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Priscilla Occhipinti: la donna che parla con l’alambicco

Priscilla Occhipinti, titolare di Nannoni Grappe e unico Maestro Distillatore donna d’Italia, ed il suo alambicco. È un po’ come Don Camillo col Crocifisso: uno parla e l’altro risponde. “L’impianto parla, parla proprio! – dice la Occhipinti raggiunta telefonicamente da Winemag – Le attrezzature trasmettono non soltanto con l’alcolometro, col termometro, o il misuratore di pressione, ma anche coi suoni o col ritmo al quale esce il liquido”.

“A volte il vapore che pulsa da un suono o un timbro diverso: vuol dire che lì c’è bisogno un intervento. L’impianto ti suggerisce non solo le manutenzioni, ma anche le modifiche per lavorare meglio. Per questo non c’è una scuola”. Parole che lasciano trasparire il valore artigianale di un lavoro fatto “di petto e di pancia”.

E forse è proprio in questo valore il segreto del successo di Nannoni Grappe, realtà nata negli anni ’70 nella campagna maremmana ed in grado, dal 2011 ad oggi, di collezionare più di 150 medaglie d’oro e doppio oro nei più importanti concorsi internazionali, cui si aggiungono l’oro per la Grappa di Brunello Riserva 5 anni e l’argento per Gin Gingillo rosa al Concours Mondial de Bruxelles 2020 appena conclusosi.

Sono la sola donna che si può vantare di distillare personalmente il 100% di quello che esce dell’azienda. All’inizio non è stato molto semplice, perché ero giovane e donne nel mondo dei distillati non ce n’erano.

In Italia poi le distillerie son sempre meno, mentre nel nord Europa, dove si sono resi conto di che bene prezioso siano le distillerie per il paese, ci sono un po’ meno difficoltà ed è più facile trovare realtà ‘al femminile‘”.

LA GRAPPA ED IL TERRITORIO
“Essere donna – dice la Occhipinti – mi dà un valore aggiunto perché ritengo che le donne abbiano questa sensibilità che le contraddistingue e la metto in maniera spontanea nel mio lavoro. Come amo la musica, come amo l’arte, così amo trasmettere attraverso la distillazione i profumi del territorio”.

Il territorio, parola fin troppo spesso associata a ‘viticoltura’ ma che raramente viene affiancata a ‘distillazione’. “Il territorio è tutto. Qualsiasi territorio è tutto – dice senza indugio – I profumi che escono dall’alambicco sono i profumi che escono dal territorio, il mio patrimonio è quello. Io devo distillare il territorio”.

Territorio che può riversarsi nello spirit solo a fronte di una materia prima eccellente e lavorata per tempo. “Il mio lavoro è quello di far arrivare le materie prime freschissime e distillarle subito. In quel modo porto il territorio nel bicchiere. Una buona vinaccia fa il 70% del lavoro. Sono fra i pochi distillatori che appena finiscono le svinature, finisce anche la distillazione. Non sono in tanti a potersi vantare di questo”.

IL VALORE DEL LAVORO ARTIGIANALE
Un aspetto, quello delle materie prime, che Priscilla racconta con enfasi sottolineando come anche in questo sta la grande differenza fra l’artigiano e l’industria, fra l’autenticità di un prodotto e le mere logiche commerciali.

Sembrerò una presuntuosa, ma lavoro da mattina a sera nella distilleria da sola e vedermi accomunata a gente che compra dall’industria l’80% di quello che imbottiglia e vende o a gente che distilla la muffa, un pochino mi gira l’anima! La grappa ha bisogno di rispetto. Il mio affetto profondo va alla grappa ed il mio rispetto profondo va alla grappa”.

Parole che non lasciano spazio all’interpretazione, dalle quali emerge chiara la difesa del proprio lavoro, spesso confuso, complice la legislazione italiana, con quello di chi si limita ad imbottigliare prodotti che il più delle volte risultano disarmonici e squilibrati perché “l’equilibrio lo si raggiunge solo toccando l’impianto e sentendo l’aria che si respira in distilleria”.

Ed è nella mancanza di equilibrio di molti, troppi, prodotti ‘di massa’ che risiedono le difficoltà che la grappa incontra sul mercato. “La grappa è difficile a livello di consumo perché purtroppo la media dei prodotti che si trova in commercio è molto bassa. Chi assaggia la grappa sente che brucia e dice ‘io non la voglio bere’. La grappa ha troppa personalità per passare indifferente e se uno assaggia una grappa cattiva, è veramente cattiva”.

Fare cultura della grappa e del buon bere, quindi, per avvicinare il consumatore ad un prodotto la cui intensità può lasciare spaesati. Fare cultura della grappa anche per ‘difenderla’ dalle recenti interpretazioni che tendono a snaturarne le caratteristiche per avvicinarla a mondi che non appartengono alla sua tradizione.

“A fine agosto ho fatto una manifestazione – racconta Priscilla – avevo in degustazione una grappa riserva 5 anni, e un gin morbido e piacevole. Quando ho proposto di assaggiare i prodotti ‘tal quale’ solo quattro presenti su 80 hanno accettato, gli altri hanno chiesto un gintonic convinte di bere meno. È una percezione sbagliata che fa si che le persone siano più propense ai cocktail”.

“E siccome una certa industria ha bisogno di vendere ecco che ci si sposta su prodotti a minor contenuto alcolico o pensati per la mixology . La grappa non sempre sta bene insieme ad altre cose, anche se son stati creati dei cocktail per la grappa”.

NON SOLO GRAPPA
Anche se il distillato nazionale la fa da padrone, con 3.500 quintali di vinaccia lavorata all’anno, oltre 1.000 barrique certificate e circa 80 mila bottiglie/anno, tanti sono i prodotti che Priscilla Occhipinti ha inserito nella gamma di Nannoni, tutti distribuiti da Rinaldi1957. Acquaviti di frutta, acquaviti di miele, brandy e whisky, ma anche gin ed il nuovo nato ‘Maremmamaro‘, un amaro di ‘territorio’.

“Mi diverto. Fare altre tipologie di distillato mi porta ad esplorare nuovi aromi, lavorando quei prodotti che hanno una tradizione importante in maremma. L’apparecchio del gin me lo sono regalato qualche Natale fa. Per fare un buon gin occorre avere naso per riuscire ad abbinare le erbe officinali e valutarne la durata di infusione. Tutta esperienza in più e nuove possibilità di raccontare il territorio“.

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Craft Distilling Italy 2020: la distillazione artigianale italiana fa squadra

Un quadro variopinto. Un panorama eterogeneo composto da realtà diverse, con dimensioni diverse. Difficoltà pratiche ed una burocrazia intricata a condire uno scenario in piena evoluzione, in cui i decani della distillazione artigianale si incontrano con la dinamicità delle nuove leve. È quanto emerge da Craft Distilling Italy 2020, la prima conferenza mai organizzata sulla distillazione artigianale italiana.

Un evento pensato, voluto e realizzato dal team di Distillerie.it, lo scorso 27 ottobre. Un’occasione per fare il punto della situazione su un settore ancora poco conosciuto, poco sviluppato e forse ancora poco consapevole di sé, come “settore”.

LA RICERCA DELL’ARTIGIANALITÀ
Il punto focale è una forte ricerca dell’artigianalità, vista come “qualità organolettica” del proprio distillato. La volontà, insomma, di realizzare un prodotto fedele a se stesso ma “mai uguale” (per annata, invecchiamento o altri fattori), o come valorizzazione della biodiversità.

Artigianalità intesa come territorialità portata dritta nel calice. O come volontà di seguire l’intera filiera del proprio spirit, dalla coltivazione delle materie prime fino a fermentazione, distillazione ed affinamento. Qualunque sia la definizione che ogni artigiano dà del proprio lavoro, appare evidente il desiderio di “raccontare qualcosa” che vada oltre il prodotto standardizzato, tipico dei processi industriali.

UN MOVIMENTO ANCORA “DISORDINATO”
Se i valori sono noti e condivisi, meno chiara è invece la strada da seguire per farli emergere. Il settore è frammentato, ricco di realtà diverse non solo per tipologia di prodotto, ma anche per dimensioni, per “anzianità di servizio” – dai pilastri della distillazione italiana ai giovani ancora alle prime armi – e per consapevolezza dei propri mezzi.

Manca ancora un vero associazionismo che dia al settore un’identità precisa e riconoscibile, una spinta univoca paragonabile a quella del movimento dei Birrifici Artigianali, che negli ultimi vent’anni hanno ridisegnato lo scenario brassicolo italiano.

Nei discorsi fatti oggi ritrovo molte di quelle cose che ci passavano per la mente 25 anni fa quando abbiamo iniziato a portare la birra artigianale alle prime manifestazioni fieristiche e festival. All’epoca eravamo in cinque, parlo del ’99, e la collaborazione era fortissima, era grandiosa, c’era molto spirito di gruppo. Un paio d’anni dopo è nata Unionbirrai che oggi ha molto peso nel settore. La collaborazione è fondamentale per crescere”.

A parlare è Agostino Arioli, capostipite della Birra Artigianale con Birrificio Italiano ed ora pioniere della “distillazione di precisione” con Strada Ferrata, micro distilleria di whisky ancora in fase di rodaggio.

Riferimento in questo senso è l’American Craft Spirit Association, associazione statunitense nata nel 2013 che raccoglie più di 300 distillatori artigianali in grado di coprire circa il 10% del mercato nazionale, percentuale al momento impensabile per gli artigiani italiani.

L’esperienza diretta portata in conferenza da Rebecca ‘Becky’ Harris, master distiller di Catoctin Creek Distillery e presidente dell’Acsa, è un chiaro esempio di come un sano associazionismo, basato sul far fronte comune e sulla condivisione delle esperienze in totale e serena apertura, sia la chiave per far emergere il settore.

I NUMERI DELLA DISTILLAZIONE IN ITALIA
È Assodistil, associazione che rappresenta oltre il 95% dell’alcol agricolo prodotto in Italia, a confermare la fotografia di un settore frammentato. Delle 135 aziende del comparto, che danno impiego ad oltre 2 mila addetti, l’80,1% conta meno 9 dipendenti.

Stesso discorso per le quantità prodotte: il 30% dei produttori di Grappa produce meno di 100 mila litri/anno a fronte di un settore da 72 mila ettolitri. Piccoli produttori che faticano ad aver accesso a fiere e manifestazioni internazionali di settore, frenando quindi la vocazione all’internazionalizzazione che resta appannaggio dei grandi player.

UNA BUROCRAZIA POCO AGILE
La burocrazia alle spalle dell’attività distillatoria complica ulteriormente uno scenario già di per sé non facile. A regolamentare la distillazione ed i rapporti fra artigiano ed Agenzia delle Dogane è la legge 504 del 1995 nota come “Testo unico delle Accise“.

Legge che suddivide le distillerie in base al “modo” in cui vengono conteggiate e pagate le accise sull’alcol, come “Magazzino doganale ad accisa sospesa“, situazione complessa ma applicabile ad ogni realtà, o “Opificio ad imposta assolta“, situazione fiscalmente più snella ma che vincola sulle tipologie di prodotto realizzabile.

A queste si affianca l’opzione “Tassa giornaliera o forfettaria“, antico retaggio Austro-Ungarico che consente di produrre fino ad un massimo di 300 litri anidri di alcol all’anno, l’equivalente di circa 1.000/1.100 bottiglie. Dimensioni poco più che hobbistiche, ma in grado di generare produzioni di assoluto interesse come nel caso di Castel Juval e, più in generale, del modello di distillazione artigianale dell’Alto Adige.

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