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Valtènesi 2021 sul mercato dal 14 febbraio

Valtènesi 2021 sul mercato dal 14 febbraio

FOTONOTIZIA – Nel 2021 il rosato Valtènesi ha superato la soglia dei 2 milioni di bottiglie, con un aumento del 17%. Il bilancio arriva a pochi giorni dall’uscita sul mercato della nuova annata, il Valtènesi 2021, prevista per il 14 febbraio.

«Le prospettive per il nuovo anno e per il Valtènesi 2021 sono altrettanto positive – riferisce il Consorzio presieduto da Alessandro Luzzago – e puntano a confermare un trend di crescita che negli ultimi 8 anni è marciato a ritmi medi del +10%».

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Oltre il Prosecco Rosé: 2021 anno d’oro per la Doc con 627,5 milioni di bottiglie

Anno d’oro, il 2021, per il Prosecco Doc che raggiunge quota 627,5 milioni di bottiglie. Un dato che va ben oltre la sbornia del successo della nuova tipologia Prosecco Rosé, che ha “gonfiato” i dati relativi al 2020.

La versione rosata delle bollicine venete Doc pesa comunque sul bilancio finale dello scorso anno, con 71,5 milioni di bottiglie. «Ma il dato più interessante – chiosa il Consorzio di Treviso – è probabilmente quello relativo alla valorizzazione della singola bottiglia, che all’export, in USD (dollari, ndr), ha superato il 4%».

PROSECCO DOC, ZANETTE: «DIECI ANNI ENTUSIASMANTI»

«Dopo dieci anni entusiasmanti – spiega il presidente Stefano Zanette – il nostro obiettivo è quello di consolidare il successo della Denominazione. Il che significa progettare il futuro dell’intera filiera, con uno sguardo attento ai consumatori, al territorio e alle sue comunità. Coinvolgendo attivamente, nella sua realizzazione, l’intero sistema produttivo e non solo».

Centrale il tema della promozione, che passerà sempre più da una parola chiave: coinvolgimento. «Si tratta di un lavoro di tessitura – spiega il direttore generale del Consorzio di Tutela del Prosecco Doc, Luca Giavi – l’impegno appare non banale. Oserei dire di traduzione in un linguaggio adatto al grande pubblico, di un corredo valoriale che appartiene al territorio e nel quale la comunità veneta così come quella del Friuli Venezia Giulia vorremmo si riconoscessero sempre più profondamente».

PAROLA D’ORDINE «COINVOLGIMENTO»

Valori umani universali come leggerezza, immediatezza, cordialità, convivialità, accoglienza, qualità che facilmente i consumatori di tutto il mondo riconoscono alle nostre produzioni», precisa Giavi.

Fondamentale la risposta del mercato, che sta dando ragione al management consortile. L’export del Prosecco Doc vola. Tanto da aver fatto registrare, nei primi tre trimestri del 2021 – complice certamente la pandemia – un + 30% di quota.

«Il lavoro da fare è ancora tanto – ammette il presidente Zanette – a breve presenteremo quella che potremmo definire l’Agenda 2030 della Doc Prosecco. Questo è il grande, imprescindibile lavoro che ci attende per coinvolgere attivamente l’intero sistema produttivo verso una crescita realmente condivisa. Con uno sguardo attento ai consumatori, al territorio e alle sue comunità».

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Asti spumante e Moscato D’Asti Docg: 102 milioni di bottiglie nel 2021

Un 2021 da ricordare quello dell’Asti Docg, che nonostante le difficoltà della situazione globale, chiude l’anno con numeri importanti che fanno ben sperare per il futuro. Oltre 102 milioni di bottiglie prodotte, con un incremento dell’11% rispetto al 2020.

La crescita a doppia a cifra ha riguardato sia le bollicine aromatiche piemontesi Moscato d’Asti (+ 10%) che l’Asti Spumante (+ 12%). «La chiusura dell’anno – commenta Lorenzo Barbero, presidente del Consorzio per la tutela dell’Asti Docg – è stata molto positiva per entrambe le tipologie della nostra Denominazione».

Questi numeri testimoniano la bontà del lavoro svolto insieme ai produttori del territorio e alle aziende consorziate e ci spronano a fare sempre meglio».

Tra le novità di questo inizio anno c’è anche l’approvazione in via definitiva da parte del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, della richiesta di modifica del Disciplinare della Docg dei vini Asti, come proposta dai consorziati.

Tra le modifiche apportate, la più “visibile” è sicuramente quella che fa diventare il logo del Consorzio il marchio collettivo della Denominazione. L’immagine di San Secondo, Santo Patrono della città di Asti e figura centrale del marchio consortile, apparirà quindi anche sulle fascette Docg che, per legge, devono essere applicate sulle bottiglie di Asti Spumante e Moscato d’Asti.

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Suvereto e Val di Cornia Wine, il Consorzio punta su vini Doc: «4 milioni di bottiglie potenziali»

Sono 27 le cantine del Consorzio Suvereto e Val di Cornia Wine, con un potenziale di 4 milioni di bottiglie. Il nuovo organismo, costituito l’11 settembre 2021 con l’elezione del presidente Nico Rossi (Gualdo Del Re) punta ora a spostare la bilancia della produzione dall’Igt alle tre Denominazioni d’origine della zona, in provincia di Livorno: Suvereto Docg, Rosso della Val di Cornia Docg e Val di Cornia Doc.

Un obiettivo raggiungibile grazie agli 850 ettari a disposizione delle aziende del Consorzio Suvereto e Val di Cornia Wine. Si tratta di Agricola Carlini, Brugali Lorenzo, Colle Vento, Frascolla Giovanni, Gualdo del Re, Giomi e Zannoni, I Mandorli, Il Bruscello, Il Falcone.

E ancora: Incontri, La Batistina, La Bulichella, La Fralluca, Macchion dei Lupi, Montepeloso, Petricci e Del Pianta, Petra, Poggio Banzi, Rabitti, Renis, Rigoli, Sant’Agnese, Sasso Orlando, Tenuta Casadei, Terradonnà, Terravita e Tua Rita.

Sono lieto di rappresentare un gruppo così importante di produttori – commenta il presidente Nico Rossi -. Aderendo al Consorzio, dimostrano la volontà di intraprendere assieme un percorso difficile ma foriero di grandi soddisfazioni.

È solo unendo le forze che Suvereto e la Val di Cornia potranno ritagliarsi quel ruolo che gli compete nel panorama enologico e turistico».

VINI SUVERETO E VAL DI CORNIA: LE TRE DENOMINAZIONI

Cabernet Sauvignon, Merlot e Sangiovese sono i tre principali vitigni a bacca rossa della zona di Suvereto e della Val di Cornia. Coprono circa il 70% del vigneto complessivo. Al loro fianco, non trascurabili porzioni di Cabernet Franc (6%), Petit Verdot (6%) e Syrah (5%).

Importante anche la presenza del Vermentino. Copre il 7% del vigneto locale e rappresenta, da solo, l’80% delle superfici a bacca bianca. Un vitigno su cui la Toscana sta investendo molto. Un alter ego ai più noti rossi, che godono di fama internazionale.

«Si tratta di vitigni introdotti a inizio Ottocento da Elisa Bonaparte Baciocchi – precisa Nico Rossi – sorella dell’imperatore Napoleone. Fu lei, nel periodo in cui resse il Principato di Lucca e Piombino, a realizzare in zona un vigneto “da coltivare all’uso di Bordeaux“.

«POTENZIALE DI 4 MILIONI DI BOTTIGLIE»

«Il potenziale produttivo della zona – continua il presidente – supera i 4 milioni di bottiglie, in larga misura rivendicate come Igt. Ciò significa che una delle prime sfide sarà quella di spostare una fetta importante della produzione verso le Denominazioni di Origine tutelate. L’obiettivo che ci poniamo nel prossimo biennio è di superare quota un milione di bottiglie rivendicate».

Per riuscirci, il Consorzio punta a una valorizzazione complessiva della Val di Cornia, ultima propaggine meridionale della provincia di Livorno. Circondata dal Parco dei Montioni, dalle Colline Metallifere e dal Parco forestale di Poggio Neri, la valle segue il percorso dell’omonimo fiume. Defluisce poi nel mar Tirreno, non lontano da Piombino. Sullo sfondo, la sagoma dell’Isola d’Elba.

LA SFIDA DELL’ENOTURISMO

«Una regione – ricorda Nico Rossi – che vede nell’acqua il suo elemento dominante. La presenza di grandi falde acquifere nel nostro sottosuolo consente lo sviluppo di tante coltivazioni agricole, di cui la vite è solo quella più nota. In una fase storica segnata dalla penuria idrica siamo convinti che questo unicum rivestirà un ruolo fondamentale per la nostra crescita».

Altri focus del Consorzio Suvereto e Val di Cornia Wine saranno dunque turismo ed enoturismo. «La nostra regione – conferma il presidente – offre molteplici opportunità per chi ricerca esperienze di matrice culturale, termale, agroalimentare e, ovviamente, enologica. Il vino qui rappresenta solo la punta di diamante di un territorio intatto, capace di conquistare chiunque desideri contatto con la natura ed enogastronomia di qualità».

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Prosecco Superiore Conegliano Valdobbiadene, 100 milioni di bottiglie: «Raggiunto limite fisico»

Con 100 milioni di bottiglie certificate nel 2021, il Prosecco Superiore di Conegliano Valdobbiadene Docg «ha raggiunto il limite fisico della produzione. O è ormai prossimo a raggiungerlo». Il dato è emerso questa mattina, durante la presentazione del Rapporto Economico di Distretto 2021, a cura del Consorzio di Tutela della Docg veneta.

Il documento, ideato dal prof Vasco Boatto in collaborazione con il prof Luigino Barisan, è stato presentato dal responsabile scientifico Eugenio Pomarici, professore associato di Economia politica presso l’Università di Padova.

«Non si potrà andare molto oltre ai 106 milioni di bottiglie – ha sottolineato Pomarici – perché questo è il limite fisico della produzione del Prosecco Superiore di Conegliano Valdobbiadene Docg. Un vincolo con il quale si deve fare i conti. La crescita della denominazione, dunque, dovrà essere essenzialmente in valore».

Fa ben sperare, su questo fronte, l’apprezzamento crescente delle Rive, menzione inserita nel disciplinare attraverso la riforma 2009. Nel 2020 la tipologia è cresciuta in volume e in valore. Ed è al centro delle attenzioni della nuova presidente del Consorzio di Pieve di Soligo, Elvira Bortolomiol, nonché del neo direttore Diego Tomasi.

PROSECCO DOCG: LE PROSPETTIVE

L’avvertimento sui “limiti” della denominazione è arrivato a margine della presentazione delle stime dell’Istituto Statista. La business platform leader nella raccolta dei dati di mercato e di consumo mondiali prevede una crescita del 5% in volume e del 7% in valore del mercato del vino internazionale, entro il 2025.

Dati da prendere con grandissima cautela – ha avvertito il prof Eugenio Pomarici – ma ciò significa che il Conegliano Valdobbiadene Docg può sfruttare, nei prossimi anni, il vento favorevole del mercato e le opportunità offerte da Pac e Pnrr. Il tutto considerando una crescita in valore che sia in sintonia con il contesto del riconoscimento a patrimonio Unesco».

Più in generale, il record dei 100 milioni di bottiglie è stato raggiunto «dopo un 2020 di resilienza» per lo spumante a Denominazione di origine controllata e garantita del Veneto (88 milioni di bottiglie lo scorso anno, per mezzo miliardo di valore).

Il Rapporto economico 2021 esalta gli ottimi risultati delle iniziative messe in campo dalla aziende del Consorzio, soprattutto sul fronte dell’enoturismo, della sostenibilità e della digitalizzazione. Tre ingredienti che hanno contribuito al successo, assieme alla differenziazione dei mercati e al grande apporto della Grande distribuzione organizzata.

PROSECCO CONEGLIANO VALDOBBIADENE: LE CIFRE

Parlano chiaro le certificazioni. Da gennaio a ottobre 2021, dato più aggiornato a disposizione dell’ente, sono state certificate 83 milioni di bottiglie. Il 12% in più del 2020. Da qui la previsione di oltre 100 milioni di bottiglie.

Una crescita accompagnata dal rafforzamento sul fronte dei prezzi. Come rivela ancora il Rapporto economico 2021, il vino base atto a divenire Prosecco Superiore di Conegliano Valdobbiadene Docg è cresciuto a 2,6 euro al litro.

«Non siamo tornati al livello degli anni 2017 e 2018 – ha commentato il prof Eugenio Pomarici – ma i livelli dell’ultima vendemmia sono molto alti, nonché fisiologici. Bene anche il mercato dell’uva. Dopo gli 1,20 euro “di tenuta” del 2020, nel 2021 si è raggiunta la quota di 1,48 euro per un Kg di uve Glera».

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Doc Sicilia, exploit dell’imbottigliato nei primi 5 mesi del 2021

Nei primi cinque mesi del 2021 è stato imbottigliato il 6% in più di vino Doc Sicilia, rispetto allo stesso periodo del 2020. Sono state 41.138.908 le bottiglie prodotte dalle aziende della Doc Sicilia. Lo scorso anno la cifra si era fermata a 38.778.711 nel periodo gennaio-maggio.

«Un risultato che conferma la validità della strategia decisa dal Cda del Consorzio di Tutela Vini Doc Sicilia che coinvolge una filiera di circa 8.000 aziende», commenta il presidente Antonio Rallo.

I COMMENTI

«Le iniziative messe in campo dal Consorzio – aggiunge Giuseppe Bursi, vicepresidente del Consorzio – puntano a valorizzare le produzioni siciliane, attraverso messaggi che sottolineano sempre di più la capacità della Sicilia di produrre in maniera sostenibile, tema di grande attualità.

In questa direzione vanno in particolare le iniziative sui canali digital che coinvolgeranno sempre più i giovani al consumo dei vini siciliani».

«Le azioni decise dal Cda sono in linea con il raggiungimento degli obiettivi di promozione che ci siamo prefissati – precisa Filippo Paladino, altro vicepresidente del Consorzio Vini Doc Sicilia. Sperando che si torni presto ad una normalità di vita quotidiana, stiamo lavorando anche attraverso i canali digital, per supportare il brand Sicilia e le nostre aziende per creare nuove opportunità di sviluppo».

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Il Cava top di gamma gioca la carta del biologico dal 2025: una goccia nell’oceano

Spinto dalla crescente attenzione dei consumatori verso l’agricoltura sostenibile e, forse, anche dalle pressioni interne dei secessionisti del Corpinnat, il Consejo Regulador del Cava ha annunciato una «svolta epocale» per i vini di punta della propria piramide qualitativa: a partire dal 2025, Reserva (minimo 18 mesi), Gran Reserva (minimo 30 mesi) e Cava de Paraje Calificado (minimo 36 mesi e provenienza da aree circoscritte) saranno al 100% certificati biologici.

Una conversione green che si aggiunge agli altri sforzi della Denominazione di origine per promuovere i propri spumanti Metodo classico di punta da lungo affinamento (per i Cava “base” bastano infatti 9 mesi): 10 anni di età minima dei vigneti, resa a 100 quintali per ettaro e menzione dell’anno di vendemmia in etichetta, nonché «tracciabilità rigorosa, garantita dalla vendemmia all’imbottigliamento».

Tutti questi provvedimenti – spiega Javier Pagés, presidente del Consejo Regulador dello spumante spagnolo – mirano a garantire la conservazione del territorio e il futuro del settore alle future generazioni, consolidando il trend crescente del vino biologico, che sta anche guadagnando di più importanza all’interno della nostra Denominazione di origine».

«Il Cava – continua Pagés – si sta evolvendo. Il numero di bottiglie di Cava biologico prodotte ha raggiunto oggi le 13.780.711 unità, pari a un 34,09% di Premium Organic Cava. Sappiamo che sia il consumatore che il mercato lo stanno esigendo, ma è anche una questione di conservazione del territorio».

COSA DICONO I NUMERI
I numeri del Cava, in realtà, dicono che la svolta green della piramide qualitativa è una goccia nell’oceano. Sono 38.151,74 gli ettari iscritti alla Do nel 2020, allevati da oltre 6.800 operatori, di cui 209 cantine e 143 produttori di vino base (da solo, il Grupo Codorníu Raventós di cui Javier Pagés è stato Ceo fino al 2018 – oggi al suo posto c’è l’ex manager Kellogg’s Sergio Fuster – produce l’80% delle bottiglie complessive).

Si tratta, di fatto, di uno “spumante nazionale”: solo il Corpinnat, brand collettivo riconosciuto dall’Ue dal 10 aprile 2018, garantisce l’origine dalla zona tradizionale della spumantistica spagnola, il Penedès (100% produzione bio).

Nel 2020 sono state certificate 215,566,954 bottiglie di Cava, un -13,62% rispetto al 2019 (249,544 milioni), di cui 20,052,096 di Rosé Cava. Al momento, il Cava certificato biologico è pari al 6,39% della produzione complessiva, ovvero 13,796,153 bottiglie sugli oltre 215 milioni complessivi.

Una cifra che si riduce ulteriormente se si considera il vertice della piramide qualitativa, ovvero le tre tipologie oggetto della svolta green. È biologico solo lo 0,02% del Cava de Guarda Superior Paraje Certificado, l’11,38% del Cava de Guarda Superior Gran Reserva e il 22,7% del Cava de Guarda Superior Reserva.

IL CONFRONTO 2019-2020
Che i produttori di spumante Metodo classico spagnolo stiamo comunque credendo nel biologico lo dimostra il confronto tra le cifre del 2019 e il 2020. Le bollicine bio complessivamente prodotte a cavallo dei due anni è calata solo dello 0.11%, mentre il “convenzionale” ha subito un -14,41% (201,786,243 contro 235,748,543).

Cava Reserva, Gran Reserva e Cava de Paraje Calificado riguardano rispettivamente lo 0,01%, il 10,18% e l’1,45% della produzione complessiva di Cava, assestandosi nel 2020 su un totale di 25.086.988 bottiglie (su 215 milioni totali).

Tra il 2019 e il 2020 ha subito un vero e proprio shock la miglior produzione assoluta della piramide qualitativa, il Cava de Guarda Superior Paraje Calificado, con un -58,87% (11,245 bottiglie contro 27,341).

Meno drastico il crollo del Cava de Guarda Superior Gran Reserva: -13,52% (3,129,826 di bottiglie nel 2020 contro i 3,619,281 del 2019). Giù del 18,24% anche il Cava de Guarda Superior Reserva, con 21,945,917 bottiglie sui 26,841,209 dell’anno precedente.

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Il Prosecco Conegliano Valdobbiadene bissa il record: 92 milioni di bottiglie nel 2020

Ben 92 milioni di bottiglie certificate, lo stesso numero raggiunto nel 2019, l’anno dei record. Si sono rivelate fondate le previsioni di novembre del Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg. Secondo gli ultimi conteggi, il numero record è stato eguagliato nel 2020.

La flessione, di fatto, è minima rispetto alla chiusura 2019: un – 0,001% che, nonostante qualche timore manifestato nel corso dell’autunno per il peggioramento della situazione epidemiologica, evidenzia quanto il recupero sia stato superiore alle aspettative.

“Chiudiamo questo 2020 con un ottimo risultato – afferma Innocente Nardi, presidente del Consorzio di Tutela veneto – particolarmente significativo pensando all’anno che ci stiamo lasciando alle spalle. Anche se non è stato semplice, abbiamo raggiunto veramente un risultato storico”.

Le aziende della denominazione hanno dimostrato capacità di adattamento alla situazione e serietà nell’affrontare, anche con misure severe che siamo stati costretti ad adottare, la realtà di mercato che ci minacciava soprattutto in primavera.

Il risultato finale è dovuto a un forte recupero di dicembre che ha registrato un aumento delle certificazioni superiore agli anni precedenti, compensando così i risultati dei mesi più duri del 2020″.

Come era già emerso dal Rapporto economico presentato l’11 dicembre scorso (vedi l’articolo sotto), questo risultato evidenzia, secondo il Consorzio, “lo stretto rapporto tra le aziende e il loro mercato”.

“Le imprese, nel loro insieme, sono riuscite ad adattarsi ai canali di vendita in modo efficace rispetto alle necessità, in un contesto di forte limitazione delle vendite nella ristorazione, canale che in Italia e all’estero assorbe circa un terzo dei consumi in volume e più della metà in valore”.

La tenuta complessiva, sempre secondo il Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg, è motivata dalla ricollocazione del prodotto su canali meno utilizzati negli anni precedenti, oltre che sull’e-commerce“. Il riferimento è alla Grande distribuzione organizzata, ovvero il mondo dei supermercati.

Prosecco Conegliano Valdobbiadene batte Covid. Nardi: “Fatto solo scelte giuste”

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Gli Editoriali news news ed eventi

“Bottiglie da vendere? Le compriamo noi”: quella campagna che fa tremare Tannico

EDITORIALE – “Hai bottiglie da vendere? Le compriamo noi”. La campagna, lanciata da Tannico e tuttora online nella sezione “Vini da Collezione“, riguardava anche il Tignanello. Si tratta proprio del vino risultato falso, grazie a una semplice analisi comparativa delle etichette compiuta da un acquirente.

Stiamo creando bottiglia dopo bottiglia un catalogo speciale dedicato ai collezionisti del vino: sarà un piccolo caveau pieno di rarità e racchiuderà bottiglie preziose, etichette speciali e grandi annate dei bianchi, rossi, Champagne e spumanti più ricercati al mondo”, si legge sul sito di Tannico.

“Per realizzare questa selezione – precisa poi il management dell’enoteca online più vasta d’Italia – abbiamo bisogno del tuo aiuto. Se hai in cantina dei vini di pregio e vuoi venderli, o se sei un professionista del mondo Horeca e stai valutando di cedere parte del tuo magazzino, mettiti in contatto con noi. Specialmente se le etichette che hai sono fra queste:

  • Dom Pérignon
  • Cristal
  • Salon
  • Selosse
  • Giulio Ferrari
  • Ornellaia
  • Sassicaia
  • Masseto
  • Tignanello
  • Solaia
  • Gaja
  • Rinaldi
  • Bartolo Mascarello
  • Giuseppe Mascarello
  • Bruno Giacosa
  • Conterno
  • Montevertine – Pergole Torte

Nell’elenco, dunque, diversi brand di Champagne e Trento Doc, ma anche tanto Barolo e tanta Toscana, regione dalla quale proviene appunto il Tignanello dello scandalo. Insomma, il massimo dell’enologia italiana. Una campagna pompata anche sui social, habitat naturale di Tannico, che spesso ingaggia i cosiddetti (presunti) wine influencer italiani per veicolare i propri messaggi.

A sorprendere, tuttavia, è l’assenza del minimo avvertimento nei confronti di potenziali venditori truffaldini. Non un parola che ammonisca chi voglia provare l’affare, vendendo a Tannico una fregatura. Che so? Qualcosa tipo: “Le bottiglie saranno valutate dal nostro team di esperti”.

Nulla di nulla. Solo precisazioni, utili all’affare. Come la mail a cui scrivere in caso di possesso di una delle etichette di vecchie annate indicate (collezionisti@tannico.it) e la necessità di indicare “vino, annata, formato e quantità delle bottiglie che hai da vendere”, persino “allegando un file Excel”. Tutto bello, fino a che non succede l’irreparabile.

Fenomeni, quelli dell’intermediazione nella vendita di bottiglie pregiate, che incentivano la nascita di decine e decine di siti web, che si propongono per acquistare vecchie annate. Non mancano le iniziative di semplici privati, su siti di annunci generalisti.

Ma c’è anche chi lavora per abbattere il gap tra cliente e consumatore, come nel caso degli e-commerce che propongono la vendita diretta dal produttore, fornendo addirittura ai clienti spazi per conservare le sue bottiglie preferite e farle affinare in cantina dal produttore per 5, 10 o anche 15 anni. Il massimo della qualità, col massimo della tracciabilità di filiera.

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La cantina di Luigi Veronelli a Fisar: 1.500 bottiglie tornano alla luce

Una parte della leggendaria cantina di Luigi Veronelli – circa 1.500 bottiglie – è stata donata a Fisar dalla famiglia del noto giornalista. Un progetto condiviso tra la Federazione italiana sommelier, albergatori e ristoratori e i congiunti di Luigi Veronelli, dal titolo evocativo “La Terra è l’anima“, tratto dalla frase finale di un pensiero: “Il mio lavoro consiste nel camminare le terre e di raccontarne la qualità”.

Le bottiglie coprono l’arco di un trentennio, dagli anni Sessanta ai Novanta. “Saranno oggetto di studio appassionato e di rilettura, anche critica, delle recensioni veronelliane – spiega Fisar – con il proposito di una rinnovata conoscenza di parte del notevole patrimonio enologico italiano”.

“La terra è l’anima” è il “piano B” di Fisar, a fronte di Covid-19: il progetto doveva infatti coinvolgere i professionisti del settore nel tasting di alcune delle bottiglie donate dalla famiglia Veronelli alla Federazione.

Sarà anche un format multimediale pilota, con una serie di video-testimonianze da parte di operatori del settore che raccontano come Veronelli sia entrato nella loro vita, quale segno abbia lasciato e come hanno messo in pratica il suo sentire. I protagonisti sono loro e Luigi Veronelli sullo sfondo, con il suo pensiero stimolante ancora oggi.

Intervengono in questa prima serie: Elvira Bortolomiol, Romano Dogliotti, Alfonso ed Ernesto Iaccarino, Angela Lanzi, Giuseppe Mazzocolin, Arianna Occhipinti e Attilio Pagli. Le video-testimonianze son visibili in anteprima ogni lunedi alle ore 19.00 per nove settimane sulla pagina Facebook e sul sito web di Fisar Nazionale.

“La Terra è l’anima – precisa Gian Arturo Rota, curatore dell’archivio Veronelli – è il cappello sotto cui proporre, attraverso varie azioni, l’attualità della sua visione nell’approccio sensoriale; l’assaggio come ricerca, studio, rigore, ma anche piacere, e come possibilità di vaste espressioni: umana, sociale, estetica, tecnica”.

La donazione a Fisar da parte della famiglia consente sia di confrontarsi con bottiglie che raccontano la storia moderna del vino italiano sia, simbolicamente, di proseguire il lavoro di ricerca che Veronelli ha iniziato alla fine degli anni 50 del secolo scorso e perseguito per quasi 50 anni”, conclude Rota.

“Una bella soddisfazione – conferma Luigi Terzago, presidente nazionale Fisar – la partnership con la famiglia Veronelli. La donazione di parte della cantina per noi è un privilegio. Questo grande bagaglio di cultura del vino, appena terminato il distanziamento sociale, sarà messo a disposizione dei nostri associati con degustazioni mirate. Il progetto prevede in seguito la realizzazione di ulteriori iniziative per approfondire la visione del grande gastronomo giornalista”.

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Prosecco rosé da Brut Nature a Extra Dry: via libera al matrimonio Glera Pinot Nero

Via libera ufficiale al tanto discusso Prosecco rosé, col vitigno a bacca rossa Pinot Nero che andrà a colorare di rosa la bianca Glera, l’uva tradizionalmente utilizzata per produrre lo spumante tipico del Veneto e del Friuli Venezia Giulia. Il Comitato Nazionale Vini del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali ha approvato ieri, 20 maggio 2020, la proposta di modifica del disciplinare di produzione della Doc Prosecco per l’introduzione della tipologia Prosecco Rosé, che non riguarda dunque la Docg Conegliano Valdobbiadene.

“A tutti coloro i quali hanno contributo all’ottenimento di questo importante risultato va il nostro ringraziamento che, in considerazione del momento che stiamo vivendo, è particolarmente sentito”, ha commentato il presidente del Consorzio di tutela della Doc Prosecco, Stefano Zanette.

Ora si attende la pubblicazione del provvedimento sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana e l’entrata in vigore del successivo Decreto Ministeriale. Un provvedimento che ufficializzerà la modifica a livello nazionale, avviando l’iter comunitario che culminerà con la definitiva pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea.

Sono state rese note al contempo le specifiche del Prosecco Doc Rosé. Gli spumanti di questa tipologia dovranno essere prodotti con uve Glera, cui potrà essere addizionata una percentuale tra il 10% e il 15% di Pinot Nero.

La resa per ettaro è stabilita in 18 tonnellate per la varietà Glera e 13,5 tonnellate ettaro per la varietà Pinot Nero. La fermentazione in autoclave col metodo Martinotti (Charmat) dovrà portrarsi per minimo 60 giorni.

Le vendite saranno possibili dal 1° gennaio dopo la vendemmia. Quanto alle caratteristiche organolettiche, per passare all’esame della commissione di degustazione il colore del Prosecco Doc Rosé dovrà essere “rosa più o meno intenso, brillante” e la spuma “persistente”.

Il residuo zuccherino stabilito varia dal Brut Nature a Extra Dry. L’etichetta del Prosecco Doc rosé dovrà riportare l’indicazione “Millesimato“, con il relativo anno, con l’obbligo di utilizzo di un minimo dell’85% delle uve dell’annata. Il Consorzio stima una produzione di circa 20 milioni di bottiglie, che si andranno ad aggiungere ai 460 milioni della Denominazione.

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Approfondimenti Esteri - News & Wine

Close the Glass Loop: industria del vino e del vetro alleate per la sostenibilità

Il settore vitivinicolo collaborerà con i produttori di bottiglie di vetro per raccogliere il 90% di tutti gli imballaggi immessi sul mercato dell’Ue, nell’ambito della piattaforma europea Close the Glass Loop. L’obiettivo è raggiungere il completo riciclaggio a circuito chiuso entro il 2030. Lo annuncia il Comité Européen des Entreprises Vins (Ceev), dopo l’avallo delle 23 associazioni nazionali che ne fanno parte in 12 Paesi membri dell’Unione europea.

Il progetto vede in prima linea Feve, la Federazione dei produttori europei di contenitori in vetro per alimenti e bevande e flaconi per profumeria, cosmetici e prodotti farmaceutici. I suoi membri producono oltre 80 miliardi di contenitori di vetro all’anno, in 150 stabilimenti produttivi dislocati in 23 stati europei.

“Close the Glass Loop – commenta Ignacio Sánchez Recarte, Segretario Generale Ceev – è un segnale che, nonostante questi tempi particolarmente difficili a causa della crisi Covid-19, l’economia circolare rimane una priorità fondamentale per il settore vitivinicolo”.

“Il vino – continua l’esponente del Comité – non è un prodotto ordinario e rappresenta un simbolo culturale in cui il packaging riveste un ruolo fondamentale. Con oltre il 90% dei vini europei confezionati in vetro, è chiaro che questa industria è parte integrante del nostro modello di business. Aiutando la catena di imballaggi in vetro a migliorare il livello di sostenibilità, miglioriamo direttamente il nostro”.

“Il settore vitivinicolo – conferma Adeline Farrelly, segretario generale Feve – è uno dei nostri principali segmenti di mercato con una crescita costante registrata negli ultimi anni. È fondamentale poter collaborare e sostenerci a vicenda nei nostri sforzi verso la sostenibilità. La piattaforma Close the Glass Loop è un modo per farlo insieme. Più vetro riciclato possiamo reinserire nel nostro ciclo produttivo, minore sarà l’impatto ambientale delle nostre bottiglie”.

Secondo un recente sondaggio tra i consumatori pubblicato dalla piattaforma dei consumatori Friends of glass, il vetro è il materiale da imballaggio preferito per la maggior parte dei prodotti alimentari e delle bevande, con ben 8 europei su 10 che optano per questo materiale nella scelta di vino e alcolici. La crescita nel gradimento è evidente: il 51% dei consumatori, sempre secondo l’indagine, acquista più prodotti in vetro rispetto a tre anni fa.

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Covid-19 in Ungheria: i viticoltori donano 12 mila bottiglie di vino a medici e infermieri

I 34 viticoltori della Pannon Bormíves Céh, una delle più autorevoli associazioni del settore in Ungheria, hanno donato 12 mila bottiglie di vino a medici e infermieri del Paese. L’iniziativa coinvolge gli operatori di 30 ospedali, alle prese con la gestione dell’emergenza Covid-19 anche durante le festività della Pasqua.

“Mentre la Festa si avvicina – spiegano i viticoltori della Pannon Bormíves Céh – dal nostro canto possiamo fare una sola cosa per esprimere il nostro amore e apprezzamento per medici e infermieri, al fine di donare loro un momento che li riporti anche solo per un istante a una vita più normale, fuori dall’emergenza: è donare a tutti loro una bottiglia di vino per le festività di Pasqua”.

“Tratteniamo il fiato con voi – scrivono ancora le 34 cantine – e siamo al vostro fianco mentre lottate per far tornare l’Ungheria alla normalità. Grazie per quello che stanno facendo per la gente, per il Paese e per tutti noi. Vogliamo così augurare buona Pasqua ai medici, agli infermieri e alle loro famiglie”.

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Fenomeno Pinot Grigio Italia: +83% di superficie in 10 anni. La fotografia

Il Pinot Grigio è tra i vitigni più coltivati in Italia, con una crescita degli impianti che dal 2010 ad oggi ha fatto segnare un + 83% di superficie vitata (dai 17mila ettari del 2010 ai 31mila del 2018), nonché il primo vino Italiano bianco fermo per volumi di esportazione. Per comprendere il “fenomeno” Pinot Grigio Italia è sufficiente evidenziare che dei 67mila ettari mondiali vitati a questa varietà, 31.360 si trovano in Italia (47%), di cui l’87% nel Triveneto, che detiene così il 41% di quella mondiale.

Proprio il Pinot Grigio è stato il tema della riunione congiunta che si è tenuta quest’oggi tra Uiv (Unione italiana vini) e Alleanza delle Cooperative Agroalimentari per la presentazione dei dati elaborati dall’Osservatorio del Vino di UIV circa la produzione e commercializzazione dei vini imbottigliati base Pinot grigio in Italia nelle diverse aree produttive.

Obiettivo dell’incontro è stato quello di restituire ai produttori del “Pinot Grigio Italia”, che hanno commissionato tale ricerca a Vinitaly 2019, oltre ai dati strutturali legali alle superfici coltivate in tutte le regioni italiane, alcuni spunti di riflessione sul potenziale produttivo e alla “geografia” dei vigneti, sulla produzione, sui volumi di vino imbottigliato e sulle giacenze.

I dati sui quali è stata effettuata l’elaborazione sono stati forniti dall’organismo pagatore nazionale Agea, dai principali organismi di controllo e dal registro telematico SIAN (fonte ICQRF) con riferimento all’anno 2018.

La produzione va di pari passo con 2,2 milioni di ettolitri l’anno di Pinot Grigio Italia, di cui 1,7 milioni di Do-Ig provenienti dal Triveneto (75%), che si traducono in 298 milioni di bottiglie nazionali, di cui 168 milioni delle Venezie.

“È fondamentale – commenta Paolo Castelletti, Segretario Generale di Unione Italiana Vini – impostare una strategia di monitoraggio delle produzioni, per comprendere come sta evolvendo la situazione di questo importante vino italiano. Solo così potremo consentire alle imprese di svolgere in maniera consapevole le migliori valutazioni sulla realtà del mercato e intraprendere opportune strategie di governo dell’offerta e le conseguenti scelte commerciali”.

Questa iniziativa, sostenuta da UIV e Alleanza Cooperative Agroalimentari su richiesta e sollecitazione degli stessi produttori di Pinot grigio a livello nazionale, va in questa direzione e il dato messo a disposizione dei produttori potrà certamente essere utile per incoraggiare le scelte dei territori nei prossimi mesi”.

Uiv e Alleanza Cooperative Agroalimentari hanno approfittato dell’incontro odierno per presentare anche un’esclusiva indagine di mercato elaborata da Wine Intelligence sulla percezione e le attitudini di consumo del Pinot grigio italiano sui mercati americano, inglese e tedesco, da cui emergono sia punti di forza, come la profonda conoscenza della varietà, ma anche punti critici, come la difficile associazione alle denominazioni che lo producono.

“Il lavoro condotto sul Pinot grigio – ha dichiarato Luca Rigotti, Coordinatore Vino di Alleanza Cooperative Agroalimentari – dimostra che nel comparto vitivinicolo possiamo disporre di dati molto importanti per poter leggere l’andamento del settore”.

“Si tratta – ha concluso Rigotti – di un vero e proprio capitale informativo che va poi opportunamente messo a sistema. Il nostro auspicio è che a questa analisi sul Pinot grigio facciano seguito altre rilevazioni sulle principali DO/IG di vino italiane, magari condotte su iniziativa del Ministero delle politiche agricole tramite Icqrf o Ismea e con il necessario coinvolgimento diretto da parte degli operatori e delle organizzazioni nelle fasi di raccolta e sintesi dei dati”.

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Chianti Docg, sorpresa (o forse no): segno “più” sul mercato italiano nel 2019

Un risultato che arriva a sorpresa, o forse no. Il Chianti Docg cresce del 6,3% sul mercato italiano. Risultati positivi anche a livello globale: +1%, equivalente ad un milione di bottiglie in più. Numeri che confortano il Consorzio di tutela toscano, soprattutto se paragonati all’andamento commerciale delle bottiglie da 0,75, cresciute in Italia solo dell’1,5%.

Bene i mercati esteri che crescono di un punto percentuale, nonostante il calo della Germania (dove si è registrato un -10%) e la sostanziale stagnazione degli Usa. Sotto la lente di ingrandimento i risvolti sull’export, causati dell’emergenza Coronavirus. Secondo le stime, se l’allarme rientrerà a breve, la perdita per i produttori sarà tra il 5 e il 10%.

Cifre tutto sommato ammortizzabili, dal momento che il mercato cinese – cui si rivolgono anche le recenti modifiche al disciplinare – cresce di anno in anno. “Questi numeri – commenta il presidente del Consorzio, Giovanni Busi – mostrano che la strada imboccata ormai da anni dal Consorzio Chianti è quella giusta”.

“Una strada fatta di innalzamento della qualità del prodotto e di promozione dell’immagine sui mercati strategici, vecchi e nuovi: il mercato riconosce e apprezza, causando tra l’altro un effetto secondario di grande rilevanza sociale, ovvero la tenuta del prezzo anche per i vini sfusi”, conclude Busi.

La buona performance del 2019 acquista un valore ulteriore se paragonata all’andamento dei vini Chianti Docg dal 2013 ad oggi: negli ultimi 7 anni si evidenzia un incremento del 23% delle bottiglie vendute.

La crescita a valore è del 33%, segno di un recupero dei prezzi a scaffale e “perciò di una maggiore valorizzazione della Denominazione”. Nello stesso periodo, il segmento in bottiglia da 0,75 è cresciuto del 7% in volume e del 22% a valore.

“Il saldo positivo – commenta Busi – indica che il mercato di riferimento, quello italiano, ha un apprezzamento crescente per la qualità dei nostri vini e che i nuovi consumatori, principalmente asiatici e sudamericani, compensano il calo dei tedeschi e lo stallo degli statunitensi”.

Per il 2020, il Consorzio di Tutela guarda con attenzione alla Cina e all’evoluzione nel medio periodo dell’epidemia di Coronavirus. “Nel terzo trimestre 2019 – continua Busi – abbiamo venduto molto perché è il periodo in cui i buyers cinesi riempiono i magazzini in vista delle Feste. Adesso, con l’annullamento dei festeggiamenti per il Capodanno cinese e la chiusura di gran parte dei ristoranti c’è il rischio che quelle scorte non vengano smaltite”.

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Asolo Prosecco Superiore, “identità che premia”: verso i 15 milioni di bottiglie

La marcia dell’Asolo Prosecco Supeiore non si ferma e vola verso i 15 milioni di bottiglie, nei primi nove mesi del 2019 le vendite sono aumentate del 23% rispetto a quelle dell’anno precedente. Nello stesso arco di tempo sono state collocate sul mercato circa 12 milioni di bottiglie, di fatto quasi quanto in tutto il 2018, che aveva chiuso l’anno a quota 12,6 milioni. “Investire sulla propria identità territoriale è la scelta migliore che si possa fare nel mondo del vino”, dichiara Ugo Zamperoni, presidente del Consorzio di Tutela dell’Asolo Prosecco.

“Noi abbiamo investito sull’identità di un Prosecco Superiore che esprima il carattere delle colline di uno dei borghi più belli d’Italia, Asolo, e ora raccogliamo i risultati”, continua il numero uno del Consorzio, insidiatosi dopo le dimissioni di Armando Serena.

Le aspettative sono di una crescita costante: “Abbiamo visto un’accelerazione nei tre mesi estivi – sottolinea Zamperoni – durante i quali abbiamo certificato 4,7 milioni di bottiglie contro la media di 3,5 milioni dei due trimestri precedenti”.

“E pensare che ci era sembrato già un successo senza precedenti – ammette il neo presidente del Consorzio – aver superato per la prima volta i 3 milioni di bottiglie nel trimestre estivo del 2018. Ovviamente nei numeri siamo lontani dalle altre denominazioni del Prosecco, ma non essendoci motivi per ipotizzare dei rallentamenti da qui alla fine dell’anno, prevediamo comunque di sfondare per la prima volta entro fine 2019 la quota di 15 milioni di bottiglie“.

Un dato senza precedenti. “Per la nostra viticoltura collinare – commenta Zamperoni – rappresenta un volume importante e che costituisce anche un chiaro segnale di emancipazione del nostro Asolo Prosecco nell’offerta degli spumanti italiani di pregio”.

Dai mercati, del resto, stanno arrivando “segnali di attenzione molto incoraggianti nei confronti della nostra denominazione e della nostra identità collinare e noi a questa ci teniamo tantissimo, perché la consideriamo il nostro vero patrimonio”.

LA VENDEMMIA 2019

A vendemmia 2019 appena conclusa, Zamperoni traccia anche le prime considerazioni sull’annata: “Il risultato dell’investimento fatto dai nostri viticoltori sulla capacità di leggere e interpretare il territorio e gli andamenti stagionali lo si è toccato con mano soprattutto quest’anno”.

L’avvio della stagione viticola era stato infatti estremamente complicato. Arrivando da un inverno molto secco, il clima è evoluto in una primavera tra le più difficili degli ultimi anni: di fatto, l’estate è esplosa praticamente senza una vera traccia di primavera.

“Ma è proprio qui che si è rivelata vincente l’esperienza della nostra filiera – sottolinea Zamperoni – e dunque, pur nella complessità dell’annata, abbiamo saputo portare in cantina delle uve dotate di caratteristiche addirittura al di sopra dei canoni qualitativi consueti, il che ci fa pensare che possa proseguire la marcia spedita imboccata dall’Asolo Prosecco nel 2019″.

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La Scolca: nuova cantina e Lounge per festeggiare i (primi) 100 anni di storia


GAVI –
La Famiglia Soldati ha aperto la porte di casa La Scolca per l’inaugurazione della nuova cantina e della nuova Lounge, autentico gioiello nel territorio di Gavi, in Piemonte. Il nuovo spazio si affaccia sulle colline del Monferrato, culla del vitigno Cortese.

La nuova struttura, costruita in un edificio adiacente alla sede storica, è dotata delle più moderne tecnologie. Comprende infatti anche un laboratorio di analisi interno, utile allo staff enologico ed agronomico. Migliorie che aiuteranno la famiglia Soldati a centrare l’obiettivo del prossimo futuro: il milione di bottiglie.

A benedire l’inaugurazione, avvenuta venerdì 24 maggio, è stato il tasting dei vini La Scolca in abbinamento alle creazioni gastronomiche di Stefano Di Bert dell’Antica Hostaria Pacetti di Genova. Lo chef e sommelier friulano, genovese d’adozione, ha deliziato i palati degli ospiti con gustose specialità liguri.

La Tenuta è oggi aperta al pubblico, con l’opportunità di prenotare la propria visita e wine experience sulla base di vari format e percorsi personalizzati. Nuovi spazi pensati dunque in un’ottica enoturistica, ma non solo. La famiglia Soldati offre la possibilità di organizzare Master Class ed incontri formativi per sommelier.

L’inaugurazione della nuova cantina e lounge è il coronamento di un anno importante per la cantina piemontese. Quello dell’anniversario dei 100 anni, che vede La Scolca protagonista in Italia e all’estero con eventi e investimenti in nuovi mercati. Un’azienda dinamica, in crescita ed evoluzione, presente in 45 Paesi.

Per noi è un momento speciale – sottolinea Giorgio Soldati – siamo giunti alla terza fase. Abbiamo iniziato con la Casa di Caccia, per poi arrivare al secondo ampliamento, ed oggi eccoci qua con la nuova Lounge e cantina, a conferma del nostro desiderio di guardare al futuro e alle nuove generazioni della famiglia”.

“E’ proprio grazie ai continui investimenti sul territorio che La Scolca può competere nel mercato globalizzato odierno, sempre più complesso e competitivo, sul quale siamo presenti con quasi 1 milione di bottiglie”, aggiunge Chiara Soldati.

Una cantina con gli occhi rivolti all’estero, con i prossimi appuntamenti internazionali: Simple Wine Expo a Mosca (31 maggio – 2 giugno), Kiev Wine Festival (8-9 giugno), un “Aperitivo dei 100 anni” all’Unopiù Store di a Monaco (18 giugno), ed il lungo road show negli Stati Uniti, previsto per agosto e settembre con il nuovo importatore americano Shaw Ross.

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Garda Doc, traguardo 11 milioni di bottiglie nel 2018

Undici milioni di bottiglie per il Consorzio Vini Garda DOC. Sono questi i numeri di produzione della DOC Garda che con il 2018 ha iniziato a mettere sul mercato la sua prima vendemmia 2017 dopo la strutturazione della Denominazione, che accomuna le varietà di 10 denominazioni dell’area gardesana, tra la Lombardia e il Veneto.

Degli 11 milioni di bottiglie, 800 mila sono della nuova tipologia Spumante Garda Doc, la scommessa del Consorzio che nell’ultimo anno ha scelto solo lo spumante come icona della denominazione, non a caso in bella mostra al Merano Wine Festival 2018.

“Una crescita – commenta Carlo Alberto Panont, Direttore del Consorzio (nella foto sotto) – che ci gratifica della scelta strategica fatta dai produttori qualche anno addietro. La DOC Garda è stata riconosciuta nel 1996 ma è solo con la vendemmia 2017 che è iniziato il nuovo progetto di produzione e di brand”.

“Siamo partiti dalla tradizione e l’abbiamo tradotta in un linguaggio nuovo e facile. Ecco quindi lo spumante come tipologia centrale della denominazione che va a riunire le bottiglie che erano già spumantizzate in zona sotto vario nome”, continua Panont.

I NUMERI DELLA DOC GARDA
Una crescita totale del 57% da gennaio 2018. Tra le 11 milioni di bottiglie le tipologie più vendute sono Garda Doc Garganega; Garda Doc Chardonnay; Garda Doc Pinot Grigio; Garda Doc Bianco Frizzante. In termini numerici queste sono le prime 4 tipologie con più di 8 milioni di bottiglie (81% del totale) immesse sul mercato nei primi nove mesi dell’anno in corso.

L’obiettivo del Consorzio ora è raggiungere i 20 milioni di bottiglie prodotte entro il prossimo triennio, numero che coincide con le presenze turistiche che si contano sul territorio gardesano nello stesso periodo. I mercati esteri a cui puntare sono quelli della Germania, dell’Inghilterra e della Russia, senza dimenticare l’Italia, dove i numeri sono in costante crescita.

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Bottiglia di vino “leggera” per l’ambiente? “No” della Puglia del Primitivo cooperativo

BARI – Pesante is better. Perché puoi essere “avanti” finché vuoi. Ma se non vendi, tutto il resto si limita a sterile poesia sui massimi sistemi.

Sembrano pensarla così, in Puglia, sulla possibilità di ridurre il “peso” delle bottiglie di vetro del vino – in particolare di Primitivo di Manduria – per venire incontro alla crescente attenzione per l’ambiente, espressa peraltro anche dai Millennials.

Quello che è ormai un must per le aziende all’avanguardia in tutti i settori (ovvero l’attenzione green nelle fasi produttive, al di là delle certificazioni “bio”) sembra invece trovare detrattori in Meridione.

Un gap che, in Italia, allontana ancor più aziende come la toscana Banfi Wines e la cooperativa pugliese Cantine San Marzano.

Da un lato la senese Banfi, che già nel 2008 ha avviato gli studi sull’utilizzo di “bottiglie leggere” per i propri vini. Quattrocento grammi, al posto dei consueti 570. Dall’altro la tarantina San Marzano, che incalzata in occasione dell’ultima edizione di Radici del Sud, risponde “picche”. Senza mezzi termini.

QUESTIONI DI MERCATO
“Il mercato non è pronto, la bottiglia pesante è ancora una sorta di status simbol legato alla qualità del vino, soprattutto in determinati mercati”. Parole di Mauro di Maggio (nella foto, sopra), attuale direttore di Cantina San Marzano.

Pesante is better, appunto. Almeno per l’export, in determinate aree emergenti. In Cina, in particolare, sembrano apprezzare più di altri le bottiglie pesanti di rosso. Un po’ come facevano (e continuano a fare oggi) i nostri nonni, lodando il vetro ingombrante, voluminoso, tozzo, di certe etichette di vino.

Un mercato, quello orientale, a cui San Marzano guarda con interesse (il Vietnam è una fissa del presidente Francesco Cavallo) e su cui la cantina di Taranto non intende perdere punti preziosi, in nome di una battaglia per l’ambiente in cui non crede (ancora) abbastanza. Almeno sul fronte della bilancia.

E allora, amen. Purché non pensiate anche voi – magari di fronte ad amici e commensali assetati – che ci sia ancora del vino in quella bottiglia pesante (ma vuota) di Primitivo di Manduria, spremuta verticalmente sul calice.

QUANTO SI RISPARMIA
La voce “sostenibilità”, o “sustainability“, è invece al centro dell’attenzione di Casello Banfi, premiata di recente in Piemonte tra le aziende e i Consorzi del vino più “verdi” d’Italia, nell’ambito del “Premio Gavi – La Buona Italia 2018“.

Dallo studio avviato nel 2008, di strada ne è stata fatta. Per quasi tutta la produzione – esclusi i vini a lungo invecchiamento – Banfi utilizza bottiglie di peso inferiore allo standard: meno 30% rispetto alle precedenti.

Dal 2009 sono state utilizzate oltre 30 milioni e cinquecentomila bottiglie leggere. In particolare, a partire dalla seconda metà del 2014 si sono utilizzate sei milioni di bottiglie del peso di 360 grammi.

“I benefici ambientali ottenuti – spiega la dirigenza di Castello Banfi – si possono riassumere in un risparmio di materie prime, di energia e, dunque, di emissioni di anidride carbonica (CO2)”.

Considerato che una berlina genera circa 200 grammi di CO² per chilometro percorso, il primo milione di bottiglie leggere equivarrebbe a 2,3 milioni (459/200×1.000.000) di chilometri risparmiati, pari al consumo di cento auto che hanno percorso ciascuna 23 mila chilometri.

O l’equivalente del consumo annuale di 100 abitazioni di montagna da 100 metri quadrati. O ancora, considerato che il consumo domestico d’energia elettrica da fonti primarie genera circa 750 chilogrammi di CO² per abitante per anno, per il solito milione di bottiglie, il tutto equivale al consumo annuale di 600 persone.

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Tra tradizione e innovazione: ecco l’Italia del vino raccontata da Coldiretti

Dal ritorno della pigiatura con i piedi alle oche che concimano il vigneto fino al vino ottenuto da uve “ammuffite” o quello vinificato in antiche anfore dell’isola di Creta, ma ci sono anche le bottiglie gioiello con cristalli e oro e quelle hi-tech che consentono di ricostruire con lo smartphone la storia e le caratteristiche del vino. Sono solo alcune delle curiosità del vino 2.0 presentate dalla Coldiretti al Centro Servizi Arena – stand A (tra il padiglione 6 e 7) in occasione del Vinitaly 2018.

TRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE
“L’innovazione nella tradizione è l’elemento che caratterizza l’edizione di quest’anno anche con esperienze creative che puntano alla distintività” ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel sottolineare che “a spingere il cambiamento è la crescente richiesta di naturalità della produzione”. In Liguria una piccola azienda di Dolceacqua (Imperia) produce il vino come una volta con l’uva che viene pigiata con i piedi per poi mettere tutto il prodotto, dal mosto ai raspi fino alle bucce, a fermentare in botti di legno da cui durante l’anno viene tolto più volte e ritorchiato prima di arrivare all’imbottigliamento finale. 

Ma al Vinitaly sono arrivate anche le prime bottiglie hi-tech del progetto sperimentale del Ministero delle Politiche Agricole e di Agea che si basa sulla tecnologia blockchain e attraverso lo smartphone consente di tracciare l’identikit del vino, al quale hanno aderito sei aziende associate alla Coldiretti: in Sardegna una cantina ha sperimentato un nuovo vino, la Malvasia di Bosa Botrytis Cinerea, ottenuto da acini in cui si è sviluppata una muffa particolare, la “Botrytis Cinerea”, un marciume nobile che – spiega la Coldiretti – nasce in condizioni climatiche particolari e riprogramma il metabolismo dell’uva provocando un sostanziale accumulo di aromi e sapori. Altra curiosità di questa malvasia isolana è che una volta prodotta, le bottiglie vengono interrate in vigna per maturare.

Ma nei vigneti – sottolinea la Coldiretti – c’è anche chi si fa aiutare dalle oche per pulire e concimare il suolo in maniera totalmente naturale e biodinamico, aiutando la crescita delle viti e la qualità dei grappoli come a Cannara, in Umbria, dove a un iniziale gruppo di poche decine di volatili, attualmente ce ne sono circa quattrocento che collaborano con il viticoltore nella cura di quattro ettari di vigna.

Mentre in Campania ci sono vini che nascono da vitigni storici antichissimi come quello coltivato fra i resti della Pompei distrutta dall’eruzione del Vesuvio nel 79 dopo Cristo. Un viaggio nella storia che riguarda i luoghi ma anche le tecniche di lavorazione e di conservazione, infatti – sottolinea Coldiretti – dal campo al bicchiere, il viaggio del vino non è solo in bottiglia.

In Friuli Venezia Giulia a San Floriano del Collio (Gorizia) nell’azienda Paraschos, il cui titolare è di origine greca, una parte della produzione viene vinificata in anfore di terracotta provenienti direttamente dall’isola di Creta e dalla zona di Micene, foderate all’interno con cera d’api del Collio e poi utilizzate per le fermentazioni con un affinamento prolungato a contatto con le bucce: le varietà prodotte sono “Amphoreus Bianco” dalle viti più vecchie di Ribolla Gialla e “Amphoreus Malvasia” dalle viti più vecchie di Malvasia istriana.

Ma In Piemonte a Castiglione Tinella (Cuneo) c’è anche chi, grazie a un artigiano locale, le anfore per la fermentazione del vino se le crea a km zero con la terra delle proprie vigne come l’azienda agricola Icardi che produce biologico e biodinamico. Per i tesori delle cantine italiane non ci sono solo l’argilla o il vetro, ma si usano anche bottiglie con decorazioni in oro come quelle ideate a Imola in Emilia Romagna. Nella produzione enologica del ventunesimo secolo – evidenzia la Coldiretti – si trovano molte altre particolarità: dallo spumante con polvere d’oro a quello con l’argento, dal vino dei ghiacciai a quello degli abissi, dalle bottiglie con cristalli Swarovsky a quelle realizzate con etichette in braille che consentono anche ai non vedenti di leggere le informazioni del vino per conoscerne meglio le caratteristiche a quello con etichette realizzate da ragazzi diversamente abili o dipinte a mano da artisti locali che raggiungono tutto il mondo.

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Nizza Docg: la mappa dei cru, verso il milione di bottiglie

NIZZA MONFERRATO – Prima sottozona della Barbera d’Asti Superiore, poi Docg indipendente. Ora una mappa delle vigne che identifica i terreni storicamente più vocati.

Un processo di “Barolizzazione”, che consacra il Nizza Docg tra le grandi denominazioni del vino del Piemonte. Dopo i vini di Langa e verso l’obiettivo del milione di bottiglie.

Molto più di un semplice compitino da svolgere a tavolino quello commissionato alla casa editrice Enogea, presentato lo scorso sabato al Foro Boario di Nizza Monferrato.

Alessandro Masnaghetti ha visitato le aziende della zona. Consumando, per un anno, suole e matite. Obiettivo: disegnare una carta utile tanto ai consumatori finali del Nizza Docg, quanto ai produttori e agli esperti del settore.

In definitiva sono più di sessanta i cru identificati. La mappa delle vigne del Nizza elaborata da Enogea non stabilisce differenze tra una produzione o l’altra. Nessun commento, insomma, sulle caratteristiche dei vini ottenuti da Barbera in purezza, nei diversi cru.

Questa è una delle sfide che attendono i produttori, impegnati da anni in degustazioni alla cieca delle proprie etichette. L’Associazione produttori del Nizza contava 15 “tesserati” nel 2000. Oggi sono 51, con ulteriori tre richieste al vaglio.

Il primo presidente dell’Associazione produttori Nizza fu Michele Chiarlo. Uno dei portabandiera globali della Barbera d’Asti e del Nizza Docg. Una denominazione che punta a raggiungere il milione di bottiglie e a triplicare il vigneto, fino a 700 ettari. Ma senza perdere di vista la qualità, dettata da un disciplinare di produzione più restrittivo rispetto a quello della Barbera d’Asti.

I NUMERI DELLA DENOMINAZIONE
I numeri sono tutti dalla parte del Nizza Docg. Tra le denominazioni italiane più performanti in assoluto. Non a caso, diversi produttori di Barolo stanno facendo shopping di vigneti nei 18 Comuni della zona Sud dell’Astigiano.

Secondo i dati ufficiali, il Nizza ha subito una vera e propria impennata dal 2015, in seguito al riconoscimento della Docg, avvenuta nel 2014. La superficie vitata è aumentata del 50% in tutti e due gli anni. Oggi tocca quota 196 ettari.

Numeri che si traducono anche in ettolitri. Nel 2017 la produzione si è assestata sugli 8.754 ettolitri di vino atto a divenire Nizza Docg. I mercati di riferimento sono gli Usa e la Svizzera. Ma i produttori riescono ad affermarsi anche a livello locale, soprattutto grazie a un turismo a caccia di eccellenze enogastronomiche.

Cifre rese possibili (anche) dal successo dalla Barbera d’Asti. “Il vino rosso piemontese – ricorda Filippo Mobrici, presidente del Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato – più esportato al mondo. Su oltre 21 milioni di bottiglie prodotte, il 50% raggiunge i mercati esteri e porta fuori dai confini nazionali il nome ‘Asti’, creando forte richiamo turistico di città del vino e di territorio da scoprire attraverso i suoi paesaggi vitivinicoli unici”.

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Un tram che si chiama La Versa. Ultima chiamata per l’Oltrepò

Diciotto milioni di euro netti di ricavi nel 2009. Poi giù. Nel buio più profondo. Fino ad arrivare a una voragine dal diametro impressionante.

Un buco (finanziario) da 12 milioni di euro, consolidato dal bilancio 2016. E un vuoto (morale) ancora più disorientante, allo scattare delle manette ai polsi dell’eterno presunto Messia, giunto dalla Franciacorta: quell’Abele Lanzanova capace, secondo la GdF, di “appropriarsi di ingenti somme sottraendole alle scarse risorse finanziarie della Cantina, peraltro già interessata da procedimenti prefallimentari”. Era il 21 luglio 2016.

L’araba Fenice dell’Oltrepò pavese ha un nome solo ed è La Versa. Evocativo. Tattile. Come i trattori dei contadini in canottiera che, nella culla del Pinot Nero italiano, passano accanto a quel blocco di cemento di 15 mila metri quadrati, pronti a tornare a popolarsi di uomini, di passioni, di idee.

Ci credono in molti – ma forse ancora in troppo pochi – nel rilancio della storica cantina pavese ad opera della nuova società costituita da Terre d’Oltrepò e Cavit. In questo quadro, in una terra che da troppi anni è un puzzle di buoni propositi e di ottimi progetti individuali annegati nell’incapacità di “fare rete”, la cooperazione pare l’unico asso nella manica.

Lo sa bene Andrea Giorgi, personaggio a metà tra il cow boy e il sindaco sceriffo: presidente della newco scioglilingua “Valle della Versa”, partecipata al 70% dai lombardi e al 30 dai trentini. Ironia sottile, silenzi dosati. Risposte mai banali o scontate. A volte pungenti. Un giardiniere pronto a seminare nel deserto. Un minuto Gandhi, il minuto dopo William Wallace (a parole) prima di Bannokburn. Senza però sfociare nel bipolarismo.

Al suo fianco Marco Stenico, il mediatore. Il direttore commerciale per antonomasia. Trentino d’origine, è lui il braccio destro di Giorgi. L’uomo perfetto per riconquistare il mercato.

E non importa se, al 24 agosto, i due non sappiano ancora quali siano, esattamente, i bottoni da premere sul quadro elettrico per accendere la luce nel “caveau” di La Versa, intitolato allo storico presidente duca Antonio Denari. Per risorgere ci vuole tempo. E occorre fiducia. La ricetta? Ripartire dal passato, in chiave moderna.

“Questa è un’azienda nuova – precisa Stenico – costituita dai due soci. Terre d’Oltrepò e Cavit si sono prese carico, ognuna per le proprie competenze, di alcune attività. Noi seguiremo la parte commerciale, mentre i nostri partner trentini la parte tecnica, la vinificazione e la parte industriale, che sta per essere messa in attività a partire già da settembre”.

Dalla scorsa settimana, i conferitori della zona di Santa Maria della Versa e di Golferenzo hanno ricominciato a portare le loro uve a La Versa. “Tutto raccolto a mano – evidenzia Stenico – Pinot Nero, Riesling e Moscato”. La prima vendemmia della nuova società si assesta sui 25 mila quintali di uva. Masse certamente inferiori ai 450-500 mila quintali che Terre d’Oltrepò e i suoi soci sono in grado di produrre annualmente. Ma siamo, appunto, solo all’inizio.

La parte del leone spetta al Pinot Nero, con oltre 10 mila quintali. A seguire il Riesling, 5 mila. E infine il Moscato, con 7-8 mila quintali. Quantità risicate da maltempo e gelate che hanno interessato l’Italia, travolgendo anche l’Oltrepò Pavese. Cento i soci conferitori di quella che fu La Versa, cui si andrà a sommare la base sociale di Terre d’Oltrepò, costituita da oltre 700 soci. Tradotto in vigneto: 6 dei 13 mila ettari complessivi sono controllati da Valle della Versa, con un potenziale produttivo che supera il 55% dell’intera zona.

“Da questa vendemmia – commenta Andrea Giorgi – ci aspettiamo un prodotto da collocare nel più breve tempo possibile sul mercato con il marchio La Versa. Un’operazione strategica per Terre d’Oltrepò, che ha già due stabilimenti: uno a Broni, l’altro a Casteggio. Il primo ha un grande potenziale dal punto di vista tecnologico, che arriva fino alla trasformazione di 15 mila quintali di prodotto al giorno. Casteggio si sta invece specializzando nell’imbottigliamento di prodotti fermi. Qui a Santa Maria La Versa vogliamo invece sviluppare il marchio e destinarlo a prodotti spumanti e a frizzanti in genere”.

Il mercato di riferimento è chiaro. “Nella nostra strategia complessiva – risponde Giorgi – visti i quantitativi enunciati, possiamo abbracciare tutta la gamma, dalle enoteche ai supermercati, passando dai ristoranti. Stiamo accuratamente selezionando i canali nei quali entrare nel modo più redditizio possibile, per creare uno zoccolo duro sul mercato italiano e sviluppare l’estero, dal momento che l’export, oggi, riguarda solo una piccola parte. Quello che vogliamo fare è accontentare i diversi target di clientela, dando senso al lavoro delle nostre centinaia di conferitori”.

Al canale moderno, quello della distribuzione e della grande distribuzione organizzata (Do-Gdo) sarà affidato il 70-75% della produzione. Il resto alla nicchia della ristorazione e delle enoteche. Diverso il discorso per il marchio La Versa. Ed è qui che si gioca una delle partite fondamentali per il rilancio della cantina pavese.

IL TESORO NEGLI ABISSI
Nei due piani sotterranei della cantina sono infatti custodite oltre un milione di bottiglie di metodo Classico oltrepadano (o futuro tale). Voci incontrollate assegnerebbero a questo scrigno un valore di 4,2 milioni di euro. Lo stesso per il quale la newco si è aggiudicata l’asta.

Una cifra che Giorgi e Stenico non confermano. E che, anzi, sembrano ridimensionare. Cosa ne sarà di questo bottino, vera carta da giocare anche nei confronti delle resistenze sull’operazione di Cavit in Oltrepò, da parte di una frangia di vignaioli delle Dolomiti? Cinque le annate custodite nel Caveau, comprese tra la 2004 e la 2015 , tra Docg e Vsq.

“Vorremmo identificare il posizionamento del prodotto in una fascia alta – precisa il direttore commerciale -. Canalizzeremo in Gdo La Versa, fatta eccezione per marchi storici come Testarossa e Cuvée storica, che invece saranno appannaggio del canale tradizionale. Sintetizzando, sia per la Gdo sia per l’Horeca, un posizionamento alto per i prodotti La Versa e numeri più bassi. Ristoranti, enoteche e bar di prestigio avranno l’esclusiva del top di gamma di La Versa, protetto dalle logiche dei facili volumi, su livelli dei grandi Franciacorta e dei grandi TrentoDoc”.

“A partire da ottobre inoltrato – dichiara Marco Stenico – saranno immesse sul mercato le prime 5-10 mila bottiglie selezionate in maniera tecnica e precisa, capaci di garantire senza ombra di dubbio quella qualità che avremo sicuramente fra tre anni. Il resto dello stock sarà venduto come prodotto di semi lavorazione ad altri produttori. Per noi questo milione di bottiglie ha un valore enorme e vogliamo portarlo a casa tutto. Devono essere il biglietto da visita di La Versa, ma soprattutto dell’intero Oltrepò, per il quale ci candidiamo a un ruolo di vero e proprio traino”.

LE ETICHETTE
Le etichette, specie quelle destinate alla Gdo, sono ancora in fase di elaborazione. Sarà un lavoro di mediazione che interesserà le stesse insegne, avvezze a richiedere ai clienti layout ben precisi, secondo le moderne frontiere del neuromarketing.

Le prime bottiglie oggetto di restyling dovrebbero spuntare sugli scaffali di una nota catena italiana a cavallo tra i mesi di ottobre e novembre (manca solo la firma sul contratto). Saranno invece tutelate da qualsiasi ingerenza le etichette storiche di La Versa, cui sarà garantita “un’identità vecchio stile, o comunque della vecchia bottiglia”.

“Faremo dei piccoli cambiamenti – annuncia Marco Stenico – ma senza togliere riconoscibilità al marchio”. Grande attenzione al mercato italiano. Ma nel mirino, per l’estero, oltre agli Stati Uniti, si affiancheranno missioni su piazze importanti, come Germania e Inghilterra.

L’aspettativa? “Innanzitutto – risponde Stenico – portare a casa la pagnotta. Ma i nostri piani industriali prevedono una crescita di 6 milioni nel primo anno e di 10 nei prossimi 3-4 anni, con redditività”. Una parola magica, “redditività”, che riguarderà soprattutto un’oculata gestione dei costi e delle risorse.

Di fatto erano trentacinque i dipendenti de La Versa colata a picco. Sette i milioni di fatturato nel 2015, scesi poi a poco più di 4 milioni nel 2016, per pagare stipendi e mantenere gli standard infrastrutturali. Di fatto, oggi sono 6 i dipendenti effettivi di La Versa (un enologo e 5 cantinieri). E se di numeri si parla, basti pensare che Terre d’Oltrepò, con un fatturato di 40 milioni, ha oggi in carico 48 dipendenti.

“Una gestione scellerata quella del passato – evidenzia il presidente Andrea Giorgi – che ha portato alla distruzione del fatturato di La Versa. Scelte imprenditoriali e commerciali errate hanno condotto la società a un’esposizione esagerata. Ma tra le cause del fallimento bisogna citare anche una componente politica, perché è impossibile immaginare 35 dipendenti in una realtà da 4,5 milioni euro annui”.

IL CONSORZIO
“La ripartenza di La Versa – dichiara Emanuele Bottiroli, direttore del Consorzio di Tutela Vini Oltrepò – è un nuovo inizio per un Oltrepò spesso percepito come schiavo di mille padroni e incapace di governare il proprio mercato. All’Oltrepò Pavese serve un marchio collettivo leader, La Versa può esserlo. In Oltrepò ci sono il Pinot nero, la storia spumantistica dal 1865, i terreni collinari tra i più vocati d’Italia, i borghi del vino più caratteristici e l’anima vera di ‘contadini diventati imprenditori’, come ricordava Carlo Boatti”.

“Tutti – prosegue Bottiroli – ripetono come dischi rotti che manca una strategia d’insieme. Per me, ferme restando le identità di tanti singoli produttori di filiera e le loro maestose composizioni, manca un direttore d’orchestra. Manca un leader che sposi un progetto di marketing e posizionamento a valore, forte dei numeri per competere in Italia e nel mondo”.

“In altre parole possiamo trascorrere i prossimi 10 anni a cercare di mettere insieme 1700 aziende vitivinicole, 300 delle quali vanno sul mercato con le loro etichette e un imbottigliamento significativo di una miriade di tipologie, oppure collaborare al rilancio di La Versa, perché torni a svolgere il ruolo di autorevole ambasciatore di un Oltrepò di alta gamma, come avveniva ai tempi del Duca Denari”.

La Versa, evidenzia Bottiroli, “ha testimoniato con il suo impegno e la sua storia l’eleganza e la longevità unica che può arrivare ad avere un grande ‘Testarossa, marchio La Versa per l’Oltrepò Pavese Docg Metodo Classico, pura espressione del Pinot nero d’Oltrepò. Ne abbiamo 3.000 ettari”.

“La nuova proprietà – esorta il direttore del Consorzio – deve coinvolgere il territorio in un percorso in cui tutti devono credere con passione, perché ripartire richiede progetti, massa critica, continuità e tempo. La Versa deve tornare a raccontare ed affermare cosa sia un grande spumante Metodo Classico italiano e un superlativo vino dell’Oltrepò”.

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Una Docg per il Moscato di Canelli: partita aperta in Piemonte

Quattromila aziende coinvolte complessivamente nella filiera, su 9.700 ettari di superficie nelle province di Alessandria, Asti e Cuneo. Una capacità produttiva di 80 milioni di bottiglie, tra Asti e Moscato Docg, in cui la sottozona Canelli chiede di avere “maggiore peso”.

E’ il tema caldo delle elezioni del nuovo presidente del Consorzio Asti Docg, in corso da ieri nel sud del Piemonte, che non termineranno prima di sabato 22 aprile. Il gruppo di produttori nato più di 10 anni fa attorno a Canelli, in una zona compresa tra i Comuni di Castel Boglione, Bubbio e Loazzolo, ha avanzato in Regione la proposta di riconoscimento di una Denominazione di Origine Controllata e Garantita a sé stante. Una Docg in grado di valorizzare un “cru” che prenderebbe il nome di “Moscato di Canelli Docg”, o “Canelli Docg”.

“La nostra iniziativa – spiega Gianfranco Torelli, a capo dell’omonima cantina – non mira tout court a un’uscita dal Consorzio di Tutela dell’Asti Docg. Intendiamo piuttosto staccarci da questo grande mondo che è l’Asti: grande e importante, ma dentro al quale noi ci sentiamo un po’ stretti. Un mondo che non ci rappresenta più come vigneron del Moscato”.

“UN MILIONE DI BOTTIGLIE”
Oltre a Cantine Torelli di Bubbio, aderiscono alla richiesta di Docg importanti realtà della zona come Astoria, Ignazio Giovine, Cascina Barisel, Ezio Cerruti. Avrebbero mostrato interesse e già dato appoggio anche Tenuta Il Falchetto di Santo Stefano Belbo, l’Azienda Agricola Paolo Saracco di Castiglione Tinella, nonché Gianni Doglia e i Vignaioli di Santo Stefano. Aziende che, sommate assieme, garantirebbero alla nuova Docg una potenza sul campo “di circa un milione di bottiglie”.

“Nomi come questi – continua Torelli – ci consentirebbero in una decina di anni di modificare il nome della denominazione da ‘Moscato di Canelli Docg’ a, più semplicemente, ‘Canelli Docg’. Un’operazione possibile, grazie alla forza che potrebbero mettere in campo assieme le aziende in termini di marketing e comunicazione”. L’esempio a cui guarda il gruppo di produttori del sud Piemonte è quello del “Cortese di Gavi”, oggi noto a tutti col semplice nome “Gavi”. Al pari, il Nizza Docg.

I TEMPI
Gianfranco Torelli (nella foto) ha le idee chiare anche sui tempi necessari per realizzare il progetto. “Ci siamo dati come limite il 2018 – spiega il produttore – proprio perché siamo consci che non si tratta di un’operazione semplice. La sottozona Canelli è già prevista dal disciplinare di produzione. Il passaggio a Docg necessita l’appoggio della Regione, già ampiamente confermato dall’assessore Giorgio Ferrero, oltre all’avallo del Consorzio di Tutela, che deve far partire l’iter legislativo. Una volta eletto il nuovo presidente ed entrato in carica il nuovo direttivo, attenderemo un mese prima di chiedere un incontro ufficiale, nella speranza che sia portata avanti la linea già confermata dall’attuale direttivo”.

Il gruppo di promotori del Moscato di Canelli Docg è già stato accolto a Palazzo Gastaldi in Piazza Roma 10 dall’attuale direttore del Consorzio, Giorgio Bosticco. “Che in linea di massima – conclude Torelli – ha garantito il suo assenso e appoggio all’istituzione della nuova Docg”. Entro qualche settimana, dunque, le sorti del nobile Moscato di Canelli saranno segnate.

IL MOSCATO D’ASTI DOCG
Riconosciuto Docg nel 1993, il Moscato d’Asti deve essere prodotto secondo il disciplinare esclusivamente con il vitigno Moscato Bianco. La resa massima è di 100 quintali di uva per ettaro. Il Moscato d’Asti Docg è un vino di colore giallo parglierino brillante, che nel calice evidenzia una spuma fine e persistente. Al naso è fragrante, floreale. Il tratto distintivo è il sentore di salvia. Il sapore è delicatamente dolce, aromatico, caratteristico. La gradazione minima complessiva è 11 gradi, con alcool svolto minimo a 4,5.

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Vino novello 2016, produzione in caduta libera

E’ il primo vino della vendemmia, ma non fa (più) impazzire gli italiani. E’ un trend destinato a peggiorare di anno in anno quello della produzione e della vendita del “vino novello”. Reperibile anche nei supermercati italiani dal 30 ottobre, come da disposizione del Ministero delle Politiche agricole, si colloca quest’anno sul minimo storico di appena 2 milioni di bottiglie. Il deblocage, per la vendemmia 2016, è stato anticipato di quasi tre settimane rispetto al concorrente Beaujolais nouveau francese, in vendita solo a partire dal 17 novembre. La produzione del vino novello in Italia è iniziata verso la metà degli anni ’70, in risposta ai vignaioli francesi della zona di produzione del Beaoujolais. I ‘cugini’, per superare una stasi di mercato, misero sul mercato il Beaoujolais nouveau, volto a rivalorizzare il vino da uve Gamay meno pregiate della Borgogna meridionale. In Italia il vino novello ha avuto una rapida espansione, come evidenzia il fatto che dieci anni fa si producevano ben 17 milioni di bottiglie made in Italy.

LE RAGIONI DEL CROLLO
“Ironia della sorte – evidenzia Coldiretti – a mancare quest’autunno saranno anche le castagne italiane, con il crollo del raccolto che si è verificato in Campania, la prima regione produttrice, dove si prevede un taglio fino al 90%, ma cali sono segnalati in tutto il Meridione mentre una leggera ripresa dei raccolti si stima al Nord, però, con alcune zone critiche a causa della siccità”.

All’origine del calo della produzione nazionale di vino novello, c’è una serie di fattori, a partire dalla limitata conservabilità, che ne consiglia il consumo nell’arco dei prossimi 6 mesi fino alla tecnica di produzione, la macerazione carbonica, che è più costosa di circa il 20% rispetto a quelle tradizionali. Ma sopratutto, come spiega la Coldiretti, “gli stessi vitigni che negli anni passati rappresentavano la base del novello vengono oggi spesso utilizzati per produrre vini ugualmente giovani, ideali per gli aperitivi, ma che non presentano problemi di durata”. Il ‘vino da bere giovane’ deve le sue caratteristiche al metodo di vinificazione utilizzato, che è stato messo a punto dal ricercatore francese Flanzy ed è fondato sulla macerazione carbonica. Leggero, con bassa gradazione (11 gradi) e bouquet aromatico, il novello viene consumato soprattutto in abbinamento con i prodotti autunnali come le caldarroste.

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Morbegno in Cantina, sabato da record per il vino di Valtellina: i nostri migliori assaggi

Cifre da capogiro per Morbegno in Cantina, nella giornata di sabato 8 ottobre. Sono 5631 i pass staccati ieri, validi per l’accesso alle vecchie cantine della città, fatte rivivere a suon di vino e prodotti gastronomici tipici della Valtellina. Impeccabile l’organizzazione, che è riuscita a tamponare i possibili disagi dovuti alle lunghe code alle porte delle cantine. La manifestazione prosegue quest’oggi e si chiuderà il prossimo weekend: sabato 15 e domenica 16 ottobre, in concomitanza con la Festa del Bitto, uno dei prodotti caseari lombardi più pregiati (il Bitto Storico è un presidio Slow Food). L’edizione 2016 prevede, proprio nel fine settimana conclusivo, un nuovo percorso speciale volto a valorizzare l’enogastronimia locale. “Quest’anno – spiega Paolo Angelone (nella foto, a destra), presidente del Consorzio Turistico di Morbegno – abbiamo cercato di dare all’evento una connotazione ancora più valtellinese. Oltre ai vini, ai banchetti allestiti all’interno delle 31 cantine visitabili è possibile trovare esclusivamente prodotti della nostra Valtellina: dai salumi ai formaggi, senza dimenticare dolci come la Bisciola. Un modo per valorizzare non solo dal punto di vista enologico ma anche gastronomico il nostro splendido territorio”. “Morbegno – aggiunge Alberto Zecca (nella foto, a sinistra), vicepresidente del Consorzio Turistico – gode di una posizione strategica non solo nel contesto della Valtellina, ma anche in quello lombardo. Ogni anno accogliamo una media di 20 mila persone, che giungono anche da altre regioni d’Italia, come per esempio il Piemonte e la Toscana, ma anche da altri Paesi, come la Svizzera, per godere delle nostre tipicità. E il feedback che ci viene offerto è sempre positivo”.

Anche Mamete Prevostini, presidente del Consorzio Vini di Valtellina e di Ascovilo, è soddisfatto dal primo bilancio dell’evento: “C’è continuità rispetto agli altri anni – commenta – e i dati sono molto incoraggianti. Per noi, la vera novità è stata l’introduzione dei wine lab in occasione della domenica d’apertura di Morbegno in Cantina. Un’iniziativa che ha dato lustro e risalto alla manifestazione e che ripeteremo certamente il prossimo anno, in collaborazione con i produttori”. Prevostini anticipa anche qualche cifra sulla prossima vendemmia: “La Valtellina produce in media 3,5 milioni di bottiglie all’anno. Un dato che subirà una lieve flessione con la vendemmia 2016, appena iniziata per le uve dello Sforzato. Nonostante le piogge di inizio stagione, che hanno favorito la peronospora, le uve risultano ad oggi in buono stato”.

I MIGLIORI VINI DEGUSTATI
Davvero ampia l’offerta enologica nelle 31 cantine fatte rivere da Morbegno in Cantina. La scopriamo con la complicità di un ‘Cicerone’ d’eccezione, il sommelier Ais Massimo Origgi, brianzolo, oggi valtellinese d’azione che collabora da tempo con il Consorzio Turistico. Al terzo weekend di degustazione la parte del leone spetta ai medio-grandi produttori, capaci di fornire agli organizzatori un quantitativo più elevato di vino. Di fatto, ieri non v’era traccia dei nuovi ‘monumenti’ della viticoltura valtellinese. Aziende come Dirupi e Rivetti & Lauro, per citarne due su tutte, che per via della limitata produzione sono riuscite a fare bella mostra di sé solo in occasione del fine settimana di apertura dell’evento. L’altra faccia della medaglia è che i mostri sacri di Valtellina – i vari Arpepe, Mamete Prevostini, Nino Negri e Rainoldi – hanno saputo confermare la grandezza della loro stella, degna di un palcoscenico nazionale ed internazionale. Un palco su cui può salire di diritto, nelle sue varie coniugazioni, la Chiavennasca, nome col quale viene chiamata localmente l’uva Nebbiolo (a proposito: secondo alcuni recenti studi, il vitigno sarebbe originario proprio della Valtellina e non del Piemonte).

A vini da non perdere come lo Sforzato di Valtellina Albareda di Mamete Prevostini (in degustazione una vendemmia 2012 succosa, più pronta ad oggi di un vino di luminosa prospettiva come il 5 Stelle Sfursat di Nino Negri 2011, ancora un ‘infante’ nel calice) si affiancano gli ottimi Inferno Carlo Negri Valtellina Superiore Docg 2012 (degustabile sul percorso rosso, ‘fermata’ Gerosa: rivela anch’esso un futuro strabiliante per acidità e tannino) e il Grumello 2011 Arpepe (40 giorni sulle bucce e utilizzo di botti di castagno, come vuole la tradizione, ormai sulla via della definitiva riscoperta). Per completezza e qualità della gamma espressa a Morbegno in Cantina, un riconoscimento speciale va alla Aldo Rainoldi, capaci di spaziare dall’ottimo Inferno in vendita nei supermercati a prodotti di straordinaria freschezza e piacevolezza come il Prugnolo 2012, 13%, criomacerazione e utilizzo di barrique precedentemente utilizzate per lo Sforzato: un “vino quotidiano” d’eccezione il cui prezzo si aggira sui 10 euro.

Senza dimenticare, sempre di Rainoldi, le punte espresse dalle due Riserve di Sassella e Grumello Docg 2010 (interessante da valutare nell’evoluzione in bottiglia il primo, mentre il secondo, ottenuto da un unico vigneto posto a 600 metri sul livello del mare, oltre allo sprint futuro, regala un presente già delizioso), nonché dal Brut Rosè Metodo Classico, ottenuto da uve Nebbiolo vinificate in rosato assieme a una piccola percentuale di uve Pignola e Rossola: letteralmente l’unica bollicina che merita una menzione tra quelle presenti ai banchi d’assaggio. Ottima anche la vendemmia tardiva Crespino, sempre a firma Rainoldi. Da concedersi al termine della degustazione il sorprendente passito Vertemate di Mamete Prevostini, nome che ricorda la splendida villa di Piuro (frazione del Comune di Prosto, nei pressi di Chiavenna, SO) nei cui giardini sorgono le vigne di Riesling e Gewurztraminer da cui prende vita questo vino speciale (residuo zuccherino elevato, pari a 80-90 g/l).

Tra i ‘volti’ meno noti al pubblico non residente in Valtellina, da non perdere il Valtellina Superiore Valgella Docg 2009 di Cantina Motalli (Teglio, SO): vino di grande complessità, ottenuto in purezza da uve Chiavennasca del singolo cru ‘Le Urscele’. Anche il Valtellina Superiore Docg Grumello 2011 Red Edition di Plozza Vini Tirano, con il suo doppio passaggio in legno (prima rovere, poi castagno) svela ottime potenzialità di evoluzione, con un tannino e un’acidità stuzzicanti, in prospettiva. E’ invece di Triacca (Tenuta La Gatta di Bianzone, SO) il Valtellina Superiore Docg 2011 “Prestigio”, 14%, 100% Chiavennasca che affina 12 mesi in barrique di rovere francese nuove: un altro ottimo aspirante al trono della longevità.

De La Perla di Marco Triacca, invece, è il Valtellina Superiore Docg 2011 “La Mossa”: ottenuto dal vigneto situato in Valgella, affina due anni in botti grandi di rovere e un anno in bottiglia, prima della commercializzazione. Degno di nota anche il Valtellina Superiore Docg Riserva 2009 “Giupa” di Caven, azienda agricola del gruppo Nera Vini. Prodotto in edizione limitata dalla vendemmia tardiva di uve Nebbiolo, affina per circa 6 mesi in piccole botti di rovere, per poi maturare per ulteriori 18 mesi in botte grande, sempre di rovere. Da provare, infine, “Le Filine”, il Valtellina Superiore Docg 2011 di Vini Dei Giop, realtà di Villa di Tirano che opera in regime biologico, pur non certificato. Ennesimo vino di prospettiva, ottenuto da piccoli appezzamenti di vigna, “Le Filine” appunto, strappati letteralmente alle rocce, che fanno da contorno.

NON SOLO VINO
Due, in assoluto, gli incontri da non mancare con la gastronomia Valtellinese a Morbegno in Cantina. Il pilastro locale, vera e propria istituzione in città, è il negozio di alimentari Fratelli Ciapponi di Piazza III Novembre 23. Una di quelle botteghe d’altri tempi, in cui trovare delizie enogastronomiche non solo locali. Del posto sono certamente le forme di formaggio Bitto in bella mostra nelle ‘segrete’ del negozio, aperte al pubblico. Tra queste, si potrà scorgere anche qualche forma di Bitto Storico di 15 anni. Fornitissima anche l’enoteca, che oltre a offrire una panorama pressoché completo della viticultura Valtellinese, non dimentica di annoverare le più prestigiose case vinicole italiane, passando addirittura per alcune tra le più note maison di Champagne francese. I più fortunati riusciranno anche a conoscere il signor Ciapponi, anima e cuore della storica attività, pronto a regalare sorrisi e battute geniali.

Per i più giovani, invece, l’appuntamento è con il modernissimo food truck Marco Gerosa e Massimo Rapella “L’idea è quella di proporre ai nostri tempi i sapori che avevano in bocca i nostri nonni – spiega Marco Gerosa -. Pertanto è nata l’idea del cibo ‘bio-grafico’, che riprende ricette storiche tradizionali, mediante utilizzo di materia prima esclusivamente locale. Un esempio su tutti è quello delle farine: è più facile trovarne di estere, anche nel nostro territorio. I nostri prodotti sono invece ottenuti da farina di grano saraceno e segale nata, cresciuta e macinata in Valtelina, in particolare nei comuni di Ponte e Morbegno. I nostri nonni di certo non compravano saraceno in Cina! Il valore aggiunto è la valorizzazione della territorialità e della tipicità dei prodotti ottenuti dall’arco alpino, unici al mondo. E anche i nostri salumi vengono trattati come li trattavano i nostri nonni”. Un evento al mese per Il Carretto Valtellina Street Food, che a Morbegno propone, oltre agli sciatt, un panino di segale della Valtellina spalmato con burro aromatizzato al timo selvatico, ripieno di slinzega di codone.

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Primitivo di Manduria 2016 pronto a conquistare l’estero

Venti milioni di litri per la vendemmia 2016 del Primitivo di Manduria, una cifra che permetterà di produrre 25 milioni di bottiglie con un miglioramento del 10- 12% rispetto all’anno 2015. Questi i dati ufficiali della raccolta uva per il Consorzio di Tutela del Primitivo di Manduria. “Un’annata a 5 stelle quella del 2016 che ha registrato una sorprendente eccellenza delle uve raccolte – dichiara Roberto Erario, presidente del Consorzio di Tutela del Primitivo di Manduria – La pioggia che ha sfiorato i vigneti non ha provocato danni in quanto l’80% di uva era già stata raccolta. Quindi qualità e quantità i valori di questa vendemmia. Un risultato straordinario che vorrei condividere con le 27 aziende ringraziandole del grande lavoro fatto in questi anni  e con i 800 viticoltori il cui ruolo è fondamentale”.

Ma dove ‘viaggeranno’ le 25 milioni di bottiglie di Primitivo di Manduria? Oltre all’Italia saranno esportate in molti Paesi esteri (60 – 70%): Stati Uniti, Canada ed Europa le destinazioni principali. Ma una buona parte sbarcherà anche in Cina. “Il primitivo di Manduria – aggiunge Erario – ultimamente sta conquistando, bottiglia dopo bottiglia, anche i mercati orientali, dove fino a pochi anni fa non c’era una grande cultura enologica.  Oggi invece parliamo di consumatori attenti, che si accontentano solo di un prodotto ma di altissima qualità”.

Il Consorzio, oltre a “supportare le aziende per penetrare nei mercati esteri”, conferma così il proprio impegno “nel tutelare il prodotto all’estero, contro eventuali abusi, atti di concorrenza sleale e contraffazioni,  il tutto per salvaguardare la grande denominazione pugliese”.

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“Bollicine di Lombardia”: la Franciacorta snobba l’evento Ais in Oltrepò Pavese

“Non voglio polemizzare. Loro, semplicemente, non si riconoscono nelle ‘Bollicine di Lombardia’ e noi ne prendiamo atto”. Commenta così Fiorenzo Detti, presidente Ais Lombardia, la decisione del Consorzio Franciacorta di disertare l’evento “Bollicine di Lombardia”, organizzato proprio dall’Associazione Italiana Sommelier in Oltrepò Pavese. L’appuntamento, in programma da ieri pomeriggio e fino a questa sera all’Enoteca Regionale della Lombardia di Cassino Po, a Broni, ha come obiettivo la valorizzazione e la promozione degli spumanti Metodo Classico e Metodo Charmat prodotti nella regione. Più di 50 le aziende che hanno aderito, di cui 35 sono pavesi. Secondo quanto spiegato da Detti, i “franciacortini” avrebbero storto il naso proprio di fronte alla definizione di “Bollicine di Lombardia”. Troppo “riduttiva” per descrivere quello che, dalle parte di Brescia, amano definire “Metodo Franciacorta”, snobbando così anche la definizione di “Metodo Classico”, internazionalmente riconosciuta per la seconda rifermentazione in bottiglia. Il presidente Ais si mostra pacato davanti ai microfoni di vinialsupermercato.it. Ma non risparmia qualche stoccata in occasione della conferenza di presentazione del banco di assaggio. “Da qualche parte, in Lombardia – ha dichiarato Detti – amano guardare gli altri dall’alto al basso. I 15 milioni di bottiglie che è arrivata a produrre la Franciacorta sono tanti, ma credo che faranno sempre più fatica in futuro, soprattutto per come intendono posizionarsi su un mercato dove il competitor principale è lo Champagne, con i suoi 340 milioni di bottiglie”.

L’APPELLO ALL’UNITA’ DELL’OLTREPO’
Parole in cui affiora l’orgoglio pavese del presidente Ais, nato e cresciuto a Bereguardo. Di fatto, Fiorenzo Detti coglie la palla al balzo per lanciare un appello anche al suo Oltrepò. “La Franciacorta – ha commentato – resta per tutti un esempio da imitare. Da osservatore mi sembra di poter sostenere che da quelle parti viga una sorta di dittatura democratica: tutti parlano, ma alla fine si arriva al dunque e si decide qualcosa. E quello che si decide è sempre nel bene comune della Franciacorta. Vorrei che anche il nostro Oltrepò discutesse e si confrontasse costruttivamente, per portare a casa un valore aggiunto e non per distruggere. Sono convinto che le idee possano essere diverse, ma nel momento in cui insieme discutiamo, litighiamo, picchiamo i pugni sul tavolo, da quella riunione si debba uscire più compatti e più forti di prima, non più frazionati”.

Un appello al cuore del Consorzio Tutela Vini dell’Oltrepò Pavese, rappresentato nella giornata di ieri all’enoteca regionale dal direttore e segretario Emanuele Bottiroli. Ma anche al Distretto del Vino di Qualità dell’Oltrepò Pavese, costola scissionista dello stesso Consorzio, capitanata da Fabiano Giorgi. La ricetta del presidente Ais? “Non è facile, ne sono consapevole – ha chiosato -. Se fosse un piatto, sarebbe sicuramente complicato da realizzare e ricco di tanti ingredienti difficili da far sposare assieme. Ci sono tante teste, tanti interessi. Il mio invito, tuttavia, è quello di mettere nel cassetto i personalismi in nome di un valore che possa essere di territorio e di gruppo”.

IL BANCO D’ASSAGGIO
Un valore assoluto, quello dei vini dell’Oltrepò Pavese, che spicca al banco d’assaggio organizzato dall’Ais, anche tra ottime “bollicine” di Franciacorta. All’eccezionale Extra Brut Riserva 2009 “Curtel”, di cui la cantina Massussi di Iseo (Brescia) ha prodotto solo 2.500 bottiglie (70% Chardonnay, 15% Pinot Bianco, 15% Pinot Nero, 60 mesi sui lieviti che danno vita a un nettare dorato, dai profumi intensi e dal palato in cui lievitano note persistenti di agrumi) risponde a testa alta il Pinot Nero Brut Roccapietra di Cantina Scuropasso (Pietra de’ Giorgi, Pv), tra gli assaggi più interessanti di “Bollicine di Lombardia” per complessità, senza disdegnare un rapporto qualità-prezzo strabiliante.

Delizioso anche il Metodo Classico Extra Brut La Perla di Marco Triacca, interessante realtà della Valtellina capace di spaziare da un’austera Chiavennasca (Nebbiolo) a una bollicina fragrante, ottenuta dalla vinificazione per iperossidazione dell’autoctona Pignola valtellinese, vitigno a bacca rossa. Ventiquattro mesi sui lieviti. Risponde per l’Oltrepò l’ottima Cuvée Bussolera Extra Brut Pinot Nero 2013 Le Fracce (Mairano di Casteggio, Pv) nonché il 100% Pinot Nero Giorgi 1870, Gran Cuvèe storica Metodo Classico Docg provenienti dalle zone più vocate del vigneto, nei comuni di Montecalvo Versiggia, Santa Maria Della Versa e Rocca De’ Giorgi.

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Bottiglia istituzionale per Asolo Prosecco Superiore Docg Brut

Una bottiglia unica per raccontare l’identità del Consorzio Vini Asolo Montello. È stata presentata sabato 27 agosto nel Comune di Montebellunala nuova bottiglia istituzionale dell’Asolo Montello: un Asolo Docg Superiore nella tipologia Brut prodotto con lieviti indigeni da uve Glera provenienti da soli vigneti dell’area Asolo Montello. “Nato dal lavoro corale del nostro Gruppo Giovani, sarà il Prosecco che rappresenterà tutti noi produttori – spiega Armando Serena, presidente del Consorzio – ma anche il territorio da cui proviene. Per la fermentazione sono stati infatti scelti i lieviti autoctoni selezionati nel corso di una sperimentazione che ha preso il via da qualche anno. Un modo in più per caratterizzare fortemente il nostro prodotto e distinguerlo da quello delle altre denominazioni”. Non solo i ceppi di lieviti indigeni esprimono al meglio le caratteristiche del territorio – aromaticità, struttura e persistenza gustativa – ma anche la scelta di proporre la bottiglia istituzionale nella versione Brut non è casuale. Questa tipologia, infatti, mette in risalto, come sottolinea il Consorzio, “la forte identità delle colline dell’Asolo e Montello, dove il terreno è per natura predisposto a vini di maggiore struttura”. Alte colline, forti escursioni termiche, buona ventilazione e ricchezza minerale, si esprimono al meglio in un Prosecco dal tenore zuccherino mediamente basso. Grazie ad  un’azione di co-marketing, supportata da Unindustria Treviso, con altre realtà del territorio per la promozione della denominazione, la bottiglia rientra anche in un progetto più ampio di valorizzazione del territorio. Saranno coinvolte circa quaranta aziende e industrie della zona che non appartengono al settore vinicolo, in modo che la possano utilizzare nel corso di fiere e manifestazioni, soprattutto all’estero. La bottiglia si presenta con un’immagine fresca: etichetta a sfondo bianco con il logo del Consorzio e capsula nera con un bindello applicato per raccontare il progetto.

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degustati da noi vini#02

Win Win Riesling Vdp Gutswein 2013, Weingut Von Winning

Oggi incontriamo la cantina tedesca Von Winning, con il suo Win Win Riesling, vendemmia 2013. Questa interessantissima etichetta, nata nella zona di Pfalz (Palatinato), si presenta nel calice di un giallo brillante, con dei riflessi verdognoli.

Un colore che lascia presumere come si tratti di un vino con moltissimi margini di evoluzione in bottiglia, col passare degli anni: una caratteristica intrinseca dei Riesling della Renania, vera e propria terra promessa della Germania, vocata alla produzione di vini di altissimo livello.

Nel calice, Win Win si presenta limpido e senza sospensioni. Al naso il vino esprime la sua territorialità con una presenza di idrocarburi, una pronunciata mineralità e sentori erbacei di fieno appena tagliato. Non mancano le percezioni floreali riconducibili ai fiori bianchi.

Al gusto, il Riesling Win Win Von Winning 2013 esprime un’accentuata potenza e vigorosità, un vino pieno che ben si sposa con l’eleganza della  frutta esotica. Questo connubio potenza-eleganza regala un vino complesso, ma allo stesso tempo la perfetta acidità spinge alla ricerca del sorso successivo. Il retrogusto, delizioso e non invadente, vede frutta esotica e albicocche protagoniste. In cucina, il Riesling Win Win è abbinabile a primi come risotti a base di pesce e verdure, ma anche a crudi di mare.

LA VINIFICAZIONE
La cantina Von Winning ha una storia antica, che inizia nel lontano 1849. Coltiva le uve nelle zone di Ruppertsberger, Deidesheime e Forst, nella parte sinistra del Reno. La filosofia dei suoi vini è abbastanza ‘retro’, intesa nell’accezione positiva del termine: la riscoperta di antiche tecniche di vinificazione, improntate sulla qualità, sono le chiavi vincenti di questa casa vinicola tedesca.

Le uve del Riesling Win Win crescono a un’altitudine compresa tra i 100 e i 200 metri sul livello del mare, con un età media dei vigneti di 20 anni. Il terreno sul quale crescono le uve è di composizione variegata. Si passa da suoli leggeri e sabbiosi a terreni argillosi, tutti a base arenaria.

La raccolta delle uve, nei vigneti allevati a guyot, avviene tra l’inizio e la metà settembre. La fermentazione  di questo Riesling, spontanea,  avviene  in grandi botti di rovere francese. Segue un affinamento in bottiglia di 6 mesi, prima della commercializzazione. La cantina, importata in italia dalla azienda Winedow, garantisce una produzione di 15 mila bottiglie per questa etichetta.

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