Categorie
news news ed eventi

Peronospora e granchio blu: aiuti dal Governo per viticoltori e pescatori

Peronospora e granchio blu: aiuti dal Governo per viticoltori e pescatori
«Abbiamo approvato interventi che permettono di ristorare le imprese vitivinicole colpite dalla peronospora e di alleviare le criticità indotte dalla proliferazione del granchio blu giunto, da altri mari, nell’Adriatico e in parte nel Tirreno, prevedendo lo smaltimento dell’animale e altri interventi per mettere la filiera a riparo nei prossimi anni in termini strategici». Così il Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, al termine del Consiglio dei Ministri che si è concluso nella serata di ieri.

Il decreto approvato prevede di incentivare economicamente i soggetti che si dedicano alla cattura e allo smaltimento del granchio blu, con uno stanziamento di 2,9 milioni di euro. Per sostenere le imprese viticole colpite dalla peronospora, si consente l’attivazione degli interventi compensativi del Fondo di solidarietà nazionale con un primo stanziamento da 1 milione di euro. Inoltre, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste Francesco Lollobrigida, ha approvato un disegno di legge per l’istituzione del Premio di Maestro dell’arte della cucina italiana.

Si prevede che il Premio sia conferito, annualmente, a coloro che si siano distinti nel campo della gastronomia e, con la loro opera, abbiano esaltato il prestigio della cucina italiana, contribuendo a valorizzare l’eccellenza nazionale. «Un disegno di legge che ritengo importante – ha sottolineato il Ministro Lollobrigida – per conferire agli artigiani che si occupano di pasticceria, gelateria, del settore olivicolo e di quello vitivinicolo, un titolo di riconoscimento da parte del Governo rispetto alla loro qualità».

AGRICOLTURA, M5S: “RISORSE PER VIGNETI RIDICOLE, SETTORE PRESO IN GIRO”

«Le risorse stanziate dal governo per i vigneti colpiti dalla peronospora sono ridicole e rappresentano un’autentica presa in giro per il settore vitivinicolo. In tutto il Paese si è purtroppo verificata un’ingente perdita produttiva, con danni di decine di migliaia di euro per ogni ettaro di vigneto colpito. A fronte di tutto questo, il governo Meloni e il ministro Lollobrigida rispondono con l’altisonante cifra di un milione di euro». Così, in una nota congiunta, i Senatori e Deputati del Movimento 5 Stelle in Commissione Agricoltura.

Il valore è paragonabile all’impatto di un granello di sabbia nel deserto. E viene da pensare che il problema sia che ad essere colpito sia stato principalmente il Sud, visto che per il granchio blu, che incide invece sul Nord, è stato stanziato il triplo. Le misure, insomma, sono decisamente insufficienti per ristorare le aziende, ma c’è di più. Si dimentica completamente di investire in prevenzione e questo è un peccato capitale».

«La quantità di acqua che cade di anno in anno – continua il M5S – è sempre la stessa, ma si alternano sempre di più periodi di siccità drammatica e momenti di alluvioni e bombe d’acqua, che portano alla diffusione delle spore e allo sviluppo della peronospora e che si rivelano esiziali per i raccolti. Il governo deve necessariamente trovare altre risorse. Il settore agricolo compie enormi sacrifici, i suoi lavoratori affrontano rischi sempre più grossi e diventa ogni giorno più difficile, per loro, soprattutto di fronte all’assoluto disinteresse dimostrato dal governo».

Categorie
news news ed eventi

Siccità, nubifragi, grandine, Confagricoltura: «Gestione rischio climatico nel futuro agricoltura»

La gestione del rischio climatico è ormai una questione primaria nel mondo dell’agricoltura. A sottolinearlo è il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, intervenuto oggi sulla concentrazione di fenomeni meteorologici che stanno interessando tutta la Penisola. Siccità, nubifragi, grandine, trombe d’aria, ma anche incendi, spesso di natura dolosa – forti dubbi su quello che ha devastato Pantelleria nelle ultime ore – hanno «conseguenze devastanti per il settore primario». Tanto da «mettere a rischio la tenuta delle imprese agricole», ricorda la Confederazione.

«È evidente – dichiara Giansanti – che la gestione del rischio climatico è diventata una questione di primo piano per il futuro dell’agricoltura italiana, ma anche europea. I danni sono pesanti e la disponibilità finanziaria dell’apposito fondo ristori è inadeguata, nonostante l’aumento di 200 milioni disposto dal governo con il DL Aiuti Bis».

La normativa in vigore risulta inadeguata, troppo complessa e lenta. Gli interventi pubblici devono essere più veloci per assicurare, oltre all’indennizzo dei danni, la ripresa dell’attività produttiva. Quest’anno abbiamo registrato eventi climatici eccezionali che in passato capitavano nell’arco di un decennio. E la situazione si è registrata anche in altri Stati europei».

«INTELLIGENZA ARTIFICIALE IN AUSILIO ALL’AGRICOLTURA»

Il presidente di Confagricoltura ricorda che «non si tratta più di episodi sporadici». «È necessario – sottolinea ancora – un nuovo approccio alla questione, che comprenda la cura e la gestione del territorio con tutti i soggetti coinvolti, sfruttando anche le ricerche in materia di intelligenza artificiale e di elaborazione sempre più puntuale di modelli previsionali per contrastare, anche con forme di difesa attive, i fenomeni meteorologici estremi».

Il quadro, tuttora in evoluzione, evidenzia danni ingenti in Toscana, Liguria, Emilia Romagna, Sardegna, Lazio, Veneto e Friuli, concentrati in alcune province dove i nubifragi hanno spazzato via frutteti, sradicato piante, allagato campi, scoperchiato serre, stalle e danneggiato gravemente le strutture.

La pioggia tanto attesa, laddove caduta, è arrivata in quantità abbondante in troppo poco tempo, senza permettere ai campi di essere assorbita. Raffiche di vento e grandine hanno dato il colpo di grazia.

Confagricoltura, sottolinea in una nota l’organizzazione, è al lavoro per monitorare gli eventi, segnalando le criticità che necessitano di interventi straordinari, «anche alla luce della situazione di difficoltà che sta vivendo il settore primario, a causa della siccità e dell’aumento dei costi produttivi». [foto di copertina ig pantelleria]

Categorie
news news ed eventi

Biologico supera 2,1 milioni di ettari in Italia: è record

Supera i 2,1 milioni di ettari la superficie coltivata a biologico in Italia segnando il record storico di sempre con il raddoppio nell’ultimo decennio spinto dai consumi degli italiani sempre più alla ricerca di prodotti naturali e legati ai territori soprattutto dopo la pandemia Covid.

È quanto emerge dall’analisi di Coldiretti su dati Ismea in occasione dell’incontro a Roma presso la sede della maggior associazione agricola italiana per la presentazione del Piano di Azione del biologico del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali.

In Italia, spiega Coldiretti, l’incidenza dei terreni a bio rispetto al totale è di ben il 17,4% quasi il doppio della media europea (circa 9%) e molto vicino agli obiettivi previsti dalla strategia UE per il cibo “Farm to Fork”, che prevede di portare le superfici bio europee al 25% entro il 2030.

A livello nazionale ci sono oltre 86mila imprese agroalimentare bio e sono già addirittura 4 le regioni italiane, Toscana, Lazio, Calabria e Basilicata, che hanno raggiunto e superato gli obiettivi europei con ben 8 anni di anticipo sulle tempistiche previste da Bruxelles.

Un successo trainato dalla fiducia dei consumatori con 1 italiano su 5 che, secondo Coldiretti/Ixè, consuma regolarmente prodotti bio ed è disposto a pagare anche di più per acquistare un prodotto certificato bio, mentre il 13% dei consumatori è certo che, nel prossimo futuro, aumenterà la spesa per portare in tavola prodotti biologici.

La spinta verso il biologico è sostenuta soprattutto da motivi salutistici, ma molto importanti nella scelta di acquisto, il territorio di origine e le garanzie della certificazione.

BIOLOGICO DA RECORD IN ITALIA

Per Coldiretti «è chiara la necessità di costruire filiere biologiche interamente italiane e di riuscire a comunicare, anche nelle etichette del prodotto biologico, l’origine made in Italy della materia prima agricola, come peraltro previsto nella Legge 23 sull’agricoltura biologica, approvata quest’anno in Parlamento e della quale si è in attesa della piena applicazione».

«I primati del Made in Italy a tavola realizzati grazie a 730mila imprese agricole sono un riconoscimento del ruolo del settore agricolo per la crescita sostenibile del Paese», afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini. «L’agricoltura italiana – continua – è la più green d’Europa con il taglio record in un decennio del 20% sull’uso dei pesticidi che invece aumentano in Francia, Germania e Austria».

«Dobbiamo ridare centralità all’agricoltura anche nella filiera del biologico – aggiunge Maria Letizia Gardoni, presidente di Coldiretti Bio, l’associazione che riunisce le imprese biologiche e biodinamiche di Coldiretti – perché il biologico rappresenta uno straordinario strumento per lo sviluppo delle nostre campagne e, insieme a tutte le iniziative messe in campo da Coldiretti, consente di avvicinare sempre di più i consumatori al mondo agricolo».

Categorie
news news ed eventi

La Sicilia blinda il suo vigneto: in arrivo la “carta di identità” sanitaria e varietale

Custodire il “Vigneto Sicilia“, produrre viti siciliane dotate di certificazione che ne attesti l’integrità sanitaria e l’identità varietale, dare valore e sostegno alla qualità dei vini siciliani: in poche parole, una vera e propria “carta di identità” della pianta. Questi gli obiettivi del progetto “Valorizzazione del germoplasma viticolo“, promosso e sostenuto dal Consorzio di Tutela Vini Doc Sicilia in partnership con il Dipartimento regionale dell’Agricoltura della Regione Siciliana, l’Università degli Studi di Palermo e il Centro regionale per la conservazione della biodiversità viticola ed agraria “F. Paulsen”.

Il progetto ha lo scopo di conservare la biodiversità generata dai 3 mila anni di viticoltura nell’isola e le sue varietà autoctone e di intervenire a monte della filiera vitivinicola, dotando i vivaisti di materiale di base da cui ottenere un prodotto certificato da fornire alle aziende.

Lavorando con viti di cui è certa l’identità varietale e l’integrità sanitaria, è possibile dare valore e sostegno alla qualità dei vini siciliani. Grazie al progetto è in corso la verifica fitopatologica dei campi di piante iniziali esistenti e la ricostituzione di nuovi campi con materiali virus esenti, da cui ottenere il materiale di propagazione per la produzione di barbatelle innestate e certificate.

Un progetto di grande portata. Con quasi 98 mila ettari, il vigneto siciliano è infatti il più grande d’Italia. In Europa ha la stessa estensione del vigneto tedesco e nel mondo misura tre volte il vigneto della Nuova Zelanda, superando addirittura quello sudafricano. Non solo. La Sicilia è la prima regione in Italia per superficie vitata in biologico.

VALORIZZAZIONE DEL GERMOPLASMA VITICOLO: LO STATO DEI LAVORI

Allo stato attuale, le piante prodotte con la prima annualità del progetto sono state impiantate, a cura del Consorzio Vini Doc Sicilia, in due diversi appezzamenti in agro di Mazara del Vallo e Petrosino.

L’intento è quello di «produrre gemme che in via esclusiva saranno cedute alla Regione Siciliana, che potrà distribuirle ai vivaisti per alimentare la filiera del vivaismo viticolo». Il progetto, che ha una sua ciclicità, al momento vede la produzione di ulteriori barbatelle, per la realizzazione di nuovi campi l’anno che verrà.

«Con questo progetto intendiamo porre l’accento sulla grande varietà dell’enologia siciliana – afferma l’assessore dell’Agricoltura, dello Sviluppo rurale e della Pesca mediterranea, Toni Scilla – che rappresenta oggi un altissimo valore aggiunto soprattutto per quanto riguarda l’esaltazione delle identità e riconoscibilità dei nostri prodotti.

Negli ultimi venti anni la Sicilia è diventata un brand di elevato prestigio dell’enologia internazionale, capace di evocare territori di straordinaria vocazione vitivinicola. Ci poniamo dunque degli obiettivi in grado di accentuare la lunga storicità della produzione enologica e la sua relazione con la cultura e il paesaggio del territorio”

«Da sempre – sottolinea il presidente del Consorzio Vini Doc Sicilia, Antonio Rallo – la missione del Consorzio è rafforzare l’identità dei vini siciliani, migliorandone la qualità, l’immagine e il posizionamento sul mercato. Il progetto a sostegno del “Vigneto Sicilia” diventa quindi per noi centrale per lo sviluppo dell’enologia siciliana e siamo orgogliosi di poterlo sostenere a fianco delle altre istituzioni coinvolte, che ringrazio per la collaborazione e supporto».

Categorie
Approfondimenti

Mipaaf, 2 milioni di euro per agricoltura: raddoppiati i fondi in Legge di Bilancio

Nella legge di Bilancio 2 miliardi di euro per l’agricoltura. Lo comunica il Mipaaf, dopo il passaggio definitivo alla Camera. Al centro della manovra, la gestione del rischio e la valorizzazione delle filiere agroalimentari e della gastronomia italiana.

Tra le misure previste, il potenziamento delle filiere agricole, della pesca e dell’acquacoltura. Ma anche la nascita del Fondo di mutualizzazione nazionale a copertura dei rischi catastrofali e di due Fondi a sostegno degli investimenti in beni strumentali e nella valorizzazione di Dop, Igp e Stg e delle eccellenze della ristorazione e della pasticceria italiana.

FONDI RADDOPPIATI RISPETTO ALLO SCORSO ANNO

In campo, spiega il Mipaaf, anche l’implementazione ulteriore delle risorse per le assicurazioni agevolate, oltre a una serie di interventi ad hoc per favorire la transizione ecologica e digitale delle imprese. Non ultimo, incentivare l’ingresso degli agricoltori under 40 in agricoltura e dei giovani diplomati nei servizi enogastronomici e alberghieri.

I fondi destinati a sostenere e rilanciare il settore agricolo arrivano così a 2 miliardi. «Una cifra straordinaria – commenta il Ministero – che raddoppia lo stanziamento complessivo dello scorso anno e che conferma la centralità dell’agricoltura e della filiera agroalimentare nell’agenda politica del Governo».

«Rispetto allo scorso anno – dichiara il Ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali Stefano Patuanelli – abbiamo raddoppiato le risorse, passando da 1 a 2 miliardi di euro. Abbiamo insistito in particolar modo sulla gestione del rischio e sulla garanzia del reddito ai produttori.

PATUANELLI: AL CENTRO LA TRANSIZIONE ECOLOGICA E SOCIALE

Crediamo che le politiche di sostegno all’agroalimentare debbano spostarsi sempre più in questa direzione, insieme a una serie di importanti misure destinate alle filiere. Esse rappresentano un settore determinante per il nostro Paese, in termini produttivi ed economici, ma anche in termini di tutela e salvaguardia del territorio e del paesaggio. Il tutto in un’ottica sempre più rivolta al processo di transizione ecologica, ambientale e sociale».

Oltre alla valorizzazione dei prodotti a denominazione d’origine e indicazione geografica e alla promozione delle eccellenze agroalimentari italiane, il Mipaaf considera «centrali le politiche di filiera».

Lo dimostra il rifinanziamento del Fondo per la competitività delle filiere e dei Distretti del Cibo. Così come il rafforzamento di alcune filiere tra cui quella delle carni bianche, dell’apistica, delle piante officinali, della frutta in guscio e della birra, grazie al taglio delle accise.

Vengono inoltre stanziati importanti fondi per «proseguire l’attuazione della Strategia nazionale forestale». E inserito un capitolo destinato ai produttori di vino Dop e Igp e biologico, per incentivare l’uso dell’innovazione in agricoltura.

Categorie
news news ed eventi

«Produzione sughero italiano obiettivo nazionale»: un piano per salvare la quercia

«La tutela della produzione di sughero italiano diventa un obiettivo nazionale». Così il deputato Alberto Manca, esponente M5S in commissione Agricoltura, nel commentare l’approvazione dell’emendamento alla Legge di Bilancio riguardante «l’obbligo di trattamento termico mediante tecniche di bollitura prima della movimentazione del sughero fuori dal territorio della Sardegna». Un passaggio utile al contenimento del Coraebus undatus, coleottero conosciuto come “perforatore della quercia da sughero“.

Un insetto in grado di deprezzare il valore del sughero gentile fino al 75 per cento. Ora il Mipaaf si metterà al lavoro per redigere i termini della procedura. Saranno chiariti nei dettagli da un decreto del Ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali.

SUGHERO ITALIANO: EMENDAMENTO ALLA LEGGE DI BILANCIO

«Il deprezzamento causato dal coleottero Coraebus undatus determina un grave danno per tutta la filiera produttiva. Soprattutto in Sardegna, dove è ampiamente diffusa e dove si concentra l’85 per cento della produzione italiana di sughero naturale, con 120 mila quintali raccolti ogni anno», commenta Alberto Manca, promotore dell’emendamento assieme al senatore Emiliano Fenu.

Le larve del Coraebus durano due-tre anni. Si sviluppano sotto la corteccia, vicino all’alburno, costruendo gallerie che possono arrivare anche a due metri di lunghezza. Un evidente danno alla qualità del sughero italiano.

Attraverso il confronto con gli imprenditori del settore e i ricercatori abbiamo richiesto questa modifica normativa. Imponendo la bollitura, si sterilizza il prodotto e si determina una riduzione dell’infestazione.

Abbiamo previsto inoltre uno stanziamento di 150 mila euro per il 2022. L’obiettivo è di effettuare attività di monitoraggio del Coraebus undatus mediante una convenzione tra Mipaaf e Università degli Studi di Sassari».

MONITORAGGIO CORAEBUS UNDATUS: STANZIATI 150 MILA EURO

«Il nostro scopo, di concerto con il mondo produttivo in primis sardo – continua l’esponente del M5S Alberto Manca – è tutelare l’alta qualità delle produzioni di sughero italiano, rafforzando il sistema sughericolo nazionale. E dando la possibilità di non perdere quote in un mercato internazionale sempre più competitivo».

Nei territori in cui è estratto, il sughero rappresenta un’integrazione importante al reddito degli imprenditori agricoli. «Il contrasto al parassita – conclude Manca – servirà anche a stabilizzare il prezzo del sughero. Una materia che, altrimenti, rischierebbe di subire fluttuazioni di mercato legate alla qualità non ottimale dei prodotti».

Cork Trip in Portogallo: il sughero, dal campo alla bottiglia

Categorie
news news ed eventi

Ddl agricoltura biologica, scontro sulle certificazioni: «La biodinamica non è bio»

Un lotto di 50 corna di bovina adulta per il preparato biodinamico 500 costa 400 euro (fonte: leduetorribio.com)

Dopo l’approvazione alla Camera, passa al Senato il Ddl sull’agricoltura biologica. Non senza polemiche. Sul banco degli imputati la temuta «equiparazione» dei metodi di agricoltura biodinamica e biologica. Una battaglia che pare giocarsi (anche, ma forse soprattutto) sul fronte delle (onerose) certificazioni che regolamentano il settore.

«Un disciplinare privato quale Demeter o altri disciplinari privati che si richiamano al biodinamico non possono essere equiparati tout court al biologico», tuonavano nel 2019 organismi come AssoCertBio, i cui associati rappresentano il 90% del biologico italiano, riferendosi alla filiera del riso.

Una posizione mutata nel tempo: «Il metodo biodinamico e il metodo biologico – riferisce oggi AssoCertBio a WineMag.it – condividono gli stessi principi di base, essendo basati entrambi sulla valorizzazione dei processi e dei prodotti di origine naturale. I preparati biodinamici sono previsti e autorizzati dai regolamenti europei sul biologico nell’ambito dei mezzi tecnici utilizzabili.

In particolare, nel nuovo regolamento europeo 2018/848 che entrerà in vigore dal 1 gennaio 2022, si fa esplicito riferimento (all’art.3 – Definizioni –  punto 25) ai  “preparati biodinamici” quali “miscele tradizionalmente utilizzate nell’agricoltura biodinamica” e nell’allegato II (Norma dettagliate di produzione di cui al capo III, al  punto 1.9.9) è scritto che è “consentito l’uso di preparati biodinamici».

Il Ddl, del resto, parla chiaro. Il metodo di «agricoltura biodinamica» viene equiparato al metodo biologico «nei limiti in cui il primo rispetti i propri disciplinari e i requisiti previsti a livello europeo per produrre biologico».

In altre parole, le aziende che operano in regime biodinamico, con o senza certificazione Demeter (per avere il marchio è obbligatorio essere certificati biologici), saranno equiparate a quelle biologiche solo se (già) certificate bio. In Senato, la discussione è stata animata dall’intervento della senatrice a vita Elena Cattaneo.

«CORNOLETAME E VESCICHE DI CERVO? È ESOTERISMO»

Tre gli emendamenti proposti al Ddl sull’agricoltura bio, tutti bocciati. «Rimuovere la parola biodinamica dal disegno di legge, come chiedono i miei emendamenti, non impedisce ai produttori di perseguire queste pratiche e ottenere la certificazione di prodotto biologico, ma esplicitare il riferimento al biodinamico in questo testo di legge avrà l’effetto di dare dignità al cornoletame».

Aggiungo anche che si tratta non di equiparazioni tra biologico e biodinamico solo per la parte nella quale il biodinamico mima le pratiche biologiche, ma di una totale equivalenza.

Al punto che il disegno di legge in discussione prevede che una quota di fondi pubblici venga dedicata specificamente alla ricerca scientifica, alla formazione nel settore biologico e, quindi, all’equiparato biodinamico».

«Se quest’equiparazione restasse esplicita (non ci può essere alcun fraintendimento sul suo significato) enti e portatori di interesse potrebbero organizzare corsi e progetti incentrati sull’esoterismo biodinamico con i soldi dei cittadini italiani», ha aggiunto la senatrice Cattaneo.

Sempre secondo l’esponente del Gruppo Per le Autonomie (Svp-Patt, Uv) «grazie ai fondi previsti dalla legge si potrebbero creare attività e istituire insegnamenti, con tanto di crediti formativi, sulla profondità migliore a cui sotterrare le vesciche di cervo». O, ancora, «sulla direzione giusta con cui mescolare il letame o su come meglio orientare la vacca al pascolo perché catturi raggi cosmici».

“La viticoltura biodinamica? Molto più del cornoletame”. Parola di Roberta Ceretto

Categorie
news news ed eventi

Vini naturali, «definizione destabilizzante». Parola del vicepresidente Fivi

Vini naturali ancora protagonisti del dibattito in Puglia. Tra gli ospiti del talk digitale organizzato dall’avvocato eno-alimentare brindisino Stefano Palmisano anche Gaetano Morella, vicepresidente della Fivi, la Federazione italiana vignaioli indipendenti. Il vignaiolo biodinamico di Manduria ha stigmatizzato come «destabilizzante» la definizione di vino naturale.

«Fivi – ha ricordato – non ha mai guardato al metodo di produzione, è sempre stata trasversale. Non ti dice come fare il vino, l’importante è che rispetti le regole che consentono di farne parte. Detto ciò, “naturale” è una parola che non mi suona e mi destabilizza un po’. So invece cos’è la biodinamica, perché la pratico».

Gaetano Morella ha indicato altri «problemi» e «fastidi» riscontrabili negli «ambienti naturistici»: «Avendo partecipato a diverse manifestazioni, da Villa Boschi a Cerea in poi, la prima domanda che consumatori, winelover e operatori ponevano davanti al mio bicchiere di vino era sempre la stessa: “Quanta solforosa ha?”».

È un po’ come se il vino fosse qualcosa di sganciato da tutto quello che sta a monte, ovvero dal tipo di pratiche viticole che hai posto in essere, dalla vigna, dal terreno. Si risolveva tutto con quella domanda, come se tutto il mio lavoro dipendesse da quanta stramaledetta solforosa ci fosse nel bicchiere».

«Di fronte a una mia risposta volutamente tecnica – ha aggiunto Morella – con la faccia tra l’ebete e il rincoglionito, capivo che non solo non aveva idea dell’argomento, ma non gliene fregava niente se in vigneto avessi messo un chilo di rame oppure 10, o se avessi fatto una ripuntatura, a che livello di fertilità fosse il mio terreno, se fossi riuscito a preservare tale fertilità o meno. Tutto, nel naturale, si riduce al “cosa non hai fatto”».

Vino naturale, la pugliese Mina Del Prete: «Sogno una certificazione ufficiale»

Un concetto ribadito con fermezza dal vicepresidente Fivi: «La favola che una cosa brutta e sgraziata è naturale e fa bene non funziona più. Ci dobbiamo sganciare da questa idea del “non fare”. Il vignaiolo biodinamico è uno che lavora molto di più rispetto a uno convenzionale o biologico. Perché deve vivere quotidianamente il proprio vigneto, intuendo e capendo prima quando le cose accadono, non dopo, usando l’antibiotico sul problema».

Quante volte ci è stata presentata come “naturale” una mela bacata, rotta, brutta, bitorzoluta, che anche un cane rifiuterebbe? Questo non è il “naturale”. È piuttosto il frutto raccolto da terra, che non ti sei sforzato di raccogliere dalla pianta. L’hai preso e non hai fatto assolutamente nulla, per poi dire: “È naturale”».

«Con la biodinamica, invece – ha aggiunto Gaetano Morella – si innesca tutta una serie di atti per i quali il frutto non è solo esteticamente paragonabile al convenzionale, ma ha una luce propria e i sapori sono l’archetipo del sapore. La biodinamica migliora il cervello della pianta, che è nel terreno, mettendola nelle condizioni migliori per poter affrontare le problematiche. Non è sottrazione. È fare molto di più».

Sempre secondo il vicepresidente Fivi, «la biodinamica è l’unica arma contro quella che è stata negli ultimi 50, 60 anni, la banalizzazione dell’agricoltura e, in generale, la semplificazione e la monocultura».

«Quando hai a che fare con qualcosa di vivente – ha concluso Gaetano Morella – uno più uno non fa mai due. E chi lavora in vigna lo sa esattamente. Sgombriamo la mente, dunque, dal concetto che naturale significhi non fare nulla, con una consapevolezza incontrovertibile: esistono vini buoni e vini cattivi, convenzionali o naturali. Per fortuna, dico io. Altrimenti, in molti saremmo a spasso».

Categorie
news news ed eventi

La voce delle Donne del Vino alla Camera: da parità di genere e maternità al turismo

Temi specificatamente “femminili” come maternità e parità di genere, ma anche argomenti generici quali Enoturismo, Trasporti nelle aree rurali e digitalizzazione: la XIII Commissione – Agricoltura della Camera dei Deputati ha ascoltato lunedì 1 febbraio l’Associazione Nazionale Le Donne del Vino.

Un incontro nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Doc. XXVII, n. 18), con la presidente Donatella Cinelli Colombini (nella foto, sopra) e la vice Paola Longo indicate dall’onorevole Susanna Cenni (nella foto, sotto) quali portavoce delle 900 produttrici, enotecarie, ristoratrici, giornaliste ed esperte precedentemente interpellate dall’Associazione attraverso un sondaggio online.

I punti segnalati come più critici sono quattro, a cui si aggiunge un forte appello alle politiche di genere e al settore turistico che ha nell’enogastronomia uno dei punti di forza.

«L’appello – spiega Donatella Cinelli Colombini – è affinché l’agricoltura non venga presa in esame solo per l’impatto ambientale, ma anche in termini economici e occupazionali all’interno di una filiera produttiva e commerciale che arriva sulla tavola dei consumatori e coinvolge quindi anche altri comparti, nella logica Farm to Fork e di salvaguardia della salute dei consumatori».

In Italia, le donne dirigono circa un terzo delle imprese agricole: una cifra pari al 21% della Sau (Superficie agricola utilizzabile), capace tuttavia di generare il 28% del Pil agricolo.

«Sono un’enorme risorsa per l’agricoltura italiana – continua Cinelli Colombini – perché spesso sono più scolarizzate e più aperte all’innovazione e all’internazionalizzazione dei colleghi uomini. Per questo la richiesta che arriva dalla consultazione delle 900 Donne del Vino italiane ha puntato soprattutto su 4 argomenti, oltre il riequilibrio fra i generi, il sostegno al credito e all’export».

DIGITALIZZAZIONE DELLE AREE RURALI
La mancanza di una buona connettività e di banda larga nelle campagne – fino alle imprese e alle case -, la scarsità di strumentazione elettronica, sono considerati il maggiore ostacolo allo sviluppo economico e turistico delle zone rurali. La mancanza di copertura del segnale rende invisibili le imprese ai fini turistici e commerciali, rallenta il lavoro e l’accesso alle informazioni, impedisce il ricambio generazionale e l’introduzione dell’economia verde.

AGRICOLTURA DI PRECISIONE
Green deal – farm to fork – next generation: il processo di qualificazione dell’agricoltura e di produzioni eco sostenibili passa attraverso un processo di formazione e di digitalizzazione che richiede infrastrutture e connettività. Attuarla innesca un processo virtuoso sotto il profilo ambientale, economico e sociale con maggiori prospettive per i giovani.

TRASPORTI E VIABILITÀ
La carenza di collegamenti favorisce la marginalizzazione culturale ed economica delle popolazioni rurali e danneggia particolarmente i giovani in età scolare, le donne e gli anziani. Potenziare trasporti e viabilità nelle zone rurali significa anche favorire il turismo e renderlo più capillare.

SERVIZI PER LA MATERNITÀ
La carenza di asili nido e di scuole materne nelle zone agricole e nei piccoli centri oltre al loro costo eccessivo in rapporto ai redditi della popolazione rurale, sono di grave impedimento alle possibilità di lavoro e carriera delle donne

PARITÀ DI GENERE NELLA FILIERA DEL VINO
Cantine, ristoranti, rivendite, agenzie di consulenza: agevolazioni fiscali e di punteggio nelle graduatorie per le imprese dove si rispettano la parità di salario di progressione di carriera fra i generi ed è offerta la flessibilità nell’orario di lavoro.

TURISMO ENOGASTRONOMICO E FILIERA AGROALIMENTARE DI ECCELLENZA
Le Donne del vino chiedono di realizzare un portale nazionale di promo-commercializzazione turistica collegata alla digitalizzazione delle destinazioni, centri espositivi, didattici e di coordinamento turistico in ogni denominazione Docg o un grande distretto produttivo alimentare, un programma nazionale di formazione per gli addetti e un osservatorio in grado di monitorare e indirizzare l’intera offerta italiana.

Categorie
news news ed eventi

Uva da tavola 2020 tra caporalato, macero e sottocosto: l’appello dei produttori siciliani

Tre opzioni e un pericolo, a sancire un quadro sconfortante, sotto ogni profilo: l’uva da tavola 2020 finisce al macero, resta su pianta o viene venduta a prezzi stracciati, che non garantiscono la giusta remuneratività agli agricoltori, strozzati da fenomeni come caporalato, lavoro nero e “grigio“.

L’allarme, unito a un appello alla ministra Teresa Bellanova, arriva da una delle terre più rappresentative per la produzione dell’uva da tavola italiana: Mazzarrone, teatro dell’omonima Igp, in provincia di Catania.

“La campagna 2020 – denuncia Salvatore Secolo, responsabile della Uila-Uil di Mazzarrone – si è rivelata molto complessa nelle principali regioni produttrici del Paese: mi riferisco a Sicilia e Puglia, che rappresentano il 90% dei 46.000 ettari coltivati in Italia”.

Le inefficienze della filiera dell’uva da tavola stanno mettendo in crisi un comparto strategico per l’agricoltura italiana, danneggiando esclusivamente agricoltori. Molto spesso i produttori sono costretti a lasciare sulle piante i prodotti del loro lavoro e dei loro sacrifici. Oppure devono portare la propria uva da tavola al macero, pagata quel poco che basta per rifarsi delle spese sostenute solo per la raccolta, se non di meno”.

Le soluzioni? “Al Ministro delle Politiche Agricole, Teresa Bellanova, nonché alle varie istituzioni competenti in ogni Regione italiana – commenta Secolo (nella foto, sotto) – chiediamo innanzitutto un maggior vigore alla campagna di promozione istituzionale per l’uva da tavola; inoltre, di attivarsi allo scopo di ‘risarcire’ tutti quei produttori di uva da tavola che sono costretti loro malgrado di portarla al macero, quando è invendibile per via delle avversità atmosferiche o dalle disastrose malattie che imperversano in agricoltura”.

“L’incentivo – continua il sindacalista della sigla Uila-Uil – dovrebbe essere almeno pari a 0,35 centesimi di euro al chilogrammo. Ritengo sia questo il giusto ‘risarcimento’ in favore dei produttori d’uva che invece devono accontentarsi di una remunerazione molto bassa, che non permette neanche di coprire le spese per la campagna, lavorando sottocosto e senza un giusto compenso, tanto da rischiare il collasso“.

Gli aiuti, secondo Salvatore Secolo, sarebbero anche utili ad “evitare il diffondersi del deprecabile e triste fenomeno del caporalato, certamente alimentato da produttori e aziende che, pur di essere competitive, ricorrono a forme di illegalità per avere manodopera sottocosto“.

Il riferimento del sindacalista è a “tante aziende, anche estere, che riducono all’osso i costi del personale impiegato”. “Il lavoro nero o ‘grigio’, sottopagato – continua il sindacalista Uil – va combattuto e fatto emergere, anche ricorrendo a incentivi come questo, che consentono ai produttori e alle aziende agricole assunzioni regolari, utili a migliorare l’economia”.

Da Mazzarrone arriva anche un invito alla digitalizzazione delle aziende agricole, utile a segmentare il mercato. “I produttori di uva da tavola, tecnicamente bravissimi – evidenzia Salvatore Secolo – non dovrebbero più vendere il proprio prodotto solo tramite la Grande distribuzione organizzata, a meno che il prezzo non venga stabilito dagli stessi produttori di uva da tavola, con remunerazioni non inferiori a un euro al chilogrammo”.

“I produttori debbono organizzarsi e provare a vendere l’uva italiana direttamente agli italiani. L’Italia è un mercato importante, oggi frastornato da frutta di pessima qualità che arriva da chissà dove. Peraltro a prezzi bassi. Servono subito iniziative di natura legislativa ed economica, finalizzate a far uscire dalla crisi le numerose realtà famigliari che hanno fondato la loro attività lavorativa sulla tanto decantata, ma penalizzata, agricoltura italiana”.

Categorie
Approfondimenti

“Gli agricoltori italiani? I più poveri d’Europa”. Sifus Confali critica la Pac

“Gli agricoltori italiani continueranno a rappresentare uno dei settori più poveri della società europea, con un reddito inferiore fino al 50% rispetto agli altri Stati”. La denuncia è della sigla sindacale Sifus Confali, attraverso le parole del segretario generale Maurizio Grosso (nella foto). Un quadro definito “drammatico”, acuito “da una Pac che non ha avuto la sensibilità e l’intelligenza di puntare sulla sovranità alimentare attraverso una serie di azioni, come la valorizzazione dell’agricoltura mediterranea, il Km zero, gli allevamenti non intensivi, la valorizzazione delle specificità produttive territoriali”

Sifus Confali, denuncia inoltre che la nuova Pac “ha completamente espulso dal suo contesto l’introduzione di un vincolo di salvaguardia rivolto alle aziende che producono cibo buono utilizzando braccianti agricoli a cui vengono garantiti i diritti contrattuali”.

Dunque, c’è da chiedersi: se un agricoltore italiano è e rimane molto più povero di quello europeo, come farà ad assumere quei braccianti chiamati a prestare la propria attività lavorativa nei campi? Come farà l’agricoltore italiano a pagare i braccianti secondo i dettami del Ccnl di categoria?

LE MISURE
“Ecco che si rivela quindi necessario cambiare l’impostazione complessiva della Pac – continua Maurizio Grosso – non solo nella direzione della valorizzazione dell’agricoltura mediterranea, ma anche rispetto l’opportunità dell’introduzione di un parametro sociale che punti sulla tutela del lavoro, sia per quanto attiene la quantità che la qualità (numero di dipendenti/ rispetto dei contratti), dei braccianti agricoli assunti dall’azienda”.

Serve, inoltre, che vengano previsti ‘vincoli’ precisi per modulare i contributi che verranno erogati . Significa che più “lavoro buono” un’azienda agricola è capace di realizzare. Ossia lavoro che produce cibo sano rispettando i diritti dei braccianti, più l’azienda agricola deve essere premiata.

In parole povere: i sussidi da assegnare alle aziende agricole devono avere, tra le condizionalità che li determinano, una condizionalità specifica legata alla quantità e qualità di lavoro buono, prodotto anche in chiave dell’auspicata sovranità alimentare”.

“Sulla Pac n questione – conclude Maurizio Grosso – è singolare il silenzio dei Sindacati Confederali che evidentemente non comprendono i danni che da essa scaturiranno per il mondo del lavoro bracciantile, oltre che per l’agroalimentare”.

Infine la promessa del segretario generale: “Per la modifica della Pac, il Sifus, che è anche referente della Lilca e fa parte integrante dell’alleanza per la sovranità alimentare, spenderà le proprie energie nei prossimi mesi”.

Categorie
Approfondimenti

Agricoltura biologica: oltre 4 milioni per la ricerca

Oltre 4 milioni di euro per la ricerca in agricoltura biologica. Sono quelli del bando appena pubblica per i progetti di ricerca in tema di agricoltura biologica, cui viene destinato un massimo di 300 mila euro per singolo progetto.

Raggio d’azione dei progetti: miglioramento delle produzioni biologiche, innovazione dei processi produttivi delle imprese biologiche e garanzia del trasferimento tecnologico, fruizione e diffusione dei risultati raggiunti, diffusione dei benefici e vantaggi dell’agricoltura biologica.

“Negli ultimi dieci anni le superfici coltivate a bio nel nostro Paese, come evidenziano i dati del Sinab, sono aumentate del 79per cento, superando il 15per cento dell’incidenza di superficie sul totale coltivato”, dichiara la Ministra Teresa Bellanova.

“I produttori che scelgono di coltivare con il metodo biologico le nostre campagne, i nostri paesaggi e il nostro ambiente oggi hanno superato quota 80 mila: nessun altro Paese in Europa vanta un numero di agricoltori bio così elevato”.

“E, dato non indifferente –  continua la ministra – siamo al primo posto anche per gli ettari coltivati a cereali, ortaggi, agrumi e olivo. Facile comprendere dunque come la ricerca assuma un ruolo privilegiato e vada assolutamente sostenuta. Una sfida su eccellenza e qualità produttiva e ambientale che ci vede coinvolti con grande determinazione, anche alla luce della grande solidità dimostrata da questo segmento nei mesi di crisi sanitari ed economica”.

“Proprio stanotte – prosegue la Ministra Bellanova – abbiamo raggiunto un’intesa generale tra i Ministri dell’agricoltura europea sulla Pac post 2020, che segna un’evoluzione storica dell’impianto tradizionale della politica agricola europea e si dà come traguardo ambizioni rilevanti anche su sostenibilità e contrasto ai cambiamenti climatici”.

D’altra parte la Strategia Farm to Fork dà come obiettivi entro il 2030, il 25% delle superfici agricole condotte in regime biologico, e la riduzione contestuale dei fitofarmaci di sintesi e degli antibiotici come fertilizzanti chimici.

“Dopo i 5 milioni di euro per favorire la diffusione degli alimenti biologici nelle mense scolastiche –  commenta ancora Bellanova – questo ulteriore stanziamento è un altro passo di grande importanza.

Ricerca e Innovazione sono infatti nel DNA dell’agricoltura biologica, un settore sempre alla ricerca di strategie tecnico-agronomiche innovative per rispondere alle problematiche che i produttori si trovano quotidianamente ad affrontare. Soluzioni innovative che non di rado si diffondono all’intero settore agricolo”.

L’agricoltura biologica assume dunque un ruolo prezioso e trainante rispetto a un’agricoltura, quella italiana, che nel suo insieme è all’avanguardia in tema di sostenibilità delle tecniche produttive. L’impegno del Governo “è dare continuità a questo percorso dinamico di miglioramento e innovazione che non può e non deve arrestarsi”.

“Abbiamo sempre più bisogno che l’innovazione si traduca in soluzioni operative ‘testate’ in campi reali e non solo nei siti di ricerca e sperimentazione. Ed è proprio per questo – conclude Teresa Bellanova – che uno dei requisiti obbligatori del bando è la partecipazione effettiva di aziende biologiche e biodinamiche. Come altro elemento essenziale è che i risultati siano resi fruibili in maniera semplice ed immediata ad agricoltori, tecnici e altri soggetti interessati”.

Categorie
news news ed eventi

Pac post 2020, c’è l’accordo tra ministri Ue: fondi assegnati a risultati raggiunti

Dopo oltre 2 anni di negoziati, gli Stati membri europei hanno raggiunto ieri a tarda notte un accordo generale sulla PacPolitica Agricola Comune post 2020, durante il Consiglio dei Ministri dell’Agricoltura svoltosi in Lussemburgo. Il patto andrà ora negoziato in trilogo con la Commissione e il Parlamento europeo. L’intesa segna un’evoluzione storica dell’impianto tradizionale della politica agricola.

Per la prima volta, infatti, i fondi della Pac saranno assegnati in base ai risultati raggiunti anziché al mero rispetto delle norme di conformità. L’accordo prevede che ogni Stato Membro presenti un Piano strategico nazionale per la definizione e attuazione di tutti gli interventi, a seguito di un’analisi dei fabbisogni.

Le Regioni, attraverso le proprie Autorità di Gestione, potranno continuare ad attuare gli interventi inerenti lo sviluppo rurale. “Siamo molto soddisfatti dei compromessi raggiunti in merito alle nostre produzioni bandiera”, ha commentato stanotte la Ministra Teresa Bellanova.

E ancora: “Saremo finalmente in grado di attuare interventi di investimento e ristrutturazione nel settore dell’olio di oliva, a beneficio anche dei produttori danneggiati dalla xylella, così come di continuare a sostenere il settore vitivinicolo, ad esempio finanziando l’impianto di nuovi vigneti”.

La riforma, che entrerà in vigore il primo gennaio 2023 al termine dei due anni di transizione, presenta novità importanti. Tra queste le ambiziose disposizioni volte ad allineare la politica agricola europea alla sfida dei cambiamenti climatici e della sostenibilità.

Una percentuale minima del 30% delle spese del II pilastro (Sviluppo Rurale) dovrà essere destinata a misure agro-ambientali, ed almeno il 20% delle risorse del I pilastro (pagamenti diretti) dovranno essere allocate a schemi ecologici, ovvero a misure come l’inerbimento dei frutteti, la riduzione dei fitofarmaci e fertilizzanti, i metodi di agricoltura biologica e ulteriori pratiche agricole benefiche per l’ambiente.

Particolare attenzione viene poi dedicata ai giovani agricoltori e ai piccoli agricoltori. I primi potranno ad esempio beneficiare di un contributo per iniziare l’attività fino a 100 mila euro, mentre per i secondi è prevista maggiore semplificazione e l’esonero da eventuali tagli dei pagamenti diretti necessari per costituire una riserva anticrisi.

Su richiesta italiana si prevede, inoltre, la possibilità di destinare una piccola percentuale dei pagamenti agli agricoltori per costituire un fondo con funzioni assicurative nel caso di eventi avversi.

Categorie
Esteri - News & Wine news news ed eventi

Cambia la classificazione dei vini tedeschi: “Nuove norme per rilanciare l’export”

La classificazione dei vini tedeschi cambierà presto. Da un lato per uniformarsi alle norme dell’Unione europea. Dall’altro – e soprattutto – per rilanciare l’export e i consumi nazionali, in stallo anche prima dell’emergenza Coronavirus del 2020.

L’annuncio della ministra all’Alimentazione e all’Agricoltura della Germania, Julia Klöckner (nella foto, sotto) riguardante l’emendamento alle leggi nazionali sul vino, ha generato reazioni contrastanti a Berlino.

Si tratta, di fatto, di una vera e propria rivoluzione. Per dirla con le parole dell’esponente del Unione cristiano democratica tedesca (CDU), “si passerà da un sistema di classificazione dei vini ‘germanico’ a quello ‘romano’, che mette al centro dell’etichettatura l’origine del vino”.

La nuova classificazione dei vini tedeschi, grossomodo, guarda come modello al sistema dei Qualitätswein mit Prädikat (QmP), l’apice dei vini di qualità della Germania. Alla base della nuova piramide qualitativa ci saranno i vini sfusi e da tavola, senza denominazione, che recheranno la scritta “Deutscher Wein“, ovvero “Vino tedesco“.

Salendo ci saranno i vini a “Indicazione Geografica Protetta” (Igp), prodotti nelle 26 regioni (Landwein) già riconosciute dall’Unione europea.

Tutti i vini su cui si troverà il nome di una regione vinicola (come per esempio Ahrtaler Landwein, Badischer Landwein oppure Rhine Landwein) offriranno – e offrono tuttora – la garanzia che almeno l’85% delle uve provenga da quella determinata zona. Fa eccezione l’Ahr Valley Landwein, che assicura il 100% dell’origine locale dei grappoli.

All’apice della piramide ecco la “Geschützte Ursprungsbezeichnung” (Gu), ovvero la “Denominazione di Origine Protetta” (Dop). Sono 13 le Denominazioni di origine protetta, in Germania.

Questa categoria sarà a sua volta suddivisa in quattro livelli gerarchici riguardanti – dal basso verso l’alto – la regione stessa di produzione (per esempio “Mosel“, la Mosella), una sottozona di quella regione (“Michelsberg“), per proseguire con il Comune in cui si trova il vigneto (“Minheim“) e il nome o la posizione esatta del vigneto (nell’esempio specifico, “Burglay“).

Categorie
Approfondimenti

Invasione di cavallette in Sardegna, Coldiretti: “Catastrofe biologica”

Non solo Africa, Medio Oriente e Asia, milioni di cavallette stanno devastando anche ettari e ettari di terreno in Sardegna. L’allarme di Coldiretti riguarda la provincia di Nuoro, dove una marea dei famelici insetti assedia le case e fa strage di pascoli e raccolti divorando foraggio, grano, erba medica e tutto quanto trova durante l’avanzata.

Nessun giro di parole. Viene descritta come “una vera e propria catastrofe biologica” quella che sta colpendo in particolare la Valle del Tirso, nel centro della regione, nei comuni di Ottana, Sarule, Orani, Escalaplano, Orotelli e Bolotana, che stanno deliberando lo stato d’emergenza.

Secondo la Banca Mondiale, l’invasione di locuste del 2020 è la più massiccia degli ultimi 70 anni: ha già toccato 23 paesi tra Africa orientale, Medio Oriente e Asia e sta minacciando in modo molto serio l’agricoltura. Si teme che in molti Paesi l’insicurezza alimentare possa aggravarsi, nel mezzo dell’emergenza causata dal Coronavirus.

A favorire l’invasione nelle diverse parti del globo sono stati i cambiamenti climatici, con caldo torrido che favorisce il moltiplicarsi delle cavallette. L’inverno mite e la scarsità di pioggia, con precipitazioni praticamente dimezzate – in un 2020 che si classifica come l’anno più caldo dal 1800 con temperature superiori di 1,41 gradi rispetto alla media – hanno favorito anche in Italia la comparsa delle orde devastatrici.

Le condizioni climatiche agevolano uno sviluppo anomalo di questo insetto con invasioni che Coldiretti definisce “bibliche”: “Ricordando quelle del passato,  con gravissimi danni alle campagne, ma possono raggiungere anche le città“. Essendo polifaghe, le cavallette colpiscono non solo le coltivazioni in campo, ma anche orti e giardini.

Una situazione – denuncia la Coldiretti – che sta mettendo in ginocchio un centinaio di aziende con molti agricoltori costretti ad anticipare il raccolto o addirittura a destinarlo ad alimentazione degli animali”. 

L’unica speranza è nei predatori naturali come gli uccelli, che potrebbero aiutare a contenere le popolazioni di locuste. Dalle terre incolte, abbandonate a causa della crisi delle campagne per i prezzi dei prodotti agricoli sotto i costi di produzione, le cavallette partono all’assalto dei raccolti, devastando tutto quello che trovano sul loro cammino.

“Una vera e propria emergenza – conclude la Coldiretti – che si abbatte sulle imprese agricole colpite anche dalla crisi economica generata dal Coronavirus con 6 aziende su 10 (58%) che hanno registrato una diminuzione dell’attività”.

Categorie
news news ed eventi

Consorzio Vino Chianti: “Caro Governo, così moriamo tutti”

“Così moriamo tutti”. Durissimo attacco del presidente del Consorzio Vino Chianti al Governo. Giovanni Busi si fa “portavoce di una situazione ormai non più sostenibile della filiera del vino toscano e nazionale a causa delle conseguenze sull’economia dell’emergenza Covid-19“.

“È abissale – spiega Busi – la distanza che separa gli innumerevoli annunci fatti dal Governo attraverso conferenze stampa quasi quotidiane e la realtà con cui puntualmente le nostre aziende fanno i conti il giorno dopo, quando le banche sbattono loro la porta in faccia negando ogni forma di aiuto“.

“Le nostre aziende ormai non sanno più cosa fare. Per ovvi motivi siamo costretti a continuare l’attività perché l’agricoltura non può fermarsi e uno stop significherebbe per noi abbandonare i nostri vigneti con il rischio concreto di non avere poi la forza di ripartire”.

“Come Consorzio – spiega Busi – abbiamo preso decisioni drastiche come la riduzione della produzione del 20% con gravi danni economici per le aziende. Una scelta indispensabile per mantenere in equilibrio la produzione con il mercato”.

“Dall’altra parte non possiamo che notare con sgomento e profonda preoccupazione che il Governo, al di là degli annunci televisivi e dirette Facebook, non ha ancora previsto alcun sostegno concreto per permetterci di sopravvivere”.

“Noi siamo anche disposti ad indebitarci nell’interesse del Paese per salvaguardare la nostra attività, ma per poterlo fare non possiamo prescindere dalla garanzia che lo Stato deve darci, prevedendo, fra le altre misure, l’annullamento momentaneo degli accordi di Basilea”.

“Perché, e qui ci rivolgiamo al presidente del Consiglio Giuseppe Conte – continua Busi – è inutile illuderci tenendoci incollati davanti al televisore aspettandoci un aiuto che puntualmente si infrange contro le porte scorrevoli delle banche, dove, in alcuni casi addirittura ci vengono ridotti gli affidamenti”.

Il presidente del Consorzio Vino Chianti prosegue: “L’agricoltura e gli agricoltori sono al collasso. Continuiamo a pagare i nostri dipendenti che lavorano regolarmente e i nostri fornitori per mandare avanti l’attività nei campi. Dall’altra parte invece non si incassa il vino che abbiamo già venduto prima dell’emergenza in attesa di capire quando e se riaprirà chi deve pagarci”.

“Le aziende che oggi continuano a vendere – conclude Giovanni Busi – lo fanno nella grande distribuzione ma sono un numero assai ridotto rispetto alla mole di piccole e medie imprese della filiera vitivinicola che sono alla disperazione. Il Governo agisca rapidamente con interventi seri e concreti e una volta approvati, allora sì che potrà annunciarli”.

Categorie
Approfondimenti

Covid-19 in Sudafrica, il governo ripensa al “lockdown”: la vendemmia può proseguire

Cambio di rotta nelle ultime ore per il governo del Sudafrica, che aveva proibito la produzione e la vendita di vino e alcolici fino al 16 aprile, tra le misure per contenere Covid-19. Sono state infatti accolte le richieste di associazioni di categoria come Vinpro, che chiedevano di inserire l’industria del vino tra le attività di “prima necessità”, preservate dal “lockdown” del Disaster Management Act di Pretoria.

Le “Attività di raccolta e stoccaggio essenziali per prevenire lo spreco di beni agricoli primari” sono state inserite nel capitolo riguardante l’agricoltura. “La nostra interpretazione di questo emendamento è che l’industria del vino sarebbe autorizzata a completare la vendemmia e anche i processi di cantina necessari per garantire che il raccolto non sia sprecato”, commenta Christo Conradie, rappresentante dei 2.500 viticoltori sudafricani che aderiscono a Vinpro.

I lavoratori agricoli demandati a raccogliere l’uva e/o ad operare come operai di cantina – conclude il dirigente – saranno considerati lavoratori essenziali durante il lockdown”.

“Siamo davvero molto grati per questo risultato e ci dà la tranquillità necessaria il primo giorno di #lockdown, un venerdì proprio prima del fine settimana. Permetterà ai lavoratori agricoli di lavorare in modo ottimale e di portare all’ultimo raccolto”, aggiunge Conradie.

Infine, un appello ai lavoratori: “Vorremmo ancora una volta rivolgere a tutti una richiesta amichevole, ma seria, affinché continuino ad agire in modo responsabile. Sullo sfondo di una crisi globale, accogliamo questo permesso con la dovuta diligenza e facciamo in modo che si operi con la considerazione necessaria”.

Categorie
Food Lifestyle & Travel news news ed eventi

Agricoltura, Coronavirus “blocca” un milione di lavoratori stagionali nell’Ue

La chiusura delle frontiere scelta per fronteggiare Coronavirus “blocca” quasi un milione di lavoratori stagionali dell’agricoltura. Lo stima Coldiretti, nel ricordare le imminenti campagne di raccolta ortofrutticola. Dalla Germania alla Francia, dalla Spagna all’Italia è allarme per l’Ue, che rischia di perdere quest’anno l’autosufficienza alimentare e il suo ruolo di principale esportatore mondiale di alimenti per un valore si 138 miliardi di euro con un surplus commerciale nell’agroalimentare di 22 miliardi.

La soluzione? “Dopo le merci – afferma il presidente Coldiretti Ettore Prandini – è necessario creare corsie verdi alle frontiere interne dell’Unione Europea anche per la circolazione dei lavoratori agricoli”. A livello nazionale, l’associazione degli agricoltori chiede “una radicale semplificazione del voucher ‘agricolo’“.

L’obiettivo, per Coldiretti, è “consentire da parte di cassaintegrati, studenti e pensionati italiani lo svolgimento dei lavori nelle campagne in un momento in cui scuole, università attività economiche ed aziende sono chiuse e molti lavoratori in cassa integrazione potrebbero trovare una occasione di integrazione del reddito proprio nelle attività di raccolta nelle campagne”.

I NUMERI IN EUROPA E IN ITALIA

A causa del Coronavirus, i 200 mila stagionali rumeni, polacchi, tunisini, marocchini e di molti altri Paesi che ogni anno contribuiscono ai raccolti primaverili francesi non potranno raggiungere il Paese e la Fnsea, la Coldiretti d’Oltralpe, è in allarme con il ministro dell’agricoltura Didier Guillaume che ha invitato quanti si siano ritrovati senza lavoro per via delle restrizioni imposte dal covid-19, ad “unirsi alla grande armata dell’agricoltura francese!”.

Il Ministro dell’Agricoltura tedesco Julia Kloeckner propone di impiegare come lavoratori stagionali in agricoltura i lavoratori del settore alberghiero e della ristorazione per colmare il vuoto di circa 300 mila unità lasciato dagli stagionali polacchi e rumeni.

Un buco che pesa anche sulla Spagna rimasta, ad esempio, senza i soliti 10 mila lavoratori stagionali marocchini impegnati nella raccolta fragole e  sta cercando nella popolazione nazionale come coprire questi posti vacanti e quelli delle campagne successive.

In Italia, su sollecitazione del Presidente della Coldiretti Ettore Prandini, il Ministro delle Politiche Agricole Teresa Bellanova è intervenuto per prorogare i permessi di soggiorno per lavoro stagionale in scadenza al fine di evitare agli stranieri di dover rientrare nel proprio Paese proprio con l’inizio della stagione di raccolta nelle campagne.

La proroga, secondo la circolare del Ministero degli Interni dura fino al 15 giugno e riguarda i permessi di soggiorno in scadenza dal 31 gennaio al 15 aprile ai sensi dell’articolo 103 comma 2 del D.L. 18.

“Un’esigenza che – sottolinea la Coldiretti – è stata resa più urgente dal caldo inverno che ha anticipato la maturazione delle primizie come fragole e asparagi proprio nel momento in cui la chiusura della frontiere per l’emergenza sanitaria ha fermato l’arrivo nelle campagne italiane di lavoratori dall’estero”.

IL DOSSIER IMMIGRAZIONE

Con il blocco delle frontiere alla circolazione delle persone resta però a rischio, sempre secondo le stime Coldiretti, più di ¼ del Made in Italy a tavola che viene raccolto nelle campagne da mani straniere con 370 mila lavoratori regolari che arrivano ogni anno dall’estero.

Si registrano infatti disdette degli impegni di lavoro da parte di decine di migliaia di lavoratori stranieri che in Italia trovano regolarmente occupazione stagionale in agricoltura. Fornendo il 27% del totale delle giornate di lavoro necessarie al settore, secondo l’analisi della Coldiretti.

Secondo le elaborazioni Coldiretti, che ha collaborato al Dossier statistico Immigrazione 2019 la comunità di lavoratori agricoli più presente in Italia è quella rumena con 107591 occupati, davanti a marocchini con 35013 e indiani con 34043, che precedono albanesi (32264), senegalesi (14165), polacchi (13134), tunisini (13106), bulgari (11261), macedoni (10428) e pakistani (10272).

Sono molti i “distretti agricoli” del nord dove i lavoratori immigrati rappresentano una componente bene integrata nel tessuto economico e sociale come nel caso della raccolta delle fragole e asparagi nel Veronese, della preparazione delle barbatelle in Friuli, delle mele in Trentino, della frutta in Emilia Romagna, dell’uva, delle mele, delle pere e dei kiwi in Piemonte, dei pomodori, dei broccoli, cavoli e finocchi in Puglia fino agli allevamenti e i caseifici della Lombardia.

Categorie
Approfondimenti

Tassazione del gasolio agricolo: Lombardia pronta alla mobilitazione


MILANO –
Lombardia pronta alla “mobilitazione” contro la tassazione del gasolio agricolo. Lo annuncia l’assessore all’Agricoltura e ai Sistemi verdi, Fabio Rolfi. Nel DL Clima, il carburante non è infatti inserito tra i sussidi per gli agricoltori italiani.

“Il governo – attacca Rolfi commentando la bozza che prevede l’eliminazione delle agevolazioni – vuole tassare le aranciate e le cedrate lombarde, i dolcetti prodotti dalle nostre aziende e adesso anche il gasolio dei trattori. Tutto questo in due settimane.

Siamo alle comiche, ma con l’agricoltura lombarda non si scherza. Se davvero tasseranno il gasolio agricolo siamo pronti a una mobilitazione generale con gli agricoltori lombardi”.

“Le aziende agricole lombarde sono più di 50 mila. La Lombardia è la prima regione agricola d’Italia e anche solo annunciare nuove tasse provoca danni alle imprese e all’indotto. Se il ministro Costa pensa di risolvere i problemi climatici bastonando l’agricoltura più green d’Europa avrà l’effetto opposto: far chiudere le aziende agricole significa provocare un danno devastante all’ambiente”.

Rolfi aggiunge: “Solo quest’anno la Regione Lombardia ha dato alle aziende agricole 8 milioni di euro per impianti di produzione di energia verde. Per noi l’agricoltura è una risorsa straordinaria, per il governo evidentemente è un problema. Togliere le agevolazioni al gasolio agricolo significa aiutare le aziende francesi e tedesche perché si rendono più competitivi i loro prodotti. Mi auguro che il governo faccia retromarcia”.

Categorie
Gli Editoriali

Perché i mancati sussidi per il carburante fanno incazzare gli agricoltori italiani?


EDITORIALE –
Coldiretti lo definisce “un attacco senza precedenti all’agricoltura più green d’Europa”. Fatto sta che il mancato inserimento dei sussidi per il carburante agricolo nel DL Clima, sta facendo incazzare – e non poco – gli agricoltori italiani.

L’Italia è l’unico Paese al mondo con 5155 prodotti alimentari tradizionali censiti, 297 specialità Dop/Igp riconosciute a livello comunitario e 415 vini Doc/Docg. Ma è anche leader in Europa, con quasi 60 mila aziende agricole biologiche. Un Paese, il nostro, che ha fatto la scelta di vietare la carne agli ormoni e le coltivazioni Ogm, a tutela dei primati nazionali e della biodiversità.

Un patrimonio garantito dal lavoro quotidiano degli agricoltori. Senza i sussidi, secondo quanto afferma Coldiretti, “si rischia di mettere fuori mercato il Made in Italy rispetto ai partner europei e di condannare all’abbandono e al dissesto idrogeologico gran parte del territorio nazionale”.

Da qui le proposte contro al provvedimento proposto dal Ministro dell’Ambiente Sergio Costa, nell’ambito del Decreto legge Clima. “Il gasolio – spiega Ettore Prandini, presidente Coldiretti – è l’unico carburante utilizzabile al momento per i trattori”.

“Tassarlo non porterebbe alcun beneficio immediato in termini di utilizzo di energie alternative, a favore delle quali dovrebbe invece essere sviluppato un programma di ricerca e di sperimentazione per i mezzi agricoli”.

“L’aumento dei costi del carburante e la revisione della fiscalità sull’attività di allevamento – aggiunge il numero uno della federazione agricoltori – costringerebbero semplicemente molti pescatori, agricoltori e allevatori a chiudere la propria attività, con un devastante impatto ambientale soprattutto nelle aree interne più difficili”.

Sempre secondo Coldiretti, “il risultato sarebbe solo la delocalizzazione delle fonti di approvvigionamento alimentare con un enorme costo ambientale legato all’aumento dei trasporti inquinanti su gomma dall’estero”.

LA MATERIA È COMPLICATA

La vicenda, tuttavia, è più annosa di quanto sembri. Ogni anno, in italia, sono centinaia le sanzioni comminate dalle autorità competenti alle aziende agricole, in materia di assegnazione del gasolio. Il motivo, spesso, sono dichiarazioni mendaci, al fine di ottenere il carburante agricolo agevolato.

In alcuni casi si tratta di doppie assegnazioni, o di richieste pervenute da parte di soggetti cui non spetta il sussidio. Colpa, spesso, delle linee guida per l’assegnazione del carburante, difformi di regione in regione. Così come difformi risultano i criteri di trasparenza richiesti dalle Regioni agli agricoltori.

Stando alle recenti battaglie di associazioni come Uncai e Confai, in Lombardia i contoterzisti non hanno a disposizione i fascicoli aziendali dei loro clienti, grazie ai quali potrebbero conoscere se un determinato terreno che gli viene chiesto di lavorare sia presente o meno nella documentazione.

Un elemento che impedirebbe alle stesse autorità competenti di verificare lo scorretto utilizzo del carburante agricolo, a differenza di quanto avviene in Regioni come il Veneto. Ma c’è di più, ed è il tema dei mancati introiti delle accise da parte dello Stato, sulle frazioni di gasolio agricolo.

Che il ministro Costa, col DL Clima, abbia scelto di percorrere la via più corta, per consentire ad altri, a cascata, di liberarsi del fardello del riordino della materia e degli annessi controlli sulle irregolarità? Siamo nei tempi della “semplificazione” e va bene. Purché non la si chiami “scelta per l’ambiente”.

Categorie
news news ed eventi

Crisi Governo, ma Centinaio nomina nuovo direttore Agea. Sarà in carica per 3 anni

ROMA – Nonostante la crisi di Governo in atto, il Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, Gian Marco Centinaio ha firmato oggi la nomina di Andrea Comacchio (nella foto) quale nuovo direttore dell’Agea, l’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura. L’investitura vale per un periodo di tre anni, a partire dal 14 settembre 2019.

“Gli agricoltori italiani – commenta il ministro Centinaio – hanno bisogno di risposte concrete e tempi certi. Fin dal mio insediamento come Ministro mi sono impegnato per onorare il loro lavoro e la loro professionalità”.

“Con la nomina di oggi andiamo avanti in questa direzione, consapevoli che soltanto una squadra che lavora bene può rilanciare uno dei comparti trainanti del nostro Made in Italy“, conclude l’esponente della Lega.

Pronta la replica dei deputati del Movimento 5 Stelle in commissione Agricoltura alla Camera: “Cercare di dare delle spiegazioni plausibili alle ultime azioni della Lega risulta impossibile”.

“Proprio oggi ecco l’ultima trovata, mentre il Paese rischia di andare a rotoli a causa dei loro giochini di convenienza, il ministro all’Agricoltura Gian Marco Centinaio, in quota Lega, invece di dimettersi pensa bene di firmare una nomina triennale, quella di Andrea Comacchio come Direttore dell’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura (AGEA)”.

“Riteniamo che il ministro avrebbe dovuto dimettersi da giorni – conclude il M5S – visto che è proprio il suo partito ad aver staccato la spina a questo governo voluto dalla maggioranza degli italiani e che ora invece, subiscono il caos politico che la Lega ha generato. Al caos ora i leghisti aggiungono la beffa, con una nomina last minute in pieno stile da Prima Repubblica”.

Categorie
news

Il Tar Toscana sospende la caccia in braccata al cinghiale. Produttori di vino in rivolta

FIRENZE – “La decisione del Tar della Toscana che ha sospeso in via cautelare la caccia in braccata al cinghiale, è di fatto una condanna a morte per tante produzioni viti-vinicole della Toscana e quindi per tante aziende che sulle viti e sul vino di qualità hanno fatto investimenti cospicui”.

Così Luca Sanjust, Presidente di A.VI.TO – Associazione vini Toscana Dop e Igp, il primo organismo unitario di rappresentanza della viticultura toscana di qualità, ha commentato la decisione dei giudici amministrativi di sospendere la caccia in braccata al cinghiale.

E’ evidente che si tratta di una mazzata durissima per tutti noi – ha spiegato Luca Sanjust – perché ci lascia indifesi di fronte a una situazione oramai ingestibile in cui l’aumento sproporzionato e incontrollato degli ungulati ha completamente rovesciato qualsiasi principio di equilibrio naturale.

Siamo in una situazione innaturale in cui non riportare queste popolazioni di cinghiali a un numero equilibrato significa non voler il bene della natura toscana”.

I primi a pagare i conti di questa deriva falsamente ambientalista – ha concluso il presidente di A.VI.TO. – saranno proprio coloro che, come noi viticultori , sulla qualità dell’ambiente hanno fatto una scommessa imprenditoriale e di vita.

Ci auguriamo che qualcuno quando anche il settore del vino sarà messo in ginocchio non venga da noi a piangere false lacrime di coccodrillo. O si interviene oggi, qui e ora, o è preferibile che chi ha responsabilità di governo della cosa pubblica, taccia e lo faccia per sempre”.

Nata nel 2016  A.VI.TO. rappresenta oltre 5 mila imprese per un fatturato stimato di circa un miliardo di euro ed una quota export superiore al 70%. Riunisce 20 consorzi di Tutela:Vino Chianti, Chianti Classico, Brunello di Montalcino, Morellino di Scansano, Vino Nobile di Montepulciano, Bolgheri, Denominazione San Gimignano, Maremma Toscana, Chianti Colli Senesi, Chianti Rufina, Montecucco, Cortona, Chianti Colli Fiorentini, Valdichiana Toscana, Orcia, Valdarno di Sopra, Carmignano, Montescudaio, Pitigliano, Terre di Pisa, IGT Toscana.

Categorie
news

La Georgia vuol fare vino su Marte: sarà un bianco da uve Rkatsiteli


Non basta alla Georgia il primato sulle prime tracce storiche di viticoltura al mondo. I ricercatori dell’ex Repubblica Sovietica stanno studiando il modo di produrre il primo vino sul pianeta Marte. E’ il “IX Millennium project“. La notizia rimbalza in Italia dal quotidiano inglese Telegraph.

Le uve Rkatsiteli, autoctone della Georgia, sarebbero particolarmente resistenti ai raggi ultravioletti. Da qui l’idea del rettore dell’Università dell’Economia e della Tecnologia, Nino Enukidze, di portarle su Marte per verificarne la risposta. “IX Millennium” si è consultato con l’Agenzia spaziale europea e spera di lavorare anche con la Nasa, che ha promesso di portare gli uomini su Marte entro i prossimi 10 anni.

LO STUDIO

Per ora Enukidze sta portando avanti il progetto in collaborazione con l’Agenzia di Ricerca Spaziale georgiana e la startup “Space Farms“, ovvero “Fattorie dello Spazio”. Si comincia dall’uva per arrivare poi ad altri tipi di frutta e verdura.

Abbiamo in programma di ricercare tutte le possibilità che consentano agli astronauti di sedersi comodamente su Marte e bere vino georgiano“, spiega senza giri di parole Nino Enukidze.

Come riferisce sempre il Telegraph, la Business and Technology University della Georgia aprirà entro fine anno un laboratorio che simula le condizioni del pianeta Marte, quarto Pianeta del Sistema Solare, ricco di ossidi di ferro che ne determinano il tipico colore rosso. Un po’ come certe terre della nostra viticoltura.

Un ricercatore del progetto sta già allevando batteri partendo da microbi raccolti dalle sorgenti calde solforose della Georgia e da altri ambienti estremi, che potrebbero potenzialmente aiutare le piante a fissare l’azoto nel terreno marziano.

Al contempo, la startup “Space Farms” sta sviluppando dei semi per l’agricoltura verticale in grado di crescere con l’ausilio di luci idroponiche. Gli astronauti sarebbero così in grado di coltivare uva e altri alimenti “in biodiversità ristretta”, su Marte.

“Oltre all’esplorazione delle condizioni di coltivazione su Marte – evidenzia ancora Nino Enukidze – il progetto ‘IX Millennium’ andrà a beneficio dei produttori di uva e dell’economia locale georgiana, mostrando che le uve sono resistenti agli effetti dei cambiamenti climatici”.

Categorie
Approfondimenti

Assessore Rolfi: La viticultura è un comparto strategico per la Lombardia

MILANO – La Regione Lombardia, su proposta dell’assessore all’Agricoltura, Alimentazione e Sistemi verdi Fabio Rolfi, ha approvato le modalità e le condizioni per l’applicazione della misura Investimenti OCM vino, finalizzata ad aumentare la competitività dei produttori di vino, a migliorare il rendimento globale dell’impresa e il suo adeguamento alle richieste di mercato.

SOSTEGNO PER INVESTIMENTI MATERIALI E IMMATERIALI
“La misura concede un sostegno per investimenti materiali e immateriali in impianti di trattamento, in infrastrutture vinicole e nella commercializzazione del vino – ha dichiarato Fabio Rolfi – Nel 2019, grazie ai fondi messi a disposizione dal Ministero, i produttori lombardi potranno contare su 11.800.000 euro. Potranno ricevere questi fondi le micro, piccole e medie imprese agricole e di trasformazione e le grandi imprese che occupano meno di 750 persone con fatturato inferiore a 200 milioni di euro. Con la misura OCM vino la Regione Lombardia ha appena distribuito 3,5 milioni di euro per 20 progetti di internazionalizzazione del vino lombardo. Si tratta di un comparto su cui vogliamo investire. Il vino rappresenta uno dei prodotti più distintivi del nostro territorio”.

LE AZIONI PREVISTE
Le azioni previste nell’ambito della Misura Investimenti sono le seguenti: nuova costruzione, ristrutturazione, restauro o risanamento conservativo di fabbricati adibiti alla trasformazione, alla commercializzazione dei prodotti vinicoli, a magazzino, a sala degustazione o uffici aziendali; acquisto o realizzazione di impianti e acquisto di dotazioni fisse per la produzione, lavorazione e conservazione dei prodotti vinicoli e la trasformazione e commercializzazione; acquisto di recipienti per l’affinamento del vino; acquisto di macchine o attrezzature mobili innovative; allestimento di punti vendita al dettaglio, allestimento di sale degustazione; dotazioni utili per l’ufficio; creazione e l’aggiornamento di siti internet dedicati all’e-commerce.

GLI IMPORTI
L’importo complessivo delle spese ammissibili non può essere inferiore a 5.000 euro né superiore a 200.000. Il contributo massimo concedibile è pari al 40 per cento della spesa ammissibile effettivamente sostenuta per le micro, piccole e medie imprese agricole e di trasformazione e pari al 20 per cento per le grandi imprese. Il progetto presentato con la domanda di aiuto può avere durata annuale o biennale.

VIVERE IN MONTAGNA SIA UN’OPPORTUNITÀ
“Si tratta di una misura significativa anche per il territorio valtellinese – ha commentato l’assessore regionale alla Montagna Massimo Sertori -, destinata a sostegno delle micro, piccole e medie imprese, con particolare attenzione a quelle allocate in zone svantaggiate, montane o con vigneti terrazzati”. “In Provincia di Sondrio, l’unica provincia interamente montana, – ha proseguito Sertori – il settore vitivinicolo concorre in maniera importante alla conservazione del territorio e necessita di misure ad hoc. Da Regione Lombardia in questa ottica arriva un segnale forte e importante, volto a favorire la competitività e l’imprenditorialità locale, massimizzando un patrimonio che, nel nostro territorio, è considerato un sinonimo d’eccellenza ed è apprezzato in tutto il mondo”. “Vivere in montagna – ha concluso Sertori – può trasformarsi in opportunità”.

Categorie
Approfondimenti

Rame in agricoltura per altri 7 anni. L’Ue ha deciso

La Commissione Europea ha deciso: il rame si potrà utilizzare in agricoltura per altri sette anni. La nuova disposizione entrerà in vigore il primo febbraio 2019. Dopo mesi di trattative e ripensamenti è stata accolta la proposta della Commissione PAFF (Plants, Animals, Food and Feed) di concedere l’utilizzo di 4 kg di rame all’anno, calcolati sulla media di sette anni.

In pratica gli agricoltori potranno usare un massimo di 28 kg di rame nel settennio, regolandosi sulle quantità in base all’annata. “Abbiamo fatto un grande lavoro come CEVI a livello europeo e come FIVI a livello italiano. Non siamo del tutto soddisfatti, ma abbiamo evitato il peggio”, dichiara la presidente Matilde Poggi.

La proposta dell’EFSA del 2016 di vietare l’utilizzo del rame in agricoltura e la successiva proposta della Commissione PAFF di togliere la possibilità di calcolare la quantità di rame utilizzabile con il metodo della media matematica, secondo Fivi, “sarebbero state davvero disastrose”.

“Avremmo preferito una riduzione più graduale almeno per chi opera in regime di Agricoltura Biologica, ma arrivare al rinnovo per sette anni e conservare il meccanismo della media ci fa tirare un sospiro di sollievo”.

Categorie
Approfondimenti

Gian Marco Centinaio, idee chiare per il neo ministro: “Difenderemo il Made in Italy”

ROMA – “Il primo impegno è la difesa del Made in Italy agroalimentare”. Queste le prime parole di Gian Marco Centinaio, neo ministro delle politiche agricole alimentari e forestali.

Il pavese Centinaio si è insediato questa mattina al Palazzo dell’Agricoltura di via XX Settembre, sede del Dicastero.

Il Ministro Centinaio ha incontrato i Capi Dipartimento e i vertici degli organismi di controllo collegati al Mipaaf (Ispettorato repressione frodi – ICQRF, Carabinieri del Comando unità tutela forestale ambientale e agroalimentare e del Nuclei Antifrodi – NAC e Capitanerie di Porto – Guardia Costiera).

“L’agroalimentare italiano – ha precisato il neo ministro Gian Marco Centinaio – deve essere difeso da contraffazioni e italian sounding. Faremo sentire la nostra voce e lavoreremo in sinergia con le associazioni di categoria, difendendo il lavoro e il reddito dei nostri agricoltori, allevatori e di quanti ogni giorno si impegnano per portare in alto il nome dell’Italia in questo comparto”.

Categorie
Approfondimenti

Danni della fauna selvatica in Lombardia: attivato tavolo di gestione del cinghiale

Ettore Prandini, presidente di Coldiretti Lombardia, torna sulla questione della fauna selvatica, commentando positivamente il tavolo sulla gestione del cinghiale attivato in Regione Lombardia dall’assessore Fabio Rolfi, che ha anche richiesto una modifica delle norme sul contenimento dei selvatici a livello nazionale.

“La situazione è fuori controllo, così non si può andare avanti. Bisogna intervenire prima che sia troppo tardi per una gestione corretta ed efficace: la politica deve farsi carico una volta per tutte del problema e affrontare con responsabilità la situazione”.

“Non c’è da scherzare – continua il Presidente Prandini – gli indennizzi per i danni provocati nei campi e negli allevamenti non sono mai arrivati, ma non è più solo una questione di risarcimenti. In gioco c’è la sicurezza delle persone, nelle aree rurali e nei centri abitati oltre che sulle strade perché, sempre più spesso, animali come i cinghiali provocano incidenti purtroppo anche mortali”.

L’INDAGINE COLDIRETTI
Secondo un’elaborazione della Coldiretti Lombardia su dati regionali, in Lombardia negli ultimi tredici anni i danni causati dalla fauna selvatica, cinghiali compresi, hanno superato i 17 milioni di euro, di cui 13 milioni per assalti ai campi e 4 milioni per schianti automobilistici.

Si tratta di numeri prudenziali, spiega la Coldiretti, perché sempre più spesso gli agricoltori esausti non presentano neppure più le denunce. “Rispetto a qualche anno fa – conclude Ettore Prandini – in Lombardia la situazione è peggiorata perché il numero degli esemplari sul territorio, dalle nutrie ai cinghiali, è aumentato. Non si può più rimandare, serve subito un cambio di passo”.

Categorie
news ed eventi

Vini di Montefalco: “La svolta green vale 60 milioni in Umbria”

MONTEFALCO – Vini più green, con una riduzione dell’uso dei fitofarmaci del 40%, prodotti a partire da una gestione più sostenibile dei vigneti.

Una rivoluzione lanciata nella filiera vitivinicola dal Consorzio Tutela Vini Montefalco che diventa modello di sostenibilità per l’intero comparto agricolo della Regione Umbria.

Secondo i calcoli dell’ente consortile, l’Umbria potrebbe così toccare quota 60 milioni di euro di farmaci non somministrati in agricoltura.

Nato nel 2015 come progetto pilota per la coltivazione dei vigneti del Montefalco Sagrantino Docg, Grape Assistance diventa oggi Smart Meteo ed estende il suo raggio d’azione.

Oltre ai vigneti umbri saranno interessati anche gli altri tipi di coltivazione, mantenendo immutato l’obiettivo: un assistente tecnologico “in campo”, a servizio di tutti i produttori, che permette di ottenere bollettini meteo e previsioni a lungo termine, informazioni sullo stato di salute reale delle piante utili a superare il sistema dei trattamenti a calendario.

“Un valido aiuto – spiega Amilcare Pambuffetti, Presidente del Consorzio Tutela Vini Montefalco – che ha consentito di effettuare interventi mirati solo in caso di presenza di agenti patogeni, riducendo in maniera significativa l’utilizzo dei fitofarmaci. Oggi portiamo sui mercati, a partire da ProWeinprodotti più sostenibili e in linea con le esigenze dei consumatori”.

L’obiettivo, con Smart Meteo, è di raggiungere “una riduzione del 75% su tutto il territorio umbro, massimizzando i vantaggi del protocollo. “Una rivoluzione ecosostenibile ed economica sorprendente – evidenzia Pambuffetti – che siamo fieri di aver innescato”.

RISPARMIO GREEN: LE CIFRE
Il risparmio economico medio che il modello di Montefalco ha raggiunto, nei primi tre anni di applicazione in vigna, è di circa 175 euro l’ettaro. Con l’applicazione del protocollo all’interno di tutte le aziende del Sagrantino, 60 circa per poco più di mille ettari, si abbattono tonnellate di prodotti chimici, corrispondenti a circa 88 mila euro, con un risparmio complessivo stimato in circa 105 mila euro annui.

In Umbria i terreni coltivati coprono ben 340 mila ettari. Smart Meteo auspica, pertanto, a realizzare un’ambiziosa rivoluzione di innovazione agricola, che consentirà un maggior rispetto del territorio e una produzione più sostenibile e qualitativamente superiore.

“Le denominazioni di origine Montefalco – evidenzia il Consorzio di Tutela – si arricchiscono, dunque, di vini sempre più attenti all’ambiente, molti dei quali faranno il loro ingresso sul mercato estero in occasione del ProWein 2018”.

Un banco di prova importante: l’export pesa circa il 70% sul fatturato complessivo dei vini di Montefalco, contro una propensione all’export del 52% del comparto del vino italiano.

Nel 2017, le aziende umbre hanno esportato fuori dai confini nazionali quasi il 10% in più rispetto all’anno precedente, soprattutto verso la Germania mercato di riferimento per rossi e bianchi fermi prodotti in maniera sostenibile.

Il 12% dei tedeschi, infatti, dichiara di aver consumato vino green, soprattutto italiano e l’84% si dichiara interessato a continuare acquistarlo in futuro (dato Survey Wine Monitor Nomisma 2017 per ICE-Agenzia).

Categorie
news ed eventi

Dieci domande sul (vero) vino biologico italiano

“Lavoriamo in biologico, sia in cantina sia in vigna. Non siamo certificati ‘bio’, ma è come se lo fossimo”. Chi gira per cantine avrà sentito decine di volte questo ritornello. Ma cosa significa, allora, essere “certificati bio”?

Il “biologico” è solo una questione burocratica? Vale la pena certificarsi? Ma soprattutto: che differenza c’è tra un vino “convenzionale” e uno “biologico”?

Lo abbiamo chiesto a due belle realtà tutte italiane: l’Azienda agricola Quaquarini Francesco, che opera in Oltrepò Pavese ed è stata selezionata da vinialsuper come “Miglior Cantina Gdo 2016“, e Cantine Losito – Terre del Gargano, in Puglia. Le dividono 742 chilometri. Ma le due aziende sono vicinissime nel modo di condurre vigna e cantina. Rispondono alle domande Francesco Quaquarini e Giovanni Losito.

1) Da quanto l’azienda è certificata biologica?
Quaquarini: Dal 2002.
Losito: Dal 1997 al 2000 mio padre ha testato le pratiche bio, per verificarne l’efficacia e l’applicabilità nelle nostre vigne. Ottenendo buoni risultati, dal 2000 è cominciata la conversione a livello burocratico e, dopo i 5 anni previsti dal regolamento, le vigne hanno ottenuto la certificazione bio.

Dal 2012, con l’introduzione della menzione “vino biologico” a livello europeo,  è stato necessario anche certificare la cantina ed il processo, ottenendo immediatamente la certificazione.

2) Perché questa scelta? Conviene?
Quaquarini: E’ una scelta personale, non legata alla commercializzazione. Noi viviamo in mezzo alle nostre vigne, lavoriamo in campagna e non vogliamo utilizzare prodotti chimici per la nostra salute e quella dei nostri collaboratori.

Pensiamo che una corretta gestione del terreno possa essere positivo per un giusto equilibrio e rispetto dell’ecosistema, per salvaguardare la naturale fertilità e biodiversità del terreno.

Dai controlli sulla vegetazione si rilevano analiticamente l’assenza totale di residui di fitofarmaci che, altrimenti, se ci fossero, andrebbero sicuramente a finire in parte nel vino. E’ provato che l’impatto ambientale su equivalenti di area non è enormemente distante tra l’agricoltura convenzionale e quella biologica, ma sul prodotto finale i risultati sono scientificamente provati.

La lotta contro i parassiti nell’agricoltura biologica si basa soprattutto sull’utilizzo di antagonisti naturali (animali-antagonisti), repellenti naturali, barriere naturali etc. L’inerbimento controllato inoltre protegge il suolo dall’erosione, mantenendo una naturale ricchezza e fertilità , anche dal punto di vista idrico gli effetti sono assolutamente positivi.

Penso convenga qualitativamente, anzi ne sono convinto. Da un punto di vista strettamente economico sicuramente no, per il mercato italiano. I costi di produzione sono più alti del 30% circa, inoltre il rischio di perdere la produzione è molto più elevato.

Losito: La risposta sembrerà una frase fatta, ma è stata prima di tutto una scelta di sensibilità. Siamo viticoltori a livello professionale da tre generazioni, pertanto abbiamo visto persino la viticoltura intensiva da tavola delle nostre zone degli anni 70-90, con l’uso smodato di antiparassitari e fitofarmaci residuali, prima che gli studi dimostrassero gli effetti negativi su salute e natura.

Siamo le persone più presenti nei nostri stessi terreni ed i primi consumatori dei nostri prodotti, quindi abbiamo voluto tutelare la nostra salute e quella dei nostri clienti. Inoltre, volendo proseguire in questo lavoro ed in queste zone anche nelle generazioni a venire, è logico pensare ad una gestione più sostenibile e rispettosa della vitalità della natura stessa.

L’uso prolungato e smodato di fitofarmaci residuali o sistemici ed una agricoltura volta alla “rapina” alla lunga porta all’infertilità ed al disequilibrio dell’ambiente dove si coltiva…e lì, di che terroir si vuole più parlare. Conviene? Dal punto di vista economico le valutazioni da fare sono troppe e la risposta è diversa per ogni produttore.

Per fare una regola generale mi sento di dire che, in ambito vitivinicolo, conviene solo quando la gestione è affidata a persone tecnicamente e scientificamente molto competenti, nel territorio con condizioni pedoclimatiche favorevoli, ed avendo il mercato giusto a cui vendere e/o facendo accordi di filiera con chi vende professionalmente nel biologico.

3) Quali sono stati i passi necessari per ottenere la certificazione?
Quaquarini: A parte la burocrazia , da un punto di vista tecnico abbiamo solo dovuto formalizzare su carta quello che già facevamo, implementando la ricerca scientifica per migliorare il risultato (es: capannina meteo con programma anticrittogamico in collaborazione con l’Università Agraria di Piacenza).

Losito: È stata fatta richiesta ad agronomi professionisti, i quali hanno curato burocraticamente la richiesta all’Organismo di Controllo (OdC) da noi scelto (nel nostro caso, quello con l’ufficio più vicino alla nostra azienda, a 20 km di distanza).

L’OdC a sua volta ha verificato l’ammissibilità della nostra richiesta a livello agronomico e si è interfacciato con l’Unione Europea per l’autorizzazione. Abbiamo poi aspettato cinque anni come da regolamento, per far sì che diminuisse la concentrazione degli eventuali residuali in precedenza usati.

Nel nostro caso, si poteva aspettare anche molto meno dato che già la nostra gestione era molto più “pulita” ed eravamo reduci da tre anni di prove in bio, ma la legge è legge.

4) A quale costo (economico, burocratico, di personale necessario a gestire le pratiche)?
Quaquarini: La burocrazia è il primo vero ostacolo alla scelta del biologico. L’impegno gravoso in ufficio è equivalente al maggior impegno che dobbiamo sostenere in campagna.

La certificazione giustamente ci obbliga ad una serie interminabile di trascrizioni, registrazioni, dove gli attori sono diversi: noi, l’ente certificatore, l’ente provinciale e i rivenditori di prodotti agricoli (dalle vitine fino alla vendemmia). C’è anche un impegno non irrilevante in termini di studio, sperimentazione e aggiornamento tecnico  sull’intera filiera produttiva.

Losito: Il costo dipende da azienda ad azienda, ma diciamo che tra i nostri costi vivi e nascosti in media siamo sulle 500 euro a ettaro. L’Europa però dà contributi per la gestione bio, pertanto i costi potrebbero diminuire anche di molto, dipende dalla professionalità dell’azienda.

5) Cosa distingue un’azienda certificata bio da una non certificata bio, ma che segue comunque i dettami dell’agricoltura biologica?
Quaquarini: Molti dicono “Non siamo certificati ma è come se lo fossimo”. E’ un modo di operare non molto chiaro. O lo sei, o non lo sei. L’autocertificazione non è ancora ammessa, i controlli devono essere garantiti da un ente terzo (sicuramente per me non è giusto che a certificare sia una struttura privata pagata dall’azienda).

Certo dipende fondamentalmente dalla serietà delle persone. Basta guardare il telegiornale per sentire parlare di truffe sul biologico di aziende perfettamente certificate e questo è un grandissimo problema per chi cerca di lavorare bene.

Losito: Prima di tutto la certezza di controlli e l’affidabilità dell’operato (salvo frodi, comunque punibili per legge). Nel primo caso l’azienda, essendo controllata da enti esterni (i dettagli nelle risposte successive), riesce a garantire prima di tutto una tracciabilità di prodotto, ma anche che il prodotto sia effettivamente assente da residuali non ammessi.

Nel secondo caso, in genere, il solo applicare le tecniche bio non garantisce che siano stati fatti controlli analitici e che non ci siano problemi di deriva da contadini vicini. Considerando che l’Europa aiuta economicamente coloro che decidono di passare al bio, sarebbe economicamente svantaggioso non aderire ai sistemi di controllo nonostante l’applicazione delle tecniche.

Chi decide di non aderire, in genere, è più un millantatore che altro, perseguibile anche per legge. È come dire “il mio vino è docg, fidati solo della mia parola”.

6) Quali sostanze sono ammesse nella pratica bio in vigna e in cantina? Quali sono escluse rispetto al vino ottenuto da agricoltura “tradizionale”?
Quaquarini: Per la campagna tutti i concimi organici certificati bio (dal letame ai pellettati), per la difesa contro gli insetti dannosi si possono usare antagonisti naturali (imenotteri, thuringiensis, ferormoni per la confusione sessuale), piretroidi.

Contro la peronospora si usa rame con il limite di utilizzo di 6 Kg/ha per annata agraria. Per l’oidio si usa zolfo e il fungo ampelomyces quisqualis. No OGM. A queste si aggiungono adeguate pratiche agronomiche atte a minimizzare gli attacchi dannosi e aumentare l’efficienza degli interventi (inerbimento, potatura secca e verde, siepi, arieggiamento del grappolo, scelta delle varietà di uva più idonee alla zona, forme di allevamento, sesti d’impianto).

Per la cantina, l’utilizzo della solforosa è tollerato e regolamentato con un dosaggio più basso rispetto al vino convenzionale. La chiarificazione e stabilizzazione dei vini può essere può essere ottenuto con mezzi fisici (freddo, centrifugazione, filtrazione) con o senza l’impiego di prodotti enologici (lieviti, caseina, albumina, bentonite, sol di silice, tannini).

Non si possono usare un’infinità di prodotti, per esempio: carbone, lisozima, polivinil pirrolidone, ferrocianuro di potassio, trattamenti termici…

Losito: In vigna le principali ammesse sono diverse. Sostanze di origine vegetale o animale come c’era d’api, gelatina; olii vegetali e minerali; batteri, virus e funghi o loro estratti che attaccano i parassiti della vite; feromoni; rame e zolfo (a concentrazioni controllate dall’OdC).

Per quelle non ammesse ti allego una nostra analisi multiresiduale, in cui si attesta l’assenza di oltre 500 fitofarmaci non ammessi (previsti invece nell’agricoltura convenzionale), nome per nome.

In cantina i principali coadiuvanti ammessi sono bentonite, chiarificanti di origine vegetale e animale, anidride solforosa (in concentrazioni massime minori rispetto al convenzionale, fino quasi al dimezzamento per alcune tipologie).

Non ammessi sono acido sorbico e sorbati, lisozima, Chitosano, acido malico, ammonio bisolfito, solfato di ammonio, pvpp, Carbossimetilcellulosa, Mannoproteine di lieviti, enzimi beta-glucanasi, Ferrocianuro di potassio, Caramello.

Non sono neanche ammessi alcuni procedimenti fisici quali concentrazione parziale attraverso il raffreddamento, eliminazione dell’anidride solforosa, trattamento per elettrodialisi, dealcolizzazione parziale, trattamento con scambiatori di cationi, filtrazioni inferiori a 0,2 micrometri.

7) Il vino bio è diverso da quello “tradizionale”? La differenza si può riscontrare nel calice, all’assaggio?
Quaquarini: Alla degustazione non è paragonabile, nasce da principi diversi. Sicuramente analiticamente è diverso, i residui di trattamenti, diserbanti,coadiuvanti enologici lasciano una traccia chimico/analitica ben evidente. La diversità sta nel lavoro.

Per valutare una diversità all’assaggio bisognerebbe fare una degustazione in parallelo di due vini identici ottenuti con metodi diversi. Penso che i vini bio e convenzionali possano essere buoni o cattivi entrambi: dipende dall’attenzione e dalla cura nella produzione.

Losito: Oggettivamente, dal solo punto di vista dei fitofarmaci residui, è sicuramente diverso, è più salubre. Per chi consuma vino quotidianamente, sicuramente questo fattore è importante per evitare accumuli. Sul fronte delle differenze nella degustazione si apre un mondo di valutazioni, tutte opinabili, senza una regola oggettiva.

Mettiamola così: premettendo che per fare un vino biologico si debbano prendere precauzioni e provvedimenti atti ad ottenere per forza un prodotto di alta qualità (in maniera da evitare problemi risolvibili solo con metodi non ammessi in bio), sicuramente la media dei vini biologici ha una qualità organolettica migliore della media dei vini convenzionali.

Se un vino biologico non è buono, non deve essere giustificato, come invece accade per i cosiddetti “vini naturali”, ai quali erroneamente spesso sono associati.

9) Come avvengono i controlli e con che periodicità?
Quaquarini: L’ente certificatore effettua 2-3 controlli all’anno. Non c’è un calendario e sono casuali e imprevisti.I controlli avvengono in ufficio, in campagna e in cantina, per valutare tutte le fasi della produzione e della vendita del prodotto.

In campagna oltre al controllo visivo, si prelevano campioni di foglie e di uva per le analisi.In cantina si prelevano campioni di vino, mentre in ufficio (con tempi lunghissimi) si controllano tutte le carte, si contano bottiglie ed etichette bio e tutti i documenti della vendita.

Purtroppo il peso dei controlli è sempre più spostato verso una burocrazia mastodontica e inutile.Gli addetti ai controlli sono tecnici esterni agli enti certificatori che cambiano ogni tre anni al massimo. Poi ci sono i controlli degli organi pubblici, come Ufficio Repressione Frodi (ICQ), Nas, Provincia, Finanza etc.

Losito: L’OdC assegna un profilo di rischio per ogni azienda (dimensioni, vicinanza con altri, tipo di colture e prodotti) ed in base a questo aumenta la frequenza di visita. Noi abbiamo in media una visita ogni due mesi, ed in media durano 5 ore, in funzione della regolarità riscontrata e della complessità aziendale (conosco colleghi che hanno subìto controlli anche per 16 ore).

Come avviene: per ogni ispezione viene assegnato all’azienda un agronomo (non può ispezionare la stessa azienda più di tre volte consecutive) il quale fa un’indagine documentale riepilogativa, prelevando documenti in possesso delle autorità (fascicolo aziendale, pap, piano colturale, registri e verbali di precedenti ispezioni).

Viene poi in azienda a verificare che i documenti rispondano alla realtà ed analizza i nostri registri, nel quale sono indicati acquisti e vendite dei prodotti, dei fitofarmaci, delle materie prime, le operazioni colturali, la quantità di fitofarmaci utilizzata per ogni trattamento, le lavorazioni sui prodotti (uve, mosti, vini), il rispetto delle rese per ettaro (molto minori rispetto ai disciplinari igp o doc), riscontra la giacenza dei prodotti in base alle entrate ed uscite e la loro regolare etichettatura secondo le norme bio.

Infine, l’ispettore potrebbe prelevare campioni di terreno, pianta, uve, foglie o vini e sottoporli ad analisi multiresiduale per verificare l’effettiva assenza di fitofarmaci e coadiuvanti non ammessi.

Nel caso di irregolarità (che può anche essere un numero sbagliato sulla fattura), l’ispettore fa diffidare l’azienda e la certificazione bio è sospesa, così come la commercializzazione, il prodotto declassato a convenzionale ecc. L’azienda, in funzione della gravità del problema, si dovrà difendere e dimostrare l’innocenza, anche per vie legali.

10) Ha ragione chi dice che il biologico è ormai diventato una moda?
Quaquarini: Magari lo fosse!
Losito: La domanda porta con sé che la concezione che il settore del bio sia tutto uguale. Questo potrebbe valere per gli alimenti più comuni, ma il vino, rientrando anche nella categoria degli alcolici, segue dinamiche diverse, quasi opposte, specialmente in Italia.

Nel nord Europa, Nord America e Giappone, sicuramente il bio in alimentazione è anche una moda, una moda ragionata. Il vino bio, in questi posti, sicuramente è più apprezzato che qui da noi, seguendo le dinamiche del settore alimentare perché considerato comunque più salubre.

Nel nord Italia penso che il vino bio certificato sia visto più come una “alternativa interessante”, non una moda. Questo perché, mentre i produttori si impegnavano a far conoscere il vero bio, sono arrivate anche orde di “naturalisti” a confondere le idee, nel bene e nel male.

Oggi un operatore Ho.Re.Ca. del nord Italia, quando deve rifornirsi, in genere ragiona per estremi e semplificazioni: o grandi aziende famose e blasonate/di tendenza del momento, o l’estremista naturale (vedi il successo dei Triple A). In entrambi casi, mode. Il vino bio, che in genere prende il buono dei due estremi, si trova invece penalizzato in quanto tra i due estremi.

Ed al sud? Al sud, solo che ci penso, mi vengono amare risate. La maggior parte degli operatori classici (il 90% del mercato) pensa bio = puzza. Quando lo andiamo a vendere spesso non specifichiamo che è bio, altre volte ci sentiamo dire “ah, peccato che è bio”, oppure “bio? Non si direbbe” o ancora “bio? Allora siete truffatori, il bio non esiste”.

Quelli che comprano invece credono che il vino bio certificato sia fatto da santoni che fanno miracoli. Quindi no, altro che moda. Sicuramente ci ha aiutato ad emergere nel mercato soddisfacendo una nicchia, ma ora capisco la scelta di Gaja nel fare bio ma non dirlo.

I più esperti, soprattutto i sommelier italiani, sono tra i maggiori oppositori del biologico (basta guardare i commenti nei gruppi facebook sul vino, quando vengono aperte discussioni in merito). Se quindi i primi a doverli consigliare sono i primi a denigrarli, sicuramente è più difficile venderli.

11) Spazio per ulteriori considerazioni
Losito: Credo nel vino biologico certificato, se di qualità. Esso prende la professionalità del convenzionale e la sensibilità del naturale. È il giusto che sta nel mezzo. Tutela il produttore, il consumatore e gli operatori del settore. Ha bisogno di essere comunicato, ha bisogno di scrollarsi di dosso i pregiudizi positivi e negativi dovuti dall’ignoranza (giustificata) derivata dalla sua complessità.

Ha bisogno di essere conosciuto per quello che è: un prodotto derivato da una gestione scientifica e meticolosa della pianta e del vino, volta ad una maggiore salubrità dell’ambiente e del prodotto, nella maniera più trasparente possibile.

Mi faccio una domanda, e la girerei anche ad Umberto: cosa cambiereste del biologico? Personalmente, farei qualche passo indietro nella legislazione, quando il vino era “da agricoltura biologica” o “da uve biologiche”.

Prima di tutto, con quelle menzioni era più chiara l’impronta ambientale di questa certificazione. Secondo, e parlo da enologo, molti coadiuvanti e processi fisici non ammessi in bio in realtà non costituiscono né un pericolo per l’ambiente, né per l’uomo.

Il loro uso potrebbe sprigionare il potenziale di molti vini bio, mantenendone intatta la salubrità. La paura della “chimica” in cantina ha generato ciò, ma deriva dalla scarsa conoscenza del comune consumatore. Non si può pretendere che tutti siano laureati in enologia, ma ci vorrebbe più fiducia negli enologi. Il consumatore teme ciò che non capisce e disprezza ciò che teme, divenendo prone alla manipolazione.

Categorie
news ed eventi

Romagna Doc Spumante: se ne parla a Faenza

FAENZA –Bollicine e territorio: la Romagna si muove e chiama l’Unione Europea”. Questo il titolo dell’incontro alla Fiera di Faenza domani, lunedì 26 febbraio, alle 20.30.

La serata chiama a raccolta tutto il mondo vitivinicolo della Romagna con particolare riferimento ai produttori di sparkling wine.

Secondo i dati del Consorzio Vini di Romagna lo scorso anno sono stati imbottigliati 5,4 milioni di bottiglie di vini frizzanti Igt con indicazioni romagnole, 900 mila di spumanti sempre Igt, inferiori sono stati i numeri per i vini a denominazione di origine controllata (Doc Romagna): 12mila bottiglie frizzanti, e 38mila spumanti.

Il trend pare destinato a crescere ancora di più, all’orizzonte poi c’è l’aggiornamento della Romagna Doc Spumante. Un progetto (criticato da associazioni come Fivi, la Federazione italiana Vignaioli indipendenti) che nasce “dall’esigenza di traguardare la viticoltura romagnola nei prossimi 20 anni, cercando di generare valore aggiunto attraverso una qualificazione dei disciplinari”.

Sempre secondo il Consorzio, lo spumante Romagna Doc favorirebbe “un forte impegno nell’innalzamento qualitativo delle produzioni e un altrettanto forte impegno nella capacità di intercettare i trend ed i mercati, nazionali ed esteri, maggiormente remunerativi per i produttori”.

Un pensiero rivolto sopratutto alle varietà autoctone, con la seconda fase che dovrà essere dedicata al Sangiovese di collina. Il progetto è promosso dal Consorzio Vini di Romagna con tutti i produttori impegnati a livello di Consiglio di amministrazione, commissioni tecniche e valorizzazione, in stretta sinergia con il coordinamento vino di Alleanza Cooperative Agroalimentari.

Non è un caso, appunto, che all’incontro a Faenza prendano parte i principali protagonisti del mondo vitivinicolo della Romagna e non solo: Paolo De Castro (nella foto) Vice presidente della Commissione agricoltura del Parlamento europeo, Stefano Bonaccini Presidente della Regione Emilia Romagna, Simona Caselli Assessore regionale all’Agricoltura.

Al convegno “Bollicine e territorio: la Romagna si muove e chiama l’Unione Europea” parteciperanno anche Ruenza Santandrea Coordinatrice settore vino Alleanza Cooperative Agroalimentare, Carlo Dalmonte Presidente Caviro, Marco Nannetti Presidente Terre Cevico, Giordano Zinzani del Consorzio Vini di Romagna, Mauro Sirri delle Cantine Celli di Bertinoro. Coordina la serata Antonio Farnè, caporedattore del Tg3 Emilia Romagna.

Exit mobile version