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Rutte: 150 anni di tradizione nella distillazione di Gin e Genever


Sarà per il suo profilo aromatico che varia a seconda delle botaniche utilizzate, sarà per il largo uso che se ne fa nei drink (favorito, per l’appunto, dai diversi aromi che porta in sé), sarà per la sua facilità di beva anche in un semplicissimo “gin tonic”. Fatto sta che il Gin sta attraversando anni di grande successo tanto in Italia quanto a livello internazionale.

Lo scorso 3 e 4 luglio abbiamo visitato Rutte & Zn, piccola distilleria di Gin e Genever che si trova a Dordercht, in Olanda. Meno di un milione di bottiglie all’anno (nulla a che vedere coi colossi del Whisky scozzesi o americani da milioni di ettolitri anno) per una realtà che può vantare ben 150 anni di storia sulle spalle.

Fondata nel 1872 da Simon Rutte, titolare di un caffè a Dordrecht che acquistava spezie, frutta esotica ed erbe aromatiche che da tutto il mondo giungevano nel vicino porto di Rotterdam per utilizzarle in distillazione nel suo retrobottega. Gin e Genever, i due distillati tipici dei Paesi Bassi. Un secolo e mezzo dopo Rutte è presente coi suoi prodotti in oltre 100 mercati in tutto il mondo.

LA DISTILLERIA
Vriesestraat 130, 3311 NS Dordrecht. La distilleria è ancora lì, nella sede originale, nella bottega che fu di Simon Rutte. Un pittoresco edificio dal sapore tipicamente nederlandese che sembra uscito da un dipinto di Rembrandt, completamente in legno che fortuna vuole non abbia mai subito incendi nonostante gli alti rischi insiti nel processo di distillazione.

È la Master Distiller a guidarci nella visita. Myriam Hendrickx, leva 1965, Master Distiller di Rutte dal 2003. Ottava generazione di Master Distiller Rutte. Depositaria dei segreti di ogni prodotto. Una donna dal sorriso aperto ed i modi gentili che ben dissimulano un carattere deciso, indispensabile per ben svolgere quello che ancora oggi molti, erroneamente, considerano “un lavoro da uomini“.

Affascinate la storia di Rutte, ma più affascinate ancora ascoltare e toccare con mano il processo produttivo. Vedere l’unico alambicco della distilleria in funzione, cercare di capire le logiche che Myriam segue per perseguire la massima qualità dei prodotti.

GIN O GENEVER?
Chiara e semplice anche la spiegazione fra Gin e Genever. Mentre il Gin è un ri-distillato che utilizza alcol neutro di grano cui vengono aggiunte le varie botaniche con una prevalenza di ginepro, per il Genever (o Jenever, in un certo senso “il papà” del Gin) si utilizza alcol sia da grano che da malto e fra le botaniche il ginepro non è così prevalente come nel Gin. Il Genever inoltre, per disciplinare, può essere prodotto solo in Olanda, Belgio e piccole regioni di Francia e Germania.

Rutte è incredibilmente attenta alla scelta delle botaniche, la maggior parte delle quali viene utilizzata fresca. La scelta di utilizzare alcune “dry” è legata solo o all’impossibilità di reperire quella materia prima “fresh” (per problemi di conservazione) o perché quella data botanica nel processo di essiccazione concentra i propri aromi, risultando quindi migliore. Una curiosità: il ginepro utilizzato è sempre e rigorosamente di origine italiana.

Ogni botanica viene studiata nel laboratorio di Rutte sia per garantire costanza qualitativa nella produzione che per sperimentare nuove soluzioni in una continua ricerca di nuovi profili aromatici che arricchiscano la gamma della distilleria.

Talune botaniche vengono utilizzate in infusione prima della distillazione o del blending, tali altre direttamente in distillazione. Ed è qui una delle grandi abilità di Myriam: saper leggere le erbe e le spezie per poter permettere loro di regalare il meglio al prodotto finale.

Il processo di distillazione avviene tradizionalmente in un unico alambicco discontinuo in rame. O per meglio dire il processo di ri-distillazione; Rutte, come la maggior parte dei produttori di Gin, non distilla direttamente l’alcol puro da grano o malto ma lo acquista da fornitori di fiducia su filiera controllata, principalmente per una questione di tassazione.

Ogni singola fase del processo produttivo, dalla selezione delle botaniche fino all’affinamento, avviene all’interno della piccola bottega di Dordrecht. Solo imbottigliamento e confezionamento avvengono in un impianto lì vicino per problemi di spazio.

Blending a true love for the past with a nose for the future” (“mescolando un sincero amore per il passato con un naso rivolto al futuro”). È così che a volte Myriam definisce il proprio lavoro e lo spirito di Rutte mentre ci guida nella degustazione di alcuni dei prodotti più iconici di Rutte.

LA DEGUSTAZIONE
Old Simon Genever. Un’antica ricetta messa a punto dallo stesso Simon Rutte a fine ottocento. Fra le botaniche anche noci e nocciole tostate, macis, liquirizia, angelica e coriandolo.

Naso fresco e fruttato di frutta gialla con una nota boisé probabilmente data dalla tostatura. Man mano che gli si permette di aprirsi lasciandolo nel bicchiere la nota legnosa tende a calare lasciando maggior spazio alla parte fruttata e ad un sentore speziato. Pulito e morbido al palato.

Dry Gin. Anche qui abbiamo a che fare con una ricetta tradizionale della famiglia Rutte che prevede oltre a ginepro e coriandolo anche angelica, radice di iris, cannella, scorza d’arancia fresca e finocchio. Dritto e preciso come un Dry Gin deve essere. Profumi compatti fra cui si distinguono accanto al ginepro una nota agrumata di pompelmo ed una leggere dolcezza floreale.

Celery Gin. Sempre un Dry, ma qui la ricetta è stata messa a punto proprio da Myriam Hendrickx che ha visto nel sedano l’alleato ideale per la realizzazione di questo prodotto. Il risultato è un gin freso e sapido con un piacevole profumo di menta piperita, sedano, prezzemolo ed una nota citrica. Lasciato un attimo nel bicchiere ecco emergere note di agrumi e di pesca. Sorso leggero e scorrevole.

Old Ton Genever. Ricetta del 1918 recuperata dai vecchi documenti della distilleria. Limone, zenzero, cannella, ginepro, foglie di arancio, assenzio. Al naso risulta evidente la nota maltata che regala una dolcezza che sposa le note fresche ed agrumate. Avvolgente il sorso.


Paradyswyn Genever
. Mela, lampone, ciliegia, ginepro, angelica, semi di coriandolo. 100% alcol da malto ed invecchiamento in legno per un perioda da 4 ad 8 anni.

Un prodotto sui generis, quasi l’anello mancante fra il gin ed il whisky. Accanto alle note di malto e spezie tipiche del legno ecco emergere frutta tropicale, albicocca disidratata e frutta secca.

Sloe Gin. Ginepro, galanga, fiori d’arancio, genziana, vaniglia e prugne selvatiche (da cui il colore). Molto molto fruttato, quasi come un liquore, ma supportato da una fresca acidità tanto al naso quanto al palato. Buona persistenza con chiusura leggermente amaricante.

IL FOOD PAIRING
Non solo degustazione in purezza. I distillati di Rutte sono stati protagonisti anche di interessanti accostamenti di food pairing, tanto in purezza quanto in drink dedicati. Dal pesce fresco crudo abbinato al Genever consumato con semplicità all’aperto lungo i canali di Dordrecht (esperienza assolutamente da provare) alle fritture tradizionali accostate ad un semplice gin tonic.

Non ultime le sofisticate preparazioni preparate dal ristorante In de keuken von Floris di Rotterdam accostate a cocktail a base Rutte o a Gin e Genever in purezza. Che il food pairing con distillati in purezza o drink sia davvero la nuova frontiera delle esperienze Gourmet?

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Di Uomini e di Alambicchi: i “Moschettieri” del Brandy Italiano Artigianale


MILANO –
Un’occasione, un pranzo nella Milano fin troppo intenta a correre e “laürà”, per conoscere e scoprire il Brandy Italiano Artigianale. Quattro distillatori. Ognuno con la sua idea di Brandy. Ognuno col suo prodotto.

Quattro storie e quattro caratteri diversi, accomunati dalla passione per la distillazione, dalla mentalità artigianale e, coincidenza, anche dal momento storico in cui la loro avventura è partita.

LA STORIA
Correva l’anno 1986 quando Guido Fini Zarri, Vittorio Gianni Capovilla e Mario Pojer muovono i primi passi in questo mondo. Era invece il 1984 quando Bruno Pilzer iniziava la sua esperienza in distillazione.

Oltre trent’anni di storia ed esperienza per arrivare oggi a definire il “Brandy Italiano Artiginale”, per definire le linee guida che caratterizzano i quattro prodotti, per poter finalmente dire che questi prodotti hanno una loro precisa identità e non temono confronti.

E così oggi Gianni, Guido, Bruno e Mario si ritrovano fianco a fianco con uno scopo, una missione. Non più solo “fare” artigianalità ma anche “raccontare” l’artigianalità.

Raccontare al grande pubblico il loro sistema di valori fatto di selezione della materia prima, del seguire con attenzione il processo di fermentazione, di utilizzo di alambicchi che estraggano delicatamente gli aromi, di evitare manipolazioni aggiunte di zucchero o caramello, di invecchiamenti lenti e naturali “per tutto il tempo che serve”.

L’esigenza ed il desiderio di comunicare correttamente il Brandy Italiano Artigianale nasce dalla constatazione di come l’industria abbia azzerato le differenze fra i prodotti ed allineato, omogeneizzato, la percezione degli stessi finanche a far virtualmente diventare un distillato un liquore e viceversa.

E così oggi per “l’uomo della strada”, un distillato di vino (il Brandy per l’appunto) o un distillato di vinaccia (la grappa) sono concettualmente la stessa cosa di un limoncello o di un amaro (senza nulla togliere a quest’ultimi).

“L’artigiano fa il prodotto come vuole lui e spera che piaccia. L’industria fa il prodotto per il mercato.” È in queste parole di Guido Fini Zarri la spiegazione di quell’omologazione. Basti pensare che in Italia si contano 128 grappaioli e solo la metà circa possiede alambicchi da distillazione.

Ecco quindi i nostri 4 Moschettieri alla ricerca non solo della “qualità” ma anche della “particolarità” e della “peculiarità” nelle loro produzioni.

Scelta di materie prime identificative del territorio: Trebbiano Romagnolo per i Brandy di Villa Zarri, Lagarino per Pilzer, Schiava e Lagarino per Pojer e Sandri, Valpolicella per il Brandy di Capovilla.

Grande sapienza nell’utilizzo dell’alambicco, perché, come dice Bruno Pilzer, nato grappaiolo, “il distillato di vinaccia ha una grande potenza aromatica e puoi essere elegante o potente nel distillare. Il vino invece è sottile: o sei bravo o niente”.

Attenta selezione delle botti, dalle 300 litri non tostate utilizzati da Pilzer alle barique da 225 litri di Capovilla fino alle botti di secondo passaggio (il primo fatto con Chardonnay) volute da Mario Pojer. Particolarità e peculiarità che ritroviamo nel carattere di questi Brandy Italiani Artigianali.

LA DEGUSTAZIONE
Brandy Portegnac “Historie” 13 anni, Pilzer. Il nome lo prende dalla località dove ha sede la distilleria (Portegnago, in dialetto Potergnac) ma con la mente ci riporta alla Francia. E come i prestigiosi distillati d’Oltralpe “Historie” ci mette un po’ ad aprirsi ed a regalare i propri profumi. Profumi eleganti e raffinati in cui prevalgono le note fruttate di frutti freschi con una chiara vena agrumata. In continua evoluzione è facile, ma non banale, al palato.

Brandy Assemblaggio Tradizionale 10 anni, Villa Zarri. Sorprende piacevolmente per la sua complessità aromatica. Tè nero, leggero boisé, spezie morbide come cannella e pepe bianco. Sul fondo note fruttate che ricordano l’uvetta ed il dattero. Sorso pieno, di buon corpo, e dotato di una piacevole persistenza.

Brandy 1998, Capovilla. Naso pulito, immediato, aperto. Frutti bianchi e rossi che giocano con una freschezza erbacea. Gentile e morbido in bocca avvolge il sorso con pienezza quasi vellutata.

Brandy “Acquavite Divino” 2000, Pojer e Sandri. Grande freschezza olfattiva. Fiori e frutta esotica accompagnati da un piacevole nota mentolata che torna anche nelle persistenza retro olfattiva. Cremoso eppur fresco al sorso risulta pericolosamente beverino.

L’ABBINAMENTO
Qualcosa in più che “interessanti” gli abbinamenti proposti per l’occasione da Stefano Caffarri, chef e scrittore di gastronomia.

Una cucina semplice, quasi domestica, a detta di Stefano. Tre piatti in cui il Brandy diventa un ingrediente ogni volta declinato in modo diverso.

Entrata: Capasanta brasata nel grasso del bue grasso, maionese di coralli, crema di latte di soja (Brandy svaporato).

Minestra: Cappellotti di sfoglia di zucca, ripieno di grana stravecchio, consumato di pollo, polvere di zucca (Brandy crudo a gocce nel brodo).
Piatto di mezzo: Cappello del prete a bassa temperatura (20 ore), fondo bruno al Brandy, pere leggermente marinate (Brandy cotto).
Dessert: selezione di 4 ciccolati selezionati e lavorati da Passion Cocoa, Rho (MI).

Piena libertà di abbinare i quattro Brandy ai piatti per una sperimentazione che lascia sorpresi. Ognuno dei quattro distillati lavora molto bene con ognuno dei quattro piatti ma ognuno lo fa a suo modo, regalando sensazioni diverse. Facendo emergere così la singolarità di ogni Brandy.

L’abbinamento Cibo-Brandy si rivela essere un mondo ancora tutto da esplorare, così come in generale il mondo Cibo-Distillato che ha dato solo qualche piccola dimostrazione. Mondo che che qui ha già dato ottima prova di sé.

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Analisi e Tendenze Vino Spirits

Bas Armagnac Vs Unconventional Guest

Scoprire e riscoprire. Chissà se è questo che hanno pensato gli organizzatori dell’evento ”Verticale di Bas Armagnac Domain de Labatut de Haut Vs Unconventional Guest” tenutosi lo scorso 31 marzo presso il Bao Bab Caffè di via Pietrasanta 14 a Milano, in cui a 3 Armagnac del Domain de Labatut de Haut sono accostati altri 3 altri distillati anonimi, alla cieca, da svelarsi solo a fine degustazione.

Scoprire.Perché l’Armagnac è probabilmente il distillato più vecchio del mondo, documenti ne attestano l’esistenza (e le proprietà medicinali) fin dal 1310, ma anche poco conosciuto, superato in notorietà sia dal cugino Cognac che dai più noti Rum e Whisky.

Eppure questo distillato, prodotto in un fazzoletto di terra a sud della Francia, in Guascogna, ha molto da raccontare. Scopriamo così che l’Armagnac ha un processo produttivo del tutto particolare. Ottenuto il vino base dai vitigni che nel medioevo furono introdotti nella zona (in prevalenza Ugni Blanc) il processo di distillazione utilizza un alambicco unico e particolare, l’armagnaçais appunto: alambicco continuo a colonna, completamente in rame, che sfrutta una sorta di ”recupero energetico” ante-litteram per preriscaldare il vino che sarà distillato e contemporaneamente raffreddare il prodotto ottenuto. Questi alambicchi anticamente erano posizionati su carri per poter essere trasportati da un Domain all’altro; erano i mastri distillatori a viaggiare fra un possedimento e l’altro, fra una fattoria e l’altra, portandosi dietro la loro attrezzatura. L’armagnac infatti nasce come ”esigenza” di conservare a lungo il frutto del lavoro nei campi (il vino) per poterlo lasciare in eredità a figli e nipoti.

Da qui deriva anche la particolare forma di invecchiamento. Il distillato nuovo, bianco, viene da prima posto in botti di rovere nuove (della Guascogna e della Limousine), dove rimarrà per il tempo che il maestro di cantina reputerà opportuno in base alle condizioni della cantina stessa. Quando la ”parte degli angeli” ed i composti tannici del legno nuovo hanno fatto il loro lavoro l’Armagnac passa in botti già usate precedentemente per proseguire la sua lenta maturazione. Infine, quando il maestro di cantina considererà arrivato il momento ottimale, l’acquavite verrà posta in vetro in grosse damigiane. Eh si, in vetro! E da qui fino all’imbottigliamento finale (non è inusuale trovare millesimi anche risalenti al XIX secolo) le damigiane riposeranno in cantine dette ”Paradiso”.

Leggenda narra che la Regina Giovanna (Reine Jeanne, in francese) dovette scappare da Napoli nel 1347 dirigendosi in Guascogna. Durante il viaggio però una sera venne sorpresa da un’improvvisa tempesta e trovò rifugio nell’abitazione di un mastro vetraio. Il mattino seguente la sovrana chiese al vetraio di mostrarle la sua arte e lui, per dar prova di destrezza, soffiò con tutte le sue forze realizzando una bottiglia enorme da ben 10 litri. La Regina si congratulò e lui decise di dedicare alla Nobil Donna, alla Dama, la sua creazione: la Dame-Jeanne appunto.

Non sappiamo se sia vero, ma fatto sta che le damigiane sono uno dei segreti di questo distillato.

È una scoperta poterlo degustare in verticale: VS, Hors d’Age e Millesimo 1989. Si ha modo di capire l’evoluzione del prodotto. Dai sentori più diretti e più legati all’acquavite d’origine, più fruttati ed all’alcolicità più pungente tipici del VS (invecchiato 2 anni e mezzo) ai sentori più rotondi, complessi, morbidi e legati alle note di tabacco e caffè dell’Hors d’Age (più di 10 anni di invecchiamento). Si chiude col millesimo 1989 che amplifica i terziari, in cui l’alcool da solo calore in bocca ma non lo avverti al naso perché è perfettamente integrato nei profumi.

E poi il confronto con “l’ospite inusuale”, e qui si apre il secondo capitolo della serata.

Riscoprire. Perché svelando le bottiglie scopriamo che si tratta di Grappa, Distilleria Schiavo, Costabissara, Vicenza. Riscoprire la Grappa, prodotto italiano, motivo di orgoglio di casa nostra, come il tricolore o l’inno di Mameli. Distillazione discontinua, alambicchi in rame, bassa pressione, grande attenzione alla materia prima.

La prima, contrapposta al VS, è ”La Quaranta”. Grappa giovane, bianca, ottenuta da vinacce di Cabernet e Merlot. Note floreali e di frutta matura, in bocca è estremamente pulita, morbida ma non carica di glicerina e molto asciutta nel finale.

La seconda, di spalla all’Hors d’Age, è la ”Old’s”. Invecchiata in barrique usate, per mantenere i profumi originali. Cabernet, Merlot, Garganega e Moscato le vinacce di partenza. Il colore è paglierino scarico, al naso è floreale con una spiccata nota di miele d’acacia. Morbida, pulita, profumata anche in bocca con un finale delicato che invoglia alla beva. La grappa che non ti aspetti.

Chiude ”Tentazione”, non una grappa ma un’acquavite di uva. È affiancata al millesimato 1989 ma è un prodotto radicalmente diverso. Ottenuta da Moscato Giallo, Pinot Bianco e Raboso profuma di rosa, di frutta fresca, di fiori bianchi. Tutti profumi che si ritrovano poi in bocca.

Tre assaggi che invogliano a bere grappa, dimenticando lo stereotipo dell’alcolico del nonno, dell’alpino che lo beve per scaldarsi o per lasciarsi andare all’ebbrezza.

”Meravigliarsi di tutto è il primo passo della ragione verso la scoperta”. Parole di Pasteur. Ecco il valore aggiunto della serata, meravigliarsi nello scoprire il semi-sconosciuto Armagnac e riscoprire la Grappa, così vicina eppur così lontana. Perchè non si finisce mai di imparare in generale ed anche nel mondo dei distillati, del vino o della birra.

 

 

 

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