A Tavola con il Nobile 2018 protagonisti i Pici 1 1
MONTEPULCIANO – I “pici“, già iscritti all’Inventario nazionale patrimonio agroalimentare italiano (Inpai), saranno i protagonisti della sedicesima edizione di “A Tavola con il Nobile“, il concorso enogastronomico promosso dal Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano in collaborazione con il Magistrato delle Contrade.
Il premio vedrà impegnate nelle giornate di sabato 18 e domenica e 19 agosto le otto contrade protagoniste del Bravìo delle Botti (corsa con le botti per le vie del centro storico di Montepulciano) sfidarsi ai fornelli. Saranno venti giornalisti a giudicare le otto ricette a partire dall’accostamento al prodotto principe del territorio, il Vino Nobile di Montepulciano.
“Un evento – sottolinea il presidente del Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano, Piero Di Betto -ormai diventato storico si può dire e che ogni anno oltre ad attrarre opinion leader a livello internazionale, porta alla ribalta la qualità dei prodotti del territorio”.
“Ricordo che in sedici anni abbiamo pubblicato numerose edizioni con le oltre duecento ricette recuperate grazie a questo concorso, quindi un patrimonio che abbiamo aiutato a condividere con tutti”, conclude Di Betto.
UN RITORNO
I “Pici” erano già stati protagonisti nell’edizione 2012 di “A Tavola con il Nobile”, segnando uno storico primo premio ex-aequo. L’obiettivo che dovranno centrare le massaie sarà quello di sposare al meglio questa portata con il Vino Nobile di Montepulciano.
Già da sabato 18 agosto, in occasione della prima sessione di degustazioni, alcune contrade apriranno le porte anche al pubblico per far degustare le ricette della tradizione. I menu in concorso potranno essere assaggiati anche durante l’arco di tutta la prossima settimana.
Domenica 19 agosto la giuria concluderà il giro di assaggi e alle ore 16, presso il Teatro Poliziano, sarà svelato il vincitore in occasione anche della presentazione del panno del Bravìo e del nuovo cortometraggio sul Vino Nobile di Montepulciano dal titolo “Vino Nobile di Montepulciano: A Timeless Wine”.
UN TESORO DELLA GASTRONOMIA La storia dei “Pici” affonda le sue radici in epoca etrusca. Una prima testimonianza si può trovare nella celeberrima Tomba dei Leopardi di Tarquinia, monumento funerario del V secolo a.C. che raffigura un banchetto.
Per quanto riguarda il nome, le correnti di pensiero sono molte e discordanti: c’è chi lo fa risalire addirittura all’antica Roma, nello specifico alla figura di Marco Gavio Apicio (25 a.C.37 d.C.), uno dei più importanti gastronomi dell’antichità, mentre altre sostengono che il nome derivi dal gesto che si fa con il palmo della mano per far prendere all’impasto la forma del picio, quello che nel gergo culinario toscano è il verbo “appiciare”.
Per questo motivo il Mipaaf ha accolto la richiesta di ammissione al patrimonio agroalimentare e “I pici e l’arte di appiciare” sono stati ammessi con Decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali all’Inventario nazionale del patrimonio agroalimentare italiano (INPAI).
La richiesta d’iscrizione è stata effettuata dell’Unione dei Comuni Valdichiana Senese che ha affidato l’incarico a Qualità e Sviluppo Rurale, società a prevalente capitale pubblico, già positivamente impegnata in attività simili.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Vino e pizza? Perché no? Sono in molti a credere che l’abbinamento perfetto sia con la birra. Questa, tuttavia, contiene lieviti e cereali, quindi è una sorta di doppione della pizza e non aiuta la digestione. Un motivo in più per scegliere il vino.
QUALE PIZZA? QUALE VINO? La scelta del vino varia in base alla tipologia di pizza. Per comodità si può parlare di 4 categorie: pizze rosse, pizze bianche (con formaggi), pizze dai sapori decisi (a base di salame piccante, alici e capperi, mortadella, salsiccia, speck) e pizze vegetariane (ortolana, ai funghi).
Le pizze a base bianca sono solitamente ricche di formaggi, mozzarella e altri latticini, quindi sono ricche anche di grassi (Quattro Formaggi). L’ideale è accompagnare con un vino che “pulisca” la bocca, grazie a una buona acidità e freschezza. In questo caso sono perfette le bollicine.
Il Prosecco Five Stars Collection Bosca può funzionare. Fresco e profumato, con un buon rapporto qualità prezzo. Nei supermercati si trova intorno ai 5 euro. Ma non sono da escludere vini fermi come il Trebbiano, il Verdicchio, il Fiano di Avellino (con la pizza salsiccia e friarelli è spettacolare) e il Vermentino. Tra gli aromatici e semi-aromatici sono azzeccati il Müller-Thurgau e il Riesling.
Le pizze a base rossa sono accomunate dal pomodoro, che si traduce in una certa tendenza acida, la quale non deve assolutamente essere enfatizzata, ma nemmeno soffocata da vini troppo tannici, che conferiscono un retrogusto amarognolo. A tal proposito l’accostamento pizza e vino rosato non è da sottovalutare.
IL ROSATO Provate ad accompagnare la pizza con i rosati della Puglia. TerrAntica di Puglia San Martino, prodotto con il 70% di uve Negroamaro e 30% di uve Malvasia è piacevole, asciutto.
Un altro vino con un buon rapporto qualità prezzo: nei supermercati si vende a poco meno di 3 euro. Le note di frutta scura (ciliegia e cassis) che si avvertono al naso si ritrovano anche al palato.
Le pizze dal gusto deciso, con condimenti sostanziosi, richiedono l’abbinamento con vini più strutturati, come il Greco di Tufo o il Tocai friulano.
Strepitoso anche l’abbinamento con il Lambrusco di Sorbara e la Barbera frizzanti o la Bonarda vivace, rinfrescano e sgrassano. Il Greco di Tufo di Nziria dei Principi Docg (2016) è un’altra soluzione.
Il prezzo si aggira attorno ai 7 euro e li vale tutti. Al naso spiccano i sentori di fiori e frutti bianchi, mentre al palato è fruttato, secco, sapido e fresco. Ottimo per l’abbinamento anche il Lambrusco di Sorbara di Saccamore, Chiarli e non l’ho trovato emozionante. Un altro rosso piacevole, con una moderata frizzantezza, secco al palato.
I frutti rossi che si avvertono al naso, infatti, si percepiscono solo nel retrogusto. Un po’ deludente anche il Bonarda dell’Oltrepò Pavese Friscale (gruppo Zonin), leggermente fruttato e dalle bollicine invadenti.
LE PIZZE VEGETARIANE Con le pizze vegetariane a dettare legge sono i vini bianchi giovani e freschi, come il Prosecco, ma può andare bene anche un rosato come il Cerasuolo d’Abruzzo. Quello di Cantine Miglianico risulta fruttato, aromatico, con un buon rapporto qualità prezzo. Nei supermercati si può acquistare a poco più di 3 euro.
E con la regina delle pizze, la Margherita? Con la sua combinazione di salsa di pomodoro, olio extravergine d’oliva, mozzarella e profumatissime foglie di basilico si sposa meravigliosamente con il Gragnano o il Frappato, il Cerasuolo di Vittoria, ma anche con il burroso Chardonnay.
Lo Chardonnay di Borgo dei Morars è piuttosto azzeccato per l’abbinamento. Sapido, morbido, con sentori di frutta fresca e note floreali, si lascia bere con piacere. Ottimo anche il prezzo, al supermercato si può acquistare a poco più di 3 euro.
Il vero consiglio è un altro: provate! Non serve spendere un patrimonio per un buon abbinamento. Resterete sorpresi da questa felice unione.
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(3,5 / 5) In vendita in diversi supermercati da Nord a Sud Italia, il Colli Bolognesi Pignoletto Docg Frizzante “Tenuta Monteveglio” di Chiarli è un prodotto leggero ed esuberante, dalla carbonica vivace e ben integrata, ideale come aperitivo.
Vino bolognese per eccellenza, viene prodotto da uve a bacca bianca della varietà Grechetto gentile e vinificato in differenti tipologie grazie alla sua innata versatilità, nel territorio dei Colli Bolognesi.
Dalla vendemmia 2010 il Pignoletto può fregiarsi della Denominazione di Origine Controllata e Garantita.
LA DEGUSTAZIONE All’analisi sensoriale il Colli Bolognesi Pignoletto Docg Frizzante Tenuta Monteveglio di Cleto Chiarli mostra un cromatismo giallo paglierino tenue con bollicine abbastanza fini e persistenti.
Naso di media intensità che si apre su note floreali e cenni di banana, ananas e spuma di limone. Sorso croccante e fresco, abbastanza intenso, con gradevoli ritorni aromatici di banana e agrumi.
Senza picchi ma certamente apprezzabile per franchezza e rapporto qualità/prezzo. In abbinamento, il “Tenuta Monteveglio” Frizzante risulta ideale come vino da aperitivo e da antipasto, ma si sposa egregiamente anche con le classiche crescentine (o tigelle) ed i saporiti salumi emiliani.
LA VINIFICAZIONE
Il Colli Bolognesi Pignoletto Docg frizzante Tenuta Monteveglio di Cleto Chiarli nasce da uve grechetto gentile 100% allevate sui Colli Bolognesi. Dopo la raccolta, il 20% delle uve macera a contatto con le bucce per 12 ore, mentre il restante 80% subisce una pressatura soffice con uva integra o diraspata a temperatura controllata di 16° e addizione di lieviti selezionati. Presa di spuma in autoclave.
Il marchio Chiarli identifica il più antico produttore di vini tipici dell’Emilia Romagna fondato nel 1860. L’azienda “Cleto Chiarli Tenute Agricole” vanta un patrimonio vitato di oltre cento ettari di vigneto nelle zone più vocate dei vini DOC dell’Emilia-Romagna. Dal 2003 ha sede a Castelvetro in provincia di Modena.
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Colli di Luni Doc Vermentino etichetta verde La Colombiera
(4 / 5) E’ “l’etichetta verde”, quella destinata alla Gdo, ovvero ai supermercati. Sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper finisce oggi il Colli di Luni Doc Vermentino 2016 de La Colombiera di Castelnuovo Magra. Un Vermentino ligure, dunque.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il vino si presenta di un giallo paglierino acceso, luminoso. Al naso fiori freschi e frutta a polpa gialla, con richiami esotici che ricordano l’ananas. Un quadro in cui non mancano gli agrumi.
Al palato, il Vermentino de La Colombera si mostra più morbido di quanto possa far presagire il naso. L’ingresso in bocca, di fatto, è caratterizzato da sentori di frutta piuttosto matura. Percezione alcolica e acidità si fanno largo all’assaggio e lo dominano nel retro olfattivo.
Una beva facile per questo Vermentino ligure, ma tutt’altro che banale. Tutte le componenti risultano in perfetto equilibrio e armonia. Un vino fresco, che fa pensare al mare e all’estate.
Il Vermentino “etichetta verde” de La Colombera si abbina a tutto pasto ed è particolarmente indicato con piatti a base di pesce o carni bianche. Ottimo con il sushi, specie con le portate di crudo di salmone, tonno e tartàre in generale.
LA VINIFICAZIONE
Il Vermentino Doc Colli di Luni La Colombera viene prodotto con uve provenienti principalmente dai vigneti situati nel Comune di Sarzana, secondo Comune per abitanti della provincia di La Spezia.
Le vigne sono allevate a Guyot con una densità di 5 mila ceppi per ettaro, su terreni argillosi dotati di buona esposizione. La vendemmia viene effettuata “rigorosamente a mano e le uve immediatamente lavorate nell’arco della giornata”. La vinificazione della uve Vermentino in purezza avviene unicamente in serbatoi di acciaio inox, a temperatura controllata.
Una storia che affonda le radici negli anni Settanta quella dell’Azienda Agricola La Colombiera. Sul finire del decennio, Francesco Ferro, padre dell’attuale titolare Pieralberto Ferro, acquista una vigna nell’antico territorio di Luni, in Castelnuovo Magra.
Oggi La Colombiera può invece contare su oltre dieci ettari di vigna. L’obiettivo è quello di “rispettare la materia prima, tendendo all’eliminazione di manipolazioni chimiche, sia dei mosti che dei vini ottenuti”.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
(4 / 5) In attività effettiva da più di un secolo, Soloperto è uno dei nomi storici nell’area di Manduria, con una produzione variegata che abbraccia tutti le principali varietà pugliesi.
Nella gamma figurano alcune versioni di Primitivo tra cui il protagonista di questo articolo, il Ceralacca, che si distingue per il nome ben in evidenza nell’etichetta e l’inconfondibile sigillo rosso. Due segni distintivi facili da individuare.
LA DEGUSTAZIONE Nel calice il Ceralacca si presenta di un rosso rubino di una certa intensità e buona consistenza. Incuriosiscono, al primo esame, i lievi accenni al rosso granato.
Avvicinando il calice al naso si possono apprezzare i profumi abbastanza intensi, con i primi sentori di confettura di fragole e ciliegia matura a cui pian piano si affiancano note di tabacco, di cioccolato e caffè, per chiudere su sentori balsamici che rimandano a una certa evoluzione.
In bocca il vino dimostra una certa morbidezza e accarezza bene il palato. Il Primitivo di Manduria Ceralacca può vantare una discreta acidità, ma soprattutto una sottile quanto apprezzabile tannicità che non è così comune in altri primitivi dell’area di Manduria.
Piena la corrispondenza tra olfatto e gusto: il fruttato iniziale, qui non stucchevole, lascia piano piano il posto alle note terziarie. E così, sul finale, la buona persistenza complessiva è dominata da una piacevole chiusura balsamica.
Il vino nel complesso è piacevole ed equilibrato, con una alcolicità ben integrata nell’insieme e una personalità che lo differenzia rispetto ad altre etichette della stessa fascia prezzo. Compagno ideale per gli arrosti in genere, il Primitivo di Manduria Ceralacca non è da sottovalutare in abbinamento con le tipiche polpette di pane o di carne al sugo.
La struttura del vino e le sue caratteristiche complessive lo rendono un’alternativa interessante e conveniente anche per un pubblico diverso da quello tradizionalmente attratto dalle caratteristiche del Primitivo.
LA VINIFICAZIONE
Le uve utilizzate per questo Ceralacca, raccolte come da tradizione nella prima fase di settembre, provengono esclusivamente da vigneti dell’area di Manduria. Il sistema di allevamento è quello tradizionale, ad alberello.
Le viti hanno un’età compresa tra i 35 e i 40 anni: piante di queste caratteristiche permettono di ottenere vini di 14° come questo, dotati al contempo di una buona freschezza in bocca e di sentori di una certa intensità.
All’iniziale affinamento in acciaio segue un periodo di 6 mesi in barrique di rovere francese che, come si può facilmente notare quando lo si degusta, hanno il loro peso nel definire l’impronta di questo vino.
Un Primitivo di Manduria che esce sul mercato piacevolmente pronto, ma che non teme certo la possibilità di maturare anche altri 12 mesi, purché nelle giuste condizioni.
Prezzo: 6,90 euro
Acquistato presso: Supermercati DOK
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03 Chef Daniel Marzotto vincitore 2018 Antipasti e Dessert
MONTEFALCO – Il Sagrantino diventa protagonista in cucina, non solo nei calici, ma anche nei piatti, facendo da traino al settore turistico. Secondo il Rapporto sul Turismo Enogastronomico 2018, quasi un italiano su 3 (30%) quando viaggia nel Belpaese lo fa per scoprire nuovi sapori e nuovi abbinamenti in grado di stuzzicare olfatto e palato, con un aumento del 9% rispetto all’anno precedente.
Ai primi posti delle mete preferite dai turisti enogastronomici, Toscana, seguita da Trentino Alto Adige e Umbria. Un ruolo fondamentale per lo sviluppo del settore è ricoperto dalle iniziative strategiche di promozione del territorio messe in atto dagli attori locali.
Tra queste, “Sagrantino nel piatto” ha contribuito non solo a promuovere il turismo in Umbria attraverso uno dei suoi prodotti più caratteristici, ma, soprattutto, a rinnovarne l’immagine e ad arricchire l’offerta culinaria di molti ristoranti.
Si tratta, infatti, di un concorso culinario lanciato nel 2015 dal Consorzio Tutela Vini Montefalco, che invita gli chef di tutta Italia a presentare ricette inedite e creative,che abbiano il Sagrantino come ingrediente principale. Antipasti, primi e dessert, sono decine i piatti che nel corso degli anni sono stati presentati, venendo, poi, inseriti nei menù dei ristoratori che li avevano proposti.
Gustosi, ricercati, talvolta addirittura audaci. I concorrenti di “Sagrantino nel piatto” hanno creato un perfetto connubio tra innovazione e tradizione in un settore, quello del food & beverage, che pesa tra il 25 e il 35% della spesa turistica totale.
Tra le ricette proposte più interessanti, vanno segnalati i piatti dei due vincitori dell’ultima edizione, ovvero, il primo dello chef Carla Amagliani,che ha proposto spaghetti di grano antico saltati in padella con Montefalco Sagrantino e consommé ristretto d’oca, serviti con una soffice spuma di Parmigiano Reggiano BIO 22 mesi.
E il dolce dello chef sommelier Daniel Marzotto, a base di riso stracotto in un Montefalco Sagrantino DOCG e accompagnato da una mousse dolce di ricotta di capra e soffio di bufala, decorato con gel di Sagrantino, meringhe al Sagrantino e rapa rossa, sfere di mela Golden e cerfoglio.
Sagrantino nel Piatto 2018 Finalisti 1
04 Chef Daniel Marzotto vincitore 2018 Antipasti e Dessert
03 Chef Daniel Marzotto vincitore 2018 Antipasti e Dessert
01 Chef Carla Amagliani vincitore 2018 Primi e Secondi
02 Chef Carla Amagliani vincitore 2018 Primi e Secondi
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(4 / 5) Penny Market si conferma tra i supermercati che meglio esprimono il concetto di vino “qualità prezzo” al supermercato, in Italia.
Ottimo, in quest’ottica, il Perricone Agricane 2015, uno dei vini Igp Terre Siciliane del Gruppo Cantine Europa di Petrosino, in provincia di Trapani.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il Perricone Agricane mostra il suo tipico rosso rubino intenso, con unghia tendente al porpora.
Al naso, altrettanta tipicità: quella delle spezie che contraddistinguono questo vitigno autoctono siciliano. Vale a dire il ginepro e il pepe nero, ben amalgamati con richiami di frutti a bacca rossa e nera, come la prugna.
Al palato, il Perricone di Cantine Europa conferma le note avvertite al naso. La beva è facile, per nulla appesantita dai 13 gradi di percentuale d’alcol in volume. Anzi: la gradazione contribuisce a rendere morbido l’ingresso, prima che si accendano nuovamente le spezie, in un finale sufficientemente persistente.
Cosa chiedere di più a un vino da meno di 4 euro? Ottima anche la versalità del Perricone Agricane negli abbinamenti. Perfetto a tutto pasto, trova nei ragù e nella carne il suo perfetto habitat. Un rosso da provare anche con portate di pesce come tonno o pesce spada.
LA VINIFICAZIONE Le uve Perricone vengono raccolte a mano nelle prime ore del mattino e in tarda serata, al picco della sua maturazione. Dopo la raccolta, vengono portate velocemente in cantina.
La combinazione fra il succo e le bucce viene refrigerato a 26,5 gradi e trasferito nelle vasche per la macerazione, della durata complessiva compresa tra i 12 ai 15 giorni. Il Perricone Agricane viene quindi affinato in acciaio inox, alla temperatura controllata di 18-20 gradi.
Cantine Europa è una società cooperativa agricola con base a Petrosino in provincia di Trapani. Controlla, tra le altre, Sibiliana Vini, progetto pensato per la valorizzazione e la commercializzazione dei prodotti in bottiglia del Gruppo, al di fuori del canale Gdo.
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(3 / 5) Che ci sia “Prosecco” e “Prosecco” è ormai chiaro a tutti gli attenti “bevitori”. Una regola che vale soprattutto al supermercato, dove peschiamo uno dei più commerciali e pubblicizzati: il Prosecco Doc Extra Dry millesimato 2017 Casa Sant’Orsola.
Un’etichetta che non faceva parte della nostra degustazione alla cieca di settembre 2017, in cui abbiamo stabilito i migliori e i peggiori “sparkling da Glera” al supermercato. Ma difficilmente – ve lo anticipiamo subito – sarebbe riuscita ad aggiudicarsi un posto tra i top.
LA DEGUSTAZIONE
Di certo, il Prosecco Sant’Orsola è uno di quei vini che, prima del calice, provano a raccontarsi visivamente sullo scaffale del supermercato (e ancora prima in tv, grazie a numerosi spot pubblicitari).
La bottiglia è avvolta in un sacchetto di colore arancione trasparente, che cattura l’attenzione del cliente. Un velo d’eleganza forse necessario per stordire, con il marketing, il palato di chi si accinge alla degustazione. Noi conosciamo Ulisse. E soprattutto le sirene.
Creature mitologiche a parte, il Prosecco Sant’Orsola si presenta del classico giallo paglierino nel calice. La “bollicina” è mediamente fine e persistente. Al naso la tipicità della Glera, che si esprime principalmente col sentore di pera.
Al palato, ennesima conferma dell’assoluta semplicità di questo Prosecco. L’ingresso è morbido, ma il nettare si sbilancia poi sui sentori zuccherini (pera matura). Finale sufficientemente persistente e lineare rispetto al sorso.
Un Prosecco destinato a un pubblico poco esigente, anche se il prezzo (se non soggetto a tagli prezzo e promozioni) non è tra i più invitanti per il portafogli, pur avvicinandosi al reale valore dell’etichetta. L’abbinamento? A tutto pasto, per chi gradisce, o come aperitivo.
LA VINIFICAZIONE
Il Prosecco Casa Sant’Orsola è prodotto con il Metodo Charmat, che prevede la rifermentazione della Glera in ampie vasche chiamate autoclavi. Casa Sant’Orsola è un marchio di Fratelli Martini Secondo Luigi Spa, che a sede in località San Bovo a Cossano Belbo, in provincia di Cuneo.
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(4,5 / 5) Alzi la mano chi ha mai sentito parlare di Tai Rosso. E se lo chiamassimo Cannonau, o Grenache? Si tratta dello stesso vitigno. Sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper, il Tai Rosso Colli Berici Doc “Il Monastero” 2016 della Società agricola semplice Pegoraro di Mossano (Vicenza).
Un’azienda a conduzione famigliare, che aderisce alla Federazione italiana vignaioli indipendenti (Fivi). Per intenderci, gli artefici di quello straordinario Mercato dei Vini che, ogni anno, va in scena a Piacenza.
LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il Tai Rosso 2016 di Pegoraro si presenta di un rosso rubino brillante, limpido, mediamente trasparente. Al naso i frutti rossi tipici del vitigno: marasca, una punta di mirtillo e mora, ma soprattutto lampone, fragolina di bosco e richiami floreali di rosa canina.
Sentori puliti, candidi, che sembrano riprendere la franchezza invitante del colore di cui tinge il calice. Genuino è anche il palato del Tai Rosso della cantina Pegoraro. Corrispondente al naso, riempie la bocca di lampone e fragola, impreziosite da una sapidità che accompagna il sorso fino al retro olfattivo. Levigato il tannino. Setoso.
In cucina, l’abbinamento più scontato è quello con la gastronomia di questa fetta di Veneto tutta da scoprire. E dunque la Soprèssa Vicentina Dop e il baccalà alla vicentina. In realtà di Tai Rosso è uno di quei vitigni che la Grande distribuzione potrebbe valorizzare come “vino quotidiano” ma non banale, sponsorizzandolo anche fuori dai confini regionali (ad oggi è poco rappresentato sugli scaffali delle maggiori insegne).
LA VINIFICAZIONE
Tai Rosso “Il Monastero” è l’etichetta che la cantina Pegoraro destina ai supermercati. I vigneti si trovano a Mossano. Le uve vengono raccolte e selezionate tra la fine del mese di settembre e i primi giorni di ottobre.
La fermentazione avviene a una temperatura controllata che va dai 23 ai 27 gradi, con macerazione
di pochi giorni. Terminata la fermentazione il vino riposa in botti di acciaio per almeno sei mesi.
Il Tai Rosso (chiamato “Tocai Rosso” fino al 2007,) è il vitigno principe dei Colli Berici. La Cantina Pegoraro ne ha fatto una religione. Tanto è vero che sono quattro, oltre a “Il Monastero”, le etichette prodotte a partire da questo vitigno, non presenti sugli scaffali dei supermercati (destinati, dunque, all’Horeca). Ci incuriosisce il Metodo Classico Dosaggio Zero, che non mancheremo d’assaggiare e raccontarvi.
Prezzo: 4,69 euro
Acquistato presso: Alìper – Alì Supermercati
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Il nome Piemonte deriva dal latino Pedemontium, cioè la regione situata “ai piedi dei monti”. In origine tale nome era limitato a un territorio molto più ristretto dell’attuale, compreso tra il corso superiore del Po e il Sangone.
In seguito si estese sempre più, seguendo le fortune dei Savoia, fino a comprendere il Canavese, il Monferrato, le Langhe, le valli alpine, il Vercellese e il Novarese.
Proprio le Langhe e il suo vitigno principe, il Nebbiolo, sono l’oggetto del nostro wine tour. L’etimo del nome “Langa”, che in piemontese indica proprio la collina, è incerto. L’ipotesi più accreditata è quella di “lanka” con il significato di “conca, avvallamento”.
Le Langhe sono una regione del Piemonte situata a cavallo delle provincie di Cuneo e di Asti, confinante con altre regioni storiche del Piemonte, quali il Monferrato ed il Roero ed è costituita da un esteso sistema collinare delimitato dai fiumi Tanaro, Belbo, Bormida di Millesimo e Bormida di Spigno.
IL NEBBIOLO
L’origine del nome, un tempo scritto “Nebiolo”, pare derivare dal latino “nebia”, probabilmente dovuto al fatto che il periodo di raccolta è quello in cui le prime nebbie iniziano a salire dal fiume Tanaro verso la sommità delle colline.
Un’alternativa a tale ipotesi è collegata alla pruina biancastra che ricopre gli acini: la “pruina”, una cera secreta che produce un rivestimento biancastro sugli acini, concentrando sulla loro superficie i lieviti.
Il termine Nebbiolo apparve per la prima volta nelle Langhe il primo dicembre 1431, ed era riferito ad una varietà di vitis vinifera che qui aveva trovato il suo habitat naturale, e dai cui grappoli si otteneva un vino già allora lodato ed apprezzato.
In tutto il territorio delle Langhe il Nebbiolo viene considerato il re dei vitigni: ad esso vengono riservati i terreni migliori, vale a dire i versanti collinari esposti a mezzogiorno, con altitudine compresa tra i 200 e i 400 m slm.
Si tratta di una varietà molto vigorosa che richiede potatura lunga con 10-12 gemme, il cui bisogno di spazi si accentua grazie alla sterilità delle prime 2-3 gemme, che impediscono un infittimento d’impianto sul singolo filare; a tale scopo è possibile ridurre la distanza tra i filari.
Le Langhe si sono formate durante il Miocene (da 15 a 7 milioni di anni fa), per sedimentazioni successive di rocce prevalentemente terrigene (conglomerati, arenarie, argille).
I terreni delle zone del Barolo e del Barbaresco, formatisi in età Elveziana (era geologica che va da 15,97 a 13,82 milioni di anni fa, e Tortoniana, che va tra 7, 24 e 11,60 milioni di anni fa) sono composti da marne argillo- calcaree sedimentarie intervallati da strati di sabbia più o meno compatta e da arenarie di colore grigio- bruno.
BAROLO E BARBARESCO I terreni delle zone del Barolo e del Barbaresco si sono venuti a formare in Età Elveziana e Tortoniana e sono prevalentemente composti da marne argillo- calcaree sedimentarie, intercalate in strati di marne più o meno importanti di colore grigio- azzurro (dette Marne di Sant’Agata) e da strati di sabbia o arenarie di colore grigio- bruno e giallastro ( le così dette Arenarie di Diano).
Le Marne di Sant’ Agata che troviamo nei comuni di La Morra e Barolo danno origine a vini eleganti, profumati dalla maturazione un po’ più veloce, mentre le Arenarie di Diano (presenti nelle zone di Castiglione Falletto e in parte in quelle di Monforte) danno origine a vini più alcolici, più robusti e più longevi. Nella zona del Barbaresco predominano le Marne di Sant’Agata di origine tortoniana.
Nell’ambito di una zona completamente caratterizzata dal clima continentale temperato, i dati termici dimostrano che il comprensorio del Barbaresco gode di temperature lievemente superiori, rispetto ai comuni di Barolo con conseguente anticipazione della maturazione delle uve e della vendemmia di circa una settimana.
Nelle Langhe il mese più piovoso è maggio che registra precipitazioni medie vicine ai 100 millimetri, seguito da aprile (circa 80) e settembre (vicino ai 70). È evidente che l’influenza della pioggia può essere notevole sia in fase di fioritura (dove è in grado di determinare riduzioni produttive anche consistenti) sia in fase di raccolta (dove periodi di pioggia prolungata possono comportare problemi di muffe o marciumi).
Più in generale, modificando sensibilmente la qualità del prodotto finale. L’eccesso di pioggia nel periodo pre vendemmiale può, provocare una caduta di acidità non supportata da un incremento di zuccheri. Il Nebbiolo è senza dubbio un vitigno resistente, la zona è caratterizzata da una luminosità decisamente alta, che garantisce l’ottimale svolgimento della fotosintesi clorofilliana.
Altro fenomeno meteorologico di particolare rilievo è costituito dalla grandine, che può avere conseguenze sia sulla quantità dell’uva: in annate particolarmente flagellate si può arrivare a riduzioni complessive del 20-30%, con alcune zone in cui l’uva viene completamente rovinata, come è avvenuto nei raccolti del 1986 e del 1995. Per fortuna, la grandine non si avverte mai in modo generalizzato su tutta la zona, limitandosi a qualche fascia collinare.
GASTRONOMIA NELLE LANGHE: GLI ABBINAMENTI CIBO-VINO “Non di solo pane vive l’uomo”, Matteo 4,4 e Luca 4,4. Ma resistere, in Langa, è quasi impossibile. La cucina piemontese ha sicuramente risentito, nel corso dei secoli della vicinanza di quella francese, ma pur subendone l’influsso, ha conservato una sua inconfondibile fisionomia di schiettezza ed originalità.
Il Piemonte è una regione che offre ai visitatori una vastissima gamma di antipasti caldi e freddi, come i crostini di tartufo d’ Alba, il carpaccio di carne cruda condita con olio extra vergine d’oliva e una spolverata di pepe nero, i salumi crudi e cotti nel cui impasto viene messo spesso del vino nobile maturo come Barolo, Barbaresco, e Barbera d’Alba. Per gli antipasti sarebbe opportuno stappare un buon Barbera.
Tra i primi piatti, i più importanti e ricercati sono gli agnolotti del plin, nome che deriva dal gesto fatto per chiudere la pasta, ripiena in più versioni con carne magra, arrosto o al tartufo.
Da non dimenticare i tajarin al tartufo, pasta fatta in casa con 30 tuorli d’ uovo per chilo di farina, tagliata molto fine, condita con abbondante burro, parmigiano reggiano e sottili scaglie di tartufo. Da abbinare un Barbaresco.
Passando alle pietanze più ricercate dagli amanti della buona cucina, ricordiamo il brasato al Barolo, manzo marinato e stufato lentamente nel vino omonimo da abbinarsi con lo stesso Barolo con cui si è marinata la carne.
GAJA: LA STORIA La famiglia Gaja si stabilì in Piemonte a metà del diciassettesimo secolo. Cinque generazioni si sono alternate nella produzione di vino da quando Giovanni Gaja, nel 1859, fondò la cantina a Barbaresco, nelle Langhe.
Il bisnonno di Angelo, Giovanni, titolare di una fiorente attività di trasporti che sa far rendere il duro lavoro suo e dei suoi figli, cinque maschi e due femmine. tanto da lasciare in eredità una cascina ad ognuno di loro. Tre dei suoi figli la dilapideranno al gioco.
Fu nonna Tildin, vedova dal 1944, a reggere le redini della cantina che allora vendeva vino soltanto a privati. Privati illustri, come i Somaini di Milano, gli Zegna, i Nasi: famiglie con lo chef in cucina e la cantina colma di grandi vini francesi, che ordinavano le damigiane di Barbaresco per il consumo “da pasto”.
Il vino si vendeva, dunque, con cadenze tranquille, senza affanni: poteva restare anche dieci anni in vasca, in attesa che arrivassero i compratori. Già da allora, per volere di nonna Tildin si seguiva una politica di rigore di produzione, votata all’alta qualità.
Quando Angelo Gaja entra in azienda, nel 1961, trova una situazione economica invidiabile, un nome già famoso in Italia, oltre a 33 ettari di splendide vigne nell’areale di Barbaresco. Quando nel 1965-66 sente l’esigenza di entrare nella grande ristorazione, ha già a disposizione un’eccellente gamma di vini.
Poi nascono i cru: il primo, Sorì San Lorenzo, è del 1967. Nel 1970 entra in azienda l’enotecnico Rivella; nasce nello stesso anno Sorì Tildin, seguito nel 1978 da Costa Russi. Nel territorio delle Langhe vi sono terreni ed esposizioni dalla vocazione straordinaria, non soltanto atti a produrre grandi vini, da varietà autoctone, ma anche in grado di esprimere vini di qualità superiore anche da varietà non tradizionali, quali: Chardonnay e Sauvignon blanc.
LA DEGUSTAZIONE 1) BARBARESCO 2011 DOCG Uve: Nebbiolo 100% Titolo alc. Vol. 14,5%. Barrique e botte grande. Prezzo: 135 euro
Nel calice si presenta di colore rosso rubino, i suoi profumi sono di note scure, eleganti e profondi. Si percepiscono nettamente sentori di humus, funghi, sottobosco, foglie, in successione si presentano note fruttate di giuggiole, e note floreali di violetta oltre ad una leggera volatile.
Alla gustativa non delude rispecchiando alla perfezione tutto ciò che si è percepito all’olfattiva: il tannino è presente, ma non invadente, la freschezza e l’acidità si sorreggono e spalleggiano formando in degustazione due binari paralleli e ben distinti.
2) SORI’ SAN LORENZO 2011 LANGHE NEBBIOLO DOC Uve: Nebbiolo 95% Barbera 5% Titolo alc. Vol 14,5% Barrique e botte grande. Prezzo: 300 euro Granato non impenetrabile. Forte presenza di note scure di humus foglia di tabacco, legno di cedro; in seconda battuta sentori di erbe aromatiche. Le componenti olfattive sono di notevole spessore ed eleganza.
Anche all’assaggio a farla da padrona sono queste note scure: sapido e piacevolmente tannico, chiude con un finale di bocca pulito.
3) SORI’ SAN LORENZO 2004 LANGHE NEBBIOLO DOC Uve: Nebbiolo 95% Barbera 5% Titolo alc. Vol 14,5% Barrique e botte grande. Prezzo: 220 euro Granato luminoso. Impianto olfattivo molto generoso e complesso con note di arancia rossa, bouquet salino-salmastro con sentori di conchiglia, salamoia. Alla gustativa vi è una buona interazione tra parte acida, sapidità e tannino. La parte acida si percepisce in maniere preponderante sorreggendo l’intero vino.
4) GAYA&REY 1993 MAGNUM Uve: Chardonnay 100% Titolo alc.Vol 13,5% Botte grande.
Colore oro-verde brillante. Naso burroso, fumè, minerale con sentori riconoscibili nella frutta secca, frutta esotica, canna di fucile. Alla gustativa si percepisce una buona tridimensionalità, con freschezza centrale che racchiude una buona morbidezza e sapidità con una nota lunga burrosa in chiusura.
CANTINA CAVALLOTTO, TENUTA VITIVINICOLA BRICCO BOSCHIS La Tenuta Cavallotto si trova alle porte di Castiglione Falletto, nel cuore della zona del Barolo, sul Bricco Boschis, ed occupa una superficie di 23 ettari vitati.
I Cavallotto sono proprietari e produttori da generazioni: Giacomo ed i figli Giuseppe e Marcello acquistano nel 1928 la tenuta Bricco Boschis ed insieme continuarono a lavorare come viticoltori nei vigneti attorno alla cantina.
A quel tempo, gran parte delle uve era venduta alle cantine commerciali e solo una parte di essa vinificata nella proprietà per la vendita in bottiglia e in damigiana.
Nel 1944, Giuseppe e i figli Olivio e Gildo decisero di vinificare interamente le uve prodotte e nel 1948 nacque, ufficialmente, la Cantina Cavallotto con la commercializzazione delle proprie bottiglie etichettate. Ad oggi i figli di Olivio, Laura e i fratelli Giuseppe ed Alfio, entrambi enologi continuano a vinificare esclusivamente le uve prodotte nella tenuta e da loro dipende l’impostazione tecnica dell’azienda e la produzione dei vini.
Il pregio di questi vini deriva da un’interessante combinazione di svariati fenomeni: l’uomo con il suo attaccamento alla terra e a una civiltà contadina che dalla terra ha tratto le sue origini più remote; la lunga esperienza sul vino maturata negli anni; gli sviluppi costanti e la crescita della tecnica enologica e agronomica; e soprattutto, le condizioni pedoclimatiche di cui gode questa zona di Langa.
LA DEGUSTAZIONE 1) BARBERA D’ALBA SUPERIORE 2011 Vigna del Cuculo Uve: Barbera 100% Titolo alc. Vol. 14,5% Maturazioni in botte di Slavonia per 2 anni. Prezzo: 24 euro Rosso granato. Al naso si percepisce nettamente un frutto croccante molto accentuato (ciliegia, fragola, marasca), ma anche sentori di terziarizzazione quali cuoio, pellame, spezie dolci (ginepro). Alla gustativa si percepisce un tannino lieve e vellutato ed una marcata acidità. Un vino di gran classe.
LANGHE NEBBIOLO 2011 Uve: Nebbiolo 100% Titolo alc Vol. 14,5% Botte grande per 18 mesi. Prezzo:17 euro Colore granato. All’olfattiva si percepiscono sentori scuri e che escono con difficoltà dopo una lunga areazione nel bicchiere, di china, spezie, liquirizia, frutti maturi di prugna, ciliegia, pera. Alla gustativa si percepisce un calore leggermente cadente sull’acidità. Sfuma con erbe mediterranee. Lascia in bocca una sensazione alcolica troppo presente.
BAROLO RISERVA VIGNOLO 2008 Uve: Nebbiolo 100% Titolo alc. Vol. 14,5%. Quattro anni in grandi botti di rovere di Slavonia da 50 hl. Prezzo: 75 euro Rosso granato. Bouquet fruttato floreale si percepiscono note delicate e gradevoli di rosa, miele, prugna matura, giuggiole. Al gusto è “monocorde” esclusivamente fruttato con un tannino presente, ma levigato e piacevole. Uno splendido vino, un Barolo di assoluto riferimento.
CONCLUSIONI
Il 22 giugno 2014 durante la trentottesima sessione di comitato Unesco a Doha, le Langhe sono state ufficialmente incluse, insieme a Roero e Monferrato nella lista dei beni Patrimonio Mondiale dell’Unesco.
Svegliandosi a La Morra, spostando le tende oscuranti per far entrare la luce del giorno, ti si palesa davanti uno spettacolo mozzafiato, con vigneti a perdita d’occhio. Ricoperti da una nebbia fitta, ma sottile.ù
A rendere emozionante questa visuale è stata proprio la nebbia. Nebbia che nei giorni successivi riesce a farsi odiare, restandoti incollata addosso. Un po’ come il sole delle Puglie, che ti entra nelle ossa, ma con effetti differenti.
Che il Barolo sia il re dei vini è ormai noto a tutti. Ma quello che non sanno tutti è che anche la cucina langarola non è da meno. E si sposa magnificamente con un qualsiasi vino ottenuto da Nebbiolo. Che sia Barolo, Barbaresco, giovane o invecchiato.
Prontuario delle Langhe vino gastronomia e degustazione da Gaja e Cavallotto 1
Prontuario delle Langhe vino gastronomia e degustazione da Gaja e Cavallotto 2 3
Prontuario delle Langhe vino gastronomia e degustazione da Gaja e Cavallotto 3 3
Prontuario delle Langhe vino gastronomia e degustazione da Gaja e Cavallotto 4
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Prosecco Bio Doc Treviso Extra Dry Tenuta Brian Cantina Corvezzo
(4 / 5) Poco meno di 4 euro per portarsi a casa da Lidl il Prosecco Bio Doc Treviso Extra Dry “Tenuta Brian”.
Lo spumante biologico prodotto dalla Società Agricola Fratelli Corvezzo presenta una bella etichetta, moderna e accattivante. Con le iniziali di Tenuta Brian (“TB”) che paiono tratteggiate con le matite colorate, impugnate tutte assieme da un bambino.
Tutto bello per il consumatore: il prezzo, l’etichetta, la bottiglia. Sarà anche buono questo Prosecco? La risposta, dopo il tasting di vinialsuper, è più che affermativa. Tanto da spingerci ad annoverare questo sparkling organic wine veneto tra i migliori assaggi assoluti della fascia prezzo inferiore ai 4 euro.
LA DEGUSTAZIONE
Chiariamoci: non stiamo certo parlando di un assaggio memorabile, in termini generali. Il Prosecco Doc Treviso Extra Dry “Tenuta Brian” rappresenta tuttavia, nel calice, il meglio della tipicità della Glera spumantizzata.
Pur trattandosi di un Extra Dry, questo charmat non risulta stucchevole come tanti altri presenti in Gdo, con la parte zuccherina a farla da padrona addirittura sui sentori primari. Al naso, di fatto, il Prosecco di Corvezzo Winery manifesta profumi che ricordano la pera Williams e la mela verde Granny Smith.
Un quadro completato da eleganti sentori di miele d’acacia. Il sorso è corrispondente: pera, mela e il fresco retrogusto fresco del miele, perfettamente amalgamanti. In bocca, il Prosecco Doc Treviso Tenuta Brian si fa apprezzare anche per un’acidità spiccata che, unita a una bollicina cremosa, chiama il sorso successivo.
Gli abbinamenti sono quelli classici per il re degli spumanti Metodo Martinotti italiani. Perfetta a tutto pasto, questa “bollicina” veneta è ottima come aperitivo, in accompagnamento ad antipasti e piatti a base di pesce.
LA VINIFICAZIONE Il Prosecco Bio Doc Treviso Extra Dry di Cantina Corvezzo è ottenuto dai vigneti di Glera situati nel Comune di Cessalto (TV). La vinificazione prevede pigiatura e pressatura soffice a freddo e presa di spuma in autoclave.
La Società Agricola Fratelli Corvezzo affonda le radici all’inizio del Novecento. Oggi, i fratelli Giovanni e Katia conducono una cantina moderna, realizzata con materiali ecocompatibili e impianto fotovoltaico. Sono circa 160, nel complesso, gli ettari vitati a disposizione.
Prezzo: 3,99 euro
Acquistato presso: Lidl
*aggiornamento: la cantina Corvezzo, attraverso il proprio ufficio Marketing e Comunicazione, ci informa che 3,99 euro è “il prezzo di lancio” del Prosecco Bio “Tenuta Brian” nei supermercati Lidl. Il prezzo di vendita, dopo la fase di “lancio”, sarà di 4,99 euro.
Abbiamo dunque rivisto la nostra valutazione, assegnando mezzo punto in meno allo spumante in questione: punteggio che passa dunque da 4,5 a 4 “cestelli della spesa“.
La valutazione della degustazione – e, di conseguenza, l’assegnazione del voto in “cestelli” – era infatti strettamente legata al prezzo iniziale del prodotto, che non potevamo sapere essere “temporaneo”.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
MONTEFALCO –Dopo l’annuncio delle date ufficiali, Anteprima Sagrantino 2014 a Montefalco, il 19 e 20 febbraio 2017 allarga gli orizzonti della manifestazione alla promozione culturale e gastronomica dei vini di Montefalco.
Nel corso della due giorni, dedicata a giornalisti, ristoratori e buyer, non avrà luogo solo la presentazione dell’annata 2014 del Montefalco Sagrantino DOCG e delle annate in arrivo sul mercato degli altri vini del territorio.
Il Consorzio Tutela Vini Montefalco, infatti, rinnova il suo impegno con l’arte e la gastronomia attraverso i tre concorsi: “Etichetta d’Autore 2012”, “Sagrantino nel piatto” e “Gran Premio del Sagrantino”.
“Etichetta d’Autore 2014” si rivolge a fumettisti ed artisti che operino su tutto il territorio nazionale. I partecipanti saranno chiamati a interpretare il “Il Montefalco Sagrantino DOCG” e a candidare il proprio lavoro.L’opera vincente, premiata il 19 febbraio 2017 a Montefalco, diventerà l’etichetta celebrativa dell’annata 2014 del Montefalco Sagrantino Docg.
“Sagrantino nel piatto”, che chiama a raccolta gli chef di tutta la Penisola, è una sfida: dovranno essere propostipiatti gourmet che abbiano come ingrediente il Sagrantino.
Dalla cucina tradizionale o innovativa fino alle rielaborazioni e alla fusion, dagli antipasti ai dessert, i piatti finalisti saranno preparati e presentati dagli chef stessi alla presenza della giuria. L’obiettivo è quello di promuovere e diffondere il Sagrantino e i vini di Montefalco.
Decima edizione il “Gran Premio del Sagrantino”: una vera e propria competizione professionale tra sommelier. I migliori tre, selezionati tra i partecipanti provenienti da tutta Italia, si sfideranno, in un evento pubblico, per aggiudicarsi le borse di studio istituite dal Consorzio per sviluppare la conoscenza tecnica dei vini prodotti nell’area di Montefalco.
Un’occasione unica, per ammirare sommelier professionisti all’opera con degustazioni, abbinamenti, carte dei vini e tutto quanto concerne la corretta comunicazione del Sagrantino all’interno di un ristorante.
Denis Colupaico vincitore di Etichetta dautore 2013
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(4 / 5) Il Pinot Bianco è uno di quei vitigni internazionali che fa discutere gli ampelografi sulla sua origine e che ha trovato dimora in svariati terroir.
Uno di questi luoghi è il Veneto. Assaggiamo oggi il Colli Euganei Pinot Bianco Doc della cantina Conte Emo Capodilista – Azienda Agricola La Montecchia, annata 2015.
LA DEGUSTAZIONE Colere giallo paglierino con riflessi verdastri, trasparente, scorrevole nel bicchiere. Al naso sembra poco intenso ma è solo timidezza. Dopo un attimo ecco arrivare piacevoli note di fiori bianchi, un leggero sentore erbaceo e note di frutta a polpa chiara.
Frutta molto matura che, via via che il calice si scalda, tende a prendere il sopravvento. In bocca si esalta subito la sapidità di questo Pinot Bianco, seguita dalla fresca acidità che lo rende veramente facile ed agile in bocca. “Beverino”, come si suol dire.
Delicato nel retro olfattivo, dominato dai ritorni floreali già percepiti al naso. Non particolarmente persistente, si sposa bene con preparazioni di pesce o carni bianche delicate.
In definitiva, un vino giustamente collocato in una fascia prezzo medio-alta, per quello che riesce a esprimere nel calice rispetto ad altre referenze prodotte con lo stesso vitigno.
LA VINIFICAZIONE Vinificazioni in bianco, in acciaio, a temperatura controllata per le uve di solo Pinot Bianco coltivate su terreno di medio impasto con esposizione sud nel comprensorio della Doc.
Cantina di lunga tradizione, come testimonia la villa cinquecentesca che sovrasta le vigne a Selvazzano Dentro (PD), Conte Emo Capodilista – Azienda Agricola La Montecchia vanta tracce storiche fin dalla Serenissima Repubblica di Venezia. Ma è recentemente che l’azienda si è distinta per i tanti progetti di eco sostenibilità, anche in collaborazione con le scuole delle province di Padova.
Prezzo: 9,50 euro
Acquistato presso: Alìper – Alì Supermercati
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Trento Doc Brut Nature Cuvée Perlé Zero 10 Ferrari 3
Perlé Zero è l’ultimo spumante Metodo Classico partorito da Ferrari Trento. Una Cuvée di tre vendemmie di solo Chardonnay, messa in bottiglia nel 2010.
Un mosaico costruito con grande gusto ed eleganza dalla casa spumantistica trentina, che arricchisce il proprio curriculum dell’ennesimo capolavoro.
LA DEGUSTAZIONE
Il calice del Ferrari Perlé Zero Cuvée Zero (sboccatura 2017) si colora di un giallo dorato luminosissimo, spezzato da un perlage finissimo e di rara persistenza. Un vulcano in eruzione nel vetro.
Ma siamo in montagna. E il naso del Perlé Zero stabilisce coordinate geografiche (e ampelografiche) indiscutibilmente riconoscibili. Nette. Quelle del grande Chardonnay del Trentino.
A flebili richiami di crosta di pane e lieviti, tipici del Metodo Classico, rispondono con fierezza sentori morbidi di pasticceria. Un prato su cui spuntano fiori di camomilla, arnica, verbena, radice di liquirizia. Erba appena sfalciata. Quando la temperatura si alza un poco nel calice, ecco i caldi risvolti meno attesi: le zaffate del cumino e dello zenzero.
In bocca, il Trento Doc Ferrari Perlé Zero entra dritto, sul filo di un rasoio. Poi si allarga. Il filo conduttore resta comunque la sapidità, unita a un’acidità invidiabile. Tutt’attorno rimbalzano sentori fruttati esotici (ananas maturo) che giocano a smussare durezze e dosaggio (zero, appunto), assieme alla tipica avvolgenza ammandorlata dello Chardonnay. Sembra il lavoro del mare, attorno agli scogli.
Rendono ancora più complesso il quadro gustativo i richiami balsamici di mentuccia e macchia mediterranea. Il tutto prima di una chiusura lunga e persistente, connotata da una vena amara di pompelmo, capace di stuzzicare il sorso successivo.
Un grande spumante, complesso ed elegante, questo Perlé Zero di Ferrari. Perfetto in abbinamento a portate di pesce e crostacei, anche se – per struttura – non disdegna affatto le carni bianche. Da provare con un piatto esotico come l’anatra alla pechinese, tutt’altro che scontato.
LA VINIFICAZIONE
Tre vendemmie, messe in bottiglia nel 2010, compongono la Cuvée Zero 10 di Ferrari. In particolare, si tratta dell’assemblaggio del miglior Chardonnay 2006, 2008 e 2009. Uve provenienti dai vigneti di montagna di proprietà della famiglia Lunelli, alle pendici dei monti, in Trentino.
Come spiega la stessa Ferrari, la Cuvée di Perlé Zero prende il nome dall’anno della messa in bottiglia, in questo caso 10 (2010). Il mosaico di millesimi viene precedentemente affinato in acciaio e in legno, poi in vetro. Una volta imbottigliata, la cuvée matura per un minimo 6 anni su lieviti selezionati in proprie colture.
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Minestra di cicoria con brodo di faraona ripiena 3 1
La ricetta che vi racconto oggi, mi riporta a quando ero piccola e non aspettavo altro che il Natale per gustare la minestra di cicoria in brodo di pollo (ripieno) fatta dalla mia nonna.
Oggi ve la ripropongo con la faraona. Spero vi possa piacere!
GLI INGREDIENTI
Una faraona media ( circa 1,2 kg) in busto
1 kg di cicoria già pulita e sbollentata
150 gr di pecorino romano
Pepe rosa in grani
Sale quanto basta
Per il ripieno:
Fegatini di pollo ( 150 gr circa)
2 uova
50 gr di grana padano
Pepe nero macinato ( un pizzico)
Prezzemolo tritato
Un pizzico di sale
LA PREPARAZIONE
Innanzitutto puliamo la faraona e sciacquiamola per bene sotto acqua corrente e poi passiamola su una piccola fiamma , per eliminare eventuali residui di piume.
Adesso passiamo al ripieno. Battiamo le uova , unendo poi il formaggio , il sale, il pepe, i fegatini tagliati a pezzetti e il prezzemolo. In una padella leggermente unta e calda caliamo il tutto e cerchiamo di ottenere un rotolo di frittata. Evitiamo che si asciughi troppo!
Imbottiamo con questo ripieno, il busto della faraona e ricuciamo l’apertura con spago da cucina. A questo punto il busto dovrà essere adagiato in una pentola capiente , che poi riempiremo di acqua. Io aggiungo solo sale e dei grani di pepe rosa, ma se volete, potete aggiungere una carota e una costa di sedano. Lasciamo cuocere per due ore circa.
Con il brodo ottenuto, condiremo la cicoria precedentemente sbollentata. Prendiamo una pentola alta e alterniamo strati di cicoria, di pecorino romano e di brodo. Chiudiamo con una ricca spolverata di pecorino e un pizzico di pepe macinato. Lasciamo cuocere a fiamma bassa per una mezz’ora circa e poi possiamo servire.
Dopo la minestra di cicoria possiamo gustare la faraona e il suo ripieno tenuti in caldo e … buon appetito!
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(3,5 / 5) Esse(l’)allunga. Anzi, lo gonfia. Non tutti gli sconti sono veri e propri “affari”. E’ bene tenerlo a mente nelle corsie del vino al supermercato.
Esempio lampante quello del Chianti Docg Conti Serristori 2016. In questi giorni al 50% sugli scaffali di Esselunga (2,99 euro al posto di 6 euro).
Un prezzo che pare di per sé “gonfiato” ad hoc. Online, la stessa bottiglia è in vendita a meno di 5 euro (prezzo pieno).
Centesimo più, centesimo meno, sono diversi i siti web che confermato la poco elegante operazione del colosso milanese della Grande distribuzione. Tant’è.
LA DEGUSTAZIONE
Il calice di questo Chianti Docg, che in etichetta riporta il simbolo del casato dei Conti Serristori, si tinge di un rosso rubino piuttosto trasparente. Il naso è quello dei Chianti “duri” e poco aggraziati.
Se da un lato risultano tipiche le note di frutti a bacca rossa e di fiori di viola, dall’altro il legno dell’affinamento risulta davvero troppo invadente. Non stiamo parlando della classica vena “vanigliata”. Piuttosto di una sensazione “verde”, scomposta.
Una caratteristica riscontrabile anche al palato, dove i tannini, pur mascherati da una vena sapida nel finale, contribuiscono a sgraziare le note fruttate incontrate al naso, già di per sé poco fini.
Insomma, un Chianti da abbinare a piatti decisi, a base di carne rossa. Oppure, ad oggi, da dimenticare in cantina. Sperando che il quadro gusto-olfattivo ne guadagni, riequilibrandosi nel tempo.
LA VINIFICAZIONE
Il Chianti Docg Conti Serristori è ottenuto all’85% da uve Sangiovese grosso. Completa il “blend” un 15% di vitigni complementari. Le vigne vengono selezionate nella parte senese della zona classica del Chianti, sul territorio dei comuni di Castellina e Radda.
I vigneti sono allevati a Guyot e cordone speronato, su colline di 300-350 metri di altitudine bene esposte e di
composizione diversa, con microclimi differenti. La produzione di uva per ettaro è di 75 quintali, con una resa in vino del 70%.
Le uve mature, raccolte durante la prima decade di ottobre, sono vinificate tradizionalmente “in rosso”, con un paio di settimane di macerazione e con frequenti rimontaggi. La fermentazione, previa l’aggiunta di lieviti selezionati, si svolge alla temperatura controllata di 25 gradi.
La maturazione avviene in fusti di rovere del Limousin: una scelta che potrebbe motivare l’eccessiva “durezza” del vino, percepita durante la degustazione. Prima dell’immissione in commercio, questo Chianti affina ulteriormente in bottiglia per diversi mesi.
La cantina Conti Serristori, operante in località Gaggiano a Poggibonsi, in provincia di Siena, è un’azienda storica della Toscana del vino. Oggi fa parte di Giv, Gruppo italiano vini, uno dei maggiori player del settore in Italia, con importanti partecipazioni in società estere.
Centoquarantacinque gli ettari di vigneti di Serristori, che si estendono tra il cuore del Chianti Classico e la città di San Gimignano. Alla cantina principale si affianca quella destinata alla vinificazione e all’affinamento della Vernaccia.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
(4 / 5) Il St. Magdalener costituisce uno dei vini bandiera della tradizione enologica altoatesina. In vendita nei supermercati Despar, il Sudtirol Alto Adige Doc St. Magdalener della tenuta Wilhelm Walch risulta opzione validissima per chi cerca un rosso leggero e fruttato, immediato e di pronta beva, con un buon rapporto qualità/prezzo. Un vino scevro di spigoli e ruvidezze, in grado di reggere a tutto pasto.
LA DEGUSTAZIONE
All’analisi sensoriale, il St. Magdalener sfoggia un colore rubino intenso di franca trasparenza. Al naso si apprezzano note abbastanza nitide di ciliegia e fragole, susina rossa e violette. Cenni di pepe nero e humus. Leggero e agile al palato, tenue negli aromi, beverino e dotato di discreta persistenza.
Vino celebrato nel Tirolo meridionale fin dal Medioevo per l’innata fragranza, il St. Magdalener è ideale come aperitivo o in abbinamento a formaggi dolci, speck, arrosti di vitello e grigliate di carne bianca.
LA VINIFICAZIONE
I vigneti della tenuta Wilhelm Walch sorgono nel cuore della zona vinicola fra Tramin e Caldaro, in giacitura collinare fra i 250 e i 750 metri di altezza. Le viti poggiano su terreni calcarei misti a sabbia e argille, ai piedi delle Dolomiti, abbondantemente irradiate dal sole.
Il St. Magdalener prevede un uvaggio dominato almeno per il 90% da Schiava con aggiunta di Lagrein e Pinot noir. Fermenta a temperatura controllata in serbatoi di acciaio inox, svolge quindi la malolattica e affina brevemente in grandi botti di rovere di Slavonia prima dell’imbottigliamento.
L’azienda fondata nel 1869 nel borgo storico di Tramin in Alto Adige-Sudtirol appartiene da cento e cinquant’anni alla famiglia Walch. L’impostazione agronomica privilegia l’ecosostenibilità e la valorizzazione delle uve storiche. I vini tradizionali vengono interpretati in chiave moderna con l’integrazione di varietà internazionali.
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
E’ il Veneto che non t’aspetti. Quelle delle bollicine “Metodo Classico”. In realtà, il Lessini Durello Doc 2008 “60 mesi” di Marcato, è molto, molto di più.
Uno di quei vini capaci di sorprendere, perché in grado di mettere l’accento a un vitigno. Nel caso specifico la Durella. Mai sentito parlare? Possibile. Prima, però, vi raccontiamo il calice.
LA DEGUSTAZIONE
Il Lessini Durello Doc 2008 “60 mesi” di Marcato veste il calice di un giallo brillante, dorato. Il perlage è fine e persistente, come si addice ai migliori Metodo Classico.
Naso complesso. Una giostra che inizia a girare sui sentori tipici dei lieviti (60 mesi di affinamento non potevano che lasciare questo “segno”, positivo). E dunque croissant, crema pasticcera. Ma anche miele d’acacia e frutta a polpa bianca. Non mancano richiami minerali (su cui poi mette un punto deciso il palato), sbuffi di fiori di campo ed erbe aromatiche.
In bocca, il Lessini Durello 2008 di Marcato entra dritto, su note sorprendenti (proprio perché non esattamente corrispondenti al naso) di agrumi come cedro e lime Ecco i muscoli del Pinot Nero, presente con un 15% in questo matrimonio d’uve con la Durella (85%).
Acidità e mineralità perfettamente in equilibrio, anche quando il sorso assume tutte le caratteristiche che rendono speciale questa etichetta. Il momento in cui la mineralità del terreno vulcanico esce in tutto il suo splendore.
Ottima anche la persistenza di questo vino, in un retrolfattivo che conserva l’eleganza iniziale. Perfetto a tutto pasto (anche per il prezzo interessantissimo, generalmente sotto i 15 euro), il Lessini Durello 2008 di Marcato accompagnare molto bene piatti a base di pesce, ma anche crostacei ed ostriche.
LA VINIFICAZIONE
Le uve di Durella e Pinot Nero crescono nei Comuni di Roncà, Verona e Val d’Alpone, nel cuore della vulcanica Doc Lessini Durello. Vengono raccolte a mano, in piccole cassette. La vinificazione prevede inizialmente una pressatura soffice con fermentazione a temperatura controllata, compresa tra i 14e i 16 gradi.
Fermentazione malolattica completa, prima del taglio per la seconda fermentazione. L’affinamento sui lieviti, come suggerisce il nome stesso di questo spumante Metodo Classico, prevede un minimo 60 mesi. Un procedimento che si compie nelle cave sotterranee della cantina.
La Marcato ha intrapreso dal 2013 un nuovo corso. Gianni Tessari e la sua famiglia (la moglie Anna Maria e le figlie Valeria e Alice) hanno posto l’accento sull’innovazione, modernizzando l’azienda anche dal punto di vista dell’immagine. Ne sono un esempio le etichette, riviste in un’ottica più accattivante rispetto al passato.
L’anno della svolta, però, è il 2016. La Società Agricola Giannitessari riunisce 55 ettari di vigneto, distribuiti in tre Doc (a Roncà per il Lessini, Soave e Sarego per i Colli Berici) e inizia a contare su una moderna cantina di circa 7 mila metri, portando la produzione a 350 mila bottiglie.
Questi i numeri di una realtà in cui Tessari, sotto la stessa firma, affianca alla produzione di Durello Spumante Metodo Classico quella di vini fermi bianchi e rossi (Soave prima di tutti), oltre agli Charmat a base Durella e Garganega.
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Aglianico del Vulture Dop Bali Cantina di Venosa e1514462248560
(4 / 5) “A fianco all’Italia che tutto il mondo conosce, esiste, quando ci si inoltra nell’estremo meridionale, una seconda Italia, sconosciuta, che non è meno interessante dell’altra, né inferiore per bellezza di paesaggi e grandezza di ricordi storici […]. Parole sulla Basilicata di François Lenormant che così la descrisse dopo il suo viaggio in Italia del 1858.
Descrizione che sembra ancora così attuale: una regione fuori dal tempo, oggi un po’ più conosciuta grazie al cinema o a Matera che sarà capitale europea della cultura nel 2019.
Un territorio aspro, prevalentemente montuoso dove la coltivazione della vite è a dir poco difficoltosa, una delle ragioni per cui conta solo circa 4500 ettari vitati.
Eppure, in questo piccolo areale vinicolo, nel comprensorio del Vulture, antico vulcano spento, ha trovato il suo habitat naturale una perla ben conosciuta agli appassionati di vino, l’Aglianico, vitigno oggi sotto la nostra lente di ingrandimento con un prodotto della Cantina di Venosa: Aglianico del Vulture Dop 2013 Balì.
LA DEGUSTAZIONE Rosso rubino intenso, poco trasparente e denso ha un impatto olfattivo dominato da note fruttate di prugna ed amarena. Seguono note composte di spezie dolci come vaniglia e cannella che non soverchiano assolutamente il frutto. Al palato è un vino dallo stile moderno, molto piacevole e facile da bere.
Il sorso caldo è caldo con una buona componente acida e salina in un contesto tannico ben bilanciato nel quale anche l’alcolicità è perfettamente amalgamata. Come l’Aglianico del Vulture Dop Baliaggio, già degustato nel 2016 si conferma un prodotto ottimo per fascia di prezzo.
In cucina è il classico vino da arrosti, primi piatti saporiti, cacciagione e formaggi a pasta dura. Da servire a 16°- 18° C in calici ampi per gustarlo al meglio.
LA VINIFICAZIONE Prodotto con uve Aglianico 100% allevate a spalliera con una densità di 3500 piante per ha. I vigneti hanno un età compresa tra i 10 e i 30 anni e si trovano ad una altitudine i 450-500 mt s.l.m nella parte nord orientale della provincia di Potenza delimitata dal disciplinare di produzione che comprende il territorio di 15 Comuni.
La vendemmia viene effettuata tra il 15 ottobre ed il 10 novembre. L’uva raccolta a mano nelle prime ore del mattino, viene trasportata in casse da 12/15 kg in cantina dove viene pigiata e diraspata quindi trasferita in piccoli fermentini e macerazione pellicolare con inoculo di lieviti selezionati a temperatura controllata da 23° a 26° C. per circa 8 giorni.
Il completamento della fermentazione alcolica e malo-lattica dell’Aglianico Balì avviene in serbatoi isotermici inox. Successivamente il vino viene affinato in botti di rovere di slavonia per circa 12 mesi, quindi filtrato ed imbottigliato a freddo.
La Cantina di Venosa si trova nell’omonima città lucana. Costituita nel 1957 oggi vanta una base di 400 soci per 800 ettari vitati ed è il maggior produttore di Aglianico nella zona del Vulture.
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Oggi vi propongo una semplice, ma gustosissima torta salata. Spesso per me diventa la soluzione ideale per stuzzicare con i miei familiari, davanti alla tv. Spero vi piaccia. Questa torta è per circa 6 persone.
GLI INGREDIENTI
Ingredienti per la pasta brisè: 250 gr di farina 00; 125 gr di burro; 80 ml di acqua; 10 gr di sale. Ingredienti per il ripieno: 3 salsicce a punta di coltello; 100 gr di funghi champignon; 200 gr di funghi porcini; 250 ml di panna liquida fresca; 100 gr di grana padano; 3 uova; 1 tuorlo; sale e pepe; olio (a vostra discrezione); aglio.
LA PREPARAZIONE
Per preparare la pasta brise, impastiamo insieme gli ingredienti , aiutandoci con un mixer. Il burro e l’acqua dovranno essere ghiacciati. Di solito raffreddo anche il boccale del mixer. Poi formiamo una palla, non lavorandola troppo per non riscaldare l’impasto, ricopriamola con una pellicola e teniamola in frigo almeno una mezz’ora.
Intanto possiamo pensare al ripieno. Dopo aver pulito e sminuzzato i funghi, versiamoli in una padella già tiepida, saliamoli leggermente e lasciamoli per qualche minuto a fiamma bassa, in modo da far perdere un po’ di acqua in essi contenuti. A questo punto aggiungiamo un giro di olio e uno spicchio di aglio intero, che poi toglieremo.
Lasciamoli andare per 10 minuti e poi spolverizziamoli con un trito di prezzemolo. Pronti i funghi, passiamo alle salsicce. Sbricioliamole e facciamole rosolare per bene in una padella calda. Io non aggiungo né olio né sale. Prepariamo a questo punto un battuto con le tre uova, il formaggio grattugiato e il pepe. Anche qui non aggiungo sale.
A questo punto foderiamo una teglia con la pasta brise che abbiamo preparato. Per mantenere freddo l’impatto durante la stesura, al posto del matterello in legno, uso una bottiglia pulita e lasciata in freezer. Adesso farciamo con i funghi e le salsicce. Sopra verseremo le uova e infine la panna liquida.
Ricopriamo con strisce di brisè e spennelliamo con il tuorlo per far dorare la pasta. Inforniamo a 180 gradi circa per 30 minuti, stando attenti che la torta sia ben cotta sul fondo. Bene! Gustatela tiepida e… Buon appetito!
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Sauternes 2011 Grande Reserve Chateau Haut Monteils
(4,5 / 5) Si avvicina al massimo dei voti – pardon, dei “cestelli della spesa” – il Sauternes 2011 Grande Réserve di Chateau Haut Monteils, passito francese in vendita nei supermercati Carrefour Italia. Già perché “passito”, in Francia, è sinonimo di Sauternes.
Un vino unico, ottenuto grazie a particolari condizioni microclimatiche e all’azione di una muffa “buona”, la Botrytis Cinerea. Dei dettagli parleremo tra poco, quando approfondiremo la tecnica di vinificazione di questa etichetta. Facciamo prima parlare il calice.
LA DEGUSTAZIONE Un bell’oro sgargiante, limpido, luminoso, colora il vetro che si riempie del Sauternes 2011 Grande Réserve di Chateau Haut Monteils. Al naso è più complesso che intenso. La nota principale è quella della frutta a polpa gialla matura, sotto sciroppo: pesca, albicocca. La vena dolce, mielosa, è quella attesa.
Buona la finezza dei sentori che, man mano, emergono dal calice. Primi fra tutti quelli che portano la mente alla terra bagnata, al muschio e al sottobosco, appena dopo la pioggia. Ma anche alla maggiorana.
Percezioni che “rinfrescano” il naso, in piacevole contrasto con quelle “calde” del miele millefiori e dei frutti maturi. Un corredo, quest’ultimo, reso ancora più ricco dai richiami ai datteri freschi e al burro d’arachidi e di nocciole.
E anche se non manca una certa pungenza, riconducibile a spezie come lo zafferano, sono i ricordi di idrocarburo a rendere ancora più tipico questo Sauternes Grande Reserve 2011. Della componente Sauvignon del blend percepiamo chiaramente il caratteristico “bosso” e il floreale di ginestra.
Al palato, il nettare entra con meno incisività rispetto al previsto. Il calore è contenuto e l’intensità dei sentori (oltre alla loro natura, a metà tra la frutta matura e il balsamico) risulta corrispondente al naso: non certo esplosiva. Nel retro olfattivo, ricordi di camomilla in infusione e richiami erbacei freschi, di angelica.
Un Sauternes garbato, in definitiva, questo Grande Réserve di Chateau Haut Monteils, che di corrispondente ha anche il prezzo, commisurato al suo valore. Pochi euro per un prodotto “d’ingresso” in un mondo infinitamente complesso, soprattutto per i portafogli dei più.
Consigliamo di abbinare questo Sauternes a dei bocconcini di pane e gorgonzola, a formaggi erbonati oppure a dolci come le crostate di frutta, anche se a fine pasto non stanca da solo. Perfetto con foie gras, pollame, carni bianche, pesce in salsa e Roquefort.
LA VINIFICAZIONE
Come tutti i Sauternes, anche il Grande Réserve 2011 è ottenuto da uve Sémillon, Sauvignon e Muscadelle. La tecnica di vinificazione prevede un parziale affinamento delle uve in barrique. Uve che vengono pressate mediante l’utilizzo di una pressa pneumatica. Il succo ottenuto viene raffreddato, al fine di conservare gli aromi e facilitare la sedimentazione, senza l’apporto di solfiti.
Una parte del raccolto viene vinificata in tini di acciaio a temperatura controllata. Un’altra parte affina minimo 24 mesi in vasche di cemento. La terza ed ultima, proveniente dalle vigne migliori, è interamente vinificata in botte.
Ancora più importante sono le condizioni di arrivo delle uve in cantina. La raccolta, fatta esclusivamente a mano, inizia di solito a metà settembre e può concludersi a novembre.
A seconda della stagione sono necessari da 3 a 6 tentativi per selezionare solo le uve migliori, colpite dalla Botrytis Cinerea, la cosiddetta “muffa nobile”.
Giornate soleggiate e notti umide favoriscono il proliferare di questo fungo, che attaccando la buccia contribuisce ad “asciugare” gli acini e a concentrare gli zuccheri. La Botrytis, tuttavia, non si sviluppa in maniera omogenea su tutto il grappolo.
Per questo sono necessari diversi passaggi di raccolta. Alla fine della vendemmia, ogni vite produce da 1 a un massimo di 3 bicchieri di vino. Solo cinque Comuni della zona Sud di Bordeaux possono fregiarsi dell’Aoc: Sauternes, per l’appunto, Fargues-de-Langon, Bommes, Preignac (dove si trova Chateau Haut Monteils) e Barsac.
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Puglia Igp Rosso Uva di Troia 2013 Citerna Agricole Alberto Longo Terravecchia
(4,5 / 5) C’è uva e uva. E c’è uva di Troia e uva di Troia. Lo sa bene Alberto Longo, che con le sue Cantine di Terravecchia porta sugli scaffali di Penny Market un Rosso Puglia Igp da Uve di Troia dall’invidiabilissimo rapporto qualità prezzo. Senza pari nel calice, in confronto alla concorrenza.
Chiedere per credere al lavandino che si è bevuto, tutto d’un sorso, il Nero di Troia Daunia Igp “Capitolo” della Cantina Sociale di San Severo. Stesso uvaggio, stessa vendemmia (la 2013). Stesso prezzo. Stesso istante di apertura della bottiglia. Battaglia impari.
E non si tratta di tenuta della singola bottiglia. Ma di un preciso discorso di selezione. A partire dal tappo di sughero col quale le due bottiglie sono state tappate. Grossolana la qualità di quello della Cantina Sociale di San Severo.
Lungimirante il cork di Terravecchia, cantina concentrata (evidentemente) più sulle potenzialità d’invecchiamento del vitigno che su un canale distributivo da molti considerato “di serie B”, come la Gdo: dove tutto, o quasi, dev’essere bevuto “entro 6 mesi”. Tutt’altro. Tant’è, alla prova del calice.
LA DEGUSTAZIONE Il Rosso Puglia Igp Uva di Troia 2013 Citerna delle Agricole Alberto Longo – Cantine di Terravecchia si presenta di un rosso rubino intenso con riflessi violacei, poco trasparente. Un colore che evidenzia, sin da subito, la buona tenuta del nettare in bottiglia. Mentre lo si versa, ancor prima di avvicinare il calice al naso, nell’aria si dipana il profumo tipico dell’Uva di Troia.
Quello dei piccoli frutti rossi in tinta balsamica, impreziositi da note vegetali (peperone verde e macchia mediterranea, in particolare rosmarino) e di spezia piccante (pepe nero). Corrispondenti le percezioni in un palato che regala un’acidità piuttosto viva. La beva è fresca e il sorso è invogliato dalla pulizia delle note fruttate, unite a una vena sapida piacevolissima.
Siamo davvero di fronte una vendemmia 2013, da meno di 4 euro? Pare di sì. Tutto bellissimo, ancor più se accompagnato dal piatto adeguato in abbinamento. Il Rosso Puglia Igp Uva di Troia 2013 Citerna delle Agricole Alberto Longo Terravecchia è da provare, per esempio, con una buona pizza salsiccia al finocchietto e gorgonzola.
LA VINIFICAZIONE
L’Uva di Troia che dà vita a questo vino rosso cresce in un vigneto di proprietà delle Cantine di Terravecchia, nei pressi di Lucera. Siamo nel cuore della Daunia, in provincia di Foggia. Le radici delle viti affondano in un terreno mediamente calcareo a tessitura franco-sabbiosa.
L’allevamento è a spalliera (cordone speronato), con densità d’impianto di 5.600 piante per ettaro e una resa per ceppo di 2,5 chilogrammi, corrispondente a circa 130/140 quintali di uva per ettaro.
La vendemmia avviene a piena maturazione, nella seconda decade di ottobre, mediante selezione e raccolta meccanica. La fermentazione alcolica avviene in vasi vinari di acciaio inox a temperatura controllata, favorendo il prolungato contatto delle bucce con il mosto.
La fermentazione malolattica si svolge nel mese di novembre, subito dopo la fermentazione alcolica. L’affinamento del vino avviene dapprima in vasi vinari di acciaio inox, poi per almeno tre mesi in vasche di cemento ed in seguito in bottiglia per un periodo minimo di tre mesi.
Alberto Longo ha scelto di recuperare, nella sua Lucera, un’azienda agricola dell’Ottocento come sede della propria attività collaterale a quella professionale vera e propria. Un casale ristrutturato “con l’obiettivo di produrre vini di qualità e offrire un’accoglienza qualificata e professionale”. Una mission che trova nell’Horeca terreno fertile, senza tuttavia disdegnare la tanto bistrattata Gdo.
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(3,5 / 5) Il Trentino Doc Marzemino Storie di Vite prodotto da La Vis è l’ennesima conferma di come le cooperative del Trentino siano in grado di garantire sempre un ottimo livello di qualità e prezzo al supermercato (e non solo) e di come si possa bere bene, spendendo il giusto.
Sotto la nostra lente di ingrandimento il rosso simbolo di Isera, in Vallagarina, vendemmia 2015. Una zona in cui, grazie alla presenza di rocce basaltiche nel sottosuolo raggiunge punte di vera eccellenza. “Eccellenza” decantata anche nell’opera “Don Giovanni” di Mozart che gli ha conferito l’appellativo di “vino di sinfonia”.
LA DEGUSTAZIONE Il Trentino Doc Marzemino di La Vis fa parte della linea “Storie di Vite”, già recensita con il Nosiola. Di colore rosso rubino intenso con riflessi violacei ha un bouquet semplice e fruttato nel quale si distinguono un profumo intenso di ciliegia, mirtilli e fragoline di bosco, su un delicato sottofondo di violetta. Approfondendo l’analisi, tra i frutti e i fiori giunge anche una leggera nota pepata (pepe bianco).
Molto fruttato anche al palato, ha un sapore acidulo al limite del vivace. Il sorso lascia la bocca pulita, fresca ed asciutta. Sufficientemente equilibrato per questo leggero sbilanciamento sulla freschezza è comunque un prodotto di ottima bevibilità.
Il Trentino Doc Marzemino Storie di Vite in cucina si abbina a secondi di carne come manzo o maiale arrosto, pollo allo spiedo e con formaggi stagionati. Con la polenta di mais o con il baccalà è il classico abbinamento regionale.
LA VINIFICAZIONE Prodotto con uve Marzemino in purezza provenienti da vigneti siti tra i comuni di Isera e Rovereto esposti a sud-est, sud-ovest ad un’altezza di circa 200-250 mt s.l.m. La forma di allevamento adottata è quella del guyot e della pergola semplice trentina con una densità di impianto di 5000 ceppi/ha. La vendemmia è effettuata manualmente nella prima decade di ottobre.
Segue fermentazione a temperatura controllata in serbatoi d’acciaio inox, fermentazione malolattica in serbatoi di cemento armato vetrificato, affinamento sulle lisi per 5/6 mesi circa in parte in serbatoi di cemento armato vetrificato e in parte in barrique di secondo passaggio prima dell’imbottigliamento.
La cantina La Vis è stata fondata e nel 1948 e si trova nell’omonimo borgo, nel cuore delle Colline Avisiane. Oggi riunisce 800 soci impegnati a lavorare oltre 800 ettari dislocati dalle colline di Lavis, Sorni e Meano, ai caratteristici terrazzamenti della Valle di Cembra per arrivare sino ad Isera in Vallagarina e ad alcuni appezzamenti in territorio altoatesino.
La scelta dei vitigni e degli appezzamenti in cui coltivarli è il risultato del “progetto zonazione” avviato a metà degli anni ottanta che costituisce il caposaldo della qualità dei vini La Vis. Questo progetto zonazione chiamato il “il vitigno giusto al posto giusto” ha reso possibile individuare il vitigno più adatto per ogni terreno, attraverso lo studio approfondito delle caratteristiche e della morfologia del suolo.
Prezzo: 5,85 euro
Acquistato presso : A&O / Despar / Eurospar / Il Gigante
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(4,5 / 5) “Sei veramente gelida, Bice, se ieri sera nemmeno il vino Greco è riuscito a scaldarti”. Questa frase, rinvenuta negli scavi di Pompei, testimonia quanto antico sia questo vino campano e quanto già allora lo si ritenesse capace di scaldare (quasi sempre…) l’atmosfera.
LA DEGUSTAZIONE Cristallino, giallo paglierino tenue, al naso questo Greco di Tufo è subito caldo, del sud, con frutta tropicale e fiori gialli, ma anche sapido di iodio e con salsedine e pietra focaia sullo sfondo. L’ingresso in bocca conferma il calore e la sensazione di dolcezza già percepita al naso, sebbene sia un vino chiaramente secco.
La tipica sapidità del vitigno è ben percepibile e, assieme ad una sensazione agrumata, compensa abbastanza bene le note più morbide. Probabilmente, il Greco di Tufo di Cantine Di Marzo ha bisogno di un po’ di tempo in bottiglia per essere apprezzato appieno.
Il finale è lungo e leggermente amarognolo, tra la mandorla e la scorza di agrumi. Un vino di cui farne la scorta in promozione. E da lasciare in cantina per la prossima primavera, quando probabilmente darà il meglio di sé.
Il Greco di Tufo Docg di Cantine Di Marzo, ottimo come aperitivo, si abbina bene con gli spaghetti aglio, olio e peperoncino, con piatti a base di pesce grasso e con le fritture. Da provare con il Salmorejo, la tipica zuppa fredda andalusa.
LA VINIFICAZIONE
La vendemmia per questo Greco di Tufo avviene a mano, verso la metà di ottobre. Dopo una lieve pressatura il mosto svolge la fermentazione alcolica e malolattica in acciaio. Prima dell’imbottigliamento viene decantato a freddo e infine filtrato.
Nel comune di Tufo in Irpinia, lungo la ferrovia che da Avellino porta a Rocchetta Sant’Antonio e che fu definita “la ferrovia del vino”, si trova questa cantina la cui storia inizia addirittura nel 1647, quando Scipione Di Marzo lasciò il suo paese natale, vicino Nola, per sfuggire alla peste, e portò con sé alcune viti di Greco del Vesuvio.
Si può quindi affermare che il capostipite della famiglia Di Marzo fu il creatore di quello che oggi è noto come Greco di Tufo. Nel 1648 Scipione prese possesso di una parte delle mura di cinta della città e vi installò le cantine, dove sono visibili ancora oggi.
Un vino storico, una cantina storica, una zona storica della viticultura italiana, il tutto racchiuso in una bottiglia, ad un prezzo più che conveniente, anche senza offerte. Se tutto ciò non basta a scaldarti, o Bice, ti ci vuole una tachipirina.
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Frolla con mele annurche e rum foto e1512733651205 1
Questa torta la prepara spesso mia nonna e io vorrei condividerla con voi. Proprio come lei, ho usato le fragranti e croccanti mele annurche, le mele della mia terra.
GLI INGREDIENTI Per la pasta frolla: 250 gr di farina; 100 gr di zucchero; 150 gr di burro; un tuorlo e un uovo intero. Per il ripieno:
500 gr di mele annurche; una tazzina da caffè di Rum; un limone; 50 gr di zucchero di canna.
LA PREPARAZIONE Prepariamo la pasta frolla lavorando la farina e il burro e poi uniamo lo zucchero e le uova. Impastiamo in fretta e, quando avremo ottenuto un impasto liscio e omogeneo, ricopriamolo con una pellicola e facciamolo riposare in frigo per mezzora almeno.
Nell’ attesa ci dedicheremo alle mele. Quindi, dopo averle pulite e sbucciate, tagliamole a fettine. Fatto questo, sistemiamole in una terrina e ricopriamole con lo zucchero di canna e il succo del limone. Ovviamente, adorando il rum, non potevo non aggiungerlo!
A questo punto prendiamo la pasta frolla, dividiamola in due e stendiamola con un matterello. Per facilitare questo passaggio, stendiamo direttamente su un foglio di carta forno. In questo modo sarà più facile adagiare la sfoglia nella teglia.
Non ci resta che adagiare le mele (ho aggiunto dei kumquat sminuzzati per dare un tocco di profumo in più), ricoprire con l’altra sfoglia e richiudere i contorni aiutandoci con una forchetta. Inforniamo a 180 gradi e per 30 minuti circa. Vi assicuro che è piaciuta molto. Spero piaccia anche a voi. Buon appetito!
Winemag.it, wine magazine italiano incentrato su wine news e recensioni, è una testata registrata in Tribunale, con base a Milano. Un quotidiano online sempre aggiornato sulle news e sulle ultime tendenze italiane ed internazionali. La direzione del wine magazine è affidata a Davide Bortone, giornalista, wine critic, giudice di numerosi concorsi internazionali e vincitore di un premio giornalistico nazionale. Winemag edita inoltre con cadenza annuale la Guida Top 100 Migliori vini italiani. Winemag.it è un progetto editoriale indipendente e di elevata reputazione in Italia e in Europa. Puoi sostenerci con una donazione.
Verdicchio di Matelica Docg Riserva Cambrugiano Belisario
(5 / 5) Belisario è sinonimo di Matelica, che è sinonimo di Verdicchio. Potremmo andare avanti per ore a cercare analogie linguistiche, prima di arrivare al punto.
Il Verdicchio di Matelica Docg Riserva 2013 “Cambrugiano” è uno dei bianchi migliori presenti sugli scaffali dei supermercati italiani. Non solo nel rapporto qualità prezzo.
A produrlo è una cooperativa, Belisario per l’appunto. Ennesima dimostrazione di come si possano fare grandi vini senza essere (necessariamente) “piccoli produttori”. O vignaioli di nicchia.
Trecento ettari vitati e una cantina da 30 mila ettolitri di capienza. I numeri di un business che non poteva non sfociare nella Grande distribuzione organizzata di qualità. Con vini “di stile” e non “di moda”.
LA DEGUSTAZIONE
Il Verdicchio di Matelica Docg Riserva 2013 “Cambrugiano” si presenta all’appuntamento col calice vestito di un giallo dorato elegante, con tanto di papillon. Al primo giro di walzer nella gabbia di vetro, il nettare punta le mani sul bordo, nell’estremo tentativo di liberarsi. E ci riesce. Buttando l’anima oltre l’ostacolo.
Inebrianti sentori di frutta matura, pesca gialla, nettarina, una lieve nota d’idrocarburo, che poi lascia spazio a un appiccicoso miele millefiori, su cui sembrano incollarsi pistilli e petali ingialliti di camomilla secca.
All’alba dell’assaggio, inizia la scalata. In bocca, il Verdicchio di Matelica Docg Riserva 2013 “Cambrugiano” entra dritto, salato, caldo e intenso. Si stiracchia, sui gradini di un sorso verticale. Poi rallenta, come nella morsa dell’acido lattico. Ecco, corrispondenti all’olfatto, le note di miele e frutta che allentano la morsa delle durezze. Ammorbidendo il sorso.
La scala su cui Cambrugiano ti conduce è lunga, come il retro olfattivo che regala ritorni di note citriche e amaricanti, quasi piccanti. Posi il calice, soddisfatto. Prendi fiato. Il boccone perfetto per accompagnare questo Verdicchio di Matelica Riserva è da ricercare in piatti complessi a base di pesce e carni bianche.
Meglio se particolarmente conditi, per esempio con salse “acide”, a base di pomodoro. Formaggi (pecorino fresco) e salumi come il marchigiano Ciauscolo sono altri ottimi amici di Verdicchio come “Cambrugiano” 2013.
LA VINIFICAZIONE Si tratta, di fatto, del primo “Verdicchio di Matelica” prodotto nella tipologia “Riserva”. L’anno del battesimo è il 1988 e la tecnica utilizzata, sin da allora, è la criomacerazione, utile alla conservazione degli aromi dell’uva.
I vigneti dai quali si ottiene “Cambrugiano” si trovano in contrada Balzani, a Matelica. Sono stati impiantati nel 1981, a quattrocento metri sul livello del mare, con esposizione sud. La densità d’impianto delle viti di Verdicchio (clone matelicese a grappolo serrato) varia dai 1.666 ai 2600 ceppi per ettaro. Venti gemme per ceppo, le prime 4 delle quali sterili.
L’epoca di vendemmia varia ovviamente in base all’annata, ma la raccolta delle uve avviene tassativamente in cassette da 20 chilogrammi. Le uve, portate nella vicina cantina, a una decina di minuti dai vigneti, vengono oggi vinificate in parziale criomacerazione a 0 gradi, per 18 ore.
Per la fermentazione viene utilizzato il lievito Saccharomiyces bayanus, una tipologia molto resistente alle concentrazioni alcoliche, tanto agli stress termici. La fermentazione avviene poi alla temperatura di 16 gradi, per 25 giorni, in serbatoi di acciaio inox da 300 ettolitri, termocondizionati.
Due le epoche di maturazione. Per l’80%, il Verdicchio di Matelica Docg Riserva “Cambrugiano” matura per 12 mesi in serbatoi acciaio inox. Per il restante 20%, sempre per 12 mesi, in barrique da 225 litri. L’imbottigliamento avviene dopo 13 mesi di maturazione complessiva, senza chiarifiche. La produzione, ad oggi, si assesta sulle 50 mila bottiglie complessive di “Cambrugiano”.
Cronista di nera convertito al nettare di Bacco, nel mondo dell’informazione da oltre 15 anni, tra carta stampata e online, dirigo winemag.it. Collaboro inoltre come corrispondente per una delle testate internazionali più autorevoli del settore, in lingua inglese. Edito con cadenza annuale la “Guida Top 100 Migliori vini italiani” e partecipo come giurato ai più importanti concorsi enologici internazionali. Oltre alle piazze tradizionali, studio con grande curiosità i mercati emergenti, seguendone dinamiche, trend ed evoluzioni. Negli anni ho maturato una particolare esperienza nei vini dei Balcani e dei Paesi dell’Est Europa, tanto da aver curato la selezione vini per un importatore leader in Italia. Nel 2024 mi è stato assegnato un premio nazionale di giornalismo enogastronomico.
(3,5 / 5) Torniamo in Trentino con questa recensione: nel calice di vinalsuper la Nosiola di cantina La Vis, prodotta dall’omonimo ed unico vitigno autoctono a bacca bianca della regione. La vendemmia in degustazione è la 2016.
LA DEGUSTAZIONE
La Trentino Doc Nosiola “Storie di vite” si presenta alla vista di un giallo paglierino tenue e brillante con sfumature verdi.
Il profilo olfattivo è delicato, ma al contempo fine ed elegante. Avvicinando il naso al bicchiere si percepiscono sentori fruttati di pesca e mela verde, scorza d’arancia e limone e lievi sfumature di nocciola.
Al palato è un vino secco e piacevole che si distingue in freschezza. Nonostante un leggero sbilanciamento verso le durezze dato dalla spiccata acidità concede una beva facile e soddisfacente.
Ideale come aperitivo, il Trentino Doc Nosiola si sposa perfettamente anche a primi delicati, formaggi freschi o grigliate a base di pesce d’acqua dolce.
LA VINIFICAZIONE
Storie di vite è prodotto nella Valle di Cembra da uve Nosiola 100% da vigneti esposti a sud-ovest a 400 m sul livello del mare. La composizione del terreno è sia di natura siltosa, mediamente profondo e fertile, sia di natura porfirica, poco profondo.
I vigneti sono allevati a pergola semplice trentina, con densità di impianto di 4.500 ceppi/ha. Le uve sono raccolte manualmente nella prima decade di ottobre, successivamente sottoposte a pressatura soffice in atmosfera inerte, decantazione statica dei mosti, fermentazione a temperatura controllata (18°C) in serbatoi d’acciaio inox, affinamento sulle lisi per 5/6 mesi circa, prima dell’imbottigliamento.
La cooperativa vinicola di La Vis nasce nel 1850: inizialmente di proprietà della famiglia Cembran, negli anni si fonde con la cooperativa altoatesina di Salorno che il marchio Durer-Weg ancora rappresenta. Nel 2001 acquista anche la casa spumantistica trentina Cesarini Sforza. Il nome La Vis trae origine dal torrente Avisio, dal latino Vis, sinonimo di forza, situato nella Valle di Cembra in Trentino.
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Oggi cuciniamo il coniglio in casseruola. È molto semplice, come tutte le mie ricette. Ma vi assicuro gustosissima. Ho azzardato il rum, al posto del vino bianco e ho aggiunto un peperone rosso fresco tritato per dare più sapore. Partiamo dagli ingredienti come al solito per 4 persone.
GLI INGREDIENTI (4 persone)
700 gr circa di coniglio a pezzi; 1 spicchio di aglio; 1 cipolla o scalogno; mezzo bicchiere di rum; 400 gr circa di polpa di pomodoro; un peperone rosso tritato; rosmarino, salvia, menta, basilico, sedano, carota; 3 cucchiai di olio extravergine di oliva; sale a piacere; pepe a piacere.
LA PREPARAZIONE
La prima cosa da fare è preparare un trito con tutti gli aromi ,la cipolla ,l’aglio e la carota, con il quale condiremo i pezzi di coniglio. Uniamo l’olio e il peperone rosso e lasciamo qualche ora a riposare in frigo coprendo con una pellicola.
Scaldiamo una casseruola antiaderente e dai bordi alti per la preparazione. Quindi, mettiamo il coniglio a rosolare rigirandolo con cura e dopo 15 minuti circa uniamo il rum e lasciamo evaporare.
A questo punto uniamo polpa di pomodoro e sale. Lasciamo cuocere per 30 minuti ancora (a fiamma moderata), aggiungiamo il pepe ( se vi piace) e… Buon appetito!
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3 Monts Grand Reserve La Brasserie de St Sylvestre 1 1
(4,5 / 5) “Pizza fredda e birra calda”. E’ quello che si augura ad un amico quando gli si vuole rovinare la serata. Non ci occuperemo di pizza in questo contesto. Ma sulla temperatura della birra le cose non sono semplici come si crede. E questa Bière de Garde ne è un esempio.
LA DEGUSTAZIONE La “3 Monts” Grande Reserve si presenta di un bel color ambra chiaro, che vira decisamente verso l’arancione. La schiuma non è particolarmente densa né persistente.
Molto profumata, al naso la prima sensazione (che rimarrà durante tutto l’assaggio) è amaricante di scorza di arancia, e ricorda un celebre aperitivo dello stesso colore, poi sensazioni di mela, malto e spezie in perfetto equilibrio. L’ingresso in bocca è fresco e amarognolo.
Nonostante gli 8,5 gradi alcolici, la birra risulta piuttosto leggera e conserva una buona facilità di beva grazie al ritorno delle sensazioni aromatiche di agrumi e bitter già apprezzate al naso. Grande finale, lungo, aromatico, piacevolissimo, che lascia la bocca pulita, fresca e profumata.
Il mastro birraio consiglia di degustare 3 Monts Grande Reserve a circa 10-12 gradi, che è bene ricordare, è circa il doppio della temperatura dei nostri frigoriferi, quindi nessuna paura a tirarla fuori un po’ prima del servizio. Con gli abbinamenti ci si può sbizzarrire: non disdegna né un panettone con dei buoni canditi né un’anatra all’arancia.
LA PRODUZIONE
La Brasserie de St Sylvestre si trova a Saint Sylvestre Cappel, nel Nord-Pas-de-Calais, al confine col Belgio.
Secondo i documenti conservati nel Municipio di questo piccolo comune (poco più di un migliaio di abitanti) un birrificio esisteva già prima della Rivoluzione Francese, sebbene solo negli anni 60 dell’800 Louis Devrière acquistò la Brasserie dalla famiglia Cordonnier ridando vita ad una tradizione antica.
La 3 Monts è una birra ad alta fermentazione che appartiene allo stile “Bière de Garde”, tipico della regione di Calais. Si tratta di birre “da conservazione”, tradizionalmente prodotte in primavera e conservate in cantine fresche per essere bevute durante l’estate. In genere sono birre artigianali, ma vi sono anche versioni industriali di questo stile, di cui la 3 Monts è senz’altro un ottimo esempio.
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(5 / 5) L’Abruzzo del vino deve il suo successo, specie negli ultimi anni, al Pecorino (oltre al classico Montepulciano). Ma sul mercato si fa largo un vitigno autoctono abruzzese a bacca bianca: la Cococciola. E’ Auchan a portarlo alla ribalta sui propri scaffali. Obiettivo centrato non solo nello straordinario rapporto qualità prezzo.
La valorizzazione dei vitigni autoctoni da parte delle insegne di supermercati è un aspetto che troppi buyer ancora sottovalutano. Giù il cappello per il coraggio dimostrato dalla catena francese del gruppo Adeo. Ennesima riprova delle positive ricadute di una “buona Gdo” sul tessuto vitivinicolo.
LA DEGUSTAZIONE
Sotto la lente di ingrandimento di vinialsuper finisce così la Cococciola 2016 “Niro” di Citra Vini, consorzio di 9 cantine sociali che ha come obiettivo quello di “selezionare, controllare e valorizzare la migliore produzione enologica della provincia di Chieti”.
Nel calice, il vino si presenta di un giallo paglierino limpido dai riflessi dorati. Al naso, la Cococciola parla una lingua esotica, capace di scaldare il cuore: una spremuta d’agrumi, papaya e pesche. Un olfatto ammiccante, reso più serioso da evidenti note minerali e da interessanti richiami di foglia di pomodoro secca.
L’ingresso in bocca di “Niro” è morbido e fa pensare a quel 13% d’alcol in volume indicato in etichetta. Una percezione che limita a tradursi in seta per il palato, carezzevole, tutt’altro che stordente. Poi arriva il pizzicotto dell’acidità e della sapidità. Durezze perfettamente equilibrate in un sorso che si fa sempre più interessante.
Non stiamo certo parlando di un vino particolarmente “complesso” in termini d’aromi. Quel che colpisce è la sua evoluzione fatta di gradini netti e ben definiti, come l’incedere dei capitoli di un libro che svela piccoli segreti, prima della verità finale. Frutta e i richiami floreali freschi. Poi l’acidità. Quindi la sapidità.
Prima della scritta “the end”, la Cococciola 2016 di Citra Vini regala una lunga chiusura su note piacevolmente fresche e agrumate, capaci di chiamare il sorso successivo e di accompagnare il piatto in maniera quasi spasmodica.
Accompagnamento perfetto, quest’autoctono Igp Terre di Chieti, per piatti a base di mare: dalle insalate ai crudi, passando per i crostacei. Da provare con il sushi. Un’etichetta che non disdegna neppure la carne bianca. Purché si badi a una temperatura di servizio tra i 10 e i 12 gradi.
LA VINIFICAZIONE
Di Cococciola, in Abruzzo, non ce n’è molta. Che la si chiami così, oppure “Cacciola” o “Cacciuola”, si parla di poco meno di 500 ettari. Citra Vini seleziona i grappoli e li raccoglie a mano. La tecnica di vinificazione di “Niro” prevede una pressatura soffice degli acini. Il mosto viene lasciato decantare diverse ore, prima della fermentazione a temperatura controllata.
Operativa dal 1973 in Contrada Cacullo a Ortona, in provincia di Chieti, Citra Vini si pone come “punto di riferimento” in un’area in cui la viticoltura è il pane quotidiano per molte famiglie. Non a caso, Chieti è la seconda provincia italiana (la prima in Abruzzo) per quantità di uva raccolta di vendemmia in vendemmia.
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