Doppio Malto, birrificio artigianale con oltre 50 ristoranti tra Italia e Francia, lancia la propria birra stagionale di fine estate. Super Blanche nasce in collaborazione con Mr. Malt, punto di riferimento per tutti gli appassionati della produzione di birra, e Fermentis, leader europeo nella produzione di lieviti per birre e vini.
Proprio grazie al contributo di Fermentis, Super Blanche è la prima birra sul mercato italiano ad utilizzare il lievito SafAletm BW-20. Anche se in linea con la freschezza dello stile belga Blanche, il contributo del lievito SafAletm BW-20 arricchisce il portafoglio aromatico della nuova referenza. L’utilizzo di bucce di bergamotto calabrese e coriandolo in grani a fine bollitura ne completano il quadro gustativo.
«SafAle BW 20 è ideale per creare Witbier in stile belga ed fantastico vederlo fare il suo debutto sul mercato italiano», afferma Marco Pruner, Fermentis Area Sales Manager South Europe. «Abbiamo oltre 14 birre tra referenze fisse in linea nei locali e stagionali, ma una blanche mancava», sottolinea Simone Brusadelli, mastro birraio Doppio Malto presso il birrificio di Iglesias in Sardegna.
SUPER BLANCHE DOPPIO MALTO: ECCO COM’È
Giallo limone opalescente con schiuma bianca e fine. Fresca, leggermente acidula. La nuova birra stagionale Super Blanche di Doppio Malto si presenta con le caratteristiche tipiche di una witbier. Al naso è leggera, sottile ma ricca. Alla nota di banana, tipica dello stile, si avvicendano profumi agrumati di bergamotto e lime ed un tocco di albicocca.
Seguono profumi speziati. Pepe e coriandolo accompagnati dalla componente floreale che strizza l’occhio alla rosa canina ed al geranio. In bocca è scorrevole, beverina, dal corpo leggero che ben si lega al leggero calore (5,2% abv). Una birra rinfrescante, la Super Blanche Doppio Malto, ideale per gli ultimi scampoli dell’estate. Si accompagna bene al rito dell’aperitivo, a fritture di pesce e verdure in tempura o carni bianche.
Quello della birra artigianale in Italia è un settore in continua crescita, sia in termini di numero di birrifici, che non si è interrotta neanche nel periodo pandemico, sia sotto il profilo dei consumi: cresce più del vino. Secondo il Registro delle imprese CCIAA, nel 2022 le realtà che producono birra in Italia hanno raggiunto le 1.326 unità occupando un totale di 9.612 addetti diretti, con una crescita rispetto al 2015 del 104% in termini di birrifici e del 22% in termini di addetti. È quanto evidenziato nel Report 2022 “Birra artigianale, filiera e mercati” di Unionbirrai, associazione di categoria dei piccoli birrifici indipendenti, realizzato a cura di OBIArt, Laboratorio del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali dell’Università degli Studi di Firenze.
Il report dimostra come l’Italia si collochi al sesto posto a livello europeo per numero di birrifici (dopo Francia, Regno Unito, Germania, Svizzera e Olanda) e al nono per volume di produzione con 17,6 milioni di ettolitri prodotti nel 2021. A livello geografico i birrifici risultano ormai essere diffusi in tutto il Paese. Più rilevante la consistenza delle imprese nel Nord Italia, ma è nel Centro Sud che si continuano a registrare gli incrementi più consistenti.
Il dato significativo riguarda la crescita dei birrifici agricoli, divenuta un’opportunità a partire dal 2010, anno in cui le produzioni di birra e malto sono entrate a far parte delle attività connesse praticabili nelle imprese del primario. Presente in appena una ottantina di aziende nel 2015, nel 2022 la produzione di birra arriva ad essere presente in 290 imprese agricole, arrivando a rappresentare il 22% di tutti i birrifici nazionali e ad occupare oltre 1.000 addetti.
BIRRA ARTIGIANALE ITALIANA: CONSUMI IN CRESCITA
Sotto il profilo dei consumi e del comportamento dei consumatori, il report segnala, sulla base di un’indagine di mercato su 1700 contatti, che il 41% è consumatore abituale di birra, il 12% della sola birra industriale e il 29% di birra industriale e artigianale. «C’è ancora molto lavoro da fare per migliorare il settore e per diffondere il consumo della birra artigianale – sottolinea il presidente di Unionbirrai, Vittorio Ferraris – ma possiamo prendere atto che il settore è in crescita».
«Dobbiamo e possiamo sicuramente fare di meglio nello specifico del comparto GDO – continua Ferraris – dove il nostro genere di prodotto fa più fatica ad essere gestito con le dovute attenzioni alla qualità e alla durabilità. Abbiamo scoperto come, all’interno di un maggior interesse verso le bevande alcoliche da parte degli italiani, la birra stia crescendo molto di più del vino con abitudini di consumo che diventano meno tradizionali e più variegate assomigliando sempre più al modello nordeuropeo che a quello mediterraneo più legato al vino e al consumo durante i pasti».
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Il prossimo 17 novembre Bon Wei compie 12 anni. O, meglio, 10 (+2). Causa pandemia, i festeggiamenti per il primo decennio di Bon Wei in via Castelvetro 16/18, a Milano, erano stati rimandati. Un appuntamento mancato a cui il primo ristorante in Italia di alta cucina regionale cinese ha deciso di rimediare. Con gli interessi. Per rendere indimenticabile l’anniversario, lo chef Zhang Guoqing e il figlio Zhang Le, oggi patron del locale, hanno studiato un menu celebrativo di 9 portate abbinate a 3 birre artigianali del nuovo brand italo-cinese Postwave Brewing. Completate da un dessert della pastry-chef Sonia Latorre Ruiz.
Tra i piatti proposti dallo chef Zhang – sempre nell’ottica di una esecuzione filologica di ricette cinesi, provenienti da differenti regioni della Cina – si assaggerà ad esempio una tradizionale Zuppa di trippa di pesce con erbette cinesi tipica del Guandong. A seguire un sontuoso Riso con costine stufate condite nel loro fondo dallo Zhejiang, regione natale dello chef.
Poi saporiti Gamberi dorati con capasanta dal Sichuan, con accompagnamento di Kongxincai, verdure cantonesi “senza cuore”, saltate con salsa di tofu macerato. Simbolo dell’unione tra tradizione cinese e stile italiano, verranno abbinate le nuove birre italo-cinesi Postwave, da poco in Italia, nelle versioni bionda Kolsch, blanche Wheat ale e rossa Amber ale.
Momento clou del menu, a chiusura del pasto, secondo un’usanza sempre più in voga nella Cina contemporanea, la degustazione del whisky Filey Bay – Yorkshire Single Malt Whisky “Bon Wei Selection” con 3 cioccolatini fondente, piccante e affumicato.
Zhang Le, appassionato collezionista e bevitore di whisky nel selezionare la propria botte nello Yorkshire, nel lontano 2016, aveva già in mente che l’avrebbe inaugurata per un’occasione speciale: il 12° compleanno di Bon Wei sarebbe stato perfetto.
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«Il successo della birra italiana è minacciato dall’esplosione dei costi che colpisce tutta la filiera con un balzo negli ultimi due anni che va dal +200% dell’energia al +45% per gli imballaggi al +40% per le bottiglie, mentre le lattine hanno segnato +10%, i tappi +22%, i fusti di plastica +23% e i climatici nel 2022 hanno tagliato di 1/3 il raccolto dell’orzo per il malto». È quanto emerge dall’analisi della Coldiretti e del Consorzio di tutela e promozione della birra artigianale italiana in occasione della giornata nazionale della birra 100% Made in Italy, che si celebra oggi.
Una ricorrenza celebrata a Palazzo Rospigliosi, a Roma, con la preparazione dal vivo della popolare bevanda con la cotta in diretta di malto e luppolo nazionali. Sono intervenuti il presidente della Coldiretti Ettore Prandini, il Ministro delle Politiche agricole e della Sovranità alimentare e forestale Francesco Lollobrigida e il presidente del Consorzio di tutela e promozione della birra artigianale italiana, Teo Musso.
IN DIECI ANNI TRIPLICATI I BIRRIFICI ARTIGIANALI IN ITALIA
Il tutto mentre risultano triplicati i birrifici artigianali in Italia negli ultimi dieci anni che superano la quota record di 1085 realtà nel 2022 che fanno volare le esportazioni con un balzo del +12%. Quest’anno i consumi nazionali di birra sono destinati a superare il record storico di oltre 35 litri pro capite per un totale di 2 miliardi di litri, generando un volume di fatturato che, considerando tutte le produzioni, vale 9,5 miliardi di euro. Quasi 2 boccali su 3 sono riempiti con produzioni nazionali.
Eppure, sempre secondo l’analisi, «alle difficoltà di produzione si aggiunge, a causa dei costi dell’energia elettrica, anche la carenza sul mercato di anidride carbonica CO2 ad altissimo grado di purezza utilizzata per l’imbottigliamento».
Per questo, affermano Coldiretti e Consorzio, il progetto presentato per il Pnrr prevede lo sviluppo di una tecnologia che permetterebbe il recupero dell’80%dell’anidride carbonica generata in fase di produzione della birra. Il forte incremento dei costi sta spingendo a riorientare la produzione di alcuni birrifici verso l’uso delle lattine piuttosto che bottiglie di vetro.
In questo scenario è necessario sostenere i piccoli produttori di birra artigianale italiana – affermano Coldiretti e il Consorzio – con la stabilizzazione del taglio delle accise per non mettere a rischio un’intera filiera di alta qualità del Made in Italy con effetti sulla produzione, i posti di lavoro e sui consumi.
Fino ad ora i birrifici artigianali hanno assorbito quasi del tutto l’incremento dei costi che solo una piccolissima parte sta pesando sui prezzi al dettaglio. Ma se i costi non dovessero scendere, diverse aziende rischiano di chiudere definitivamente o di dover sospendere la produzione per almeno tentare di ridurre le perdite».
La costruzione di una filiera 100% Made in Italy per il luppolo, l’orzo e il malto come quella sostenuta da Coldiretti e Consorzio di tutela è quindi strategica per garantire da un lato l’alta qualità delle materie prime da usare e dall’altro le quantità necessarie alla produzione con investimenti in ricerca, macchinari, varietà coltivate creando un rapporto più solido tra i produttori di birra ed i coltivatori di orzo, luppolo e altre materie prime complementari.
Fondamentale per la filiera della birra dal campo alla tavola è anche il sistema nazionale di invasi proposto dalla Coldiretti per conservare l’acqua quando è abbondante o addirittura troppa e la possa poi redistribuire ai campi e agli agricoltori nei periodi di maggiore siccità come quello appena affrontato la scorsa estate.
Così il presidente del Consorzio di tutela e promozione della birra artigianale italiana, Teo Musso: «La valorizzazione della filiera è il punto cruciale che la birra artigianale deve portare avanti in modo sempre piu deciso per avere una forte identità sia sul mercato nazionale che come vero made in Italy nel mondo contribuendo allo sviluppo di un comparto che ha bisogno di crescere».
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EurHop Roma Beer Festival torna nella capitale, con l’attesissima ottava edizione, targata 2022. L’evento che si terrà al Salone delle Fontane dell’Eur il 7, 8 e 9 ottobre propone un ricco calendario di appuntamenti.
Sarà infatti dato spazio a un programma di workshop, meeting e presentazioni incentrati sul mondo della birra artigianale italiana. Dalle riflessioni e opportunità per il settore, alle nuove tecniche di produzione.
E ancora: dall’utilizzo di mezzi di comunicazione alternativi per la diffusione della cultura birraria alle strategie per la valorizzazione delle attività produttive legate al territorio. Info e biglietti sul sito ufficiale dell’evento.
EurHop! Roma Beer Festival – Il Salone Internazionale della Birra Artigianale Salone delle Fontane, Via Ciro il Grande 10-12, Roma (quartiere Eur)
EurHop! Roma Beer Festival 2022 seguirà i seguenti orari:
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FOTONOTIZIA – È una partnership molto importante quella siglata oggi tra Italian Exhibition Groupe Unionbirrai, che si pone l’obiettivo di contribuire allo sviluppo del mondo del craft beer italiano. L’accordo comprende le prossime 5 edizioni di Beer&Food Attraction , a partire da quella che si terrà alla Fiera di Rimini dal 19 al 22 febbraio 2023.
Da sempre al centro del progetto della manifestazione, ai birrifici artigianali sarà dedicato quest’anno un intero padiglione del quartiere fieristico di Rimini (il padiglione A7) e un innovativo programma di seminari e talk.
La Craft Beer Conference, organizzata da Unionbirrai in collaborazione con IEG, traccerà infatti le nuove prospettive e i trend del mercato, mettendo a confronto tutti gli attori della filiera.
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Il mercato della birra riparte e la birra artigianale è il vero motore della ripresa. Secondo quanto riportato da MarketWatch, il segmento “craft” rappresenta un valore di oltre 38 miliardi di dollari nel mercato globale. E crescerà del 14,1% all’anno. Fino al 2027.
Sul mercato europeo, stando ai dati legati alla produzione dello studio di Technavio, si prevede che la quota del comparto della birra artigianale aumenterà di 666,34 milioni di litri entro il 2025 (+6,20%).
Buone notizie anche per la birra italiana, che secondo l’Annual Report 2020 di Assobirra, risulta tra quelle con migliore reputazione in Europa, terza in classifica, battendo tutti i paesi a grande tradizione birraria, inclusa la Germania, ad eccezione di Polonia e Romania.
E se Germania e Regno Unito rimangono i mercati con la più rapida crescita di mercato, l’Italia è al quarto posto in Europa per numero di birrifici artigianali. Meglio del Bel paese solo Regno Unito, Germania e Francia (fonte: Unionbirrai).
I MILLENNIAL E LA BIRRA ARTIGIANALE
Più in generale, il settore guarda al futuro con positività, in seguito al riconoscimento nella Legge di Bilancio della filiera brassicola, per cui ad oggi le filiere di orzo da birra e del luppolo sono certificate quali vere e proprie filiere.
Un riconoscimento che certifica il valore del comparto della birra artigianale in Italia: il 4% del mercato nazionale, che produce in media 500 mila ettolitri l’anno e che fattura oltre 250 milioni di euro, dando lavoro a 7 mila addetti (fonte: Unionbirrai).
La birra artigianale convince sempre più famiglie e giovani, soprattutto nella segmentazione anagrafica Millennial. Il 60% si dichiara, infatti, un conoscitore attento delle varie tipologie di birra, da quelle delle bottiglie da collezione, alle profumate e variopinte (Istat).
Una popolarità che non può che lasciare soddisfatto chi produce birra artigianale italiana e la distribuisce attraverso una catena di food retail di successo, come Doppio Malto.
«Continueremo quest’anno ad aprire nuovi ristoranti in diverse città italiane ed europee – dichiara il fondatore e Ceo, Giovanni Porcu -. È questo infatti ad oggi il principale canale distributivo della nostra birra artigianale, mentre stiamo lavorando per approdare alla grande distribuzione nel 2023».
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Heineken Italia Spa ha ceduto la proprietà del birrificio Hibu ai soci fondatori Tommaso Norsa e Raimondo Cetani. Hibu fu acquisito nel 2017 da Dibevit Improt Srl, società controllata da Heineken Italia dedita all’import di birre speciali.
A valle dell’acquisizione, Norsa e Cetani rimasero all’interno dell’azienda di Burago di Molgora (MB). A loro il compito di seguire la gestione produttiva in un’ottica di continuità, nonostante Hibu avesse perso lo status di birrificio artigianale.
L’operazione segue a stretto giro la chiusura di Dibevit Improt, avvenuta lo scorso 1 gennaio 2022 tramite fusione per incorporazione in Heineken Italia. Con le due operazioni Heineken ristruttura la propria presenza in Italia. Un segnale del cambio di strategia nei confronti delle birre speciali ed artigianali.
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La giunta regionale della Puglia ha approvato all’unanimità la legge regionale sulla valorizzazione e promozione della birra artigianale pugliese. La legge è stata promossa dalle delegazioni locali di Cna (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa) e Confartigianato.
Un nuovo strumento legislativo a supporto dei birrifici, analogamente a quanto già accaduto in altre regioni italiane come Lazio, Piemonte, Umbria, Abruzzo, Lombardia. Una legge molto dettagliata che punta allo sviluppo del settore, comprendendo aspetti quali il turismo brassicolo, i concorsi nazionali e internazionali e l’internazionalizzazione dei microbirrifici.
La nuova legge si riferisce espressamente ai “Piccoli birrifici indipendenti” (come definiti dalla legge 154/2016), ai “Microbirrifici” (birrifici indipendente con una produzione annua inferiore ai 10.000 hl) e ai “Birrifici agricoli” (imprese agricole che producono birra). La Legge stanzia per i vari interventi a favore del settore brassicolo pugliese 100 mila euro per ognuno degli esercizi 2022 e 2023.
I finanziamenti saranno rivolti a progetti per la formazione e l’aggiornamento professionale degli operatori del settore. Lo sviluppo dei canali e-commerce. La creazione e promozione di una filiera pugliese della birra artigianale. L’incentivazione dei produttori che utilizzano materie prime locali e l’acquisto di macchinari in funzione delle innovazioni tecnologiche.
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I Reparti del Comando Carabinieri per la Tutela Agroalimentare hanno sequestrato 800 bottiglie di birra al Cioccolato di Modica Igp da 33 centilitri, per un valore di 3.200 euro. Il sequestro è avvenuto ai danni di un birrificio della provincia di Catania. La denominazione protetta era infatti in etichetta senza autorizzazione.
All’azienda siciliana è stata inoltre comminata una sanzione di 4 mila euro. L’operazione dei Carabinieri ha avuto lo scopo di «proteggere i produttori che seguono rigorosamente i disciplinari di produzione regolamentati a livello europeo, nonché i consumatori, in relazione alle loro scelte di acquisto di prodotti di qualità».
L’ASSENZA DI AUTORIZZAZIONE
Non è la prima volta che i carabinieri effettuano sequestri di prodotti come la “birra al cioccolato di Modica Igp”. Alcuni birrifici artigianali sono stati pizzicati dalle forze dell’ordine per via di etichette che facevano riferimento ad altri prodotti agroalimentari Dop o Igp, senza autorizzazione.
Alcuni birrifici, in passato, si sono visti comminare multe anche per la menzione di specifici vitigni, nella produzione di Italian Grape Ale. L’utilizzo dell’ingrediente, infatti, non è sufficiente a giustificarne la menzione in etichetta, in assenza di autorizzazione.
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Volano i consumi di birra nel 2021 con un aumento record del 18,4% degli acquisti domestici in Italia. A fare da traino le ondate di caldo torrido, con il crescente successo di bionde e rosse artigianali Made in Italy.
È quanto emerge da una analisi della Coldiretti su dati Ismea relativi al primo trimestre del 2021 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, diffusa in occasione della Giornata internazionale della birra. Un dato beneagurante rispetto alle difficoltà causate dal Covid al settore che nel 2020, che ha visto un calo del fatturato pari al 35%.
BIRRA: UN SETTORE IN CONTINUA CRESCITA
Il consumo pro capite nel nostro Paese è arrivato a 36,8 litri. La birra rappresenta un traino per l’economia alimentando una filiera che, fra occupati diretti e indotto, offre lavoro a oltre 140 mila persone. In crescita anche le esportazioni dopo le difficoltà registrate lo scorso anno a causa delle pandemia, con un aumento del 4% nei primi quattro mesi del 2021.
A spingere la ripresa è soprattutto la birra artigianale che conta circa 550 milioni di litri prodotti ogni anno, un terzo dei quali arriva da aziende agricole che trasformano direttamente i prodotti agricoli. Un consumo diventato negli anni sempre più raffinato e consapevole con specialità altamente distintive e varietà particolari.
Sono i giovani produttori, i più attivi nel settore, a portare profonde innovazioni. Dalla certificazione dell’origine a chilometri zero al legame diretto con le aziende agricole ma anche la produzione di specialità altamente distintive. Non ultimo forme distributive innovative come i “brewpub” o i mercati degli agricoltori di Campagna Amica.
Si stanno peraltro creando anche nuove figure professionali, come il “sommelier delle birra“. Figura che conosce i fondamentali storici dei vari stili di birre ed è capace di interpretarne i caratteri principali di stile e gusto, per suggerire gli abbinamenti ideali con primi piatti, carne o pesce e anche con i dolci.
BIRRA ARTIGIANALE “MADE IN ITALY”
Proprio per sostenere la produzione tricolore di birra è stato promosso dalla Coldiretti il Consorzio Birra Italiana che garantisce l’origine delle materie prime, dal luppolo all’orzo e la lavorazione artigianale creando un rapporto più solido tra i produttori di birra ed i coltivatori di orzo, luppolo e altre materie prime complementari.
Il Consorzio rappresenta il 27% della birra artigianale prodotta in Italia ed oltre il 51% del malto da orzo italiano e oltre la metà dei terreni coltivati a luppolo. Per garantire l’origine del prodotto è stato realizzato anche il marchio “artigianale da filiera agricola italiana” che mira a garantire e tracciare la prevalenza di materia prima dalle campagne del Belpaese, ponendo attenzione sulla remunerazione etica della filiera e di tutti i suoi attori.
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Nascerà a Loreo, provincia di Rovigo, la più grande malteria da birra d’Italia. Si prevede che il nuovo impianto sarà pienamente operativo per la raccolta dell’orzo di giugno 2023. Il progetto è realizzato da Italmalt, azienda del gruppo K-Adriatica che già possiede Agroalimentare Sud, storica malteria di Melfi, Basilicata.
Il nuovo stabilimento dovrebbe essere in grado di produrre 50 mila tonnellate di malto, che andranno ad aggiungersi alle 42 mila tonnellate attualmente prodotte a Melfi. Numeri che porteranno a coprire il 60% del fabbisogno nazionale, stimato in 208 mila tonnellate, oggi coperto solo al 40%.
«Con il nuovo progetto – spiega Giovanni Toffoli, amministratore delegato di K-Adriatica – contiamo di sviluppare ulteriormente il mercato della birra 100% Made in Italy, riducendo le importazioni di malto che oggi sono pari a circa 125 mila tonnellate».
«I contratti di filiera – prosegue Toffoli – coinvolgeranno circa 800 imprese agricole del Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna e Marche che producono orzo italiano da birra in oltre 20 mila ettari. Coltivazione che rappresenta un’opportunità per l’agricoltura anche con il recupero e la riqualificazione di aree in fasce marginali».
IL PROGETTO
Per la muova malteria K-Adriatica investirà circa 25 milioni di euro, di cui circa 2,4 milioni per lo stabilimento e 22,6 milioni destinata agli impianti tecnologici. Tecnologia e sostenibilità saranno i punti di forza del nuovo impianto. Lo stabilimento utilizzerà solo energia elettrica da cogenerazione con uso del 100% del calore.
È inoltre prevista una riduzione del consumo di acqua del 35% rispetto allo standard. La produzione, che sarà ad elevato grado di automazione e collegata a un sistema integrato di stoccaggio, permetterà di occupare oltre 100 persone tra diretti ed indiretti. Sono infine stimati investimenti fino a 10 milioni di euro per l’indotto.
LO SVILUPPO DELLA FILIERA DELLA BIRRA 100% ITALINA
La creazione del nuovo polo di Loreo rappresenta un tassello importante nello sviluppo della filiera brassicola nazionale. Tema, quello della birra 100% italiana e legata al territorio, in forte sviluppo anche grazie alle varie proposte di Legge Regionale a tutela del patrimonio birraio locale.
Se primi clienti della nuova malteria saranno, chiaramente, i grandi birrifici industriali che operano su suolo italiano, il progetto avrà ricadute anche sulla filiera della Birra Artigianale, sempre più “indipendente” da materie prime internazionali.
«Abbiamo fatto capire – dichiara Teo Musso, fondatore di Baladin e presidente del Consorzio Birra Italiana – che dietro alle birre c’è un mondo fatto di aziende con una loro identità. Con il Consorzio della birra italiana abbiamo costituito un marchio per garantire e tracciare la prevalenza di materia prima da filiera agricola italiana».
«Il consumatore – conclude Musso – deve essere consapevole di bere un prodotto sempre più italiano non solo di brand, ma di materia prima».
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Dopo Lombardia, Abruzzo e Piemonte è ora l’Umbria a puntare al riconoscimento della propria birra artigianale regionale. È il Consigliere regionale della Lega e vicepresidente dell’Assemblea Legislativa Paola Fioroni ad annunciare di aver depositato come prima firmataria una proposta di Legge Regionale.
Questa legge – dichiara Fioroni – intende individuare e tutelare la birra umbra agricola ed artigianale nella sua specificità ed unicità e sostenere il settore brassicolo regionale attraverso una serie di interventi ed iniziative. Abbiamo definito un piano triennale regionale che prevede un impegno economico annuale per l’attuazione della legge pari ad 80 mila euro nel 2022 e 2023 e 50 mila euro già nel 2021».
«Si intende altresì – aggiunge il Consigliere – introdurre la figura professionale del Mastro Birraio, istituire il registro dei birrifici artigianali ed agricoli umbri e dei relativi mastri birrai. Si creerà inoltre un portale telematico regionale sulla birra agricola e artigianale, con fine pubblicitario e promozionale e per una maggiore conoscibilità dei birrifici agricoli ed artigianali umbri».
UMBIRA: TERRA DI BIRRIFICI
l’Umbria conta numerosi birrifici artigianali, alcuni dei quali fanno uso di materie prime locali e filiera corta, la cui qualità delle birre è riconosciuta sia a livello nazionale che internazionale.
«La birra umbra artigianale e agricola – aggiunge il segretario regionale, Virginio Caparvi – è un prodotto che merita di essere di essere riconosciuto, tutelato e valorizzato, anche attraverso la creazione di un apposito marchio. Intendiamo dare visibilità al modello virtuoso che si è generato nella nostra regione e che ha creato centinaia di addetti qualificati».
La Legge vuole sostenere il settore anche attraverso l’incentivazione all’acquisto di strumenti e macchinari per introdurre processi innovativi nelle lavorazioni. Si vuole inoltre promuovere la formazione e qualificazione professionale attraverso la collaborazione ed apposite convezioni con Università, enti qualificati e centri di ricerca operanti nel territorio regionale.
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Una birra che “fa schifo”, ma che serve a sensibilizzare i consumatori sui problemi legati ai cambiamenti climatici. L’idea è del birrificio New Belgium Brewing di Fort Collins Colorado (Usa), che in concomitanza con l’Earth Day, la Giornata della Terra del 22 aprile, propone la neonata Torched Earth Ale (letteralmente “Birra della Terra bruciata”), nuova versione del suo marchio di punta Fat Tire.
La birra è provocatoriamente prodotta utilizzando «alcuni degli ingredienti, tutt’altro che ideali, che sarebbero disponibili e accessibili per i produttori di birra in un futuro devastato dal clima senza una tempestiva ed aggressiva azione per affrontare la crisi climatica».
Sono quindi stati utilizzati malti affumicati «per imitare l’impatto che gli incendi avranno sull’approvvigionamento idrico» ottenuti da cereali resistenti alla siccità, come il miglio e il grano saraceno, che saranno più facilmente disponibili rispetto al tradizionale orzo.
Al posto dei luppoli solitamente usati New Belgium ha optato per il dente di leone, fiore resistente ed onnipresente sul pianeta, insieme a un estratto industriale di luppolo per dimostrare il tipo di ingredienti di ultima generazione e bassa qualità che si potrebbe essere costretti ad utilizzare.
Ne risulta una birra che è più un «liquido amidaceo scuro con aromi affumicati». «Torched Earth Ale – continua New Belgium Brewing – non corre certo il rischio di vincere dei premi, ma evidenzia la posta in gioco del cambiamento climatico per gli amanti della birra di tutto il mondo».
Una pessima birra insomma, che però è stata realmente prodotta in “quantità super limitate” e che sarà disponibile solo fino ad esaurimento presso i punti vendita del birrificio, sia fisici che on-line.
LAST CALL FOR CLIMATE
D’altro canto non ci sono andati leggeri i ragazzi del New Belgium con la loro campagna “Last Call for Climate” creando la «nuova birra da un futuro che speriamo non debba esistere».
Come sottolineato sul sito Internet del birrificio, «il 70% delle grandi aziende non ha ancora piani significativi per affrontare il cambiamento climatico entro il 2030, l’anno in cui gli scienziati affermano che il cambiamento climatico potrebbe essere irreversibile».
Se non hai un piano per il clima – sottolinea Steve Fechheimer, Ceo di New Belgium Brewing – non hai un piano aziendale. Un’azione aggressiva per aiutare a risolvere la crisi climatica non è solo un imperativo ambientale e sociale urgente, ma è anche un gioco da ragazzi per le big».
“Aziende – prosegue Fechheimer – che cercano di creare valore per gli azionisti a lungo termine, di competere con rivali come la Cina e di creare posti di lavoro ben retribuiti. In quanto azienda di medie dimensioni il New Belgium può avere solo un impatto limitato. C’è bisogno che anche i “big guys” si diano da fare!».
L’anno scorso Fat Tire è diventata «la prima linea di birra americana certificata a emissioni zero» ed ora New Belgium punta a «raggiungere emissioni nette zero in tutta l’azienda entro il 2030».
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Scarseggiano le lattine per confezionare le birre artigianali. Come evidenziato da diversi studi nel corso del 2020 sono cambiate le abitudini d’acquisto a causa dell’emergenza sanitaria e dei conseguenti lockdown. La chiusura del canale Horeca ha portato i consumatori sempre più verso gli scaffali dei supermercati, facendo aumentare la richiesta di prodotti confezionati come bibite gasate e birre in lattina.
Come conseguenza, le multinazionali del beverage – colossi come AB-Inbev, Heineken, Coca Cola o Pepsi – hanno aumentato considerevolmente i propri ordini di lattine in allumino al punto da limitare molto la disponibilità delle stesse per i piccoli birrifici.
L’allarme è partito dagli Stati Uniti lo scorso febbraio quando Robert Pease, presidente della Brewers Association (l’associazione dei birrifici artigianali americani che conta oltre 8.400 produttori che coprono circa il 13% del mercato brassicolo statunitense), ha indirizzato un lettera aperta ai produttori di lattine per segnalare il problema.
«I nostri membri – si legge nella lettera – riferiscono che le notizie sulla fornitura di lattine di alluminio stanno peggiorando, con riduzioni che in alcuni casi arrivano anche al 40%. Alcuni birrifici hanno appreso che i loro ordini per il primo trimestre sono stati cancellati mentre ad altri è stato detto che non potranno avere lattine fino al secondo trimestre del 2021. Questi birrifici non sopravviveranno così a lungo senza lattine».
Il sospetto della Brewers Association è che a fronte della situazione i produttori di lattine in allumino stiano favorendo i maxi ordini delle multinazionali a scapito dei piccoli birrifici artigianali.
In Italia la questione non sembra avere, per il momento, la stessa portata degli Usa. Ma questa settimana il Birrificio Crak di Campodarsego (Padova) ha segnalato il problema con un post sui social.
Stanno finendo le lattine. Questo lungo lockdown porta con sé una nuova sfida: lottare per non rimanere senza lattine», si legge sulla pagina Facebook del birrificio.
«In tempi di carenza, non ci sono violazioni dell’antitrust e, quindi, si privilegiano i clienti più grandi», conclude Crak avvisando i proprio clienti di esser costretto a confezionare alcune loro birre con «le lattine Guerrilla con la “vecchia grafica” che non avevamo mai utilizzato dopo “Crak the Rules”». Un problema in più per i microbirrifici già duramente colpiti dalla pandemia.
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Debutterà a Milano martedì 1 e mercoledì 2 febbraio 2022 “Distillo“, la prima fiera italiana sulla micro distillazione organizzata da Craft Distilling di Claudio Riva e Davide Terziotti. Un’expo di due giorni aperta agli operatori B2B della distillazione artigianale dedicata alle attrezzature per le micro distillerie, con un programma di seminari e approfondimenti sulle novità del settore.
«L’interesse per la produzione di distillati premium – spiegano gli organizzatori – è rafforzato dalla capacità di questo settore di espandersi anche nei periodi di difficoltà. Tra il 2008 e il 2015, in piena crisi economica, negli Stati Uniti gli spiriti artigianali hanno registrato una crescita di mercato esponenziale, in controtendenza col settore».
Se negli Stati Uniti si contano oltre 2.000 realtà attive ed anche in Europa il craft distilling si sta velocemente espandendo. L’Inghilterra ha superato la Scozia per numero di distillerie con un tasso di aperture di circa una a settimana e in Francia si è abbondantemente superato il centinaio di unità.
In Italia si comincia a respirare tanta euforia e, a fianco delle prime neonate strutture, si stima apriranno circa 20 nuove distillerie artigianali nel 2021 nella speranza di replicare il fenomeno di crescita esponenziale che ha visto protagonista la birra artigianale negli ultimi 25 anni.
Dalla formazione alle materie prime, dalle tecnologie di produzione fino all’imbottigliamento, negli stand di “Distillo” gli espositori potranno confrontarsi con imprenditori interessati ad aprire o sviluppare la propria distilleria. Durante la manifestazione le conferenze e i seminari saranno un’occasione per incontrare i maggiori esperti italiani e internazionali.
Rivolgendosi sia agli addetti ai lavori della filiera della distillazione sia a coloro che intendono avvicinarsi al mondo del rame e degli alambicchi, “Distillo” vuole essere un luogo di incontro e di nuove opportunità per riflettere sul mondo dei distillati artigianali.
“Distillo” si terrà presso le Officine del Volo, location situata all’interno dello storico complesso delle ex officine aeronautiche Caproni di Taliedo in via Mecenate.
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Secondo i dati presentati da Iri nel report “Birra nel 2020: un anno difficile ma con ottimi risultati” l’anno scorso le vendite di Birra in Italia hanno superato per la prima volta gli 11 milioni di ettolitri ed i 2 miliardi di euro di fatturato con un +10,7% in valore, nettamente superiore al +3,0% registrato nel 2019, grazie alle vendite nella Grande distribuzione. Cifre che Unionbirrai contestualizza, attraverso il presidente Vittorio Ferraris.
La crescita del 9,0% in volume trova spiegazione nell’aumento del consumo domestico legato ai periodi di lockdown e alla chiusura dell’Horeca. Trend positivo, quindi, per i canali della Gdo, in particolare per i Discount (+15,7%), a scapito del consumo fuori casa, come confermano i dati dei Grossisti di Bevande che registrano sulla Birra un -35,4% in volume e un -35,8% di ricavi.
Situazione più tranquilla per i Cash&Carry dove nel 2020 la Birra rimane stabile in volume (-0,1%) ma perde il 2,3% in fatturato a fronte del calo del prezzo medio dovuto al differente mix: cresce la fascia Mainstream a discapito delle marche Premium e aumenta la quota del vetro nel formato da 66 cl e cala quella del formato da 33 cl.
Le Birre Standard restano le preferite dai consumatori (42,3% in volume) mentre le Special Beer (le Birre Speciali) segnano il più alto tasso di crescita rispetto al 2019, con un +18,9% in volume e +19,6% in valore. Importante balzo in avanti anche per il segmento delle Analcoliche e Light che cresce dell’11% in volume.
IL PUNTO DI VISTA DI UNIONBIRRAI
Ciò che non emerge dall’analisi condotta da Iri è come la riduzione dei consumi fuori casa abbia portato con sé anche uno spostamento verso le birre industriali, a discapito delle produzioni artigianali.
A farlo notare è per l’appunto Vittorio Ferraris, presidente di Unionbirrai, l’associazione di categoria dei produttori di birra artigianale, in una lettera aperta al Sole 24 ore pubblicata anche sui social.
Il numero uno dell’associazione sottolinea come i dati descrivano «una realtà del prodotto birra in Italia ai tempi del Covid-19 molto parziale e principalmente incentrata su produzioni di tipo industriale».
«Il nostro è un prodotto “vivo” – prosegue Ferraris – che richiede attenzione e cura lungo tutta la catena distributiva. Per queste ragioni il nostro mercato è quasi totalmente costituito dal canale Horeca e ovviamente la prolungata chiusura di pub, bar e ristoranti ha tolto moltissimi sbocchi commerciali alle nostre attività. Una vera beffa: ufficialmente autorizzati ad operare, praticamente fermi per mancanza di clientela».
«I produttori di birra artigianale – conclude il Presidente – sono un esercito di Davide contrapposti a pochi enormi Golia. Sicuramente i numeri delle multinazionali definiscono il trend del comparto. Ma dentro a quei numeri si nascondono centinaia di piccole imprese italiane nel cuore, nel capitale e nel personale».
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Presentata in Piemonte una proposta di legge per la valorizzazione della filiera regionale della birra artigianale, analogamente a quanto già successo il Lombardia e Abruzzo.
«Di fronte ad un mondo sempre più globale, è cambiata la sensibilità dei consumatori che vogliono sempre maggiori garanzia per l’identificabilità immediata dei prodotti legati al proprio territorio», dichiara il capogruppo di Forza Italia Paolo Ruzzola, primo firmatario della proposta di legge.
«Questo provvedimento – prosegue Ruzzola – nasce per dare risposta alla difesa di tutto il mondo produttivo che ruota intorno alla birra: dagli operatori che coltivano materie prime come il luppolo e l’orzo in Piemonte, ai microbirrifici che popolano e animano la vita dei nostri Comuni».
La proposta di legge prevede un sostegno per la produzione brassicola regionale, la promozione delle coltivazioni Piemontesi delle materie prime legate al comparto, l’istituzione di un registro dei microbirrifici aventi stabilimento nel territorio regionale, la possibilità di attivare uno spaccio nelle imprese agricole, e un sostegno per l’innovazione dei processi produttivi degli stabilimenti.
«Crediamo fortemente che sia necessario supportare un segmento economico di riferimento – conclude Ruzzolo – basti pensare che la giuria internazionale di “Birra dell’Anno” ha decretato che le birre artigianali del Piemonte sono tra le migliori d’Italia tanto che su 41 categorie la nostra si è aggiudicata otto riconoscimenti».
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Titolari e dipendenti dei birrifici artigianali italiani si sono uniti in una manifestazione virtuale attraverso i social al grido di «Noi siamo la birra, non lasciateci soli», con l’obiettivo di far sentire la loro voce e puntare l’attenzione sulle difficoltà che il settore sta affrontando a seguito della pandemia e delle restrizioni ad essa connesse, oltre che sulla voglia di ricominciare a lavorare dei numerosi addetti del settore.
L’iniziativa social identificata con l’hashtag #noisiamolabirra e promossa da Unionbirrai, associazione di categoria dei piccoli birrifici indipendenti, punta a sottolineare la volontà dei produttori di birra artigianale di riaccendere gli impianti e ripartire con la loro attività, quasi totalmente ferma negli ultimi mesi di conseguenza al blocco del canale Horeca.
Un doppio appello da parte dei birrifici artigianali: da una parte alle istituzioni per sottolineare la necessità che si riporti equilibrio nella filiera e nel comparto della ristorazione, dall’altro ai consumatori perché sostengano “la rivoluzione nel bicchiere” scegliendo di bere la birra artigianale italiana.
Le restrizioni dell’ultimo anno stanno mettendo a dura prova un settore che, per 25 anni dalla sua nascita nel 1996, è cresciuto costantemente diffondendosi su tutto il territorio nazionale ma che, seppur individuato tra quelli operativi, oggi risente direttamente delle limitazioni sugli esercizi di somministrazione.
Tanti sono gli impianti totalmente o parzialmente fermi, il cui fatturato in media risulta essere dimezzato nel 2020 rispetto all’anno precedente, e quasi il 70% dei birrifici artigianali ha usufruito nell’ultimo anno della cassa integrazione per i propri dipendenti. Rispetto al 2019, inoltre, si aggira intorno al 60% la perdita del fatturato 2020 relativo alla somministrazione diretta dei propri prodotti per quelle attività che la affiancano alla produzione.
Per questo i birrifici indipendenti hanno scelto di far sentire la loro voce attraverso alcuni video veicolati sui social, in cui raccontano la voglia di riaccendere gli impianti e sostenere la necessità di una riapertura stabile e in sicurezza dei pubblici esercizi, anche nelle ore serali, per ridare di conseguenza vita ad un settore il cui mercato di vendita è quasi esclusivamente connotato nei pub e ristoranti.
Motivazione per cui già da tempo Unionbirrai si batte per uno specifico codice Ateco che differenzi la produzione di birra artigianale da quella industriale, due prodotti per natura estremamente differenti, con l’obiettivo che alla birra artigianale sia riconosciuta la sua caratteristica di prodotto fresco e con elevata deperibilità, e che ha nella maggior parte dei casi una shelf life estremamente ridotta a differenza della maggior parte dei prodotti industriali.
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La Birra Artigianale Italiana come motore trainate dell’intero comparto agricolo ad essa legato. Motore che a causa della pandemia ha subito una battuta d’arresto, con gli oltre 900 microbirrifici che registrano un calo del fatturato pari al 90%, che rischia di frenare l’intera filiera agricola composta da migliaia di produttori di luppolo e orzo distico.
È quanto emerge dalla webinar “La birra indipendente artigianale e la filiera brassicola in Italia: il difficile presente, le azioni a supporto, le sfide del 2021” organizzata congiuntamente da Cia-Agricoltori Italiani e Unionbirrai, cui hanno partecipato il presidente nazionale di Cia Dino Scanavino, il direttore generale di Uninbirrai Vittorio Ferraris, Silvio Menghini (docente di Marketing Agrario dell’Università di Firenze), Andrea Soncini (consigliere Unionbirrai con delega agli Affari legali), Erri Morlacca (Birrificio Agricolo Jester), Leonardo Moscaritolo (presidente Gie Cereali di Cia e produttore di orzo distico) e Francesco Fancelli (presidente Consorzio Luppolo Made in Italy).
La crescita della Birra Artigianale è da sempre legata a doppio filo alla crescita dei consumatori: quanto più consapevole è il consumatore tanto più la Birra cresce e con essa la sua filiera agricola. Oggi le chiusure di ristoranti, pub e bar, confermate per le festività di Natale, e il blocco di fiere, eventi, sagre che ne costituiscono il naturale mercato di sbocco rischiano di innescare il meccanismo opposto, generando non solo una crisi che va oltre la birra stessa, ma anche “raffreddando” il consumatore.
Sono necessari interventi strutturali e di lungo periodo per tutelare e dare nuovo slancio al settore. “Bisogna differenziare il mondo artigianale dalla produzione industriale di birra – ha dichiarato Vittorio Ferraris – Ad oggi esiste un unico codice Ateco sia per i piccoli produttori che per le grandi industrie. Con un codice Ateco specifico per i piccoli birrifici indipendenti, invece, si faciliterebbero future iniziative ad hoc per il comparto”.
L’emendamento approvato alla legge di Bilancio 2021, che prevede un fondo di 10 milioni di euro a sostegno delle filiere agricole minori, può essere un primo passo ma ci sono anche altre richieste da parte degli operatori che vanno nella direzione di un allentamento di obblighi fiscali e finanziari, come ad esempio la riduzione dell’Iva per il 2021 per la birra artigianale italiana, considerandola come prodotto della filiera agroalimentare.
Se è indubbio il valore della Birra Artigianale, forte del 4% del mercato italiano della birra ed in grado di dare lavoro ad oltre 7 mila addetti, con una produzione media di 500 mila ettolitri l’anno, di cui circa il 20% biologico, ed un fatturato di oltre 250 milioni di euro, meno evidenti sono le sue ripercussioni sulle attività a monte. La ricerca di una sempre più spiccata territorialità e di una maggiore “italianità”, a partire dalle materie prime, ha spinto negli ultimi anni a sempre maggiori investimenti in agricoltura.
La coltivazione di orzo distico ha preso sempre più piede là dove, fino a pochi anni fa, il grano duro era la principale cultivar cerealicola del bel paese. Un cambio di passo che ha giovato e gioverà all’agricoltura italiana alleviando la stanchezza dei terreni troppo intensamente coltivati con un’unica varietà, favorendo lo sviluppo di aree rurali in cui per la mancanza di infrastrutture l’orzo risulta essere l’unica cultivar economicamente produttiva, nonché innescando un meccanismo di “turismo brassicolo” con logiche simili a quelle della vite e del vino.
Se la battuta d’arresto della Birra Artigianale rischia di bloccare lo sviluppo della filiera dell’orzo, ancor più gravi rischiano di essere le ripercussioni su quella del luppolo, da sempre anello debole della catena brassicola nazionale ma anche grande opportunità di sviluppo. Ad oggi sono circa 80 gli ettari coltivati a luppolo in Italia, pochi ma con grandi possibilità di crescita sia per il mercato nazionale che internazionale.
Opportunità che si possono cogliere solo facendo progredire una filiera che si sta costruendo ex novo e che richiede continui investimenti. Basti pensare che avviare la produzione di luppolo costa circa 40 mila euro all’ettaro, ettaro che diventa pienamente produttivo solo dopo il terzo anno con una produzione di circa 2 mila kg all’anno. Se si considera che ad un agricoltore il luppolo italiano viene pagato da 15 ai 18 euro al kg è evidente lo sforzo necessario.
Grossi investimenti da fare in fiducia che sono stati trainati dalla forte crescita della Birra Artigianale. Ora che il volano si è fermato occorre farlo ripartire per evitare di perdere non solo ciò che si è costruito ma anche, e soprattutto, ciò che si potrà costruire.
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Il Governo si è finalmente accorto della Birra Artigianale. Nel DL Ristori, convertito in legge poche ore fa, sono infatti previsti interventi a favore del settore e viene riconosciuta la necessità di un codice Ateco che identifichi in modo univoco la categoria.
“Ho voluto rinforzare tramite un ordine del giorno che è stato accolto, l’impegno nei prossimi interventi di un sostegno per il settore dei birrifici artigianali fortemente penalizzati dalla chiusura del settore Horeca considerata la deperibilità del prodotto per le sue caratteristiche, ed anche la necessità di un codice Ateco ad hoc per la produzione di birra artigianale per una migliore identificazione e quindi valorizzazione e sostegno del prodotto”, si legge in un post affidato ai social della Deputata Chiara Gagnarli.
“Grazie per la costante attenzione verso il nostro comparto #unitisivince #larivoluzionenelbicchiere” il commento soddisfatto di Unionbirrai.
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Il settore della birra artigianale italiana sta attraversando una profonda crisi. A confermarlo è il monitoraggio sull’andamento delle attività avviato da Unionbirrai, associazione di categoria dei piccoli birrifici indipendenti, con la collaborazione dei suoi associati, che ha rilevato come, fin dalla prima settimana di restrizioni, molti microbirrifici avrebbero subito un pesante crollo del fatturato, con contrazioni anche del 90% ed evidenti ripercussioni su tutta la filiera.
Con questi dati di riferimento Unionbirrai continua a sostenere la necessità di inserire fra le categorie a cui destinare ristori anche i produttori indipendenti di birra artigianale. Manca, infatti, nei Decreti Ristori e Ristori bis il codice Ateco dei microbirrifici che, essendo lo stesso delle multinazionali, accosta però due categorie per vocazione molto diverse.
A differenza dell’industria, la birra artigianale ha solo in maniera minima sbocco commerciale nella grande distribuzione, mentre il mercato di vendita di questo prodotto è quasi esclusivamente connotato nei pub e ristoranti. Di conseguenza, le restrizioni a cui sono attualmente sottoposte le attività di somministrazione, si ripercuotono inevitabilmente e negativamente sul settore della produzione artigianale di birra.
A questo si aggiunge che la birra artigianale, prodotto fresco e caratterizzato da elevata deperibilità, ha nella maggior parte dei casi una shelf life estremamente ridotta, a differenza della maggior parte dei prodotti industriali.
“Da quando è iniziata la pandemia, Unionbirrai ha cercato di collaborare con tutte le istituzioni e con varie associazioni di categoria rappresentative di settori collaterali al nostro – comunica in una nota il consiglio direttivo Unionbirrai – per portare all’attenzione dei Ministeri competenti le specificità del comparto della birra artigianale italiana. All’interno di questa cooperazione, tra l’altro, ci sono stati numerosi contatti con Assobirra, l’associazione dei produttori industriali di birra, al fine di trovare sinergie operative e punti di interesse comune”.
All’interno di questo contesto – prosegue Unionbirrai – troviamo che il recente studio patrocinato da Assobirra, dal titolo ‘Italiani a tutta birra: 9 su 10 hanno acquistato la bionda più amata‘, racconti una realtà del mercato birra in Italia ai tempi del Covid assolutamente di parte e nel solo ed esclusivo interesse dei grandi produttori, che hanno sicuramente mantenuto elevati livelli di vendite grazie alla massiccia presenza in Gdo”.
“Questo quadro idilliaco – conclude – che viene proposto è però uno schiaffo in faccia a centinaia di birrifici artigianali che sono completamente fermi o hanno visto il proprio fatturato crollare a seguito delle restrizioni e delle chiusure dei propri canali di vendita. Risulta difficile non notare che il comparto della birra artigianale, per il quale non esiste uno specifico codice Ateco, sia stato completamente tagliato fuori da ogni forma di ristoro nei decreti recentemente approvati”.
Sostenendo fortemente la necessità di un intervento mirato a supportare il settore, Unionbirrai si auspica che ciò avvenga e che, durante l’iter legislativo per la stesura della nuova legge di bilancio, le varie forze politiche si adoperino per porre rimedio alla situazione critica attuale.
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Aumento record del 16% degli acquisti di birra delle famiglie, che si classifica come la bevanda che fa registrare il maggiore aumento nel 2020. Boom nel carrello che però non è in grado di compensare il crollo dei consumi provocato dalle chiusure di pub, bar, ristoranti e pizzerie ed il blocco di fiere, sagre e street food.
È quanto emerge da una analisi della Coldiretti sulla base dei dati Ismea relativi ai primi sei mesi dell’anno. I consumi fuori casa per pranzi, aperitivi e cene sono stimati in calo del 48% nel 2020 con una drastica riduzione dell’attività che pesa sulla vendita di molti prodotti agroalimentari, a partire da vino e birra dove la ristorazione rappresenta addirittura il principale canale di commercializzazione per fatturato.
Ad essere duramente colpite sono le birre artigianali con una brusca inversione di tendenza rispetto al successo fatto registrare in Italia dove si è verificata una moltiplicazione di iniziative imprenditoriali con 862 birrifici agricoli e artigianali, in aumento del 330% negli ultimi dieci anni. Si stima complessivamente un dimezzamento delle vendite per le birre artigianali nonostante il balzo fatto registrare dal commercio elettronico.
II consumo della birra artigianale è diventato negli anni sempre più raffinato e consapevole con specialità altamente distintive e varietà particolari. Si tratta di realtà molto spesso realizzate da giovani, che sono i più attivi nel settore con profonde innovazioni che vanno dalla certificazione dell’origine a chilometri zero al legame diretto con le aziende agricole ma anche la produzione di specialità altamente distintive o forme distributive innovative come i brewpub.
Riduzione o sospensione delle accise e credito d’imposta al consumo, come già proposto da Assobirra, nonché aiuti alla digitalizzazione per la vendite on line e la sterilizzazione dell’Iva, secondo il Consorzio Birra Italiana che riunisce le migliori realtà produttive nazionali, sono alcune delle misure urgenti per salvare il comparto.
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L’emergenza Covid-19 potrebbe nuocere gravemente alla birra indipendente, perché se da una parte il DL Ristori ha previsto un contributo a favore di bar, pub e ristoranti, direttamente interessati dalle restrizioni degli ultimi provvedimenti per contenere i contagi, dall’altra non ha prestato attenzione alle aziende di quella filiera strettamente legata al mondo della somministrazione, come i produttori indipendenti di birra artigianale.
Il parere della nostra associazione sugli interventi previsti dal Decreto Ristori è fortemente negativo – ha affermato Vittorio Ferraris, direttore generale Unionbirrai – Come inopportuna ci appare la scelta di individuare come destinatari di sovvenzionamenti unicamente i codici Ateco direttamente colpiti dalle misure restrittive, come quello delle attività di somministrazione, non tenendo in considerazione la filiera strettamente legata a questo settore.”
“In questo modo si va a penalizzare il comparto della birra artigianale italiana, che seguendo principi di filiera corta e territorialità si esprime maggiormente nei canali commerciali tipicamente legati a quelli della somministrazione”.
L’intento di Unionbirrai è ora quello di sottoporre dati concreti all’attenzione dei ministeri competenti, affinché il settore della birra artigianale indipendente venga attenzionato come fortemente colpito, in considerazione anche del fatto che il comma 2 dell’art. 1 del D.L. 28/10/20 n. 137 già prevede l’individuazione di ulteriori codici Ateco fra i destinatari di aiuti, a condizione che tali settori siano direttamente pregiudicati delle misure restrittive, anche se al momento i fondi previsti non sono sufficientemente adeguati a soddisfare tutte le aziende che potrebbero essere coinvolte.
“Abbiamo già avviato un monitoraggio settimanale con i nostri associati sull’andamento delle loro aziende, rilevando già nella prima settimana dati estremamente preoccupanti – ha proseguito Ferraris – Per questo ora più che mai l’invito di Unionbirrai ai suoi associati è a far fronte comune per sottoporre all’attenzione del Governo la revisione dei contenuti del decreto a fronte della nostra categoria”.
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“Non si vive nemmeno più alla giornata. Si vive all’ora. Con questa sorta di nuovo lockdown anti Covid-19 si ricomincerà a fare quel poco di delivery, ma con una condizione molto diversa da marzo. Perché se allora un po’ di fieno in cascina magari c’era, adesso non ce n’è più. Il delivery sono briciole, ci copri un po’ i costi vivi ma non ci ripaghi gli investimenti“.
A parlare a Giancarlo ‘Giamma’ Longhi, mastro birraio del giovane micro birrificio Beer Farm Hoppy Hobby di Legnano, tra Milano e Varese. In un’intervista rilasciata a WineMag.it, denuncia la situazione in cui versa il settore della Birra Artigianale a fronte dell’ultimo Dpcm.
Confermando, di fatto, quanto sottolineato da tante sigle Horeca come Italgrob, Assobibe e Assobirra, oltre a Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi) e Gh: le misure hanno quasi azzerato il mercato. Nelle parole di Longhi, tutto lo sconforto di una categoria che si sente “dimenticata dalle istituzioni”.
Eravamo in piazza a Milano con Fipe mercoledì scorso (28 ottobre) quando sono arrivate le prime notizie ufficiali sul DL Ristori con le indicazioni dei codici Ateco. Fra questi non figuravano i produttori di birra o di vino.
Ma come? Chiudi pub e birrerie perché lavorano la sera dopo le ore 18, limiti tantissimo ristoranti ed enoteche, chiudi definitivamente le tap room e non contempli negli aiuti i maggiori fornitori di queste categorie?.
Vi è un bonus di Regione Lombardia, una sorta di ticket di 150 euro, di cui possono usufruire i ristoratori per l’acquisto di vini della regione. Un aiuto nato per supportare i produttori di vino. E i produttori di birra? Niente“.
Uno scenario pesante quello descritto dal mastro birraio Giancarlo Longhi. Dopo un settembre in cui si avvertiva una cauta ripresa, con i clienti che avevano iniziato ad avanzare ordini interessanti, anche in vista di un presunto trend di crescita autunnale, ecco arrivare il nuovo improvviso giro di vite. Un Dpcm che ha bloccato la ristorazione, canale di vendita prevalente della Birra Artigianale.
Col primo lockdown ho perso circa il 20% dei clienti – sottolinea il titolare del birrificio milanese – adesso quanti ne perderò? Ma non penso solo a me, la situazione è analoga per i miei colleghi.
Per esempio Orso Verdedi Busto Arsizio (VA) ha una produzione molto grossa e due tap room, una a Milano e l’altra a Varese. Loro fanno infustamento isobarico ed avevano in affinamento circa 5 mila litri di birra già pronti: adesso che fanno? I fusti a chi li vendono? Li tengono fermi per mesi?”.
Analoga situazione per il Birrifico War di Cassina de’ Pecchi (MI), che “ha messo in cassa integrazione i birrai dipendenti proprio perché sanno che non venderanno nulla, da qui a chissà quanto”, riferisce ‘Giamma’ Longhi.
“La Birra Artigianale – evidenzia ancora – è un prodotto fresco: puoi tenerne alcune tipologie in cella, per un po’ di mesi, ma non si va molto lontano. Birrificio Italiano alla sua Tipopils (storia ed icona della birra artigianale italiana nel mondo, ndr) dà 6 mesi di scadenza proprio per avere un prodotto perfetto”.
“Stiamo parlando di prodotti di eccellenza, per i quali la freschezza viene prima di tutto. Se blocchi questo processo uccidi la qualità del prodotto ed il concetto stesso di artigianalità. I pub, ora, dovranno svuotarle i loro fusti e buttare le birre. Piange il cuore a pensare a tutto questo. C’è sconforto. C’è tanto sconforto“.
Nelle parole di Longhi si ritrova anche l’incertezza di chi è impossibilitato a pianificare il proprio lavoro, alle porte di un Natale 2020 che si preannuncia in sordina, dal punto di vista commerciale: “Basti pensare all’organizzazione prenatalizia. Ho dei clienti che ogni anno fanno le cassette personalizzate per i loro clienti”.
“Quest’anno, se chiudono tutto, le cassettine le regaleranno lo stesso? Forse no. Però io le devo preparare in anticipo, le devo preparare adesso. Cosa faccio? compro le cassette, compro le bottiglie, faccio le cotte personalizzate per poi magari sentirmi dire ‘Giancarlo mi dispiace, è tutto chiuso l’ordine non mi serve più’?”.
Siamo nel periodo in cui, dopo la crisi del 2008, ci si stava risollevando proprio grazie allo spirito artigianale. L’Italia è stata resa grande dagli artigiani. Senza andare troppo lontano da Legnano e da Milano, pensiamo a Parabiago ‘Città della calzatura’. Cambiamo regione, andiamo in Piemonte: lì ‘Ferrero’ ti inventa la ‘Nutella’. Senza citare poi tutte le eccellenze nel caffè e nell’enogastronomia”.
Pensiamo a tutti questi grandi artigiani che sono diventati specialisti nella propria nicchia, o grandissimi nomi del proprio settore. Se ammazzi questa gente, cosa trovi poi? Cosa ti resta?
Sono anni in cui sono nate tante nuove cose bellissime: birre, agricoltura di precisione, amari, distillati e via dicendo. Giovani ragazzi che hanno iniziato ed investito, credendo in un progetto che è anche culturale: tutte persone che, adesso, sono seriamente in pericolo”.
Non meno importante, la paura di perdere non solo gli “artigiani del gusto” ma anche il consumatore. Quel consumatore sempre più attento che è stato, ed è, motore del mercato artigianale. Lo stesso che ora, a fronte delle restrizioni e delle difficoltà finanziarie, rischia di “regredire” e interrompere il proprio percorso di crescita. L’orizzonte è oscuro, insomma. Da una parte e dell’altra del boccale.
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Spoleto si prepara ad ospitare la decima edizione di “Cotta o Cruda… mai nuda“, il festival internazionale della birra artigianale in programma dal 4 al 6 settembre. Nell’estate delle conferme e degli annullamenti delle manifestazioni brassicole Cotta o Cruda trasloca quindi a Foligno a Spoleto mantenendo il proprio spirito.
L’amministrazione comunale (di Foligno) ci ha detto di non presentare domanda perché era loro intenzione di cambiare tipologia di eventi – spiega Cristiana Mariani, organizzatrice di Cotta o Cruda – Abbiamo avuto offerte da Terni, Narni e da Spoleto, che abbiamo scelto perché risulta essere una città in grande ascesa, con un bagaglio culturale enorme e con eventi sempre più di qualità. La scelta di dove portare un evento si fa in base al terreno che trovi e a Spoleto c’è una grande vivacità culturale”.
Un evento che negli anni è diventato punto di riferimento per produttori e appassionati alla scoperta delle migliori produzioni italiane e straniere. Una manifestazione che sarà ospitata nel centro storico della città a, da piazza Pianciani a Palazzo Mauri, passando per corso Mazzini e piazza della Libertà, dove insieme agli stand espositivi verranno organizzati spazi per gli show cooking con abbinamenti cibo-birra, happening musicali e shooting fotografici.
“Spoleto è una realtà che ha un potenziale importante per quanto riguarda la capacità di attrarre eventi – dice l’assessore alla cultura Ada Urbani – Questa volta abbiamo puntato sul binomio birra e gastronomia decidendo di ospitare una manifestazione già affermata e conosciuta, ma che può ulteriormente crescere insieme alla città”.
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Nell’ultimo decennio anche la Sicilia ha visto espandersi il fenomeno della Birra Artigianale, passando dai quattro birrifici del 2008 ai circa ottanta produttori attualmente presenti, fra Microbirrifici, Beer Firm e Brew Pub, a rappresentare oggi il 3,1% della produzione nazionale.
Sono Marco Cardia, referente regionale e giudice ufficiale UbtUnionBirrai, e Isabella Maugeri, inseme gestori dell’Etimuè di Acireale, locale di riferimento per degustare produzioni brassicole regionali, nazionali ed internazionali, ad esprimersi sullo stato dell’arte della birra di Trinacria.
“L’utilizzo dei prodotti regionali deve essere ben calibrato per evitare campanilismi – sostengono Marco e Isabella – soffermandosi di più sugli stili tradizionali e, perché no, sulle tendenze del momento“, notevole infatti in regione l’uso di materie prime agricole locali come ad esempio agrumi, fichi d’india, carrube, miele e grani antichi.
Le produzioni dell’isola pagano alcune criticità dovute ai limiti territoriali che non favoriscono scambi commerciali a costi vantaggiosi, dalla Sicilia verso il resto d’Italia e viceversa, e lo scambio di informazioni tra Birrai di regioni limitrofe, come avviene altrove”, affermano Marco e Isabella
Fattori importanti che rischiano di limitare una crescita qualitativa che tenga il passo di un mercato della birra in espansione. Utile in tal senso potrebbe essere un ulteriore sforzo dei distributori “nell’erogare premi annuali sul volume di vendita raggiunto, cosa che avviene già per le birre industriali, in modo da incentivare i publicans a investire nel comparto craft, a vantaggio di tutta la filiera italiana”.
“Sono necessari anche una maggiore formazione da parte dei distributori e una migliore divulgazione professionale degli operatori del settore a favore dei consumatori”, concludono Marco e Isabella, aggiungendo che è necessari “una presenza nella Gdo per garantire al settore un ampliamento del mercato di vitale importanza per la sopravvivenza delle realtà”.
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Vendere il proprio birrificio perché delusi dalla piega che ha preso il settore della Birra Artigianale. È quanto ha fatto Jason Yester, che ha ceduto la sua storica Trinity Brewing, brewpub da oltre 500 metri quadri a Colorado Springs in Colorado, all’imprenditore e homebrewer Matthew Dettmann. A darne la notizia il sito americano Westword.
Penso che la birra americana abbia raggiunto l’apice. Non penso che migliorerà ancora. In effetti è stata molto dura per me vederla peggiorare negli ultimi due anni – spiega Jason – La birra artigianale è stata un movimento. Ha rappresentato un momento speciale. Ma quando la moda delle Hazy Ipa ha colpito, tutto è sembrato cambiare e prendere una direzione che non mi ha più ispirato”.
Precursore dei tempi Yester balzò agli onori della cronaca nel 2009 quando vinse il Great American Beer Festival con la sua Red Swingline, una Sour Session Ipa fermentata con lievito Brettanomyces, prodotta con l’aggiunta di scorza di mandarino e limone e affinata in botti di rovere francese ex Chardonnay.
Una birra terrosa, elegante e complessa molto diversa da ciò che si era assaggiato fino ad allora e che anticipava le tendenze degli anni a venire: uso di lieviti indigeni, aggiunta di agrumi in birre luppolate, maturazioni in legno, moda delle Ipa e delle birre acide.
Personaggio fra i più enigmatici e insoliti nel settore della produzione artigianale del Colorado, famoso per i suoi dreadlocks, la bandana e la barba, Jason è sempre stato un riferimento nel settore combattendo battaglie di principio di persona ed on line con scrittori di birra, clienti ed altri produttori.
Non sorprende quindi che abbia deciso di chiamarsi fuori proprio per una questione di principio. Una forma di protesta estrema contro il processo di omologazione che sembra aver intrapreso la Craft-Beer Made in Usa.
Non mi sento più parte del settore – afferma – È davvero difficile dopo 24 anni stare in un settore che era fortemente diversificato, e vederlo ora diventare così omologato in termini di stili brassicoli. Penso non ci sia più molta creatività alle spalle”.
Se è vero che il settore della Birra Artigianale americano è molto più maturo di quello italiano, e che quello italiano è per sua natura differente avendo puntato negli ultimi anni sui valori di territorialità, convivialità e abbinamento con la cucina tipici del Bel Paese la scelta di Jason Yester spinge comunque ad una riflessione.
È indubbio infatti che anche in Italia le mode influenzino i consumi, e quindi la produzione, di birra. Anche la recente apertura di Unionbirrai verso nuovi canali di comunicazione e vendita se da un lato costituisce una grande opportunità per uscire dalla “nicchia”, dall’altro porta con se i rischi di omologazione ed appiattimento del gusto insiti nella “larga scala”.
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Una birra artigianale facilmente reperibile sia inGdo che sui canali e-commerce. Ispirata alla tradizione delle Strong Ale, Cotta 68 di Mastri Birrai Umbri rappresenta tanto un buon punto di inizio per chi si avvicina al mondo della Artigianale quanto una bevuta piacevole per gli amanti del genere.
LA DEGUSTAZIONE
Schiuma abbondante, bianca, fine e molto persistente. Colore dorato intenso e molto velato, quasi a voler sottolineare che si tratta di una non filtrata. Il naso apre sulle note morbide e dolciastre del malto accompagnate da sentori verdi di erba tagliata e fieno cui seguono profumi di miele e scorza d’agrumi non appena la birra si scalda un poco nel bicchiere.
Il sorso è scorrevole e beverino, con una buona corrispondenza naso-bocca. L’amaro del luppolo si percepisce solo sul finale, non molto lungo, dove si rivela con una aromaticità leggermente balsamica. Semplice ma non banale si presta bene ad accompagnare salumi o formaggi di media stagionatura anche grazie al suo buon tenore alcolico (7,5%).
COTTA 68 – MASTRI BIRRAI UMBRI
Birra non pastorizzata e rifermentata in bottiglia di puro malto d’orzo coltivato in Umbria. Forte il legame col territorio con oltre mille ettari coltivati dal birrificio per ottenere le materie prime: orzo, farro, e grano, ma anche luppoli aromatici, cicerchie e lenticchie per arricchire le proprie birre.
Mastri Birrai Umbri nasce nel 2011 per volontà di Marco Farchioni, che dopo olio, vino e farina aggiunse la birra alle produzioni della famiglia Farchioni, impegnata da sette generazioni nella trasformazione dei prodotti agricoli. Un birrificio con malteria, per una produzione che oggi si attesta su 25 mila ettolitri l’anno.
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Birrificio della Granda ha presentato le sue nuove birre artigianali in lattina, figlie dello stesso spirito proiettato al futuro del manifesto “Not Another Beer in the Dust“, aperta difesa dei valori delle birre artigianali contro i colossi del crafty.
Abbiamo intrapreso questa sfida – spiega Ivano Astesana, birrario di La Granda – e l’abbiamo portata avanti in un momento difficile perché crediamo che la lattina rappresenti bene la duplice anima della birra artigianale: da una parte è un prodotto semplice, adatto a tutti in tutti i momenti della giornata, è trasportabile e non ha le restrizioni del vetro; dall’altra è un materiale relativamente nuovo, pratico che rispecchia la voglia di continua ricerca e divertimento della sperimentazione”.
Contenitore riciclabile al 100%, leggera da trasportare e dagli indubbi vantaggi tecnologici poiché impedisce il passaggio di aria e luce preservando i profumi e gli aromi anche delle birre più complesse, la lattina è entrata solo negli ultimi anni nel mondo della Birra Artigianale, tradizionalmente legato al vetro.
Due le linee di prodotto: The Girls è la gamma più pop pensata per tutti i tipi di cliente e per avvicinare i neofiti alla vera birra artigianale, mentre H4TG (Hop For The Geeks), più complessa e ricercata, è pensata per gli amanti della birra.
Confezioni di design per vestire le nuove ricette, una compartecipazione tra arte e artigianalità, per sostenere e diffondere gli stessi valori di indipendenza, originalità. The Girls, disegnata da Diego Boscolo, rappresenta i personaggi di un mondo cyberpunk in cui ogni birra è rappresentata da una ragazza che ne rispecchia i caratteri.
Il design delle birre H4TG segue la profondità delle birre che ne fanno parte: ogni lattina è disegnata da un artista diverso, lo spazio è lasciato alla creatività e l’effetto è un pluralismo corale da collezione.
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