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Accise: Assodistil: «Si premi il bioetanolo sostenibile»

«Accogliamo con favore la decisione del Consiglio dei Ministri che ha approvato il riallineamento delle accise tra benzina e gasolio, con l’obiettivo di raggiungere la parità entro il 2030. Una misura che auspichiamo comporti presto anche una concreta riduzione della tassazione sul bioetanolo sostenibile, oggi ingiustamente equiparato alla benzina nonostante garantisca una riduzione delle emissioni di oltre l’80%». È quanto afferma Sandro Cobror, Direttore di AssoDistil, l’associazione che da oltre 75 anni tutela le principali aziende italiane nel settore della distillazione.

BIOETANOLO IN ITALIA

Il provvedimento porterà finalmente equità tra i possessori di auto a benzina o ibride alimentate con miscele E5 ed E10 (benzina/bioetanolo), che attualmente pagano inspiegabilmente di più rispetto ai possessori di vetture diesel. «Ci auguriamo che il Governo riconosca ora anche una premialità specifica per il bioetanolo sostenibile, in virtù del suo contributo decisivo alla decarbonizzazione dei trasporti. Sarebbe un passo fondamentale per sostenere e incentivare lo sviluppo del mercato del bioetanolo in Italia, sull’esempio di quanto già avviene in Francia, dove il consumatore può beneficiare di un notevole risparmio grazie all’abbattimento delle accise, aiutando contemporaneamente l’ambiente», conclude Cobror.

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Bioetanolo e benzina, stesse accise. Assodistil: «Paghi di più chi inquina di più»

«Paghi di più chi inquina di più». Arriva dal workshop odierno “Bioetanolo: la mobilità sostenibile è ora!”, l’appello di AssoDistil. «Le accise gravanti sul bioetanolo – spiega il direttore Sandro Cobror – sono inspiegabilmente equiparate a quelle della benzina, che sono tra le più alte tra tutti i carburanti in commercio.

Auspichiamo in questo senso una revisione delle accise in modo che tengano conto dell’impatto ambientale dei singoli carburanti: paga di più chi inquina di più. In ultimo, come associazione, chiediamo un supporto agli investimenti in impianti per la produzione di bioetanolo avanzato accanto a uno snellimento burocratico che ad oggi rischia di penalizzare troppo il settore».

Il workshop sul binomio bioetanolo-mobilità sostenibile è stato organizzato proprio da AssoDistil, «per sensibilizzare i decisori politici e l’opinione pubblica su questa importante risorsa».

Per l’Associazione Nazionale Industriale Distillatori di Alcoli e Acquaviti, «la strada da percorrere è l’utilizzo del bioetanolo sostenibile, risorsa già disponibile in Italia e che non necessita di nuove infrastrutture».

«Un biocarburante 100% rinnovabile – ricorda ancora AssoDistil – in grado di ridurre le emissioni di almeno il 75% rispetto ai carburanti fossili». Con la RED II ed il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) del 2020, l’Italia ha infatti introdotto un obbligo progressivo di biocarburante miscelato con la benzina, pari allo 0,5% nel 2023 e al 3% nel 2025.

«Dal momento che oggi il bioetanolo è probabilmente l’unico biocarburante miscelabile con la benzina – sottolinea ancora il direttore Sandro Cobror – AssoDistil stima che l’adozione di questa norma possa tradursi in una quota di questo prodotto pari ad almeno 55k tonn/a nel 2023 ed almeno 320k tonn/a nel 2025 e che sostituirà pari quantità di fonti fossili».

COME SI OTTIENE IL BIOETANOLO

Il bioetanolo può essere ottenuto anche da scarti agro-alimentari (bioetanolo avanzato). Ricorda AssoDistil che è «perfettamente compatibile con le attuali motorizzazioni del parco auto circolante e quindi non presenta alcuna necessità di costose infrastrutture , come invece accade per altri vettori energetici».

Il bioetanolo è infatti miscelabile con la benzina senza alcuna necessità di interventi sulle vetture circolanti fino ad almeno il 10%, che è di fatto lo standard utilizzato nei maggiori Paesi dell’Unione Europea.

Inoltre, il bioetanolo viene prodotto in Italia da filiere certificate sostenibili che utilizzano residui agricoli, come ad esempio vinacce, fecce, biomasse no-food dedicate e scarti agroindustriali».

Questo, sempre secondo l’Associazione Nazionale Industriale Distillatori di Alcoli e Acquaviti, «pone le basi anche per una conversione industriale della petrolchimica verso una chimica verde, che in Italia presenta assolute eccellenze essendo stati i primi al mondo a sviluppare una tecnologia per la produzione di bioetanolo a partire da cellulosa».

BIOETANOLO MISCELATO A BENZINA, MA IL MERCATO STENTA A DECOLLARE

Se introducendo un obbligo minimo di miscelazione di bioetanolo con la benzina è stato fatto un passo avanti importante, considerando la leadership tecnologica italiana, tuttavia il mercato del bioetanolo in Italia stenta a decollare.

«Tutta la produzione nazionale – sottolinea AssoDisil – è stata sino ad ora destinata a mercati europei confinanti, come Svizzera e Francia. Con il doppio svantaggio di non utilizzare la quota di energia rinnovabile nel nostro Paese e riducendo il beneficio ambientale del bioetanolo prodotto qui ed esportato a causa delle emissioni legate ai trasporti».

Uno studio europeo condotto dalla European Climate Foundation ha stimato le ricadute ambientali, economiche ed occupazionali dello sviluppo del bioetanolo in Europa. I carburanti convenzionali possono essere sostituiti con biocarburanti avanzati fino al 16% senza impattare su altre filiere esistenti.

DAI BIOCARBURANTI 160 MILA POSTI DI LAVORO

La produzione di biocarburanti avanzati comporterebbe di conseguenza la costruzione di circa 150 impianti per un investimento di oltre 10 miliardi di euro e la creazione di 160 mila posti di lavoro, tra diretti e indiretti, temporanei e permanenti.

Inoltre, l’immissione in consumo di tali biocarburanti avanzati, consentirebbe la riduzione di almeno il 60% delle emissioni. Oltre a creare 300mila nuovi posti di lavoro nel settore agricolo che beneficerebbe di 15 miliardi di euro/anno di reddito integrativo.

Di conseguenza per l’Italia, a fronte di una domanda certa di almeno il 10% di bioetanolo nella benzina entro il 2030 e di una strategia di incentivi pubblici per la realizzazione degli investimenti, si potrebbero prevedere la realizzazione di almeno 15 nuovi impianti.

Con la conseguente mobilizzazione di circa 1,5 miliardi di euro di investimento – calcola sempre AssoDistil – 16 mila nuovi posti di lavoro nell’industria, oltre a 30 mila nella filiera agricola con un’integrazione complessiva al reddito di circa 1,5 miliardi.

Questo senza considerare la possibilità di utilizzare parte degli oltre 3 milioni di ettari di terreni inattivi in Italia per coltivare la materia prima per la produzione di bioetanolo avanzato».

«In momenti terribili come quelli che stiamo vivendo da un paio di mesi a questa parte a seguito del conflitto tra Russia e Ucraina – dichiara il Presidente AssoDistil Antonio Emaldi – il ricorso a fonti energetiche alternative a quelle fossili, come appunto il bioetanolo, appare oltremodo indispensabile per affrancarci il più possibile da importazioni di petrolio e, nel contempo, migliorando l’impatto ambientale».

«DAL BIOETANOLO UN’OPPORTUNITÀ DI CONTENERE I COSTI»

«È sotto gli occhi di tutti – continua Emaldi – che l’aumento dell’inflazione, dei costi energetici, delle materie prime e della logistica stanno mettendo a dura prova la tenuta del sistema Europa, sia a livello sociale che industriale».

Nella speranza che il conflitto non si estenda e termini nel più breve tempo possibile, è comunque nostro dovere pensare che solo con la costruzione di nuova industria e posti di lavoro si potranno mitigare tutte le negatività prima espresse. E il bioetanolo rappresenta per il nostro Paese una opportunità che va certamente colta».

Proprio in occasione del workshop, AssoDistil ha ribadito e chiesto che «l’Italia, allineandosi a quanto già fatto dai maggiori Paesi europei, adotti finalmente una politica di forte sostegno alla produzione ed al consumo di bioetanolo sostenibile e di sviluppo delle sue filiere per garantire il raggiungimento degli obiettivi fissati dall’Unione Europea, sia in termini di uso di fonti rinnovabili nei trasporti, sia di decisa e immediata riduzione delle emissioni di gas clima-alteranti prodotti dal settore dei trasporti».

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Convegno “Grappa, il futuro che ci aspetta”

NOGAREDO (Trento) – Nell’ambito delle iniziative per festeggiare i 70 anni dell’azienda, Distilleria Marzadro ha organizzato il convegno “Grappa, il futuro che ci aspetta“. Un confronto tra produttori e categorie per riflettere sul futuro del settore e sui nuovi business.

Il convegno, nella sua prima edizione, ha messo l’accento, tra gli altri, su due aspetti fondamentali per il comparto delle distillerie italiane. Il primo è quello dell’economia circolare, di cui già oggi le distillerie sono un esempio perfetto, ma che può in futuro aprire nuove vie sulla diversificazione di prodotto.

Il secondo è quello della necessità, per il comparto, di “fare squadra“, di fare rete per meglio affrontare le sfide future. Uno dei punti di riferimento e dei mezzi per ottenere questo risultato può essere la creazione di un Consorzio di Tutela della Grappa che possa aiutare ad affrontare meglio i mercati esteri e tutelare le IG della Grappa.

Abbiamo voluto organizzare questo forum di discussione perché come impresa percepiamo la necessità di riflettere sulle strategie per il futuro. Il comparto distillatorio è ad un bivio: l’export diventa sempre più importante, ma le dimensioni aziendali delle nostre distillerie ci limitano; i prodotti sono apprezzati, ma il mercato cambia in fretta ed è necessario diversificare ed esplorare nuovi ambiti produttivi. Su questi temi è necessario riflettere tutti insieme” – dice il presidente di Distilleria Marzadro, Stefano Marzadro.

L’ECONOMIA CIRCOLARE
Una possibilità di aumentare il business per le distillerie è quella di diversificare il prodotto e di ampliare l’utilizzo della materia prima. Già oggi, oltre alla Grappa e ai distillati, le aziende sono un esempio perfetto di economia circolare: contribuiscono alla produzione di biogas, attraverso il conferimento delle vinacce esauste in impianti a biomassa.

Quello che deriva, poi, da questo secondo processo, cioè il “digestato“, può a sua volta essere utilizzato in agricoltura come nutrimento per il terreno, chiudendo quindi il cerchio della circolarità dei processi in distilleria. Man mano che il quadro regolatorio e la disciplina si consolida, le aziende sfruttano tutti i possibili utilizzi del prodotto.

Ma il futuro è molto più ricco di possibilità. Dai residui della distillazione si possono ricavare additivi alimentari, bioprodotti per la cosmetica e la nutraceutica. Alcune aziende già producono ad esempio additivi naturali per la panificazione come l’acido tartarico, mentre altre strade sono esplorate in via sperimentale, su scala di laboratorio o su scala-pilota.

Si parla anche, ad esempio, di farina di vinaccioli disoleata, derivante dalla lavorazione dei semi degli acini – da poco ufficialmente nella lista di combustibili rinnovabili e sostenibili, grazie al decreto ministeriale n.74 entrato in vigore lo scorso 21 agosto, voluto dal ministero dell’Ambiente di concerto con il Ministero della Salute e dello Sviluppo Economico – o di tessuti a base di vinaccia.

E, naturalmente, dei biocarburanti avanzati come il bioetanolo avanzato, in grado di ridurre le emissioni di gas ad effetto serra di oltre il 70%. In questo contesto, l’Italia ha sviluppato una tecnologia innovativa e all’avanguardia nel mondo.

“Il settore distillatorio è fortemente impegnato nello sviluppo dell’economia circolare come strumento di sviluppo del comparto – ha commentato Sandro Cobror, direttore di AssoDistil – Le nostre distillerie, affermatesi negli anni grazie ai prodotti di indiscussa qualità come i nobili distillati, Grappa anzitutto, da sempre cercano di valorizzare al massimo la materia prima utilizzata, essa stessa sottoprodotto della filiera vitivinicola, ma oggi, grazie allo sviluppo di nuovi processi e tecnologie, il portafogli di prodotti di origine naturale si amplia enormemente creando delle opportunità di business inesplorate finora, come le applicazioni cosmetiche, nutraceutiche o nel mondo dei biopolimeri, che permettono sinergie con altri comparti industriali e produzioni a zero rifiuti, nella logica di una economia realmente rispettosa dell’ambiente e che valorizzi integralmente le materie prime: una vera economia circolare che vede il comparto tra i protagonisti dello sviluppo sostenibile”.

LA NECESSITA’ DI FARE SQUADRA
C’è, da parte delle imprese, una volontà esplicita di andare all’estero. Lo si evince anche dall’aumento della partecipazione alle fiere internazionali di settore. Negli ultimi tre anni, l’84% delle imprese ha avuto almeno un contatto con l’estero.

 

Le esportazioni sono in crescita soprattutto nei Paesi dove il made in Italy è maggiormente apprezzato: negli Stati Uniti, in Asia e in Europa. Nel vecchio continente, in particolare, si consolidano i mercati tradizionali come la Germania e la Svizzera.

“Recentemente, a Bruxelles, presso l’Istituto Italiano di Cultura, Federvini ha presentato con Nomisma e Mediobanca un’analisi approfondita del settore spiriti in Italia – ha spiegato Ottavio Cagiano de Azevedo, direttore generale di Federvini – Alla presenza di diversi parlamentari italiani è stato messo in luce che, i cali di consumo sul mercato nazionale, hanno spinto molte aziende a cercare nuovi mercati con l’internazionalizzazione. Ed ora il settore delle bevande spiritose sta vivendo un momento di grande espansione nell’export”.

“La Grappa – prosegue Cagiano – indicazione geografica italiana di prestigio, è in linea, ma fatica di più, dovendo incontrare consumatori non abituati ai suoi profumi e sapori. L’aver intrapreso la strada della miscelazione ha permesso di registrare nel primo semestre del 2019 un valore export pari a 20 milioni di Euro. Tra i mercati principali ricordiamo la Germania e gli Stati Uniti”.

“Di qui le preoccupazioni per le tensioni di queste ore sui possibili nuovi dazi, all’entrata negli USA e le attese legate alla Brexit, dato che il Regno Unito rappresenta anch’esso un grande mercato di consumo. Sono dati che complessivamente non possono che dare soddisfazione anche se permangono criticità in altre aree, come ad esempio nel Sud Est asiatico, dove parametri analitici, non in linea con quelli ammessi a livello europeo, costituiscono un ostacolo rilevante” conclude il direttore.

Sono convinto che la più grande sfida peri il futuro della Grappa si giocherà sui mercati internazionali, dove c’è una grande necessità di far conoscere la nostra acquavite di bandiera e gli elementi di unicità che stanno alla base del suo carattere inimitabile. Il far squadra in questo senso, come alcune aziende già hanno iniziato a fare negli ultimi anni, è fondamentale per poter creare i presupposti di un virtuoso sviluppo dell’export del nostro settore” – ha detto Elvio Bonollo, quarta generazione della famiglia alla guida dell’omonimo gruppo.

Alla propensione delle imprese all’export non corrisponde, però, una forza strutturale che permetta di gestire le esportazioni: le aziende sono troppo piccole per poter affrontare i mercati esteri. Il comparto necessita di fare rete, di stipulare intese, di unire le forze per poter aumentare la competitività.

Il Consorzio di Tutela della Grappa può rappresentare uno degli strumenti per raggiungere l’obiettivo di fare sistema e fare sinergie operative.

“Nell’ottica delle sinergie necessarie, ciò che abbiamo realizzato in Trentino con l’Istituto di Tutela della Grappa – ha aggiunto Mirko Scarabello, presidente dell’Istituto di Tutela Grappa del Trentino – può essere d’esempio. L’esperienza di collaborazione e di intesa tra le diverse distillerie sul territorio, infatti, ha portato in passato e continua a portare nel presente a iniziative condivise ve a politiche comuni”.

Ad oggi non c’è in Italia un ente che tuteli la denominazione d’origine della grappa (IG), non esiste un unico soggetto che possa operare sul fronte della promozione, come invece accade per il settore del vino. Nell’ottica dell’unione e della condivisione tra produttori, il consorzio può diventare un mezzo importante per riconoscersi in un unico soggetto, che intervenga con finanziamenti propri per la promozione e la tutela del prodotto.

L’iter normativo per il riconoscimento del Consorzio di Tutela per gli spiriti è già partito e si è da tempo in attesa di un decreto definitivo.

PIANI DI CONTROLLO E FORMAZIONE
Anche i piani di controllo e la formazione giocano un ruolo decisivo nello sviluppo del futuro delle distillerie. “Con il riconoscimento delle 36 denominazioni italiane a Indicazione Geografica, avvenuto con il recente Regolamento CE 787 – ha spiegato Cesare Mazzetti, presidente del Comitato Acquaviti di AssoDisti – assume massima importanza l’aspetto dei controlli”

“Infatti ogni denominazione, con le 10 Grappe in testa, ha uno specifico disciplinare produttivo che ogni produttore è tenuto ad osservare strettamente. I controlli, esercitati da un Organismo appositamente designato dal Ministero su indicazione dei produttori, servono a garantire ai consumatori la qualità del prodotto, e agli operatori una leale concorrenza sul mercato. AssoDistil, in rappresentanza dei distillatori, ha concordato con gli Uffici del Ministero delle Politiche Agricole/ICQRF uno schema di linee guida che orientino la stesura di uno specifico Piano dei Controlli per ciascuna denominazione”.

“Diventa oggi basilare che i produttori effettuino una scelta oculata dell’Organismo cui affidare i controlli, che riguardano tutti gli aspetti produttivi, fino all’etichettatura con la quale il distillato verrà posto in commercio” conclude Mazzetti.

“Negli ultimi anni – dichiara Sergio Moser, tecnologo e docente di Fondazione Mach – la Fondazione Mach ha messo in campo corsi post diploma di alta formazione per tecnici delle bevande, in tali corsi a numero chiuso sono previsti specifici insegnamenti sulla tecnica di distillazione e sulle possibilità di riutilizzo dei sottoprodotti dell’industria enologica”.

“Nel corso di laurea di primo livello in Viticoltura ed enologia, esiste inoltre uno specifico insegnamento rivolto allo studio della tecnologia dei distillati. La Fondazione Mach volge particolare attenzione nello studio delle attitudini alla distillazione di vinacce ottenute dalla vinificazione di uve resistenti alle principali crittogame della vite, che come tali nella loro coltivazione richiedono un limitato impatto input chimico (non necessitano di trattamenti chimici)”.

“Credo che questo tema interpreti a pieno in chiave futura il rispetto dell’ambiente e il possibile riutilizzo degli scarti di lavorazione dell’industria enologica per l’ottenimento di prodotti (Grappe) di alto livello qualitativo” chiosa Moser.

I DATI DEL SETTORE
Oggi, il settore delle distillerie in Italia costituisce un comparto dalla forte tradizione ma necessariamente di nicchia, basandosi su una materia prima dalla disponibilità limitata come, ad esempio, le vinacce. Sul territorio nazionale si contano circa 140 aziende distillatorie. Diventano circa 300 se si comprendono le aziende di imbottigliamento e dell’indotto in generale.

Le distillerie sono collocate per lo più nel centro-nord. L’80% di esse non supera i 10 addetti, si tratta cioè per lo più di micro imprese, che producono eccellenze spesso conosciute solo nel territorio nazionale o regionale. Tutto il comparto fattura complessivamente circa 300 milioni l’anno.

La produzione di grappa è sostanzialmente stabile: vengono prodotti ogni anno tra gli 80 e i 90mila ettanidri (un ettanidro corrisponde a cento litri di alcol), ovvero circa 200mila ettolitri di distillati. Aumenta invece nel tempo la qualità e la ricercatezza nel prodotto.

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