«L’intera filiera brassicola conferma la preoccupazione già anticipata nei mesi scorsi per i rincari delle materie prime e delle utility, una vera tempesta dei costi che intacca la redditività delle imprese e rischia di comprometterne la crescita». Ad affermarlo è Alfredo Pratolongo, presidente di AssoBirra, l’associazione di Confindustria rappresentativa del comparto della birra e del malto in Italia.
Nel 2021 il settore birrario ha sofferto ulteriori mesi di chiusure che hanno prolungato la crisi del comparto, ma poi nel corso dell’anno è riuscito a recuperare i volumi persi nel 2020.
Questo intervento estemporaneo non è sufficiente per recuperare le perdite subìte nel periodo pandemico e innestare un nuovo percorso di crescita, soprattutto in un momento di rincari generalizzati e diffusi come quello che stiamo vivendo.
Occorre prendere delle decisioni di lungo periodo che consentano alle imprese di tornare a investire sul proprio business e dunque a generare ricchezza per il Paese».
«Nel concreto – conclude il presidente di Assobirra – Governo e Parlamento devono continuare a intervenire sulla pressione fiscale, rendendo strutturali la diminuzioni richieste. Il mondo birrario vuole e può giocare un ruolo centrale per l’economia italiana ma può farlo solo se adeguatamente supportato dalle Istituzioni con le quali come AssoBirra continueremo sempre a mantenere un dialogo costruttivo».
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In Legge di Bilancio la riduzione di 5 centesimi, per tutto il 2022, sull’aliquota delle accise. Uno sconto del 50% per i birrifici con produzione annua inferiore a 10 mila ettolitri, del 30% per i birrifici con produzione annua compresa tra i 10 e i 30 mila ettolitri. E del 20% per quelli con produzione annua superiore ai 30 mila ettolitri e fino ai 60 mila.
La misura è stata accolta con favore dal comparto. AssoBirra, Coldiretti e Unionbirrai hanno lavorato insieme e a lungo durante l’anno appena concluso per portare avanti la richiesta a Governo e Parlamento di intervenire sulla pressione fiscale da accise.
Una misura necessaria, «al fine di mettere il settore nella condizione di recuperare le perdite subìte nel periodo pandemico (-1,4 miliardi di euro di valore condiviso nel 2020), di innestare un nuovo percorso di crescita per tutte le aziende del settore e dare impulso ad uno sviluppo rilevante della filiera italiana della birra, anche dal punto di vista agricolo», riferisce Assobirra in una nota.
«BIRRA UNICA BEVANDA DA PASTO TASSATA IN ITALIA»
Il turbolento esame della Legge di Bilancio ha tuttavia colpito anche la birra. Dopo l’approvazione dell’emendamento di AssoBirra, Coldiretti e Unionbirrai in Commissione Bilancio, la Ragioneria Generale dello Stato è intervenuta nuovamente sollevando problemi di coperture. Determinando quindi una revisione della misura approvata limitandola al solo 2022.
«La Legge di Bilancio recentemente approvata – commenta Alfredo Pratolongo, Presidente di AssoBirra – segna una svolta per il comparto italiano della birra. Come Associazione da anni ci battiamo per ottenere una pressione fiscale più equa sulla birra, una bevanda amata da tutti gli italiani, consumata prevalentemente a pasto e che negli anni ha dimostrato sempre maggiore apprezzamento anche dal punto di vista culturale e di radicamento territoriale e regionale».
«Tuttavia, ad oggi – ammonisce Pratolongo – la birra rimane l’unica bevanda da pasto tassata in Italia. La riduzione sul 2022 è importante, ma il comparto merita di più. Il nostro obiettivo è rendere questa riduzione strutturale e non più annuale. Alle imprese, siano grandi, medie o piccole, serve certezza e non misure a tempo che scoraggiano piani di lungo periodo».
LE ACCISE SULLA BIRRA IN ITALIA TRA AUMENTI E TAGLI
Le accise sulla birra sono un tema dibattuto da tempo. Dopo un aumento del 30% nel triennio 2013-2015, avevano goduto di una riduzione di 2 centesimi nel 2017 e di 1 centesimo unitamente ad uno sconto del 40% per i birrifici artigianali fino a 10 mila ettolitri nel 2019.
Piccole riduzioni che avevano dato un segnale di forte fiducia al comparto, che ha risposto con investimenti in impianti produttivi e nuovi prodotti. Nonché con la nascita di importanti realtà artigianali.
La cosiddetta “Primavera della Birra” ha subìto una battuta di arresto con la pandemia. La crisi e il blocco del canale Horeca. ha messo a dura prova il sistema produttivo e soprattutto quello distributivo.
La nostra richiesta in Legge di Bilancio era una riduzione strutturale triennale complessiva di 15 centesimi, oltre alle agevolazioni per i birrifici artigianali fino a 60 mila ettolitri. L’appoggio delle forze politiche in Parlamento, unitamente al Governo, è stato ampio e trasversale».
«Chiediamo che non si perda lo spirito della proposta originaria – conclude Pratolongo – dove anche la politica e le istituzioni hanno riconosciuto quanto la leva fiscale possa essere leva di crescita economica e si lavori da subito per rendere stabili le riduzioni approvate».
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È un coro di no quello che arriva dalla “base” di Fivi in merito all’ipotesi di riduzione dell’Iva sul vino al 10%, rispetto all’attuale 22%. La proposta di passare dall’aliquota ordinaria a quella semplificata fino al 31 dicembre 2023 è contenuta in una lettera indirizzata a Roma dalla Federazione italiana vignaioli indipendenti, all’attenzione dei ministri Bellanova e Gualtieri. La missiva, firmata dalla presidente Matilde Poggi, è tuttavia al centro di un acceso dibattito tra gli associati Fivi, dalla Sicilia al Trentino.
Oltre al ribasso dell’imposta sul valore aggiunto, non convince la richiesta di poter emettere la fattura all’incasso, al posto che al momento della consegna o della spedizione del vino. Un’ipotesi che rischia di generare “zone d’ombra nei rapporti con l’Horeca”. In altre parole del “nero“, come sostiene qualche produttore.
Il più duro nei confronti di Fivi è il vignaiolo toscano Edoardo Ventimiglia, tra i più attivi della neocostituita Rete#ilvinononsiferma: “L’associazione di cui faccio parte non mi può mettere le mani in tasca in un momento così delicato – attacca il titolare di Sassotondo – o pensare che un ddt possa assumere valore legale in caso di mancati pagamenti o di necessità di credito bancario: senza una regolare fattura emessa prima o al momento della consegna e della spedizione, la merce è ancora in carico al vignaiolo”.
La riduzione al 10% dell’Iva, pensata per risollevare il settore, non avrebbe inoltre alcun risvolto sui consumatori, in quanto i vini sarebbero a scaffale allo stesso prezzo. Non è chiaro, poi, quali compensazioni dovrebbero essere utilizzate per evitare perdite ai vignaioli.
Il dibattito sulla fiscalità è corretto, ma va affrontato in un contesto più organico e allargato. Meglio sarebbe intervenire, allora, con accordi strutturali sulla scontistica a scaffale, tangibili dal pubblico”.
Fa eco Luigi De Sanctis, vignaiolo Fivi del Lazio: “Avrei consultato dei tributaristi, dei commercialisti, o comunque degli esperti in materia fiscale prima di mettere sul tavolo dei ministri Bellanova e Gualtieri una proposta di riduzione dell’aliquota Iva sul vino, in un momento così delicato per il nostro Paese”.
Con questa proposta non si risolve nulla, anzi ci si perde su un argomento molto scivoloso. Sarebbe stato meglio continuare a insistere sul problema dello stoccaggio: chi produce vini di qualità sa quanto il tempo sia utile per i corretti affinamenti e quanto invece deleteria l’ipotesi della distillazione.
La mancanza di spazi invoglia a vendere il vino prima del necessario. Con l’Horeca ferma, le annate rischiano di sommarsi in cantina e un aiuto dal Governo su questo fronte sarebbe davvero auspicabile”.
Anche la vignaiola siciliana Marilena Barbera esprime diverse perplessità sulla lettera di Fivi: “L’iniziativa è lodevolissima – commenta – perché mira a favorire la ripresa dei consumi e dell’Horeca, ma non si può dire altrettanto delle argomentazioni. Con la riduzione dell’aliquota al 10%, i vignaioli si troverebbero a perdere anzi dei soldi, senza benefici reali né per loro né per il resto della filiera, compreso il consumatore”.
In un momento in cui l’Italia fa appello al Mes perché non ha più soldi per pagare la cassa integrazione e le Regioni non hanno abbastanza liquidità per comprare le mascherine utili a contrastare Coronavirus, come si può ipotizzare una riduzione del prelievo fiscale?
Mettere mano oggi al meccanismo, comporterebbe conseguenze gravissime sull’Iva complessiva percepita dallo Stato alla fine del processo produttivo, ovvero al momento del consumo”.
“Il destinatario dell’abbassamento dell’aliquota – aggiunge Marilena Barbera – è il ristoratore e l’enotecario: la proposta non prevede alcun beneficio per il cliente finale, che si troverebbe a pagare la stessa Iva prevista oggi sui suoi acquisti, sia in enoteca, sia al ristorante. Molto più sensato proporre degli sconti agli operatori per organizzare assieme eventi e degustazioni, anche se questo non risolve del tutto i problemi”.
Una proposta simile è stata annunciata ieri da Regione Lombardia, che si prepara a mettere sul piatto un bando da 3 milioni di euro per rilanciare i consumi, dal mese di giugno. Gli operatori Horeca saranno incentivati all’acquisto di vini lombardi, grazie a uno sconto del 10% in cambio dell’allestimento di vetrine che promuovano il vino – e più in generale l’agroalimentare – Made in Lombardia.
Ancora più a nord, è il vignaiolo trentino Francesco De Vigili, una delle voci più giovani e autorevoli del mondo del vino italiano, ad avanzare dubbi sulla lettera di Fivi. “Si tratta di una ipotesi che non condivido e che, nel merito, non ha alcun senso: pare quasi una boutade“, chiosa dalla capitale del Teroldego, Mezzolombardo (TN).
“La riduzione dell’Iva dal 22% al 10% – precisa De Vigili – toglierebbe liquidità alle cantine in un momento già di per sé critico, per via del lockdown dell’Horeca. Sarebbe più utile l’esenzione dell’Iva sugli acquisiti dei beni”.
Tra le perplessità, anche quelle di Walter Massa: “Per quanto riguarda la mia azienda, e le aziende a regime ordinario, l’Iva non è un costo, semplicemente una partita di giro. Per le aziende a regime speciale è una fonte speculativa, voluta da certe centrali di potere per umiliare l’agricoltore e l’agricoltura italiana“.
Il vignaiolo di Monleale aggiunge: “Per la ristorazione compra al 22% ed emette ricevute fiscali al 10%, ognuno può trarre le sue considerazioni. Per il consumatore finale più l’aliquota è bassa e meglio è. Per lo Stato, con tutto quello che in un momento come questo c’è da fare , sostenere, meno so cambia e più introiti si possono avere è meglio è. Per le associazioni che vanno chiedendo questo, spero si siano appoggiate ad un pool di grandi economisti e fiscalisti, oppure è meglio che si affidino ai servizi sociali, non occuparsi di cose sociali”.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 16 anni, tra carta stampata e online, dirigo oggi winemag.it, testata unica in Italia per taglio editoriale e reputazione, anche all’estero. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Segno Vergine allergico alle ingiustizie e innamorato del blind tasting, vivo il mestiere di giornalista come una missione per conto (esclusivo) del lettore, assumendomi in prima persona, convintamente, i rischi intrinsechi della professione negli anni Duemila. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
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