«La scelta della Commissione Europea di dimezzare i fondi per la promozione dei prodotti agricoli minaccia la crescita dell’export del made in Italy a tavola, salito nel 2023 alla cifra record di oltre 64 miliardi di euro. E rischia di vanificare il lavoro portato avanti in questi anni dalla filiera in termini di internazionalizzazione». A lanciare l’allarme sono Coldiretti, Filiera Italia, Cia e Legacoop Agroalimentare in una lettera aperta al ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare Francesco Lollobrigida dopo la presentazione della proposta dell’esecutivo Ue di ridurre del 51% il budget rispetto al 2024, passando da 185,9 milioni di euro a 92 milioni e l’assegnazione di risorse solo per i programmi semplici, con l’azzeramento per i programmi multipli e per le iniziative proprie della Commissione.
«Una scelta che penalizza soprattutto l’Italia – scrivono Coldiretti, Filiera Italia, Cia e Legacoop Agroalimentare – che è tra gli stati che utilizza maggiormente le risorse disponibili per la politica di promozione: nel 2023 circa il 40% delle risorse nell’ambito dei programmi semplici è stato assorbito dal nostro Paese e circa il 38% nei programmi multipli, per un totale di circa 54 milioni di euro».
L’EXPORT MADE IN ITALY AGROALIMENTARE
Anche nel 2024 l’Italia si è confermata come il Paese con il maggior numero di programmi di promozione presentati (40 semplici e 8 multipli), ma le attività di promozione sono importanti anche per gli altri Stati membri, tanto che le domande arrivate per il 2024 hanno raggiunto la cifra di oltre 290,9 milioni di euro (ben oltre il budget disponibile) e un numero complessivo di candidature ricevute – sempre a livello Ue – in aumento del 36% rispetto al 2023 (+52% per i programmi multipli e +32% per quelli semplici).
La proposta di revisione del budget presentata dalla Commissione risulta dunque inaccettabile – sottolineano Coldiretti, Filiera Italia, Cia e Legacoop Agroalimentare – trattandosi di una politica europea a sostegno della competitività delle imprese, dell’internazionalizzazione e di valorizzazione delle eccellenze dell’agroalimentare italiano ed europeo. In un contesto globale in cui la distintività e riconoscibilità dei prodotti di qualità italiani ed europei dovrebbe essere centrale, indebolire uno strumento chiave in questo senso «darebbe un segnale fortemente negativo».
Da qui la richiesta di Coldiretti, Filiera Italia, Cia e Legacoop Agroalimentare al ministro Lollobrigida e al Governo italiano di promuovere in tutte le sedi opportune, a partire dal Consiglio del prossimo 15 luglio, la discussione su tale proposta creando un’alleanza tra i diversi Stati membri che porti al ripristino – anche per gli anni a venire – di un bilancio adeguato per la promozione del modello agroalimentare italiano ed europeo.
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Federvini lancia l’allarme sul costo dell’energia e i prezzi di materie prime quali zucchero (+30%), carta (+35-40%) e vetro (+10%). Senza tralasciare l’incognita pandemia Covid-19, che sembra riprendere vigore, per esempio nel Regno Unito. A preoccupare sono anche i costi e i rallentamenti delle catene globali di trasporto e logistica, strategici per l’export del Made in Italy.
«Viviamo un momento molto delicato – dichiara Micaela Pallini, Presidente di Federvini – e non possiamo nascondere l’entità delle minacce che gravano su un settore così rilevante per l’interscambio commerciale del Paese in particolare con gli Stati Uniti, nostro primo mercato di sbocco internazionale.
«Le aziende, soprattutto in questo scorcio di fine anno – conclude Pallini – stanno realizzando in pieno la portata del problema che mette seriamente a rischio la concreta ripartenza di tutto il comparto. In gioco vi sono i fatturati di migliaia di imprese e il futuro di centinaia di migliaia di lavoratori».
FEDERVINI: «A RISCHIO LA RIPARTENZA»
Federvini da riferimento a diversi fattori. Non ultimo gli aumenti dei noli di container tra l’Europa e l’Asia, che a giugno hanno fatto registrare un + 600%. I picchi delle ultime settimane hanno raggiunto il + 2.000%. Nel trimestre in corso, i trasporti hanno aggiunto solo il 4% di capacità extra alle rotte est-ovest rispetto allo stesso periodo dell’anno precedete. Nello stesso periodo la crescita dei traffici è aumentata del 9,5%.
Difficoltà altrettanto importanti si stanno riscontrando nella catena logistica tra Europa e Stati Uniti, mercato di sbocco fondamentale per l’export italiano del settore. Nel complesso, ciò determina rischi estremamente preoccupanti per molte imprese e per l’intera filiera di riferimento.
Sul mercato interno, Federvini registra inoltre ritardi preoccupanti sul fronte delle infrastrutture fisiche e digitali. Le imprese del Nord-Est, dove si concentra una rilevantissima produzione di vini e spiriti, sono ancora gravemente penalizzate da un sistema viario del tutto insufficiente e ancora in troppe zone del Paese le aziende faticano a realizzare innovazione a causa della mancanza di reti digitali adeguate.
PREOCCUPAZIONI CONDIVISE
Una preoccupazione, quella di Federvini, condivisa anche dall’Alleanza Cooperative Agroalimentari. «Da un’indagine interna al segmento cooperativo – evidenzia il coordinatore del settore Vitivinicolo, Luca Rigotti – icosti dei materiali necessari per l’impianto dei vigneti, come legno, cemento, ferro ed alluminio hanno avuti incrementi fino al 70%».
Un aumento che erode reddito ai produttori e rende la situazione difficile in termini di tenuta economica e competitività delle imprese. I rincari, tuttavia, benché assolutamente rilevanti, non hanno avuto riflessi sui prezzi di vendita perché di fatto sopportati, nei segmenti a monte della distribuzione, dai produttori».
Anche l’Alleanza Cooperative Agroalimentari pone l’accento non solo sull’aumento dei costi di produzione, ma anche sul forte incremento dei costi dei noli marittimi e la carenza e il rincaro che ha riguardato anche i container trasportati via nave. Secondo il Global index Freightos il costo medio di un container ha quasi raggiunto 10 mila dollari, cioè 4 volte in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
Amata dalla critica enogastronomica, ma bistrattata dalla ristorazione locale e nazionale. Rara, moderna e versatile, eppure incapace di levarsi di dosso l’ombra ingombrante della mela della Val di Non. È l’uva Groppello di Revò, di cui restano solo 5 ettari nella nota “Valle delle mele” del Trentino.
Solo quattro, ormai, le cantine che la coltivano con orgoglio: Rizzi Valerio, Maso Sperdossi, El Zeremia e Lasterosse. Proprio da quest’ultima arriva l’allarme: “Attenzione mondo del vino italiano – confidano i coniugi Silvia Tadiello e Pietro Pancheri – un pezzo di storia della viticoltura trentina è al capolinea, solo perché non commerciale“.
Un appello ai winelovers e ai professionisti del settore del vino italiano, unito a un’azione concreta: “Alla fine di novembre – spiegano i due vignaioli della Val di Non – abbiamo dato il via alla campagna ‘Adotta un filare di Groppello di Revò‘, a cui hanno già aderito una ventina di persone”. In cosa consiste?
Con un investimento di 100 euro, i sostenitori possono vedersi intitolato un filare della rara uva trentina. Durante l’anno riceveranno dalla cantina Lasterosse continui aggiornamenti sullo stato dei lavori, dalla potatura alla vendemmia.
Dal campo si passa poi alla tavola, con la ricezione a domicilio di un numero di bottiglie di pari valore, a scelta tra il fermo e lo spumante Metodo classico prodotto con il Groppello di Revò.
“Speriamo che questa iniziativa possa fungere d’esempio e da stimolo anche per altri produttori – commentano i coniugi Pancheri – per continuare insieme questa tradizione, fare rete, risvegliare la curiosità dei consumatori e promuovere una economia virtuosa per il nostro territorio. Il più antico vitigno di montagna del Trentino non può scomparire: non si molla una delle più preziose voci della nostra biodiversità”.
“Adotta un filare” è solo l’ultima pagina della storia d’amore tra Lasterosse e il Groppello di Revò. Nei vent’anni di storia della cantina, la famiglia Pancheri ha sempre dimostrato di credere nella varietà autoctona.
“Mi sono trasferita da Rovigo in Trentino per seguire le orme di mio marito – rivela la veneta Doc Silvia Tadiello – ma anche perché ho sempre creduto in questo vitigno, che ha tutte le caratteristiche potenziali per dare un vino molto moderno, se lavorato con tutte le cure agronomiche ed enologiche del caso”.
“Grazie alla sua speziatura e alla sua vibrante acidità – continua la titolare di Lasterosse – l’uva Groppello di Revò regala vini rossi non troppo alcolici ed è ottima base per la spumantizzazione Metodo classico, come dimostrato dalla nostra Riserva Brut”.
Ad apprezzare questa varietà erano anche gli Asburgo, che si rifornivano di vino rosso proprio in Val di Non per allietare la corte di Vienna. Una fama ormai perduta, con la contrazione dei consumi e di oltre il 50% dei vigneti, che ha trasformato il Groppello di Revò in un reperto archeologico, prodotto in poche migliaia di bottiglie eroiche.
I vigneti si trovano oggi relegati sulla sponda nord-orientale del Lago di Santa Giustina, in particolare nei Comuni di Cagnò, Cloz, Revò e Romallo, tutti in provincia di Trento.
“I contadini non vogliono più lavorarli – denuncia la famiglia Pancheri – troppa fatica per così poco vino. Il Groppello fatica a ritagliarsi un ruolo sul mercato e non viene promosso localmente dagli stessi esercenti, poco inclini a sperimentare proposte più difficili rispetto alle tipologie più note”. Un vitigno orfano che cerca casa, insomma: quella di tutti gli italiani.
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“Siamo preoccupati per l’infittirsi di politiche e atteggiamenti commerciali aggressivi che coinvolgono la nostra denominazione. Per questo non possiamo che biasimare ogni palese tentativo di svilimento del valore delle nostre produzioni oltre la soglia di sostenibilità, in una filiera che fa della qualità e della durevolezza i propri punti di forza”.
Così il presidente del Consorzio tutela vini Valpolicella, Andrea Sartori, ha commentato quanto riscontrato su alcuni punti vendita, dove si registra un abbassamento dei prezzi al pubblico di alcuni Amarone (ad esempio 7,29 euro a bottiglia) e Ripasso (4,5 euro a bottiglia).
“In una fase congiunturale molto delicata per i vini di alta fascia – prosegue Sartori – siamo concentrati a mantenere sani i fondamentali della denominazione: giacenze e prezzo medio per l’Amarone si mantengono sotto la linea di allarme e sui valori dello scorso anno, inoltre l’assemblea ha adottato dei provvedimenti di tutela per l’intera filiera, anche in vista della prossima vendemmia”.
“Ora, l’atteggiamento di pochi rischia di provocare una reazione a catena in cui a pagarne le spese sarà tutta la denominazione e, a lungo andare, anche i consumatori”, conclude Sartori. Stabilità confermata anche dai dati di Cantina Italia (Icqrf), secondo cui al 1° luglio 2020 le giacenze di Amarone si mantengono sui livelli dello scorso anno (-0,4%).
Sono quasi 8.300 gli ettari vitati nei 19 comuni della Doc veronese Valpolicella. Nella provincia leader in Italia per export di vino, sono 2.273 i produttori di uve e 272 le aziende imbottigliatrici. Lo scorso anno si sono superati i 64 milioni di bottiglie prodotte (18,6 milioni per Valpolicella, 30 per Ripasso e 15,4 milioni per Amarone e Recioto) per un giro d’affari, in crescita, di oltre 600 milioni di euro.
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È firmata da oltre duecento “vignaioli italiani” la lettera che mira a coinvolgere l’intera filiera del vino italiano. Il grido d’allarme è: “Il vino non si ferma #ilvinononsiferma“. Un documento destinato a raccogliere quante più voci possibili, a sostegno di un’iniziativa ben articolata e inclusiva, a cui è chiamato ad aderire l’intero settore (www.ilvinononsiferma.it, vignaioli@ilvinononsiferma.it, Facebook ilvinononsiferma, hashtag: #laretedeivignaioli, #ilvinononsiferma, #lavignanonsiferma).
Un’iniziativa che apre un interrogativo gigante (l’ennesimo) sulla Federazione italiana vignaioli indipendenti (Fivi), costretta ad assistere all’ennesima iniziativa spontanea di alcuni associati, in mancanza di unità d’intenti all’interno del Consiglio di amministrazione. Qualcosa di già visto nei mesi scorsi, con la vicenza dazi Usa.
C’è di più. La presidente Matilde Poggifigura proprio tra i firmatari della lettera (qui l’elenco di tutti i sottoscrittori), in cui i “vignaioli italiani” lanciano un vero e proprio allarme.
In particolare, i primi dieci vignaioli che hanno aderito sono Edoardo Ventimiglia – Sassotondo – Sorano (GR); Caterina Gargari – Pieve de’ Pitti – Terricciola (PI); Gregorio Galli – Palazzo di Piero – Sarteano (SI); Walter Massa – Vigneti Massa – Monleale (AL); Luigi De Sanctis – Azienda Biologica De Sanctis Luigi – Frascati (RM).
E ancora: Marilena Barbera – Azienda Agricola Barbera s.s. – Menfi (AG). Ettore Ciancico – La Salceta – Loro Ciuffenna (AR); Gianluca Morino – Cascina Garitina – Castel Boglione (AT), Francesco Fenech – Az. Agr. Fenech Francesco – Malfa (ME), Francesco Cirelli – Azienda Agricola Cirelli – Atri (TE).
“Ci sentiamo parte attiva della straordinaria comunità che vive di vino – si legge sulla lettera dei vignaioli italiani – la nostra convinzione è che da questa crisi possiamo uscirne solo se restiamo uniti e se verrà salvaguardato il lavoro e il ruolo di ciascuno in ogni anello della filiera”.
“Per questo chiediamo a tutti rispetto per il nostro lavoro e offriamo in cambio lo stesso rispetto, consapevoli che solo con una collaborazione leale si possa, tutti insieme, uscire da questa crisi”.
Non accetteremo pressioni commerciali miranti a ridurre il margine che rappresenta la fonte di sostentamento per noi e le nostre aziende, perché riteniamo che soltanto con il riconoscimento di un equo corrispettivo sia garantita la dignità del nostro lavoro e del lavoro di coloro che collaborano con noi nella produzione, commercializzazione e promozione dei nostri vini”.
“Non accetteremo pratiche sleali quali il conto vendita – aggiungono i vignaioli – e le richieste sproporzionate di omaggi, consapevoli che soltanto con il rispetto delle normali condizioni commerciali possiamo contribuire in maniera positiva allo sviluppo della filiera”.
“Chiediamo a tutti i nostri clienti il rispetto delle scadenze per il pagamento delle forniture effettuate fino al 31/12/2019, in un momento in cui il mercato non presentava ancora alcuna criticità legata alla pandemia”.
Siamo disponibili – evidenziano i vignaioli – a discutere forme di credito agevolate che tengano conto delle difficoltà economiche che, con il lungo periodo di inattività, tutti i ristoranti e le enoteche si troveranno a fronteggiare alla riapertura, pur nel rispetto degli sforzi e degli investimenti che noi aziende agricole non abbiamo mai smesso di affrontare.
“Ci impegniamo, nelle scelte di vendita diretta dei nostri prodotti al consumatore finale, ad operare con lealtà nei confronti dei nostri clienti della distribuzione e dell’horeca, che sono fondamentali per la promozione e la valorizzazione dei vini prodotti dai vignaioli italiani”.
“Per questo motivo, garantiamo che i nostri listini dedicati ai privati rispettino la normale marginalità riservata agli operatori commerciali. Siamo convinti che vada rafforzata la collaborazione con tutti gli attori della filiera vinicola, consapevoli che soltanto da un dialogo aperto e organico possano scaturire le migliori opportunità di crescita e valorizzazione per questo nostro piccolo grande mondo”.
Parole per certi versi molto simili a quelle usate nei giorni scorsi, in esclusiva a WineMag.it, da Lorenzo Righi, direttore di Club Excellence, realtà che raggruppa 18 tra i maggiori distributori e importatori italiani di vino, nel commentare le “Linee guida per il mercato e gli agenti” delle aziende che aderiscono al consorzio.
UNITÀ PER USCIRE DALLA CRISI “Le conseguenze economiche della pandemia – scrivono ancora i vignaioli – hanno travolto la nostra intera società. La natura, però, non si ferma: noi, custodi della terra, non ci siamo arrestati. Lavoriamo per l’eccellenza, per valorizzare la cultura e la civiltà del vino, per consolidare la reputazione del Made in Italy nel mondo. Difendere l’integrità dei territori e la bellezza dei paesaggi, che rendono straordinario il nostro Paese, è l’altra nostra missione, che ci rende fieri di essere italiani. Siamo così custodi di ecosistemi unici, in un momento storico in cui la lotta al cambiamento climatico è imperativo altrettanto urgente”.
“Siamo consapevoli delle difficoltà che questa pandemia ha causato degli effetti che continueranno a gravare su tutti i comparti per i quali il vino costituisce una risorsa insostituibile” proseguono “La produzione continua, i magazzini si riempiono, perché i nostri clienti sono fermi: se non interveniamo immediatamente, il virus ucciderà il nostro patrimonio vitivinicolo, e con esso alcuni territori e parte del prestigio italiano”.
Sono a rischio 10 miliardi di euro: “Tanto vale la produzione vinicola italiana – ricordano nella lettera i vignaioli italiani – di cui 6 miliardi derivanti dalle esportazioni. Serve intervenire subito“.
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Il Consorzio Tutela Vini Colli Euganei ha riaperto questa mattina, dopo una settimana di chiusura imposta dall’allarme Coronavirus. Un “ritorno alla normalità“, come lo definiscono i dipendenti, che assume un significato importante per tutta la filiera del vino italiano. L’ente ha infatti sede a Vo’, paesino alle porte di Padova finito agli onori delle cronache internazionali per il focolaio di Covid-19 più numeroso in Italia (88 casi accertati).
Per i 6 dipendenti del Consorzio, distribuiti su tre diversi uffici, sono stati giorni difficili. In contatto diretto con l’Asl resta solo l’enologo, residente in Trentino: nessun sintomo, come dimostrano le costanti rilevazioni della temperatura, richieste dalle autorità sanitarie competenti in materia.
La situazione, secondo quanto racconta a WineMag.it Lisa Chilese, responsabile Promozione del Consorzio Tutela Vini Colli Euganei, è quella di un “sostanziale ritorno alla normalità“. “Le prime avvisaglie – sottolinea Chilese – si sono verificate nel pomeriggio di venerdì 21 febbraio, durante un incontro con i produttori, proprio qui in Consorzio”.
Stavamo programmando le fiere, gli eventi e la promozione delle attività, quando qualcuno ha iniziato a ricevere sul cellulare le prime notizie relative al Coronavirus. All’inizio abbiamo tutti sorriso, ma nel giro di un’ora e mezza la situazione è precipitata: uscendo dal Consorzio abbiamo trovato i bar chiusi e le prime transenne”
“Sono rientrata in Consorzio – racconta Lisa Chilese – per recuperare il computer e poter continuare a comunicare da casa con le aziende. Sino ad oggi abbiamo cercato di farci sentire il meno possibile, per non alimentare questa bolla mediatica gonfiata alla grandissima, nostro malgrado”.
Oggi la riapertura della sede consortile. “Venerdì 28 febbraio è arrivata l’attesa autorizzazione del Prefetto, che si è mantenuto in stretto contatto con il Consorzio e sta continuando a monitorare la situazione. A Vo’ è tornata la serenità: la gente gira per strada, senza mascherina, con il sorriso a 32 denti stampato! La mia collega Lorella, questa mattina, ha portato un mazzo di bellissime mimose, perché è già primavera sugli Euganei!”.
“Si può dire che il paese sia tornato finalmente alla normalità – commenta ancora Lisa Chilese a WineMag.it – il dramma e il panico sembrano superati. Vo’ sembra ancora attrezzato per una gara ciclistica, con le transenne ancora presenti in alcuni punti. Ma molte persone sono state autorizzate a entrare e uscire, per lavoro”.
Quali conseguenze per le cantine? “A un produttore – risponde la responsabile del Consorzio Tutela Vini Colli Euganei – sono stati respinti i vini inviati all’estero, perché i clienti pensavano erroneamente che la merce potesse veicolare il virus. Ma le aziende più strutturate hanno continuato a lavorare, nella quasi totale normalità”.
Una chat privata, tra Consorzio e produttori, tiene costantemente informati gli associati all’ente sull’evolversi della questione. Vo’ resta chiuso ancora fino a venerdì, in un Veneto che non vede l’ora di tornare a pieno regime.
Lo dimostra, non a caso, la conferma delle date di Vinitaly 2020 da parte di Veronafiere. Lo slittamento delle date di ProWein 2020, posticipata a data da definirsi da Messe Düsseldorf, non dovrebbe avere riflessi sulla più importante fiera del vino italiano.
A Verona vengono smentite voci di accordi possibili tra i due enti fieristici, mentre si fa largo l’ipotesi di una ProWein Trade Fair nel mese di maggio 2020. Un’opzione più probabile, al momento, dei mesi di giugno o luglio.
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Dopo l’allarme lanciato da Coldiretti e la richiesta, da parte di Fivi, di una conta dei danni ufficiale, è Assoenologi a delineare il quadro delle conseguenze dell’ondata di freddo che si è abbattuta sulle vigne italiane. Il gelo, proveniente dal Nord Europa, ha colpito il Belpaese tra martedì 18 e venerdì 21 aprile. Un “nuovo inverno” per le viti di mezza penisola, in piena maturazione.
“Spesso siamo preda dell’ossessione del clima che cambia – commenta Riccardo Cotarella, presidente di Assoenologi -. Le gelate tardive sono una costante che ha accompagnato le vicende della viticoltura europea fin dalle sue origini. Ma in effetti la gelata dello scorso aprile non può essere considerata il risultato di un fenomeno meteorologico normale. Lo dimostra la dimensione europea dell’evento e la gravità del danno. Molto raramente, infatti, si associano gli effetti di un raffreddamento dovuto allo spostamento di grandi masse fredde dall’Artico, con quelli della perdita di calore dal suolo per irradiamento e, in molti casi, per la caduta di aria fredda lungo le pendici verso le zone più basse. La situazione – precisa Cotarella – è stata poi aggravata dall’avanzato sviluppo dei germogli per le favorevoli condizioni del mese di marzo”.
LA CONTA DEI DANNI
Dalle prime stime, secondo le rilevazioni effettuate da Assoenologi, i danni sembrerebbero ingenti. Si tratta di vigneti colpiti a macchia di leopardo, soprattutto nei terreni a fondovalle e in quelli pianeggianti, oltre che i nuovi impianti, particolarmente sensibili. “Come è facile prevedere – ha detto Cotarella – le conseguenze per la viticoltura italiana saranno, sul piano produttivo, molto gravi, anche perché sono stati colpiti alcuni distretti viticoli i cui vini sono destinati soprattutto all’esportazione. Il risultato degli interventi agronomici per il recupero della produzione dell’annata in corso si prospettano molto aleatori e potranno essere valutati solo dopo la risposta delle piante, tra qualche settimane. È opportuno invece che le scelte dei viticoltori si orientino verso il ripristino della struttura produttiva per la prossima annata”.
LA SITUAZIONE PIEMONTE. In tutto il Piemonte si stima un 5-8% di ettari di vite colpiti dalle gelate e una perdita media del 3-5% della produzione. Nella zona del Gavi i danni sono a macchia di leopardo e sembra che siano stati colpiti il 10-15% degli ettari ma con differenti problematiche, dal 5 al 100%. Mediamente la perdita complessiva non dovrebbe essere di oltre il 7-10% della produzione.
Nei comuni di Nizza, Agliano, Mombaruzzo, zona tipica del Barbera d’Asti, le gelate hanno interessato, in alcuni casi, i vigneti sino a metà collina. La prima stima dà un danno dall’8 al 10% della produzione totale. Per la zona del Barbaresco preoccupante è stata la grandinata del 16 aprile su una parte del comune di Neive.
Le gelate hanno colpito il fondovalle, mentre le posizioni ben esposte, da Nebbiolo, non sono state colpite o solo marginalmente. Stima del danno 5-7% della produzione. Anche nella zona del Barolo le gelate hanno colpito a macchia di leopardo. (Enol. Alberto Lazzarino – Presidente Sezione Piemonte Assoenologi).
LOMBARDIA. In generale i vigneti della Lombardia posizionati in zone pianeggianti o comunque con poco ricircolo d’aria sono state maggiormente penalizzate. Per effetto di inversione termica sono stati molto più limitati i danni in zone collinari e comunque sempre in forme di allevamento con capo a frutto più distante da terra. La Franciacorta è probabilmente la zona più colpita vista la precocità dei vitigni e la posizione.
Si stima dal 40 al 50% di germogli colpiti in particolare in zone pianeggianti e su tutti e tre i vitigni. Sorte migliore ai vigneti allevati a Sylvoz e in prossimità del lago d’Iseo. Per le vigne Lugana e Garda, la vicinanza del lago ha molto limitato i danni che vengono stimati in circa 15/20% dei germogli in particolare sulle varietà a bacca bianca e rossa precoce. Nel comune di Botticino, essendo quasi esclusivamente uve rosse danni limitati a un 10-12%, mentre in Valcalepio sono sati pochi i danni e limitati a posizioni particolari di fondovalle o esposizioni poco soleggiate.
In Oltrepò la situazione risulta molto difforme sia per posizione che per vitigno. Le gelate hanno causato un danno sui germogli pari a circa 20% Ad essere colpiti sono stati in particolare vigneti nelle vallate dove il danno arriva anche al 90- 95%. In Valtellina pochi se non nulli i danni e comunque limitati a posizioni particolare o esposizioni poco soleggiate. Pochi danni anche in Liguria in prossimità di fondovalle: stima 10-15% di germogli persi (Enol. Alessandro Schiavi – Presidente Sezione Lombardia Liguria Assoenologi).
TRENTINO. Nella notte tra il 19 e il 20 aprile si è verificata una gelata che ha colpito varie zone del vigneto Trentino. Dei 10500 ettari vitati in provincia di Trento, ne sono stati in vario modo colpiti circa 2400, di essi circa 1000 hanno avuto danni più importanti. L’entità del danno alla produzione risulta comunque di difficile stima in questa fase, poiché la gelata ha colpito vigneti con stadi fenologici diversificati per zona e varietà.
Si ritiene che in parte dei vigneti colpiti vi sia una ripresa vegetativa anche grazie alle piogge cadute negli ultimi giorni e alla ripresa delle temperature. Attualmente si stima un danno consistente almeno su 1000 ettari pari a circa il 10% della superficie totale. Le zone più colpite sono state il basso Trentino con Ala, la piana di Rovereto, qualche zona della Valle dei Laghi, danni minori a nord di Trento e in Valle di Cembra dove risultano colpiti i vigneti a gouyot rispetto alla tradizionale pergola trentina. (Enol. Goffredo Pasolli – Presidente Sezione Trentino Assoenologi).
ALTO ADIGE. In Alto Adige la superficie colpita dal gelo è di circa il 10% della superfice vitata (5.350 ettari), cioè circa 530 ettari. I danni qualitativi e quantitativi sono attualmente stimabili dal 5-8%. Le zone più colpite sono l’alta Val Isarco e la zona Oltreadige, con qualche zona vicino a Ora (Bassa Atesina). (Enol. Stephan Filippi – Presidente Sezione Alto Adige Assoenologi).
VENETO CENTRO ORIENTALE. Nel Veneto Centro Orientale le basse temperature dell’ultima decade di aprile hanno determinato in alcuni casi solo un arresto della vegetazione, in altri anche danni da gelo a carico dei germogli. La diffusione dei veri e propri danni gravi, ha comunque colpito a macchia di leopardo il territorio, prova ne è che all’interno dello stesso appezzamento si trovano zone con filari con viti danneggiate mentre altre con una vegetazione normale, questo sia in collina che in pianura. In collina risultano colpite solo alcune viti dei filari di fondovalle mentre quelli lungo il crinale risultano indenni.
Le viti allevate con vari sistemi di allevamento sono state indifferentemente colpite, l’unico sistema di allevamento su cui sembra non si segnalano problemi risulta essere il Bellussi probabilmente per la sua forma molto espansa e arieggiata. Quantificare gli eventuali danni da gelata è oggi prematuro, perché il ciclo vegetativo è ancora molto lungo e la vite ha ancora tempo per recuperare, importante sarà l’andamento delle temperature nelle prossime settimane. (Enol. Celestino Poser- Presidente Sezione Veneto Centro Orientale Assoenologi).
VENETO OCCIDENTALE. Dal 1984 non avvenivano gelate , questo ha contribuito a far piantare vigneti in zone poco vocate alla viticoltura specialmente “viti nane” alte 60 cm da terra, la meccanizzazione ha favorito questi sistemi d’impianto, dimenticando che la vite è una pianta rampicante. Danni: a prima vista sembrava un danno enorme, dopo 6 giorni, si nota che la vite riprende la cacciata, siamo ancora in aprile, e sono convinto che oltre a salvare il capo a frutto per l’anno prossimo si riuscirà a fare una vendemmia non di quantità, ma certamente di qualità, con leggero ritardo di maturazione.
Le zone più alte e le colline di tutte le Province di Verona e Vicenza sono intatte e la pioggia di questi giorni è stata una vera manna. Per essere sintetici delle zone colpite, Valpolicella solo parte della bassa, Soave solo parte la pianura a est, e zona Arcole, Vicentino; parte zona nord di Lonigo e Meledo, Brendola, Montebello. Fra 15 giorni si potrà meglio giudicare che il danno non è così enorme di come poteva apparire giorni fa. (Enol. Luigino Bertolazzi – Presidente Sezione Veneto Occidentale Assoenologi).
FRIULI VENEZIA GIULIA. Dobbiamo ritornare al 20 aprile 1981, lunedì di Pasqua, per trovare una gelata così importante in Friuli Venezia Giulia (-2°/3° C). La superficie interessata è stata di oltre duemila ettari, pari al 10% dell’intero “Vigneto Friuli”. Fortunatamente, questo grande freddo, ha colpito i vigneti a macchia di leopardo diluendo i danni sull’intera superficie vitata regionale.
In Friuli l’inverno è stato mite e siccitoso mentre, le alte temperature nelle prime due decadi di aprile, hanno sviluppato anticipatamente l’apparato fogliare della pianta evidenziando, soprattutto nelle varietà precoci, i giovani germogli.
Da qui l’importante danno causato dal gelo improvviso in particolare nelle zone del fondo valle e nelle pianure lungo i corsi d’acqua e nelle varietà di Pinot Grigio, Glera, Refosco e Verduzzo. Occorre attendere sia la ripresa vegetativa della vite, ancora oggi bloccata dalle basse temperature, che lo sviluppo vegetativo del futuro grappolo. (Enol. Rodolfo Rizzi – Presidente Sezione Friuli V. G. Assoenologi).
EMILIA. Il danno medio in Emilia è stimabile tra il 20 e il 30% della superficie vitata. Le varietà più colpite sono l’Ancellotta e le uve bianche in generale. Il 90% dei danni hanno riguardato impianti a spalliera con filo di banchina dai 90 ai 120 cm. Pochi invece sui sistemi a Belussi e a doppia cortina con filo di banchina maggiore di 180 cm. Anche nella pianura del bolognese i danni sono significativi, ma manca ancora una stima attendibile. (Enol. Sandro Cavicchioli – Presidente Sezione Emilia Assoenologi).
ROMAGNA. L’avvio di stagione aveva offerto una primavera da manuale in Romagna, con fioriture splendide e anticipi di vegetazione, anche se la siccità iniziava a dare qualche preoccupazione. Poi l’acqua è arrivata, ma con lei anche i guai: tra il 15 e il 17 aprile si sono manifestati due importanti eventi grandinigeni in Emilia-Romagna, che hanno avuto ripercussioni anche sul vigneto. I danni più importanti partono dalla collina faentina (Zattaglia, Casola Valsenio in particolare) per continuare verso quella imolese, fino a devastare le vigne tra Castel San Pietro e Ozzano, scendendo verso la pianura bolognese.
Nell’Imolese si parla di circa 700 ettari coltivati (non solo vite) interessati dall’evento. Come se non bastasse, si è poi assistito ad un ribasso delle temperature che nelle mattine del 20 e 21 aprile sono scese anche leggermente sotto zero. La situazione in merito ai vigneti è variegata: si può supporre che su una superficie vitata di circa 27 mila ettari, compreso l’Imolese, almeno 4 mila ettari siano stati interessati da grandinate e gelate tardive, ma l’incidenza di questi eventi sugli esiti produttivi di questa vendemmia sono tutti da determinare.
Cosa sia successo dentro questi grappolini al momento non è dato saperlo e si attende con ansia il momento della fioritura, ma soprattutto dell’allegagione. (Enol. Pierluigi Zama – Presidente Sezione Romagna Assoenologi).
TOSCANA. Anche la Toscana è stata colpita duramente dal gelo degli ultimi giorni. Si evidenziano danni a macchia di leopardo su tutta la regione, in particolare nei fondovalle mentre si sono salvati i vigneti posizionati in zone più collinari. In alcuni areali i germogli colpiti sono stati completamente “bruciati” compromettendo in modo significativo la produzione 2017 anche se la speranza è nelle gemme di sottocchio.
Fenomeni contenuti si sono registrati nel litorale ( Bolgheri- bassa Maremma). Alcuni dati: Zona Chianti 25-30%; Zona Chianti Classico 20%; Zona San Gimignano 20%; Zona Montalcino 10-15%; Zona Montepulciano 20-25%. (Enol. Ivangiorgio Tarzariol – Presidente Sezione Toscana Assoenologi).
MARCHE. Nelle Marche i danni nelle vigne sembrano piuttosto limitati con una situazione piuttosto variegata. Nel Pesarese/Urbinate non si rilevano danni di rilievo, così come nell’Anconetano, nelle zone del verdicchio e del Conero quantificabile, al massimo, intorno al 10%.
Nel comune di Matelica, le gelate notturne dei giorni scorsi, dopo un marzo eccezionalmente caldo che ha fatto sviluppare in anticipo le gemme, hanno danneggiato in maniera variabile a seconda delle zone, fino ad un 40%. Nel Fermano/Ascolano, qualche danno si è registrato su giovani germogli soprattutto nel fondo valle delle zone più interne dove, in qualche caso, sono stati ingenti, con perdite fino al 50% nella porzione di vigneto adiacente alla valle.
A livello regionale è emerso che questi abbassamenti repentini delle temperature hanno influito sul germogliamento delle varietà tardive (Montepulciano, Trebbiano T. e Passerina) in cui si assiste a livello generale ad un germogliamento disforme, oltre ad un rallentamento vegetativo generalizzato. (Enol. Luigi Costantini – Presidente Sezione Marche Assoenologi).
LAZIO E UMBRIA. Nel Lazio e in Umbria le giornate del 20 aprile e poi del 22 aprile sono state caratterizzate da mattinate con temperature inferiori allo zero e venti freddi. Nella provincia di Latina si ipotizzano danni che vanno da un 10% al 40-50% nelle zone più colpite specie nei fondovalle. Nell’areale dei Castelli Romani si ipotizza in maniera molto generale una perdita del 10-15% anche se i tecnici sono fiduciosi su un possibile recupero, anche per le vigne più colpite. In quest’area infatti, le varietà autoctone, generalmente più tardive, si trovano in una fase fenologica anticipata rispetto ad altre varietà.
In Umbria, ci sono stati ingenti danni sui vigneti di fondo valle e pianura dove si stimano perdite anche oltre il 60% e verosimilmente le varietà a bacca bianca sono le più penalizzate; meglio le zone di media e collina che sono scampate ai danni anche se nella zona di Montefalco (notoriamente più fredda del perugino) alcuni vigneti di Sagrantino, seppur a 300-350 m s.l.m, hanno subito perdite anche oltre il 30%. Si segnala anche una forte difformità dei danni nell’ambito dello stesso vigneto o filare. (Enol. Riccardo Cotarella – Presidente Sezione Lazio Umbria Assoenologi).
ABRUZZO. Poiché in Abruzzo l’andamento vegetativo della vite risulta essere in ritardo di circa 10-12 giorni, a causa di un inverno rigido e temperature al di sotto della media stagionale, i danni da gelo sono stati circoscritti nelle zone del fondo valle e sulle sole varietà precoci: Chardonnay, Pinot Grigio, Pecorino, Passerina. Sul Trebbiano e Montepulciano i danni, nella maggior parte della regione, non sono significativi.
La provincia dell’Aquila e parte dell’entroterra Pescarese, che già lo scorso anno nello stesso periodo hanno avuto danni da gelo molto importanti, hanno subito lo stesso abbassamento di temperatura (-3°C/-5°C) ma con danni minori perché la schiusura delle gemme è avvenuta con ritardo. Occorrerà però aspettare il completo germogliamento per definire eventuali cali di produzione. (Enol. Nicola Dragani – Presidente Sezione Abruzzo Molise Assoenologi).
CAMPANIA. L’inizio del 2017 in Campania è stato contraddistinto da temperature di circa 1°C, inferiori rispetto alla media del periodo e piogge abbondanti. Ciò faceva ben sperare in una campagna vendemmiale “nella norma” e cioè non contrassegnata da altalenanti e disattesi cambiamenti climatici.
Ma non è stato così perché già negli ultimi tre giorni di gennaio si sono registrate impennate termiche anomale con giornate piuttosto calde e soleggiate. Temperature miti (non in linea con le medie stagionali) hanno caratterizzato anche i successivi mesi di febbraio e marzo. Queste condizioni, sull’intero territorio regionale, hanno favorito un germogliamento della vite leggermente anticipato di qualche giorno, nella prima decade di aprile. Nel fine settimana tra il 18 e il 21 aprile pesanti gelate notturne hanno gravemente condizionato le prime fasi vegetative della vite in quasi tutti gli areali di produzione.
L’eterogeneità delle prime fasi di sviluppo dei germogli ha limitato fortunatamente il danno, interessando buona parte dei germogli già accresciuti e risparmiando così le gemme che appena si aprivano. Nei vigneti più giovani la gelata ha fatto più danni. Le viti più vecchie invece hanno mostrato una maggiore resistenza. Al momento si può stimare mediamente un danno pari al 15-20%. (Enol. Roberto Di Meo – Presidente Sezione Campania Assoenologi).
PUGLIA. In Puglia l’accrescimento regolare dei germogli è stato incentivato da alcune giornate di caldo intenso dei primi quindici giorni di aprile. Improvvisamente però, un’ondata di gelo nelle date del 20-23 del mese ha interrotto la crescita della vegetazione, in alcuni casi stroncandola. Di difficile analisi il fenomeno, per la forte eterogeneità delle condizioni territoriali.
Il forte sbalzo termico e le basse temperature hanno colpito in particolare la zona della Valle d’Itria, con un danno sui vigneti stimabile al 40-50%; l’areale compreso tra Cerignola e Minervino Murge, con un danno sui vigneti stimabile al 10- 20% e il Nord Puglia fino ai confini regionali, con un danno sui vigneti stimabile del 5-10%. Il resto della regione è stato sostanzialmente trascurate dal fenomeno, con qualche sporadica eccezione data da zone più fredde o esposte a correnti. In Basilicata e Calabria i danni sono stati molto limitati.
SICILIA. In Sicilia si registrano piccoli focolai in poche zone particolari. Nulla di grave, si è nell’ordine dell’1% di danni (Enol. Giacomo Salvatore Manzo – Presidente Sezione Sicilia Assoenologi).
SARDEGNA. L’ondata di mal tempo anomalo, con un improvviso abbassamento delle temperature di molti gradi, con sbalzi di 22-23 C°, hanno danneggiato gravemente i vigneti, dove sono andati distrutti completamente i giovani germogli fruttiferi.
Danni a partire dai fondovalle da 25 m.s.l.m ai 650 m.s.l.m.i che hanno interessato gran parte della Sardegna in modo particolare la Gallura patria del Vermentino Docg, per arrivare alle vigne di Cannonau dell’Ogliastra, Orgosolo, Dorgali, sino ad arrivare ai 650 metri di Mammoiada, nell’Oristanese casa della Vernaccia , nel Sulcis-Inglesiente terra del Carignano.
Danni che arrivano al 100% della produzione sino ad un 20- 50% nelle aree meno colpite . Un vero e proprio bollettino di guerra , che ha messo in ginocchio molte aziende vitivinicole. Ad oggi si stanno stimando ancora i danni che potranno essere più precisi fra una quindicina di giorni, quando la vite ricaccerà e si potrà stimare la nuova produzione. In tutti i casi si ipotizza che siano oltre 3000 gli ettari interessati dal flagello del gelo. (Enol. Andreino Addis – Presidente Sezione Sardegna Assoenologi).
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