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Alcohol Duty, aumento tasse sugli alcolici in UK: al pub costano meno del supermercato

Alcohol Duty aumento tasse sugli alcolici in UK: il pub costa meno del supermercatoAumenti record delle accise sugli alcolici nel Regno Unito, con l’eccezione di spumanti e bevande low-alcohol. La misura varata dal governo guidato dal primo ministro Rishi Sunak, annunciata già a primavera, è entrata in vigore ieri, 1 agosto 2023. Gli aumenti – pari in media al 10% e da considerarsi i più consistenti degli ultimi 100 anni – interessano tutti gli alcolici prodotti o importati in UK. Attraverso l’Alcohol Duty, letteralmente imposta sull’alcol, Downing Street si pone l’obiettivo di «sostenere l’industria dell’ospitalità e riconoscere il ruolo vitale che i pub svolgono nelle comunità». E «riconoscere che i pub sono ambienti sorvegliati e meno associati ai danni dell’alcol». Di fatto, la birra alla spina non subirà aumenti. La stangata delle nuove accise non riguarda l’on-trade (pub, bar, ristoranti) ma solo l’off-trade: supermercati e negozi dediti alla vendita di alcolici.

L’aliquota non cambia per le birre con un tenore alcolico (ABV) inferiore all’8,5%, confezionate in contenitori di almeno 20 litri (i fusti). Nell’off-trade l’accisa passerà invece dal dal 5% al 9,2% per birra e sidro e dal 20% al 23% per il vino, gli altri prodotti fermentati – precedentemente vinificati – e i liquori. Una svolta che può dirsi epocale. Le aliquote dell’Alcohol Duty erano rimaste invariate in UK sino al 2020. Il 19 dicembre 2022, il governo ha prorogato l’attuale congelamento dell’Alcohol Duty di 6 mesi, dal 1° febbraio al 1° agosto 2023, «per dare certezza alle imprese». E ieri è arrivato il momento della resa dei conti.

SVOLTA EPOCALE PER LE ACCISE SUGLI ALCOLICI IN UK

Portafogli alla mano, l’accisa su tutti i prodotti alcolici inferiori al 3,5% di alcol in volume (ABV) salirà a 9,27 sterline per litro di alcol contenuto nel prodotto. L’accisa sul sidro fermo con almeno 3,5% e meno dell’8,5% in volume di £ 9,67 per litro di alcol. Il sidro frizzante con un minimo di 3,5% e un massimo di 5,5% di ABV costerà £ 9,67 per litro di alcol nel prodotto. E ancora: £ 21,01/litro sulla birra con almeno il 3,5% e meno dell’8,5%; £ 24,77/litro su su alcolici, vino e altri prodotti fermentati con un minimo di 3,5% e un massimo di 8,5% ABV; £ 24,77 sul sidro spumante con titolo alcolometrico superiore al 5,5% ma inferiore all’8,5%.

L’accisa su tutti i prodotti alcolici con un tenore di ABV non inferiore all’8,5% e non superiore al 22% sarà di £ 28,50 per litro di alcol contenuto nel prodotto. Si sale a £ 31,64/litro per tutti i prodotti alcolici che superano il 22% di ABV. I vini con un ABV compreso tra 11,5% e 14,5%, dunque una buona fetta dei vini italiani, saranno trattati come se avessero 12,5% vol, sino al 1° febbraio 2025. Ecco quindi il capitolo degli sgravi. Il nuovo Draught Relief, previsto tra le norme dell’Alcohol Duty, prevede una riduzione dell’imposta sui “prodotti alla spina qualificati”.

ALCOHOL DUTY: SGRAVI PER I PUB IN UK CON IL DRAUGHT RELIEF

L‘aliquota dell’accisa è stata ridotta su tutti i prodotti alcolici alla spina con meno di 3,5% ABV: costa 8,42 sterline per litro di alcol contenuto nel prodotto; il sidro alla spina con almeno il 3,5% ma meno dell’8,5% di ABV si assesta su 8,78 sterline. Lo stesso vale per il sidro spumante alla spina con un titolo alcolometrico minimo del 3,5% e un titolo alcolometrico massimo del 5,5%. Aliquota ridotta anche su birra, liquori, vino e altri prodotti fermentati alla spina con un titolo alcolometrico minimo del 3,5% e inferiore all’8,5%: £ 19,08 per litro di alcol contenuto nel prodotto. Si sale a £ 19,08 per litro.

Nelle stime del governo, la misura avrà un effetto diretto sull’indice dei prezzi al consumo (IPC). Nell’Economic and Fiscal Outlook (EFO) del marzo 2023, l’Office for Budget Responsibility (OBR) ha stimato una riduzione marginale del tasso di inflazione dell’IPC nel 2023-2024, che si annullerà parzialmente nel 2024 e nel 2025. «I consumatori di prodotti alcolici più forti – ammette Downing Street – pagheranno di più a causa della nuova struttura dell’accisa. Chi consuma prodotti alla spina nei locali “on-trade”, come i pub, pagherà meno tasse rispetto all’equivalente prodotto non alla spina nei locali “off-trade” (come i supermercati)».

ASPRE CRITICHE DALLA WINE AND SPIRIT TRADE ASSOCIATION

Sempre secondo il governo, si prevede che la misura avrà «un impatto trascurabile su un massimo di 10 mila imprese che producono alcolici nel Regno Unito, importano alcolici nel Regno Unito o sono coinvolte nel deposito di alcolici in regime di sospensione del dazio». Quello che il premier Rishi Sunak considera «un costo una tantum trascurabile» viene però duramente criticato dalla Wine and Spirit Trade Association che si dice «profondamente delusa dal fatto che il cancelliere abbia scelto di soffocare le imprese britanniche del Regno Unito, aumentando in modo significativo le imposte sul vino e sugli alcolici». Molto criticato, in particolare, l’approccio al vino.

«L’accisa su una bottiglia di vino fermo – calcola la WSTA – aumenta di 44 pence. Per i vini liquorosi gli aumenti saranno ancora maggiori: il Porto aumenterà di 1,30 sterline a bottiglia e una bottiglia di vodka di 76 pence. I bevitori di vino subiranno il più grande aumento singolo in quasi 50 anni». Ancor più duro Miles Beale, direttore generale della Wine and Spirit Trade Association: «La decisione del governo di punire le aziende e i consumatori di vino e alcolici con un aumento del 10% per gli alcolici e del 20% per il vino, a partire dal 1° agosto, è sconcertante. Si tratta del più grande aumento delle imposte sul vino dal 1975».

WSTA ALL’ATTACCO: «GRAVE DANNO ALLE CANTINE BRITANNICHE»

Questo bilancio contraddice direttamente ciò che il governo sostiene di voler affrontare. Alimenterà ulteriormente l’inflazione. Farà ricadere ulteriori sofferenze sui consumatori. E danneggerà le imprese britanniche, soprattutto quelle della filiera dell’ospitalità, che stanno ancora cercando di riprendersi dalla pandemia. Il doppio aumento delle tasse sul vino è un colpo particolarmente amaro per le aziende vinicole britanniche ricche di PMI. Ci si chiede, ancora una volta, che cosa abbia il governo contro chi sceglie di produrre e bere vino».

Sempre secondo i vertici della Wine and Spirit Trade Association, gli aumenti fiscali inflazionistici si aggiungeranno agli «aumenti furtivi delle tasse» per alcuni prodotti alcolici, che il governo ha inserito nel passaggio alla tassazione degli alcolici in base al titolo alcolometrico. «Dopo tutti gli sforzi per rilanciare le catene di distribuzione dell’ospitalità nel 2022 – attacca la WSTA – il governo non offre alcun aiuto nel 2023 per il commercio del vino e degli alcolici. E, in particolare, per i 33 milioni di bevitori di vino del Regno Unito che vedranno la loro bevanda preferita, e quella della nazione, colpita da un aumento nel bel mezzo di una crisi del costo della vita».

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Vino ed Health Warnings in Irlanda: così il cane si morde la coda su consumo e abuso di alcolici


EDITORIALE – Al netto delle polemiche delle ultime ore sembra incredibile, ma anche in Irlanda si ammette che l’abuso di alcol è diverso dal consumo moderato di alcolici. A dispetto delle generiche avvertenze sanitarie (gli Health Warnings) che il governo irlandese vorrebbe apporre sulle retro etichette di qualsiasi bevanda alcolica, compreso il vino, il portale istituzionale di riferimento sull’alcol in Irlanda fa una netta distinzione tra abuso e consumo.

Un dettaglio non di secondo piano, perché è proprio su questo punto che si concentra la rivolta dell’industria del vino italiano contro il «pericoloso precedente» e «l’effetto cascata» che potrebbe innescare il provvedimento di Dublino, in altri Paesi europei. Senza contare le ripercussioni sul libero scambio delle merci nell’Ue.

CONSUMO O ABUSO? DRINKS CALCULATOR SBUGIARDA LE AVVERTENZE GENERICHE

Basta collegarsi al “Drinks Calculator” del portale askaboutalcohol.ie, sito che risponde all’Health Service Executive (HSE), organizzazione che ha il compito di gestire tutti i servizi sanitari pubblici in Irlanda, sotto l’egida diretta del Ministero della Salute, per rendersi conto che il “consumo moderato di alcolici” è contemplato tra le risposte.

Ho provato ad inserire dei dati e questo è stato il risultato: «You are under the recommended weekly low-risk alcohol guidelines. Low-risk drinking reduces the risk of alcohol-related problems». Tradotto: «Sei al di sotto delle linee guida settimanali raccomandate per il consumo di alcol a basso rischio. Il consumo di alcol a basso rischio riduce il rischio di problemi legati all’alcol».

«CONSUMO DI ALCOL A BASSO RISCHIO» E «BENEFICI A LUNGO TERMINE»

A differenza delle avvertenze sanitarie che il governo irlandese vorrebbe apporre in maniera sistematica su tutte le bottiglie di alcolici, equiparandoli sostanzialmente alle sigarette, il “Drinks Calculator” ammette che esiste una correlazione tra abuso e patologia. E, dunque, una differenza tra consumo (moderato) e abuso. Ma la risposta del “Calcolatore di bevute” del portale che risponde al Ministero della Salute irlandese si spinge oltre.

Sulla base dei dati da me inseriti, ricorda che: «Bere entro le linee guida settimanali raccomandate per l’alcol a basso rischio ha benefici a lungo termine. I benefici includono la riduzione del rischio di pressione alta e ictus, depressione, ansia. Sette tipi di cancro, malattie del fegato, molte altre patologie legate all’alcol».

Una risposta che fa a pugni con gran parte delle «Health warnings» allo studio in Irlanda (potrebbero entrate in vigore entro 3 anni) e che, anzi, fa il paio coi princìpi della Dieta Mediterranea, Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità da ormai 13 anni. Eccone solo alcune: «Bere alcolici aumenta il rischio di sviluppare tumori»; «Bere alcolici causa tumori al fegato»; «C’è un collegamento diretto tra consumo di alcolici e tumori mortali». Insomma, prima di allarmare l’Europa, sarebbe bene che in Irlanda si facesse la pace. Tra burocrati e medici. Prosit.

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Vino e alcolici banditi nella lotta al cancro: produttori europei preoccupati dalle misure Ue

«L’Ue basi le proprie politiche sulla scienza e sulle prove». È l’appello dei produttori di vino europei attraverso Ceev, il Comité Européen des Entreprises Vins, in vista del voto del Parlamento europeo sul cosiddetto Beca, The Special Committee on Beating Cancer, in programma domani, 9 dicembre.

Ceev invita i membri di Bruxelles a riconsiderare una delle affermazioni contenute nel documento, secondo cui «non esiste un livello sicuro di consumo di alcol». Un principio che rischia di scatenare una reazione a catena, facendo saltare – tra l’altro – il banco degli aiuti e dei finanziamenti di Bruxelles ai settori “messi al bando”.

«Non ci sono dati scientifici a sostegno di un aumento del rischio di cancro quando il vino viene consumato con moderazione, durante i pasti, come parte della dieta mediterranea e come parte di uno stile di vita sano», controbattono i produttori di vino europei.

Il cancro – prosegue Ceev – è una malattia multifattoriale e i fattori di rischio del cancro devono essere valutati nel contesto dei modelli culturali, del bere, del mangiare e dello stile di vita. L’evidenza scientifica indica che bere vino con moderazione, con un pasto, come parte di una dieta di stile mediterraneo può contribuire a una maggiore aspettativa di vita e a una minore incidenza di malattie importanti come le malattie cardiovascolari, il diabete e il cancro».

Lotta al cancro: per l’Europa vino, sigarette e Coca Cola sono la stessa cosa

Sempre secondo i produttori europei, «l’ipotesi che non ci sia “un livello sicuro” è fuorviante e semplicistica, in quanto non considera i modelli di consumo e altri fattori dello stile di vita».

E non è solo fuorviante, «ma anche controproducente, poiché il consumo moderato di vino, in particolare come parte della dieta mediterranea e come parte di uno stile di vita sano, è associato a una maggiore longevità e alla prevenzione delle malattie».

La proposta di “nessun livello sicuro” di Beca si basa su un singolo studio. Quello del Global Burden of Diseases (Gbd) pubblicato da The Lancet nel 2018, che è stato duramente criticato dalla comunità scientifica per i suoi «difetti di analisi».

Si tratta di uno studio di modellazione basato su ipotesi, sottolinea Ceev, «che non prende in considerazione lo stile di vita, non presenta tutte le prove scientifiche esistenti e, di conseguenza, non può essere l’unica base per trarre conclusioni sul consumo di alcol e il rischio di cancro».

Vino, Alleanza Cooperative Agroalimentari: «Le misure dell’Ue preoccupano i produttori»

Il settore vinicolo europeo si impegna d’altro canto a continuare a promuovere un consumo responsabile di vino e a ridurre il consumo eccessivo e irresponsabile. Ceev sostiene il piano dell’Ue per combattere il cancro e il suo obiettivo generale di ridurre l’uso dannoso dell’alcol.

«Ma l’accento – avverte il Comité Européen des Entreprises Vins – deve essere posto sul consumo nocivo, poiché la maggior parte delle prove europee e internazionali mostra una chiara correlazione tra il consumo moderato come parte di una dieta e di uno stile di vita sani e gli esiti positivi per la salute». Qualcosa che il cosiddetto Beca sembra invece ignorare nella relazione che sarà presentata domani da Véronique Trillet-Lenoir.

Infine – evidenziano gli imprenditori vitivinicoli – chiediamo al Parlamento europeo di evitare la convenienza politica e di riconoscere che più tasse, restrizioni di marketing e avvertenze sanitarie sono cattivi sostituti delle politiche che affrontano le cause profonde del bere dannoso».

«Come europei, dovremmo essere orgogliosi della nostra cultura gastronomica, di cui il vino è una componente inestricabile. La nostra “art de vivre” – conclude Ceev – consiste nel godere di una grande varietà di cibi, compreso il vino con moderazione, se lo si desidera, in un ambiente conviviale. Promuovere questo stile di vita è di gran lunga preferibile a soluzioni normative semplicistiche e in definitiva inefficaci».

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Sudafrica, braccio di ferro senza fine tra governo e vignaioli: «In fumo 560 milioni»

La Corte suprema di Città del Capo ha rigettato poche ore fa le contestazioni mosse al governo del Sudafrica da Vinpro. I giudici erano chiamati a esprimersi in merito alle misure anti-alcol varate da Pretoria in piena emergenza Covid-19, all’inizio del 2021. Un ritorno al proibizionismo giudicato penalizzante dall’associazione che tutela gli interessi di 2.575 aziende del settore vitivinicolo.

Secondo Rico Basson, managing director di Vinpro, «l’approccio ottuso del governo, l’indisponibilità a consultarsi e la mancanza di trasparenza riguardo ai dati empirici usati nel processo decisionale, ha causato danni irreversibili all’industria del vino e del turismo sudafricana». Si stima una voragine da 560 milioni di euro.

LA DENUNCIA DI VINPRO: «SENTENZA IN RITARDO»

Ora la beffa in Tribunale. «La Corte suprema – denuncia Basson – ha ripetutamente posticipato unilateralmente le date delle udienze. E ha poi espresso il suo giudizio solo ora, ovvero dopo che le restrizioni sulle vendite di vini e liquori fossero state rimosse».

L’industria non solo ha perso più di 10 miliardi di Rand di fatturato, ma ha anche visto una significativa perdita di posti di lavoro e ha subito danni alla reputazione internazionale. L’unico modo per le imprese legate al vino di recuperare e ricostruire è la creazione di un ambiente favorevole alla crescita sostenibile. Questo include politiche governative che si basino su dati empirici approfonditi e trasparenti, implementati in modo coerente e applicati rigorosamente».

Sudafrica, divieto vendita e consumo vino: i produttori portano il Governo in Tribunale

TIMORE PER I LIVELLI OCCUPAZIONALI

Vinpro si definisce «estremamente delusa» dalla sentenza dell’Corte suprema di Città del Capo. «La nostra associazione è stata ascoltata dal 23 al 25 agosto 2021 – spiega Rico Basson – periodo nel quale il divieto di consumo di alcolici era stato solo parzialmente revocato. La corte ha quindi ritenuto irrilevanti le richieste di Vinpro, dato che i regolamenti sono da allora cambiati e ha stabilito che ogni parte deve essere responsabile delle proprie spese legali».

Nel timore che un eventuale appello venga trattato alla stessa stregua, l’associazione che tutela i produttori di vino sudafricano non è intenzionata a opporsi alla decisione del Tribunale. «Vogliamo confermare che l’industria continua a lavorare a stretto contatto con tutti i portatori di interesse del settore, per aiutare il governo a prendere decisioni consapevoli nella lotta al Covid-19, tutelando al contempo i livelli occupazionali del nostro settore e del suo indotto, compreso l’enoturismo».

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Sudafrica, divieto vendita e consumo vino: i produttori portano il Governo in Tribunale

Finisce in Tribunale la querelle che vede protagonisti i produttori di vino del Sudafrica e il governo guidato dal presidente Matamela Cyril Ramaphosa. Stremata da mesi di “proibizionismo”, o meglio dal divieto di vendita e consumo di alcolici intimato da Pretoria nell’ambito delle misure anti Covid-19, l’industria vitivinicola sudafricana ha deciso di prendere di petto la situazione. Passando alle vie legali.

È atteso per il 5 febbraio 2021 il pronunciamento dell’Alta corte di giustizia del Western Cape a cui si è rivolta Vinpro, associazione che raccoglie 2.575 produttori di vino del Sudafrica.

La non-profit di Paarl chiede «urgenti provvedimenti provvisori» che darebbero al premier del Capo Occidentale, Alan Winde, esponente di spicco dell’Alleanza Democratica sudafricana, il potere di adottare «misure ad hoc per consentire la vendita e il consumo di alcolici» in casa, ma anche nei ristoranti e nei supermercati.

Solo la prima tappa, il Western Cape, per poi procedere alla medesima richieste nei tribunali delle altre province. Gioca a favore di Vinpro il numero di nuove infezioni, casi attivi e ricoveri ospedalieri, che sta diminuendo rapidamente in tutto il Paese. In particolare proprio nel Capo Occidentale.

«In queste circostanze – sottolinea l’associazione guidata dal managing director Rico Basson – il divieto su vino e alcolici non è più giustificato nel Western Cape. Se sarà ancora in vigore entro il 5 febbraio, l’Alta Corte del Capo Occidentale dovrà a nostro avviso invalidare il divieto del ministro della Salute, Nkosazana Dlamini-Zuma, con effetto immediato».

La partita è aperta proprio sul fronte dei dati divergenti che arrivano dalle varie province. «È necessario un approccio più flessibile e agile, basato su dati empirici credibili – sottolinea Vinpro – grazie al quale l’esecutivo provinciale potrebbe fare da garante sulla vendita al dettaglio, per il resto della pandemia».

Sebbene il divieto di alcolici sia stato introdotto affinché gli ospedali abbiano la capacità di curare i pazienti, la pandemia colpisce le province in modo diverso e le capacità di reazione degli ospedali sono quindi diverse di zona in zona.

Nonostante ciò, il governo non ha mai differenziato le province nell’attuare o revocare il divieto sugli alcolici. Ha invece imposto un divieto a livello nazionale, poi lo ha nuovamente revocato e reintrodotto, senza riguardo per le circostanze nelle singole province».

Una situazione che sta mettendo a rischio centinaia di cantine e attività che operano nel settore della ristorazione e del turismo. «Oltre al divieto di vendita di vino e alcolici che interessa tutti i canali, dai ristoranti ai supermercati sudafricani – sottolinea l’importatore italiano di Vinisudafrica.it, Fabio Albani (nella foto sopra) – il Paese ha dovuto addirittura fare i conti con la chiusura delle spiagge».

«In Sudafrica l’estate sta ormai volgendo al termine – aggiunge – e la vendemmia 2021 è alle porte. Ma è come se la stagione estiva non fosse mai iniziata, con misure che hanno fortemente condizionato la vita di molte aziende operanti nel settore dell’Horeca. Molte cantine non sopravviveranno a questa crisi e dovranno chiudere».

Le misure del Governo potrebbero avere riflessi anche sull’export: «Ci aspettiamo listini al rialzo nei prossimi mesi del 2021 – preannuncia Albani – e ulteriori contraccolpi sia a livello locale che internazionale per i vini del sudafrica. Lo smart working di questi mesi ha peraltro rallentato ulteriormente la velocità di risposta e ‘reazione’ di molte aziende, in un Paese in cui la popolazione è abituata di per sé a vivere senza troppa fretta».

I numeri della crisi dell’industria del vino sudafricano, settore in grado di generare 55 miliardi di Rand all’anno in valore (2,9 miliardi di euro) parlano chiaro. Le restrizioni dettate dall’emergenza Covid-19 hanno causato una perdita di oltre 8 miliardi di Rand (oltre 435 milioni di euro) nelle vendite dirette.

A rischio, secondo Vinpro, 27 mila posti di lavoro. E con il Paese ormai pronto alla vendemmia si contano 640 milioni di litri in giacenza (la capacità produttiva del Sudafrica è pari a circa un sesto di quella dell’Italia) di cui 300 milioni non contrattualizzati.

«Ciò rappresenta un rischio non indifferente – sottolinea la non-profit – per via dell’insufficienza di spazi per la lavorazione e lo stoccaggio delle uve del nuovo raccolto, da parte di molte cantine. In pericolo c’è la sostenibilità di tutta l’industria del vino sudafricano. Anche per questa ragione i divieti a livello nazionale non possono che essere giudicati eccessivi, non necessari, ingiustificati e, in definitiva, controproducenti».

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Il Dpcm 16 gennaio mette Enoteche contro Supermercati. Vinarius: «Noi discriminati»

Enoteche contro Supermercati. Davide contro Golia. C’è malumore, tra gli enotecari italiani, in seguito alla pubblicazione del Dpcm 16 gennaio 2021. Il nuovo decreto vieta infatti la vendita d’asporto di vino e alcolici dopo le ore 18 alle enoteche, ovvero ai negozi specializzati con codici ATECO 47.25, ma non alla Grande distribuzione organizzata.

A sollevare il problema, parlando di «discriminazione» è Andrea Terraneo (nella foto sopra), Presidente di Vinarius, Associazione delle Enoteche italiane. Una protesta messa nera su bianco, con una lettera aperta indirizzata al presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

«Non comprendiamo il motivo per cui viene impedito a centinaia di enoteche sparse sul territorio nazionale di operare lasciando invece libertà di farlo alla grande distribuzione organizzata, incorrendo maggiormente nel rischio di assembramenti», scrive Terraneo.

Chiediamo pertanto la cancellazione di questa misura affinché non vengano penalizzate tutte quelle attività comprese nel divieto che stanno operando da mesi con massimo rigore e attenzione alla tutela della clientela e nel rispetto delle normative»

«Siamo certi – aggiunge Terraneo – che le ragioni da noi esposte possano portare ad un pronto accoglimento della nostra richiesta basandosi essa stessa su criteri di ragionevolezza e coerenza con lo spirito di tutela della salute pubblica e di salvaguardia delle attività commerciali che stanno a cuore a tutti quanti noi».

Il presidente di Vinarius sostiene di «comprendere il momento di forte difficoltà che sta attraversando il Paese a causa della pandemia e il complesso contesto con cui vengono prese le relative decisioni, incorrendo in possibili errori nella indicazione dei codici ATECO».

Ma a nome dell’Associazione delle Enoteche italiane chiede «un sollecito chiarimento in merito, affinché non vengano discriminati attività e operatori professionali appartenenti al settore del commercio di bevande alcoliche e analcoliche. La preoccupazione deriva dal fatto che inibire l’apertura dopo le 18 toglie all’enoteca il 30% del fatturato giornaliero in un quadro economico generale che ci vede già penalizzati».

La lettera del presidente Andrea Terraneo arriva a 9 mesi circa dal precedente sollecito inviato al ministro Putuanelli, nell’aprile 2020. Attraverso un sondaggio esteso anche alle enoteche non associate, Vinarius aveva fotografato il momento di difficoltà del settore.

I titolari delle 105 attività intervistate rimaste aperte nonostante l’emergenza Covid-19 avevano evidenziato un calo del fatturato tra il 50 e l’80%. Il 22% delle enoteche aveva deciso di rimanere chiuso, mentre il 25% di rimanere chiuso ma di effettuare consegne a domicilio.

«Il rimanente 53% – precisava sempre ad aprile 2020 Vinarius – dimostra come le enoteche siano diventate in questo momento di incertezza dei punti di riferimento per il territorio per l’offerta di beni di prima necessità come acqua, pasta ed altri generi alimentari»

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Sudafrica, governo Ramaphosa allenta misure contro consumo di vino e alcolici

L’industria del vino sudafricano è “sollevata” e “accoglie con favore” la decisione del governo di revocare le restrizioni sull’orario della vendita di vino e alcolici, nonché i viaggi internazionali con effetto da oggi.

Il presidente Ramaphosa ha annunciato nel suo discorso nazionale dell’11 novembre 2020 che lo “Stato di catastrofe” sarebbe stato prorogato fino al 15 dicembre 2020. Il Paese è ancora al livello di allerta 1, con un ulteriore allentamento di alcune restrizioni.

Ciò significa che il commercio e la distribuzione di vino e alcolici per il consumo fuori sede vengono “ripristinati al normale orario di negoziazione, che include il commercio il sabato e la domenica”. I locali a consumo continueranno ad essere limitati dal coprifuoco dalle 24 alle 04. Secondo le stime, i divieti imposti con il lockdown atto a contenere Coronavirus sarebbero costati 340 milioni di euro al settore.

“Accogliamo con favore il fatto che sia ora consentita la vendita al consumo che quella fuori consumo – afferma il managing director di Vinpro, Rico Basson – le vendite dirette delle cantine costituiscono una parte importante delle entrate delle 533 cantine sudafricane e la ripresa del normale commercio è vitale”.

Questi due sviluppi positivi – continua – sono stati il ​​risultato di un dialogo costruttivo in corso tra industria, governo e società civile, nonché il coinvolgimento dell’industria in un patto sociale con questi partner per affrontare e avviare interventi mirati volti a promuovere il consumo responsabile e frenare gli effetti dannosi del l’abuso di alcol in tutto il nostro paese”.

L’eliminazione delle restrizioni sulle vendite e sui viaggi è un passo cruciale per la ricostruzione dei bilanci delle aziende vinicole e di tutte le attività legate all’enoturismo, nonché dell’economia delle destinazioni turistiche del Sudafrica.

“Sebbene siamo lieti dell’abolizione di queste restrizioni – ammonisce tuttavia il direttore di Vinpro Rico Basson – facciamo appello urgentemente a ogni individuo e azienda del nostro settore a non abbassare la guardia. Abbiamo la responsabilità di garantire che chiunque sia al sicuro, aderendo a tutti i protocolli di sicurezza e promuovendo e praticando una produzione, un commercio, una promozione e un consumo sicuri e responsabili”.

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Vini al supermercato

Covid-19 Lombardia, corsie vino chiuse al supermercato: cantine e Consorzi in rivolta

Ha scatenato un turbinio di polemiche l’ordinanza di Regione Lombardia che vieta la vendita di alcolici dalle ore 18. Il provvedimento “anti movida”, varato per arginare Covid-19, comporta tra l’altro la chiusura delle corsie di vino, birra e bevande alcoliche al supermercato. Da giovedì 22 ottobre sarà inoltre coprifuoco per le strade, dalle ore 23.

Duri gli attacchi della clientela, che giudica “proibizionista” la misura del governatore della Lombardia, Attilio Fontana. In molti si riallacciano alle parole di Giorgia Meloni, che ha giudicato il Dpcm del Governo “più utile a combattere la cirrosi epatica che il Coronavirus”.

Non a caso, l’articolo pubblicato da Vinialsupermercato.it e rilanciato anche da altre testate nazionali (con foto rubate alla nostra redazione, come nel caso de Il Fatto Quotidiano), ha fatto il giro del web e scatenato anche l’ira di numerosi produttori di vino. Dal Nord al Sud Italia.

Dalla provincia di Pavia l’attacco di Torrevilla: “Ho indirizzato una mail all’assessore Rolfi – annuncia a Vinialsuper il presidente della cantina oltrepadana, Massimo Barbieri (nella foto, a destra) – mi auguro sia abbastanza chiara per spiegare tutto il mio disappunto per la chiusura delle corsie del vino al supermercato, dalle ore 18″.

“È un provvedimento assurdo: non ritengo che le persone che escono dal lavoro dopo le 6 del pomeriggio e intendano acquistare una bottiglia di vino siano le stesse che, in serata, facciano della movida sconsiderata. I ragazzi, tra l’altro, sono liberi di accedere ai supermercati anche di giorno: il provvedimento, in questo senso, penalizza il consumo famigliare“.

“Quella del governatore Fontana – attacca Barbieri – è un’ordinanza veramente pesante, difficile da capire. Le cantine, già penalizzate dalle perdite nel canale Horeca, nei 3 mesi di lockdown, lavorano ancora oggi al 50% del potenziale. Aggiungere anche questa ulteriore penalizzazione per le aziende di produzione e commercializzazione è una cosa veramente pesantissima”.

“Mi chiedo se chi scrive queste ordinanze abbia un minimo collegamento con la realtà: ho dei seri dubbi. Tra l’altro, da febbraio 2020, quindi con i primi casi di Covid-19, Torrevilla non ha avuto alcun piacere di avere un colloquio a livello istituzionale con chi ci amministra in Regione Lombardia: sono molto deluso“, conclude il presidente di Torrevilla.

Stesso disappunto espresso anche da Andrea Giorgi, presidente del gruppo Terre d’Oltrepò e La Versa, “Ancora una volta siamo stati colpiti da un’ordinanza che mette a dura prova il nostro lavoro. Da noi, in cantina, viene l’appassionato e il winelovers, non certo il giovane che intende fare assembramento. Siamo costretti a subire una chiusura anticipata quotidiana che ci penalizza in un momento così complicato per la vendita del vino. Avanzerò con una lettera le mie perplessità alla Regione:”

Duro anche il commento che arriva dalla Puglia, da una delle cantine più attive nella Grande distribuzione: “L’ordinanza regionale che impone lo stop alla vendita di vino e prodotti alcolici dopo le ore 18 al supermercato – sottolinea Luca Buratti, direttore vendite Italia Gdo di Notte Rossa – appare l’ennesima dimostrazione di come la politica non abbia nessuna competenza su ciò che fa“.

“Le motivazioni di tale decisione sono avvolte nelle nebbie lombarde, che in questo periodo sono tornate a farsi vedere, ma cercando di usare il buon senso, anche se qui sembra totalmente smarrito, si potrebbero ipotizzare due motivazioni alla base della decisione”.

Continua Buratti: “La prima, che sembra simile a quanto fatto per il non food durante il lockdown, potrebbe essere una sorta di “non concorrenza obbligata” della Gdo verso l’Horeca“.

“Se quest’ultima non può vendere alcolici, allora anche la Gdo non lo deve fare. Balza agli occhi di tutti che è sufficiente fare la spesa alle 17 e portarsi a casa tutto quello che serve”.

“Peraltro – aggiunge il direttore vendite di Notte Rossa (nella foto, sotto) – in questo periodo un po’ di alcol potrebbe alleviare lo stress. Ma allora non dovrebbero nemmeno vendere beni alimentari, visto che il divieto per i cittadini vale per ‘consumazione di alimenti e bevande su aree pubbliche’. Per altro confermato anche dall’obbligo di chiusura dei distributori di alimenti e bevande“.

“La seconda, non meno strampalata, potrebbe derivare dall’idea che se l’Horeca non può vendere alcolici dopo le 18 per evitare assembramenti esterni ai locali, allora la gente potrebbe andare al supermercato ad acquistare il famigerato prodotto, causa di raduni oceanici e feste pro Covid-19″, continua Buratti.

“Il mio buon senso non mi fa ipotizzare null’altro. Dando però spazio alla fantasia (fantascienza) potrei spingermi a pensare che non sapendo che cavolo fare e non avendo la minima idea delle dinamiche dei consumi, abbiano scelto questa strada tirando a casaccio i dadi o estraendo a sorte un provvedimento qualsiasi con lo scopo di far vedere che sono capaci di decidere e di fare”

L’attacco di Notte Rossa all’ordinanza di Regione Lombardia prosegue su toni molto accesi: “Questa situazione, dove ogni governatore fa quello che vuole, spesso random e senza logica, deriva dal fatto che il governo centrale non è assolutamente capace di fornire linee guida precise ed esatte, obbligando le regioni a seguirle con diligenza assoluta”.

Fa eco Paolo d’Adamo, neo responsabile vendite Gdo di Cantine Settesoli, realtà di Menfi, in Sicilia: “Penso e credo sia ancora presto per vedere effettivamente dei riscontri del provvedimento sulle vendite, che temo saranno negativi. Avremo un effetto, seppur limitato, sulle vendite in Gdo. Non ci aiuta, peraltro, sul fronte dell’Horeca, l’ulteriore decisione di Regione Lombardia relativa al coprifuoco dalle ore 23″.

Tra le critiche, anche quella del Consorzio Vino Chianti: “Vietare dalle 18 la vendita del vino nei supermercati, nelle enoteche, in tutti gli esercizi commerciali e artigianali, è una follia, un attacco al buon senso, un provvedimento incomprensibile”, commenta il presidente Giovanni Busi.

“Si vuole attaccare e criminalizzare il vino – continua – come fosse la causa degli assembramenti. La cosa incredibile, e che ci stupiamo non venga colta è che ad essere penalizzate sono soprattutto le persone che dopo il lavoro fanno la spesa e magari per cena comprano una bottiglia di vino”.

“Di solito i giovani, a cui crediamo sia rivolta questa misura, hanno più tempo libero: il vino possono comprarlo anche prima delle 18 e poi berlo fuori, per strada. Non è difficile da comprendere, ma di cosa stiamo parlando?”, chiede il presidente del Consorzio Vino Chianti, in rappresentanza dei produttori toscani. Tra questi anche Mario Piccini, che ha indirizzato una lettera ad Attilio Fontana.

La preoccupazione per le ripercussioni di questa misura sono tante. “Attaccare il settore nel canale della grande distribuzione, l’unico che ha retto e ha garantito nel corso della pandemia la sopravvivenza di molte aziende, significa non comprendere la gravità della crisi che sta mettendo in difficoltà imprese e lavoratori. La Regione Lombardia ci ripensi”, conclude il presidente del Consorzio Vino Chianti.

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Vini al supermercato

Lombardia, Covid-19: chiusa la corsia di vino, birra e alcolici al supermercato

Bianco e rosso. Non il colore del vino ma quello del nastro segnaletico che dalle ore 18 di oggi, 17 ottobre 2020, limita l’accesso alle corsie di vino, birra e alcolici dei supermercati, in Lombardia. È entrato in vigore da poche ore uno dei provvedimenti dell’ordinanza regionale n. 620 per contrastare la diffusione del Covid-19 e scongiurare la possibilità di un nuovo lockdown. Un colpo durissimo, che le attività produttive non potrebbero sopportare.

Almeno dal 17 ottobre al 6 novembre è quindi stretta su ristoranti, pub, bar, enoteche, pasticcerie, chioschi, ambulanti e anche supermercati. Tutte attività “vittime” delle norme anti movida, che prevedono tra le altre limitazioni il divieto di vendita di qualsiasi bevanda alcolica dopo le 18. Resta consentita la ristorazione con consegna a domicilio.

La somministrazione di bevande su area pubblica e privata sarà possibile solo fino alle 24 e dalle 18 esclusivamente con consumo al tavolo. Chiusi anche i distributori di alimenti confezionati e bevande dalle 18 alle 6 del mattino, se con accesso dalla strada.

In Lombardia è vietata nella stessa fascia oraria la consumazione di alimenti e bevande su aree pubbliche e resta sempre valido il divieto di consumo di alcolici di qualsiasi gradazione nelle aree pubbliche, compresi parchi, giardini e ville aperte al pubblico.

Il bilancio dei nuovi positivi registrati nella giornata odierna si assesta su 2664 persone, pari al 9,1% dei tamponi effettuati (29.053). La provincia di Milano è quella più colpita, con oltre la metà dei casi (+1.388).

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Esteri - News & Wine

Covid-19, Sudafrica: industria del vino sul piede di guerra per divieto vendita alcolici

Continua il braccio di ferro tra l’industria del vino e il governo del Sudafrica. Per limitare l’abuso e il consumo di alcol, considerato d’ostacolo alle cure contro Covid-19, il presidente Cyril Ramaphosa ha introdotto alla fine di marzo 2020 il divieto di vendita di bevande alcoliche in tutto il Paese. Nel mirino anche la vendemmia 2020 e le esportazioni, poi riattivate da Pretoria su pressione delle associazioni di categoria.

“L’industria del vino sudafricana, incluso il turismo del vino, è in uno stato di disastro – denuncia Rico Basson (nella foto, sotto) amministratore delegato dell’ente dell’industria vinicola Vinpro – è necessario un intervento urgente, altrimenti una delle industrie agricole più antiche del paese non sopravviverà”.

Molte aziende vinicole hanno già chiuso a causa delle restrizioni commerciali precedenti e attuali, e il resto del settore semplicemente non sopravviverà al prolungarsi del divieto di alcol, lasciando decine di migliaia di dipendenti senza alcun reddito, possibilità o speranza”.

L’industria del vino sudafricano è favore “a riaprire il commercio interno e la distribuzione con tutte le norme di salute e sicurezza necessarie, concentrandosi sul cambiamento dei comportamenti in merito alla produzione, promozione, commercio e consumo responsabili”.

Una posizione che trova d’accordo, a livello istituzionale, il governo del Western Cape, il Capo Occidentale del Sudafrica, che ha chiesto “la riapertura sicura di tutte le attività commerciali e la vendita interna di alcolici, insieme a interventi mirati”.

Il premier locale, Alan Winde, è convinto che questa sia una soluzione ottimale: “Fintanto che il Western Cape può garantire l’accesso alle strutture sanitarie per tutti i pazienti con Covid-19, il divieto temporaneo di vendita di alcol dovrebbe essere revocato immediatamente, in concomitanza con l’implementazione di interventi intelligenti per frenare gli impatti negativi dell’alcol nel medio-lungo termine”.

Vinpro prosegue dunque le trattative con il governo centrale avviate sin da marzo 2020: in discussione, all’inizio del lockdown, erano state messe anche le operazioni legate alla vendemmia, ormai alle porte.

“Da quando è stato annunciato lo stato di crisi e l’intero Paese è stato completamente bloccato – sottolinea ancora Rico Basson di Vinpro – abbiamo negoziato con il governo per consentire all’industria del vino di completare la vendemmia 2020 e quindi di consentire le esportazioni e il commercio interno”.

Comprendiamo la gravità della situazione allora e adesso e abbiamo sostenuto e ancora sosteniamo gli sforzi del governo per salvare vite umane. Ci impegniamo al contempo a garantire che l’industria del vino aderisca a tutte le normative, con le informazioni e i protocolli di sicurezza necessari”.

“Salvare vite umane, tuttavia – continua Basson – deve essere in attento equilibrio con il salvataggio dei mezzi di sussistenza delle persone. Il vino è un prodotto agricolo, è stagionale, il che significa che le viti non aspettano che vengano tolte le restrizioni commerciali prima di produrre uva”.

In Sudafrica risultano quasi 300 milioni di litri di vino in eccedenza, in giacenza della cantina. “Molti potrebbero non avere spazio per il nuovo raccolto. La situazione è disastrosa”, denuncia Basson.

“Anche per questo motivo Vinpro, insieme al resto della filiera – annuncia l’ad dell’associazione di categoria sudafricana – ha lavorato per stabilire un nuovo patto sociale che perfezioni soluzioni a breve, medio e lungo termine e interventi mirati alle sfide sociali legate all’abuso di alcol e al suo impatto nel settore sanitario”.

“In qualità di custodi dell’industria vinicola sudafricana, ci sforziamo di garantire il futuro della nostra industria per le generazioni a venire. Scegliamo quindi di lavorare con il governo su soluzioni che stabilizzeranno il settore in questo momento, lo ricostruiranno a medio termine e faranno crescere il settore a lungo termine”.

L’industria del vino del Paese africano ha richiesto e analizzato i dati empirici su cui è stata formulata la decisione di divieto di vendita del vino e delle altre bevande alcoliche.

Vinpro ha proposto e accettato una serie di condizioni che sarebbero servite come prerequisiti per revocare il divieto, inclusi impegni su progetti di sostegno del sistema sanitario, azioni di marketing e promozione sulle conseguenze dell’abuso di alcol, nonché la creazione di un “pool” che sorvegli sull’attuazione delle norme a breve, medio e lungo termine.

“Un patto sociale è un accordo tra varie parti, non una decisione unilaterale. È un dare e avere. Al momento siamo frustrati dalla mancanza di impegno da parte del governo sui prossimi passi d’azione”, denuncia Rico Basson.

Nuove decisioni del governo sono attese dal 15 agosto, una data che potrebbe rivelarsi decisiva per le sorti future dell’industria del vino del Sudafrica. Secondo stime di Vinpro, il divieto iniziale di nove settimane sulle vendite locali e il divieto di cinque settimane sulle esportazioni comporteranno il fallimento di oltre 80 aziende vinicole e 350 produttori di uva da vino.

Una tragedia che si ripercuote sull’occupazione, con la potenziale perdita di oltre 21 mila posti di lavoro in tutta la filiera. Cifre che potrebbero salire drasticamente nei prossimi 18 mesi, qualora il divieto di consumo di vino e bevande alcoliche non fosse eliminato in Sudafrica.

Come sottolinea il presidente di Vinpro, Anton Smuts, l’industria del vino sudafricano è dominata da piccole imprese – il 40% degli agricoltori produce meno di 100 tonnellate di uva e un ulteriore 36% meno di 500 tonnellate – di cui la maggioranza “non dispone di finanziamenti temporanei sufficienti per ovviare alle mancate vendite e all’attuale siccità finanziaria”.

“La viticoltura – continua Smuts – è una delle industrie agricole più antiche del Sudafrica, le nostre uve sono coltivate da 2873 agricoltori e dai loro 40 mila dipendenti e i nostri vini sono prodotti da enologi esperti e dai loro assistenti nelle nostre 533 cantine, con molti più fornitori di input e fornitori di servizi nel la catena del valore dipende dalla riapertura del mercato”.

Per ogni posto di lavoro in un’azienda agricola, vengono creati altri 10 posti di lavoro nel resto della catena del valore. Siamo stufi della situazione. Il divieto è servito allo scopo e dovrebbe essere revocato immediatamente”. 

L’ad Basson ricorda inoltre che “l’industria del vino comprende che la situazione attuale rimane estremamente complessa, ma a causa del calo del tasso di contagi nel Western Cape e in altre province, l’aumento della capacità negli ospedali e le proposte concordate, non c’è assolutamente alcun motivo per mantenere l’attuale divieto di vendita di vino in atto”.

Quando è troppo è troppo – conclude – anche perché, pensandoci razionalmente, il divieto non ha più senso. Abbiamo fatto del nostro meglio per salvare vite umane. Ora è giunto il momento di salvare i mezzi di sussistenza delle persone che lavorano e dipendono dall’industria del vino sudafricana”.

 

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Follia in Sudafrica: da 7 settimane vietato consumo, produzione ed export di vino

Tra le misure del lockdown pensate per arginare Coronavirus, il governo del Sudafrica ha inserito il divieto di consumo, produzione ed export di vino. L’industria vitivinicola del Paese africano, già provata dal blocco della vendemmia revocato nel giro di 48 ore, è messa in ginocchio da un provvedimento che dura ormai da 7 settimane. Dovevano essere tre, stando ai primi proclami di Pretoria.

Secondo le stime dell’organizzazione locale Vinpro, un numero compreso tra 60 e 80 cantine – per la maggior parte a conduzione famigliare – rischiano la chiusura. Quattordicimila le persone che potrebbero perdere il lavoro. Una follia “proibizionista” che coinvolge grandi e piccole aziende del Sudafrica, Paese che esporta annualmente il 50% del vino prodotto.

Le misure del governo alimentano peraltro il contrabbando di alcolici in Sudafrica. E il blocco dell’export, oltre a costituire un unicum tra le misure messe in campo per contrastare Coronavirus a livello internazionale, fa perdere ai produttori gli spazi sugli scaffali delle distribuzioni internazionali, in favore di altri Paesi. Difficoltà che si riverberano anche sugli importatori italiani.

È il caso di Fabio Albani (nella foto) che dal quartier generale di Muggiò, a pochi chilometri da Milano, vende ogni anno in Italia circa 75 mila bottiglie di vino sudafricano. Una passione, quella per il Sudafrica, nata da una semplice vacanza, nel 2003. Afri Wines e l’e-commerce ViniSudafrica.it vengono fondati 6 anni più tardi, nel 2009.

Trenta aziende a catalogo, per un totale di oltre 200 etichette, destinate principalmente all’Horeca. “Le misure messe in atto dal Governo in Sudafrica – commenta Albani a WineMag.it – segnano non poco anche il nostro business e ci fanno rimanere con gli occhi aperti, aspettando che la situazione migliori”.

Se il blocco totale delle attività lavorative, in una fase cruciale per la vendemmia in Sudafrica come il mese di marzo, si è protratto solo per 2 giorni, dura invece da 7 settimane il divieto per le aziende di imbottigliare ed esportare le nuove annate, proprio quando sarebbe stata ora di presentarle.

Tutto è legato al fatto che l’ente certificatore dei vini del Sudafrica, Sawis, è chiuso e dunque i vini non possono essere sottoposti ai controlli previsti dalle normative internazionali in materia di origine, salubrità e analisi organolettica”.

 

La situazione, per Fabio Albani, è surreale. “Stiamo cercando di capire quanta merce è disponibile – spiega l’importatore a WineMag.it – per chiudere l’ordine di un container. Le vendite perdute ammontano a circa 5-6 mila bottiglie. Alla situazione in Sudafrica si è infatti aggiunta quella in Italia, con un ordine rimasto bloccato un mese al porto di Genova per carenza di personale deputato ai controlli, dirottato su altri tipologie di merce”.

Nel mese di aprile, Albani ha registrato gli stessi volumi degli anni scorsi. “Il fatto di esserci strutturati sin dagli albori con un e-commerce – spiega l’importatore – ci sta aiutando non poco, nonostante l’Horeca sia ferma. Stiamo anzi assistendo a un exploit in termini di valore, data la marginalità superiore che ha l’online”.

Il timore è che il Governo di Pretoria non faccia presto marcia indietro. “L’autunno in Sudafrica è ormai arrivato – conclude Fabio Albani – e secondo i virologi il freddo favorisce la proliferazione di Coronavirus. La curva dei contagi, di fatto, si sta pericolosamente alzando”. Meglio affrettarsi, dunque, per assaggiare un vino sudafricano.

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Covid-19: il Sudafrica vieta la produzione di vino e alcolici, in piena vendemmia

In Sudafrica produrre e vendere vino e alcolici è proibito per le prossime tre settimane. Si tratta di una delle misure del Disaster Management Act, il pacchetto di iniziative del governo sudafricano per contenere l’emergenza Covid-19. Un vero colpo per l’industria vitivinicola del Paese, nel pieno della vendemmia 2020.

Secondo i dati più aggiornati del Center for Systems Science and Engineering (CSSE) at Johns Hopkinsriferiti, in Sudafrica i casi di persone affette da Coronavirus sono 927 (dato delle ore 22.30 del 26/03/2020). Tra questi si contano 12 infetti ricoverati in ospedale. Ancora a zero la conta delle vittime. A confermare il report è lo stesso ministro sudafricano Zweli Mkhize, in una nota ufficiale da Pretoria.

Forse anche per questo sembra dura la misura comunicata dal ministro dell’Agricoltura Nkosazana Dlamini Zuma (nella foto sopra, a sinistra) in vigore dalla mezzanotte del 26 marzo fino al 16 di aprile. La produzione e commercializzazione di alcolici non rientra nella lista delle attività connesse ai beni di prima necessità. Tradotto: interruttori abbassati in vigna e in cantina. Per decreto“.

Critico contro il provvedimento H.J. Basson, managing director di Vinpro, la no-profit che coordina 2.500 aziende del settore vitivinicolo in Sudafrica. “Il Governo – dichiara – ha confermato le peggiori notizie possibili per l’industria vinicola sudafricana. Siamo estremamente delusi dalle normative, dal momento che il documento finale contraddice l’impegno verbale dei dipartimenti nazionali”.

“In sintesi – spiega Basson – solo i prodotti alimentari, incluse le bevande analcoliche, sono elencati come prodotti essenziali, con l’intento di vietare qualsiasi commercio e produzione di prodotti alcolici per i prossimi 21 giorni. L’unico servizio che può continuare è la produzione di alcol per uso industriale”.

Di fatto, alcune aziende del settore della distillazione in Sudafrica si sono convertite alla produzione di alcoli per igienizzanti. Una proposta simile a quella fatta ieri, in Italia, dall’Alleanza delle Cooperative Agroalimentari e AssoDistil, alla ministra Teresa Bellanova.

Sempre secondo l’amministratore delegato di Vinpro, il Governo sudafricano avrebbe agito “senza entrare nel merito”. “Pur essendo chiaro che la potenziale minaccia di Covid-19 abbia superato le priorità economiche – sottolinea Basson – l’industria vitivincola potrebbe andare incontro a implicazioni catastrofiche, dal punto di vista economico e socio-economico, dettate dal blocco alla produzione”.

Vinpro chiede dunque al ministro dell’Agricoltura Nkosazana Dlamini Zuma l’autorizzazione a “completare le attività di raccolta nelle prossime due settimane e garantire lo stock” e si dice pronta a “disobbedire alle normative vigenti, che vietano l’esportazione di vino”. “Questo è un aspetto estremamente importante per la sostenibilità economica e la stabilità socio-economica attuale e futura”, precisa l’ad H.J. Basson.

Più morbida la posizione del management della South Africa Wine Industry Information and System (Sawis), che ha preso atto – pare, senza polemiche – delle misure del governo in merito all’emergenza Covid-19. Saranno condotte “solo le attività dell’agenzia che potranno essere svolte da casa”, in supporto ai produttori.

Aggiornamento del 27/03/2020
Covid-19 in Sudafrica, il governo ripensa al “lockdown”: la vendemmia può proseguire

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