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Zero tolleranza per il Silenzio: il Ruzzese (secco) di Cà du Ferrà

Zero tolleranza per il Silenzio il Ruzzese (secco) di Cà du Ferrà Un Liguria di Levante Igp Bianco 2023 dopo il passito Diciassettemaggio cantina davide zoppi giuseppe aieta bonassola
Zero tolleranza per il silenzio
. Questo il nome scelto da Cà du Ferrà per il primo Ruzzese secco, dopo gli esordi sul mercato – nel 2023 – con il passito Diciassettemaggio, vendemmia 2020. Il vitigno autoctono ligure, frutto di una rinascita commerciale dovuta proprio all’intraprendenza e alla tenacia dei due titolari di Cà du Ferrà, Davide Zoppi e il marito Giuseppe Aieta, mostra così il volto più puro e contemporaneo della Liguria di Levante. Un vino a Indicazione geografica protetta (Igp), vendemmia 2023, prodotto in sole 635 bottiglie, in parte già assegnate dal distributore esclusivo Proposta Vini (il costo è di 35 euro, più Iva).

Una chicca – firmata dall’enologa Graziana Grassini – con un messaggio forte dentro (e fuori) dalla bottiglia. L’etichetta è solo apparentemente monocromo, bianca. In realtà va strappata, da sinistra verso destra. Tirando una linguetta. Ecco così apparire la scritta “Zero tolleranza per il silenzio”, voluta da una cantina – Cà du Ferrà, per l’appunto – che non smette di sorprendere non solo attraverso i propri vini, ma anche lanciando messaggi chiari e assumendo prese di posizione nette. A sfondo socio-culturale. Perché il vino può essere anche manifesto. https://caduferra.wine/it/

IL RUZZESE: VITIGNO, VINO E ORA ANCHE “MANIFESTO”

«Tolleranza zero per il silenzio. Questa è la filosofia del vino. Un vino che non accetta omertà, non accetta silenzi. Che vuole parlare da solo. Un vino che invita a vivere la vita con grande impegno, con grande responsabilità. Impegno verso gli altri, verso la natura. Verso il territorio in cui viviamo. Il nostro Ruzzese secco è un invito: tolleranza zero per il silenzio, in tutte le sue accezioni negative». Le parole di Davide Zoppi fanno eco a quelle del marito Giuseppe Aieta.

«L’etichetta da strappare – spiega – vuol rappresentare una linea ben marcata nel nostro percorso di riscoperta del vitigno ed essere un modo per far riflettere sul mondo in cui viviamo. Non a caso abbiamo scelto il candore del bianco. Occorre iniziare, tutti insieme, a strappare vie le paure dalla nostra vita. Spingersi oltre i pregiudizi, per raggiungere i nostri obiettivi. Dobbiamo tornare ad avere il coraggio di esprimere il nostro pensiero e la nostra essenza. Senza timori».

IL RUZZESE TRA RISCOPERTA E CONFERME ALLA BIBLIOTECA LA VIGNA DI VICENZA

Teatro d’eccezione della presentazione del Ruzzese Liguria di Levante Bianco 2023 di Cà du Ferrà è stata la Biblioteca Internazionale “La Vigna” di Vicenza, luogo simbolo della ricerca e della tradizione vitivinicola italiana. Un luogo che custodisce 62 mila volumi tematici, dal quindicesimo secolo ai giorni nostri. Insieme ai produttori il prof Franco Mannini, ex ricercatore del Cnr di Torino che ha accompagnato – insieme al team guidato dalla professoressa Anna Schneider e a un finanziamento del Parco delle Cinque Terre – le prime ricerche sul vitigno Ruzzese. Studi che hanno portato alla sua iscrizione nel registro nazionale, nel 2009. https://www.lavigna.it/it/lavigna

«Eppure – ha spiegato Mannini – nessuno ha colto questa opportunità come invece ha fatto Cà du Ferrà, che è arrivata ad impiantare il suo primo vigneto di Ruzzese nel 2015». Poche barbatelle, a cui si affiancherà presto un ulteriore impianto per incrementare la produzione. «Una varietà incredibile – ha sottolineato l’agronomo Gabriele Cesolini, del team di Graziana Grassini – che all’inizio, essendo a me totalmente sconosciuta, avevo scambiato per Cabernet Franc. Si tratta di un vitigno resistente alle malattie, che germoglia prima e matura tardi, che produce uve dalla buccia spessa, col sole dentro».

LA PRIMA CITAZIONE DEL RUZZESE IN UN LIBRO DEL 1596: PIACEVA AL PAPA

Tutte condizioni che dipendono dal perfetto acclimatamento in Liguria del Ruzzese. Ed è proprio alla Biblioteca Internazionale “La Vigna” di Vicenza, oggi presieduta dall’imprenditore Remo Pedon, che il legame ha trovato senso compiuto. Di Ruzzese e di Liguria di Levante parla infatti lo scrittore Andrea Bacci, in un manoscritto del 1596 conservato proprio sugli scaffali del “museo” di Contrà Porta San Felice 3, nel cuore della Città del Palladio. Lo descrive, in latino, come un vino apprezzatissimo a Roma, tanto da essere gradito anche da Papa Paolo III Farnese, in carica dal 1534 al 1549. Il suo “bottigliere” Sante Lancerio, sommelier ante litteram, glielo aveva proposto come uno dei migliori vini bianchi che l’Italia enoica potesse offrire a quel tempo, grazie anche ad un finale tendente al dolce e non all’acido o all’amaro.

ZERO TOLLERANZA PER IL SILENZIO: L’ASSAGGIO DEL RUZZESE SECCO DI CÀ DU FERRÀ

Così, la decisione di Cà du Ferrà di vinificare “in secco” il Ruzzese non è solo riscoperta, ma anche evoluzione. Il vino matura e si arricchisce – grazie a ripetuti bâtonnage – in tonneau da 500 litri, nella piccola sala della cantina ligure, a Bonassola, in provincia della Spezia. Ma non “sa” di legno. Ricorda piuttosto il sole, il mare, la macchia mediterranea e la generosità della polpa dei frutti. Sa di mare e di montagna, di brezza marina e di frutta a polpa gialla matura, come l’albicocca.

Entra sornione in bocca, generoso. Poi si assottiglia sulla freschezza e sulla sapidità, che accompagnano sino al lungo finale. Alla cieca, il Ruzzese potrebbe ricordare vagamente il Fiano campano, di Avellino. Ma ha anche tratti da Chardonnay che affonda le radici su suoli vulcanici, basaltici. Suggestioni, anzi distrazioni giocose. Perché è uguale solo a se stesso. E lo grida a tutti. Forte e chiaro. Onorando il suo nome. Zero tolleranza per il silenzio.

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Costa d’Amalfi Doc Furore Bianco 2022 Fiorduva, Marisa Cuomo


Dalla Guida Top 100 Migliori Vini italiani 2025 di Winemag: Costa d’Amalfi Doc Furore Bianco 2022 Fiorduva, Marisa Cuomo (14,5%).

Fiore: 8.5
Frutto: 9.5
Spezie, erbe: 8.5
Freschezza: 8.5
Tannino: 0
Sapidità: 8
Percezione alcolica: 6
Armonia complessiva: 9.5
Facilità di beva: 8.5
A tavola: 9
Quando lo bevo: subito / oltre 3 anni

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Colline di Levanto Dop Bianco 2023 Bonazolae, Cà du Ferrà

Dalla Guida Top 100 Migliori Vini italiani 2025 di Winemag: Colline di Levanto Dop Bianco 2023 Bonazolae, Cà du Ferrà (13%).

Fiore: 7.5
Frutto: 8.5
Spezie, erbe: 7.5
Freschezza: 8.5
Tannino: 1
Sapidità: 8
Percezione alcolica: 6
Armonia complessiva: 9
Facilità di beva: 7
A tavola: 9
Quando lo bevo: subito / oltre 3 anni

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Venezia Giulia Igt Bianco Malvasia 2018, Il Carpino


Dalla Guida Top 100 Migliori Vini italiani 2025 di Winemag: Venezia Giulia Igt Bianco Malvasia 2018, Azienda agricola Il Carpino (15%).

Fiore: 8
Frutto: 9
Spezie, erbe: 7
Freschezza: 8
Tannino: 3
Sapidità: 8
Percezione alcolica: 6
Armonia complessiva: 9
Facilità di beva: 7
A tavola: 8
Quando lo bevo: subito / oltre 3 anni

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Gli Editoriali news news ed eventi

Collio Bianco vino da uve autoctone? «Modello Barolo, non Sassicaia»


EDITORIALE – Collio Bianco vino da uve autoctone? Il modello è «Barolo, non Sassicaia». Così Andrea Drius della cantina Terre del Faét sintetizza il progetto portato avanti con 
Edi Keber, Fabijan Muzic, Cantina Produttori di Cormons, Maurizio Buzzinelli, Fabijan Korsic, La RajadeMarcuzzi Viticola. L’idea di un Collio Bianco ottenuto con i soli tre vitigni autoctoni Friulano (ex Tocai), Ribolla gialla e Malvasia Istriana si avvicina più alla tipicità territoriale espressa dalle menzioni geografiche del Nebbiolo da Barolo, che all’uvaggio bordolese dell’etichetta simbolo di Tenuta San Guido. «L’obiettivo – spiega Drius – è tornare alla tradizione e all’uvaggio storico del territorio, senza sostenere che il nostro vino sia migliore degli altri. E senza chiedere che venga preclusa la possibilità di produrre Collio Bianco anche con i vitigni internazionali».

COLLIO BIANCO VINO DA UVE AUTOCTONE: CHE CONFUSIONE

Chi decida cos’è «tipico» e cosa non lo sia, in una terra come il Collio in cui i vitigni internazionali sono presenti – e molto ben acclimatati – sin dall’Ottocento, è il vero nodo della questione. Fatto sta che, personalmente, anche dopo l’intervista rilasciatami da Andrea Drius – giovane e appassionato vignaiolo, chiaramente innamorato della propria terra – resto dell’idea che il progetto di un “Collio Bianco – vino da uve autoctone” faccia, come già detto in passato, acqua da tutte le parti. Almeno così presentato e proposto al pubblico, ormai da qualche annetto. Non è un caso che giornali generalisti con cui il gruppo di produttori si è confrontato nelle ultime settimane, abbiano combinato un pasticcio gigante nell’interpretare (malissimo) le parole del gruppo di produttori del Collio.

IL PASTICCIO DEL CORRIERE: «VERO COLLIO» SOLO CON UVE AUTOCTONE?

«I moschettieri del vero Collio», ha (colpevolmente) titolato il Corriere, nel suo inserto Extra di lunedì 2 dicembre. Instillando così nei lettori il dubbio che, sul mercato, esista anche un “finto Collio“: ovvero quello prodotto da decine di altri produttori locali che (legittimamente) scelgono di utilizzare nel blend le uve internazionali ammesse dal disciplinare in vigore dal 1991 (33, gli anni di Cristo). Un insulto, bello e buono, alla schiera di produttori che, negli ultimi decenni, hanno dato una dignità locale assoluta, “colliana” volendo coniare un eufemismo, a varietà internazionali come Sauvignon Blanc, Pinot Grigio, Riesling, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e, non ultimo, il Pinot Nero.

IL COLLIO BIANCO È GIÀ UN BRAND

Sono nate così etichette iconiche come Col Disôre di Russiz Superiore, Vintage Tunina di Jermann (pur Igt) o Studio di Bianco di Borgo del Tiglio – per citarne alcuni – che hanno reso le 6 letterine della splendida parolina “Collio” (così semplice da pronunciare, anche per gli stranieri – chiedere per credere ai siciliani che hanno dovuto cambiare nome al Cattarratto) un sinonimo internazionale di “grandi vini bianchi”, annoverabili tra i fine wines italiani di dignità galattica. Il progetto “Collio Bianco vino da uve autoctone” complica il concetto esistente, semplicissimo, di “uvaggio” del Collio Bianco.

Ed è per certi versi “arrogante”: non certo nelle intenzioni dei produttori, che continuano a sostenere di non voler alcuno scontro col resto dei colleghi o con il Consorzio, ma “nell’effetto che fa” la narrazione di un Collio Bianco intrinsecamente elitario, in quanto proposto come “storico” e “tradizionale” in un’epoca in cui lo storytelling della storicità e della tradizione, sin troppo spesso, si beve, da solo, tre quarti di bottiglia.

I NUMERI DEL COLLIO E DEL COLLIO BIANCO DA UVE AUTOCTONE

Prima di passare alle domande (e soprattutto alle risposte) rivolte ad Andrea Drius di Terre del Faét, ecco qualche cifra. Nel Collio sono presenti circa 1.240 ettari di vigneti. Nel 2023, la produzione complessiva è stata di 7,3 milioni di bottiglie. Di queste, sono 295.780 le bottiglie di Collio Bianco Doc (circa il 4% della produzione totale). Nel 2023, le aziende che aderiscono al gruppo “Collio Bianco vino da uve autoctone” hanno prodotto il 27,7% della tipologia, per una cifra che supera le 82 mila bottiglie.

Numeri che risultano oggi più sostanziosi – «oltre la metà della produzione totale», secondo le stime di Drius – grazie all’adesione di altre aziende avvenuta nel corso del 2024. A pesare sul totale in maniera decisiva è il sostengo al progetto della cooperativa Cantina Produttori di Cormons, l’azienda con più ettari vitati in tutta la zona del Collio Goriziano (120 soci e circa 330 ettari vitati fra le Doc Collio, Isonzo e Aquileia, per un totale di 2 milioni di bottiglie complessive prodotte nel 2024).

COLLIO BIANCO VINO DA UVE AUTOCTONE: INTERVISTA AD ANDREA DRIUS

Iniziamo con un inquadramento della vostra realtà. Siete un’associazione formale o un “semplice” gruppo di produttori che condivide una visione sul Collio Bianco da sole uve autoctone (Friulano, Ribolla, Malvasia istriana)?

Abbiamo pensato di costituire un’associazione, ma per il momento abbiamo deciso di non formalizzare in nessun modo la cosa. La nostra idea è quella di un gruppo aperto a chiunque apprezzi il progetto e ne condivida l’obiettivo, ovvero valorizzare il Collio. Siamo un “gruppo spontaneo” e aperto, chiunque voglia farne parte è ben accetto.

Tutte le aziende del gruppo fanno parte del Consorzio Tutela Vini Collio?

Sì, tutte le aziende sono iscritte al Consorzio.

Quando e da chi è nata, per l’esattezza, l’idea di promuovere il Collio Bianco da sole uve autoctone? Come è avvenuto il coinvolgimento degli altri produttori?

L’idea iniziale è nata da una mia chiacchierata con Kristian Keber della cantina Edi Keber. Utilizzava una scritta, sul suo Collio Bianco, che mi piaceva molto: “Vino del territorio”. Tra un bicchiere e l’altro, in maniera del tutto spontanea, gli ho chiesto di poter utilizzare la stessa scritta sulle etichette dei miei vini (Terre del Faét, ndr). La sua risposta è stata: “Sei matto? Magari tutti scrivessero una cosa del genere!”. Così, insieme, abbiamo deciso di contattare altre realtà che potevano essere d’accordo con questa idea. Ecco quindi che il gruppo si è delineato con l’adesione di Fabijan Muzic e Produttori di Cormons. Dalla piccola scritta, presente sulla retro etichetta, siamo passati a qualcosa di maggiore impatto. È nata così l’idea dell’etichetta frontale con la scritta Collio in primo piano, a livello visivo, seguita dalla formula “Vino da uve autoctone”. Un modo per consentire alla bottiglia di raccontarsi “da sola”.

I vitigni internazionali sono stati introdotti nel Collio principalmente tra la seconda metà dell’Ottocento e del Novecento. Si trattava, per lo più, di varietà a bacca rossa del taglio bordolese (Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Merlot) oltre che del Pinot Nero. Poi, all’inizio del Novecento e con rinnovato interesse nel Dopoguerra, fu la volta degli internazionali a bacca bianca, come Chardonnay, Pinot Bianco, Sauvignon e Pinot Grigio, che in molte aree italiane vengono considerati (e spesso descritti dagli stessi produttori) se non “autoctoni”, ormai come “locali”, per il perfetto acclimatamento e la tradizione consolidata nella loro vinificazione, da soli o in uvaggio. Il disciplinare del Collio Bianco include i vitigni internazionali dal 1991. Perché cambiare oggi?

Personalmente non ho una storicità così importante, ma posso raccontare i miei 10 anni di esperienza della mia cantina. La nostra intenzione non è togliere nulla a nessuno, o svilire il vino di altri. Tantomeno vogliamo dire che non si debba fare nessun altro uvaggio o tipo di blend al di fuori del “Collio Bianco vino da uve autoctone”. Un uvaggio autoctono, legato alla storia del Collio, non è in contrapposizione con l’idea di produrre un grandissimo “bianco aziendale”. Le due cose sono complementari: da una parte la massima espressione aziendale, con la massima libertà di scegliere le uve migliori a livello aziendale; dall’altra l’idea di creare qualcosa che possa essere più identitario e confrontabile e, a nostro avviso, anche più facile da comunicare.

L’unica cosa “democratica”, in grado di spiegare il territorio in maniera più uniforme, è il ricorso alla storicità della zona, andando a riproporre il vino della tradizione. Il Collio è molto frammentato a livello di numero di aziende e ognuna punta su cose diverse. Per questo, il Collio Bianco vino da uve autoctone è una piccola àncora per un racconto comune da proporre al pubblico, in modo molto facile e diretto, perché non si basa su un’idea aziendale ma sul territorio. La nostra speranza è che tra 20, 30 40 anni ci si interessi poco delle varietà con cui è prodotto il Collio Bianco. Ma si sappia cosa aspettarsi. Dall’altro lato continuerebbero ad esistere i grandi blend aziendali, con i loro nomi di fantasia.

Non credete di correre il rischio che la vostra “battaglia” rispecchi più interessi particolari – del vostro gruppo di aziende – che di territorio? Mi spiego meglio: salta all’occhio il fatto che il vostro gruppo punti tutto sui vitigni, ovvero sulla base ampelografica di una tipologia, il Collio Bianco per l’appunto. In altri territori, invece, ci sono gruppi di produttori che fanno “pressione” sui Consorzi per potare avanti tematiche come produzione biologica, sostenibilità, riduzione dell’impronta carbonica delle aziende. Oppure, sempre sul fronte produttivo, molti vignaioli e cantine avvedute chiedono il riconoscimento di sottozone, cru, parcelle. I vitigni internazionali nel Collio Bianco sono davvero un problema? Per chi?

La scritta “vino da uve autoctone” è una piccola spiegazione, ma il nostro obiettivo è creare un bianco che abbia forte identità, per parlare sempre meno delle uve. Quello che per noi è importante è slegarci dalle tante varietà utilizzate, con un “Collio vino della tradizione”. Il focus non è sul “vino da uve autoctone”. Il nostro gruppo parla sempre e solo di Collio, di territorio. Con altri tipi di vini ci si sofferma invece sulle tecniche di vinificazione o su altri aspetti che noi raramente affrontiamo, nel presentare il nostro progetto. Non vogliamo togliere né, paradossalmente, aggiungere nulla. Il Collio fatto in questo modo, volendo, è già tranquillamente all’interno del disciplinare. La nostra idea è che sarebbe bello riuscire a creare qualcosa di più confrontabile, parlando sempre meno delle uve. Non credo che questo porti confusione, anzi. Porta curiosità. Non abbiamo inventato nulla.

Per fare un esempio stupidissimo, ma di impatto, la nostra speranza è di “fare il Barolo” e non il Sassicaia. Cru, sottozone eccetera sono tutte cose affascinanti. Penso che a noi manchi lo step precedente. Giustissimo parlare di sottozone a Barolo, territorio con un’identità molto forte che consente il racconto delle piccole differenze che esistono tra una sottozona e l’altra. La gente, soprattutto del settore, ha molto ben in testa cos’è Barolo. Noi siamo al passaggio precedente. Sarebbe molto più importante creare una grande identità di territorio. Per farlo, basta un prodotto che lo racconti e che ne diventi l’immagine. In questo momento, a mio avviso, solo la Ribolla Gialla fa pensare al Collio: Friulano e Malvasia molto meno. Dobbiamo trovare qualcosa che faccia da filo conduttore, da collante, per poi, nel passaggio successivo, raccontare le differenze tra Cormons, Oslavia e San Floriano… Va costruito qualcosa che ci unisca.

Il vostro fine ultimo è modificare il disciplinare attuale, per fare in modo che il “Collio Bianco” sia solo da uve autoctone, oppure propendete per l’introduzione di una nuova tipologia con queste caratteristiche?

Da parte nostra non c’è alcuna volontà che il Collio Bianco diventi “solo da uve autoctone”. La storia dei grandi uvaggi va rispettata e quindi crediamo nel valore dei binari complementari ma separati, anche nella stessa azienda. Sul primo binario un vino da uve autoctone. E su un altro un blend che rispecchi lo stile e il meglio dell’azienda. Come gruppo non abbiamo mai proposto l’inserimento di una nuova tipologia. Ovviamente, se questa idea di vino fosse un giorno formalmente inserita nel disciplinare, si tratterebbe della chiusura del cerchio. Del coronamento. In questo momento, la cosa più importante è coinvolgere più aziende possibili, per far crescere il progetto. Se ne sta discutendo anche all’interno del Consorzio. Vedremo come andrà avanti, ma non c’è l’idea di modificare il Collio Bianco esistente.

Il dialogo con il cda del Consorzio Vini Collio è aperto?

Siamo in una situazione di fine mandato. Molti sono d’accordo con noi. Qualcuno, come sempre accade, è meno convinto. Ma siamo agli inizi. A livello consortile, sarà importante il prossimo mandato. Dalla prossima primavera capiremo se c’è la volontà di ragionare a livello formale sul progetto, insieme al prossimo cda del Consorzio. Credo sia impossibile mettere d’accordo tutti. L’importante sarà non impantanarsi cercando l’approvazione totale. Questo causerebbe immobilismo, col rischio che la questione venga accantonata. Formalmente, la dicitura “vino da uve autoctone” potrebbe rivelarsi sbagliata, perché anche un Ribolla 100% potrebbe avere quella dicitura. Ma è secondario che porti questa o quella scritta. Nel 2017, per un vino simile a quello da noi proposto era stata avanzata l’ipotesi di chiamarlo “Gran Selezione”, ma la cosa è finita nel dimenticatoio. Di fatto sarebbe questa la nostra idea: Friulano dal 50 al 70%, e un 15-30% di Ribolla-Malvasia, con uscita sul mercato a 24 mesi. Il nome verrà trovato. L’importante è che sia ben visibile la scritta “Collio”.

Estremizzando il concetto: siete pronti a scelte drastiche, come uscire dal Consorzio, qualora la vostra proposta non fosse presa seriamente in considerazione?

Siamo aziende singole con un’idea comune e ognuno, a seconda dei propri rapporti con i membri del Consorzio, deciderà cosa fare. Tutto sommato, quello che proponiamo è già previsto dall’attuale disciplinare. Bisogna cercare di essere costruttivi e non vedo per quale motivo dovremmo arrivare ad uno scontro. Qualcuno forse storce il naso perché il nostro progetto viene percepito bene. Ma dobbiamo uscire dall’ottica che se si parla bene dei vicini, questo tolga qualcosa a me. Il focus è il Collio: chiunque lo faccia emergere come eccellenza, lo fa per tutti.

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degustati da noi vini#02

Veneto Igt Bianco 2020 “Origini”, Vigne al Colle

Il Veneto Igt Bianco 2020 “Origini” della cantina Vigne al Colle è uno dei vini presenti nella Guida Top 100 Migliori vini italiani 2023 di winemag.it, nella particolare sezione dedicata ai “Vini macerati”. Giallo oro carico, per l’appunto, per questo macerato da uve Garganega e Moscato bianco non filtrato, che fermenta a contatto con le bucce, vinificato come un tempo.

Nasce a nord di Rovolon, su suoli vulcanici. Naso ampio, generoso, agrume e frutta esotica. Gran freschezza e sapidità, in allungo. Il Veneto Igt Bianco 2020 “Origini” della cantina Vigne al Colle è un vino che abbina una gran beva a una struttura poliedrica per l’abbinamento, mostrando tutte le potenzialità del micro terroir vulcanico di Rovolon, sui Colli Euganei.

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degustati da noi vini#02

Falerno del Massico Doc Bianco 2021, Villa Matilde Avallone

Il Falerno del Massico Doc Bianco 2021 della cantina Villa Matilde Avallone è uno dei vini bianchi presenti nella Guida Top 100 Migliori vini italiani 2023 di winemag.it. Falanghina in purezza, che si presenta nel calice di un giallo paglierino, con riflessi dorati. Una Falanghina sui generis, vinificata parzialmente in anfora di terracotta, oltre che in acciaio.

Una vinificazione che garantisce, anzi regala, un’esplosione dei primari a questo vino della piccola Doc della provincia di Caserta. Frutto e caratteristiche del suolo vulcanico si amalgamano in un tutt’uno unico. Il frutto, polposo, bianco e giallo, accarezza la spina dorsale minerale. Gran beva, senza rinunciare al carattere. Una chicca.

Guida top 100 – 2023

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degustati da noi vini#02

Sicilia Doc Bianco 2019 “Bertolino Soprano”, Mandrarossa

Il Sicilia Doc Bianco 2019Bertolino Soprano” di Mandrarossa è uno dei vini bianchi presenti nella Guida Top 100 Migliori vini italiani 2023 di winemag.it. Giallo paglierino leggermente velato. Profumatissimo, sa di Sicilia, terra d’elezione delle uve Grillo, vinificate in purezza.

Ecco zagara, agrumi, fico. Beva instancabile, spinta come una corrente dall’energia dell’agrume, fresca e dissetante, unitamente alla vena sapida. I ricordi di erbe della macchia mediterranea si allungano dal naso al palato, chiudendo una grande annata di questa etichetta iconica di Mandrarossa.

Guida top 100 – 2023

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Vini al supermercato

Spumante Extra Dry Bianco e Rosé: le novità di Notte Rossa

Sono ottenuti da uve tipiche del Salento i due nuovi spumanti Notte Rossa. Si tratta di uno Spumante Extra Dry Bianco e di uno Spumante Extra Dry Rosé, interamente prodotti dalla cantina Terre di Sava in provincia di Taranto. Le “bollicine” mancavano a una linea di vini pugliesi ampiamente diffusa nei supermercati italiani, che comprende già le principali denominazioni del Salento, con le punte di diamante Primitivo e Negroamaro.

I nuovi spumanti Extra Dry Notte Rossa segnano così l’esordio in un mercato, quello degli sparkling, che in Italia come all’estero sta registrando un vero e proprio boom. Non solo. Le due nuove etichette di Terre di Sava consentono, ancor più, di iniziare e terminare un pasto scegliendo i vini della linea Notte Rossa, spesso in grado di aggiudicarsi i “cinque cestelli della spesa” nella speciale scala di valutazione Vinialsuper.

LE NOVITÀ NOTTE ROSSA

Vinificazione e affinamento dello Spumante Extra Dry Bianco e dello Spumante Extra Dry Rosé Notte Rossa sono molto simili. Le uve, raccolte in Salento, crescono a 100 metri sul livello del mare, in un clima caratterizzato da alte temperature durante l’anno, rare precipitazioni e forte escursione termica. I terreni sono misti, con buona presenza di calcare.

Per preservare l’acidità, le uve vengono raccolte manualmente all’inizio del mese di agosto, alle prime ore del mattino. Vengono quindi pressate in maniera soffice e solo la prima frazione di mosto fiore, quella più pregiata, viene fermentata a bassa temperatura. La presa di spuma avviene in autoclave (grandi contenitori di acciaio), dove il vino rimane per circa un mese sui propri lieviti. Il successivo affinamento avviene in bottiglia, a temperatura controllata.

SPUMANTE BIANCO E ROSÈ EXTRA DRY

Leggermente diversi i terreni in cui affondano le radici le viti utili alla produzione dello Spumante Extra Dry Rosé Notte Rossa. I suoli sono a medio impasto argilloso, poco profondi e con buona presenza di scheletro. Il particolare colore rosato viene assicurato grazie a un sapiente contatto con le bucce: quanto basta per ottenere il colore luminoso e brillante che si può ammirare nel calice e, ancor prima, nella bottiglia.

Anche in questo caso, solo la prima frazione di “mosto fiore” viene fermentata a bassa temperatura. La presa di spuma avviene a sua volta in autoclave, dove il vino rimane per circa un mese sui propri lieviti, prima dell’affinamento in bottiglia a temperatura controllata. Entrambi i nuovi spumanti Extra Dry Notte Rossa possono essere conservati per due anni, mantenendo intatte le proprie caratteristiche.

Spumante Extra Dry Notte Rossa
Spumante Extra Dry Rosé Notte Rossa
Prezzo: 6,90 euro
Dove acquistare: Scelgo Cash&Carry, Sidal Cash&Carry, Crai Campania, Supermercati Ottimo, Despar Puglia, D’Ambros, Dimar (Mercatò), GDA (Futura Supermercati)

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Vini al supermercato

Spumante Extra Dry Bianco Notte Rossa

(4,5 / 5) Lo Spumante Extra Dry Notte Rossa è una delle novità 2022 di Terre di Sava, disponibile in alcuni supermercati prima di Natale. Alla versione “Bianco” si affianca la versione Extra Dry Rosé. Entrambi gli spumanti sono ottenuti da uve tipiche del Salento.

Nel calice, lo Spumante Extra Dry Bianco Notte Rossa si presenta di un bel giallo paglierino luminoso, ravvivato da un perlage fine e persistente. Al naso ricordi di agrumi, frutta a polpa gialla e frutta esotica, oltre a un leggerissimo richiamo alla crosta di pane. Un quadro morbido, sinuoso, che invita all’assaggio.

LA DEGUSTAZIONE

Al palato le aspettative vengono confermate da un sorso setoso, dominato dai ritorni di frutta matura avvertiti al naso. La spuma, cremosa e avvolgente, gioca la stessa partita: un sorso chiama l’altro, invogliato anche dalla fresca acidità che si confà alle caratteristiche dei migliori spumanti.

D’altro canto, il residuo zuccherino Extra Dry, comune a molti Prosecco, è molto ben integrato: non stanca e, soprattutto, non lega il palato, invogliando appunto a berne un altro po’. Le caratteristiche dello Spumante Extra Dry Bianco Notte Rossa, da servire ben freddo per apprezzarne al meglio il corredo, lo rendono perfetto a tutto pasto. Ottimo l’abbinamento con piatti a base di pesce, tanto quanto con le carni bianche.

VINIFICAZIONE E AFFINAMENTO

Vinificazione e affinamento dello Spumante Extra Dry Bianco seguono un procedimento ben studiato. Le uve, raccolte in Salento, crescono a 100 metri sul livello del mare, in un clima caratterizzato da alte temperature durante l’anno, rare precipitazioni e forte escursione termica. I terreni sono misti, con buona presenza di calcare. Per preservare l’acidità, le uve vengono raccolte manualmente all’inizio del mese di agosto, alle prime ore del mattino.

Vengono quindi pressate in maniera soffice e solo la prima frazione di mosto fiore, quella più pregiata, viene fermentata a bassa temperatura. La presa di spuma avviene in autoclave (grandi contenitori di acciaio), dove il vino rimane per circa un mese sui propri lieviti. Il successivo affinamento avviene in bottiglia, a temperatura controllata. Lo Spumante Extra Dry Bianco Notte Rossa può essere conservato per due anni, mantenendo intatte le proprie caratteristiche.

Prezzo: 6,90 euro
Dove acquistare: Scelgo Cash&Carry, Sidal Cash&Carry, Crai Campania, Supermercati Ottimo, Despar Puglia, D’Ambros, Dimar (Mercatò), GDA (Futura Supermercati)

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Food Lifestyle & Travel

Quando cresce il tartufo? La risposta (in pillole) degli esperti

Quando cresce il tartufo? Una domanda che si saranno posti tutti gli amanti del prezioso fungo appartenente alla famiglia delle Tuberacee. Un quesito che torna alla ribalta proprio mentre, in Italia, si è ufficialmente aperta la stagione di raccolta del Tuber magnatum Pico, ovvero il tartufo bianco, tra i più apprezzati e ricercati tra tutte le tipologie commestibili.

Il tartufo, in realtà, cresce tutto l’anno, nelle sue varie specie. Il tartufo bianco va da Settembre a Dicembre, così come il tartufo uncinato. Tra Novembre e Marzo è la volta del nero pregiato. Da Gennaio ad Aprile è il turno del bianchetto e da Maggio ad Ottobre del nero estivo.

TARTUFO BIANCO O NERO, QUANDO CRESCE?

Ce n’è per tutti i gusti e per tutte le tasche. Qualunque tipologia deve tuttavia rispondere ai requisiti PCC – Profumo, Consistenza e Colore, per essere considerato buono. Secondo gli esperti, il profumo deve essere «rotondo», grazie alla perfetta maturazione. Il colore brillante e la consistenza equilibrata.

Come per i migliori vini, la cui qualità dipende dalle uve, anche la raccolta del tartufo può dare diversi risultati, di anno in anno. A confermarlo è Luigi Dattilo di Appennino Food Group Spa, riferendosi al pregiato bianco.

«Si prevede una raccolta migliore rispetto allo scorso anno – spiega – ma non sarà certo un annata particolarmente produttiva come il 2011. A condizionare l’esito è l’andamento climatico del 2022, caratterizzato da grande siccità».

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degustati da noi vini#02

Venezia Giulia Igp Bianco 2018 1090M Nord Ovest, Sassocorno

Brilla una nuova stella nella parte nord orientale del cielo del vino italiano. È il Venezia Giulia Igp Bianco 2018 1090M Nord Ovest della cantina Sassocorno. Circa 6 gli ettari di proprietà di questa nuova realtà di Corno di Rosazzo (Udine), fondata nel 2017 come La Badie Società semplice agricola.

L’anima del progetto è variopinta. Stefano Poser, 39 anni, medico dello sport e winemaker autodidatta (già alla dodicesima vendemmia, la quarta a Sassocorno), è affiancato dalla moglie Francesca Ius, 39 anni, imprenditrice agricola.

C’è poi Diego Tomasella, 49 anni, ingegnere meccanico e «agronomo autodidatta», assieme alla moglie Loretta Silvestrini, 46 anni, assistente sociale e addetta alla comunicazione dell’azienda agricola. «Sì, siamo una realtà piuttosto originale», commenta a winemag.it Stefano Poser, nel mettere assieme i pezzi di un puzzle che convince, dentro e fuori dal calice.

SASSOCORNO – LA BADIE: VECCHIE VIGNE E BIODIVERSITÀ

Il focus della nuova cantina di Corno di Rosazzo sono le vigne vecchie di collina, che occupano la metà della superficie vitata, all’ombra dell’Abbazia di Rosazzo. Monumenti naturali di età compresa tra i 50 e i 100 anni, circondati da boschi e stuzzicati dal ronzio delle api, parte integrante del “disegno biodiverso” della cantina Sassocorno.

Tra le varietà di vite, la parte del leone è quella del Friulano e del Merlot. «I nonni piantavano questo», ricorda Stefano Poser. Ci sono poi piante di Malvasia, Refosco e Schioppettino, autoctoni del Friuli Venezia Giulia. «Queste ultime – continua il winemaker – stanno entrando in produzione con molta gradualità e prudenza».

A breve andranno in bottiglia Malvasia 2020, Refosco 2020, Friulano 2019 in due distinti cru. Così come Rosso 2019 e Merlot 2018. Nel frattempo, tra i due vini già disponibili sul mercato, il Venezia Giulia Igp Bianco 2018 1090M Nord Ovest mostra tutte le potenzialità di Sassocorno.

Ancora qualche pennellata – soprattutto in termini di pulizia ed equilibrio – e il Venezia Giulia Igp Rosso Cuar 2018 120M Ovest saprà fare da contraltare a un bianco di grandissima caratura. La via di questa nuova cantina di Corno di Rosazzo, già brilla d’un futuro luminoso.

VENEZIA GIULIA IGP BIANCO 2018 1090M NORD OVEST: LA DEGUSTAZIONE

Alla vista, la prima etichetta messa in commercio da Sassocorno appare di un giallo pieno, con sfumature orange. Questa la veste con cui si presentano all’altare del calice Friulano e Ribolla gialla (netta predominanza del primo, nell’uvaggio). Varietà fermentate spontaneamente e affinate per 2 anni, prima dell’imbottigliamento.

Oltre a catturare lo sguardo, il vino stuzzica sin da subito il naso con una nota che riporta dritta al Collio e alla sua Ponca (il noto flysch di Cormons), capace di fare di ribattere colpo su colpo alla generosità della frutta esotica matura.

Ecco dunque richiami botritici all’albicocca e alla pesca sotto sciroppo, così come note che richiamano toffee e vaniglia bourbon, a conferire complessità e materia a un quadro che si arricchisce delle caratteristiche “essenziali” del terroir locale. Un disegno armonico, stratificato e conturbante, che rende merito a Stefano Poser e al savoir fair ormai collaudato nell’utilizzo millimetrico di legno e ossigeno.

In bocca, il Venezia Giulia Igp Bianco 2018 1090M Nord Ovest entra morbido, su una corrispondenza gusto olfattiva in cui le sole note minerali e fumé lasciano spazio allo zenzero candito. Poi il nettare si tende come un arco su una freschezza d’agrume, che ricorda in maniera marcata il cedro.

Quando il sorso vira sul tannino sembra destinato a spegnersi a breve, come una candela che s’arrende al buio, sfidata dal vento. Ma poi si riaccende e regala una chiusura piena, sul frutto maturo a polpa gialla (riecco le note da “muffa nobile”) e su una sapidità intensa (riecco la Ponca). Chiusura di sipario assoluta su ricordi d’un fresco bergamotto.

Uno di quei vini, in definitiva, che denota la gran mano del vignaiolo, unità alla gioventù del nettare. Un orange completo, in cui le componenti ossidative esaltano il vitigno, anzi ancor più il terroir, al posto di sotterrarlo sotto quella coltre d’omologazione che, troppo spesso, attanaglia la tipologia dei macerati.

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Vini al supermercato

Pomino Bianco Doc 2019, Frescobaldi

(5 / 5)

Pomino Bianco 2019 di Frescobaldi è uno dei vini presenti nella Guida Migliori vini al Supermercato 2022 di Vini al Supermercato. Alla vista si presenta di un giallo paglierino luminoso.
Tanto agrume al naso, assieme alla frutta esotica. In bocca, Pomino Bianco 2019 è un vino essenziale, pur nella sua estrema concretezza. Ritorni di agrumi, tropicale (ananas), al palato.
Chiusura su accenno di mandorla, asciutto. Vino super beverino, piacevolissimo. Lo trovi in vendita nei supermercati e ipermercati dell’insegna Il Gigante.
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degustati da noi vini#02

Südtirol Alto Adige Doc Bianco 2020 Laven Bio, Cantina Bolzano

Alte aspirazioni per il Südtirol Alto Adige Doc Bianco 2020 Laven Bio di Cantina Bolzano. Il nuovo vino di casa Kellerei Bozen, riservato al mercato Horeca, punta a esaltare la lava vulcanica da cui ha avuto origine la piastra porfirica bolzanina. Il nome “Laven” non è infatti un caso.

«Il porfido bolzanino – spiega Cantina Bolzano – è una testimonianza, rossa fiammante, dell’energia vulcanica che l’ha creata. Il magma raffreddato e cristallizzato è stato portato in superficie dalla profondità della terra. Il susseguirsi delle eruzioni ha modellato la conca bolzanina e le colline circostanti, come da un maestro artigiano».

Una storia baciata dalle radici delle piante di Chardonnay, Pinot Bianco e Pinot Grigio, le tre varietà scelte per la prima “edizione” di Laven Bio 2020. «Il nostro nuovo vino bianco biologico racconta questo sottosuolo speciale, su cui crescono le viti. Unisce le tre varietà di punta dell’Alto Adige, allevate a Guyot sui terreni porfirici intorno a Bolzano e sul Renon, a 600 metri sul livello del mare».

Le uve maturano alla luce del sole del sud, prima di essere raccolte a mano e pressate in modo molto delicato. Fermentazione alcolica e malolattica si compiono sulle fecce fini. L’affinamento avviene  in contenitori di cemento, rovere (Pyramid) e acciaio.

Le scelte dell’enologo Stefan Filippi e del management di Cantina Bolzano – alla presidenza Michael Bradlwarter e alla direzione Klaus Sparer – sono tutte volte a conferire un carattere unico alla nuova release. «Una cuvée – spiegano all’unisono – che nella sua naturalezza biologica ricorda le origini di Bolzano. Allo stesso tempo, è un vino molto contemporaneo».

LAVEN BIO, LA DEGUSTAZIONE

Südtirol Alto Adige Doc Bianco 2020 Laven Bio, Cantina Bolzano

Il vino si presenta nel calice di un giallo paglierino, con riflessi verdolini. Al naso è intenso ed elegante, su note molto precise di frutta esotica. Spiccano un’ananas e una papaia di perfetta maturità, per la parte polposa. La croccantezza è tutta appannaggio delle note di mela gialla, pera e pesca nettarina.

Sottofondo vanigliato, con uno sbuffo prezioso di pepe bianco che danza sulle venature minerali, pietrose. Al sorso abbina amabilmente le parti “dure” – freschezza e percezione salina, iodica – a quelle “morbide”, della frutta matura. Un gioco che accompagna tutta la beva: dall’ingresso di bocca, fruttato e salino, alla chiusura, fresca ed elegante. Perfetta la corrispondenza delle note, tra naso e palato.

Il nuovo vino bianco Laven Bio 2020 di Cantina Bolzano si abbina alla perfezione a piatti come zuppe di pesce, insalate e preparazioni a base di verdure. La buona struttura del bianco consente anche il food pairing con formaggi di media stagionatura. Importante la temperatura di servizio, attorno ai 12 gradi centigradi.

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degustati da noi vini#02

Marisa Cuomo, Costa d’Amalfi da en plein

Marisa Cuomo è una cantina simbolo non solo della Campania, ma di una vera e propria gemma italiana famosa nel mondo: la Costa d’Amalfi. Un nome che, da solo, è capace di evocare paesaggi incantati, dominati da scogliere a picco sul mare e spiagge da cartolina.

La Banca d’Italia calcola che, ogni anno, prima dell’emergenza Covid-19, l’indotto del turismo straniero superi i 350 milioni di euro in questo spicchio della Provincia di Salerno, con epicentro nei comuni di Amalfi, Positano, Ravello, Maiori e Minori.

Proprio qui hanno trovato casa Marisa Cuomo e Andrea Ferraioli, presenti nella Guida Top 100 Migliori vini italiani 2021 di WineMag.it con ben quattro vini: Costa d’Amalfi Doc Furore Bianco 2018 “Fiorduva”, Costa d’Amalfi Doc Ravello Bianco 2019, Costa d’Amalfi Doc Furore Rosso Riserva 2016 e il “vino quotidiano” Costa d’Amalfi Doc Bianco 2019. Un vero e proprio en plein.

LA DEGUSTAZIONE
Costa d’Amalfi Doc Furore Bianco 2018 “Fiorduva”, Marisa Cuomo
Giallo paglierino carico. Il bianco più complesso della cantina. Pienezza del sorso data dalla grande maturità del frutto ed una vena salina, iodata, marcata. Tanto sapido in bocca da sembrare servito su una barca, in mezzo al mare.

Costa d’Amalfi Doc Ravello Bianco 2019, Marisa Cuomo
Giallo paglierino. Meno complesso di “Fiorduva”, ma coinvolgente nella sua estrema verticalità. Acidità affilata e tagliente; sapidità accentuata. Note vestite e ammantate dalla frutta matura. Un vino di mare fresco, godibile e senza fronzoli.

Costa d’Amalfi Doc Furore Rosso Riserva 2016, Marisa Cuomo
Rosso rubino, unghia violacea. Note di frutta matura e tocchi di spezia. Concentrato. Sorso estremamente bilanciato, tra frutto pieno e morbido e durezze saline. Terreno calcareo che gioca un ruolo determinante in questo equilibrio.

Costa d’Amalfi Doc Bianco 2019, Marisa Cuomo
Più salino e verticale di “Furore” coinvolge il naso con tutta la gamma delle erbe mediterranee. Riempie la bocca in maniera stupenda, alternando la vena glicerica alla freschezza. Vino da non perdere.

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degustati da noi vini#02

Cinque vini sotto i 15 euro per le Feste dalla Top 100 Migliori vini italiani WineMag.it

Cinque vini dall’ottimo rapporto qualità prezzo, inferiore ai 15 euro, per le Feste di Natale e Capodanno dalla Top 100 Migliori vini italiani 2021 di WineMag.it. Si tratta di etichette inserite nella sezione “Vino quotidiano” della Guida Vini edita dalla nostra testata indipendente, grazie a una rigorosa degustazione alla cieca.

  • Pavia Igt Chardonnay 2019 “Il Fermo”, Finigeto
    Giallo paglierino, leggeri riflessi verdolini. Naso tipicissimo, con un po’ di agrume e frutto pieno. In bocca si allarga sulla frutta esotica ma in chiusura di sipario sorprende per la matrice calcarea e per quanto risulti asciutto ed equilibrato. Un’ottima espressione dello Chardonnay in Oltrepò pavese.
  • Capriano del Colle Doc 2019 “Fausto”, Lazzari
    Giallo paglierino, acceso. Naso con tocco di mandorla, frutta esotica, ananas. Gran bella “spinta” calcarea. Bella verticalità, sembra quasi un bianco di montagna. Asciutta la chiusura, elegantissima.
  • Lazio Igp Moscato 2019, Casa della Divina Provvidenza
    Giallo paglierino, naso pieno, aromatico. Banana, ananas, tocco tropicale e di lime che raddrizza il sorso. Ben equilibrato e bel retro olfattivo. Un ottimo “vino quotidiano”, a un passo dall’ingresso nella “Top 100” WineMag.it 2021.
  • Lacryma Christi del Vesuvio Rosato 2019 “Munazei”, Casa Setaro
    Rosso carico, corallo. Naso con richiami esotici, ma anche di fragoline, lamponi, ribes e banana. Bel sorso pieno con un allungo fresco e salino su note agrumate.
  • Sicilia Monreale Doc Bianco 2019 “Murriali”, Baglio di Pianetto
    Giallo paglierino, naso non esplosivo, delicato, floreale fresco e fruttato. Vino che riempie bene la bocca, in un gioco prezioso tra morbidezze e durezze. Bella macchia mediterranea sul frutto esotico maturo.

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news news ed eventi

Lugana Doc, stoccaggio del 15% della vendemmia 2020 per il bianco del Garda

La delibera dell’Assemblea dei 140 soci del Consorzio Lugana dovrà passare all’esame delle Regioni Lombardia e Veneto, per l’ufficializzazione. Ma la proposta è chiara: nell’anno del Covid-19, i produttori della nota Denominazione interregionale Lugana Doc hanno deciso di destinare il 15% della produzione della vendemmia a stoccaggio.

Fra le varie contromisure possibili si è scelta, per dirla con le parole del Consorzio, “la più flessibile“: “Lo stoccaggio, infatti, per natura è reversibile e permetterebbe di svincolare una parte o tutto il vino in un secondo momento, qualora le condizioni di mercato ed il livello delle giacenze lo consentissero”.

Il Consorzio ha quindi scelto una via che “mette l’intera filiera nelle condizioni di gestire con lungimiranza i volumi di prodotto ottenuti dalla prossima vendemmia, cercando di garantire un processo equo di distribuzione e di stabilizzare le dinamiche di mercato”.

L’ente che tutela il grande bianco del lago di Garda ha deciso di affrontare “con decisione” la criticità di un eccesso di potenziale produttivo rispetto alla domanda di mercato, così da “evitare di accentuare gli squilibri già presenti in Filiera”.

“L’Assemblea – sottolinea il presidente Ettore Nicoletto si è espressa in modo netto nella sua sovranità. La nostra priorità resta la difesa del valore, della qualità, del prestigio e della reputazione che la Doc ha costruito nel corso dei decenni, in Italia e all’estero in continuità con i presidenti che mi hanno preceduto”.

Con questa decisione si vuole salvaguardare il futuro del Lugana e per farlo è necessario agire con strumenti e misure di governo dell’offerta, come lo stoccaggio, allo scopo di gestire in maniera coerente i volumi di prodotto, togliere pressione alla filiera ed attenuare il potenziale effetto negativo sui prezzi delle uve e del vino”.

“I provvedimenti deliberati in passato, così come la decisione odierna – continua Nicoletto –  hanno certamente permesso di consolidare il posizionamento del Lugana tra i bianchi italiani di prestigio e indicano con chiarezza la strada da seguire per dare nuovo slancio ai processi di creazione di valore a vantaggio di tutti gli anelli della filiera – dalla vigna alla bottiglia – che solo i vini di pregio, e come tali riconosciuti dal mercato, possono alimentare, con ricadute positive anche su tutto il territorio”.

Il Consorzio aveva introdotto già lo scorso anno provvedimenti virtuosi per ridurre il gap tra giacenze e imbottigliato. “Un percorso – ricorda il direttore Andrea Bottarel – che stava dando i risultati auspicati, grazie anche all’ottima performance del primo bimestre del 2020, che ha poi sfortunatamente subito un nuovo contraccolpo a causa dell’emergenza sanitaria dei mesi di marzo, aprile e maggio”.

Pur assistendo a una considerevole ripresa della denominazione, che sta dimostrando il proprio potenziale, difficilmente si riuscirà a raggiungere la crescita necessaria a un equilibrio immediato”.

Dal confronto progressivo dell’imbottigliato dei primi 7 mesi del 2020 con l’analogo periodo del 2019, emerge una crescita del 5,8%, con una previsione di chiusura degli imbottigliamenti del 2020 in positivo rispetto al 2019 (per un totale di quasi 23 milioni di bottiglie). “Un caso quasi unico nel panorama italiano”, evidenzia Bottarel.

Ma la forbice di performance fra le varie realtà aziendali è piuttosto ampia, proprio perché la disparità di condizioni tra i diversi canali di distribuzione (Horeca e GDO in primis), che si è venuta a creare durante il lockdown, ha impedito che questa crescita si distribuisse in modo uniforme sia orizzontalmente, sia verticalmente all’interno della filiera.

Lo stoccaggio del 15% è la soluzione raccomandata anche dall’approfondita analisi che il Centro Interdipartimentale per la ricerca in Viticoltura ed Enologia (Cirve) dell’Università di Padova ha condotto negli scorsi mesi e che è stata condivisa con i consorziati prima dell’Assemblea.

La relazione tecnico-economica sullo stato della Doc Lugana ha evidenziato infatti come la Denominazione abbia sperimentato nel nuovo secolo una crescita particolarmente accentuata del suo potenziale produttivo, con le superfici iscritte che si sono di fatto quadruplicate tra il 2000 e il 2018.

La produzione è cresciuta parallelamente: con la vendemmia 2018 è stato raggiunto un massimo pari a quasi 180 mila ettolitri. Ma nel 2019, grazie agli interventi di contenimento dell’offerta, la vendemmia ha dato luogo a una produzione più in linea con la media degli anni precedenti.

Nonostante l’eccellente performance degli imbottigliamenti (che a fine 2019 hanno raggiunto i 21,8 milioni di bottiglie), l’aumento delle vendite non è stato però perfettamente proporzionale alla crescita della produzione.

“L’autocontrollo dell’offerta al mercato finale messo in atto dalla filiera – sottolinea il Consorzio del Lugana – ha per ora consentito di contenere gli effetti negativi sul prezzo della bottiglia, ma appare necessario continuare a porre in atto misure basate sullo stoccaggio amministrativo di una quota della produzione, in attesa di un consolidamento della ripresa”.

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degustati da noi vini#02

Aspetta il Gavi che lui t’aspetta: verticale Gavi Marchese Raggio 2015, 2016 e 2017

Tre annate di Gavi del Comune di Gavi Docg di Marchese Raggio – La Lomellina (2017, 2016 e 2015) che dimostrano l’assunto: aspetta il Gavi, che lui t’aspetta. Il bianco piemontese, per l’esattezza alessandrino, “invecchia” bene. Il tasting in verticale.

  • Gavi del Comune di Gavi Docg 2017, Marchese Raggio – La Lomellina (14%): 89/100
    Giallo paglierino tenue, ottima luminosità. Primo naso intenso e da subito elegante, fiori bianchi freschi e agrumi, buccia di lime, pesca, ananas e un tocco di radice di liquirizia. In bocca un’ottima freschezza, ingentilita a dovere dai 14% d’alcol in volume. Il sorso si allunga su note di pesca tabacchiera (quella a polpa a bianca) che ricordano il melone bianco, su un sottofondo agrumato e iodico. Bel vino, anche dal punto di vista della gastronomicità.
  • Gavi del Comune di Gavi Docg 2016, Marchese Raggio – La Lomellina (13%): 87/100
    Giallo paglierino pieno, primi flebilissimi riflessi dorati. Naso più profondo, con le note di radice di liquirizia ancora più in primo piano. La frutta non manca. Sono i ricordi di pesca, in particolare, a farsi largo con l’ossigenazione. Ancora più evidente la mineralità, che asciuga il sorso, nonostante il buon apporto glicerico (13%). Il sorso è più snello del precedente, ma salinità e freschezza fungono ancora da spina dorsale. Altro bel vino con cui giocare in cucina. Va detto: fra i 3 in batteria, il più stanco.
  • Gavi del Comune di Gavi Docg 2015, Marchese Raggio – La Lomellina (13%): 90/100
    Giallo paglierino netto, accenni dorati sarcastici. Primo naso su uno sbuffo di idrocarburo, ma è la parte vegetale che sorprende maggiormente. Alla consueta nota di radice di liquirizia si abbinano ricordi di verbena, mentuccia e un tocco mediterraneo, di rosmarino fresco.L’ossigenazione lascia spazio a ricordi umami (per intenderci la salsa di soia o il “mono-glutammato di sodio”, per i tecnici all’ascolto). La complessità olfattiva è degna di un’ulteriore attesa dell’espressione globale del nettare nel calice, a costo che si scaldi un poco.Un rischio che vale la pena di correre, per poi rinfrescare il bicchiere prima dell’assaggio, con un altro goccio. Qualche minuto ancora e nasce un fiore bianco dal giallo luminoso di cui si è ormai vestito il calice: più biancospino che glicine. Un gesto di coraggio, che dà il largo ad altri slanci “giovanili”. Si distingue nettamente una bella componente fruttata, esotica: ananas e pesca sui ricordi d’agrume perfettamente maturo.Ingresso di bocca piuttosto morbido, prima di una buona tensione dettata dall’acidità, ancora viva: il sorso è in definitiva fresco, all’insegna di un vino che ha ancora molto da raccontare, nella sfida col tempo. L’ultima parola, prima della chiusura del sipario, è su un ritorno delle morbide note fruttate avvertite in ingresso, senza che la freschezza ceda affatto il passo.

LA VINIFICAZIONE

L’area di produzione, come suggerisce l’etichetta, è quella del Comune di Gavi, nell’Alessandrino, in Piemonte. I vigneti di Cortese, con esposizione a Sud-Est, si trovano a un’altitudine compresa tra 250 e 280 metri sul livello del mare.

Il suolo è composto da marne sabbiose che conferiscono una resa di 70 quintali per ettaro. Le uve Cortese, utili alla produzione del Gavi del Comune di Gavi Marchese Raggio, vengono raccolte solitamente nella seconda metà di settembre. La vendemmia è manuale, in cassette forate da 20 kg.

Riguarda solo i migliori grappoli che, una volta in cantina, vengono sottoposti a una pressatura soffice e a una successiva fermentazione in recipienti di acciaio inox. La temperatura viene mantenuta costantemente bassa, fino all’esaurimento di tutti gli zuccheri, al fine di preservare gli aromi primari del Cortese.

Il mosto non svolge la fermentazione malolattica e il vino atto a divenire Gavi del Comune di Gavi di Marchese Raggio affina tra i 4 e i 6 mesi in acciaio prima di essere imbottigliato. Per l’immissione in commercio dell’ultima annata occorrono solitamente altri 4 mesi.

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degustati da noi news vini#02 visite in cantina

La Boschera di Eros Zanon: da vitigno dimenticato a chicca enologica

TREVISO – Se non fosse per quel tipico intercalare veneto e per un altro paio di dettagli, Eros Zanon potresti scambiarlo per uno dei personaggi del Signore degli Anelli. Gli mancano l’ascia e l’elmo del nano Gimli. Ma il coraggio e la dedizione con cui sta salvando dalla scomparsa il vitigno Boschera sono degni del romanzo di Tolkien.

Dimenticatevi di Arda e della “Compagnia dell’Anello”. Siamo in Veneto. Nelle terre, piuttosto, della “Compagnia del Prosecco”. Zanon ha mappato alcuni vigneti dove è ancora presente questo autoctono. Sei ettari complessivi, in provincia di Treviso. Una rarità assoluta. Nel cosmo gleracentrico di Conegliano.

Cinque filari sulla collina. Una ventina più in basso, accanto alla Glera. A Fregona, la concentrazioni più massiccia di Boschera (pari a un ettaro) si trova nella splendida proprietà di Giuseppina Marangon.

A dominare i 10 ettari di vigneti, una dimora di fine Settecento. Nelle giornate in cui il cielo gioca a fare il poeta sol sole, da qui, si scorge l’Istria all’orizzonte. Giuseppina, rimasta vedova, vende l’uva della tenuta a diversi produttori della zona.

“Avere la Boschera è sempre stato un problema”, ammette oggi. Le uve, oltre a dar vita al Colli di Conegliano Docg Torchiato di Fregona – un passito bianco da Glera, Verdisio e Boschera – finiscono da sempre (ma non si può dire) nel calderone della produzione del Prosecco. Pagate però molto meno.

Se per un chilo di Glera viene riconosciuto oggi in media 1,50 euro, la Boschera – secondo indiscrezioni – vale 15-20 centesimi. “Io comunque non l’ho estirpata, nonostante i numerosi inviti a farlo – sottolinea Giuseppina Marangon – perché credo sia un patrimonio locale da preservare. E ho fatto bene, perché da qualche anno se ne occupa Eros!”.

GLI ESPERIMENTI

I primi esperimenti di Zanon, che nella zona alleva 7 ettari complessivi tra Glera, Pinot Grigio e Merlot, risalgono al 2012. Il vignaiolo trevigiano realizza le prime 800 bottiglie di Boschera.

“La vinificazione è avvenuta praticamente alla cieca – spiega il vignaiolo – ed è venuto fuori un prodotto dalla beva facile, che mancava però di spessore”. Il secondo anno, Zanon decide di effettuare un leggero appassimento in pianta.

L’obiettivo è chiaro: concentrare gli zuccheri e dare più orizzontalità al calice, andando a contrastare la nota verticale acida tipica del vitigno. “Ne è venuto fuori un mini capolavoro”, chiosa Zanon.

Nel 2014 le eccessive piogge rovinano il raccolto e la vinificazione in purezza della Boschera subisce una battuta d’arresto. Nel 2015, la svolta. Zanon scopre l’ettaro di Boschera nella tenuta di Giuseppina Marangon. I due si accordano per quella che, ad oggi, è l’annata col maggior numero di bottiglie di Boschera: circa 10 mila.

Un terzo dei grappoli appassisce in pianta, come nel 2013. “Un bel vino, molto particolare – assicura Zanon -. Un successo nella ristorazione locale, che assorbe praticamente tutta la produzione”. Una sorta di “Col Fondo” prodotto con la Boschera, che fa concorrenza al solito Prosecco.

IL FUTURO DELLA BOSCHERA
Annata completamente diversa la 2016: pianta mai in stress, alcol a 12,40 (naturale!) e un’acidità sopra i 6 in bottiglia (7,60 a raccolta, parametro da incorniciare). Un vino buono oggi (fresco, vivo, con sentori vendemmiali verdi in fase di attenuazione) che si presta a un ottimo affinamento in vetro, almeno nell’arco del prossimo anno e mezzo.

Non filtrato, non chiarificato e con una piccola aggiunta di solforosa, nello stile Zanon. Si arriva così alla vendemmia 2017 (80% di raccolto perso per via della grandine) che è ancora in vasca: 20 quintali complessivi, che saranno imbottigliati ad agosto (2.500 bottiglie).

Numeri molto variabili, dunque, vista l’esiguità degli ettari di Boschera. Ma il “movimento” creato da Eros Zanon non è passato inosservato in zona. E così, anche altri produttori stanno vinificando in purezza la Boschera. Tra questi la Cantina produttori di Fregona.

“Il mistero di questa uva – spiega Zanon – è che è presente solo nel Comune di Fregona. In altre zone, anche limitrofe, non esiste. Non è stato facile arrivare ad oggi: ma non perché io sia un genio, ma perché nessuno ha mai pensato prima a dargli valore”.

IL PROSECCO ZANON: ANZI, IL BIANCO IGT
Da sola, la Boschera di Zanon vale una visita ai colli di Conegliano. Ma anche il Prosecco di questo coraggioso vignaiolo – fuori dalle mode del vino e concentrato solo sulla valorizzazione dei suoi vigneti – è una vera e propria chicca. Di fatto, non è un Prosecco, ma un “Vino frizzante Bianco col fondo“, Colli Trevigiani Igt.

“Troppo diverso dal Prosecco del giorno d’oggi per pretendere di essere tale, anche in etichetta”, chiosa Zanon. Eppure, in bottiglia, non finisce che Glera prodotta nei diversi appezzamenti di proprietà, ben 11, a cavallo tra la zona storica della Docg (dove sono presenti viti di oltre 100 anni) e quella della Doc Prosecco.

Sono le macerazione sulle bucce, i lieviti indigeni e la mancata aggiunta di chiarificanti a rendere diverso (e speciale) il “Col fondo” di Zanon. Diverso dal Prosecco che tutti conoscono, perché punta dritto alla sostanza: un calice verticale, che conserva ricordi della caratteristica aromaticità della Glera, senza cadere nel tranello della piacioneria.

Ed è sempre la Glera, assemblata con un 30% di Pinot Grigio, a dare vita al rosato “Lo Diverso“. La vendemmia 2017, non ancora in commercio, ha bisogno di un’altra decina di mesi di bottiglia per arrivare al top della forma. Ma si fa già apprezzare, sfoderando non solo un colore stupendo, ma anche un naso ampio.

Dominato da una Glera che, col passare dei minuti, lascia sempre più spazio al Pinot, vinificato in botti di rovere di media tostatura. Già pregevole il finale salino, unito al frutto, lunghissimo. Un rosato di quelli veri, dall’anima pura. Forse più un rosso travestito da “bianco” che il contrario. Chapeau.

Il rosso vero, del resto, esiste. Anche se Zanon lo considera quasi alla stregua di “un gioco”. Il calice delle vendemmie 2015 e 2013 del Merlot allevato a Cison di Val Marino mostra i riflessi dell’andamento delle due annate, nel rispetto del pittore verista che ha dato loro vita, in formato Magnum.

Trentaquattro mesi in tonneau esausta per la vendemmia 2015, tuttora in affinamento in vetro. Naso morbido ma sincero che sfiora le note di toffee, oltre a un frutto succoso e a una mineralità salina che accresce il desiderio di un sorso pieno, largo.

“Fare Merlot qui è come sperare di far banane a Milano”, dice Eros Zanon sottolineando l’unicità della sua etichetta “diversamente bianca”, nella terra del Prosecco: l’unica nel raggio di 10-20 chilometri.

Ma l’evoluzione della vendemmia 2013 dimostra che la Boschera non è l’unica scommessa vinta dal vignaiolo di Follina. Quarantadue mesi di barrique, per un vino “che non sembrava mai pronto”.

Scalpita ancora oggi, nel calice, questo Merlot. Un altro vino rispetto al 2015, soprattutto per via di un naso meno malizioso. E in bocca, esattamente quello che ci si deve aspettare da un rosso di Zanon: dinamicità pura, libera da condizionamenti.

Un Merlot anarchico “Cison”, senza fronzoli. Vero. Splendido. Ennesima sintesi del lavoro di un produttore pronto a stupire tutti, di vendemmia in vendemmia. Unico alleato, il meteo. E la sua terra di viticoltura eroica, segnata dal sudore. Patrimonio dell’umanità. Anche senza il timbro dell’Unesco.

AZIENDA AGRICOLA ZANON di Zanon Eros
Via Peroz 1 – 31050 VALMARENO DI FOLLINA (TV)
TEL: +39 0438 971372

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Terre Siciliane Igt Grilllo 2016, Isola del Sole

(3,5 / 5)  Avevamo già sottolineato, durante la nostra degustazione dell’intera gamma “Integralmente prodotti” di Eurospin, che il Terre Siciliane Igt Grillo Isola del Sole, vendemmia 2016 prodotto dalla Cantina Settesoli, si discostava dalla deludente media.

Lo analizziamo nuovamente per Voi e riconfermiamo la nostra precedente valutazione in cestelli.

LA DEGUSTAZIONE
Il colore è giallo paglierino scarico, con riflessi verdognoli, piuttosto scorrevole e di alcolicità modesta (12,5 gradi).

Al naso spiccano i sentori di agrumi siciliani e di papaia, incorniciati da una lieve presenza iodata. In bocca risulta fresco e piacevolmente sapido, un vino equilibrato ma dalla poca persistenza ed intensità.

Un vino gradevole, tra i migliori della linea Integralmente Prodotti, consigliato con piatti di pesce o come leggero aperitivo, visto anche il rapporto qualità prezzo.

LA VINIFICAZIONE
Prodotto con uve Grillo in purezza, queste vengono diraspate e pigiate e immediatamente raffreddate a una temperatura di 5 – 8 . Il mosto ottenuto viene fatto decantare per 36 ore, quindi avviata la fermatenzione in serbatoio di acciaio a temperatura controllata di 10°.

Prezzo: euro 1,89
Acquistato presso : Eurospin Italia

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Non solo Prosecco nei “Weekend in Cantina”: il calendario

TREVISO – Conoscere e degustare, nei fine settimana, i pregiati vini che nascono nelle storiche colline a nord della città di Treviso.

Non solo Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg e Cartizze Docg, ma anche il Bianco e Rosso dei Colli di Conegliano Docg,  i passiti Docg Refrontolo e Torchiato di Fregona e l’autoctono Verdiso Igt.

Un’opportunità per scoprire una terra unica, candidata a sito patrimonio dell’umanità UNESCO e iscritta nel Registro Nazionale del paesaggio rurale storicocustode di un ricco patrimonio culturale ed artistico, ottima cucina ed ospitalità.

Weekend in Cantina” sulla Strada del Prosecco e dei Vini dei Colli Conegliano Valdobbiadene si svolge tutto il corso dell’anno ed è un’iniziativa della Strada del Prosecco. Un calendario (qui le date e le cantine aderenti) che prevede alcune cantine aperte ogni weekend con la possibilità di visite guidate e degustazioni.

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Fornovo boys: i migliori assaggi a “Vini di vignaioli” 2017

E’ la “fiera” nel cuore di tanti amanti della viticoltura “autentica”, “naturale”. Siamo a Fornovo di Taro, in provincia di Parma, per “Vini di vignaioli – vins des vignerons”. Una rassegna giunta ormai alla sedicesima edizione.

La fiera dei vignaioli artigiani si tiene sempre nello stesso tendone. La differenza è che, negli anni, è sempre più affollato. Di appassionati, sì. Ma anche di produttori. Sempre più “vignaioli” e sempre meno “imprenditori del vino”. Perché a Fornovo, il vino è inteso come risorsa alimentare corroborante e salutare, come è stata riconosciuta nei secoli. E non come bevanda che può essere alterata e corretta correggendo i costituenti.

La giornata di lunedì 6 novembre è uggiosa. Piove, come capita spesso nel periodo di inizio novembre. Il tendone posizionato all’inizio del paese, sulle sponde del Taro, è fatiscente. In alcuni angoli piove dentro. Ma lo spazio, quest’anno, è meglio distribuito e l’organizzazione ha apportato qualche modifica che rende la disposizione dei vignaioli più confortevole per i visitatori: 163 produttori, di cui 9 stranieri. Questi i nostri migliori assaggi. O, meglio, i più interessanti.

  • Agr. Foradori , Mezzolombardo (TN), Trentino Alto Adige

Manzoni bianco Fontanasanta 2016. macerazione di 5/7 giorni, poi affinamento in legno di acacia per 12 mesi. Colore giallo paglierino intenso, naso esplosivo di fiori e frutta bianca, con inserti di note tropicali. Al palato rimane concorde: bel glicine e continua frutta a polpa bianca e gialla, un discreto sale e un legno ancora da amalgamare.

Pinot grigio Fuoripista 2016. Macerazione in anfora per 8 mesi, poi un rapido passaggio in vasca solo per la decantazione. Vino dal colore rosa tenue tendente al chiaretto, sorprendentemente limpido e trasparente. Al naso fragoline e spezie in un mix quasi orientale. La bocca è complessa e lunga, fresca e avvolgente. Un leggero tannino accarezza le mucose e chiude il sorso lasciando la bocca immediatamente pulita. Dalla prima annata, la 2014 – tra l’altro non proprio facile, bisogna riconoscerlo – ad oggi, l’evoluzione di Elisabetta Foradori è convincente.

Perciso 2016. Elisabetta, insieme ad altre 10 aziende (Castel Noarna, Cesconi, Dalzocchio, Eugenio Rosi, Maso Furli, Mulino dei lessi, Gino Pedrotti,  Poli Francesco, vignaiolo Fanti e Vilar) ha formato un consorzio, “I dolomitici”, con l’intento di valorizzare l’originalità e la diversità dell’agricoltura trentina. Nell’ambito di questo progetto nasce il “Perciso”, vino dedicato a Ciso, contadino locale che ha consegnato nelle mani di questi 11 amici una vigna di Lambrusco a foglia frastagliata a piede franco, i cui 727 ceppi sono stati piantati ad inizio 1900.

Vino ottenuto da lunga macerazione e affinamento per 10 mesi in legno grande. Un vigneto storico, un’uva rara, espressione di quella tipicità trentina che il Consorzio punta a valorizzare. Con successo. Vino dal colore rosso porpora carico , limpido. Naso di frutta rossa di sottobosco, non ha mezze misure e in bocca è dritto, schietto,  con una discreta acidità e freschezza e una buona persistenza. Si fa bere facile, non è per niente segnato dal legno. Molto interessante. Considernado gli esemplari in commercio (2500) una vera e propria chicca.

  • Agr. Radikon , Gorizia (GO), Friuli Venezia Giulia

Ribolla 2010. Sasa Radikon qui non sbaglia mai. La vinificazione dei bianchi di casa Radikon è la stessa per tutte le uve: 4 mesi di macerazione, più 4 anni di affinamento in botte, più 2 anni di bottiglia. L’orange wine per definizione dopo quelli di Josko Gravner. Il colore è un giallo carico, dorato. Profumi di spezie, fiori appassiti, frutti canditi, miele, albicocca matura, rabarbaro e un accenno di zafferano. La compessità olfattiva accontenterebbe di per sè già il più scettico dei degustatori. Ma in bocca si completa. Di sottofondo il retro olfattivo aromatico. E in prima linea un tira e molla tra acidità, freschezza e tannino. Con chiusura sapida e minerale. Una meraviglia. Stop.

  • Agr. Ausonia , Atri (TE), Abruzzo

Qui ci imbattiamo in una mini verticale di Cerasuolo, annate 2016 , 2015 e 2014. Il Cerasuolo di Simone e Francesca, due giovani mantovani con la passione per l’agricoltura e per il vino, è una storia meravigliosa.

Simone lascia la farmacia e Mantova e insieme alla compagna si trasferisce in Abruzzo, dove dal 2008 inizia l’avventura. Siamo ad Atri, nell’entroterra teramano, a 270 metri sul livello del mare. Dodici ettari piantati a Trebbiano, Montepulciano e Pecorino.

Il Cerasuolo effettua una macerazione velocissima, di poche ore, massimo 10 (la 2014, “annata scarica”, ha fatto una notte intera in macerazione, ci racconta Simone) per poi passare senza bucce per la fermentazione in acciaio, dove completa anche la malolattica.

L’annata che convince di più è la 2015: meglio delle altre esprime le caratteristiche splendide di questo vino. Il colore rosato, quasi lampone (un rosa “Big Babol” ). Naso di piccoli fruttini rossi, lampone appunto, ma anche ribes, fragoline e sfumature di violetta. Bocca sapida, fresca e  minerale. Uno di quei vini da scolarsi senza ritegno, in estate, a bordo piscina. O in spiaggia.

  • Az- Agr. Franco Terpin, San Fiorano al Collio (GO), Friuli Venezia Giulia

Qui, dal buon Franco Terpin, ci accoglie la moglie. Già è di poche parole lui. Lei? Gli fa un baffo. Versa, versa e versa. Ma non fatele troppe domande. Assaggiamo Sauvignon 2011 e Pinot grigio 2012, senza rimanere a bocca aperta come invece ci era capitati a VinNatur per il Sauvignon 2010. Il colpo arriva quando meno te lo aspetti. Mentre stai andando via, un po’ deluso, vedi spuntare una magnum con etichetta tutta nera e orange, con un disegno stile “gta”. Lì si fermano tutti.

Compresi quelli di spalle, pronti ad abbandonavano il banchetto. I malfidenti. Si sente sollevarsi un “Oooh, mmmh, wow”, dai pochi rimasti lì davanti. Il gioco è fatto appena metti il naso nel bicchiere. Parolaccia. Clamoroso. Ci dicono Malvasia, ma da un’attenta ricerca il Bianco Igt delle Venezie “il legal” esce senza specifiche di vitigno. Anzi, una specifica c’è. E’ il bianco fatto da uve “non so”: a base Malvasia, sicuramente. Ma con altri uvaggi che non ci è dato sapere.

Il naso è di quelli ipnotici, magnetici, non riesci a staccarlo dal bicchiere. Uno di quei vini che ti accontenti anche solo di annusare, non importa la bocca, talmente è appagante l’olfazione. Non serve altro. Proviamo a dare qualche descrittore. Non sappiamo nulla della vinificazione, dell’affinamento. Il naso inizia sull’uva sultanina, poi frutta bianca matura, pesca, albicocca secca.

Ma anche miele e note di caramello. In bocca, a dir la verità, ha convito meno tutta la platea, peccato. Bella acidità e mineralità, ma chiude forse troppo corto per l’aspettativa che aveva creato nel pubblico estasiato.  E’ giovane e “si farà”. I presupposti ci sono tutti. Comunque il naso più roboante dell’intera giornata.

  • Agr. Eno-Trio, Randazzo (Ct), Sicilia

Giovane cantina, nata nel 2013. Fino a qualche hanno fa conferiva le uve ad altri produttori. Siamo in contrada Calderara, una delle più vocate del versante nord dell’Etna. Si coltiva Nerello mascalese, Pinot nero, Carricante e Traminer aromatico, Grenache e Minnella nera. Un bel mix. Il Traminer prende vita a 1100 metri sul livello del mare, i rossi più in basso. Le vigne di Nerello sono tutte pre filossera a piede franco, con più di cento anni di vita. Ottima tutta la gamma.

Il Pinot nero 2015, viti di quasi 40 anni, macerazione per 6-8 giorni, dopo la fermentazione e la svinatura passa in acciaio per completare la malolattica. Affina in barrique e tonneau per 16 mesi. Colore porpora con unghia violacea, naso bellissimo di marasca e frutti rossi. In bocca è fresco, non si sente per niente il legno, bella acidità, chiusura morbida, avvolgente. Chi dice che l’Etna è la nostra Borgogna non sbaglia, davanti a vini come questo. Un vino incantevole.

Il botto arriva però col Nerello mascalese 2014, 18  mesi di barrique  e tonneau. Rubino fitto, naso commovente, frutto dolce e spezia. Ciliegia matura, prugna, mora, china su tutti, ma anche pepe e balsamico. Sorso appagante, fresco, tannino morbido, levigato, bel corpo sostenuto nel centro bocca e un finale persistente. Grande vino.

  • Az. Agr Stefano Amerighi, Poggio bello di Farneta – Cortona (AR), Toscana

Stefano Amerighi, l’uomo che ci regala il Syrah più buono dello stivale, non lo scopriamo certo adesso e soprattutto non grazie a chi lo ha premiato quest’anno come “vignaiolo dell’anno”. Amerighi è da tempo una garanzia. Lui e il suo Syrah.

Apice 2013. La selezione è un mostro che potrebbe tenere testa a qualche rodano importante. Complesso, spezia, fumé, frutta, non ti stancheresti mai di berlo. In bocca è talmente equilibrato e armonico che non finisce mai di farti scoprire piccole sfaccettature. Lunghissimo.

  • Az . Agr. La Stoppa , Rivergaro (PC) , Emilia Romagna

La realtà di Elena Pantaleoni è ormai conosciuta oltre i confini nazionali, specie per gli ottimi vini rossi a base soprattutto Barbera e Bonarda e per il noto Ageno, vino a lunga macerazione da un uvaggio di Trebbiano, Ortrugo e Malvasia di Candia.

Noi però siamo qui per uno dei vini più incredibili della fiera e dello stivale in toto: il Buca delle canne. Il vino prende il nome da una conca, appunto la “buca delle canne”, dove Elena ha piantato Semillon, tanto per intenderci l’uva principe da cui si ricava il Sautern.

Qui, a causa proprio della conformazione geografica e pedoclimatica, in alcuni anni le uve vengono colpite dalla muffa nobile, la Botrytis cinerea. Pigiatura solo degli acini colpiti dalla muffa, con torchio verticale idraulico, 10 mesi di barrique di rovere francese e almeno 2 anni di bottiglia per una produzione annua di soli 500 esemplari in bottiglia da 0,50 litri.

Giallo dorato con riflessi ambrati, il naso è ciclopico così come la bocca, tutta la gamma della frutta passita in una sola olfazione. Fichi secchi, canditi, agrumi, scorza d’arancia e poi zafferano, curcuma, mallo di noce. Esplosivo. In bocca sontuoso, ma di una freschezza imbarazzante, potente e armonico. Uno dei migliori vini dolci prodotti in italia, senza se e senza ma.

  • Agr. Cinque Campi, Quattro Castella (RE) Emilia Romagna

Questa forse una delle sorprese più belle incontrate. La soffiata arriva girando tra la fiera: “Assaggiate la Spergola, ragazzi!”. Questa cantina del reggiano a conduzione famigliare coltiva autoctoni come il Malbo gentile , la Spergola, il Lambrusco Grasparossa e in più qualche uvaggio internazionale come Sauvignon, Carmenere e Moscato.

Puntiamo alla soffiata e ci viene servito il Particella 128 Pas dose 2016, metodo classico di Spergola 100%, macerazione sulle bucce per 3 giorni, 6 mesi in acciaio e poi presa di spuma con 8 mesi di sosta sui lieviti. Una bolla allegra, spensierata, gradevole al palato. Con una nota fruttata gialla e citrica invitante la beva e un bouquet di fiori di campo ben in evidenza. Bella acidità e bevibilità.

Il secondo convincente assaggio è L’artiglio 2014, Spergola 90% e Moscato 10%. Altro metodo classico non dosato. Qui siamo sui 36 mesi sui lieviti ed è stato sboccato giusto, giusto per la fiera. La piccola percentuale di Moscato ne fa risaltare il naso e in bocca ananas, frutta bianca, pompelmo rosa ed erbe aromatiche. Una bellissima “bolla”. “Cinque campi”, nome da tenere a mente.

  • Agr. Plessi Claudio, Castelnuovo Rangone (MO), Emilia Romagna

Lui lo puntavamo. Trebbiano modenese degustato al ristorante, volevamo vederlo in faccia. Uomo schivo, di poche parole, quasi infastidito al banchetto. Si direbbe un garagista del Lambrusco.

Tarbianein 2016. Trebbiano di Spagna, non ci dice altro sulla vinificazione. Sappaimo solo che sono tutti rifermentati in bottiglia. Il colore è un giallo paglierino torbido, il naso è dolce, richiama quasi lo zucchero filato e il candito da panettone. Poi agrume e fiori. E’ un naso straordinario. In bocca una bollicina morbida, il sorso è corposo e fresco. Bel finale ammandorlato e sapido.

Lambruscaun 2014. Lambrusco Grasparossa, capito bene, 2014. Un Lambrusco. Colore porpora carico, dai sentori di frutta matura, prugna, fragola, in bocca morbido, dal tannino composto e dalla bevibilità infinita. La freschezza e l’acidità sono ottimamente armonizzate dal tannino vellutato. Chiude la bocca lasciandola perfettamente pulita. Un grandissimo Lambrusco.

  • Agr. Praesidium, Prezza (AQ), Abruzzo

Entroterra abruzzese. Siamo ai piedi della Majella e del Gran Sasso, a 400 metri sul livello del mare. Qui, dopo una veloce macerazione sulle bucce del Montepulciano, nasce lo splendido Cerasuolo d’Abruzzo di Praesidium. Nell’annata in degustazione esce come Rosato Terre Aquilane 2015. Una caramellina, un confetto.

Colore rosato carico, sembra di avere nel bicchiere un rosso a tutti gli effetti. Limpido e trasparente. Il naso è un’esplosione di frutti rossi, fragolina di bosco, lampone, melograno, rosa e note di spezie e minerali. Il sorso è appagante, richiama tutto quello che l’olfazione ti trasmette. Ottima acidità e freschezza. La forte escursione termica della vigna rende questo vino di una acidità ben integrata al fine tannino derivante dal Montepulciano. Da riempirsi la cantina.

  • Occhipinti Andrea , Gradoli (VT) , Lazio

Siamo sulle sponde del lago di Bolsena, a 450 metri sul livello del mare. Terroir caratterizzato da terreno di lapillo vulcanico.

Alea viva 2015. Da uve Aleatico 100%, vinificato in secco. Una settimana di macerazione sulle bucce e fermentazione in cemento, poi passaggio in acciaio fino all’imbottigliamento. Color porpora, naso di rosa e viola, gelso e ciliegia. Bocca fresca e appagante. Pulito. Vino dell’estate.

Rosso arcaico 2016. Grechetto 50%, Aleatico 50%. Macerazione di un mese sulle bucce, fermentazione in anfore di terracotta, dove il vino poi affina per almeno 6 mesi. Rubino, naso di rabarbaro, albicocca e spezia con finali  note di erbe officinali. In bocca morbido e fresco.

  • Agr Francesco Guccione, San Cipirello (PA), Sicilia

Territorio di Monreale, 500 metri sul livello del mare. Voliamo nella Valle del Belice, in contrada Cerasa a San Cipirello, provincia di Palermo.

 “C” Catarratto 2015. Qualche giorno di macerazione, il giusto, poi solo acciaio. Nel calice è color oro, naso balsamico, di the, agrume. Un richiamo di idrocarburo e tanto iodio. In bocca salinità e freschezza e il retro olfattivo che torna sulla frutta. Grande acidità e spinta. Un prodotto notevole.

“T” Trebbiano 2015. Anche qui qualche giorno di macerazione, poi viene affinato in legno piccolo usato e acciaio. Color oro e un naso che non stanca mai. Camomilla, fiori di campo, fieno, frutta gialla e agrume. Poi ginestra. La bocca è piena, rotonda e morbida . Persistenza infinita. Ricorda tanto, ma proprio tanto, certi trebbiani storici per il nostro paese.

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Gerry Scotti senza vergogna: altro spot a Caduta Libera. Interverrà l’Antitrust?

Nuova edizione, stesso copione. A Caduta Libera, il vignaiolo (in affitto) Gerry Scotti sfida ancora l’Antitrust. Con l’ennesima réclame dei suoi (costosi) vini, in vendita al supermercato.

Una trama già vista nei mesi scorsi, riproposta dal conduttore pavese a un quarto d’ora dall’inizio della trasmissione andata in onda ieri, giovedì 14 settembre.

A offrire il pretesto a Scotti è, come di consueto, una domanda a tema “vino” indirizzata a uno dei partecipanti al quiz. “Travasare un vino rosso di pregio per favorirne la decantazione”. Dieci lettere. La risposta è “Scaraffare”. La concorrente non risponde e finisce nella botola. Non prima di sorbirsi lo spot dello Zio Gerry.

“Tu prendi uno dei miei vini. Sai che faccio vino nel tempo libero? L’hai assaggiato già? Vuoi assaggiare il rosso, il bianco o il rosè? Alla salute!”.

Secondo il listino “Autunno 2017” di Publitalia ’80, concessionaria esclusiva del Gruppo Mediaset per le trasmissioni delle reti in chiaro, 30 secondi di pubblicità su Canale 5 – durante Caduta Libera – costano da 26 a 56 mila euro. Un bel risparmio per lo Scotti nazionale. Non resta che visionare il video-frammento della puntata, con una previsione: entro Natale, a Caduta Libera, si parlerà di spumante.

*disclaimer
Questo è l’ultimo articolo-denuncia che la testata vinialsupermercato.it dedica a Gerry Scotti. In un Paese con la “P” maiuscola, un’Antitrust con la “A” maiuscola sarebbe già intervenuta, ammonendo formalmente il conduttore. Confidando in un pronto intervento delle istituzioni e nel rispetto delle migliaia di lettori che confermano quotidianamente la fiducia alle presenti “colonne digitali”, vinialsuper eviterà di trattare ancora il tema Scotti per non offrire al conduttore ulteriore spazio-pubblicità gratuito, evidentemente necessario alla spinta delle vendite di vini costosi e poco rappresentativi dell’Oltrepò pavese

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Pomino bianco Doc 2016 Castello Pomino, Frescobaldi

(5 / 5) Preziosa etichetta quella che la catena di supermercati Il Gigante ha “in carta” ormai da diversi anni. Parliamo del Pomino Bianco Doc Frescobaldi, da qualche mese reperibile anche nelle “enoteche” dei punti vendita Esselunga più “attrezzati”.

LA DEGUSTAZIONE
Di un giallo paglierino carico con vaghi (ma accesi) riflessi verdolini, Pomino è uno di quei vini che invogliano la beva, già dal colore. Al naso sentori di frutta esotica (banana e papaya su tutti), ma anche di mela cotogna e agrumi come il cedro.

Conferiscono freschezza i richiami ai fiori di gelsomino e biancospino. Non manca una vena più “austera”, che ricorda la nocciola. Profumi che si rincorrono nel calice. Un’analisi olfattiva da promuovere a pieni voti per la finezza che è capace di esprimere.

Al palato, il Pomino Bianco Doc Frescobaldi conferma le attese e rincara la dose con la consueta eleganza. Sapidità e acidità molto ben bilanciate: una “salinità” che sboccia subito, in ingresso, per lasciare poi spazio a un sottofondo fruttato finissimo, esotico.

Il fin di bocca, leggermente amarognolo, completa una beva raffinatissima. Perfetto come aperitivo d’eccezione, questo vino bianco della cantina toscana Frescobaldi si abbina a piatti a base di verdure e pesce, non troppo elaborati.

LA VINIFICAZIONE
Il Pomino Bianco Doc Castello di Pomino Frescobaldi è prodotto in una delle zone della Toscane più vocate alla coltivazione delle varietà di uva a bacca bianca. Si ottiene dal blend di Chardonnay e Pinot Bianco, completato da altre varietà complementari.

I vigneti si trovano a un’altitudine di 700 metri sul livello del mare. La tecnica di vinificazione è particolare. La fermentazione di gran parte del mosto avviene in serbatoi di acciaio inox. Un’altra porzione fermenta invece in barrique, dove si svolge anche la malolattica, ovvero la trasformazione dell’acido malico in acido lattico, utile a conferire tinte più “morbide” al nettare.

Anche l’affinamento avviene in acciaio, per una durata complessiva di quattro mesi. Prima di essere messo in commercio, il vino affina in bottiglia per un altro mese.

Il Pomino Bianco Doc di Frescobaldi prende il nome dal Castello di Pomino. Una splendida tenuta della famiglia dei Marchesi de’ Frescobaldi, nel cuore della campagna fiorentina. Vigneti che si arrampicano fino a un’altitudine di 700 metri sul livello del mare, strappati a un bosco di sequoie, abeti e castagni.

Prezzo: 8,49 euro
Acquistato presso: Il Gigante / Esselunga

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Umbria Igt 2016 Vipra Bianca, Bigi

(4,5 / 5) Giallo paglierino lucente, con sfumature verdoline. Quante degustazioni di vino bianco iniziano così? Molte. Ma l’Umbria Igt 2016 di Cantine Bigi offre anche altro.

Un’ottima etichetta nel rapporto qualità prezzo, reperibile sugli scaffali di diversi supermercati. Tra cui Carrefour ed Esselunga.

LA DEGUSTAZIONE
Definito il colore, l’analisi si focalizza sulla parte olfattiva. Il naso della Vipra Bianca Bigi striscia, suadente, tra sentori di frutta tendente al maturo (pesca gialla, albicocca), agrumi (arancia e bergamotto) e fiori di ginestra.

La mandorla accompagna sino a richiami minerali salini, sempre più evidenti col permanere del vino nel calice. Al palato, Vipra Bianca si rivela fresca e succosa in ingresso, sfoderando poi tutta la mineralità dei vitigni con cui viene prodotta da Cantine Bigi.

Solo in apparenza sensazioni contrastanti: in realtà, il quadro è quello di una morbidezza di eleganza esemplare, vero punto forte di questo vino umbro. Un po’ come bere velluto. Corrispondenti al naso le percezioni gustative, con la frutta a polpa gialla e la mandorla di nuovo evidenti (quest’ultima, in particolar modo, nel retro olfattivo).

Vipra Bianca 2016 di Cantine Bigi è un ottimo vino da aperitivo, abbinabile alla perfezione con salumi, primi piatti a base di pesce, nonché carni bianche e formaggi non stagionati.

LA VINIFICAZIONE
Vipra Bianca è un blend costituito per il 60% da uve Grechetto e per il 40% da Chardonnay, principale “responsabile” della parte ammandorlata sopra descritta. Le vigne si trovano a 300 metri di altitudine, nel circondario di Orvieto.

Vigne che vengono selezionate di anno in anno tra quelle con esposizione a Sud-Ovest. Densità di 4.500 piante per ettaro per le viti, allevate a cordone speronato e Guyot su terreni di natura argilloso sassosa. La resa in vino è di 56 ettolitri per ettaro.

Giunte in cantina, le uve Grechetto e Chardonnay fermentano in acciaio, per tre settimane su lieviti selezionati, a una temperatura di 14-16 gradi. Segue un ulteriore affinamento in acciaio di 5 mesi, prima dell’imbottigliamento.

La vendemmia 2016 ha segnato per Cantine Bigi (oggi parte integrante di Giv, Gruppo italiano vini) i 10 anni dall’inizio della produzione di Vipra Bianca.

Prezzo: 6,49 euro
Acquistato presso: Carrefour

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Bianco Veneto Igt 2016 Pràtalea, Abbazia di Praglia

(3,5 / 5) Un progetto nato nel 2006, con l’impianto dei primi vigneti di varietà locali come Garganega e Raboso. Siamo ai piedi dei colli Euganei, a circa 12 chilometri da Padova.

Qui, l’Abbazia di Praglia produce il Pratàlea Bianco Veneto Igt. Un blend di Chardonnay, Moscato giallo e Garganega dalla storia antica. Come quella del luogo in cui prende vita.

LA DEGUSTAZIONE
Sotto la lente di vinialsuper finisce la vendemmia 2016. All’esame visivo, il vino si presenta di un giallo paglierino cristallino e abbastanza consistente. Avvicinando il calice al naso si percepisce l’intensità tipica dei vitigni aromatici. Sentori floreali e fruttati di buona finezza e complessità.

Si individuano nel bouquet frutti a polpa bianca come la pesca, ma anche frutti esotici come mango e ananas. Gradevoli profumi aromatici come quelli inconfondibili della foglia di geranio. Al palato, Pratàlea Bianco Veneto Igt risulta secco, caldo e morbido nonostante l’annata giovane e abbastanza persistente. Sapidità e freschezza si percepiscono in un secondo momento, mentre il corpo leggero lo rende un vino da tutto pasto, piuttosto armonico nel complesso.

Un vino perfetto per un pranzo domenicale in famiglia, a base di piatti non particolarmente elaborati di verdure, pesce e carni bianche, consigliato col baccalà alla vicentina. Un bianco senza grosse pretese, conviviale, che rispetta la terra di provenienza e la filosofia di vita della regola monastica benedettina.

LA VINIFICAZIONE
Come anticipato, Pratàlea è un vino appartenente alla tipologia Bianco Veneto Igt. L’uvaggio comprende due vitigni aromatici/semi-aromatici come Chardonnay e Moscato giallo, oltre alla Garganega. Il metodo di allevamento utilizzato è il sistema a guyot (a spalliera) che garantisce migliori risultati qualitativi, ottimizzando l’insolazione, e il cordone speronato, più semplice da lavorare anche da mani poco esperte perché più adattabile alla potatura e alla vendemmia meccanizzata.

La densità d’impianto si aggira sui 4500 ceppi per ettaro. L’alta densità d’impianto, abbinata alla riduzione del numero di gemme per ceppo, porta alla formazione di grappoli con acini più piccoli e con una maggiore ricchezza in polifenoli e sostanze aromatiche, che daranno vini più colorati e profumati. Il terreno argilloso conferisce sensazioni olfattive complesse, ricchezza di alcol etilico, morbidezza e longevità in linea con la degustazione.

La vendemmia dello Chardonnay si svolge generalmente nella prima decade di settembre. Per il Moscato giallo si aspetta la terza decade, mentre la Garganega viene raccolta tra la fine di settembre e gli inizi di ottobre. La vinificazione avviene con un’iniziale macerazione sulle bucce per 5-6 ore, seguita da una pressatura soffice con sgrondro statico.

Il mosto fiore, inoculato con lieviti selezionati, fermenta in serbatoio di acciaio per 10-12 giorni a temperatura controllata. Poi, il vino riposa a contatto con le fecce per poter acquisire le specifiche caratteristiche varietali, in serbatoi di acciaio per circa 6 mesi.

VINO E STORIA
L’abbazia di Praglia fu fondata nell’XI secolo come dipendenza dell’Abbazia di San Benedetto in Polirone di Mantova, ma solo con gli inizi del XIV secolo la comunità di Praglia, conosciuta originariamente col nome di Pratalia, si rese del tutto autonoma eleggendo un Abate.

L’Abbazia benedettina fu fiorente fino alla soppressione napoleonica del 1810 ma, nel 1904 due monaci ritornarono in monastero e poté riprendere a pieno la vita regolare che continua fino ai nostri giorni.

Questa piccola e isolata abbazia è conosciuta in tutto il mondo per i suoi manoscritti, libri d’arte e pergamene, ma negli ultimi decenni è inoltre riconosciuta per la produzione di vini locali. I documenti ci raccontano di due tipologie di prodotto: il “vino de monte”, di buona qualità, ricavato dalle vigne di collina, impiegato per le funzioni liturgiche; e il “vino de plano”, meno pregevole, destinato ad essere consumato nelle taverne.

Nel 2006, il progetto riceve nuova linfa dall’impianto di varietà tipiche locali come Garganega, Raboso Piave e Veronese e Moscato Giallo, detto Fior d’Arancio, ma anche di vitigni internazionali come Chardonnay, Merlot e Cabernet.

Viene allestita in quegli anni, negli antichi spazi, una una piccola cantina moderna ed efficiente, in grado di coniugare la millenaria tradizione benedettina alla tecnologia più recente. Dalla vigna fino alla vinificazione, tutto viene controllato personalmente da Paolo Briani, che insieme ai monaci, ideatori e promotori dell’impresa, offrono il loro prezioso apporto.

Prezzo: 6,90 euro
Acquistato presso: Alìper – Alì Supermercati e Ipermercati

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