Incetta di medaglie in Ungheria per l’Italia che, per la prima volta, con l’Oltrepò pavese, ha preso parte all’unico concorso transnazionale sul vitigno Riesling italico. Si tratta di Grow du Monde 2024, competizione enologica itinerante in corso fino a stasera in Ungheria, in una delle terre più vocate alla viticoltura in terra magiara, Balatonfüred, lungo le sponde del Lago Balaton. Cantina Scuropasso – Roccapietra di Fabio Marazzi è l’unica italiana ad aggiudicarsi una medaglia d’oro, con una media di ben 91,33 punti. Ottimi anche i Silver di Colle del Bricco del “giovane ribelle” oltrepadano Matteo Maggi e di Azienda agricola La Sbercia, che conquista anche due bronzi grazie ai suoi spumanti.
La Sbercia risulta dunque tra le aziende più premiate a Grow du Monde 2024. Il concorso ha visto in gara oltre 350 vini prodotti per la maggior parte in purezza con il vitigno Riesling italico (ammessi anche gli uvaggi e le cuvée, in una particolare categoria). Sette i Paesi partecipanti: oltre all’Italia, in gara Ungheria, Croazia, Slovenia, Repubblica Ceca, Serbia e Slovacchia. Con ben 1.200 ettari di Riesling italico, l’Oltrepò pavese si candida a ospitare una delle prossime edizioni di Grow du Monde, a conferma dell’interesse di un nutrito gruppo di produttori di dare avvio a una vera e propria rivoluzione della comunicazione e del marketing legato al vitigno, il cui unico “genitore” conosciuto è italiano (la Coccalona nera).
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
C’è chi finisce sui libri di storia per un episodio e chi per una vita di imprese. Dopo aver portato il Sangiovese in Ungheria per produrre “Tabunello“, l’unico vino ungherese che fa “rima” con Brunello, Török Csaba ha raggiunto un altro primato: produrre il primo olio d’oliva ungherese. Un’altra dimostrazione dell’innato amore per l’Italia del vignaiolo di Hegymagas, che avvicina – almeno idealmente – il Lago Balaton all’italianissimo Lago di Garda.
Similitudini, quelle tra i due specchi d’acqua, più che mai azzeccate. Considerato “il mare degli ungheresi”, il Lago Balaton costituisce una delle maggiori attrattive turistiche internazionali del Paese magiaro.
Lungo i 197 chilometri di sponde si sviluppa una larga fetta del fatturato del turismo ungherese, anche grazie alla vicinanza alla capitale Budapest, distante appena 100 chilometri: un’ora d’auto.
Largo spazio anche per la viticoltura da suoli vulcanici, tanto che il Balaton dà il nome a una vasta regione vinicola che ingloba 6 sottoregioni (Badacsony, Balatonboglár, Balaton-felvidék, Balatonfüred-Csopak, Nagy-Somló e Zala) per un totale di 32 mila ettari, di cui 10.718 vitati. Il tutto all’insegna di un vitigno principe: l’Olaszrizling, ovvero il Riesling italico.
Nome che rende già questo angolo d’Ungheria una sorta di succursale italiana. Oggi più di ieri, con il progetto rivoluzionario ideato da Török Csaba: accostare vino e olio alla cantina di sua proprietà, la 2HA Szőlőbirtok és Pincészet.
«Così come per il Sangiovese – spiega il vignaiolo ungherese a WineMag.it – sono l’unico e il primo in Ungheria a produrre olio di oliva! Non lo faccio per gloria, ma soprattutto perché mi piacciono queste piante per la forma magica, la loro longevità, nonché per la loro rilevanza culturale atavica».
D’altro canto, il cambiamento climatico non è un’invenzione fantasiosa. Da 20 anni in Ungheria abbiamo annate sempre più calde e questo aspetto gioca un ruolo fondamentale nel mio progetto legato all’ulivo.
I due ettari e mezzo di Török Csaba nella regione del Balaton, del resto, paiono un ecosistema a sé stante rispetto alla realtà magiara. «Ho subito diversi attacchi per la mia scelta di piantare qui varietà come il Sangiovese – commenta – ma le prove della mia coerenza sono evidenti: ho fichi, mandorle, un po’ di melograno e anche dell’oleandro».
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Da lì agli ulivi, il passo è stato breve. Il patron della cantina 2HA Szőlőbirtok és Pincészet ha acquistato dapprima 120 piante dalla Toscana, oltre 10 anni fa: «Moraiolo e Leccino – riferisce – ma ho commesso molti errori, tra cui la consegna a giugno e una piantumazione poco professionale. Per di più, l’inverno è stato più freddo del solito».
Il 90% è morto, ma non mi sono arreso. Negli anni successivi ho acquistato altri ulivi dal nord della Spagna, con lo stesso risultato. Ho quindi virato su alberi più piccoli, sperando in un adattamento migliore e ho avuto finalmente più fortuna».
Diverse le cultivar che hanno trovato casa sul Lago Balaton, molte delle quali parlano italiano. È il caso della Dolce Agogia e della Nostrale Rigali, originarie dell’Umbria. Spazio anche per la francese Moufla, nota anche come Mouflal.
«Ho comunque insistito anche con gli alberi vecchi, non solo per il colpo d’occhio estetico – rivela il vignaiolo magiaro – ma anche perché, al contrario delle piante giovani, hanno già superato diversi inverni rigidi. Anche queste sono ancora vive, con mia grande soddisfazione».
Nel mese di marzo scorso, il primo imbottigliamento storico di olio di oliva ungherese, interamente biologico. Solo 2,5 litri, ma quello che sembra un piccolo passo è un risultato gigante per l’Ungheria.
«Non ho velleità da olivicoltore professionista, ma voglio continuare a credere in questo progetto e produrre sempre più olio. Le quantità di quest’anno sarebbero potute essere superiori, ovvero attorno ai 10 litri, ma ho spremuto le olive senza un’attrezzatura adeguata. La qualità? Tutto sommato buona!».
Il nuovo oro giallo del Lago Balaton è al momento a disposizione solo in Ungheria, nella rete di un retailer gourmet. Anche alcuni ristoranti di alta cucina sono riusciti ad accaparrarsi qualche “goccia” del prezioso nettare.
Ma a Török Csaba interessa poco il business: «Grazie a questa nuova tappa, il mondo è ancora più rotondo attorno a me e degusterò il mio olio in cantina, assieme al Sangiovese e a un buon tagliere di salumi, con chiunque voglia venire a trovarmi, non appena sarà possibile viaggiare». L’invito è aperto, soprattutto agli amati italiani.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
EDITORIALE – Con una selezione che supera le 100 etichette, l’e-commerce vinoungherese.it punta a far conoscere a winelovers e professionisti del settore Wine&Food una terra del vino che pare ormai giunta alla piena maturità e consapevolezza dei propri mezzi, ben oltre i vini dolci di Tokaj: l’Ungheria.
WineMag.it gioca in casa, dal momento che la selezione è stata da me compiuta negli ultimi 6 mesi con ripetuti viaggi dall’Italia e lunghe permanenze in tutte le regioni vinicole ungheresi.
L’obiettivo di vinoungherese.it è quello di ampliare il bagaglio di conoscenze degli amanti del nettare di bacco in Italia, mostrando la bellezza assoluta dei vini vulcanici ungheresi, ben oltre il mainstream (meritatissimo, per carità) dei vini Aszú, delle nuove espressioni di Furmint “dry” e delle etichette commerciali di vini rossi delle regioni Villány ed Eger.
Ho percorso in auto più di 2 mila chilometri, conoscendo personalmente ognuno dei produttori entrati in catalogo e assaggiando tutta la linea di vini (comprese, ove possibile e degno di nota, le vecchie annate). Altre realtà entreranno in catalogo nei prossimi mesi.
Al centro della selezione ci sono decine di varietà autoctone ungheresi di cui posso dirmi ormai “innamorato”. Su tutti lo Juhfark (letteralmente “Coda di Pecora”) originario di Somló: vitigno e regione che meritano un’attenzione assoluta nel panorama internazionale, in qualità di principale, nuova e vera “frontiera” del vino ungherese.
Assieme, Juhfark e Somló costituiscono una coppia inimitabile per mostrare il terroir vulcanico della collina di Somló, situata a nord del lago Balaton, nella zona orientale dell’Ungheria (a sole due ore di auto da Budapest).
Poi ci sono Budai Zöld, Csókaszőlő, Ezerjó, Hárslevelű, Irsai Olivér, Kabar, Kadarka, Kéknyelű, Királyleányka, Kövérszőlő, Leányka, Kékfrankos, Portugieser, Nektár, Olaszrizling, Turan, Zengö, Zéta e Zeus.
Nomi pressoché impronunciabili, in alcuni casi, che meritano un posto d’onore accanto a internazionali come Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Chardonnay, Grüner Veltliner, Merlot, Moscato Bianco, Moscato Giallo (Sargamuskotály).
E ancora: Muscat Ottonel, Pinot Grigio, Pinot Nero, Riesling renano, Müller-Thurgau (Rizlingszilváni), Sauvignon Blanc, Syrah, Gewürztraminer (Tramini) e Zweigelt. Infine, ma non ultimi nel vasto catalogo dell’e-commerce – udite, udite – Sagrantino (l’uva di Montefalco) e Sangiovese (il vitigno che ha reso grande la Toscana, nel mondo).
Due le etichette che vedono l’Italia “protagonista”, con altrettante varietà simbolo. Il Sagrantino è allevato in Ungheria da un solo produttore, innamorato dell’Umbria: Heimann di Szekszárd, che lo utilizza in uvaggio nel portentoso “Franciscus” e nel giovane, dinamico e freschissimo “Sxrd” (a proposito di potenziali nuove frontiere per il Sagrantino di Montefalco).
Il Sangiovese è invece quello della cantina 2HA, finita nei guai con il Consorzio del Brunello (episodio raccontato qui da WineMag.it) per un sito web un po’ troppo “brunellofilo” per avere il dominio “.hu”, utilizzato per promuovere l’etichetta “Tabunello“, tuttora in vendita senza alcuna commistione con il re dei vini rossi della Toscana.
Tra le particolarità dell’e-commerce vinoungherese.it, anche la presenza del più popolare e apprezzato tra i produttori del cosiddetto vino naturale ungherese: si tratta di Hummel, vignaiolo tedesco che ha sparigliato le carte in una zona piuttosto “seduta sugli allori” e abituata all’auto-incensazione come Villány.
Non poteva mancare la cantina che, meglio di altre, sta cercando di raccogliere l’eredità di Hummel nel sud dell’Ungheria: Wassmann, il sogno divenuto realtà di un’altra coppia tedesca, Ralf Wassmann e Susann Hanauer, che opera in regime biodinamico. Chi ci segue nella scoperta? Cin, cin.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Da una parte un vignaiolo ungherese, innamorato del Brunello di Montalcino tanto da piantare Sangiovese, chiamare un suo vino “Tabunello” e commercializzarlo sul sito web brunello.hu, da lui fondato. Dall’altra il potente Consorzio che tutela il noto vino rosso della Toscana, intenzionato a difendere il nome della Docg al cospetto del rischio di italian sounding. Sono gli ingredienti, in salsa legale, del caso internazionale che si è chiuso nei giorni scorsi tra le due controparti. Con un lieto fine.
Secondo quanto appreso in esclusiva da WineMag.it, il produttore ungherese Csaba Török ha provveduto nelle scorse ore a cancellare definitivamente il portale incriminato e ad eliminare qualsiasi riferimento alla Denominazione italiana in accostamento al Sangiovese Grosso presente nel suo parco vigneti.
Sulla base dell’accordo, la cantina 2HA Szőlőbirtok és Pincészet potrà tuttavia continuare a produrre l’etichetta “Tabunello”, molto nota in Ungheria per essere prodotta con la stessa uva del Brunello di Montalcino, allevata però nella regione Badacsony, a nord del lago Balaton.
È proprio qui, 150 chilometri a est dalla capitale Budapest, che si trovano i due ettari e mezzo di vigneti della cantina ungherese fondata da Csaba Török, che conta sulla consulenza dell’enologo italiano Alfredo Tocchini.
Non certo un colosso. Sono infatti appena 15 mila le bottiglie che 2HA produce ogni anno, con i 3 mila esemplari di “Tabunello” al vertice della piramide qualitativa. Un vino in vendita anche all’estero, a circa 25 euro (in Italia disponibile su vinoungherese.it).
Nessuno ha lavorato quanto il sottoscritto, negli ultimi 10 anni, per far conoscere il Sangiovese in Ungheria – commenta Török nel ricevere in cantina WineMag.it – così come tanti altri vini italiani.
Ho trascorso ore ed ore ad apprendere la storia della viticoltura italiana e delle sue grandi cantine, impiegando parecchie energie nel trasmettere questa mia passione ai miei connazionali: sommelier, giornalisti, esperti e appassionati”.
Proprio per questo, il vignaiolo ungherese si dice “colto di sorpresa” dalle lettere del Consorzio di Tutela del Brunello di Montalcino, rappresentato da uno studio legale di fama internazionale come Tonon – Lo Vetro & Partners. Una vera e propria istituzione nel campo del Diritto civile, del Lavoro e Industriale, con sedi a Milano, Roma, New York, La Paz e Buenos Aires.
Gli avvocati Danilo Tonon, Andrea Kordi, Francesca Parato e Marta Lauria hanno avuto la meglio in via conciliativa. “È inimmaginabile il numero di consigli che ho dato in questi anni, qui in Ungheria, a professionisti e non solo, intenzionati ad assaggiare vini italiani e visitare cantine italiane”.
“Posso definirmi senza dubbio un ambasciatore del vino toscano in Ungheria e per questo sono un po’ deluso dall’azione legale intrapresa nei miei confronti”, si lascia scappare il vignaiolo, mentre mostra a WineMag.it le piante di Sangiovese che crescono rigogliose dal 2003 sulla pittoresca collina di Hegymagas, letteralmente “Montagna alta”.
Csaba Török avrà comunque modo di consolarsi. Il Consorzio di Tutela del Brunello lo ha invitato a visitare Montalcino e la Toscana. Dal canto suo, il vignaiolo ungherese si è reso disponibile a organizzare un tour del Balaton, con i rappresentanti dell’ente italiano. Con cosa si brinderà all’incontro? Un buon rosso, magari d’annata, è in testa alle previsioni dei bookmakers.
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BUDAPEST – I vini vulcanici italiani sono ormai una categoria ben definita, riconoscibile anche all’estero. Un movimento capace di riunire i produttori di alcune delle aree vitivinicole più vocate del Belpaese, accomunate dal terroir vulcanico. La conferma è arrivata lo scorso weekend a Budapest con GoVolcanic 2019, prima edizione del summit che si candida a diventare uno degli appuntamenti chiave per i vini vulcanici internazionali, in Europa.
Sotto lo stesso tetto i vignaioli di Soave, Monti Lessini, Etna e Vulture, ospitati da 40 produttori ungheresi delle regioni di Mátra, Tokaj, Somló, Bükk, Balaton, Ménes e Szerémség. Presenti anche diversi vigneron di Isole Canarie, Azzorre, Slovenia, Israele, Francia (Auvergne) e Slovacchia (Tekov, Tekovského regiónu).
Abbiamo avviato la valorizzazione dei vini da suolo vulcanico ormai 10 anni fa – commenta Aldo Lorenzoni, direttore del Consorzio Tutela Vini Soave e Recioto di Soave, nonché del Consorzio del Lessini Durello – ed è bello vedere che la nostra idea si sia sviluppata non solo in chiave nazionale, ma anche internazionale”.
“All’evento di Budapest faranno seguito summit in Francia e Germania – annuncia Lorenzoni – ma soprattutto siamo protagonisti come Lessini Durello, assieme al formaggio Monte Veronese e alla cantina Santo Wines di Santorini, del progetto ‘Gli eroi vulcanici d’Europa‘: una misura 1144 dell’Ue che coinvolge 6 Stati, in 3 anni. Momenti, questi, che trasformano i vini vulcanici in una vera e propria categoria”.
Buoni i riscontri in Ungheria, con 738 visitatori registrati in due giorni all’Holdudvar della Margitsziget, l’isola Margherita sul fiume Danubio, tra Buda e Pest. “Siamo entusiasti di aver generato l’interesse internazionale per questo evento – commenta l’organizzatrice Eva Cartwright – e speriamo di aver ispirato il pubblico a visitare di persona gli incredibili paesaggi da cui provengono questi vini vulcanici”.
La macchina organizzativa dell’edizione 2020 è già in moto: “La location sarà più grande – annuncia Cartwright – e accoglierà nello stesso edificio, oltre ai produttori di vino, anche quelli di alcune eccellenze gastronomiche locali. L’intento sarà sempre quello di giocare sul trinomio Vino-Cibo-Esperienza“.
I MIGLIORI ASSAGGI A GOVOLCANIC 2019
SPUMANTI Lessini Durello spumante Brut “Vulcano”, Zambon: 90/100 La temperatura di servizio non aiuta al momento dell’assaggio, ma l’etichetta in questione è una vecchia conoscenza di WineMag.it. Un Metodo classico che sa abbinare al frutto polposo della Durella la verticalità ed essenzialità tipica dei vini vulcanici.
VINI BIANCHI Tokaj 2017, Sanzon Rány: 94/100 Furmint, single cru: 6 grammi litro ammortizzati a dovere dall’impronta vulcanica del terreno. Naso che si presenta timido, su note di buccia d’agrumi, per poi esplodere (letteralmente) su frutta esotica, mandarino e macchia mediterranea. Leggera percezione talcata. Spettacolo puro al palato, nel gioco tra larghezza e verticalità, polpa e “vulcano”. Chiusura salina elegantissima, con ritorni leggeri di liquirizia.
Tokaji 2017, Homonna Attila: 93/100 Furmint e Hárslevelű. Minerale da vendere, sia al naso sia la palato. Le note di pietra bagnata si avvicendano col frutto. In bocca una gran verticalità, senza rinunciare ancora al frutto, in un quadro di perfetta corrispondenza gusto olfattiva che si arricchisce di accenni di macchia mediterranea. Splendido.
Soave Doc 2017 “Le Cervare”, Zambon: 92/100 Vino bocciato tre volte dalla commissione di degustazione della Doc, forse per l’utilizzo di lieviti indigeni poco standardizzanti. Eppure “Le Cervare” è uno dei Soave più tipici in circolazione, con le sue note agrumate e l’impronta vulcanica che si manifesta su pietra focaia e polvere da sparo, prima di una chiusura sulla mandorla amara.N
Juhfark è il nome del vitigno che corrisponde al Coda di pecora, autoctono della Campania. Evidente la matrice del terroir, affiancata da note di fiori secchi, agrumi e tè nero. Al palato ricordi di frutta secca e gran sapidità, che accompagna verso un finale lungo e corposo.
Rhine Riesling 2017 “Shop Stop”, Villa Sandahl: 91/100 Un Riesling renano prodotto nella zona del Balaton, in cui i 6 grammi litro di residuo aiutano a riequilibrare la gran verticalità e freschezza del vitigno. Tra i vini più “gastronomici” in degustazione a GoVolcanic 2019.
Olaszrizling Single vineyard 2017, Sabar: 90/100 Naso ampio, talcato, mentolato, agrumato. In bocca verticale, molto salato, in un quadro di apprezzabilissimo equilibrio. Gran bevibilità, tipica del vino semplice ma non banale, e ottima persistenza.
Vinho Branco Verdelho Ig Açores 2017 “Magma”, Adega Cooperativa dos Biscoitos: 90/100
La mano degli enologi Anselmo Mendes e Diogo Lopes è leggerissima in questo vino delle Canarie che rispetta al 100% il terroir vulcanico, senza alcun compromesso “di cantina”. Vino verticale e diretto, dalla gran beva.
VINI ROSSI
Cabernet Sauvignon Red Hills Lake Country 2017, Obsidian Ridge Vineyards: 95/100 Uno dei capolavori della viticoltura americana. Al 96% di Cabernet Sauvignon la cantina accosta un 2% di Petit Verdot e un 2% di Malbec. Il gioco fra terra, frutto e terziari incolla il naso al calice.
Dal muschio al sottobosco bagnato, passando per richiami minerali (la classica pietra bagnata), si passa ai frutti rossi e alla mora, prima di sfociare nella spezia. In bocca pieno, elegantissimo, verticale ma equilibrato, tra frutto, terziari. Il tannino è vivo e di prospettiva, ma non disturba. Il rosso che sbanca l’evento di Budapest.
Etna Doc Rosso 2012 “Millemetri”, Feudo Cavaliere: 93/100 Frutto rosso, agrume, mineralità, pietra bagnata e ricordi goudron. In bocca buona verticalità e gran eleganza. Ritorni di agrumi e frutta rossa anticipano una chiusura salina, lunga e precisa. Da provare anche il rosato di questa nobile cantina siciliana.
Do La Palma Vijariego negro, Viñarda: 92/100
Siamo alle Canarie, per un vino manifesto del terroir. Con questo Vijariego negro metti il naso sul vulcano e inspiri a pieni polmoni il “concetto”. Sintesi per il naso di questa etichetta che gioca su sentori di brace, minerali e di erbe, con buon apporto di polpa. In bocca dritto, stretto, fa salvare la parte minerale. Gran bevibilità.
Etna Rosso 2016 “Scalunera”, Torre Mora: 91/100
Frutto rosso croccante, erbe, liquirizia, radice, bella profondità e pulizia. Corrispondente e lungo. Bella prova sull’Etna quella di Torre Mora, la tenuta etnea del colosso toscano Piccini.
Bükki Zweigelt Mályi – Zúgó – dűló 2018 Organikus Szőlőbirtok és Pincészet, Sándor Zsolt: 89/100 Vino semplice, beverino, tutto frutto e terroir vulcanico. Gran facilità di beva e rispetto della tipicità dello Zweigelt.
VINI DOLCI Recioto di Soave Docg Classico 2013, El Vegro: 94/100
Naso su goudron ed erbe aromatiche. Bocca dolce e tagliente. Un Recioto di Soave da incorniciare.
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