Storico a Milano. Il segno tangibile di una rinnovata apertura internazionale dei 14 produttori che animano il Club, con una produzione di circa 70 mila bottiglie annue in 7 Comuni della provincia di Pavia, con Canneto Pavese capofila.
L’ANNUNCIO
“Tra i tavoli di Denominazione promossi dall’assessore regionale Fabio Rolfi – commenta Marco Maggi – ce n’è uno proprio sul Buttafuoco. Il vissuto generale di noi produttori è che la versione frizzante sia in completa discesa nella Grande distribuzione e, di conseguenza, anche nel consumo quotidiano”.
“Proprio per questo – annuncia Maggi – abbiamo deciso di non puntare affatto sulla versione frizzante, bensì sul Buttafuoco Storico, ovvero la versione ferma, che rappresenta una vera e propria eccellenza per il nostro territorio. L’intenzione è quella di posizionare il Buttafuoco Storico sotto una Docg, elevandolo dall’attuale Doc”.
“In questo modo – continua Maggi – daremmo un input preciso alle aziende che attualmente puntano sulla versione frizzante: un tempo massimo in cui convertire la produzione alla versione ferma”.
La Denominazione oltrepadana guadagnerebbe non solo dal punto di vista della comunicazione, ma anche per l’accresciuto peso commerciale sui mercati. Il numero di bottiglie prodotte, di fatto, potrebbe più che raddoppiare. “Puntando su una Docg – conclude Maggi – vorremmo dunque pian, piano far scomparire il Buttafuoco frizzante dall’Oltrepò pavese”.
GLI ASTRI FAVOREVOLI
Ad oggi, il disciplinare di produzione non fa distinzioni tra la versione ferma e quella frizzante. Il “Buttafuoco dell’Oltrepò Pavese” o “Buttafuoco” si ottiene dal sapiente blend di Barbera (dal 25% al 65%), Croatina (dal 25% al 65%) con un massimo del 45% di Uva rara e Ughetta di Canneto (Vespolina).
E non potrebbe esserci momento migliore, per l’Oltrepò, per cominciare l’iter di valorizzazione della propria “chicca enologica”. Regione Lombardia e Ministero delle Politiche agricole alimentari, forestali e del turismo sembrano remare dalla parte del Veliero. Come non mai.
“Per me il Buttafuoco è un vero amore – dichiara il ministro Gian Marco Centinaio – lo promuovo ovunque, non solo perché sono pavese, ma soprattutto perché vedo un progetto serio e di territorio dietro a questo vino. Un progetto di promozione dell’Oltrepò pavese come meta turistica, che consente alla zona di guardare al futuro con ottimismo”.
“L’Oltrepó Pavese – aggiunge Fabio Rolfi, assessore regionale lombardo all’Agricoltura, Alimentazione e Sistemi Verdiproduce vino di grande qualità. Per vincere le sfide del mercato deve avere come stella polare una comunicazione più efficace e incisiva. La costituzione dei tavoli di denominazione avvenuta nelle scorse settimane rappresenta una svolta storica in questo senso. Aiuteremo l’Oltrepó Pavese a sprigionare le sue straordinarie potenzialità”.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
MILANO – Per la prima volta il Buttafuoco Storico e i suoi 14 produttori arrivano a Milano per festeggiare il ventitreesimo compleanno del Consorzio.
La sua storia e la costante ricerca della qualità lo rendono un progetto unico, un vino diventato uno dei fiori all’occhiello dell’Oltrepò Pavese. L’appuntamento è per venerdì 8 febbraio a Palazzo Bovara.
La degustazione aperta al pubblico è prevista nel pomeriggio, dalle 15.00 alle 17.00. Un banco d’assaggio utile a conoscere e degustare 14 etichette, al costo di 10 euro a persona. La mattinata è invece dedicata alla stampa e agli addetti del settore.
Interverranno Gian Marco Centinaio, Ministro delle Politiche Agricole Alimentari, Forestali e del Turismo, Fabio Rolfi, Assessore Agricoltura Regione Lombardia, Marco Gatti e Paolo Massobrio, giornalisti , Fiorenzo Detti, presidente uscente Ais Lombardia, Vito Intini, Presidente O.N.A.V. e Marco Maggi, Presidente Club del Buttafuoco Storico. Modererà l’incontro Gene Gnocchi.
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Ughetta di Canneto. O “Uvetta di Canneto”. Fondare un’intera produzione vinicola su un un uvaggio autoctono semisconosciuto potrebbe sembrare da folli, al giorno d’oggi. Ma se quel vitigno ha un nome “così”: beh, forse rischia d’esserlo ancor di più. Ciò che è veramente curioso è che succede – e per davvero – in Oltrepò Pavese. Terra di vino che sforna decine di “Bonarde” tutte uguali. Specie se ci si ritrova a pescare sugli scaffali della grande distribuzione organizzata. Tra i primi e i secondi prezzi. Ma all’azienda agricola Quaquarini Francesco, il sillogismo non quaglia. Un utilizzo particolare e attento dell’Ughetta di Canneto costituisce il vero segreto della produzione. Il suo incantevole fil rouge. Già. Ad un’attenta analisi, il blend su cui si fonda il più “banale” dei vini rossi oltrepadani conduce dritto alle punte di qualità espresse dal Buttafuoco. Quello Storico. Un filo spesso, solido. Palpabile. Tanto all’olfatto quanto al palato.
Capace di rendere speciale il vino di tutti i giorni, il Bonarda. E superlativo ciò che, per antonomasia in Oltrepò, deve risultare di per sé eccellente: il Buttafuoco Storico, per l’appunto. Una qualità così – trasversale, netta, oggettiva, lineare – che comincia dal vino “base” per raggiungere il top di gamma, passando peraltro dalle “bollicine”, in Lombardia come in altre regioni d’Italia è difficile da riscontrare in una singola realtà produttiva. Mettici pure che la Quaquarini produce in regime biologico – praticamente da sempre, ma con certificazione ufficiale per la campagna arrivata nel 2003 e per la vinificazione nel 2010 – e ti sembrerà d’esserti addormentato, sognante, con un calice di vino in mano, lontano da Pavia. Nel bel mezzo di un raro, inatteso trionfo della Coerenza.
Dell’Ughetta di Canneto ha fatto un vanto Lino Maga, il “Signor Barbacarlo”. Ma anche Francesco Quaquarini, oggi giovanotto di 83 anni, ha giocato un ruolo fondamentale nella sua valorizzazione. “Uno dei primi libri che raccontava l’ampelografia del nostro territorio, la ‘Pomona italiana’ del botanico Giorgio Gallesio – spiega Umberto Quaquarini, timoniere e tuttofare dell’azienda giunta con lui alla terza generazione – all’inizio del 700 classificava in Oltrepò Pavese un’uva dalla quale si ricavava un vino, secondo l’autore, ‘tra i più buoni d’Italia’. Quell’uva era l’Uvetta, o Ughetta, o Vespolina. L’Uvetta era coltivata soprattutto a Canneto Pavese, nome preso nel 1886 dal nostro Comune, mutando dall’originario Montù de’ Gabbi. Dopo la fillossera, l’Uvetta è stata sostituita in quasi tutto l’Oltrepò da Croatina e Barbera, più resistenti, più facili da coltivare e più produttive”. Ma non dappertutto.
All’inizio degli anni 90, la svolta. “L’Università di Piacenza ha condotto uno studio sull’Uvetta – continua Quaquarini – ritrovando i primi cloni, quelli originali, nei vigneti di mio padre Francesco e in quelli di Lino Maga. Noi ne abbiamo tuttora diversi ettari. E la usiamo in tutti i nostri vini rossi, per un minimo dell’8%, sino a un massimo del 15”. Forse per quella scarsa vena imprenditoriale che caratterizza il 90 (+5) % dei vignaioli oltrepadani, la cosa non fu mai fatta ‘pesare’ sul piatto della bilancia vitivinicola italiana. Tant’è vero che lo stesso Quaquarini, oggi, vinifica in purezza la preziosissima Ughetta. Ma ne realizza solo poche centinaia di bottiglie, circa 300, che sostanzialmente hanno un ruolo marginale nel ventaglio della proposta commerciale dell’azienda. Un vero peccato. Perché quando assaggi l’Uvetta, o Ughetta, di Quaquarini, ti si apre un mondo.
Capisci davvero perché è speciale la sua Bonarda (sbalorditiva “La Riva di Sas” 2015, new entry “senza solfiti”), scoprendone il segreto intrinseco, nascosto sotto quella spuma corposa che si dissolve nell’aria, liberando profumi intensi di frutti rossi. E sorseggi un vino complesso come il suo Buttafuoco Storico Vigna Pregana (la 2003 è un trionfo tutto giocato sull’equilibrio tra il balsamico e il minerale, sullo sfondo di una frutta rossa ancora succosa e un tannino avvolgente, mentre la 2010 è da bronzo per Decanter 2016) andandone veramente a cogliere l’essenza. Con la semplicità con cui un bambino scarta una caramella. Ecco da dove ‘arrivano’ quei terziari che terziari, almeno per la Bonarda, non possono essere: pepe, cannella, paprika, liquirizia. Magica e tipicizzante Ughetta, insomma. Ma non solo.
Basti pensare che il vino che ha reso grande Quaquarini è il Sangue di Giuda Vigna Acqua calda (i vigneti sono situati sopra l’antico sito delle terme di Recoaro), risultato il vino più bevuto all’Expo 2015 di Milano. Ma c’è un altro prodotto che vale la pena di conoscere. E’ il Metodo Classico Brut Docg Classese, attualmente in commercio con la vendemmia 2009. La bollicina top di casa Quaquarini. Settanta mesi sui lieviti, sboccatura tra la fine di agosto e l’inizio di settembre. Ottenuto al 100% da uve Pinot nero. I sentori di lievito non sono invasivi, anzi. Una vena floreale domina naso e palato, assieme al miele d’acacia. Il sorso invoglia il successivo, non tanto per la freschezza conferita dall’acidità, quando per un’inattesa sapidità che ben si bilancia, specie in chiusura, con le note fruttate giovani. Il perlage è delicato, avvolgente, non aggressivo.
QUAQUARINI, LA GDO E LA BONARDA Alti standard, dunque, che si ritrovano anche nei prodotti destinati alla grande distribuzione organizzata. Carrefour, Coop, Bennet, Pam, Alfi Gulliver e Basko le catene in cui sono presenti le etichette Quaquarini, ormai da 25 anni. Sono 250 mila le bottiglie che finiscono sugli scaffali dei supermercati, su un totale complessivo di 700 mila. “Fu una scelta rischiosa e allo stesso tempo coraggiosa – spiega Umberto Quaquarini – in quanto all’epoca il supermercato era vissuto come il nemico dei vignaioli. Iniziammo quest’avventura con il terrore addosso, dal punto di vista commerciale. Ma oggi non possiamo che essere fieri dei risultati conseguiti. E devo ammettere che l’azienda è cresciuta anche grazie alla Gdo”.
Un canale nel quale la realtà di via Casa Zambianchi 26 opera con coscienza e cognizione di causa. “La nostra Bonarda – sottolinea Quaquarini – è in vendita a un prezzo che supera abbondantemente i 5 euro, a dispetto di un prezzo medio di 2,60 euro. Purtroppo le prime dieci realtà della Bonarda in Oltrepò, dal punto di vista numerico, sono imbottigliatori e non produttori che possono permettersi prezzi del genere, o anche inferiori. Basti pensare che il 75% del Bonarda viene imbottigliato fuori dall’Oltrepò Pavese. Una follia pura, che costringe i produttori a guardarsi dall’estinzione. Il resto lo hanno fatto gli scandali, che hanno fatto diventare la nostra area vitivinicola la più controllata d’Italia”.
QUEI CONTROLLI IN VENDEMMIA
Umberto Quaquarini si riferisce ai “controlli a tappeto” effettuati dalle forze dell’ordine a carico della sua azienda, in occasione dell’ultima vendemmia. “Siamo stati ‘visitati’ due volte nel giro di 10 giorni, nel mese di settembre. Le verifiche hanno interessato l’attività di campagna, con i militari impegnati per ore a verificare la regolarità dei contratti di lavoro del personale assunto ad hoc. Controlli durante i quali le operazioni di vendemmia sono state ovviamente interrotte, con conseguenti costi ricaduti sui sottoscritti. Per sentirci dire, alla fine, che era tutto a posto”. Che sia arrivata qualche “falsa soffiata” da qualche concorrente? “Non lo so – replica il produttore – quel che è certo è che la cosa ci è suonata alquanto strana. E se la sommiamo a tutta la burocrazia legata alla certificazione biologica, rischiamo di finire per sentirci sempre più schiacciati dalla carta, in questo Paese”.
Un problema che, in estate, Umberto Ququarini ha affrontato direttamente con l’ormai ex ministro Maurizio Martina, che ha visitato l’azienda non in veste istituzionale, bensì da privato cittadino (ovviamente con Digos and company al seguito). “E’ stata una piacevole sorpresa – ammette il viticoltore pavese – perché da pochi mesi avevamo ricevuto un certificato di qualità da parte dello stesso Ministero per la nostra attenzione all’ambiente, tanto in campagna quanto in cantina. Ci fu pure modo di sorridere, con mio padre che tentava di offrire delle fette del nostro salame al ministro. Fino a scoprire, grazie all’intervento del suo portavoce, che è vegano!”.
QUAQUARINI E IL CONSORZIO
Eppure, come peraltro molte realtà di lustro dell’Oltrepò, la Quaquarini non aderisce al Consorzio di Tutela Vini locale. “Mio padre fu tra i soci fondatori – evidenzia Umberto – ma abbiamo preferito uscirne, per una visione completamente distante dalle posizioni dell’ente”. Oggi, l’azienda aderisce al Distretto del Vino di Qualità dell’Oltrepò Pavese. “Spiace combattere da fuori il Consorzio una battaglia che dovrebbe essere comune a tutti i produttori della zona – chiosa Quaquarini – ovvero quella per la qualità. Al di là degli annunci sulla stampa, ritengo che dovremmo parlarci davvero, tra di noi. Sederci allo stesso tavolo e prendere delle decisioni comuni, per l’interesse di tutti”.
“La mia ricetta? All’Oltrepò del vino – risponde Umberto Quaquarini – servirebbe un manager vero, credibile. Una figura di reale spessore, che col suo carisma sia in grado di mettere d’accordo tutti, promuovendo il territorio come merita. Il Distretto del Vino fa benissimo il suo lavoro, ma sarebbe ora che non esistesse più: perché il Consorzio di Tutela è anche il mio. O almeno vorrei che così fosse”. La sintesi perfetta di un territorio che, invece, pare sempre più diviso. E in bilico. Tra gli interessi dei grandi gruppi. E l’amore di chi vive da generazioni del frutto di questo territorio.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Il figliol prodigo dell’Oltrepò pavese. Il Davide oltrepadano. Da sempre contrapposto, per stile e filosofia, al gigante Golia, che dalle parti di Pavia prende il nome di Bonarda. E’ il Buttafuoco storico, vino rosso da invecchiamento dell’Oltrepò Pavese. Una produzione limitata che, secondo gli ultimi dati, si assesta sulle 65 mila bottiglie. Numero che sale a 360 mila considerando l’intera Doc, che comprende un 25% di vino frizzante. Nulla a che vedere, insomma, con i 20 milioni di bottiglie di Bonarda che ogni anno escono dalle cantine pavesi. Ma per il Buttafuoco, e in particolare per il Buttafuoco storico, il 2016 potrebbe essere l’anno della riscossa. L’intitolazione di una piazza a Canneto Pavese (PV), avvenuta sabato 22 ottobre per volere dall’Amministrazione comunale guidata dal sindaco Francesca Panizzari, è solo uno degli indicatori della crescente attenzione verso questo nobile blend, ottenuto con sapienza dai vitigni Croatina, Barbera, Ughetta e Uva Rara. La vera rivoluzione parte dalla vigna. E arriva sino ai supermercati Esselunga, l’insegna del compianto Bernardo Caprotti. Da qualche settimana, infatti, è possibile trovare il Buttafuoco Storico Doc “Vigna Sacca del Prete” dell’azienda agricola Giulio Fiamberti in tutti e 90 i punti vendita Esselunga dotati di enoteca con servizio sommelier, dislocati sul suolo nazionale. Fa eccezione la sola regione Toscana, dove la catena milanese sta puntando sulla valorizzazione di altri nobili vini locali. Ad annunciarlo è proprio Giulio Fiamberti, non a caso presidente del Club del Buttafuoco storico.
“Negli ultimi anni – dichiara il viticoltore – siamo riusciti a imprimere una decisiva accelerata alle attività del Club, dando forma a una serie di progetti commerciali e di valorizzazione che erano in cantiere da un po’ di tempo. Un interesse sempre maggiore da parte delle istituzioni, complice probabilmente la scarsa forza dell’Oltrepò pavese in generale, che ha permesso di valorizzare ulteriormente alcune eccellenze che sono ormai da anni in controcorrente, oltre a una certa voglia e necessità di avere un prodotto bandiera che indichi una linea di qualità per tutta l’area oltrepadana, sono gli ingredienti del successo del Buttafuoco storico”. Risultati sotto gli occhi di tutti. Che gli attenti buyer di Esselunga non si fanno sfuggire.
“Quello con la catena di Caprotti – commenta ancora Fiamberti – è un rapporto che affonda le radici nei primi anni del 2000, quando è stato inaugurato il punto vendita di Broni, qui in Oltrepò pavese. La mia azienda è stata selezionata in quanto in grado di assicurare tutta la gamma di vini locali e, in più, anche il Buttafuoco storico e il Sangue di Giuda. In particolare, il Buttafuoco fu introdotto in 20 punti vendita. Poi il numero fu ridotto a 10, limitandosi alle province di Milano e Pavia. Arriviamo così sino ad oggi, con il cru ‘Sacca del Prete’ acquistabile in tutti e 90 i punti vendita Esselunga che possono vantare il servizio dei sommelier Ais all’interno delle loro enoteche”. Fiamberti, di fatto, è il maggiore produttore di Buttafuoco storico dell’Oltrepò pavese, con le sue 3.873 bottiglie. Il posizionamento del prodotto in Gdo è – per ora – lievemente sotto standard. “Si parla di 17,50 euro – ammette Fiamberti – ma il prezzo è destinato ad assestarsi, nei prossimi mesi, sui 18,50 euro circa”. In generale, il Buttafuoco storico si aggira tra i 16 e i 20 euro al pubblico, in enoteca. Mentre le cifre salgono a un minimo di 30 euro, grazie ai (grassi) ricarichi applicati dalla ristorazione locale. Mentre a livello nazionale, le carte dei vini sembrano quasi disconoscere il Buttafuoco.
“La produzione, complice la crescente richiesta non solo in Lombardia e in Italia ma anche e soprattutto all’estero, dal Canada alla Cina, è volata dalle 30-35 mila bottiglie del 2010 alle 65 mila potenziali del 2016”, aggiunge Armando Colombi, direttore del Club del Buttafuoco storico. “La superficie vitata è di circa 10 ettari – spiega – ma anche questo numero è destinato a salire. Uno dei progetti più importanti del Club è infatti quello di mappare nuove superfici, recuperando vigne abbandonate e valorizzando i terreni più vocati. I Vignaioli del Buttafuoco storico, che contribuiscono alla produzione del ‘cru dei cru’ consortile, vedono inoltre riconosciuto un valore commerciale di 3 volte superiore alle loro uve: questo perché il Buttafuoco necessita dell’apporto e dell’esperienza di tutti per diventare qualcosa di importante ed affermarsi, non solo come prodotto di nicchia, a livello nazionale e internazionale”.
Grande anche il lavoro sulla comunicazione del marchio. “Chi produce Buttafuoco storico – evidenzia Armando Colombi – non si pone più di tanto il problema di comunicare il prodotto, in quanto la produzione è talmente limitata da risultare sold-out in pochi mesi. Per questo il Club si sta concentrando sulla promozione del Buttafuoco storico nei confronti di chi si occupa di realizzare guide del vino e, in generale, nei confronti di tutti i comunicatori del settore”. Gomiti alti in area di rigore, insomma, per uno dei prodotti della viticoltura italiana più sottovalutati. Almeno nel Belpaese.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
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