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Consorzio Oltrepò pavese: scelti i cinque nuovi consiglieri del Cda?

Consorzio Oltrepò pavese scelti i cinque nuovi consiglieri del Cda
Spuntano i nomi dei cinque consiglieri chiamati a sostituire gli imbottigliatori che si sono dimessi dal Cda del Consorzio Vini Oltrepò pavese. Secondo indiscrezioni di winemag.it, si tratterebbe di Alessio Brandolini (vignaiolo Fivi di San Damiano al Colle), Stefano Torre (nuovo enologo senior di Monsupello, dopo l’addio di Marco Bertelegni), Achille Bergami (allievo di Donato Lanati, enologo di Tenuta Travaglino), Stefano Dacarro (titolare de La Travaglina) e di un rappresentante della cantina Montelio di Codevilla. I nuovi consiglieri sarebbero stati pescati tra i primi non eletti alle ultime elezioni dell’ente di Torrazza Coste (Pavia), che hanno portato la produttrice Francesca Seralvo alla presidenza, al posto della presidente uscente Gilda Fugazza (espressione, lei sì, degli imbottigliatori, al pari del direttore Carlo Veronese, che sarà sostituito a settembre da Riccardo Binda).

CINQUE NUOVI CONSIGLIERI NEL CDA DEL CONSORZIO OLTREPÒ

Il Consorzio Vini Oltrepò segue dunque la strada del muro contro muro e sembrerebbe intenzionato a ufficializzare i nomi dei nuovi cinque consiglieri ancor prima di incontrare Regione Lombardia. Un’altra ipotesi è che i nomi stiano circolando tra gli addetti ai lavori della zona, in attesa dell’incontro con l’assessore regionale all’Agricoltura, Sovranità alimentare e Foreste di Regione Lombardia, Alessandro Beduschi. Il tavolo sarebbe stato convocato per mercoledì 17 luglio, a distanza di 11 giorni dal fatidico 5 luglio, data in cui i cinque consiglieri della categoria imbottigliatori Quirico Decordi, Federico Defilippi, Renato Guarini, Pierpaolo Vanzini e Federica Vercesi hanno rassegnato le loro dimissioni. Il gruppo, sempre secondo indiscrezioni, ha invece incontrato oggi l’esponente del Pirellone.

INUTILE L’INCONTRO REGIONE LOMBARDIA – CONSORZIO OLTREPÒ PAVESE?

Ancora non è chiaro se e a chi sarà affidata la terza vicepresidenza – accanto a Cristian Calatroni e Massimo Barbieri – lasciata vacante proprio da Renato Guarini. Quel che è certo è che, se i cinque nomi dei sostituti fossero confermati, l’incontro tra la presidente Francesca Seralvo e l’assessore regionale Alessandro Beduschi potrebbe essere ascritto a mera formalità istituzionale. Inutile, ai fini di una positiva soluzione del conflitto in atto in Oltrepò pavese. Del resto, la numero uno di Torrazza Coste era stata chiara, l’indomani delle dimissioni: «Supereremo ogni ostacolo – aveva dichiarato Seralvo», minimizzando il peso degli imbottigliatori nella compagine consortile. Quasi certa, così, l’uscita ufficiale dal Consorzio delle cinque aziende dei consiglieri dimissionari: Vinicola Decordi, Agricola Defilippi Fabbio, Losito e Guarini, Azienda VitivinIcola Vanzini e Società Agricola Vercesi Nando e Maurizio.

OLTREPÒ PAVESE: IL CONSORZIO PUÒ PERDERE L’ERGA OMNES?

Ed è caos sulle conseguenze che la scelta potrebbe avere sull’erga omnes del Consorzio Vini Oltrepò pavese, ovvero lo svolgimento di tutte le attività (comprese quelle promozionali) anche a vantaggio dei produttori non aderenti. Il livello di adesione minima per l’ottenimento dell’erga omnes è fissato ad almeno il 40% dei viticoltori ed almeno il 66% della produzione certificata media sui vigneti a denominazione o a indicazione geografica protetta iscritti negli ultimi due anni). Secondo gli imbottigliatori uscenti, il loro peso sarebbe del 30%. Cifra che la presidente Seralvo e il Cda del Consorzio Vini Oltrepò riducono al 12,4%. Bocche cucite, nel frattempo, su tutti i fronti: potrebbero parlare, ben presto e da sole, le nuove nomine. All’orizzonte, uno tsunami destinato a non essere cosa passeggera.

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Resistente e popolare: l’Oltrepò pavese scopre il Pinot Meunier


Non solo Pinot Nero per il Metodo classico dell’Oltrepò pavese. Negli ultimi anni, i produttori hanno scoperto il Pinot Meunier, terza varietà di uva della Champagne con 10.348 ettari. Conosciuto in Francia per la maggiore vigoria e resistenza al gelo rispetto a Pinot Noir e Chardonnay, il vitigno sta iniziando a prendere sempre più piede nei fondovalle oltrepadani. La strada per la sua definitiva consacrazione nella cuvée del Metodo classico Docg dell’Oltrepò è stata avviata dal Consorzio nei mesi scorsi. Dopo la modifica al disciplinare votata a maggioranza dai produttori nel dicembre 2022, il Meunier attende i necessari passaggi burocratici (Regione Lombardia, Roma, Bruxelles).

«Non va dimenticato – sottolinea il direttore del Consorzio di Tutela, Carlo Veronese – che ci sarà richiesto di dimostrare, a livello organolettico, le migliorie che il vitigno può apportare all’attuale cuvée della Docg». In prima fila tra i promotori c’è Oltrenero, la cantina oltrepadana della famiglia Zonin. «Al di là delle caratteristiche organolettiche – commenta il direttore Paolo Tealdi – nella discussione dell’inserimento del Pinot Meunier nella Docg fino a un massimo del 15%, c’è il fatto che è un vitigno che soffre meno le gelate. Fa molto comodo, ai nostri tempi, avere una varietà da poter impiantare nelle zone più basse, ossia nel fondovalle. Per lo stesso motivo è stato inserito il Pinot Bianco».

Grazie a “Cuvée Emme“, Oltrenero propone sul mercato un Meunier in purezza, sin dal millesimo 2017, ovviamente catalogato come Vsq – Vino Spumante di qualità. I due ettari della varietà francese sono stati impiantati nel 2012 su terreni profondi, argilloso-limoso-calcarei, con ricca presenza di marne. In commercio, al momento, c’è il millesimo 2018 (Brut Blanc de Noir, minimo 24 mesi sui lieviti). La base 2019, degustata in anteprima, alza ulteriormente l’asticella delle aspettative sul Meunier in Oltrepò pavese.

CRESCONO GLI ETTARI DI PINOT MEUNIER IN OLTREPÒ PAVESE

A crederci è anche Cantina Scuropasso, a Pietra de Giorgi. «È una varietà che abbiamo nel cuore – commenta il titolare, Fabio Marazzi – viste le grandi interpretazioni in purezza della Champagne, che conosciamo ormai da diversi anni. I produttori che piantano Meunier in Oltrepò stanno crescendo. Trovo che sia un bel segnale, ben oltre alla semplice “moda”. Noi abbiamo impiantato il nostro vigneto 6 anni fa, su terreni calcarei, scegliendo barbatelle dalla Francia e un’esposizione non troppo soleggiata. Si è ambientato molto bene: mostra una bella vigoria, con una resa di 90 100 quitali per ettaro. Abbiamo alcune prove di spumantizzazione in purezza, che abbiamo scelto di inserire nella Cuvée del nostro Blanc de Noir Roccapietra».

È Flavia Marazzi a spiegare le ragioni di questa scelta. «Ci siamo accorti che il Pinot Meunier conferisce una morbidezza e “grassezza” perfetta per essere abbinata al carattere del nostro Pinot nero. Aggiungendone il 10-15% ci consente di rispettare la nostra precisa identità stilistica, riducendo la necessità di ricorrere al dosaggio. Mi auguro che il percorso di introduzione del Meunier nel Metodo classico Docg dell’Oltrepò pavese giunga a compimento, in quanto è un vitigno nobilissimo, che dà ottimi risultati anche nella nostra zona. D’altro canto, l’apertura al Meunier offre un’opportunità in più ai produttori, senza toglie nulla in termini di territorialità e tipicità».

IL PINOT MEUNIER NELLA CUVÉE DELL’OLTREPÒ METODO CLASSICO

Della stessa opinione Alessio Brandolini: «Ho piantato mezzo ettaro nel 2013 – spiega il vignaiolo Fivi di San Damiano al Colle – in una vigna dove il Pinot Nero soffre molto il gelo, a 150 metri sul livello del mare, esposto a Nord. Sono molto contento di questa scelta: in questi anni, a parte nel 2017, non ho mai avuto problemi di gelate. Stilisticamente apprezzo il Pinot Meunier per la sua verticalità».

«Lo considero un vino da taglio – continua Brandolini – arrivando a un massimo di utilizzo dell’8% nella cuvée. Ne pianterò sicuramente altro nei prossimi anni, ma sempre nell’ottica di vitigno gregario: resto infatti convinto che in Oltrepò si debba puntare tutto sul Pinot nero. Sono stato tra i produttori più favorevoli alla sua introduzione nel disciplinare e ritengo sia molto più funzionale al territorio rispetto a vitigni come il Pinot Grigio, che non c’entra nulla».

Freschissima l’esperienza sul vitigno di Cantine Bertelegni. «Siamo tra gli ultimi ad avere impiantato questo vitigno in Oltrepò pavese – commenta Andrea Bertelegni – con lo scopo preciso di inserirlo nella nostra cuvée Metodo classico, formata così da Pinot Nero, Chardonnay e Meunier. La prima vendemmia “vera” è stata quella del 2023. Potremo dunque presentare sul mercato il nostro vino non prima di 24 mesi minimi di affinamento. L’obiettivo è arrivare a regime con a 36-48 mesi di affinamento. Più in generale, ci auguriamo che siano premiati gli sforzi del Consorzio per rendere più appetibile una Docg che, ad oggi, non lo è».

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degustati da noi vini#02

Vsq Metodo classico Rosé Note d’Agosto, Az. Agr. Alessio Brandolini

Un Metodo Classico da Pinot Nero che nasce in un territorio d’elezione per questo vitigno. Il Vsq Metodo Classico Rosé Note d’Agosto dell’Azienda Agricola Alessio Brandolini racconta la faccia di un Oltrepò in crescita, giovane e dinamico con basi solide.

LA DEGUSTAZIONE
Nel calice appare rosa salmone luminoso con perlage fine e persistente. Naso ricco e di buona eleganza che gioca su note di frutto rosso maturo, ribes e lampone, che si affiancano ad piacevole parte agrumata, fra scorza e polpa.

In bocca la bolla è avvolgente. Di buona freschezza e sapidità risulta pulito e preciso al sorso con un retro olfattivo corrispondente al naso. Un vino piacevole ed in grado di dare soddisfazioni anche nell’abbinamento gastronomico.

LA VINIFICAZIONE
Prodotto esclusivamente nelle annate favorevoli le uve sono raccolte manualmente da vigneti posti fra i 250 e i 300 metri slm. La prima spremitura viene lasciata macerare sulle bucce per circa 4 ore per poi rimanere sulle fecce fini fino al momento della presa di spuma.

Le bottiglie riposano sui lieviti per un minimo di 48 mesi prima della sboccatura. Il dosaggio avviene esclusivamente utilizzando lo stesso vino.

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degustati da noi vini#02

Provincia di Pavia Igt 2015 Pinot Nero “Al Negrès”, Alessio Brandolini

(4 / 5) Tra le realtà emergenti dell’Oltrepò pavese c’è l’Azienda Agricola Alessio Brandolini di San Damiano al Colle (PV). Un giovane che ha preso in mano l’azienda di famiglia, sollevandone le sorti soprattutto dal punto di vista qualitativo.

Sotto la lente di ingrandimento di WineMag, il suo Provincia di Pavia Igt 2015 Pinot Nero “Al Negrès”. Un bel calice elegante, segno che la strada intrapresa è quella corretta, in attesa di un Metodo Classico base Noir che faccia davvero sognare. E’ senza subbio questo il grande obiettivo di Alessio Brandolini. Ed è solo questione di tempo: siamo pronti a scommetterci.

LA DEGUSTAZIONE
Etichetta firmata dall’artista Pasciutti per il Pinot Nero “Al Negrès”. Alla vista un bel rosso tendente al granato, mediamente carico. Naso profondo e allo stesso tempo etereo: frutti di bosco, more, bei richiami d’incenso e di viola secca. Vino da aspettare nel calice, per goderne l’evoluzione.

In bocca ingresso su frutti di bosco e mora, con nota terrosa, gessosa e minerale che sottolinea bene l’appartenenza al terroir oltrepadano. La frutta, precisa e decisa in centro bocca, lascia spazio a una chiusura salina, corroborata da un accenno di tannino che conferisce al sorso una certa austerità, dopo la giocosità fruttata iniziale.

Un rosso nel complesso equilibrato, giunto a un buono stato di maturazione, ma con ampi margini di ulteriore affinamento. Perfetto per accompagnare primi con ragù e secondi a base di carne, anche di buona complessità.

LA VINIFICAZIONE
Il Pinot Nero “Al Negrès” viene prodotto sono nella annate favorevoli. Una volta pigiate, le uve vengono fatte fermentare a contatto con le bucce per circa quindici giorni. La maturazione avviene in tonneaux di rovere francese.

Dodici mesi in legno, anche per stabilizzare in maniera naturale il vino, senza l’utilizzo di chiarificanti. Prima della commercializzazione, il nettare riposa in bottiglia per un minimo di 10 mesi.

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Oltrepò pavese, beffa friulana a ProWein 2018. Bottiroli show: “Basta lamentarsi”

Vorrei ma non posso, fidarmi di te. L’Oltrepò pavese sembra da anni incastrato in un brutto sogno, dal quale stenta a risvegliarsi. Un incubo fatto di scandali finanziari e di sofisticazioni che, oggi, una nuova generazione di produttori sta cercando di mettersi alle spalle. Per conto di tutti. Anche di chi continua ad alimentare, appena possibile, la macchina del fango.

Certo è che di occasioni di rilancio, l’Oltrepò, ne ha perse a bizzeffe nella sua storia fatta non solo di Bonarda massacrato dalla Grande distribuzione, ma sopratutto di Pinot Nero, di cui è patria con 3 mila ettari di grandissima qualità.

Non a caso, molti territori affermatissimi per la spumantizzazione devono tutto (o quasi) all’Oltrepò. Zone che per decenni hanno attinto da quel grande magazzino di terra e di uva preziosa. E lo fanno tuttora.

Per capirlo basta spulciare i libri di storia. Oppure fare due chiacchiere con produttori illuminati come Fabio Marazzi di Cantina Scuropasso, l’uomo che sembra aver preso sottobraccio il nuovo Oltrepò pavese, fungendo da “guru” per giovani (di per sé in gambissima) come Alessio Brandolini, Matteo Bertè, Matteo Maggi e Luca Padroggi.

E mentre il tram chiamato La Versa inizia a muovere i primi passi fuori dalla stazione, a ProWein 2018 la scena del Pinot nero se la prendono i friulani. Mica un Consorzio strutturato come quello pavese. A Dusseldorf, alle 12.15 di martedì 21 marzo, la Rete D’Impresa Pinot Nero Fvg si è resa protagonista di “Italian Pinot Noir: the new key players“.

Sugli scudi cinque aziende delle province di Udine, Gorizia e Pordenone (Castello di Spessa, Conte d’Attimis Maniago, Masut da Rive, Russolo e Zorzettig) che “credono nel Pinot Nero come simbolo di una produzione d’eccellenza”.

Un’associazione “nata per promuovere questo vitigno che nel Friuli Venezia Giulia trova un’interpretazione nuova ed affascinante”. Anche dell’italiano, come dimostra l’immagine sopra, tratta dal sito web ufficiale della Rete d’Impresa Pinot Nero Fvg (si scrive “qual è”, senza apostrofo – ma questa è tutta un’altra storia).

E l’Oltrepò, allora? Per quanto tempo, ancora, dovrà assistere al match dalla panchina? Mentre il Consorzio di Tutela si appresta a cambiare allenatore (Michele Rossetti non si ricandiderà) abbiamo chiesto al direttore Emanuele Bottiroli un’intervista lontana dalla più sbiadita vena democristiana. In pieno stile vinialsuper, insomma.

Oggi pomeriggio, invece, il banco di degustazione “Oltrepò Pavese. Le colline del pinot nero“, organizzato dall’Associazione italiana sommelier (Ais) al Westin Palace di Milano. Per prenotare: eventi@aismilano.it o https://www.aismilano.wine/.


Direttore, quali sono le sue proposte per l’Oltrepò, primo terroir vitivinicolo di Lombardia, con 13.500 ettari di vigneti?
L’Oltrepò Pavese deve prendere in mano il proprio destino e optare per una specializzazione dei marchi aziendali. Il tesoretto rappresentato da 3 mila ettari di Pinot nero fanno di questa terra contadina, amata da Gianni Brera e Luigi Veronelli, la capitale italiana della più internazionale delle varietà: un po’ Borgogna e un po’ Champagne.

Dobbiamo concentrarci su ciò che ci rende unici. Siamo la culla del Metodo Classico italiano dal 1865 e abbiamo un vitigno internazionale che esprime sulle nostre terre al 45° Parallelo, nel mondo sinonimo di grandi vini, caratteristiche qualitative precise. Il problema è che tutti ne parlano ma pochissimi si concentrano su leve strategiche nuove.

In che senso?
Nell’ultimo decennio l’Oltrepò ha fatto passi da gigante in termini di qualità assoluta. Non lo dico io, lo dicono degustatori nazionali ed internazionali che hanno sancito come i nostri vitivinicoltori abbiano storia, qualità e assi nella manica.

Il problema, però, è che a differenza di quanto accaduto in molte altre zone italiane le imprese locali non trasformano le rispettive identità in una scelta d’impresa. Non parlo solo di Pinot nero, perché il territorio è vasto e ci sono più frecce diverse che ognuno può avere al proprio arco per caratterizzarsi, in base alla zona.

Al momento ci sono aziende piccole che producono un numero troppo vasto di referenze e tipologie, mandando in tilt la percezione di sé. Siamo partiti dai disciplinari, che abbiamo emendato e sfoltito, da una nuova tracciabilità dei vini DOC con il contrassegno di Stato, per lanciare un messaggio forte e chiaro a buyer e mondo consumatore. C’è però un passato che si deve superare anche nelle scelte aziendali, una mentalità di rinnovare.

Cosa occorrerebbe fare?
Se il tuo catalogo è una carta dei vini sterminata significa che nel percepito produci valore medio e non valore aggiunto. Evidentemente se fai troppo non emergi e comunichi una forbice di prezzi troppo ampia, nemica di un posizionamento forte del tuo marchio.

Nel marketing insegnano che l’immagine di ogni azienda viene associata all’etichetta che posiziona a scaffale al prezzo più basso. Ebbene la nostra qualità è venduta a prezzi che sono mediamente dal 20 al 30 percento al di sotto di quelli che sarebbero adeguati a parità di qualità.

Senza generalizzare, perché sarebbe sbagliatissimo, osservando varie indagini di mercato l’impressione è che si voglia vendere “tutto” e “tanto” anziché vendere “bene”, come il consumo medio pro capite di vino in Italia suggerirebbe a una zona che esporta direttamente ancora una percentuale minima della propria produzione.

Qualcuno però dirà che i conti devono pur tornare
Bisogna fare i calcoli in modo scientifico in azienda, ricordando che il fatturato non è mai la misura dello stato di salute di un’impresa, ma che al contrario risulta spesso solo un miraggio.

A volumi sanno lavorare bene le industrie, gli imbottigliatori o le cooperative, mentre invece i piccoli produttori dovrebbero usare metodi diversi per monitorare la loro performance, scegliendo i canali di vendita con cura e diversificandoli.

Bisogna puntare sulla distintività e sull’esclusività, facendo percepire le caratteristiche uniche dei nostri prodotti di punta. I “vini da cassetto” sono come i “menù di lavoro” dei ristoranti che, alla fine, si scelgono perché costano poco, non per il valore che hanno.

Nel mondo questo genere di vini saranno prodotti via via sempre più da molti paesi emergenti in ambito enologico. Per me l’Italia e l’Oltrepò devono prendere un’altra strada. Bisogna avere più bottiglie nel segmento “premium”, per poi agire con il marketing e la pubblicità per far vendere vini a valore aggiunto. Viceversa, “Oltrepò” vorrà sempre dire “terra che fa vino”. Un messaggio che dice tutto e dice niente.

Ma tra il “dire” e il “fare” c’è di mezzo il rischio d’impresa: chi se la dovrebbe sentire?
Delle due l’una: smettere di lamentarsi perché non ci si vede riconosciuto il giusto valore e andare avanti come prima, oppure cambiare essendo capaci di affermare un’identità che ciascuno può saper trovare perché qui le imprese il loro karma ce l’hanno tutte.

Spesso si pensa erroneamente all’Oltrepò come a una terra dal bel potenziale inespresso. E’ sbagliato, odioso e avvilente. Questo il mercato e i giornalisti di settore lo dicono perché le aziende non si concentrano abbastanza sul dare numeri al loro top di gamma, comunicandolo e posizionandolo in modo capillare come merita.

Un po’ di tutto andava forse bene quando il vino si vendeva da solo, negli anni ’70. Oggi le dinamiche sono molto diverse e di certo più complesse.

Che peso hanno, dunque, le “svendite” della Gdo e l’azione degli imbottigliatori?
Secondo me un produttore e un imbottigliatore hanno profili e target differenti. Per me le svendite di taluni prodotti e tipologie sono solo una conseguenza. Il problema a monte è che il territorio deve riuscire a imporsi e fare valore aggiunto con i prodotti che ai grandi poli al momento quasi non interessano.

Il Pinot nero dell’Oltrepò Pavese Doc e l’Oltrepò Pavese Metodo Classico Docg, il Cruasé o i grandi Riesling sono vini che al top di gamma richiedono scelte in vigneto, in cantina e nell’affinamento a misura di piccola impresa che voglia distinguersi.

Chi deve fare maxi volumi certi investimenti non li fa, almeno fino a quando ha la miglior materia prima a prezzi stracciati. Occorre staccare la punta della piramide qualitativa territoriale e lavorarci insieme, unendo tutti i produttori capaci e stringendo un patto per un prezzo minimo sotto il quale non scendere.

Si parte valorizzando il vino per poi pagare di più le uve, partendo da quelle selezionate e vendemmiate a regola d’arte. Non servono altre associazioni, sigle o loghi. Serve un piano sorretto dalla volontà di non cambiare idea a ogni vendemmia, condannandosi a essere serbatoio o discount del vino al litro.

Le cantine cooperative sono una virtù o un limite in questo percorso?
La cooperazione può essere una straordinaria opportunità per arrivare a produrre qualità in quantità. Il riavvio di La Versa, ad esempio, vuol dire tanto per la spumantistica Docg del territorio. Torrevilla, che guarda al Pinot nero e al Metodo Classico con crescente tensione qualitativa e apre a strategie di zonazione, è un altro fatto enormemente positivo.

Terre d’Oltrepò, che a Broni e Casteggio ridisegna il packaging e punta sul vino in bottiglia e sul creare una rete commerciale, rappresenta un passo avanti notevole. La Cantina di Canneto che scommette su progetti di rete nazionali può dare un importante contributo.

Credo che demonizzare modelli aziendali diversi dal proprio sia un errore e un darsi martellate da soli. Il futuro si progetta solo con tutti seduti a un tavolo.

E’ il Consorzio di Tutela quel tavolo?
Sarebbe troppo facile dire di sì, specie a me. Mi limito solo a osservare che bisogna superare la logica di contrapposizione e, ancora di più, le larghe intese a parole. Ci sono idee diverse, non bisogna fingere di andare d’accordo come fosse una recita.

Occorre trovare punti di sintesi, far volare gli stracci, consumare le dialettiche del caso e poi uscire forti e determinati ad andare avanti insieme. Qualcuno pensa che costruendo fortini ognuno ottenga il suo regno.

In verità la storia recente insegna che non va così, perché il profilo di un territorio è responsabilità e dovere di tutti. Divisi e in ordine sparso si coltiva solo fragilità, quella fragilità che rende schiavi. Io in Oltrepò credo servano leader di mercato, non di vallata.

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Di vini e di vignaioli Fivi: i migliori assaggi al Mercato della transizione

Con 15 mila accessi in 16 ore, il Mercato dei Vini e dei Vignaioli Fivi di Piacenza 2017 passerà alla storia come quello della “transizione”. Un passaggio dal “sogno” alla “consapevolezza” per gli oltre 500 produttori riuniti sotto la guida di Matilde Poggi.

Una realtà, Fivi, con la quale il vino italiano ha ormai l’obbligo di confrontarsi. Più che nei due giorni di “Fiera”, nei 363 giorni restanti. Sburocratizzazione, sviluppo dell’enoturismo, riscoperta e valorizzazione dei vitigni autoctoni dimenticati. Le battaglie di Fivi trovano a Piacenza (e da quest’anno, per la prima volta, anche a Roma) un teatro ideale dal quale gettare sfide concrete al Made in Italy enologico.

Non a caso, il Mercato dei Vini e dei Vignaioli Fivi 2017 è stato contraddistinto dal motto “Scarpe grosse, cervello Fivi“. Come a sottolineare l’appartenenza alla “terra” delle battaglie portate avanti da Poggi&Co. A Roma come a Bruxelles, spesso al posto di sindacati blasonati, ma attenti più agli equilibri di potere che agli interessi della “base”.

Eppure, qualche scaramuccia interna ha preceduto anche il Mercato dello scorso weekend. Gli esiti più evidenti nell’assemblea di domenica mattina, quando la maggioranza dei vignaioli ha votato per l’estromissione dalla Federazione delle Srl “partecipate” da altri gruppi.

Di fatto, come precisa la stessa Fivi, “non è stato (ancora, ndr) fatto fuori nessuno. E’ stato approvato il nuovo regolamento e ora la Federazione nazionale valuterà le situazioni caso per caso, con l’aiuto delle delegazioni regionali”. Tradotto: per belle realtà come Pievalta, c’è ancora da sperare.

VINI E VIGNAIOLI
Che qualcosa sia cambiato, lo si avverte pure dall’altra parte dei banchetti. Osservando alcuni vignaioli e raccogliendo i loro commenti. Se un “bravo ragazzo” come Patrick Uccelli di Tenuta Dornach arriva a proporre sui social: “Tra 5 anni… Mercato dei vini FiVi solo per privati. Vinitaly solo per operatori. Sogno o realtà?”, ci sarà un motivo.

“Non stavo pensando a me – precisa poi il produttore altoatesino – pensavo a come poter far convergere le diverse aspettative/necessità delle due categorie, che solitamente in queste manifestazioni si sovrappongono per sommo dispiacere di entrambe”. Nulla di più sbagliato.

L’episodio (ben più grave) vede invece protagonista Nunzio Puglisi della cantina siciliana Enò-Trio. Che alla nostra richiesta di precisazioni sulle caratteristiche del vigneto di Pinot Noir sull’Etna, risponde stizzito: “Per un’intervista prendete un appuntamento per telefono o via mail e veniteci a trovare in cantina”.

“Ma siamo di Milano!”, precisiamo noi. “Sto lavorando, non ho tempo”, la risposta del fighissimo vignaiolo Fivi che ci scansa, rivolgendo la parola a un altro astante. Una macchia indelebile sull’altissimo tasso di “simpatia” e umiltà tangibile tra i vignaioli dell’intera Federazione.

Per fortuna, oltre agli incontri-scontri con vignaioli evidentemente troppo “fighi” per essere “Fivi”, il Mercato 2017 è stato un vero e proprio concentrato di “vini fighi”. Ve li riassumiamo qui, in ordine sparso. Ognuno meritevole, a modo suo, di un posto sul podio.

I MIGLIORI ASSAGGI
1) Bianco Margherita 2015, Cantine Viola (Calabria): Guarnaccia bianca 65%, Mantonico bianco 35%. Una piccola parte di Guarnaccia, a chicco intero e maturazione leggermente avanzata, viene aggiunta in acciaio a fermentazione partita. Bingo. Nota leggermente dolce e nota iodica perfettamente bilanciate. Vino capolavoro.

2) Verdicchio dei Castelli di Jesi 2015 “San Paolo”, Pievalta (Marche): Un tipicissimo Verdicchio, che matura 13 mesi sulle fecce fini e altri 7 in bottiglia, prima della commercializzazione. Lunghissimo nel retro olfattivo. Vino gastronomico. Nel senso che fa venir fame.

3) Vigneti delle Dolomiti Igt 2015 “Maderno”, Maso Bergamini (Trentino): Bellissimo esempio di come si possa produrre un vino “serio” e tutt’altro che “scimmiottato”, con la tecnica del “Ripasso” o del “Rigoverno”, veneto o toscano. Un vino prodotto solo nelle migliori annate, facendo rifermentare le uve Lagrein (già vinificate) sulle vinacce ancora calde di Teroldego appassito su graticci per 60 giorni.

Teroldego e Lagrein affinano poi assieme per un anno, in barrique di rovere francese, prima di essere imbottigliate nell’estate successiva. Il risultato è Maderno: vino di grandissimo fascino e di spigolosa avvolgenza.

4) Erbaluce di Caluso Spumante Docg Brut 2013 “Calliope”, Cieck (Piemonte): C’è chi fa spumante per moda e chi lo fa perché, a suggerirlo, sono territorio e uvaggio allevato. Dopo Merano, premiamo la splendida realtà piemontese Cieck anche al Mercato Fivi 2017.

Tra i migliori assaggi, questa volta, lo sparkling dall’uvaggio principe della cantina: l’Erbaluce di Caluso. La tipicità del vitigno è riconoscibile anche tra i sentori regalati dai 36 mesi di affinamento sui lieviti. Uno spumante versatile nell’abbinamento, ma più che mai “vero” per quello che sa offrire nel calice.

5) Sannio Rosso Doc 2010 “Sciascì”, Capolino Perlingieri (Campania): La bella e la bestia in questo fascinoso blend prodotto da Alexia Capolino Perlingieri, donna capace di rilanciare un marchio di prestigio della Campania del vino, come cantina Volla.

“Sciascì” coniuga la struttura “ossea” dell’Aglianico e la frutta avvolgente tipica dell’autoctono Sciascinoso. Rosso rubino, bel tannino in evoluzione, frutto elegante. Due anni in botte grande e tre in bottiglia per un vino di grande prospettiva futura.

6) Pecorino Igt Colline Teatine 2016 “Maia”, Cantine Maligni (Abruzzo): Forse l’azienda che riesce a colpire di più, al Mercato dei Vini e dei Vignaioli Fivi, per la completezza dell’offerta e lo sbalorditivo rapporto qualità-prezzo (6 euro!).

Cantine Maligni – realtà che ha iniziato a imbottigliare nel 2011 e lavora 10 ettari di terreno, sotto la guida di Fabio Tomei – porta al tavolo un fenomeno su tutti: il Pecorino Maia, non filtrato.

Giallo velato con riflessi verdolini, profuma di frutta matura, mela cotogna, pera Williams. Note morbide che traggono in inganno, materializzando la possibilità di un’alcolicità elevata.

Maia si assesta invece sui 12,5% e regala un palato stupefacente, pieno, ricco, “ciccione”, con frutta e mineralità iodica perfettamente bilanciate. Un altro vino che fa venir fame del corretto abbinamento gastronomico.

7) Spumante Metodo Classico Pas Dosè 2010, Vis Amoris (Liguria): E’ il primo spumante metodo classico prodotto al 100% da uve Pigato. E la scelta pare più che azzeccata. Una “chicca” per gli amanti di vini profumati ma taglienti come il Pigato.

Coraggioso, poi, produrre un “dosaggio zero”. Segno del rispetto che Roberto Tozzi nutre nei confronti dei frutti della propria terra, che non stravolge nel nome delle leggi di un mercato che avrebbe preferito – certamente – più “zucchero” e più facilità di beva.

Intendiamoci: il Pigato Pas Dosè di Vis Amoris va comunque giù che è una bellezza. Ammalia al naso, come in Italia solo i migliori Pigato sanno fare. Per rivelare poi una bocca ampia, evoluta, di frutti a polpa gialla e mandorla. Sullo sfondo, anche una punta di idrocarburo (al naso) e un filo di sentori tipici del lievito, ben contestualizzati nel sorso.

8) Terre Siciliane Igp 2014 “Sikane”, Baronia della Pietra (Sicilia): Altra bellissima realtà fatta di passione e competenza, già incontrata da vinialsuper al Merano Wine Festival 2017. Tra i migliori assaggi del Mercato dei Vini e dei Vignaioli Fivi 2017 brilla anche il vino rosso “Sikane”, blend di Nero d’Avola e Syrah (60-40%). Dieci mesi in barrique, minimo 3 in bottiglia prima della commercializzazione.

Altro vino dall’ottimo rapporto qualità-prezzo, prodotto in zona Agrigento dalla famiglia Barbiera. Un rosso che si fa apprezzare oggi per l’eleganza: del tannino, nonché delle note fruttate pulite e nette. Una bottiglia “Made in Sicilia” da dimenticare in cantina e riscoprire tra qualche anno.

A dicembre sarà invece imbottigliato il Nero d’Avola-Merlot passito di Baronia della Pietra, in commercio a partire da marzo 2018. Bottiglie da 0,50 litri, “rotondeggianti”. Vendemmia 2015, 16-17% d’alcol in volume. Viste le premesse, si preannuncia una scommessa vinta in partenza. Ma ne parleremo nei prossimi mesi, dopo averlo testato.

9) Lappazucche, Berry And Berry (Liguria): “Pietra, fatica e passione” costituiscono il fil rouge di questa curiosa cantina di Balestrino, in provincia di Savona, condotta da Alex Beriolo. Un marketing fin troppo “spinto” sul packaging, forse, rischia di incuriosire il consumatore in maniera troppo “leggera”. Alla Berry And Berry, invece, si fa davvero sul serio. Si sperimenta e si valorizza vitigni autoctoni a bacca rossa come il Barbarossa, che rischiano di scomparire.

Lappazucche è appunto un blend, composto all’80% da Barbarossa e al 20% da Rossese, vinificati in acciaio. Le uve di Barbarossa, sulla pianta, sembrano Gewurztraminer per il loro colore rosa. Una nuance leggera, che ritroviamo anche nel calice.

Una tonalità che comunica la delicatezza del vitigno Barbarossa e del fratello Rossese, dotato di buccia poco spessa e particolarmente esposto al rischio malattie. Questo, forse, il senso di un calice che sembra parlare della fragilità della terra, in balia delle scelte dell’uomo.

Se è vero che Fivi è anche filosofia, Lappazucche potrebbe esserne il simbolo ideale. E quei richiami speziati, percettibili nel retro olfattivo e tipici del Rossese, la metafora perfetta delle battaglie ancora da intraprendere. Con coraggio.

10) Falanghina del Sannio Doc 2012 “Maior”, Fosso degli Angeli (Campania): Poche parole per descrivere un capolavoro. Un vino completo, a cui non manca davvero nulla. Neppure il prezzo, ridicolo per quello che esprime il calice. Naso tipico, giocato su richiami esotici.

Palato caldo, ricco, ampio, corrispondente, con l’aggiunta di una vena minerale che conferisce eleganza e praticità alla beva. Di Fosso degli Angeli, ottimo anche il Sannio Rosso Dop Riserva 2012 “Safinim”, ottenuto da Aglianico e Sangiovese cresciuti a 420 metri d’altezza sul livello del mare.

11) Azienda Agricola Alessio Brandolini (Lombardia): Dieci ettari ben distribuiti in due aree, suddivise con rigore scientifico per la produzione di Metodo Classico e vini rossi. L’Azienda Agricola Alessio Brandolini è una di quelle realtà tutte da scoprire in quel paradiso incastonato a Sud di Milano che è l’Oltrepò Pavese.

Alessio ci fa assaggiare in anteprima un Pas Dosè destinato a un futuro luminoso. Chiara l’impronta di un maestro come Fabio Marazzi, vero e proprio rifermento oltrepadano per tanti giovani che, come Brandolini, lavorano nell’umile promozione di una grande terra di vino, capace di sfoderare spumanti Metodo Classico degni dei più prestigiosi parterre enologici.

Di Brandolini, ottima anche la Malvasia secca “Il Bardughino” Provincia di Pavia bianco Igt: un “cru” con diverse epoche di maturazione che dimostra la grande abilità in vigna (e in cantina) di questo giovane vigneron pavese.

Da assaggiare anche il Bonarda Doc “Il Cassino” di Alessio Brandolini. Sì, il Bonarda. Quello che in pochi, in Oltrepò, sanno fare davvero bene come lui.

12) Calabria Igp 2013 “Barone Bianco”, Tenute Pacelli (Calabria): Chi è il Barone Bianco? Di certo un figuro insolito per la Calabria. Ma così “ambientato”, da sembrare proprio calabrese. Parliamo di Riesling, uno dei vitigni più affascinanti al mondo. Giallo brillante, frutta esotica matura e una mineralità che, già al naso, si pregusta prima dell’assaggio.

Al palato, perfetta corrispondenza con il naso. Un trionfo d’eleganza calabrese, per l’ennesimo vino Fivi “regalato”, in vendita a meno di 10 euro. “Barone bianco” è anche la base di uno spumante, “Zoe”, andato letteralmente a ruba a Piacenza.

Interessantissimo, di Tenute Pacelli, piccola realtà da 20 mila bottiglie che opera a Malvito, in provincia di Cosenza, anche il “taglio bordeaux-calabrese”, la super riserva 2015 “Zio Nunù”: Merlot e Cabernet da vigne di oltre 40 anni che, come per il Riesling, fanno volare la mente lontana da Cosenza. Verso Nord, oltre le Alpi.

13) Frascati Docg Superiore Riserva “Amacos”, De Sanctis (Lazio): Altro vino disorientante, altra regione italiana dalle straordinarie potenzialità, molte delle quali ancora da esprimere. Dove siamo? Questa volta nel Lazio, a 15 chilometri da Roma. Più esattamente nei pressi del lago Regillo. Per un Frascati da urlo, ottenuto dal blend tra Malvasia puntinata e Bombino bianco.

Un invitante giallo dorato colora il calice dal quale si sprigionano preziosi sentori di frutta matura. E’ l’antipasto per un palato altrettanto suadente e morbido, ma tutt’altro che banale o costruito. Anzi. I terreni di origine vulcanica su cui opera De Sanctis regalano una splendida mineralità a un Frascati fresco, aristocratico e nobile.

14) Verticale Valtellina Superiore Sassella Docg “Rocce Rosse”, Arpepe: Ve ne parleremo presto dell’esito, entrando nel merito di ogni calice, della verticale “privata” condotta a Piacenza Expo da Emanuele Pelizzatti Perego, “reggente” di quello scrigno enologico lasciato in eredità dal padre Arturo. Un vino, “Rocce Rosse”, già entrato di diritto nella storia dell’enologia italiana e mondiale. Un rosso proiettato nel futuro.

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Roberto Gatti, professione genio (o quasi): la replica a vinialsuper


Roberto Gatti esiste. Non è uno pseudonimo. Anzi. Gatti è il geniale ideatore di un portale a tema enogastronomico che frutta al suo “conduttore” campionatura gratuita di vino da parte delle cantine. Pubblichiamo integralmente la replica dell’esimio esponente del giornalismo enologico italiano, giunta alla nostra redazione in seguito all’articolo pubblicato in mattinata:

Generalmente quando trovo articoli interessanti, in alcuni casi li ripubblico sul mio portale, citando sempre la fonte. Ho interpellato le aziende interessate per avere alcune campionature e poterne scrivere gratuitamente in internet,  non dichiarando di aver preso parte alla degustazione in oggetto; dopo solo due giorni ho chiarito espressamente e chiaramente , anche al Padroggi, di non avervi preso parte. Questa mattina lo stesso Padroggi, al telefono, mi ha comunicato di avere frainteso e probabilmente di non avere letto la mia seconda email a chiarimento”.

LA STRATEGIA
Adesso vi spieghiamo perché Roberto Gatti mente di nuovo. Sapendo di mentire. Per non passare per “scroccone” o per uno che millanta partecipazioni a degustazioni in giro per l’Italia, Gatti ha pensato bene di scrivere a Padroggi una “seconda mail”. Era il giorno 26 settembre.

“In riferimento a mia precedente email – scrive Gatti a Padroggi – tengo a precisare che io non ho preso parte alla degustazione citata nell’articolo. Per questo ho chiesto alcune campionature. Cordiali saluti”.

Nel frattempo, evidentemente, i campioni erano già partiti. Il giovane produttore dell’Oltrepò Pavese, di fatto, era convinto di parlare con la redazione di vinialsuper. Gatti, però, non si è limitato a scrivere al solo Padroggi. Ha contattato anche altre cantine premiate alla cieca da vinialsupermercato.it. La mail con la richiesta di invio della campionatura (stesso testo, stesso giorno e ora di invio) è arrivata, per esempio, alla cantina di Alessio Brandolini e a Scuropasso di Fabio Marazzi.

Come nel caso di Padroggi, alla prima mail ha fatto seguito l’invio della seconda. Stesso testo: “In riferimento alla precedente email tengo a precisare che io non ho preso parte alla degustazione citata nell’articolo. Per questo ho chiesto alcune campionature. Cordiali saluti”.

Problema: Gatti scrive la seconda mail di precisazione ai vari produttori in giorni diversi. A Padroggi, come detto, martedì 26 settembre. A Brandolini giovedì 28 settembre. A Marazzi il 26 settembre. Come mai? Immaginatelo voi.

Si tratta, a nostro avviso, di una strategia pianificata ad hoc – nulla di illegale, per carità, qui si parla d’etica, mica di reati! – nella speranza di ricevere campioni da ignari produttori, attraverso l’invio della prima email.

Con la sicurezza (a posteriori) di sciacquarsi la coscienza con la seconda mail (inviata però in momenti diversi).

Lo schema è così sintetizzabile, almeno per quanto avvenuto in Oltrepò pavese.

1) Gatti gestisce un sito web che aggrega contenuti di carattere enogastronomico raccolti da altre testate
2) Copia testi e foto, senza citare la fonte con gli accorgimenti previsti dalla legge in tutela del diritto d’autore
3) I contenuti copiati generano traffico sul portale di Gatti, che utilizza i propri link per far credere, almeno in una prima fase, d’aver partecipato a degustazioni alle quali non è mai stato invitato
4) Gatti scrive ai produttori la prima mail, indicando il link al proprio portale al posto dei link originali, chiedendo di ricevere la campionatura gratuita e allegando in calce alla missiva il proprio smisurato curriculum
5) Attende qualche giorno, nella speranza che i campioni partano
6) Gatti scrive ai produttori, precisando di non aver partecipato alla degustazione in oggetto. Un genio, appunto. O quasi.

IL COINVOLGIMENTO DI AIS
Alla nostra redazione, di fatto, stanno arrivando da questa mattina decine di segnalazioni da tutta Italia. A inviarcele sono cantine contattate da Gatti. Stesso schema, da anni.

Ci scrive una nota e prestigiosa cantina veneta: “Ho letto l’articolo che avete scritto sul ‘signor’ Roberto Gatti, che chiede alle cantine vino gratis. Siccome il nome non mi era nuovo, ho fatto una ricerca fra le nostre mail e ne ho trovata una risalente al giugno 2015 (di cui ti allego immagine) in cui si spacciava appunto per tutto quello che anche tu hai descritto. Noi, all’epoca, non gli avevamo neppure risposto! Tutto questo però per farvi capire che è proprio anni che continua con lo stesso sistema indisturbato”.

Nella mail citata, Roberto Gatti, oltre a chiedere “6-8 bottiglie di Amarone, annata che sceglierai tu” per l’organizzazione (questa volta) di una degustazione a Palermo “con Ais”, presentava alla cantina un conto salato: “Rimborso spese e competenze a mio favore fissate in euro 150“.

Per di più, Gatti si offre di “presentare” il vino del produttore in questione “insieme al collega ed amico delegato Ais (di Palermo, ndr)“. “Ma se vorrai essere presente personalmente all’evento – precisa il ‘giornalista free lance’, rivolgendosi al titolare della cantina veronese – ne sarò lieto”. Roberto Gatti. Quasi genio. Di professione.

Invitiamo chiunque abbia ulteriori segnalazioni a inviarcele all’indirizzo d.bortone@vinialsupermercato.it o redazione@vinialsupermercato.it.

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Pinot Nero Oltrepò alla cieca: arrancano gli Charmat

Quarantasette campioni in gara alla degustazione alla cieca organizzata dal Consorzio di tutela vini Oltrepò Pavese per vinialsupermercato.it.

Focus assoluto sul Pinot Nero pavese, in versione Charmat e Metodo Classico. Teatro del tasting, lunedì 18 settembre, il Centro Riccagioia di Torrazza Coste, in provincia di Pavia.

In batteria non solo referenze destinate ai supermercati. Una degustazione in pieno “stile vinialsuper”. Testata impegnata ormai da un anno e mezzo in un progetto culturale che mira ad “allargare la mente” di chi acquista il vino esclusivamente in Gdo.

Sul podio dei Metodo Classico, per due volte Cantina Scuropasso di Fabio Marazzi, con Pas Dosè e Cruasè della linea “Roccapietra”. Prodotti che si confermano straordinari, a un prezzo (Horeca) facilmente rivedibile al rialzo.

Benissimo la Francesco Quaquarini di Canneto Pavese, non a caso premiata “Miglior cantina Gdo 2016” da vinialsuper: scacco matto alla concorrenza nelle categorie “Metodo Classico” e “Charmat – Martinotti”, rispettivamente con “Classese” 2009 (perché non chiamarlo “fuoriclassese”?) e Pinot Rosè Brut (Vsqprd).

Convince anche Monsupello, con il Metodo Classico Brut (90% Pinot Nero, 5% Chardonnay affinato in acciaio, 5% Chardonnay affinato in legno). Travaglino di Calvignano migliore nella sua batteria da 7 calici con il Metodo Classico Docg “Monte Ceresino” Cruasè (Rosè): menzione tra i “big”.

L’Azienda agricola Padroggi – La Piotta, con il suo “Talento” Brut Docg 2013, è l’altra sorpresa tra gli “Champagne d’Oltrepò”, assieme al bel Vsq Nature della Rossetti e Scrivani e al Cruasè 2011 di Rebollini.

Terre degli Alberi 2014 – Camillo dal Verme è il vero fuoriprogramma nel complesso della degustazione alla cieca. Bello Charmat “lungo” Brut dal colore dorato, perlage su cui si può lavorare ancora in termini di finezza della grana.

Ma naso e palato da applausi, capaci di spaziare, intensi, da note di bergamotto e zafferano a quelle di zenzero. Da bere a Capodanno, senza spendere una fortuna: 9,50 euro spesi benissimo.

Si tratta tra l’altro di un “biologico”, che fa il paio con quello de La Piotta e con i fuoriclasse di Quaquarini. L’ennesima conferma di “movimento” che sta andando nella direzione giusta, anche in Oltrepò Pavese, con prodotti di qualità sempre più riconoscibile. Anche alla cieca.

Tra le cantine più in evidenza, l’Azienda Agricola Alessio Brandolini di San Damiano Al Colle (frazione Boffalora), con ottimi punteggi per i Metodo Classico Rosè “Note d’agosto” (terzo, alla spalle di Roccapietra e Travaglino) e con “Luogo d’Agosto”, altro Metodo Classico Docg 100% Pinot Nero. Brandolini è la cantina che, con Scuropasso e Quaquarini, esce a testa alta dalla degustazione. Desaparecida – e non è la prima volta – la Conte Vistarino.

I MARTINOTTI
Se il quadro degli Champenois è a tinte chiare e definite, in un Oltrepò Pavese di cui si parla sempre troppo poco in Italia, per quanto capace di valorizzare il Pinot Nero in versione sparkling come in pochi terroir al mondo – specie se tra le mani di alcuni grandi interpreti – è sugli Charmat che il cammino sembra ancora lungo, verso le punte di qualità espresse da altre regioni del Belpaese.

Si salvano Finigeto di Montalto Pavese, con la Pinot Noir Cuvée “Extrà”. San Giorgio di Perdomini con il Pinot Nero Doc “Magnificat”. E Terre Bentivoglio di Santa Giuletta, con la Cuvée di Pinot 98 Extra Dry. Troppo poco.

Per dirla tutta, tra gli assaggi, tanti tentativi (andati storti) di scimmiottare il re dei Martinotti, il Prosecco veneto. “Zucchero” a cucchiai. E sentori di frutta matura che stancano il naso ancor prima di avvicinare il calice alla bocca.

Tratti che non giovano a un mercato che potrebbe dare tanto (di più). E fare da traino alle “bolle” oltrepadane più complesse. L’entrée mancato, insomma.

Controindicazioni di un mercato Glera-centrico che guarda al gusto esotico dell’export. E fa male, in un’Italia – e a ribadirlo è il Rapporto Coop 2017 – in cui il consumatore vuole bere bene (e sempre meglio) anche al supermercato.

Luogo per antonomasia (o forse non più?) in cui trovare spumanti di pronta beva. Facili, beverini. Da buttare giù d’estate, al posto della birra. O a casa, per accompagnare il sushi acchiappato al volo al take away dell’Esselunga.

Semplice e un po’ banale, per dirla alla Mina-Celentano, è un ritornello che stona nell’enomondo moderno. E allora il menu per un Oltrepò che merita di sfondare definitivamente nell’Olimpo del mercato del vino è servito in tavola, fumante.

Studiare meglio l’antipasto (tradotto: gli Charmat) per far leva sui “primi” e “secondi” piatti d’eccellenza (i Metodo Classico da Pinot Nero, of course) di cui è ricca la tavola dell’Oltrepò. Un grande chef non serve se la mise en place lascia a desiderare.

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