Feudo Montoni Cantina Bio dell anno per la Guida Top 100 Migliori vini italiani 2024 migliori vini biologici italiani
È Feudo Montoni la Cantina Bio dell’anno per la Guida Top 100 Migliori vini italiani 2024 di winemag.it (disponibile a questo link in prevendita). L’azienda di Contrada Montoni Vecchi (Cammarata, Agrigento), stella sempre più fulgida della costellazione di Assovini Sicilia, esprime anche il Miglior Vino rosato 2024, il Terre Siciliane Igt Nerello Mascalese Rosato Biologico 2022 “Rosa di Adele”, che si è aggiudicato 95/100 nella degustazione alla cieca. Non potevamo scegliere parole migliori di quelle del titolare, Fabio Sireci, per introdurre Feudo Montoni e spiegare le motivazioni del premio Cantina Bio dell’anno 2024. Parole capaci di traslarsi, immutate, dalla filosofia aziendale al calice.
C’è un detto siciliano che dice: Curri quanto voi che cà ti aspetto… Corri quanto vuoi che qui ti aspetto… E a volte mi sembra che questo possa essere quello che pensa la Terra osservando il comportamento dell’uomo. La parola biologico trae origine dal greco ‘bios’ che significa ‘vita’ e da ‘logia’ che significa ‘discorso’, ‘studio’. Quindi ‘discutiamo di bios’.
Parlare di agricoltura biologica non è facile per vari motivi, è una filosofia, un sistema di vita, un complesso di azioni. Biologico è un concetto molto delicato e molto ampio, non significa soltanto non utilizzo di chimica, di pesticidi e pratiche agricole che ogni agricoltore applica nel rispetto della terra. Nelle sedicenti aree civili e sviluppate, non vedo felicità dell’anima, che piano, piano muore. Non vedo Bios».
LA SICILIA DI FEUDO MONTONI, VINI BIOLOGICI PER VOCAZIONE
La purezza di cui parla questo appassionato viticoltore siciliano è la stessa che si ritrova in ognuno dei suoi vini. La storia di Feudo Montoni affonda le radici nel 1469, quando nel cuore della Sicilia, all’interno del Principato di Villanova, viene edificato dalla nobile famiglia aragonese Abatellis il baglio (tipica costruzione siciliana a corte quadrangolare). Dopo seicento anni, nelle stesse cantine, dalle stesse terre vengono prodotti i vini firmati da Fabio Sireci.
È alla fine del 1800 che la storia del baglio si lega a quella di Rosario Sireci, nonno di Fabio che acquistò il Feudo riconoscendo in esso particolari caratteristiche legate al terroir ed alla sua biodiversità. Trovò antiche piante di Perricone, Nero d’Avola, Catarratto, innamorandosi dei vini ottenuti con quelle uve. A suo avviso, presentavano tratti eleganti ed inconsueti.
IL VINI DI TERROIR DI FEUDO MONTONI, CANTINA BIO 2024
Nella seconda metà degli anni Sessanta, a dare impulso alla produzione fu Elio Sireci, padre di Fabio che selezionò le migliori piante presenti nella tenuta attraverso Selezione Massale e, con esse, impiantò i nuovi vigneti. Negli stessi anni avvenne il completo ammodernamento della cantina. Elio Sireci fu in grado di trasmettere al figlio Fabio la passione ed il rispetto per la Natura che oggi valgono a questa realtà il massimo riconoscimento tra le cantine biologiche italiane assegnato dalla Guida Top 100 Migliori vini italiani 2024. Non solo: Elio insegna a Fabio «l’etica del lavoro, del sacrificio per l’ottenimento di un obiettivo».
Un «lavoro» che oggi, il titolare di Feudo Montoni descrive come «un meraviglioso viaggio da vivere, se fatto con dedizione ed amore». Sono passati oltre trent’anni da quando Fabio Sireci ha iniziato a mettere i pratica quegli insegnamenti, proseguendo il «lavoro» del nonno e del padre nel ruolo di «custode delle antiche piante e delle loro uve». In particolare, è lui a seguire in prima persona tutte le diverse fasi del processo di produzione, dal vigneto alla cantina. E il suo amore per questa terra è in ogni calice. In ogni sorso. Provare per credere Feudo Montoni, Cantina Biologica dell’anno per la Guida Top 100 Migliori vini italiani 2024.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Cambia la geografia “archeologica” del vino. I residui del vino più antico del mondo sono stati trovati in una grotta vicino Agrigento.
A contenerli una grande giara dell’Età del Rame, di quasi 6 mila anni. L’Italia insidia dunque il primato dell’Armenia, dove nel 2011, vicino al villaggio di Areni, è stata scoperta una vera e propria cantina, ricca di strumenti per la vinificazione, nonché resti di vinaccioli e raspi.
A effettuare la scoperta un gruppo internazionale di ricerca coordinato dall’archeologo Davide Tanasi dell’Università della Florida Meridionale, a cui hanno preso parte anche il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), l’Università di Catania e gli esperti della Soprintendenza ai Beni Culturali di Agrigento.
La scoperta, pubblicata su Microchemical Journal, dimostra che la viticoltura e la produzione di vino in Italia non sono cominciate nell’Età del Bronzo, come ipotizzato finora, ma oltre 2 mila anni prima.
A confermarlo sono i residui chimici rimasti su una giara trovata in una grotta del Monte Kronio, risalente agli inizi del IV millennio avanti Cristo. La terracotta, non smaltata, ha conservato tracce di acido tartarico e del suo sale di sodio, sostanze che si trovano naturalmente negli acini d’uva e nel processo di vinificazione.
I ricercatori sottolineano come sia stato molto difficile riuscire a determinare la composizione esatta di tali residui, perché per farlo è necessario che il vasellame sia estratto completamente intatto. Il team di esperti intende ora stabilire se questo primo antichissimo vino italiano fosse rosso o bianco.
vino italiano piu antico del mondo monte kronio agrigento
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Per Coldiretti “taglia del 50% il tempo dedicato alla burocrazia, con cento giornate di lavoro che oggi ogni impresa vitivinicola è costretta a effettuare per soddisfare le 4 mila pagine di normativa che regolamentano il settore”. Per il vice ministro all’Agricoltura Andrea Olivero “una legge corretta e completa”. Per Antonio Rallo, presidente di Unione italiana vini (Uiv), “un successo”, anche prima della stesura dei regolamenti attuativi”. Per Fivi, Federazione italiana vignaioli indipendenti, “c’è ancora molto da fare sulla rappresentatività all’interno dei Consorzi”.
Se non fosse chiaro, parliamo del Testo Unico sul Vino, che è legge da fine novembre 2016. L’entrata in vigore della “Disciplina organica della coltivazione della vite e della produzione e del commercio del vino” è prevista per domani, 12 gennaio. Ma non mette d’accordo tutti.
Riceviamo e pubblichiamo integralmente la lettera che ci ha inviato Marilena Barbera, produttrice siciliana titolare delle omonime Cantine Barbera di Menfi (nella foto sopra) provincia di Agrigento. Parole dure, che non lasciano spazio a equivoci, pronunciate a nome di “tanti piccoli produttori italiani” “pienamente insoddisfatti” dal Testo Unico sul Vino e dalla Dematerializzazione dei Registri vitivinicoli.
La dematerializzazione dei registri vitivinicoli è, in questi giorni, tema caldo per i produttori di vino italiani. In parole semplici, si tratta dell’introduzione di un sistema telematico di comunicazione di tutti i dati relativi alla produzione ed alla commercializzazione dei prodotti vitivinicoli (uva, mosto, vino e sottoprodotti) da parte di ogni produttore vinicolo che effettui produzione diretta o intervenga – come trasformatore o imbottigliatore – in qualunque fase del processo produttivo del vino.
Il sistema di trasmissione dei dati, che fa parte di un più ampio disegno di razionalizzazione del sistema italiano del vino, prevede dunque l’invio (con cadenza mensile) ad un sistema informatico nazionale chiamato SIAN di tutti i dati aziendali relativi alla produzione, agli acquisti, alle vendite ed a ogni movimento di prodotti vitivinicoli.
Un sistema che prevede, per il suo funzionamento, la totale informatizzazione di ogni processo produttivo e commerciale all’interno delle aziende agricole e vinicole italiane.
Molte sono state le critiche al sistema, sia da parte degli sviluppatori di sistemi informatici che da parte delle aziende che dal 1° gennaio 2017 dovranno obbligatoriamente sostituirlo ad altri sistemi di comunicazione utilizzati fino ad ora. Le critiche principali si appuntano sull’instabilità del sistema (e questo sono gli sviluppatori a dirlo) e sulla difficoltà di accesso a idonee reti telematiche (questo lo dice la FIVI – Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti) che consentano la trasmissione. Nulla, o poco più di nulla, hanno obiettato le Associazioni di Categoria, comprese quelle che avrebbero il compito di rappresentare le istanze che provengono dal mondo della produzione di vino, composto in prevalenza da piccoli produttori.Il settore del vino in Italia è costituito da poco meno di 48.000 aziende (fonte: Coldiretti: http://tinyurl.com/hkq24ke). Di queste, circa 45.000 sono di piccola dimensione, ossia hanno una produzione media annua inferiore a 1.000 ettolitri (133.000 bottiglie). Il sistema produttivo italiano è, infatti, molto frammentato e composto in prevalenza da aziende piccole e piccolissime: questo appare evidente se si guarda alla dimensione media delle superfici vitate aziendali, che oscillano fra i tre ettari del Friuli Venezia Giulia e i 0,3 ettari della Valle d’Aosta (fonte: I numeri del vino: http://tinyurl.com/hou7j33). Le aziende grandi e grandissime, quelle che producono più di 1000 ettolitri l’anno, sempre secondo Coldiretti, sono circa 2.500.
Il valore dell’intero sistema-vino in Italia si aggira intorno ai 10,5 miliardi di euro (dati 2014). Ma solo le 136 aziende più grandi (quelle che fatturano oltre 25 milioni di euro ciascuna) generano oltre il 59% del valore dell’intero settore vinicolo: il resto viene diviso in 48.000: grandi – ma non grandissime – aziende comprese (fonte: Mediobanca: http://tinyurl.com/jexkzkc).
Una grande o grandissima azienda vitivinicola è composta da molte persone, ciascuna delle quali ha ruoli differenti: c’è chi va in campagna e chi sta in cantina, c’è chi va a vendere il vino e chi coordina i venditori, c’è chi fa la promozione e chi sta in ufficio. In una grande azienda ci sono interi reparti dedicati solo all’amministrazione, alla contabilità, ai rapporti con le banche e gli Enti di controllo. Una piccola azienda, invece, è composta prevalentemente da lavoratori della terra e dai loro familiari e collaboratori, persone che fanno il mestiere del vignaiolo: persone che sanno come si pota una vite e riconoscono con un’occhiata i sintomi di una malattia, sanno quando è arrivato il tempo di raccogliere l’uva solo masticando un acino, sanno fare il travaso di una botte, sanno ascoltare e rispettare la terra. Una piccola azienda vitivinicola magari ha una segretaria che compila le fatture e forse un magazziniere che si occupa delle spedizioni, ma certamente non genera il volume di affari che le permetterebbe di organizzare un ufficio dedicato esclusivamente alla comunicazione dei propri dati ad una serie di enti diversi.
La struttura e l’organizzazione del lavoro tra una piccola azienda e una grande azienda è molto differente. Ed è per questo motivo che nel 1995 questa differenza è stata riconosciuta dalla legge, che con il D.Lgs. N. 504/95 art. 37 ha istituito la figura del “piccolo produttore di vino”, un soggetto giuridico distinto dai grandi produttori di vino: è piccolo produttore di vino colui che produce in media meno di 1.000 ettolitri di vino all’anno, con riferimento all’ultimo quinquennio. Questa norma ha avuto il merito di comprendere, valorizzare e difendere le specificità del lavoro dei piccoli vignaioli italiani, garantendo loro nel tempo alcune semplificazioni di tipo documentale. Ad esempio, sollevandoli dagli obblighi connessi all’istituzione di un deposito fiscale. Ad esempio, esimendoli dalla redazione del DAA telematico, assumendo il fatto che gli stessi dati vengano comunque trasmessi agli organi di controllo tramite altri sistemi informatici. Ad esempio, consentendo loro di tenere i registri di cantina in formato cartaceo.
Queste semplificazioni di tipo documentale hanno sempre e comunque garantito la possibilità di controllo e la trasparenza nella tracciabilità di tutte le operazioni – sia produttive che commerciali, in quanto fanno parte di un sistema che incrocia i dati della produzione tramite il fascicolo aziendale (che va aggiornato ogni anno e contiene la descrizione di ogni superficie coltivata e i dati dell’iscrizione di ogni vigneto al registro nazionale dei vigneti) e le dichiarazioni vitivinicole annuali relative sia alla produzione di uva e vino sia alle giacenze di prodotti vitivinicoli.
A queste comunicazioni si aggiungono quelle del sistema fiscale e doganale, e quelle che vanno trasmesse ai differenti organi di controllo: Camere di Commercio, Ufficio Repressione Frodi (ICQRF), Enti di controllo sulle Denominazioni di Origine (Valoritalia, IRVOS, etc), Enti di controllo sul biologico per coloro che hanno scelto di assoggettarsi. Una pletora di comunicazioni e una sovrabbondanza di burocrazia che il nuovo testo Unico sul vino e il decreto “Campolibero” hanno tentato di ridurre e semplificare, almeno nelle intenzioni.
Buone intenzioni, dunque. Che, a mio avviso, finiscono col generare una gravissima disparità di trattamento e una situazione di iniquità sostanziale perché equiparano le piccole e piccolissime aziende agricole alle grandi e grandissime senza tener in nessun conto le differenze di struttura, di organizzazione, di consistenza economica e patrimoniale, di solidità finanziaria.
Buone intenzioni di semplificazione che non semplificano affatto, ma aggiungono ulteriore complessità al lavoro quotidiano di 45.000 aziende agricole di piccola dimensione, generando da un lato una situazione di estrema difficoltà e di reale ingestibilità del sistema (che ricordo è obbligatorio e immediatamente applicabile dal 01/01/17), dall’altro contribuiscono non a diminuire e a semplificare le comunicazioni, ma a moltiplicarle ulteriormente.
Facciamo un paio di esempi facili, in cui il SIAN non sostituisce affatto, ma si aggiunge alle comunicazioni che già dovevano essere fatte in precedenza.
Ho imbottigliato 10 ettolitri di vino DOC dopo essere già stato autorizzato a farlo? Lo comunico al mio Ente di controllo e poi lo ricomunico al SIAN.
Ho spedito 300 bottiglie di vino in Francia? Lo comunico prima ai vigili con il documento MVV, poi all’Agenzia delle Entrate con l’Intrastat, poi all’Agenzia delle Dogane con raccomandata, poi di nuovo all’Agenzia delle Entrate con la dichiarazione IVA trimestrale e infine al SIAN. E poi, a fine anno, ovviamente, di nuovo all’Agenzia delle Entrate con la dichiarazione IVA
Cosa accadeva prima? In qualità di piccolo produttore dovevo inviare due (2) comunicazioni all’anno, una per la produzione e una per la giacenza. Da oggi dovrò inviare ALMENO dodici (12) comunicazioni mensili. Almeno, perché un piccolo produttore che svolge anche attività di trasformazione per conto di terzi le comunicazioni dovrà effettuarle quotidianamente, quindi da dodici potrebbero diventare quindici, venti o di più. Una pressione costante, un impegno quotidiano, una complessità gravata anche da potenziali rischi di errore che le grandi aziende risolvono con facilità dedicando un ufficio – fra i tanti – al sistema SIAN.
E i piccoli produttori?
Durante i mesi di relativa tranquillità apparirebbe pure gestibile, anche se ogni mese ti dovrai ricontrollare daccapo tutte le giacenze e tutte le bolle e tutti i rientri di merce per fare questa benedetta comunicazione mensile sul Registro Unico.
Quello che è impossibile è gestire questo sistema IN VENDEMMIA.
Chi non è vignaiolo non sempre capisce cos’è veramente la vendemmia. In vendemmia non si dorme, non si mangia, non si esce con gli amici, non si festeggiano i compleanni, non si va in viaggio di nozze, non ci si riposa il fine settimana, non si va alle fiere né alle cene e spesso nemmeno a consegnare il vino. In vendemmia si vendemmia. E basta.
In vendemmia ci si gioca il futuro dell’azienda. E non solo per l’anno prossimo, ma per molti anni a venire. In vendemmia si pensa a fare il vino, non a comunicare la sfecciatura. In vendemmia si cerca di capire quanti rimontaggi sono necessari per fare il vino più buono di sempre, non se il magazzino del confezionato che devi comunicare corrisponde allo scarico del numero di etichette che hai in giacenza. In vendemmia, chi non ha un bilico in cantina e non ha accesso ad una pesa pubblica nelle vicinanze, il carico dell’uva lo fa ad occhio. L’occhio che dopo tante vendemmie sa quanto tiene il rimorchio, o quanto pesano le cassette. L’occhio che poi si aggiusta sul riempimento delle vasche perché sono graduate, o sul numero delle botti perché il fornitore ti ha detto quanto vino possono contenere.
Io non ho mai avuto paura della vendemmia. E’ pesante, è difficile, è stressante, ma non mi ha mai fatto paura. Quest’anno non lo so. Sto iniziando ad avere paura adesso.
E mi fa paura questo mondo del vino nel quale l’esigenza di controllo sovrasta le umane capacità del vignaiolo di portare a termine un buon lavoro. Un mondo in cui si vogliono applicare le stesse regole a realtà economiche e produttive così differenti che il risultato è di generare ingiustizia e iniquità. Un mondo in cui si fa passare per semplificazione un evidente sovraccarico di adempimenti, molti dei quali sono mere duplicazioni di altri adempimenti. Un mondo in cui al piccolo vignaiolo non si riconosce più la specificità – e dunque la bellezza e l’importanza – del suo lavoro.
Io sono sicura che i vignaioli italiani non abbiano alcuna intenzione di commettere frodi o sofisticazioni, né alcuna volontà di sottrarsi a giusti ed equi sistemi di controllo. Perché, al netto del fatto che questa dematerializzazione ce l’abbiano venduta come un sistema che semplifica gli adempimenti, nella realtà il sistema nasce solo ed esclusivamente per esigenze – giuste e condivisibili esigenze – di controllo.
Come ha detto Stefano Vaccari, Capo Dipartimento dell’ICQRF, durante il suo intervento all’assemblea dell’Unione Italiana Vini del giugno scorso, si tratta di un “cambiamento epocale che porterà l’Italia ad essere il primo paese al mondo ad avere on-line la giacenza e la movimentazione del vino: un elemento di tracciabilità e di controllo delle produzioni che nessun altro sistema produttivo può vantare e che permetterà vantaggi evidenti anche sotto il profilo del contrasto alle frodi, sia per gli organi di controllo, che per gli operatori.” (fonte: Unione Italiana Vini: http://tinyurl.com/h78ct5p).
Non voglio nemmeno soffermarmi a pensare a cosa ne penserebbero i vignerons francesi di un sistema del genere: per molto meno sono scesi in piazza con i rimorchi carichi di letame. E quelli della California e della Nuova Zelanda o dell’Australia o del Cile sono ancora lì che ridono, grandi e piccoli.
Ed è quindi ingiusto e miope non considerare quale prezzo saranno obbligati a pagare i piccoli produttori di vino italiani (45.000 aziende sotto ai 1.000 ettolitri) per permettere che un sistema dominato economicamente da grandi e grandissime aziende non commetta né frodi né sofisticazioni. Ed è un problema politico che né le Associazioni di Categoria, né i partiti, né le istituzioni hanno accettato di sollevare, o di prendere in considerazione.
Perché, se si guarda a chi ha frodato, negli ultimi 50 anni, se si guarda a chi ha generato lo scandalo del metanolo, se si guarda a chi trasforma la “carta” del Nero d’Avola in carta di altre denominazioni più famose non sono i piccoli produttori. Sono i grandi imbottigliatori, sono alcune grandi cooperative, sono i grandi gruppi che hanno investimenti in tutta Italia e all’estero. Il prezzo che 45.000 piccoli produttori pagheranno per consentire a 2.500 aziende che rappresentano oltre i due terzi del valore complessivo del vino italiano di tutelare la rispettabilità del sistema del vino italiano è troppo alto.
Benvenuta semplificazione, dunque, ma non questa. Questa non è una semplificazione, è (come ho detto altrove) una mostruosità che non ci permette di fare il nostro lavoro: che è quello di fare il vino.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Corvo Rosso Igt Terre Siciliane Duca di Salaparuta
(3,5 / 5) Nero d’Avola, Nerello Mascalese e Pignatello, noto anche come Perricone. Duca di Salaparuta, gruppo che riunisce tre marchi storici della “sicilianità” come Corvo, Florio e la stessa Duca di Salaparuta, produce con questi tre vitigni uno dei vini più noti dell’intera isola, commercializzati in grande distribuzione: il Corvo Rosso Igt Terre Siciliane. Sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it, la vendemmia 2014.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il vino si presenta di un rosso rubino brillante, di moderata trasparenza, con riflessi tendenti al granato. Al naso si rivela di buona complessità. Nuovi sentori fanno capolino col passare dei minuti, grazie all’ossigenazione. Si passa da subitanee percezioni di fiori di mandorlo e frutta rossa (marasca), a più profondi richiami a spezie leggere, sino a piacevoli tinte vegetali di carruba.
Al palato, il Corvo Rosso Igt Terre Siciliane Duca di Salaparuta gioca tutto sulle morbidezze e sulla facilità della beva. Da quello che viene definito dallo stesso produttore “un vino quotidiano”, non ci si può aspettare di meglio. E invece questo rosso siculo riesce ad andare oltre: il blend funziona, è ben equilibrato. La terra fa il resto.
Alle note semplici e avvolgenti di frutta rossa (di nuovo marasca) fa da contraltare una sapidità che chiama il sorso successivo: asciutto, moderatamente caldo, piacevolmente vinoso e, soprattutto, di sufficiente persistenza. Il Nero d’Avola che fa da base costituisce l’ossatura del vino, la sua struttura. A Nerello Mascalese e Pignatello-Perricone il compito di impreziosirla, assieme al legno della botte grande in cui matura il Corvo Rosso. Interessante vino a tutto pasto, tutt’altro che banale per la fascia prezzo in cui si posiziona, si presta ad accompagnare grigliate di carne, arrosti e formaggi di media stagionatura. A una temperatura di servizio di 16-18 gradi.
LA VINIFICAZIONE
E’ nei terreni più vocati alla viticoltura della Sicilia che affondano le radici i vitigni del Corvo Rosso, cullati da un microclima ideale. Siamo nella zona centro orientale, tra le province di Agrigento e Caltanissetta, a un’altezza che varia tra i 50 e i 350 metri sul livello del mare. La terra è di tipo misto, ma con percentuali considerevoli di calcare attivo. L’allevamento è condotto da Duca di Salaparuta col metodo della controspalliera e dell’alberello, con una densità di ceppi per ettaro medio-alta, pari a circa 4 mila piante. La vendemmia è manuale e, a seconda delle annate, avviene dalla seconda settimana di settembre alla prima settimana di ottobre.
La fermentazione del Corvo Rosso è affidata al metodo tradizionale, con macerazione sulle bucce per un periodo che può variare dai 6 agli 8 giorni. Seguono svinatura, pressatura soffice e fermentazione malolattica: un passaggio fondamentale, quest’ultimo, per garantire maggiore piacevolezza alla futura beva con la trasformazione dell’acido malico in acido lattico. Corvo rosso Terre Siciliane Igt Duca di Salaparuta matura poi per almeno 10 mesi in grandi botti di quercia e, successivamente, in tini di cemento vetrificato. Prima della commercializzazione, questo rosso di Sicilia affina in bottiglia per altri 2 mesi, a temperatura controllata. Viene prodotto dal 1824, anno di fondazione di un marchio di cui è divenuto il simbolo.
Prezzo pieno: 5,89 euro
Acquistato presso: Iper Coop
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
(5 / 5) C’è un motivo se un vino viene prodotto ininterrottamente dal 1959. Nel caso del Colomba Platino di Duca di Salaparuta, la ragione non è da ricercare solamente nel vitigno utilizzato: l’Insolia, il più antico della Sicilia. La freschezza e l’unicità di questa bottiglia nel panorama della grande distribuzione organizzata italiana, oltre all’ottimo rapporto qualità-prezzo, rende questo vino una scommessa da poter giocare a occhi chiusi, quando si è alla ricerca di un abbinamento perfetto (e di classe) a portate di pesce, crostacei, frutti di mare. Di colore giallo paglierino, si presenta al naso molto ben strutturato ed elegante, con decisi sentori di agrumi. Un vino che si conferma molto fruttato anche all’assaggio: di nuovo limoni, arance e una punta di nocciola nel finale.
Lungo, deciso, fresco e persistente. Piacevolmente astringente. Elegante, insomma, come già detto. In particolare, si tratta di una indicazione geografica tipica ottenuta nella splendida zona della provincia di Agrigento, tra Ribera e Cattolica, dove si alternano macchie di vegetazione selvatica, campi di frumento, uliveti e terreni di un bianco calcareo, dove affondano le loro radici le terrazze di vigneti Insolia, degradanti verso il mare. La vendemmia avviene in maniera manuale nel mese di settembre. Le uve vengono pressate molto delicatamente e in seguito fatte fermentare a 16-17 gradi, per circa 15 giorni. Per poi subire un lungo contatto con i lieviti, prima della maturazione a temperatura controllata sino a primavera, per favorire l’illimpidimento naturale.
Altri due mesi in bottiglia e il Colomba Platino di Duca di Salaparuta è pronto per essere consumato, non più “vecchio” di due anni (la bottiglia degustata è dell’annata 2013). Il Gruppo Duca di Salaparuta riunisce tre brand storici che rappresentano la Sicilia e l’Italia nel mondo: Corvo e Duca di Salaparuta, nati nel 1824, e Florio nato nel 1833. Acquisite dalla Ilva Saronno Holding e riunite in un’unica realtà, le due Aziende storiche costituiscono il primo gruppo vitivinicolo privato dell’isola che si prefigge lo scopo di “raccontare la storia e la terra attraverso luoghi suggestivi come le Tenute e le storiche Cantine”.
Prezzo pieno: 7,99 euro
Acquistato presso: Il Gigante
Vini al supermercato è la rubrica dedicata al vino in vendita nelle maggiori insegne di supermercati presenti in Italia. Nella Gdo viene venduta la maggior percentuale di vino italiano. Qui potrai trovare recensioni, punteggi e opinioni sui migliori vini in vendita nella Grande distribuzione organizzata, valutati con cognizione di causa, spirito critico costruttivo e l’indipendenza editoriale che ci caratterizza. Inoltre, una rubrica sempre aggiornata sui migliori vini in promozione presenti sui volantini delle offerte delle maggiori insegne di supermercati italiani. Vini al Supermercato è la guida autorevole ai vini in vendita in Gdo, con una pubblicazione annuale delle migliori etichette degustate alla cieca dalla nostra redazione. Seguici anche su Facebook ed Instagram. Sostieni la nostra testata giornalistica indipendente con una donazione a questo link.
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