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Marchisio da Vitevis a Cadis: all’orizzonte un maxi gruppo Soave-Bardolino-Valpolicella?

Alberto Marchisio da Vitevis a Cadis: nasce un maxi gruppo Soave-Bardolino-Valpolicella?
La notizia era nell’aria da almeno un mese ed oggi è realtà: Alberto Marchisio lascia Vitevis per Cadis 1898 dove, a partire da maggio, sarà il nuovo direttore generale. L’enologo piemontese, originario di Alba, prende il posto di Wolfgang Raifer, con cui Cadis ha «interrotto il rapporto» nel mese di marzo in maniera inaspettata, tanto da portare molti a parlare di un vero e proprio «defenestramento». All’orizzonte ecco dunque profilarsi la possibile creazione di un maxi gruppo, in grado di stravolgere gli equilibri di mercato del triangolo compreso tra Soave, Bardolino e la Valpolicella. Non si parla al momento di una vera e propria fusione tra Cadis 1898 e il Gruppo Vitevis. Ma le due cantine, che insieme produrrebbero circa 52 milioni di bottiglie controllando 9.200 ettari, inizieranno un percorso comune sotto la guida manageriale di Alberto Marchisio.

Il consiglio di amministrazione di Cadis 1898 non ha solo trovato l’accordo con il manager per la direzione generale ma anche stabilito che possa mantenere «un rapporto di consulenza con Cantine Vitevis, l’azienda di provenienza». Il Cda di Vitevis, inoltre, «con la prospettiva di dare continuità al percorso intrapreso da Marchisio, distribuirà deleghe ai responsabili di diversi settori presenti all’interno della cantina, in una logica di valorizzare delle competenze acquisite e delle risorse interne», si legge in una nota diffusa ieri dallo staff di Marchisio.

CANTINA DI SOAVE E VITEVIS: NASCE UN NUOVO COLOSSO DEL VINO ITALIANO?

L’eventuale formalizzazione della nascita di un gruppo che riunisca sotto a un unico “cappello” i due giganti del vino del Veneto, porterebbe alla leadership assoluta del Soave, nonché della denominazione spumantistica del Lessini Durello. Non solo: esclusa la Valpolicella Classica, il colosso controllerebbe gran parte della produzione della Valpolicella, oltre ad avere la maggioranza quasi assoluta di Custoza e un’ampia fetta dell’areale di Bardolino e del Bardolino Chiaretto (interessato da una vera e propria rivoluzione che ha portato al sorprendente allontanamento di Franco Cristoforetti dal Consorzio, con la presidenza affidata lo scorso anno a Fabio Dei Micheli). L’eventuale influenza sul territorio potrebbe essere paragonabile a quella esercitata da Cavit, in Trentino, riferita però alle maggiori Doc della provincia di Verona.

“Fantavino” o qualcosa di più? Marchisio e Cadis, al momento, non si sbilanciano: «Dopo l’interruzione del rapporto di lavoro con l’ex direttore generale Wolfgang Raifer, avvenuta lo scorso marzo – sottolinea Roberto Soriolo, presidente di Cantina di Soave – il Cda ha maturato la convinzione che la figura di Alberto Marchisio fosse quella più idonea a guidare la nostra realtà. In lui abbiamo riscontrato eccellenti capacità comunicative nel dialogo e nell’ascolto delle persone, abilità nell’individuare strategie commerciali efficienti, nonché doti organizzative, di visione ed enologiche. Questi principi e valori sono le fondamenta su cui intendiamo costruire un solido futuro per Cadis 1898. Lo accogliamo fiduciosi nella nostra grande famiglia e gli auguriamo un avvenire ricco di successi».

LA CRESCITA DI VITEVIS CON ALBERTO MARCHISIO

Marchisio dal 2012 ricopre la carica di direttore generale di cantina Colli Vicentini, oggi Cantine Vitevis, realtà giuridica nata nel 2015 dalla fusione di tre cooperative vicentine (Colli Vicentini di Montecchio Maggiore, Cantina di Gambellara e Cantina di Malo) e a seguire con l’acquisizione di Cantina di Castelnuovo del Garda in provincia di Verona nel 2019. «Un importante percorso di consolidamento sviluppato e diretto personalmente», si legge nella nota stampa con la quale viene ufficializzato il nuovo incarico in Cadis.

«Devo molto a Cantine Vitevis – commenta Alberto Marchisio – per l’esperienza maturata sia dal punto di vista manageriale che umano. Il mio ruolo all’interno della cooperativa è stato quello di individuare una nuova strategia per le realtà vinicole che la componevano, valorizzando le singole cantine, ciascuna per la propria identità e peculiarità senza cancellarne la storia, per organizzare una realtà innovativa e credibile sul mercato attraverso prodotti di qualità rappresentativi del territorio. A mio avviso, il ruolo di un direttore generale è quello di lavorare in una prospettiva di medio lungo periodo, come è avvenuto in Vitevis, tracciando un percorso ben preciso che può proseguire anche assumendo un nuovo incarico».

MARCHISIO A SOAVE: VITEVIS SI RIORGANIZZA

La posizione in Cadis1898 rappresenta per il nuovo direttore generale «una sfida stimolante in una delle più significative realtà del panorama vinicolo nazionale; il confronto costruttivo con il territorio e il dialogo con le persone che lo rappresentano saranno fondamentali, così come il coinvolgimento dei collaboratori e il lavoro di squadra quotidiano», commenta Alberto Marchisio. A continuare il progetto manageriale avviato da Marchisio, in Vitevis ci saranno figure già presenti in azienda a partire dal direttore Guido Allione, che dallo scorso agosto si occupa di ottimizzare i processi produttivi, dell’organizzazione interna e del personale.

Ad affiancarlo per il mercato estero saranno Valeria Quagiotto che, oltre alla vendita si occuperà del coordinamento dei brand aziendali e Roberto Sembenini che si dedicherà anche ai marchi privati. Per il mercato domestico sarà Stefano Argenton a promuovere la vendita del prodotto confezionato, mentre Stefano Lovato, enologo di esperienza, si occuperà di coordinare il comparto enologico e delle vendite dei vini sfusi. Le nuove direzioni opereranno in sinergia all’interno di un consiglio direttivo guidato dal presidente Silvano Nicolato.

«Siamo convinti che la strada individuata sia funzionale alle esigenze di crescita della cantina – evidenzia proprio quest’ultimo – garantendo continuità e valorizzando le risorse interne, figure capaci ed esperte del settore del vino, con una profonda conoscenza dei meccanismi aziendali della nostra realtà. Una squadra che ha dimostrato in questi anni di avere la capacità e di tenere il passo in un mercato in continua evoluzione. Ringraziamo Alberto Marchisio per il suo impegno, apporto e dedizione – conclude Silvano Nicolato – che hanno fatto crescere la nostra cooperativa a beneficio dei suoi soci. Il fattore umano è da sempre al centro della nostra storia e lo dimostra anche questa scelta, siamo una cooperativa del territorio, rappresentiamo oltre mille soci, lavorare in squadra in condivisione è una condizione che conosciamo da sempre».

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Roberta Bricolo è la nuova presidente del Consorzio del Custoza

È Roberta Bricolo la nuova presidente del Consorzio di Tutela del Custoza, denominazione veneta, per l’esattezza veronese, piuttosto in ombra nel contesto dell’attivissimo panorama del Veneto. La decisione è stata presa all’unanimità dal Consiglio di Amministrazione del Consorzio di Tutela, nella seduta di venerdì 22 gennaio 2021.

La massima carica dell’ente era rimasta vacante dopo la prematura scomparsa di Luciano Piona, avvenuta in seguito a un malore sulle piste da sci del Monte Spinale, nei pressi di Madonna di Campiglio, in Trentino Alto Adige. Un fulmine a ciel sereno per il mondo del vino italiano.

La nuova presidente del Consorzio di Tutela del Vino Custoza è titolare dell’Azienda agricola Gorgo. Già Avvocato del foro di Bologna, dal 2007 è membro del Consiglio di amministrazione e si dedica esclusivamente all’Azienda vitivinicola di famiglia a Custoza.

Roberta Bricolo sarà affiancata dai vice presidenti Alessandro Pignatti (Cantina di Custoza) ed Alberto Marchisio (Vitevis – Cantina Vini Castelnuovo del Garda).

«Desidero ringraziare tutti i colleghi e i membri del Consiglio di Amministrazione che mi hanno affidato questo incarico così importante e delicato – le sue prime parole – anche considerato il difficile periodo storico che stiamo attraversando. Il pensiero di tutti è certamente rivolto a Luciano Piona, con la promessa di dedicare il mio massimo impegno ad onorare questa carica».

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Hans Terzer e il Pinot Grigio italiano: “Rese esagerate, in certe zone non si fa qualità”


Per Hans Terzer, le rese del Pinot Grigio italiano “sono troppo alte per garantire la qualità”. L’enologo altoatesino di Cantina San Michele Appiano, a Milano per la presentazione di Appius 2015, introduce l’argomento mentre ai commensali di palazzo Bovara viene servito il Pinot Grigio 2015 di St. Michael-Eppan.

In Italia ci siamo impegnati a far morire questo vitigno. Spero che i miei amici e colleghi di qualche altra zona in Italia non si incazzino, ma purtroppo questo vino molte volte viene discriminato. Il Pinot Grigio è il vino bianco italiano forse più conosciuto al mondo, ma tante volte registra una qualità che mi fa quasi piangere.

Stiamo però parlando di un grandissimo vitigno che dà grandissimi risultati, soprattutto se viene messo nelle zone vocate, collinari e ventilate, con una produzione naturalmente mirata. Negli anni Ottanta e Novanta c’erano pochissimi ettari di Pinot grigio italiano, perché era temuto dai nostri viticoltori.

“Soffre infatti del gravissimo problema del marciume. Da quando abbiamo tolto il Pinot Grigio dalla pergola, mettendolo più al sole e più al vento, abbiamo toccato con mano le punte di qualità che è possibile ottenere.

Stiamo parlando di un vitigno che richiede sì un bel po’ di impegno in vigneto, ma che dà delle soddisfazioni immense. Un vitigno, tra l’altro che può essere vinificato in acciaio, ma che si trova molto bene anche nel legno”.

Da una parte il calice del proprio Pinot Grigio. Dall’altra il microfono e il cuore. Solo qualche pausa per Hans Terzer, durante l’accorato discorso. La voce ferma di chi vuol cogliere la palla al balzo, per parlare alla platea di giornalisti di qualcosa che ha nel petto, più che nello stomaco. Molto più di un sassolino nella scarpa. Ben oltre la banale polemica.

E allora eccoci, a fine serata. Ad approfondire il tema a tu per tu con il noto winemaker. “La mia ricetta per sollevare il Pinot Grigio in Italia? Dobbiamo innanzitutto migliorare in termini di qualità, abbassando le rese”.

“Non voglio criticare certe zone – commenta l’enologo, in esclusiva a WineMag.it – ma rese che si avvicinano ai 150 quintali per ettaro sono esagerate per un Pinot Grigio, se si punta a ottenere qualità anche solo discrete”.

Dunque, che fare? “Con rese attorno ai 100 quintali per ettaro – replica Hans Terzer – si riuscirebbe ad ottenere produzioni molto interessanti. La mia impressione è che in certe zone si esagera, perché si fa troppo poco lavoro in vigna e si lascia su tutto quello che nasce e cresce, per poi lavorarlo in cantina. Non è la via giusta, secondo me”.

Come spiegarlo ai grandi gruppi? “Devono riuscire a far capire alla Grande distribuzione che per un vino di qualità ci vuole una resa più bassa e, di pari passo, un certo prezzo minimo”, risponde il winemaker altoatesino.

“Bisogna insomma intervenire con una modifica del disciplinare – continua Hans Terzer nell’intervista rilasciata a WineMag.it – ma sopratutto bisogna smettere di prendersi per il naso e dire: ‘Ragazzi, non ci siamo’. Basta assaggiare il Pinot Grigio internazionale per rendersi conto che certi Pinot Grigi italiani non sono all’altezza, anche se costano poco”.

L’enologo di Cantina San Michele Appiano sa cosa bere, anche fuori dall’Alto Adige. “Abbiamo delle belle etichette di Pinot Grigio in Friuli, ma anche in Trentino e forse in qualche zona collinare del Veneto, nell’Alto Veronese”.

Qualche nome? “Se puntiamo in alto, trovo molto buono il Pinot Grigio di Vie di Romans. In Trentino, qualche cantina cooperativa fa del Pinot Grigio di una certa cilindrata. Ho visto che anche le grandi aziende trentine si danno da fare e programmano la produzione attraverso buoni progetti di qualità”.

Hans Terzer si tiene alla larga (volutamente) dal Veneto. Ma poi precisa: “Non lo conosco tanto bene, non conosco Pinot grigi veneti di alta qualità. Ma sono convinto che se si lavora bene, in zone collinari come i Colli Euganei, si possano tirar fuori dei bei prodotti”.

A VENEZIA LO “STILE ITALIANO” DEL PINOT GRIGIO

Intanto a Venezia, lunedì 14 ottobre, si è svolto il primo convegno internazionale sul Pinot grigio. “Un’occasione – come ha spiegato il Consorzio Doc delle Venezie – per mettere a fuoco le possibili tendenze del Pinot grigio italiano e il grande potenziale rappresentato da una denominazione che ha posto al centro della propria filosofia lo Stile Italiano“, inteso come “garanzia di origine e qualità, in una identità territoriale attorno alla quale costruire il percorso di valorizzazione del Pinot grigio”.

Al convegno sono intervenuti il presidente della Regione, Luca Zaia, gli assessori Giuseppe Pan per il Veneto, Stefano Zannier per la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e Mario Tonina per la Provincia Autonoma di Trento. Tutti hanno espresso “sostegno per l’importante progettualità che il Consorzio sta portando avanti”.

Secondo i dati snocciolati durante l’incontro, la Doc delle Venezie rappresenta l’85% della produzione italiana di Pinot Grigio e il 42% di quella mondiale. Oltre 10 mila i viticoltori interessati, accanto a 362 imbottigliatori.

Nei loro interventi, i relatori hanno sottolineato “gli ampi margini di crescita del Pinot Grigio sui due principali mercati di riferimento, Regno Unito e Stati Uniti d’America”, che oggi rappresentano oltre il 70% dell’export.

“Abbiamo iniziato a parlare di Stile Italiano e oggi rappresentiamo qualcosa di più – ha commentato Albino Armani (nella foto sopra) presidente del Consorzio Doc delle Venezie – ovvero un sistema che comunica un territorio dalla forte identità”.

“La qualità di un vino si fonda sui valori che rappresenta: la personalità espressa dal suo profilo organolettico, la sua versatilità negli abbinamenti con il cibo, il territorio e la sua storia, il saper fare, la capacità di crescere sui mercati, i brand che lo rappresentano, la sua sostenibilità economica e ambientale”, ha concluso Armani.

Nel solco dell’intervento di Hans Terzer a Milano, che ha precisato di riferirsi “ad alcune Igt italiane dove il prodotto non viene sempre controllato a dovere”, le parole di Alberto Marchisio: “A dispetto dell’immagine di semplicità della varietà – ha sottolineato il Dg delle cantine vicentine Vitevis – il Pinot grigio è un vitigno molto difficile da coltivare al di fuori del suo optimum climatico, che richiede una cultura e una tradizione viticola da valorizzare in termini di comunicazione, come elemento di valore della Doc”. La sfida del Pinot Grigio italiano, insomma, è appena iniziata.

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Pinot Grigio, questione italiana: il Triveneto si candida a capofila internazionale

VENEZIA – Quasi la metà della produzione mondiale di Pinot Grigio si concentra in Italia e per l’85% è originario del Triveneto. Con queste premesse si terrà il prossimo 14 ottobre a Venezia il primo convegno internazionale dedicato “ai valori del Pinot grigio“.

Al centro del dibattito e delle degustazioni, il vino bianco italiano tranquillo più venduto al mondo, proveniente da Friuli Venezia Giulia, Trentino, Veneto, si presenterà a stampa specializzata italiana ed estera e a operatori di settore. Un’iniziativa del Consorzio del Pinot grigio delle Venezie Doc. Dalle ore 9 alle ore 12, la Sala Mozart dell’Hotel Amadeus ospiterà la conferenza “I valori del Pinot grigio delle Venezie Doc“, introdotta da Albino Armani, presidente del Consorzio, e coordinata da Alessandro Torcoli, direttore di Civiltà del bere.

Un importante momento di confronto sulla Doc, con un parterre di autorità, sia italiane che estere, chiamate a fare il punto su presente e prospettive future di questo vino di indiscusso successo.

La sfida del Consorzio è partita nel 2016 con il riconoscimento della nuova Doc e l’obiettivo ora diventa “il riposizionamento del Pinot grigio italiano sul mercato internazionale attraverso lo sviluppo di una denominazione dal profilo unitario e dalle caratteristiche ben distinte”.

Di può di fatto parlare di “fenomeno Nordest”: un’area produttiva molto vasta. che unisce, climaticamente e culturalmente, la Provincia Autonoma di Trento, il Veneto e il Friuli Venezia Giulia. Oltre 26 mila ettari gli ettari oggi finalmente riuniti sotto il cappello “delle Venezie“.

“La campagna di comunicazione del Consorzio – spiega il presidente Albino Armani – esprime l’idea dello ‘Stile Italiano‘: una grande sfida dell’eccellenza nel trasmettere una forte identità territoriale legata alla storia di questo vitigno. La quasi totalità del prodotto Doc viene venduta oltre confine. In particolare negli Stati Uniti con il 37% delle quote export, a seguire, Gran Bretagna con il 27% e Germania, il 10%”.

“Il nostro lavoro – continua Armani – vuole garantire un Pinot grigio nazionale capace di distinguersi per personalità e qualità, grazie a una riduzione delle rese per ettaro e a una meticolosa attività di controlli e analisi organolettiche. L’obiettivo è di offrire un vino che vada oltre il vitigno per mostrarsi con un’immagine diversa, in cui emergano territorio e uva di eccellenza”.

“A Venezia – conclude Armani – parleremo a un pubblico di stampa specializzata e operatori di settore con il preciso scopo di comunicare e valorizzare questa denominazione in un contesto internazionale: per farlo bisognerà quindi puntare sui nostri valori più alti come denominazione e come persone”.

IL CONVEGNO

Al convegno di Venezia parteciperanno alcuni noti esperti provenienti dai principali mercati stranieri di riferimento, tra cui Emma Dawson MW (buyer Berkmann Wine Cellars, Londra), per il mercato inglese, sul tema “In UK è una questione di stile”, Christy Canterbury MW (giornalista di New York), per il mercato americano, “Un fenomeno Born in the Usa”.

Tra le autorevoli testimonianze italiane, Ettore Nicoletto (ad Gruppo Santa Margherita) “La forza del brand, la responsabilità dei pionieri”, Sandro Sartor (md Constellation Brands Europe, Middle East, Africa and Ruffino) “Una nuova DOC e la tutela dei valori sui mercati globali”, Alberto Marchisio (DG Cantine Vitevis) “Da commodity a progetto di territorio”, Flavio Innocenzi (dc Veronafiere) “Interpretare, promuovere e difendere l’origine italiana nel mondo”.

Il vitigno resta al centro della giornata anche nel successivo walk-around tasting riservato ad operatori di settore e stampa presso l’Hotel Principe dalle 12.30 alle 16, durante il quale vi sarà l’opportunità di scoprire le diverse espressioni di Pinot grigio delle Venezie grazie alle oltre 80 etichette in degustazione.

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Il Durello (Charmat o Metodo Classico) e la stampa che si guarda allo specchio


SELVA –
Cambiar nome, (ri)partire da zero, o quasi. E pensare che il mercato stia aspettando proprio te e il tuo (risicato) milioncino di bottiglie. La tavola rotonda “Durello: utopia o la nuova frontiera?” organizzata dall’Azienda agricola Dal Maso di Selva (VI), voleva essere un momento di riflessione sulle prospettive della Denominazione veneta, che di recente ha deciso di dare un nuovo nome agli spumanti Metodo Classico: Monti Lessini.

Un incontro riservato a stampa tecnica e operatori della ristorazione, che si è invece trasformato nel consueto sfoggio elitario di una buona parte dei rappresentanti della critica enogastronomica.

Scatta addirittura l’applauso quando Nicola Dal Maso (nella foto sotto) annuncia che “non produrrà più la versione Martinotti-Charmat del Durello”, per promuovere esclusivamente il Metodo classico “Monti Lessini”. Manco avesse rinunciato al Napalm in vigna, per combattere l’Oidio.

Una versione – tra l’altro – poi corretta dallo stesso produttore ai microfoni di WineMag: “Punteremo tutto sul Durello Metodo classico con la prima Riserva Pas Dosé 2015, in uscita a maggio. Ma in futuro, quando il parco vigneti sarà più ampio, ricominceremo a produrre anche il Durello Charmat”. Game. Set. Match.

Per qualcuno, in particolare per la stampa locale, il Consorzio dovrebbe dimenticarsi della versione Martinotti e virare esclusivamente sul Metodo Classico. Raddoppiando (come per magia, puff!) la produzione di Champenoise (a proposito: da quando la stampa fa i conti con i portafogli dei produttori?) o portandola addirittura a un sostanziale pareggio con la versione Martinotti. Fifty-fifty.

Oggi, invece, i 400 ettari vitati su terreno collinare, garantiscono alle 34 aziende del Consorzio una produzione di circa 1 milione di bottiglie, il 30% delle quali sono Metodo classico. Una cifra in lievitazione, anno dopo anno, ma che non basta a tener botta nei confronti delle grandi Denominazioni della spumantistica, a livello nazionale. Figurarsi nel marasma di bollicine globali.

PARLANO I NUMERI
Proprio per questo dimenticarsi dello Charmat sarebbe un vero e proprio autogol. E a confermarlo sono i numeri snocciolati dal presidente del Consorzio di Tutela, Alberto Marchisio, direttore di ViteVis Cantine. Mille soci, 38 milioni di euro di fatturato, è seconda solo a Cantina di Soave per ettari vitati di Durella (circa 130, in crescita) e numero di bottiglie di Durello prodotte (300 mila).

“Siamo l’azienda della zona che più ha creduto nel Lessini Durello Charmat – commenta Marchisio – e oggi possiamo dire che il cliente lo viene a cercare proprio per la sua precisa identità. Viene letto come uno spumante ottenuto da una buona uva, originale e caratterizzante della zona di produzione”.

“Una bollicina perfetta a tutto pasto – continua Marchisio – che ben si abbina alle abitudini culinarie del territorio. I numeri stanno crescendo, così come la consapevolezza dei consumatori. Del resto, chi cerca uno spumante generico si indirizza ormai senza esitazioni sul Prosecco”.

Ma anche la cooperativa ViteVis produce un Metodo classico da uve Durella. “Negli ultimi due, tre anni – commenta Alberto Marchisio – le vendite sono triplicate per questa tipologia, raggiungendo le 7 mila unità. Si acquista a 9,90 euro in cantina e lo si trova a 18-22 euro al ristorante, a differenza dello Charmat, che nei supermercati è reperibile a circa 5 euro”.

Il cammino da percorrere, secondo Marchisio, è tracciato: “La vera sfida della Denominazione, secondo me, non è eliminare il Durello Charmat, ma fare in modo che il suo prezzo si alzi a scaffale, pian piano, di 60-70 centesimi. Allora sì che potremo dire di avere fatto centro, anche nel nome della versione Metodo Classico, che a sua volta godrebbe di un incremento”.

“Del resto – chiosa il direttore della cooperativa – lo dico sempre: il nostro compito è quello di produrre vino per il consumo dal lunedì al venerdì. Per il sabato la domenica è giusto che i consumatori puntino a produzioni artigianali, di piccoli produttori. Ma non per questo i vini ‘base’ non devono essere perfetti, esprimendo tipicità dell’uva e del territorio, come nel caso del nostro Charmat. Il vino quotidiano non è banale”.

Chi acquista, invece, il Metodo Classico Monti Lessini? “Lo stesso consumatore che compra il Lessini Durello Charmat – risponde un determinato Marchisio – e non solo in Italia. Abbiamo un importatore scandinavo che da un ordine di 20 mila bottiglie di Charmat, è passato al Metodo classico, proponendo le due etichette una accanto all’altra, raccontandole a dovere per le loro diverse peculiarità”.

Il Durello Martinotti di ViteVis, di fatto, è un prodotto che stacca – qualitativamente – la media espressa dalle etichette di Prosecco presenti in Gdo. L’uva è riconoscibile, con la sua caratteristica acidità e durezza.

CHARMAT NON FA FIGO, “COL FONDO” (FORSE) SÌ
Nella rincorsa alla spumantizzazione cui si sta assistendo in tutta Italia, il Durello Charmat è la bollicina più sensata, tipica e capace di rappresentare il vitigno nel calice, senza le storpiature e gli impersonali scimmiottamenti del Prosecco (mai assaggiato, per esempio, qualche Passerina o Negroamaro vinificato in bianco? Meglio per voi, nel 95% dei casi).

Eppure non fa figo. Non accontenta gli elitari palati di mezza stampa tecnica (specie locale), evidentemente dotata di portafogli più gonfio della media degli italiani che fanno la spesa al supermercato, nel fine settimana.

Il dubbio è che se si trattasse di “rifermentati in bottiglia” o di un torbido “Durello col fondo” – più “radical” e più “chic” dei bistrattati “Charmat” degni del consumatore sfigato della Gdo – tutti (stampa compresa) ne berrebbero e godrebbero amabilmente, consigliandola urbi et orbi. Con buona pace del Metodo Classico e dei Monti Lessini. Cin, Cin.

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Vitevis brinda al suo primo compleanno: bilancio positivo

Alberto Marchisio

E’ decisamente pieno il bicchiere con cui Vitevis brinda al suo primo compleanno. A distanza di dodici mesi dalla nascita della realtà vitivinicola che il 1° luglio 2015 ha unito tre storiche cantine del territorio vicentino – la Cantina Colli Vicentini di Montecchio Maggiore, la Cantina di Gambellara e la Cantina Val Leogra di Malo – il presidente Gianni Mazzocco e il direttore Alberto Marchisio fanno il punto sul primo anno di attività.  “Il bilancio è fortemente positivo – afferma Marchisio – soprattutto per quanto riguarda la capacità di penetrazione sui mercati esteri. La partecipazione come realtà unica alle tre principali fiere europee di settore, il Prowein a Düsseldorf, Vinitaly a Verona e la London Wine Fair, si è rivelata vincente. Valorizzando le eccellenze delle singole cantine con attività concrete, come il lancio della nuova linea “Monopolio” che riprende l’antico nome della Cantina di Gambellara e propone la Garganega di vigneti di collina selezionati per qualità, stiamo riscontrando sempre più interesse per i vini del nostro territorio da parte degli operatori”.  A spingere le produzioni di eccellenza sui mercati esteri sono anche i premi conquistati nell’ultimo anno dall’etichette di punta del gruppo, a partire dal Carlo V Rosso Veneto Igt 2013 e dal Prosecco Doc Romeo, vincitori della medaglia d’oro al Sakura Japan Women’s Wine Award, al Gambellara Classico Doc “Monopolio” 2015, a cui sono andate la medaglia d’argento al Concours Mondial di Bruxelles e la medaglia di bronzo al Decanter Word Wine Awards 2016, per citare solo alcuni dei riconoscimenti internazionali ottenuti.   Il gruppo Vitevis, in forte crescita anche sul valore dell’imbottigliato, sorride anche sul fronte interno sia per la crescita del numero dei viticoltori associati, che hanno superato quota 1.500 con oltre 2.200 ettari vitati in 56 Comuni delle province di Vicenza e Verona, sia per l’aumento del fatturato dei quattro punti vendita di Malo, Gambellara, Torri di Quartesolo e Montecchio Maggiore.  “Gli obiettivi prioritari per i prossimi dodici mesi – spiega il presidente Gianni Mazzocco – sono un’ulteriore crescita in Italia e all’estero attraverso progetti mirati, tra cui la nascita di una linea dedicata ai vini biologici. La capacità di offrire una gamma completa di vini del territorio vicentino con un’elevata qualità si sta rivelando strategica sia sui mercati in cui eravamo già presenti come singole realtà sia in quelli di nuovo arrivo”.

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