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degustati da noi vini#02

Franciacorta Docg Riserva 2011 non dosato “Bagnadore”, Barone Pizzini


Chi lo ha detto che arrivare “dopo” è peggio? Dopo oltre 70 mesi di affinamento in bottiglia, il Franciacorta Docg Riserva 2011 non dosatoBagnadore” è stato presentato in anteprima al Ristorante Viva della chef stellata Viviana Varese. Un’etichetta che Barone Pizzini ha saputo sapientemente attendere, immettendo sul mercato prima la vendemmia 2012.

Dire che ne è valsa la pena è poco. Bagnadore 2011 è un Franciacorta di grande schiettezza al palato. Teso, equilibrato. Capace di assicurare una lunghissima longevità. “Per noi un’annata strepitosa – commenta Silvano Brescianini, general manager di Barone Pizzini – che potremmo quasi dire fortunata. Ci aspettiamo grandi cose anche dall’annata 2016, alla quale per certi versi assomiglia la 2011″.

“Le favorevoli condizioni climatiche – continua Brescinini – hanno permesso l’ottenimento di basi spumante di eccellente qualità, tanto che viene concessa la riserva vendemmiale. Le condizioni si sono rivelate ottimali anche per la composizione acidica e la concentrazione del prodotto”.

Un successo, quello di Bagnadore 2011, legato secondo il manager di Barone Pizzini anche “ad una maturità aziendale che ci ha permesso di raggiungere degli ottimi risultati”. Risale allo stesso anno, inoltre, l’avvio della collaborazione con il professor Leonardo Valenti dell’Università di Milano (a sinistra nelle foto), in qualità di agronomo ed enologo.

Numerosi i riconoscimenti ottenuti da Bagnadore 2011 sulle guide Guide enologiche del 2020: 3 Bicchieri dal Gambero Rosso, 4 viti dell’Ais 5 Grappoli da Bibenda, tra i Migliori Spumanti da L’Espresso 2020, Vino Slow da Slow Wine, Corona da Vini Buoni d’Italia di Touring Club.

Un Franciacorta che va ben oltre il calice e l’etichetta. “Bagnadore – spiega Piermatteo Ghitti, amministratore delegato della Barone Pizzini – rappresenta e interpreta nel migliore dei modi la nostra filosofa aziendale. Siamo stati infatti i primi a produrre Franciacorta da viticoltura biologica certificata. Ma è anche un vino a cui sono particolarmente affezionato”.

“Questa Riserva – spiega Ghitti – nasce infatti per volontà di mio padre Pierjacomo, tra i fondatori della Barone Pizzini, con lo scopo di celebrare la nostra famiglia: siamo infatti detti i ‘Bagnadore’, dal nome del torrente che scorre accanto alla nostra dimora quattrocentesca di Marone, sul lago d’Iseo”.

LA VINIFICAZIONE
Ventimila le bottiglie prodotte per l’annata 2011, frutto di rigore e tanta pazienza, oltre che di una selezione accurata delle uve. La tecnica di vinificazione prevede un leggero passaggio in legno, ma soprattutto un prolungato affinamento e nessun dosaggio.

Bagnadore 2011 nasce dal sapiente matrimonio delle migliori uve Chardonnay (60%) e Pinot Nero (40%), provenienti da un unico vigneto: il Roccolo. Piante di oltre vent’anni, che godono dei benefici di una posizione spettacolare.

Si trovano infatti nei pressi di un bosco che mitiga il calore, garantisce un’ottima escursione termica e favorisce la biodiversità. Le uve vengono vendemmiate separatamente, pressate e affidate per 8 mesi alle barrique e altrettanti mesi in vasche inox, dove maturano prima di essere assemblate.

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Biodiversità significa vino di qualità. In Franciacorta il primo studio al mondo


PROVAGLIO D’ISEO –
E’ la differenza che passa tra una bellezza naturale e una costruita dal chirurgo. Da un ambiente sano e ricco di biodiversità, non ritoccato dai “ferri” della chimica, nasce un vino “naturalmente” buono.

E’ quanto conferma per la prima volta al mondo uno studio avviato in Franciacorta dall’Università della California di Davis, in collaborazione con il professor Leonardo Valenti dell’Università degli Studi di Milano. Un progetto avviato tra i vigneti di Barone Pizzini, azienda pioniera della sostenibilità in Italia, poi diffuso in altre aree vinicole del Paese.

Non a caso Barone Pizzini ha affidato all’enologo Valenti la presentazione dei primi risultati dello studio, in occasione dell’assaggio delle basi spumante 2018 della maison franciacortina. L’analisi dei terreni dei “cru” – oltre 40 quelli a disposizione di Barone Pizzini – dà infatti vita a micro vinificazioni, utili alla perfetta composizione delle cuvée.

Un approccio che avvicina la cantina bresciana ad alcune note realtà cooperative dell’Alto Adige, che da anni vinificano separatamente le uve dei propri conferitori, per arrivare al miglior blend. La marcia in più è costituita dall’attenzione alle diverse condizioni registrabili nelle micro porzioni di ogni singolo vigneto.

Un puzzle nel puzzle, che si traduce per esempio in scelte differenti sui livelli di pressatura delle uve del medesimo “cru”, da stabilire in base alle caratteristiche di “croccantezza” ed elasticità della buccia.

Sembra una cosa ovvia la connessione tra la vitalità del suolo e la qualità del vino – spiega Silvano Brescianini, direttore generale di Barone Pizzini e neo presidente del Consorzio per la Tutela del Franciacorta – ma in realtà non sempre questo viene considerato”.

“Per di più – sottolinea Brescianini – non esistono pubblicazioni ufficiali su questo tema. Dobbiamo essere dunque orgogliosi, come italiani, di essere stati i primi a lavorarci. E un grande merito va al nostro enologo, il prof Valenti, e al nostro agronomo, Pierluigi Donna”.

I PUNTEGGI DI BIODIVERSITÀ
“Quando una vite è in equilibrio con l’ambiente – spiega Leonardo Valenti – lo dimostra con un comportamento vegetativo corretto e una tendenza a generare uve di qualità. Non abbiamo fatto altro che analizzare i fattori alla base di questa correlazione, nel sottosuolo”.

Sono stati messi sotto osservazione i differenti appezzamenti di Barone Pizzini, ritenuti più o meno in grado, secondo le evidenze storiche raccolte in occasione delle diverse vendemmie, di produrre uve di maggiore o minore qualità.

Abbiamo dunque assegnato dei veri e propri punteggi di biodiversità ai diversi terreni – aggiunge Valenti – provando per la prima volta al mondo le precise assonanze tra i valori di vitalità del suolo e la qualità dei vini da esso prodotti. Il medico non tratta tutti i pazienti alla stessa maniera. Conoscere le caratteristiche di ogni singolo terreno ci aiuta a comprendere come aiutarlo naturalmente a produrre meglio”.

L’ASSAGGIO DELLE BASI E L’ERBAMAT

Dal campo alla bottiglia, insomma, il passo è breve. E promette benissimo l’annata 2018 di Barone Pizzini, sulla base degli assaggi delle basi spumante dell’ultima vendemmia. Si tratta di prelievi di “botte”, che andranno a comporre i Metodo Franciacorta passando per il tiraggio e la successiva sboccatura.

Le uve atte alla produzione di spumante – ricorda il professor Valenti – devono raggiungere un’immaturità matura. Potremmo anche definirla una ‘maturità adolescenziale’, di un giovane che ha un carattere abbastanza formato, anche se ancora malleabile”.

E’ così che lo Chardonnay del “cru” Roncaglia, utile alla produzione dell’etichetta “Animante” (20-30 mesi sui lieviti) rivela una buona acidità, equilibrata col resto del corredo. Sarà infatti “tirato” a breve.

Più torbida la base dello Chardonnay di Ronchi, che finirà nella cuvée del “Satèn” o del “Naturae”. Una storia a sé per questo vino, ottenuto grazie a una selezione di lieviti indigeni compiuta in un magazzino sterile di Barone Pizzini, fino a individuare – tra 10 diversi – quello più capace di garantire elevati standard qualitativi in fermentazione.

Ben 5, ovvero la metà, sono risultati “gravemente problematici”: una riprova che anche tra i lieviti indigeni delle uve occorre fare selezione, per evitare arresti fermentativi o altri problemi indotti. Un progetto che Barone Pizzini intende comunque estendere ad altri vigneti.

Altro campione altra base: lo Chardonnay del “cru” del Roccolo è perfetto per il Franciacorta Riserva “Bagnadore”, prodotto di punta della cantina bresciana. Si tratta infatti delle ultime uve raccolte nel comprensorio aziendale.

Una maturazione più lenta che garantisce l’ottenimento di un vino base di potenza, struttura e maturità, grazie ad un accumulo di zucchero che non penalizza l’uva in termini di acidità e ph.

Non a caso le radici affondano in un suolo misto, dove parti profonde e sottili si mescolano. Una situazione simile a quella della fascia centrale della Borgogna, dove si trovano appunto i preziosi Grand Cru e i Premier Cru.

Tra gli assaggi più significativi anche quello dell’Erbamat, l’autoctono riscoperto da Barone Pizzini ed entrato ufficialmente tra i vitigni del Franciacorta dalla vendemmia 2017, con un massimo del 10%.

Un vitigno che dà vita a vini duri, ma dotati al contempo di una certa aromaticità, avvertibile nel retro olfattivo. In Italia può essere paragonato solo alla Durella, l’uva “tosta” con cui si produce il Metodo classico dei Monti Lessini.

“Il campanello d’allarme delle caldissime vendemmie 2003 e 2007 – spiega Silvano Brescianini – ci ha spinto ad interrogarci ancora più seriamente sui cambiamenti climatici. Tra le 18 varietà autoctone disponibili per la Denominazione abbiamo scelto l’Erbamat. Una scelta dovuta al fatto che matura 6-8 settimane dopo lo Chardonnay e mostra un’acidità malica elevata, oltre ad essere citata dall’agronomo bresciano Agostino Gallo già nel 1564″.

Barone Pizzini ha iniziato a reimpiantarlo nel 2008 in località Timoline (vigneto Prada). Nel 2011 le prime prove di vinificazione e nel 2016 i nuovi vigneti, per aumentare la massa critica. La cantina di Provaglio di Iseo, assieme a Berlucchi, detiene oggi la nursery dell’Erbamat.

Ci vorrà del tempo per capire se la sperimentazione avrà avuto gli effetti sperati – evidenzia ancora Brescianini – ma di sicuro avere un vitigno così sul territorio ci consente di presentarci all’estero con una storia autentica e di territorio da raccontare, oltre ai vantaggi garantiti dalle caratteristiche di questa uva”.

Secondo l’enologo Leonardo Valenti, la quota perfetta di Erbamat nella cuvée del Franciacorta è tra il 20 e il 25%, meglio se con Chardonnay e Pinot Noir. Sorprendenti, appunto, anche gli assaggi di Pinot Nero della vendemmia 2018 di Barone Pizzini: potenti, salini e dotati del giusto apporto di frutto.

Quel che è certo è che tutti i Franciacorta della cantina di Provaglio d’Iseo siano “ipocalorici”, come piace definirli al direttore Silvano Bresciani. Ovvero sostanzialmente privi di percezioni zuccherine. La “coda” dolce della liqueur d’expedition è poco percettibile ed è semplice capire perché: il vino “più dosato” è il Satèn, che registra tra i 4 e i 5,5 grammi di residuo.

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