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«Riduzione produzione di vino in Europa? Conseguenze irrilevanti». È polemica

«Riduzione produzione di vino in Europa Conseguenze irrilevanti». Scoppia la polemica«Sì, la viticoltura è essenziale in Europa». È quanto affermano le Associazioni di rappresentanza del settore vitivinicolo – da Alleanza cooperative agroalimentari alla Federazione italiana vignaioli indipendenti Fivi, passando per Coldiretti, Confagricoltura, La Coopération Agricole e Interprofesional del Vino de la España – di fronte alle conclusioni dello studio complementare sull’impatto del regolamento SUR sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, pubblicato dalla Commissione europea. Nel documento si descriverebbe come «irrilevante la prevedibile diminuzione della produzione di uva in Europa». Inoltre la viticoltura sarebbe definita «una coltura non essenziale».

Da qui la richiesta congiunta agli Stati membri e agli eurodeputati di «prendere una posizione chiara su questo tema». «Il vino – ricorda Confcooperative in una nota congiunta con il resto della filiera italiana, francese e spagnola – è un importante prodotto economico e culturale in Europa. Il nostro settore chiede di essere sostenuto per continuare le azioni di transizione ecologica con regolamenti realistici e un calendario operativo, che permetta l’implementazione delle soluzioni alternative efficaci esistenti e in arrivo.

Le Associazioni di rappresentanza italiane, francesi e spagnole rivendicano l’importanza del vino in Europa. «L’Unione Europea è il primo produttore di vino al mondo, – ricordano Italia, Francia e Spagna – con il 45% della superficie viticola mondiale. Questo settore ad alto valore aggiunto è vitale per molte regioni rurali europee, genera milioni di posti di lavoro e contribuisce in modo significativo alla bilancia commerciale dell’Ue».

VITICOLTURA NON ESSENZIALE PER LA COMMISSIONE UE
Le Associazioni di rappresentanza del settore vitivinicolo che si oppongono alle conclusioni della Commissione europea

Tuttavia, questo studio prevede un calo della produzione di uva dovuto agli effetti della riduzione dei fitosanitari, stimato al 18% in Spagna, al 20% in Italia e al 28% in Francia, senza nemmeno valutare l’impatto del cambiamento climatico che andrebbe aggiunto a questa cifra.

La Commissione europea aggiunge nello studio che la produzione di uva non è una coltura essenziale per la sicurezza alimentare europea e che una diminuzione della produzione di vino in Europa sarebbe irrilevante. Queste affermazioni ignorano l’enorme contributo economico, sociale e culturale del settore vitivinicolo in molte regioni dell’UE».

Un atteggiamento che viene giudicato «totalmente inaccettabile» dalle organizzazioni rappresentative della catena del valore del vino in Spagna, Francia e Italia. «È incomprensibile – si legge ancora nella nota stampa – che la Commissione europea ipotizzi e preveda la penalizzazione di un intero settore di grande importanza per l’economia europea. Gli operatori e le aziende vitivinicole sono da tempo impegnati nella transizione ecologica e continueranno ad esserlo. C’è ancora molto lavoro da fare e i nostri produttori devono poter portare avanti questo impegno per la sostenibilità ambientale senza inutili polemiche».

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Tappo a vite, quanto mi costi: perché il futuro dello Stelvin non è in mano ai vignaioli


EDITORIALE – Non è passata in sordina, nel settore, l’iniziativa di cinque produttori di vino uniti per promuovere insieme la “cultura” del tappo a vite. L’iniziativa di Franz Haas, Graziano Prà, Jermann, Pojer e Sandri e Walter Massa, alias “Gli Svitati“, non ha tuttavia smosso di un centimetro le coscienze dei consumatori. Tantomeno lo ha fatto con quelle dei colleghi vignaioli del quintetto, tra cui già non mancavano diversi convinti sostenitori del tappo a vite (al pari di qualche detrattore). La mia idea è che – su temi come questo – non serva a nulla “parlarsi addosso”, tra addetti ai lavori. Il futuro dello Stelvin in Italia (Stelvin è il nome del brand più noto a livello internazionale, divenuto negli anni sinonimo di “tappo a vite”), a differenza di altre battaglie, non è in mano ai vignaioli ma ai grandi gruppi del mondo del vino, come le cooperative. Il “canale” per cambiare i connotati dei consumatori e dare l’auspicata dignità al tappo a vite non è l’Horeca, ma la Gdo: il mondo dei supermercati.

Per capirlo basta entrare in uno dei punti vendita delle tante insegne presenti in Paesi come l’Inghilterra (da Tesco a Lidl, passando per Aldi e Waitrose) invase da decine di vini tappati con lo Stelvin che i clienti acquistano senza alcun timore. Si tratta principalmente di etichette provenienti dalla Nuova Zelanda e dall’Australia, base Sauvignon Blanc e Syrah / Shiraz, segnale di quanto i due Paesi oceanici abbiano iniziato ormai da decenni a dare importanza al tappo a vite. Vini prodotti principalmente da grandi gruppi e adatti a tutte le tasche, in molti casi addirittura con un rapporto qualità prezzo invidiabilissimo (il che non significa costino necessariamente poco!). Tutto tranne che “vini spazzatura”, insomma.

I COSTI DEI MACCHINARI PER LA TAPPATURA A VITE

L’investimento sui macchinari per la tappatura Stelvin, di fatto, non è alla portata dei vignaioli e delle piccole cantine. A confermare come siano pochi i colleghi degli “Svitati” Franz Haas, Graziano Prà, Jermann, Pojer e Sandri e Walter Massa a potersi permettere un tale investimento sono le aziende produttrici di questi macchinari, interpellate su suggerimento di alcuni vignaioli italiani.  Esemplificativo l’intervento di Mirella Simonati, business growth manager di PMR System Group di Bovisio Masciago (MB). «Gli impianti che progettiamo e realizziamo – spiega – partono da soluzioni semi-automatiche da banco per basse produzioni (500/600 pz./h.) ad un costo intorno ai 4 mila euro, fino ad arrivare a soluzioni completamente automatiche, installate in linea, con caricatore automatico dei tappi e una produttività anche superiore ai 4000 pz/h. Si tratta di sistemi che vanno oltre i 100 mila euro».

Walter D’Ippolito di Alfatek Bottling Plants Srl, azienda di Albano Laziale (RM) precisa come esistano «varie tipologie di tappo a vite per il vino, dal tappo vite basso, al tappo Stelvin, fino ad arrivare al tappo Stelvin Lux, soluzione più elegante e moderna. Le macchine automatiche raggiungono una produttività di 2500/2800 bottiglie per ora e il loro costo può variare dai 30 ai 45 mila euro». Conferme sui costi ingenti dei macchinari per la tappatura a vite arrivano anche da Paolo Lucchetti, tra i massimi sostenitori dello Stelvin tra i vignaioli italiani. «Una macchina semplice, con tappo raso, 12 rubinetti, è introvabile al giorno d’oggi a meno di 60, 70 mila euro. Con la doppia chiusura si arriva ad almeno 80 mila euro. Un investimento che non è alla portata di tutti, ma nel prossimo futuro, se questa chiusura prenderà sempre più piede sul mercato nazionale, i costi potrebbero abbattersi».

LE COOPERATIVE VITIVINICOLE E IL FUTURO DEL TAPPO A VITE

E il conto terzi? Anche questa soluzione, secondo diversi vignaioli interpellati, non è praticabile dalle piccole cantine. Le aziende che offrono il servizio di imbottigliamento “a domicilio” offrono questo servizio a partire da 20 mila bottiglie, quantità che inizia ad essere impegnativa per una singola cantina artigianale. «Per quantità inferiori alle 20 mila bottiglie ma superiori alle 10 mila – riferisce un piccolo produttore del Sud Italia – chiedono il doppio del prezzo. Sarebbe utile, come è stato fatto in Piemonte, prendere un macchinario in condivisione, ma mettere d’accordo le varie anime di un territorio non è semplice, così come portare avanti politiche di marketing comuni».

Diventa così ancora più fondamentale l’apertura al tappo Stelvin da parte dei grandi gruppi del settore vitivinicolo italiano. «Siamo favorevoli – commenta Luca Rigotti, Coordinatore Settore Vino di Alleanza Cooperative Agroalimentari – alla possibilità di differenziare e adeguare l’offerta con chiusure e materiali alternativi come il tappo a vite. Un’opzione, quest’ultima, che consente alle imprese vitivinicole di dare risposta alle crescenti richieste del mercato che, in particolare all’estero, come nei paesi del Nord Europa, compresa la Germania e il Regno Unito, è particolarmente apprezzata dai consumatori».

Si tratta di un approccio che deve tenere conto delle esigenze dei mercati e, specie nell’attuale congiuntura, delle voci di costo delle materie prime e degli imballaggi, e che quindi dovrebbe riguardare, oltre alle chiusure, anche i contenitori di capacità inferiore ai 2 litri, per i quali attendiamo un’apertura rispetto all’utilizzabilità, anche per i vini Doc, di materiali alternativi al vetro. Un’apertura comunque ragionata, tenendo conto che, come per altri requisiti, spetterebbe ai disciplinari l’ultima parola e la possibilità di poter prevedere, rispetto alla regola generale, regole più restrittive».

IL TAPPO STELVIN IN GRANDE DISTRUBUZIONE

Della stessa idea Benedetto Marescotti, direttore Marketing di Caviro. «Il tappo a vite o “Stelvin” registra consensi sempre maggiori tra i consumatori dei mercati che frequentiamo, specie in quelli  internazionali. Siamo una filiera, impegnata la massimo nel preservare la qualità del prodotto, dalla vite all’imbottigliamento, per cui non abbiamo certo remore nei confronti di qualsivoglia contenitore o sistema di chiusura, purché di garanzia per mantenere la qualità dei nostri vini, che siano bottiglie classiche nella forma e chiusura col sughero, o con chiusure a vite, sebbene considerate da alcuni meno “tradizionali”».

Ne imbottigliamo già decine di milioni con questa chiusura, pratica e qualitativa al contempo, molto richiesta, se non necessaria, nei mercati anglosassoni in primis. Del resto, se non fossimo “laici” sul confezionamento noi, che abbiamo inventato il vino in brick (Tavernello, ndr), ci sarebbe da stupirsi. Il must è valorizzare i vini delle nostre cantine socie e garantirli fino alla tavola, una sorta di filiera lunga, per la quale anche il tappo in questione ha le carte in regola».

Eppure, la strada è ancora in salita. Dai dati riportati da Stelvin e Guala Closures, oggi quattro bottiglie su dieci sono imbottigliate con tappo a vite, con una percentuale che in Europa Occidentale, storicamente più tradizionalista, è passata dal 29% nel 2015 al 34% nel 2021. L’Italia, ferma al 22%, può contare solo su cooperative – e buyer Gdo – per crescere.

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Aumenti energia e materie prime: 1,1 mld di extra costi per la filiera del vino

Extracosti da oltre 1,1 miliardi di euro a causa dell’incremento dei costi dell’energia e delle materie prime. È questo il conto salato che sta per abbattersi sulla filiera vitivinicola italiana. Una vera tempesta dei prezzi che intaccherà la redditività delle imprese e rischia di comprometterne anche la capacità competitiva sui mercati internazionali.

Il dato emerge dallo studio CensisAlleanza Cooperative Agroalimentari “Vino, la febbre dei costi” presentato oggi in conferenza stampa a Roma.

IL CALCOLO

Il fatturato 2021 della filiera è pari a 13,6 miliardi di euro. Applicando a questo dato la quota del 78,4% dei consumi intermedi necessari alla produzione, se ne determina il valore in 10,7 miliardi per il 2021. Utilizzando la variazione dei costi di produzione del prodotto vino fra febbraio 2021 e febbraio 2022, pari al 10,5%, il valore attuale dei consumi intermedi raggiungerebbe il livello di 11,8 miliardi di euro.

«La differenza, in termini assoluti, è pari a 1.124 milioni di euro – commenta Luca Rigotti, Coordinatore Vino di Alleanza Cooperative Agroalimentari -. Un carico aggiuntivo sulla redditività delle imprese che inevitabilmente andrà a erodere i loro margini, compromettendone anche la loro capacità competitiva sui mercati internazionali».

LE VOCI DI COSTO

Contribuiscono in modo sostanziale all’incremento dei costi di produzione le componenti dei prodotti energetici, che hanno fatto segnare un +31,4% medio annuo. Un incremento dei carburanti pari al 38,3%, dell0energia elettrica del 16,7% e dei lubrificanti addirittura del 70%. Fra i fattori produttivi utilizzati nella coltivazione, fertilizzanti e concimi hanno visto crescere il livello del 32,3%.

Anche i materiali impiegati per il confezionamento e l’imballaggio hanno subito aumenti che inevitabilmente si rifletteranno sul prezzo finale del vino. Fra gennaio 2021 e gennaio 2022, prima degli effetti dovuti allo scoppio della guerra in Ucraina, il prezzo alla produzione del vetro è cresciuto dell’8,5%. Quello del sughero del 9,4%. Sono invece compresi fra il 23 e il 30% gli aumenti relativi alla carta e agli imballaggi.

«L’incremento dei costi dell’energia e dei materiali di produzione testimonia la pesante situazione a cui da mesi sono sottoposte le imprese vitivinicole – ha proseguito Rigotti – a cui si aggiunge un serio problema legato alla reperibilità e all’approvvigionamento dei materiali».

«È necessario trovare – ha concluso il Coordinatore – nuovi strumenti, sulla linea di quelli già emanati dal Governo, per cercare di mitigare gli effetti della crisi e non perdere ulteriori margini di competitività. Inoltre, è necessario ed urgente che l’UE intervenga per mettere un tetto condiviso al prezzo dell’energia e del gas, valutando la possibilità di svolgere il ruolo di acquirente unico sul mercato».

Dal lato della logistica, la filiera del vino si sta già da mesi confrontando con uno scenario fortemente critico. Nel trasporto aereo di merci gli aumenti hanno superato il 20% in dodici mesi. Nel trasporto marittimo la crescita dei prezzi dei servizi ha raggiunto, sempre fra inizio 2021 e inizio 2022, il 36,2%.

FMI EXPORT E PREVISIONI FMI

Il Fondo Monetario Internazionale ha calcolato, poco prima che scoppiasse la guerra in Ucraina, che lo shock energetico e delle materie prime avrebbe compromesso l’1,3% del PIl 2022 degli Stati Uniti e della Francia, l’1,5% dell’Area Euro, fino a raggiungere il 3% per il Regno Unito e quasi il 5% per la Spagna.

La mancata crescita di questi paesi che rappresentano i principali partner economici della filiera italiana del vino rischia di intaccare gli ottimi risultati dell’export del prodotto nel 2021. Basti pensare che nell’ultimo anno gli Stati Uniti hanno aumentato le importazioni di vino italiano di oltre diciotto punti percentuali. La Francia del 17,8%, la Spagna del 17,2% e che nei paesi dell’euro l’export di vino italiano è cresciuto del 9,9%.

Ci sarà sicuramente una rimodulazione delle vendite di vino in Russia dovuta alla difficoltà di pagamenti e transazioni riscontrate dalla imprese. Russia che nel 2021 aveva richiesto vino italiano per circa 150 milioni di euro, con un aumento della domanda superiore al 18%.

Il valore del vino importato dall’Ucraina è pari a 55 milioni di euro. Un mercato che aveva orientato la scelta di vino verso i nostri produttori, con un incremento degli acquisti pari a +30%.

LA FEBBRE DEI COSTI

Fra gennaio e marzo di quest’anno il prezzo del petrolio è passato da poco più di 78 a 118 dollari, con un incremento del 50,9% in poco più di 60 giorni. Se si torna a inizio 2021 la variazione è addirittura del 130,6%. Il gas acquistato in Europa costava 19 euro per Mwh a gennaio dello scorso anno, per passare dodici mesi dopo a 78,50 e raggiungere la quota di 132 euro l’11 marzo scorso.

Il prezzo del carbone è quasi quintuplicato in un poco più di un anno, da 133 dollari per tonnellata a 681 dollari dei giorni scorsi. Solo fra gennaio e marzo il prezzo è quasi triplicato. Il quadro che si è venuto a delineare implica conseguenze pesanti per le attesa di crescita nel 2022.

Nell’ultimo Outlook, l’Ocse ha stimato che l’effetto combinato dell’aumento dei prezzi di energia e materie prime fra il 24 febbraio (giorno d’inizio dell’aggressione russa) e il 9 marzo (giorno di pubblicazione dell’Outlook), e dell’instabilità dell’area porterà a una caduta della domanda globale dell’1,08%. Dell’1,4% fra i paesi dell’Euro e dello 0,88% negli Stati Uniti.

Effetti ora non quantificabili sul lato degli scambi internazionali e delle esportazioni dei singoli paesi. In aggiunta, la condizione di “stagflazione“, mai più sperimentata in Occidente dagli anni 70, diverrebbe l’ipotesi più probabile per descrivere il corso dei prossimi mesi in molti paesi.

L’inflazione e la corsa dei prezzi peseranno ulteriormente sulle decisioni di spesa e di investimento .La mancata crescita di questi paesi che rappresentano i principali partner economici della filiera italiana del vino rischia di intaccare gli ottimi risultati dell’export del prodotto nel 2021.

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«Piwi subito nelle Igt come “palestra”, poi nelle Doc»: Italia svegliati, la Francia corre

Continua il dibattito sui Piwi, i vitigni resistenti alle principali malattie fungine della vite. Dopo la modifica del Regolamento Ue 2021/2117 pubblicata in Gazzetta ufficiale il 6 dicembre dello scorso anno, l’Unione europea ha dato il via libera al loro inserimento nelle Dop.

Ora, secondo il professor Attilio Scienza, a capo del Comitato nazionale vini, è il momento di sfruttare le Igt del vino italiano «come palestra per i Piwi, procedendo poi al loro inserimento graduale nei disciplinari dei vini a Denominazione di origine (Doc e Docg, ndr)». Anche perché la Francia, diretta competitor dell’Italia sui principali mercati internazionali, corre.

«L’Institut national de la recherche agronomique – ha spiegato Scienza – ha già autorizzato l’utilizzo di 4 varietà di vitigni resistenti per la produzione dei vini a denominazione di Bordeaux e Champagne. Si tratta di Artaban N., Vidoc N., Floreal B. e Voltis B., addirittura catalogati come specie di vitis vinifera. In Italia uno dei casi riguarda l’Alto Adige, con il Bronner nell’Igt Mitterberg».

«NUOVI PIWI INCROCIANDO I VITIGNI AUTOCTONI»

Sempre secondo Scienza, occorre lavorare per la creazione di vitigni resistenti a partire da incroci con vitigni autoctoni italiani, «sull’esempio di quanto già fatto con in Friuli Venezia Giulia con l’ex Tocai (oggi Friulano), e in Trentino con Nosiola e Teroldego». Su questo fronte sarebbe già al lavoro il Crea – Centro di Ricerca per la viticoltura di Conegliano.

«Un aspetto importante – ha proseguito il numero uno del Comitato nazionale vini – riguarda la comunicazione di questi vitigni, che devono essere considerati, anche dal punto di vista organolettico, delle realtà a sé stanti, non paragonabili ai loro “genitori”».

Andrebbe inoltre creato «un Club con un marchio nazionale», in sostituzione a quello dei Piwi di origine germanica, utile a mettere in rete expertise, favorire la zonazione e l’individuazione dei migliori terroir per ogni singolo vitigno resistente.

INSERIMENTO GRADUALE DEI RESISTENTI NELLE DOP DEL VINO ITALIANO

Quanto al loro inserimento nelle Denominazione di origine dopo la «palestra» dell’Igt, si procederebbe per via graduale. «Su richiesta dei Consorzi – ha spiegato il prof. Scienza – il Comitato nazionale vini potrebbe inserire i Piwi nei disciplinari per un massimo del 15%. Per i successivi tre anni verrebbero vagliati per quantità e qualità, sino ad aumentarne la quota all’interno delle Doc».

Tutti argomenti, quelli Scienza, arrivati durante il convegno digitale organizzato in mattinata dal Settore Vitivinicolo di Alleanza Cooperative Agroalimentari. “Nuovi modelli di viticoltura alla luce delle moderne tecnologie genetiche e delle politiche europee”, ha deciso di titolarlo il gruppo di lavoro del coordinatore Luca Rigotti.

«Si tratta di un tema particolarmente importante ed attuale – ha dichiarato l’esponente dell’Alleanza coop in apertura – anche alla luce degli obiettivi posti dalla strategia Farm to Fork e della più recente proposta di legge n. 3310 presentata l’8 ottobre scorso alla Camera dei Deputati. È un obbligo morale dell’agricoltura porsi favorevolmente nei confronti di tecnologie volte alla sostenibilità e al rispetto dell’ambiente e delle persone».

I NUMERI DEI PIWI IN ITALIA: QUANTI ETTARI VITATI?

Durante il convegno, al quale sono intervenuti anche l’onorevole Paolo De Castro (Commissione per l’Agricoltura e lo sviluppo rurale del Parlamento Europeo), il professor Michele Morgante (Istituto di Genomica Applicata Università di Udine) e il professor Mario Pezzotti (Centro ricerca innovazione della Fondazione E. Mach), sono emersi anche i numeri attuali dei Piwi in Italia.

In testa, per superficie vitata di vitigni resistenti, c’è il Veneto, con 256 ettari. Segue il Friuli Venezia Giulia, con 230 ettari. Sul terzo gradino del podio il Trentino, con 67 ettari. A seguire Alto Adige (51), Lombardia (12) e Abruzzo (10).

Il totale è di 626 ettari, con una stima per fine 2021 che doveva raggiungere quota 1.050. Una cifra ancora irrisoria se paragonata all’intero vigneto Italia, pari a 666.400 ettari. Da qui l’opportunità di sfruttare le tante Igt come banco di prova e sviluppo dei vitigni resistenti italiani.

Moio e Scienza: «Futuro Piwi nelle Dop Ue passa da ricerca, terroir ed enologia leggera»

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Alleanza Cooperative Agroalimentari: «Ue discrimina aziende vino e carni rosse»

Vita sempre più dura per le imprese del vino e delle carni rosse dell’Ue. I budget allocati dall’Europa per il sostegno alle imprese che trasformano prodotti ritenuti “veicoli” del cancro sono sempre più risicati. Conferme, dunque, dopo i timori per l’approvazione senza rettifiche – a fine 2021 – della relazione targata The Special Committee on Beating Cancer (Beca), in cui Bruxelles equipara sostanzialmente il vino alle sigarette.

Sul piede di guerra, ancora una volta, l’Alleanza Cooperative Agroalimentari, che giudica «discriminante l’atteggiamento dell’Ue». «L’allocazione di budget appare poco equilibrata – tuona il presidente Giorgio Mercuri – poiché le scelte della Commissione vanno di fatto ad incrementare la dotazione per la promozione dei prodotti biologici, a scapito della promozione della sostenibilità e dei prodotti di qualità».

Alleanza Cooperative Agroalimentari condivide le preoccupazioni espresse da Copa-geca e da altre 11 sigle europee, che hanno firmato in questi giorni un accorato appello al Commissario dell’Agricoltura Ue Janusz Wojciechowski. Obiettivo: «Scongiurare ogni approccio discriminatorio da parte della Commssione all’interno del Programma Annuale di Promozione (Annual Work Programme, AWP)».

Lotta al cancro, Beca: approvata tra polemiche relazione che equipara vino a sigarette

ALLEANZA COOPERATIVE AGROLIMENTARI: CRITICHE ALLE POLITICHE UE

Il piano resta comunque «uno strumento essenziale, che può davvero aiutare il comparto agroalimentare a mantenere la propria competitività in un contesto sempre più globalizzato, supportando al contempo il passaggio a un sistema alimentare più sostenibile». Ma nel merito, l’Alleanza Cooperative Agroalimentari evidenzia alcuni «punti deboli dell’approccio perseguito dalla Commissione».

Il riferimento è all’introduzione dei sub-criteri per l’ammissione e il finanziamento dei progetti di promozione, «che penalizzano i progetti presentati da aziende di bevande alcoliche e carni rosse». Una decisione che la Commissione motiva con i principi di sostenibilità contenuti nella nuova Pac, nel Green Deal, nella Farm to fork e nel Beating Cancer plan.

«Si tratta evidentemente – commenta il presidente Giorgio Mercuri – di una base giuridica alquanto discutibile, poiché come è noto i documenti indicati sono di fatto comunicazioni e posizioni strategiche della commissione che ancora non si sono concretizzate in atti legislativi e giuridicamente vincolanti. Un problema che è stato esplicitamente sollevato dagli Stati membri che durante il voto sul AWP 2022 hanno deciso di astenersi o di dare un voto contrario, a differenza dell’Italia che invece ha votato a favore».

DISCRIMINATE LE AZIENDE PRODUTTRICI DI CARNI ROSSE E VINO

La seconda obiezione riguarda la nuova bozza dell’Awp – Annual Work Program. «La Commissione – sottolinea Alleanza Cooperative Agroalimentari – ha disconosciuto i grandi sforzi che i due settori delle carni rosse e del vino e alcol hanno fatto in questi ultimi anni per garantire produzioni sempre più sostenibili».

Al contrario, secondo Mercuri, «tali settori andrebbero supportati in questo percorso volto ad aumentare ulteriormente la loro sostenibilità, scegliendo di concentrarsi sui messaggi che accompagnano i programmi di promozione, invece di decidere di discriminarli tout court».

Rispetto infine agli attacchi specifici a carni rosse e bevande alcoliche, l’Alleanza Cooperative Agroalimentari ricorda che «la carne rossa riveste un ruolo importante in una dieta equilibrata, in quanto è un importante fonte di proteine ​​di alta qualità». Per quanto riguarda il vino, «la Commissione non ha distinto affatto tra consumo e abuso, lì dove è stato più volte evidenziato come il consumo moderato di vino nell’ambito di una dieta equilibrata non aumenti in alcun modo il rischio di cancro».

Low e no alcol, un trend in continua crescita: il caso Lyre’s

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Aumento dei costi di produzione vino: materie prime alle stelle

Non accenna a diminuire l’impatto dell’aumento dei costi di produzione sul comparto del vino. Non solo in Italia, ma anche in Francia e Spagna, gli altri due principali paesi produttori europei i prezzi di elettricità, vetro, fertilizzanti e imballaggi è alle stelle.

In Italia gli incrementi nel terzo trimestre del 2021 hanno raggiunto la forbice del +8/12%, con un picco del +24,4% registrato dall’impennata dei costi dell’energia. Sono questi i principali dati diffusi dalle cooperative vitivinicole di Francia, Italia e Spagna, che rappresentano oltre il 50% della produzione vinicola dell’Ue, in una nota congiunta che analizza la situazione di mercato dei tre paesi.

A preoccupare sono le difficoltà di approvvigionamento delle materie prime registrate in molti casi dalle aziende, costrette anche a far fronte ai costi dei trasporti addirittura raddoppiati, soprattutto all’estero, con la conseguenza di gravi ritardi nella consegna dei prodotti, che spesso finiscono per trasformarsi in costi aggiuntivi.

«L’aumento del costo delle materie prime si ripercuote negativamente lungo tutta la filiera – commenta Luca Rigotti, coordinatore del settore Vitivinicolo di Alleanza cooperative Agroalimentari -. Gli incrementi vanno dal costo dell’elettricità a quello dei fertilizzanti.

Ma ad aumentare sono anche i prezzi del vetro, delle scatole, degli imballaggi e dei materiali da costruzione. Al momento, tuttavia, i prezzi del vino non sono aumentati al punto da riuscire ad assorbire l’aumento dei costi, che resta principalmente a carico dei produttori».

AUMENTO COSTI MATERIE PRIME: LA DENUNCIA DELLE COOP DEL VINO

La principale conseguenza è che per far fronte ai rincari, fanno notare le cooperative di Francia, Spagna e Italia, le imprese stanno fermando o posticipando i loro piani di ammodernamento. Molte si trovano di fatto nella impossibilità di programmare e realizzare nuovi investimenti.

A completare l’attuale situazione di mercato, che è abbastanza omogenea nei tre Paesi, ci sono i segnali positivi provenienti da un aumento dei prezzi di vendita (causato da una vendemmia inferiore alla media degli ultimi anni) e dall’incremento dell’export, sostenuto anche dalla fine dei dazi statunitensi.

Sempre secondo le cooperative vitivinicole di Francia, Italia e Spagna, le principali criticità provengono, oltre che dall’aumento dei costi di produzione dovuto alle materie prime, anche dal timore di un possibile ripristino delle restrizioni nel canale Horeca.

«COVID-19, NO A NUOVE CHIUSURE HORECA»

Le incertezze sono infatti legate anche al perdurare della pandemia Covid-19. Eventuali nuove chiusure «finirebbero per avere un effetto destabilizzante e un pesante impatto sui consumi di vino europei».

«Anche in queste situazioni di difficoltà è necessario mantenere la stabilità di mercato – conclude Rigotti – garantendo ai clienti una certa continuità dell’offerta. In questa situazione, anche i limiti imposti dalla Farm to Fork potrebbero potenzialmente contribuire, nel medio periodo, ad una riduzione delle produzioni europee. L’inevitabile conseguenza? Il calo produttivo potrebbe tradursi in un aumento delle importazioni extra-Ue».

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Alleanza Cooperative: soddisfazione per la deroga alle rese massime sui vini comuni

«Il nostro unico obiettivo è stato quello di tutelare le aree viticole tradizionalmente e strutturalmente vocate alla produzione di vini comuni in cui si producono legittimamente quantitativi di uva superiori a 30 tonnellate/ettaro. Il percorso è stato davvero lungo e difficoltoso, ma il risultato finale ci lascia soddisfatti. L’impostazione della norma rappresenta un giusto punto di equilibrio tra le necessità della norma e le istanze dei diversi territori viticoli».

Con queste parole il Presidente di Alleanza Cooperative Agroalimentari Giorgio Mercuri commenta il parere positivo reso dalla Conferenza Stato Regioni allo schema di decreto ministeriale. Decreto recante una deroga alla resa massima di uva ad ettaro nelle unità vitate iscritte a schedario, diverse da quelle rivendicate per produrre vini a Dop e a Igp.

LA POSSIBILITÀ DI DEROGA

Il DL Rilancio, convertito con legge 17 luglio 2020, n. 77, a fronte di una resa massima attualmente pari a 50 t/ettaro, aveva ridotto la soglia a 30 t/ettaro. Il Decreto specificava tuttavia la possibilità di una deroga, per taluni territori viticoli, fino a 40 t/ettaro.

«Una riduzione indiscriminata delle rese – prosegue Mercuri – e della produttività avrebbe compromesso ingiustamente molte realtà produttive. Migliaia di viticoltori che affidano il loro reddito alla produzione di vini comuni. Vini che si collocano in un mercato assolutamente differente rispetto ai vini territoriali Dop e Igp».

Le Regioni avranno tempo fino al 31 gennaio 2022 per chiedere l’integrazione dell’allegato al decreto ministeriale con i Comuni in deroga, che potranno produrre fino a 40 t/ettaro. Integrazione o eliminazione in base ai propri indirizzi di politica vitivinicola.

«Le Regioni e le Province autonome sono indubbiamente il riferimento amministrativo più vicino ai territori, dunque, i migliori conoscitori degli stessi. È per questo – conclude Mercuri – che riteniamo assolutamente corretto lasciare alle amministrazioni regionali un margine di discrezionalità. Discrezionalità necessaria per indirizzare in maniera più adeguata le scelte territoriali di politica vitivinicola».

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Lotta al cancro, Beca: approvata tra polemiche relazione che equipara vino a sigarette

La Commissione BecaThe Special Committee on Beating Cancer del Parlamento europeo ha approvato la Relazione sul Piano europeo di lotta al cancro che dovrà essere votata dall’Assemblea nelle prossime settimane. A nulla sono serviti gli allarmi lanciati dalle associazioni del settore del vino, in merito alla sostanziale equiparazione tra vino, alcolici e sigarette come potenziali veicoli di tumori.

In campo oggi anche Federvini che, sulla scorta di Ceev, ribadisce «l’importanza di basate su evidenze scientifiche evitando scorciatoie e semplificazioni ideologiche di stampo proibizionistico».

Federvini ritiene grave l’affermazione, contenuta nella relazione votata oggi dalla Commissione Beca, secondo cui «non esiste un livello sicuro di consumo di alcol». I dati scientifici a sostegno di tale affermazione sono «isolati, deboli e contestati anche da molti esponenti della stessa comunità scientifica».

Introducendo un riferimento all’assenza di un livello sicuro di consumo di bevande alcoliche – spiega Vittorio Cino, direttore generale di Federvini – la Commissione del Parlamento europeo ha addirittura fatto un passo indietro rispetto all’European beating cancer plan della Commissione europea, che invece prevedeva una chiara differenza tra consumo moderato ed abuso».

«DEMONIZZATI QUASI TRE MILLENNI DI STORIA»

«Il voto di oggi – sottolinea Cino – rischia invece di legittimare una posizione tesa a demonizzare quasi tre millenni di storia, cultura e tradizione della civiltà del bere italiana.  Cultura che per noi vuol dire convivialità, socialità, nell’ambito della Dieta mediterranea».

Il documento approvato dal Parlamento Europeo prevede raccomandazioni che vanno dall’introduzione di health warnings in etichetta, all’innalzamento generalizzato di accise e tasse sui prodotti alcolici. Sino a limiti da porre alla promozione e alla pubblicità, in particolare con riferimento alle manifestazioni sportive.

Si va concretizzando il rischio, già paventato da Federvini insieme alle sue associazioni di riferimento europee, come appunto Ceev – Comité Vins e spirits Europe, che «posizioni ideologiche radicali si traducano in decisioni che, lungi dal contrastare efficacemente l’abuso, colpiscono una fondamentale filiera produttiva agroalimentare italiana».

BECA, RELAZIONE APPROVATA TRA LE POLEMICHE

Nel mirino finisce inoltre «la stragrande maggioranza dei consumatori che si rapportano in maniera corretta e responsabile al mondo dei vini, degli aperitivi, degli amari, dei liquori e dei distillati». «Ci appelliamo alle forze politiche italiane presenti nel Parlamento Europeo – dichiara Micaela Pallini, Presidente di Federvini – affinché possano essere superati almeno gli aspetti più radicali di questo documento in occasione del passaggio in Assemblea plenaria, prevista nelle prime settimane del nuovo anno».

Questo è solo l’ultimo di una serie di tentativi che provano ad introdurre misure penalizzanti e discriminatorie nei confronti dei nostri prodotti: ecco perché invitiamo il Governo ad aprire un tavolo di confronto permanente tra Ministero dell’Agricoltura, Ministero della Salute e Ministero degli Esteri per definire al meglio una posizione italiana di equilibrio e moderazione, in vista dei prossimi appuntamenti internazionali».

«Dal Nutriscore allo zucchero, dalle carni rosse ai formaggi ai prodotti alcolici – conclude la numero uno di Federvini – molte categorie di prodotti ed un intero modello di consumo e stile di vita italiano, è messo sotto attacco. Chiediamo inoltre che il Governo tutto, al di là dei Ministeri competenti, a partire dal Presidente del Consiglio Mario Draghi, inserisca questo dossier tra quelli prioritari nell’agenda istituzionale dei prossimi mesi».

Vino e alcolici banditi nella lotta al cancro: produttori europei preoccupati dalle misure Ue

LA POSIZIONE DI COLDIRETTI

Sull’approvazione da parte del Parlamento europeo della relazione della Commissione Beca – The Special Committee on Beating Cancer interviene oggi anche Coldiretti. «È del tutto improprio assimilare l’abuso di superalcolici tipico dei Paesi nordici al consumo moderato e consapevole di prodotti di qualità ed a più bassa gradazione come la birra e il vino», tuona il presidente della Coldiretti Ettore Prandini.

La relazione dell’Europarlamento «colpisce ingiustamente il vino Made in Italy che ha conquistato la leadership in Europa per produzione ed esportazioni con un fatturato record di 12 miliardi nel 2021 – continua -. Il vino in Italia è diventato anzi l’emblema di uno stile di vita “lento”, attento all’equilibrio psico-fisico che aiuta a stare bene con se stessi, da contrapporre proprio all’assunzione sregolata di alcol».

«Il giusto impegno dell’Unione per tutelare la salute dei cittadini – evidenzia Prandini – non può tradursi in decisioni semplicistiche che rischiano di criminalizzare ingiustamente singoli prodotti indipendentemente dalle quantità consumate. L’equilibrio nutrizionale va infatti ricercato tra i diversi cibi consumati nella dieta giornaliera e non certo condannando lo specifico prodotto».

BECA: PREOCCUPATA ANCHE ALLEANZA COOPERATIVE AGROALIMENTARI

Malumori per Beca anche da parte di Alleanza Cooperative Agroalimentari. «Anche se non siamo ancora davanti a proposte legislative concrete – commenta Luca Rigotti, coordinatore del settore Vitivinicolo – la votazione odierna del The Special Committee On Beating Cancer rappresenta un elemento di grande preoccupazione per il comparto vitivinicolo e per i Paesi produttori».

Introdurre il principio “no safe level” è assolutamente equivoco per il consumatore, oltre che dannoso per un intero settore che guida, in termini di commercio estero e di fatturato, il comparto agroalimentare Made in Italy».

«L’auspicio – conclude Rigotti – è che quando il dossier passerà nelle mani dell’aula plenaria del Parlamento Europeo, gli eurodeputati introducano elementi di maggiore equilibrio che mettano nella giusta prospettiva il consumo del vino, senza demonizzare il prodotto come tale”, conclude il Coordinatore vino di Alleanza Cooperative Agroalimentari».

LA POSIZIONE DEL BECA -THE SPECIAL COMMITTEE ON BEATING CANCER

L’istituzione del Beca – The Special Committee On Beating Cancer risale al 2020. «Questo comitato mette in risalto l’importanza della lotta contro il cancro per il futuro dell’Ue», spiegava nel settembre dello scorso anno Bartosz Arłukowicz, a capo del Comitato.

Si stima che nel 2020 saranno diagnosticati 2,7 milioni di nuovi casi di cancro e 1,3 milioni di persone saranno morte di cancro nell’UE. Si prevede che oltre 100 milioni di europei riceveranno una diagnosi di cancro nei prossimi 25 anni. Queste cifre mostrano l’immensa portata del problema che ci aspetta».

«L’impegno dei membri del Parlamento europeo nella creazione di un quadro comune di lotta al cancro è un’espressione della nostra solidarietà – continuava Bartosz Arłukowicz – ma anche della nostra responsabilità per il benessere dei nostri concittadini europei. Dovremmo sostenere i ricercatori, i medici, gli infermieri, gli assistenti sociali e fornire un aiuto concreto ai pazienti che lottano contro il cancro e a quelli che ne sono usciti».

Il tutto nell’annunciare che i successivi 12 mesi sarebbero stati «dedicati a stabilire una serie di raccomandazioni concrete per gli Stati membri e le istituzioni dell’Ue», al fine di «rafforzare la nostra resistenza contro il cancro». Una visione che si scontra con il Made in Italy. Nel terreno della pratica e della stessa scienza.

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Approfondimenti

Cresce la produzione biologica delle cantine cooperative

Cresce la produzione biologica nel mondo vitivinicolo cooperativo. Da un’indagine interna realizzata da Alleanza Cooperative Agroalimentari su un campione rappresentativo delle proprie associate, è emerso che il 61% delle cantine interpellate è attualmente assoggettata al metodo di produzione biologica.

Il 22% del campione, infine, ha già presentato almeno un’edizione del bilancio di sostenibilità. Il campione individuato è composto da cooperative operanti in diverse regioni italiane e con classi di fatturato disomogenee, che rappresentano nell’insieme oltre il 70% del giro d’affari complessivo della cooperazione.

Dall’indagine è emerso anche un altro dato significativo, ovvero che il 51% del campione intervistato ha già conseguito uno standard di certificazione volontaria. Tra le cooperative che non hanno ancora aderito ad uno schema di certificazione, l’80% si dichiara intenzionata in futuro ad aderire.

LA DISOMOGENIETÀ DEGLI STANDARD DI CERTIFICAZIONE

Rispetto alle cantine che hanno già una certificazione, la grande maggioranza (53%) ha optato per lo schema Sqnpi – Qualità Sostenibile, seguite più a distanza da Equalitas (19%) e Viva (15%).

«Rispetto alla certificazione volontaria – commenta il Coordinatore del Settore Vitivinicolo Luca Rigotti – i dati dimostrano la necessità che si metta ordine tra i vari schemi esistenti e che si promuova uno standard unico di sostenibilità, avendo cura che le imprese già certificate con uno dei sistemi esistenti non debbano sostenere ulteriori costi diretti e indiretti per conseguire la nuova certificazione».

I VANTAGGI DELLA CERTIFICAZIONE VOLONTARIA

Alle cooperative è stato anche chiesto quali siano i vantaggi percepiti dal conseguimento degli standard di certificazione volontari, oltre al tendenziale incremento dei volumi venduti e del valore.

Per il 55% delle cooperative interpellate i benefici derivanti dalla certificazione volontaria in materia di sostenibilità non sempre sono quantificabili ma occorre considerare anche gli indicatori qualitativi.

Risulta infatti che l’adesione a standard volontari rappresenta un “plus valoriale” specie presso gli acquirenti stranieri oltre ad essere indice di una forte coesione e consapevolezza tra i soggetti aderenti intorno al tema della tutela ambientale.

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Sì alle bevande a base di vino, no all’acqua nelle Dop: le Cooperative sfidano l’Ue

Sì alle “bevande a base di vino“, perché non le si consideri “vini”, tout court. Dopo Coldiretti, anche le Cooperative del vino italiano prendono posizione (contraria) sulla proposta dell’Ue di consentire la dealcolazione del vino per la produzione di vini a Denominazione (Dop) o Indicazione geografica (Ig) parzialmente o totalmente senza alcol.

Quella dei “Vini senza alcol“, del resto, è una tipologia ormai diffusa nel mondo, specie in america e nel Nord Europa, nota come “Non-Alcoholic Wines” o “Dealcoholized wines / De-alcoholized wines”.

«Non si può chiamare vino – avverte Luca Rigotti, coordinatore del settore per Alleanza Cooperative Agroalimentari – un prodotto assai lontano da quello originale in cui è prevista l’aggiunta di acqua. Si tratta di un errore che andrebbe a snaturare completamente le caratteristiche di un prodotto dalla tradizione millenaria, oltre a costituire anche una mancanza di trasparenza nei confronti del consumatore».

Siamo molto preoccupati dal nuovo approccio – prosegue Rigotti – che sembra emergere nei testi che stanno circolando. Nella proposta iniziale della Commissione, vino dealcolizzato e parzialmente dealcolizzato dovevano andare a costituire due nuove categorie di vino.

Nel nuovo testo, essi diventano invece il mero risultato di una pratica enologica che andrebbe ad applicarsi alle categorie di vino già esistenti (fermo, frizzante, spumante, eccetera)».

Pur «concordando sulla opportunità che tali regole trovino spazio in Regolamenti del settore vitivinicolo» e «pur non essendo a priori contrari ai vini a bassa gradazione alcolica, considerando che essi rappresentino un’opportunità commerciale, specie in alcuni paesi», Rigotti ribadisce con fermezza che «debbano essere chiamati diversamente, ad esempio “bevande a base di vino”».

Europa verso l’autorizzazione dei vini senza alcol a Denominazione di Origine e Igp

I DISCIPLINARI

Se la proposta di regolamento non verrà modificata, non ci sarà nemmeno bisogno di apportare modifiche ai disciplinari per poter produrre un vino a denominazione parzialmente dealcolizzato.

E, cosa ancor più grave – spiega l’esponente dell’Allaeanza Cooperative Agroalimentari – i produttori di vino e i loro Consorzi non avranno più la possibilità di decidere autonomamente se accettare o meno tale pratica».

Sul mercato, senza che la filiera produttiva abbia effettuato alcuna scelta in tal senso, si potrebbe così trovare un prodotto denominato “vino”, che vino non è.

«NON CHIAMATELI VINI»

«Per esempio un Montepulciano d’Abruzzo Doc – riferisce Rigotti – con una gradazione alcolica di 2% vol. È vero che per le Dop e le Igp nella bozza di testo si parla solo di dealcolizzazione parziale, ma ciò non è in alcun modo sufficiente per tutelare i vini di qualità».

Secondo le Cooperative «sarebbe ancora più grave l’inserimento nel nuovo testo della possibilità di “consentire l’aggiunta di acqua dopo la dealcolizzazione ai prodotti vitivinicoli, pratica che è attualmente vietata in tutta l’Ue».

In Italia il Testo unico del vino ha introdotto il divieto anche solo di detenere acqua in cantina. È compresa anche quella ottenuta dai processi di concentrazione dei mosti e dei vini, riconosciuta a tutti gli effetti come sostanza idonea alla sofisticazione.

I COLOSSI ITALIANI ALLA FINESTRA

Intanto, la Cooperativa italiana leader del settore, Caviro, conferma a WineMag.it l’interesse crescente del mercato nelle bevande senza alcol, anche a base di vino.

Per il colosso di Forlì, sempre attento ai nuovi trend, la tipologia “alcohol free” costituirebbe un nuovo segmento di mercato, dopo l’entrata in gamba tesa nel mondo dei vini senza solfiti aggiunti, con i brick della linea Sunlight.

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Tavolo Vitivinicolo, Alleanza cooperative spinge per distillazione e stoccaggio

«Una distillazione di crisi, che coinvolga solo i vini Dop e Igp e che sia praticata con prezzi congrui e la riattivazione dello stoccaggio dei vini di qualità, con una dotazione finanziaria più adeguata rispetto a quella dello scorso anno, al fine di poter esaudire un maggior numero di richieste». È quanto chiede Luca Rigotti, coordinatore Vino di Alleanza Cooperative Agroalimentari alla riunione del Tavolo Vitivinicolo.

Due misure di sostegno urgenti espresse in occasione del videocollegamento con il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali alla presenza del Sottosegretario di Stato Gian Marco Centinaio.

Per l’attivazione di tali misure, secondo l’Alleanza Cooperative, non dovranno in alcun modo essere utilizzate le risorse stanziate nel Piano Nazionale di Sostegno per il settore vitivinicolo, già destinate a finanziare altre misure altrettanto importanti ed irrinunciabili.

Andranno quindi reperiti fondi aggiuntivi – ha dichiarato Rigotti – che proveremo a reperire prioritariamente in sede comunitaria, ma senza escludere un intervento al livello nazionale».

Rigotti ha poi posto all’attenzione del Sottosegretario Centinaio il tema delle rese di produzione dei vini comuni, una questione, ha dichiarato, «che sta molto a cuore al mondo cooperativo, che rappresenta, tra le altre, realtà produttive di aree viticole del paese nelle quali si producono vini comuni che hanno dimostrato di avere un proprio mercato, solido e dinamico, senza interferire con i vini territoriali Dop e Igp».

Il coordinatore Vino di Alleanza Cooperative Agroalimentari auspica che «il decreto ministeriale consenta di mantenere, in coerenza con la legge, il giusto livello di reddito per i produttori che hanno investito nel segmento dei vini comuni»

Strategica anche «una campagna di promozione di tipo istituzionale del vino italiano, al fine di rilanciarne i consumi, con la possibilità di aprire anche a misure rivolte al mercato interno europeo, specie in questa fase così difficile». In secondo luogo, sempre secondo Rigotti, «si dovrà accelerare sull’attuazione di uno standard unico di sostenibilità nazionale».

La cooperazione crede infatti «nella validità di uno strumento che dovrebbe divenire elemento di distintività», auspicando che «le aziende possano al più presto dotarsi di un segno di riconoscimento o di un marchio che attesti la loro conformità ai principi della sostenibilità».

Non è tutto. Alleanza Cooperative Agroalimentari ha chiesto la proroga delle autorizzazioni di impianto e reimpianto in scadenza nel 2021 che la Commissione europea non intende concedere.

«Molti produttori non sono in grado di realizzare gli impianti previsti anche a causa di una riduzione di liquidità – ha fatto notare Rigotti – e, oltre a perdere un’importante opportunità di investimento, rischiano di essere anche sanzionati per non aver rispettato i tempi di validità triennale delle autorizzazioni».

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Vino Cooperativo: nel 2020 fatturato a +1% e vendite Gdo +6%

Nell’anno dell’emergenza pandemica il sistema vitivinicolo cooperativo (423 cantine per 4,9 miliardi di euro di giro d’affari e una produzione pari al 58% del vino italiano), ha mostrato la sua resilienza, registrando nel complesso una sostanziale tenuta del proprio fatturato (+1%).

Sul risultato ha inciso positivamente l’incremento di vendite nel canale della grande distribuzione organizzata (+6%, dato Iri, 2021) e quello sulle esportazioni (+3%). È questo il dato più significativo emerso oggi nel corso di Vivite Talk del vino cooperativo, iniziativa organizzata da Alleanza Cooperative Agroalimentari.

«Nel corso del 2020 il 34% delle cooperative vinicole ha mantenuto stabile il proprio fatturato e un 41% lo ha visto in calo – ha spiegato Denis Pantini, Responsabile Wine Monitor di Nomisma – L’analisi ha anche evidenziato, di contro, come una cooperativa su 4 del campione intervistato, che numericamente rappresenta oltre il 50% del fatturato complessivo della cooperazione vinicola, abbia invece registrato un fatturato in aumento».

«Si tratta – ha concluso Pantini – delle cooperative più dimensionate, con fatturati superiori a 25 milioni di euro, che nel 6% dei casi hanno addirittura registrato un sensibile aumento, superiore al +15% rispetto alle performance registrate nel 2019, prima dell’avvento del Coronavirus».

Guardando ai singoli canali distributivi, lo studio ha messo in luce come la chiusura dell’Horeca abbia portato ad una riduzione delle vendite per la quasi totalità delle imprese cooperative, senza distinzione dimensionale. Al contrario, Gdo e e-commerce hanno principalmente favorito le cooperative più grandi, con oltre 25 milioni di fatturato.

Un altro dato significativo relativo alle performance economiche della cooperazione è quello delle vendite sui mercati esteri. Se l’export di vino italiano nel complesso ha registrato nel 2020 un calo pari a -2,4% in valore, quello della cooperazione, nonostante le maggiori difficoltà per il segmento dei vini sfusi, ha invece registrato una crescita, pari al +3%.

«Avere una strategia multi-canale si è rivelata fin qui una scelta vincente che ha consentito alla cooperazione di tenere in un anno particolarmente difficile come quello della pandemia – ha commentato il Coordinatore del settore vitivinicolo di Alleanza Cooperative Agroalimentari Luca Rigotti – I dati emersi dallo studio di Nomisma sono la dimostrazione pratica che le imprese che operano in differenti canali hanno pagato meno la crisi».

Per quanto riguarda le prospettive del futuro, per le cooperative il digitale sarà una leva importante per la ripresa. L’analisi ha messo in mostra che le cooperative puntano sulla presenza su siti di e-commerce e sui canali social, cosi come sull’enoturismo e sull’ospitalità, oltre ad un consolidamento della presenza nella grande distribuzione.

Un segnale di ottimismo viene dalla convinzione espressa da oltre la metà delle cooperative che ritiene che nel 2022 le vendite nel canale horeca ritorneranno agli stessi livelli del 2019. Rispetto invece al rafforzamento della loro presenza sui mercati esteri, le missioni per incontrare fisicamente i partner internazionali e la misura della promozione in ambito Ocm rappresentano gli interventi che a parere delle cooperative restano i più efficaci.

Crescente l’impegno delle cooperative sul fronte della sostenibilità: oltre il 50% delle cantine intervistate ha già adottato azioni concrete per ridurre l’uso di input chimici e azioni per la valorizzazione dei sottoprodotti, la riduzione e il riciclo degli scarti di lavorazione. Il 51% ha incrementato le produzioni biologiche e il 20% dichiara di aver già avviato processi di transizione digitale e industria 4.0.

«Nonostante le buone performance della cooperazione nel 2020 – ha concluso Luca Rigotti – in prospettiva sarà necessario fare i conti con gli stock giacenti in cantina, complessivamente pari a 56 milioni di ettolitri al 31 marzo 2021 (+3,6% su base annua), situazione che, anche in vista della prossima vendemmia, deve far riflettere rispetto alle più adeguate ed efficaci misure utili per gestire l’offerta».

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Vinitaly posticipato al 2022

Veronafiere posticipa al 2022 la 54° edizione di Vinitaly, Salone internazionale dei vini e dei distillati, in calendario dal 10 al 13 aprile del prossimo anno.

Le permanenti incertezze sullo scenario nazionale ed estero e il protrarsi dei divieti ci hanno indotto a riprogrammare definitivamente la 54° edizione della rassegna nel 2022 – ha detto Maurizio Danese, presidente di Veronafiere SpA – Si tratta di una scelta di responsabilità, ancorché dolorosa; un ulteriore arresto forzato che priva il vino italiano della sua manifestazione di riferimento per la promozione nazionale e internazionale».

«In attesa che lo scenario ritorni favorevole – conclude Danese – Vinitaly continua a lavorare congiuntamente con tutti i protagonisti anche istituzionali del settore, a partire dal ministero delle Politiche agricole e Ice-Agenzia oltre a tutte le associazioni e le categorie, per continuare a supportare la competitività del vino made in Italy sia sul mercato interno che sui Paesi già proiettati alla ripresa, Usa, Cina e Russia in primis».

In quest’ottica, prosegue il Ceo di Veronafiere, Giovanni Mantovani: “Confermiamo OperaWine con la presenza di Wine Spectator e delle top aziende del settore individuate dalla rivista americana per il 10° anniversario dell’iniziativa che rimane in programma il 19 e 20 giugno prossimo a Verona».

«L’evento, tutto declinato alla ripartenza del settore, grazie alla partecipazione di stampa e operatori nazionali e internazionali – commenta Mantovani – farà anche da collettore e traino a tutte le aziende del vino che vorranno partecipare a un calendario b2b che Veronafiere sta già approntando».

Operawine sarà preceduta, sempre a giugno, dal Vinitaly Design international packaging competition (11 giugno) e da Vinitaly 5 Stars Wine The book (16-18 giugno). Mentre la Vinitaly International Academy (21-24 giugno) chiuderà gli eventi estivi in presenza.

Tra le novità anche un evento eccezionale di promozione a forte spinta istituzionale a ottobre prossimo e che traghetterà il settore alla 54° edizione di Vinitaly nel 2022. «Si tratta di Vinitaly-edizione speciale – aggiunge Mantovani – una manifestazione rigorosamente b2b che segnerà la ripresa delle relazioni commerciali nazionali e internazionali in presenza a Verona dal 16 al 18 ottobre».

«Vogliamo mantenere viva l’attenzione del mondo sul vino italiano, uno degli ambasciatori più significativi del Made in Italy – afferma, presidente di Ice Agenzia, Carlo Ferro – Le iniziative messe in campo da Veronafiere per mantenere il file-rouge tra Vinitaly 2019 e 2022, con l’edizione di Vinitaly-edizione speciale e le altre manifestazioni che faremo insieme hanno questo obiettivo».

In attesa della ripresa degli eventi fisici nel nostro Paese, Vinitaly prosegue in presenza sui mercati internazionali, a partire dalla Russia con le tappe a Mosca e a San Pietroburgo in programma dal 23 al 25 marzo. Dal 3 al 6 aprile sarà la volta di Vinitaly Chengdu e poi a giugno di Wine to Asia (Shenzhen, 8-10 giugno).

Sarà ancora la Cina ad aprire con il road show il calendario estero autunnale di Vinitaly (13-17 settembre) prima di trasferirsi in Brasile per la Wine South America (22-24 settembre). Veronafiere, inoltre, mette a disposizione il proprio know how per realizzare ulteriori eventi di promozione in altri mercati obiettivo per il settore.

I COMMENTI DELLE ORGANIZZAZIONI DELLA FILIERA VINICOLA
La decisone dello spostamento di Vinitaly è stata condivisa con le organizzazioni e associazioni della filiera vitivinicola e agricola.

«Prendiamo atto della decisione di posticipare la 54ª edizione di Vinitaly al 2022 – afferma il coordinatore del settore vitivinicolo di Alleanza cooperative agroalimentari, Luca Rigotti – Una scelta certamente non facile ma che, alla luce dell’attuale situazione sanitaria, è in linea con quanto auspicato dall’Alleanza delle Cooperative Italiane-Agroalimentare».

Per il presidente di Assoenologi, Riccardo Cotarella, «la decisione assunta da Veronafiere di posticipare al 2022 la 54° edizione di Vinitaly va nella direzione suggerita dalla filiera del vino, ma soprattutto tiene conto del perdurare di una situazione di grave difficoltà generata dall’emergenza pandemica, che non ha ancora trovato una risposta risolutiva nella vaccinazione».

«È necessario da parte del mondo del vino – prosegue Cotarella – farsi trovare pronto al giorno della ripartenza dei mercati e quindi è molto importante tenere alta l’attenzione anche con manifestazioni capaci di creare relazioni nazionali e internazionali e interesse verso il nostro settore».

«Ma ancora più importante – conclude il presidente di Assoenologi – sarà il sostegno che il governo italiano e l’Europa sapranno mettere in campo a favore dell’intero agroalimentare che, dopo oltre un anno di pandemia, sta accusando il peso della crisi al pari degli altri settori dell’economia nazionale».

«La pandemia ancora morde e costringe a un ulteriore rinvio degli eventi in presenza, ma siamo pronti a lavorare insieme al Vinitaly per supportare, in questa fase difficile, un comparto prezioso per l’agroalimentare con una produzione del valore di circa 12 miliardi di euro e una reputazione imbattibile», dice presidente nazionale di Cia-Agricoltori Italiani, Dino Scanavino.

«La decisione di Veronafiere, benché dolorosa, va nella giusta direzione – commenta presidente Confagricoltura, Massimiliano Giansanti – Apprezziamo in particolare la capacità di resilienza e di proposta variegata in un momento molto difficile per il comparto vino».

Per il presidente di Copagri, Franco Verrascina, «la scelta di Veronafiere, seppure dolorosa, conferma la serietà dell’ente fieristico e la volontà di sostenere i viticoltori al meglio in questo momento critico. Ci mettiamo a disposizione per collaborare ed essere al fianco di Veronafiere nel programmare sia la 54ª edizione di Vinitaly che per l’evento speciale di ottobre, dando un segnale al mondo vitivinicolo per la promozione e valorizzazione dei grandi vini italiani».

«È un grande dispiacere l’annuncio del rinvio, ma la realtà della pandemia non lascia spazio ad ipotesi alternative: abbiamo difficoltà a programmare viaggi e contatti, avremmo difficoltà nell’accogliere gli ospiti negli stand – afferma Sandro Boscaini, presidente di Federvini – ma il secondo rinvio amplia il vuoto che Vinitaly lascia».

«Riteniamo – dice il presidente di Unione Italiana Vini (Uiv), Ernesto Abbona – che sia fondamentale in questo difficile momento tenere acceso il motore della promozione e perciò appoggiamo l’intenzione di Vinitaly di sostenere il settore anche nel corso di quest’anno attraverso l’organizzazione di eventi mirati in favore del business e dell’immagine internazionale del vino tricolore».

«Chiediamo al Governo – chiosa Riccardo Ricci Curbastro, presidente di Federdoc – di considerare il grande danno economico che questa decisione comporta e di prevedere aiuti concreti per mantenere alta la competitività internazionale del nostro settore fieristico».

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Luca Rigotti è il nuovo Presidente del Gruppo di Lavoro Vino del Copa-Cogeca

Luca Rigotti è stato eletto per acclamazione Presidente del Gruppo di Lavoro Vino del Copa-Cogeca, la principale organizzazione di rappresentanza agroalimentare europea. Succede al francese Thierry Coste, che ha mantenuto l’incarico per 11 anni. È la prima volta che alla presidenza del gruppo Vino viene eletto un italiano.

Luca Rigotti, 56 anni, imprenditore del settore vitivinicolo, laurea in Giurisprudenza, è dal 2012 presidente del Gruppo Mezzacorona e della controllata Nosio S.p.a.. Nel 2019 ha assunto il ruolo di Coordinatore del Settore vitivinicolo dell’Alleanza cooperative Agroalimentari, che associa 400 cantine cooperative che producono il 58% del vino italiano.

«Ringrazio tutte le delegazioni per il sostegno e per la fiducia che mi hanno dimostrato sostenendo la mia candidatura come rappresentante italiano – ha dichiarato il presidente Rigotti – Il mio sarà un mandato all’insegna della continuità con l’importante lavoro svolta da Coste in questi anni a cui va un ringraziamento particolare per la professionalità e l’impegno dimostrati».

«Ritengo – prosegue Rigotti – che sarà indispensabile continuare a promuovere il dialogo e un attivo coinvolgimento di tutti i Paesi rappresentati all’interno del Gruppo di lavoro: solo così potremo affrontare e vincere le numerose sfide a cui si trova davanti il settore. Se questo è vero in termini assoluti, lo è ancor di più in questa fase di estrema difficoltà che il mondo produttivo si trova ad attraversare».

«È mio obiettivo – conclude il neo presidente del gruppo Vino Copa Cogeca – allo stesso tempo, continuare a promuovere un proficuo dialogo con le Istituzioni europee e con le altre organizzazioni europee rappresentative del settore vitivinicolo».

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Ue Brexit deal: Alleanza Cooperative Agroalimentari esulta per accordo

“Un’ottima notizia per le nostre esportazioni e per la stabilità dei mercati agricoli”. Così il presidente di Alleanza Cooperative Agroalimentari, Giorgio Mercuri, esulta all’annuncio dell’accordo commerciale tra l’Unione Europea e la Gran Bretagna. Definendolo “un sospiro di sollievo per vini, olio, formaggi e ortofrutta”.

“In un contesto di grande incertezza causata dalla crisi economica provocata dalla pandemia Covid-19 – continua Mercuri – è senz’altro positivo che Europa e Regno Unito siano giunti all’accordo, dopo un lunghissimo negoziato”.

Il no deal avrebbe come è noto fatto scattare le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio, con il conseguente ripristino dei dazi sugli scambi e dei controlli alle frontiere”.

Le esportazioni agroalimentari con il Regno Unito ammontano a circa 3,4 miliardi di euro l’anno, pari al 6% del valore dell’export agroalimentare Ue con il Regno Unito. Una cifra che sarebbe stata messa in discussione dal mancato deal, ovvero l’accordo. L’Italia è al primo posto tra i paesi europei per le vendite di vino nel Regno Unito.

L’ultima parola è attesa per in occasione della ratifica del provvedimento da parte del parlamento di Westminster, previsto per il 30 dicembre. Strasburgo, invece, voterà presumibilmente a gennaio 2021.

“Valeva la pena lottare per questo accordo – ha commentato la presidente della Commissione europea, Ursula Von Der Leyen – perché ora abbiamo un accordo equo ed equilibrato con il Regno Unito, che proteggerà i nostri interessi europei, garantirà una concorrenza leale e fornirà la prevedibilità necessaria per le nostre comunità di pescatori. Finalmente possiamo lasciarci la Brexit alle spalle e guardare al futuro. L’Europa ora sta andando avanti”.

Il capo negoziatore della Commissione europea, Michel Barnier, aggiunge: “Siamo giunti alla fine di un periodo di quattro anni molto intenso, in particolare negli ultimi nove mesi, durante i quali abbiamo negoziato per evitare l’uscita del Regno Unito dall’Ue e una nuovo partnership. La tutela dei nostri interessi è stata al centro di questi negoziati e sono lieto che ci siamo riusciti”.

“L’Italia – commenta la Ministra Teresa Bellanova in merito all’intesa raggiunta su Brexit – potrà continuare ad esportare prodotti agroalimentari senza dazi e senza quote e questo è un risultato importantissimo”.

“È poi assicurata la prosecuzione della massima tutela alle indicazioni geografiche esistenti al 31 dicembre 2020 – conclude – e ci ripromettiamo di lavorare con i Paesi like-minded affinché adeguata protezione sia data anche alle future Ig registrate dopo il definitivo abbandono del Regno Unito dall’UE”.

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Vino: Alleanza cooperative agroalimentari “Quadro difficile, ma non drammatico”

Un quadro “meno drammatico rispetto a quanto alcuni sostengono”, con queste parole Luca Rigotti, Coordinatore Vino di Alleanza cooperative agroalimentari, descrive lo stato attuale del settore vitivinicolo italiano alla luce “dei dati effettivi, e non di quelli ipotetici e tutti ancora da verificare”.

In un futuro che è certamente pieno di incognite – prosegue Rigotti – crediamo sia opportuno che il settore resti unito e che individui percorsi e strategie che puntino ad un rilancio dei consumi, anziché dare adito ad allarmismi prematuri e non supportati da dati definitivi”.

Le giacenze registrate da Cantina Italia alla fine di luglio riportano valori analoghi a quelli dell’anno precedente, + 1,8% secondo quanto riportato nei registri di cantina al 29 luglio. Vanno meglio i vini comuni rispetto a quelli a denominazione, che come noto hanno subito i maggiori rallentamenti per via della chiusura dei canali horeca.

Secondo Alleanza cooperative il dato complessivo è “a livelli molto vicini a quelli dell’anno precedente e occorre in ogni caso attendere i dati delle dichiarazioni di giacenza presentate ad Agea il 31 luglio per avere un quadro più preciso”.

Rispetto alla vendemmia alle porte, per la quale è assolutamente prematuro avanzare previsioni, la produzione attesa è più o meno nella media rispetto agli ultimi cinque anni. Resta però ancora tutto da verificare il possibile effetto della misura di riduzione volontaria delle rese per i vini a Indicazione Geografica, attivata solo di recente dal Ministero.

Certo è che la distillazione di crisi non ha riscontrato un grande successo e ciò si spiega, secondo Rigotti, “in parte perché il prezzo pagato per il vino era ad un livello decisamente troppo basso rispetto al mercato, come già la cooperazione aveva a suo tempo segnalato, dall’altra parte perché con giacenze del vino da tavola che alla data del 15 luglio risultavano inferiori dell’11% rispetto all’anno precedente, focalizzare la distillazione solo su quest’ultimo non ha probabilmente contribuito al successo della misura”.

Per quel che riguarda infine le dinamiche dei prezzi, le quotazioni più recenti parlano di qualche difficoltà per i segmenti di fascia più alta, con riduzioni di circa il 4% rispetto ad un anno fa, ma allo stesso tempo di una buona tenuta dei listini dei vini da tavola. Anche a fronte di una importante riduzione negli scambi internazionali, il dato dell’Italia risulta tenere meglio rispetto agli altri concorrenti.

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Martini & Rossi, Ramazzotti, Campari: l’alcol come disinfettante per Covid-19

Non si ferma l’onda “alcolico-solidale” che vuole le distillerie in prima linea nella produzione di alcol non più destinato al consumo alimentare ma utile alla produzione di disinfettanti. In un periodo di forte rallentamento dei consumi dovuto al lockdown di tutto il settore Horeca i produttori mettono a disposizione la propria capacità produttiva per far fronte ad una richiesta sempre crescente di disinfettanti.

E così dopo la proposta che l’Alleanza cooperative agroalimentari e Assodistil hanno indirizzato alla ministra Teresa Bellanova è ora il turno dei grandi gruppi fare la loro parte. Martini & Rossi, Ramazzotti, Campari. I tre più noti brand del bitter “Made in Italy” hanno in questi giorni dato il via alla loro campagna solidale.

“Lo stabilimento di Martini fornirà alcol per la produzione di igienizzanti per mani da fornire alla comunità locale, alla Croce rossa e alle organizzazioni che lavorano per fronteggiare l’emergenza”, informa la Casa Martini – Martini & Rossi.

Stesso sound dalla pagina di Ramazzotti: “Abbiamo imbottigliato dell’igienizzante mani nella nostra distilleria di Canelli e lo doneremo alla Croce Rossa Italiana, alla Protezione Civile, ai Vigili del Fuoco e alla Municipale di Canelli. Con la speranza di tornare presto a dire #BellaLaVita”.

Più strutturato il progetto di Campari. Dopo essere stata una tra le prime imprese ad effettuare una donazione importante all’Ospedale Sacco di Milano, Campari Group ha deciso di legarsi a Intercos Group, leader nello sviluppo e produzione di prodotti per la cosmetica.

L’alcol prodotto da Campari è stato trasformato e imbottigliato dallo stabilimento Cosmint di Olgiate Comasco del Gruppo Intercos per una prima produzione di 15 mila bottiglie di gel igienizzante per le mani destinati agli operatori sanitari degli ospedali lombardi in prima linea nella lotta all’emergenza Coronavirus Covid-19.

“Consapevoli del continuo bisogno di gel igienizzante negli ospedali e in tutti i presidi medici, abbiamo deciso di donare una quantità di alcol puro, originariamente destinato alle nostre produzioni, in quanto materia prima essenziale per questa tipologia di prodotti” ha dichiarato Bob Kunze-Concewitz, CEO di Campari Group.

“Il Gruppo Intercos è ormai da mesi in prima linea, prima nei suoi stabilimenti cinesi e oggi in quelli europei e americani, e conosce quindi bene l’importanza di sostenere le strutture sanitarie locali – ha dichiarato Renato Semerari, CEO di Intercos Group – Per questo motivo, siamo orgogliosi di mettere in campo le nostre formule e la nostra capacità produttiva e di unirci a Campari Group in questa iniziativa.”

E chissà che le boccette di disinfettante dei nomi noti non diventino, un domani, oggetto da collezione come le bottiglie di Ramazzotti e Campari “For Medical Pourposes” distribuite negli Stati Unito sotto Proibizionismo.

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Piano salva vigneti Coldiretti: “Distillazione volontaria e vendemmia verde”

Con gli acquisti di alcol denaturato quasi triplicati (186%) nell’ultimo mese, anche Coldiretti si aggiunge al coro dei favorevoli alla distillazione volontaria delle eccedenze in giacenza nelle cantine italiane. Una proposta che il numero uno Ettore Prandini ha sottoscritto – assieme a quella della vendemmia verde sui vini di qualità – nell’incontro con la ministra Teresa Bellanova sul “Piano salva vigneti“. Di ieri, la lettera dell’Alleanza Cooperative Agroalimentari, che chiede assieme ad AssoDistil di poter dare il proprio contributo all’emergenza Covid-19, producendo alcol per prodotti igienizzanti grazie alla distillazione volontaria.

“Attraverso la distillazione volontaria – riferisce l’associazione di categoria degli agricoltori italiani – si prevede di togliere dal mercato almeno 3 milioni di ettolitri di vini generici da trasformare in alcol disinfettante per usi sanitari nelle trincee della guerra al virus da nord a sud del Paese”.

La misura avrebbe inoltre “l’importante effetto di favorire l’acquisto di alcol italiano che sugli scaffali è stato il prodotto che ha registrato il maggior incremento di vendite secondo Iri, ma anche di ridurre le eventuali eccedenze produttive”.

Il piano della Coldiretti prevede anche la vendemmia verde su almeno 30 mila ettari per una riduzione di almeno altri 3 milioni di ettolitri della produzione sui vini di qualità, in modo da evitare l’eccesso di offerta, considerate le conseguenze della pandemia sui consumi internazionali per effetto delle difficoltà logistiche, della disinformazione, strumentalizzazione e concorrenza sleale con la campagna denigratoria sui prodotti italiani.

Una brusca battuta d’arresto per l’enologia Made in Italy, dopo l’incoraggiante dato dell’export 2019 che ha raggiunto i 6,4 miliardi di euro: un record assoluto, pari al 58% del fatturato totale.

A pesare sul mercato interno è stata anche la chiusura forzata di ristoranti e bar. Considerato lo stato di crisi, la Coldiretti ha chiesto “specifiche agevolazioni fiscali e previdenziali per tutte le imprese agricole operanti nel settore vitivinicolo, che ha subito effetti particolarmente negativi per l’emergenza epidemiologica Covid-19, senza le limitazioni previste dal decreto ‘Cura Italia’“.

Una necessità, sottolinea Coldiretti, che va sostenuta anche garantendo liquidità alle imprese del settore con interventi emergenziali a livello nazionale e comunitario senza appesantimenti burocratici.

Nel chiedere “un piano articolato di interventi“, il presidente della Coldiretti Ettore Prandini precisa che “bisogna ricostruire un clima di fiducia nei confronti del marchio Made in Italy che rappresenta una eccellenza riconosciuta sul piano qualitativo a livello comunitario ed internazionale”.

Serve pertanto tra l’altro una forte campagna di comunicazione per sostenere i consumi alimentari con il vino che rappresenta da sempre all’estero un elemento di traino per l’intero Made in Italy, alimentare e non”.

“L’Italia – conclude Prandini – che è il primo produttore mondiale di vino, deve farsi portatrice a livello comunitario di un piano di sostegno straordinario di un comparto strategico per il Paese per un fatturato che è salito nel 2019 alla quota record di oltre 11 miliardi”.

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Covid-19, la proposta: distillare le giacenze di vino per produrre igienizzanti

Dare il via libera alla distillazione di circa 2 milioni di ettolitri di giacenze di vino presenti nelle cantine italiane, per ottenere circa 22 milioni di litri di alcole, da destinare alla produzione di igienizzanti utili per l’emergenza Covid-19. È la proposta che l’Alleanza cooperative agroalimentari e Assodistil hanno indirizzato alla ministra Teresa Bellanova, affinché cantine e distillerie italiane possano “dare il loro contributo ai servizi sanitari contro Coronavirus“.

Come si legge sulla lettera indirizzata alla numero uno del Mipaaf, viene chiesta la “possibilità di destinare una parte delle giacenze di vino ad una distillazione volontaria, operazione che consentirà di rifornire da subito le distillerie di alcool destinato alla produzione di igienizzanti e di limitare l’attuale ricorso alla importazione dall’estero, operazione resa ancora più difficile in questi giorni per le difficoltà dei trasporti”.

“La misura di distillazione è espressamente prevista da normative europee – sottolinea il presidente di Assodistil, Antonio Emaldi – nello specifico il Regolamento UE N. 1308/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio e attende ora il via libera da parte del Ministero, che sta esaminando la proposta in queste ore”.

“La volontà del sistema cooperativo – precisa  Giorgio Mercuri, presidente di Alleanza cooperative agroalimentari – è di poter dimostrare tutta la propria solidarietà al settore sanitario e più in generale all’intera collettività”.

Come risulta dagli ultimi dati in possesso del Ministero delle politiche agricole, nelle cantine dei produttori, da nord a sud dell’Italia, vi sono giacenze di vino da tavola e a denominazione.

“La misura della distillazione di solidarietà – commenta Mercuri – può rappresentare a nostro avviso un’importante opportunità per i produttori e per il Paese: potremmo immettere sul mercato alcool destinato alla produzione di igienizzanti utilizzando le scorte nazionali di vino”.

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Fenomeno Pinot Grigio Italia: +83% di superficie in 10 anni. La fotografia

Il Pinot Grigio è tra i vitigni più coltivati in Italia, con una crescita degli impianti che dal 2010 ad oggi ha fatto segnare un + 83% di superficie vitata (dai 17mila ettari del 2010 ai 31mila del 2018), nonché il primo vino Italiano bianco fermo per volumi di esportazione. Per comprendere il “fenomeno” Pinot Grigio Italia è sufficiente evidenziare che dei 67mila ettari mondiali vitati a questa varietà, 31.360 si trovano in Italia (47%), di cui l’87% nel Triveneto, che detiene così il 41% di quella mondiale.

Proprio il Pinot Grigio è stato il tema della riunione congiunta che si è tenuta quest’oggi tra Uiv (Unione italiana vini) e Alleanza delle Cooperative Agroalimentari per la presentazione dei dati elaborati dall’Osservatorio del Vino di UIV circa la produzione e commercializzazione dei vini imbottigliati base Pinot grigio in Italia nelle diverse aree produttive.

Obiettivo dell’incontro è stato quello di restituire ai produttori del “Pinot Grigio Italia”, che hanno commissionato tale ricerca a Vinitaly 2019, oltre ai dati strutturali legali alle superfici coltivate in tutte le regioni italiane, alcuni spunti di riflessione sul potenziale produttivo e alla “geografia” dei vigneti, sulla produzione, sui volumi di vino imbottigliato e sulle giacenze.

I dati sui quali è stata effettuata l’elaborazione sono stati forniti dall’organismo pagatore nazionale Agea, dai principali organismi di controllo e dal registro telematico SIAN (fonte ICQRF) con riferimento all’anno 2018.

La produzione va di pari passo con 2,2 milioni di ettolitri l’anno di Pinot Grigio Italia, di cui 1,7 milioni di Do-Ig provenienti dal Triveneto (75%), che si traducono in 298 milioni di bottiglie nazionali, di cui 168 milioni delle Venezie.

“È fondamentale – commenta Paolo Castelletti, Segretario Generale di Unione Italiana Vini – impostare una strategia di monitoraggio delle produzioni, per comprendere come sta evolvendo la situazione di questo importante vino italiano. Solo così potremo consentire alle imprese di svolgere in maniera consapevole le migliori valutazioni sulla realtà del mercato e intraprendere opportune strategie di governo dell’offerta e le conseguenti scelte commerciali”.

Questa iniziativa, sostenuta da UIV e Alleanza Cooperative Agroalimentari su richiesta e sollecitazione degli stessi produttori di Pinot grigio a livello nazionale, va in questa direzione e il dato messo a disposizione dei produttori potrà certamente essere utile per incoraggiare le scelte dei territori nei prossimi mesi”.

Uiv e Alleanza Cooperative Agroalimentari hanno approfittato dell’incontro odierno per presentare anche un’esclusiva indagine di mercato elaborata da Wine Intelligence sulla percezione e le attitudini di consumo del Pinot grigio italiano sui mercati americano, inglese e tedesco, da cui emergono sia punti di forza, come la profonda conoscenza della varietà, ma anche punti critici, come la difficile associazione alle denominazioni che lo producono.

“Il lavoro condotto sul Pinot grigio – ha dichiarato Luca Rigotti, Coordinatore Vino di Alleanza Cooperative Agroalimentari – dimostra che nel comparto vitivinicolo possiamo disporre di dati molto importanti per poter leggere l’andamento del settore”.

“Si tratta – ha concluso Rigotti – di un vero e proprio capitale informativo che va poi opportunamente messo a sistema. Il nostro auspicio è che a questa analisi sul Pinot grigio facciano seguito altre rilevazioni sulle principali DO/IG di vino italiane, magari condotte su iniziativa del Ministero delle politiche agricole tramite Icqrf o Ismea e con il necessario coinvolgimento diretto da parte degli operatori e delle organizzazioni nelle fasi di raccolta e sintesi dei dati”.

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