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Chimay 150: una nuova Birra Trappista dall’Abbazia di Notre Dame de Scourmont

Un anno inteso per la Birra Trappista che se da lato ha perso Achel, uno suoi birrifici storici vittima della crisi delle vocazioni monacali, dall’altro ha visto il lancio di nuovi prodotti come Sinergia’21 e Westmalle Extra.

Ora è Chimay, la birra realizzata dall’Abbazia di Notre Dame de Scourmont in Belgio, ad annunciare il rilascio sul mercato internazionale di Chimay 150. Non si tratta esattamente di una nuova birra, Chimay 150 fu prodotta in edizione limitata di sole 150.000 bottiglie nel 2012 per i festeggiamenti del 150° anniversario del birrificio.

Chimay 150 – si legge sul sito del birrificio – è una birra bionda di corpo, rinfrescante, fruttata, gustosa e intensa. I suoi aromi di menta, bergamotto, lime ed eucalipto vi porteranno in un viaggio sorprendente.

I suoi delicati sentori di rosmarino e chiodi di garofano si sposano perfettamente con le sottili note floreali, esaltate da un tocco tonificante di zenzero.

Il suo corpo morbido e rotondo e il sapore affumicato e speziato sono tipici delle birre Chimay e vi lasceranno con un retrogusto squisitamente sofisticato».

Chimay 150 è una Belgian Golden Strong Ale da 10% abv e sarà disponibile a partire dal 1 giugno inizialmente solo nel canale horeca in formato 33 cl, la bottiglia da 75 cl con tappo in sughero arriverà successivamente. L’ultima novita in casa Chimay risale al 1966, anno di rilascio della Chimay Triple “Cinq Cents“.

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Rischio estinzione per la birra trappista

Dopo il caso Achel, che ha recentemente perso lo status di birra trappista, anche le altre abbazie appartenenti all’ordine dei monaci Cistercensi della Stretta Osservanza, noti semplicemente come Trappisti, iniziano a subire lo stesso problema: l’assenza di vocazioni.

Rischia così di venir meno uno dei tre criteri basilari per definire “trappista” un birrificio ovvero la diretta supervisione della produzione da parte dei monaci trappisti, requisito fondamentale per poter apporre in etichetta il famoso logo esagonale “Authentic Trappist Product“.

«Il nostro abate scherza sul fatto che una volta c’erano 15 monaci, abbastanza per una squadra di rugby, mentre ora ce ne sono solo 12, buoni una squadra di calcio più una riserva» racconta Fabrice Bordon, brand ambassador di Chimay, intervistato dal Wall Street Journal.

Il mancato ricambio generazionale nei monasteri trappisti ha le stesse cause del clero e degli altri ordini monastici, ovvero l’assenza di vocazione da parte dei giovani in un mondo sempre più secolarizzato. In una realtà dominata dai social network e dalla continua ricerca di visibilità una vita fatta di fede, rinunce e silenzio attrare ormai sempre meno persone.

Nel tentativo di interfacciarsi con un mondo che va in direzione opposta rispetto alla rigida regola dell’ordine Cistercense della Stretta Osservanza alcune abbazie hanno parzialmente evoluto il loro approccio alla comunicazione ed alla commercializzazione.

L’abbazia di Saint Joseph in Massachusetts ha iniziato a promuovere i propri prodotti si Facebook ed Instagram, quella di Saint Sixtus ha attivato un’e-commerce, mentre i fratelli di Westvleteren, la cui birra è nota per poter essere acquistata solo presso il monastero, hanno introdotto un servizio di consegna a domicilio.

Allo stesso modo Notre-Dame de Scourmont, dove da 160 anni si produce Chimay, ha destinato alcune celle ad uso dei turisti che cercano pace, silenzio e tranquillità anche se «non è un hotel e bisogna comunque rispettare le regole», ha specificato Fabrice Bordon.

Iniziative volte a migliorare l’attrattività dei prodotti trappisti mantenendone la propria identità senza snaturarli anche se non sembrano risolvere il problema. Secondo Manu Pawels, responsabile vendite del monastero belga di Westmalle, «I monaci credono in Dio, e sono sicuri che sarà Lui a risolvere il problema». Buona a sapersi.

Fondata nel 1997 da otto abbazie per tutelarsi dai continui tentativi di imitazione l’International Trappist Association conta oggi undici produttori di birra trappista: La Trappe e Zundert nei Paesi Bassi, Chimay, Orval, Rochefort, Westmalle e Westvleteren in Belgio, Spencer negli Usa, Engelszell in Austria, Tynt Meadow in Inghilterra e Tre Fontane in Italia.

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Achel non è più un birrificio trappista

Achel, noto marchio di birra belga, non è più un birrificio trappista. La birra continuerà ad essere prodotta all’interno delle mura dell’abbazia di Notre-Dame di Sant-Benoît di Hamont-Achel ma, come dichiarato dall’abate di Westmalle padre Nathanaël Koninkx, «da sei mesi non c’è una comunità residente ad Achelse Kluis».

Gli ultimi monaci Cistercensi della stretta osservanza della comunità di Achel si sono infatti trasferiti presso l’abbazia di Nostra Signora del Sacro Cuore di Westmalle, facendo così venir meno uno dei tre criteri fondamentali per poter definire un birrificio “trappista”. Non essendo più sotto la diretta supervisione dei monaci la birra Achel non potrà più utilizzare il logo “Authentic Trappist Product” in etichetta.

Ciò nonostante padre Koninkx  ci tiene a specificare che «non molto cambierà per gli amanti della birra. Ci sarà solo una modifica sull’etichetta, sulla quale non sarà più presente il logo», poiché i monaci trappisti di Westmalle sono direttamente coinvolti nelle operazioni di brassaggio di Achel.

Senza Achel, la cui produzione è iniziata nel 1998, l’International Trappist Association – l’associazione che assegna il marchio Authentic Trappist Product – conta ora undici produttori di birra trappista: Chimay, Orval, Rochefort, Westmalle e Westvleteren in Belgio, La Trappe e Zundert nei Paesi Bassi, Spencer negli Usa, Engelszell in Austria, Tynt Meadow in Inghilterra e Tre Fontane in Italia.

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Chimay Première

Fra le birre trappiste è forse il marchio più noto ed uno dei più semplici da reperire. Chimay è largamente presente anche in Gdo con le sue tre famose etichette (Première, Grand Réserve e Cinq Cents) e più raramente con la Dorèe. Première, nota anche come “Rouge” o “Tappo Rosso” dal colore del tappo e dell’etichetta, è storicamente la prima birra prodotta dal’abbazia. Stile Dubbel, eccola degustata per Voi.

LA DEGUSTAZIONE
Colore scuro, dai riflessi ramati. Schiuma compatta e persistente, di colore beige chiaro. Naso intenso dove da subito dominano note fruttate come frutti di bosco, prugna, uvetta ed albicocca. Seguono le note speziate di pepe e cannella. Note di malto e caramello fanno da fondo durante tutta l’evoluzione olfattiva.

Piena ed elegante in bocca. Di corpo medio e carbonazione moderata è scorrevole ma non sfuggente. Se la prima parte del sorso risulta morbida ed in piena accordo con le fragranze fruttate e maltate sentite al naso in chiusura sono il luppolo e gli aromi speziati a vincere, dando quel tanto di amarezza da renderla equilibrata.

Grande equilibrio che si traduce in piacevole esperienza gustativa e in grande potezialità nel food pairing. Carni rosse, arrosti, primi piatti con sughi di carne ricchi, formaggi mediamente stagionati sono solo alcuni dei suggerimenti più classici.

LA BIRRA TRAPPISTA
Ogni occasione è utile per ricordare cosa sia la Birra Trappista. Per potersi fregiare del titolo di Birra Trappista (contraddistinta in etichetta dal logo esagonale “Authentic Trappist Product”) la birra deve rispettare tre regole fondamentali:

  • Deve essere prodotta all’interno delle mura di una abbazia trappista sotto il diretto controllo dei monaci;
  • Ogni scelta produttiva o commerciale deve dipendere dalla comunità monastica;
  • I ricavi devono servire al sostentamento della comunità monastica e per opere di carità senza alcun fine di lucro.

Sono 11 i monasteri al mondo che rispondono a questi criteri: sei in Belgio, due nei Paesi Bassi, uno negli Stati Uniti, uno in Austria ed uno in Italia.

Chimay è prodotta dall’Abbazia di Notre-Dame de Scourmont, nel comune di Chimay in Vallonia. Fondata del 1850 produce birra dal 1862 utilizzando l’acqua particolarmente morbida della zona. Il volume di birra prodotto supera i 120.000 ettolitri anno ed il 50% ca. della produzione è commercializzata all’estero.

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Borghese in abbazia con Birra Leffe: chi si beve lo spot?

Da poco più di un mese è in rotazione sulle principali reti televisive e sui social la nuova campagna pubblicitaria di Birra Leffe. Protagonista degli spot lo chef e personaggio televisivo Alessandro Borghese.

La serie di spot (spot 1, spot 2, spot 3) gioca su parole che evocano concetti di tradizione, scoperta, storia e cultura. Le immagini fanno altrettanto, con riprese ambientate all’interno dell’abbazia belga di Leffe e la presenza di un monaco – tale Frate Hervé – che spiega a chef Alessandro Borghese le caratteristiche della birra dell’abbazia.

Nulla di male in tutto questo. Non fosse per un dettaglio: la Birra Leffe non è prodotta in monastero, non è prodotta dai monaci e di tradizionale, ormai, le è rimasto ben poco! Leffe è infatti un marchio prodotto da AB InBev, la più grande multinazionale della birra. Un prodotto industriale.

Nulla contro Birra Leffe in sé, capace di proporsi sul mercato con etichette più che dignitose – specie al supermercato – dall’interessante rapporto qualità prezzo. Birre di cui già ci siamo occupati anche noi di vinialsuper, recensendo positivamente le versioni Royale Whitbread GoldingRoyale Mount Hood (ed altre ne seguiranno).

Troviamo però fuorviante accostare il marchio Leffe all’ambientazione monastica. Il rischio è quello di illudere il “consumatore medio”. Occorre quindi fare un minimo di chiarezza su cos’è la “birra d’abbazia” e su quali birre sono effettivamente prodotte da una comunità monastica e quali, invece, no.

BIRRA TRAPPISTA E BIRRA D’ABBAZIA
Esistono infatti birre prodotte da Abbazie. Sono le così dette “Birre Trappiste”, prodotte da monaci Cistercensi della Stretta Osservanza (o Trappisti). Una birra, per potersi definire “Trappista”, deve rispondere a tre regole.

  1. Deve essere prodotta all’interno delle mura di un’abbazia trappista, da parte di monaci trappisti o sotto il loro diretto controllo
  2. La produzione e l’orientamento commerciale devono dipendere direttamente dalla comunità monastica
  3. I ricavi devono essere destinati al sostentamento dei monaci ed alla beneficenza

Sono 11 i monasteri al mondo che rispondono a queste regole (6 in Belgio, 2 in Olanda, uno in Austria, uno negli USA ed uno in Italia). Le loro birre le riconoscete facilmente: riportano in etichetta il logo esagonale “Authentic Trappist Product”.

Differente discorso per le “Birre d’Abbazia” (come Leffe). Queste sono birre industriali che si fregiano del nome e marchio di una Abbazia, con o senza accordi commerciali con monasteri esistenti o estinti.

Birre che non necessariamente si rifanno a ricette tradizionali di quell’abbazia. Per esempio proprio le due sopra citate, Leffe Royale Whitbread Golding e Royale Mount Hood, o la nuova Leffe Ambrèe (lanciata da Borghese e Leffe attraverso i nuovi spot) rispondono a ricette di recente concezione, nate per soddisfare determinati segmenti di mercato.

LA STORIA DI LEFFE
La storia di Leffe ci aiuta a capire come un prodotto, nato fra le mura di un’abbazia, sia diventato un prodotto industriale. Fondata nel 1152, l’abbazia di Notre Dame de Leffe a Leffe, oggi quartiere di Dinant in Vallonia, iniziò a produrre birra nel 1240.

Lo scopo era quello di ottenere una bevanda sana, in un periodo di continue e pericolose epidemie. L’abbazia conobbe periodi di crescita e splendore fino alla rivoluzione francese, durante la quale il birrificio venne distrutto.

La produzione di birra ripartì solo nel 1952, grazie alla collaborazione con un birrificio di Bruxelles, successivamente acquisito dalla multinazionale AB InBev.

LUCI ED OMBRE
Un’iniziativa pubblicitaria a chiaroscuri, quindi. Accostare il nome di Leffe ai valori ed alla tradizione brassicola monacale nordeuropea è, evidentemente, una forzatura prettamente commerciale.

Dall’altro lato il fatto che uno chef “televisivo” come Alessandro Borghese metta il volto a favore di una birra che, una volta tanto, non sia la solita lager bionda, può nobilitare (speriamo) la percezione della birra al grande pubblico.

Luci ed ombre. Ombre poiché viene da chiedersi se, in un Paese che conta quasi mille birrifici artigianali che costantemente cercano tipicità e particolarità nelle loro produzioni, chef, influencer, critici gourmet e personaggi televisivi vari non possano – una volta tanto – spendere una parola a favore di un movimento in continua crescita. In continuo fermento (ci sia perdonato il gioco di parole).

Quando lo chef Carlo Cracco ha associato il proprio volto agli spot delle patatine della milanese San Carlo, da ogni dove si sono sollevate critiche. Operatori del settore e semplici consumatori sono rimasti interdetti di fronte al binomio “chef stellato – patatine in busta”.

Perché non capita altrettanto col binomio “chef – birra commerciale“? Probabilmente perché nessuno considera la birra un bene che possa essere “non commerciale”, un bere “nobile”. Ci auguriamo che questa serie di spot possa contribuire ad uscire da questa errata percezione.

Luci, quindi. Luci all’orizzonte. Vogliamo sperare che a partire da Borghese molti chef, stellati o meno, vogliano iniziare a trattare la birra alla pari del vino. Ad inserirla nelle proprie carte dei vini col rispetto che merita.

A considerarla negli abbinamenti coi loro piatti. A considerarla come ingrediente di cucina non solo per lo “stinco alla birra”. Avete notato la penuria di offerta brassicola nelle carte dei vini dei ristoranti?

E pensare che ogni regione italiana ha vari birrifici artigianali che fanno della territorialità (o anche dell’internazionalità) il loro punto di forza. Basterebbe davvero un minimo sforzo per iniziare a valorizzarli anche all’interno della ristorazione.

Ci piace pensare che anche una campagna pubblicitaria “furba”, come quella di Leffe, possa in qualche modo aiutare il mondo il della Birra ad uscire dall’anonimato.

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