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Taurasi Docg Riserva 2015 Duecape, De’ Gaeta – Az. Agr. Kumor Bozena

Taurasi Docg Riserva 2015 Duecape, De' Gaeta - Az. Agr. Kumor Bozena
Dalla Guida Top 100 Migliori Vini italiani 2025 di Winemag: Taurasi Docg Riserva 2015 Duecape, De’ Gaeta – Az. Agr. Kumor Bozena (14%).

Fiore: 8.5
Frutto: 9
Spezie, erbe: 9
Freschezza: 8
Tannino: 7.5
Sapidità: 8
Percezione alcolica: 6
Armonia complessiva: 8.5
Facilità di beva: 7
A tavola: 9.5
Quando lo bevo: subito / oltre 3 anni

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Guida winemag 2023: il Verdicchio 2015 Pas Dosè “Millesimè” di Mirizzi è Spumante dell’anno

Il Verdicchio dei Castelli di Jesi 2015 Pas DosèMillesimè” di Mirizzi è Spumante dell’anno per la Guida Top 100 Migliori vini italiani 2023 di winemag.it. Si tratta del primo millesimo “senza dosaggio” immesso sul mercato dalla cantina marchigiana guidata da Gianluca Mirizzi.

Una nuova etichetta che si va ad aggiungere alla centratissima gamma di spumanti e vini fermi della cantina di Jesi. Al centro del progetto enologico, la varietà simbolo delle Marche, il Verdicchio.

In un mondo della spumantistica italiana ed internazionale che sta vivendo un vero e proprio boom, mostrando ad esperti e winelovers di tutto il mondo nuove zone potenzialmente interessanti, tanto quanto “esperimenti” enologici poco degni di nota, provenienti da areali privi di esperienza nella spumantizzazione, il “Millesimè” 2015 di Mirizzi convince per la capacità di tenere al centro del sorso la tipicità della varietà marchigiana per eccellenza.

MILLESIMÈ, METODO CLASSICO 100% VERDICCHIO DEI CASTELLI DI JESI

Conscio delle potenzialità del Verdicchio nei lunghi affinamenti, Gianluca Mirizzi ha scelto di tenere sui lieviti per circa 70 mesi il suo primo Pas Dosè, dopo aver sperimentato per diverse annate con “bollicine” con residuo zuccherino. Una scelta che paga, sotto ogni profilo: stilistico, culturale, imprenditoriale e organolettico.

Naso e palato del Verdicchio dei Castelli di Jesi 2015 Pas Dosè “Millesimè” di Mirizzi raccontano di uno spumante Metodo classico legato come pochi altri alle Marche. In grade evidenza il frutto giallo, le note iodiche e una leggera venatura idrocarburica che s’accosta alla buccia d’agrume (cedro), a segnare i tratti decisi di uno Champenoise di gran struttura e persistenza, dalla chiusura freschissima, quasi balsamica.

MIRIZZI DOPO MONTECAPPONE: UN NUOVO BRAND PER IL VERDICCHIO

Mirizzi è la seconda azienda fondata da Gianluca Mirizzi. Dal 2015 affianca Montecappone, lo storico brand della famiglia. La scelta dello stemma araldico come logo della nuova avventura è utile a comprendere la filosofia della cantina di Jesi, che vuole abbinare tradizione e modernità.

Nascono così gli spumanti “Millesimè“, base Verdicchio in vari dosaggi, oltre a una linea di vini dai nomi curiosi: “Cogito A.“, “Ergo” ed “Ergo Sum“. L’azienda dispone di 6 ettari di vigneti e 3 di oliveti, in conversione biologica.

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Barolo Docg Cannubi 2015, Borgogno

Se è vero che «l’attesa del piacere è essa stessa il piacere», aprire una bottiglia di Barolo Cannubi 2015 Borgogno nel 2021 dovrebbe essere ascritto tra i reati contro la libidine. Ma non tutti hanno velleità alla Gotthold Ephraim Lessing. E allora eccoci qui a raccontare un vino d’eccezione, che si aggiudica un punteggio di 96/100.

LA DEGUSTAZIONE
Il sipario del Barolo Docg Cannubi 2015 di Borgogno si apre piano, lentamente (riecco l’attesa, facciamocela bastare). Il primo attore, sua maestà il Nebbiolo, è in leggera penombra. Se ne scorge distintamente l’abito usuale, quella divisa d’un rosso rubino luminoso, tendente al granato. Inconfondibile.

L’ossigenazione accende il microfono e l’accento di Cannubi inizia a risuonare in sala. È un mazzo di violette e rose, tra i frutti rossi e le spezie dolci. Si distinguono ciliegie mature, grondanti di succo, così come ribes e lamponi, oltre a note vaniglia bourbon e fondo di caffè.

Solo in un secondo momento, un bell’accento mediterraneo, d’erbe aromatiche, su ricordi di liquirizia e noce moscata. Un quadro elegantissimo, in cui ogni componente gioca il suo ruolo senza prevaricare sulle altre.

Lo stesso si può dire del palato, che ripresenta il linguaggio elegante del Barolo e le sfumature che rendono Cannubi una collina unica al mondo. Riecco in particolare la ciliegia, in un ingresso tanto pieno, largo e voluttuoso, quanto teso e verticale, nel gioco tra il frutto, la freschezza e un tannino in cravatta che fa il paio con una carezzevole salinità.

L’affinamento in legno rende ancora più complesso il sorso, donando lunghezza e ricchezza a un finale balsamico e fresco, asciutto e assolutamente appagante. L’attesa, in definitiva, farà bene a questo Barolo e a chi saprà resistere alla tentazione di stapparlo.

Ma il Cannubi 2015 di Borgogno è certamente uno di quei Barolo in grado di regalare grandi emozioni sin dai primi anni di una lunga vita. Perfetto l’abbinamento con piatti strutturati a base di carne, a partire da una pappardella condita con ragù di cinghiale, passando poi secondi come un brasato, il gulasch o il manzo alla griglia o alla brace.

LA VINIFICAZIONE
Il Barolo Cannubi 2015 di Borgogno nasce, come indica l’etichetta, dalla “Menzione geografica aggiuntiva” (Mga) di Cannubi. Esposizione a sud e altitudine compresa fra i 290 a i 320 metri sul livello del mare, per appena 1,30 ettari di vigneto ad Archetto (Guyot modificato).

La densità di impianto è pari a 4 mila ceppi per ettaro, con le radici del Nebbiolo che affondano in terreni composti da marne calcareo argillose, leggermente sabbiose. La vendemmia, nel 2015, è iniziata nella prima decade di ottobre.

Un inverno caratterizzato da abbondanti nevicate e una primavera con temperature miti sin dal mese di febbraio, ha consentito un anticipo del ciclo vegetativo che si è poi mantenuto nel proseguo dell’annata.

La stagione, come riferisce Borgogno, è proseguita con un susseguirsi di precipitazioni tra la fine del mese di maggio e la prima decade di giugno, con temperature che si sono poi stabilizzate su valori massimi sopra la media.

Il caldo non ha però causato nessun fenomeno di stress ai vigneti, grazie alle abbondanti riserve idriche accumulate nei primi mesi (nevosi) dell’anno. Il quadro, in definitiva, di «una grande annata, da ricordare, come poche altre nella storia».

Dopo la vendemmia nella vigna Cannubi, le uve hanno subito una fermentazione spontanea di 20 giorni in vasche in cemento, a temperature comprese tra i 22° e i 28°. A seguire, una lunga macerazione a cappello sommerso, che si è protratta per oltre 40 giorni.

In questa fase è avvenuta la fermentazione malolattica. Con l’innalzarsi delle temperature, nella primavera del 2016, il vino è stato travasato in grandi botti di rovere di Slavonia, in cui è rimasto ad affinare per 4 anni. Hanno completato la vinificazione 6 mesi in cemento, prima dell’imbottigliamento.

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Maremma Toscana Doc Ciliegiolo 2015 “San Lorenzo”, Sassotondo

Ben più di un Ciliegiolo da incorniciare. Il Maremma Toscana Doc Ciliegiolo 2015San Lorenzo” di Sassotondo, etichetta icona della cantina guidata da Carla Benini ed Edoardo Ventimiglia, è il simbolo di una fetta di Toscana che chiede – e merita – attenzione nel panorama vitivinicolo nazionale.

Il riferimento è non solo alla Maremma, ma soprattutto alla zona vulcanica di Sorano e Pitigliano, in provincia di Grosseto. Un’areale influenzato dagli effetti dal bacino vulcanico dell’attuale lago di Bolsena, in cui il tufo è di casa nel terreno.

LA DEGUSTAZIONE
Il Ciliegiolo 2015 “San Lorenzo” di Sassotondo si presenta nel calice di un colore violaceo. Naso ben giocato sul frutto e sui terziari, con sbuffi netti di spezie. Al palato, freschezza e mineralità vulcanica fanno da “freno a mano” all’incedere esplosivo dei primari, ovvero del frutto, disegnando un sorso di grande precisione e persistenza.

Un vino bello (e buono) da bere oggi, ma con tanta vita davanti. Non a caso si tratta della miglior selezione di uve Ciliegiolo provenienti da un vigneto di circa 60 anni, condotto dal 1994 con metodi di agricoltura biologica.

LA VINIFICAZIONE
Dal vigneto di 4.800 vecchie viti si scorge Pitigliano, tra i borghi simbolo della Maremma. Raccolta e selezione delle uve avvengono in maniera manuale e “naturale” è anche la fermentazione, che avviene grazie a lieviti indigeni.

La macerazione dura da 15 a 20 giorni. Il vino atto a divenire “San Lorenzo” matura per 18/30 mesi in botti di rovere di Slavonia da 10 ettolitri. Viene immesso in commercio solo in seguito a un altro anno di affinamento in bottiglia nelle fresche cantine sotterranee di Sassotondo.

Il Maremma Toscana Doc Ciliegiolo 2015 “San Lorenzo” è tra le etichette presenti nella Top 100 Migliori vini italiani 2021 di WineMag.it, la Guida edita con cadenza annuale dalla redazione della nostra testata.

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Aspetta il Gavi che lui t’aspetta: verticale Gavi Marchese Raggio 2015, 2016 e 2017

Tre annate di Gavi del Comune di Gavi Docg di Marchese Raggio – La Lomellina (2017, 2016 e 2015) che dimostrano l’assunto: aspetta il Gavi, che lui t’aspetta. Il bianco piemontese, per l’esattezza alessandrino, “invecchia” bene. Il tasting in verticale.

  • Gavi del Comune di Gavi Docg 2017, Marchese Raggio – La Lomellina (14%): 89/100
    Giallo paglierino tenue, ottima luminosità. Primo naso intenso e da subito elegante, fiori bianchi freschi e agrumi, buccia di lime, pesca, ananas e un tocco di radice di liquirizia. In bocca un’ottima freschezza, ingentilita a dovere dai 14% d’alcol in volume. Il sorso si allunga su note di pesca tabacchiera (quella a polpa a bianca) che ricordano il melone bianco, su un sottofondo agrumato e iodico. Bel vino, anche dal punto di vista della gastronomicità.
  • Gavi del Comune di Gavi Docg 2016, Marchese Raggio – La Lomellina (13%): 87/100
    Giallo paglierino pieno, primi flebilissimi riflessi dorati. Naso più profondo, con le note di radice di liquirizia ancora più in primo piano. La frutta non manca. Sono i ricordi di pesca, in particolare, a farsi largo con l’ossigenazione. Ancora più evidente la mineralità, che asciuga il sorso, nonostante il buon apporto glicerico (13%). Il sorso è più snello del precedente, ma salinità e freschezza fungono ancora da spina dorsale. Altro bel vino con cui giocare in cucina. Va detto: fra i 3 in batteria, il più stanco.
  • Gavi del Comune di Gavi Docg 2015, Marchese Raggio – La Lomellina (13%): 90/100
    Giallo paglierino netto, accenni dorati sarcastici. Primo naso su uno sbuffo di idrocarburo, ma è la parte vegetale che sorprende maggiormente. Alla consueta nota di radice di liquirizia si abbinano ricordi di verbena, mentuccia e un tocco mediterraneo, di rosmarino fresco.L’ossigenazione lascia spazio a ricordi umami (per intenderci la salsa di soia o il “mono-glutammato di sodio”, per i tecnici all’ascolto). La complessità olfattiva è degna di un’ulteriore attesa dell’espressione globale del nettare nel calice, a costo che si scaldi un poco.Un rischio che vale la pena di correre, per poi rinfrescare il bicchiere prima dell’assaggio, con un altro goccio. Qualche minuto ancora e nasce un fiore bianco dal giallo luminoso di cui si è ormai vestito il calice: più biancospino che glicine. Un gesto di coraggio, che dà il largo ad altri slanci “giovanili”. Si distingue nettamente una bella componente fruttata, esotica: ananas e pesca sui ricordi d’agrume perfettamente maturo.Ingresso di bocca piuttosto morbido, prima di una buona tensione dettata dall’acidità, ancora viva: il sorso è in definitiva fresco, all’insegna di un vino che ha ancora molto da raccontare, nella sfida col tempo. L’ultima parola, prima della chiusura del sipario, è su un ritorno delle morbide note fruttate avvertite in ingresso, senza che la freschezza ceda affatto il passo.

LA VINIFICAZIONE

L’area di produzione, come suggerisce l’etichetta, è quella del Comune di Gavi, nell’Alessandrino, in Piemonte. I vigneti di Cortese, con esposizione a Sud-Est, si trovano a un’altitudine compresa tra 250 e 280 metri sul livello del mare.

Il suolo è composto da marne sabbiose che conferiscono una resa di 70 quintali per ettaro. Le uve Cortese, utili alla produzione del Gavi del Comune di Gavi Marchese Raggio, vengono raccolte solitamente nella seconda metà di settembre. La vendemmia è manuale, in cassette forate da 20 kg.

Riguarda solo i migliori grappoli che, una volta in cantina, vengono sottoposti a una pressatura soffice e a una successiva fermentazione in recipienti di acciaio inox. La temperatura viene mantenuta costantemente bassa, fino all’esaurimento di tutti gli zuccheri, al fine di preservare gli aromi primari del Cortese.

Il mosto non svolge la fermentazione malolattica e il vino atto a divenire Gavi del Comune di Gavi di Marchese Raggio affina tra i 4 e i 6 mesi in acciaio prima di essere imbottigliato. Per l’immissione in commercio dell’ultima annata occorrono solitamente altri 4 mesi.

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Cannonau di Sardegna Doc 2015 Mamuthone, Giuseppe Sedilesu

Circa 70 mila bottiglie per quello che, di anno in anno, si conferma uno vini più espressivi della Sardegna e d’Italia. È il Cannonau di Sardegna Doc 2015 Mamuthone di Giuseppe Sedilesu. Il vero simbolo della cantina di Mamoiada, borgo di 2.500 abitanti della provincia di Nuoro. Siamo nella zona centro orientale dell’isola, nella Barbagia di Ollolai.

LA DEGUSTAZIONE
A cinque anni dalla vendemmia, Mamuthone 2015 si presenta nel calice di un rosso rubino luminoso, mediamente trasparente. Al naso è intenso. All’esplosione di frutti di bosco e arancia sanguinella fanno eco accenni di brace, macchia mediterranea e una percezione iodica, minerale.

In bocca è splendido, pieno, tra il frutto e un tannino di grande eleganza e finezza, condito da una freschezza dinamica, che accompagna il sorso verso la chiusura. Riecco i richiami salini, impreziositi da un accenno di spezia nera. Alcol presente, ma perfettamente integrato e per nulla disturbante. Semplicemente un grande vino.

Il sorso asciutto, nonostante i ritorni di frutta perfettamente matura, fa di questo Cannonau di Mamoiada il compagno perfetto per tutti i piatti a base di cacciagione. Più in generale, per le carni rosse e i formaggi stagionati. Bassissimi i livelli di solforosa, che si assesta fra i 30 e i 50 mg/l.

LA VINIFICAZIONE
Le uve di Mamuthone provengono da viti ad alberello, con rese medie bassissime: appena 50 quintali per ettaro. Le uve vengono vendemmiate dalla famiglia Sedilesu nel mese di ottobre. La fermentazione viene condotta con lieviti indigeni, già presenti sulle uve.

Il Cannonau, pressato in maniera soffice al fine di preservare tutti gli aromi ed evitare l’estrazione di componenti amare, macera per il 12-15 giorni. La maturazione si prolunga per i successivi 12 mesi, in botti da 40 ettolitri.

Il vino non viene sottoposto ad alcuna filtrazione all’imbottigliamento. Prima della commercializzazione, Mamuthone affina per tre mesi in vetro, iniziando il suo lungo periodo di maturazione in bottiglia.

Il nome del vino non è stato scelto a caso, così come l’etichetta. I Mamuthones, così come gli Issohadores, sono le maschere tipiche del carnevale di Mamoiada. Quello di Giuseppe Sedilesu è una dedica tradizioni della terra che ospita la cantina, da oltre trent’anni.

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Sgarbi a Montalcino: “Oggi arte evolve nel vino più che tra sedicenti artisti”

MONTALCINO – “Una volta c’erano artisti come Michelangelo e Giotto, e i contadini facevano il vino: questi geni oggi non ci sono più e hanno lasciato il posto a sedicenti artisti”. Così, nella sua lectio magistralis “Un’annata ad opera d’arte” il critico d’arte Vittorio Sgarbi, ha aperto oggi a Montalcino la 4 giorni di Benvenuto Brunello, dedicata al grande rosso toscano e all’annata 2015.

“Per contro – ha aggiunto Vittorio Sgarbi a Montalcino – troviamo l’arte tra i produttori di vino, in una sorta di evoluzione psicologica e culturale di valori normalmente riferiti solo all’arte, ora espressi in maniera equipollente dal mondo del vino. Certi nostri prodotti sono universali e rappresentano un’unica identità di civiltà e di cultura”.

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I migliori assaggi a “Viva la Vite” 2020, rassegna dei vini artigianali di Pescara

Circa sessanta produttori nazionali ed internazionali hanno animato la due giorni di “Viva la Vite” 2020 all’ex Aurum di Pescara. La manifestazione, giunta alla terza edizione il 16 e 17 febbraio, ha l’obiettivo di “valorizzare i vini artigianali e naturali“. Spazio anche allo Champagne.

Organizzazione sempre più ricca, a cura dell’omonima Associazione Culturale pescarese “Viva la Vite”. Ottima la risposta del pubblico ai banchi di assaggio, ma anche alle conferenze e ai laboratori che hanno visto protagoniste etichette italiane ed estere.

I MIGLIORI ASSAGGI A VIVA LA VITE 2020

Montepulciano d’Abruzzo Doc Riserva 2015, Praesidium
Praesidium si conferma un punto fermo a livello regionale delle filiere naturali. L’azienda ha sede a Prezza (l’Aquila). Le sue coltivazioni sono esclusivamente biologiche per il tramite del sovescio e del favino. In degustazione il Montepulciano Doc Riserva 2015.

Dalla macerazione a contatto con le bucce delle uve Montepulciano d’Abruzzo e dal lungo periodo di maturazione nascono le Riserve, si tratta di vini rossi longevi e complessi. Il 2015 degustato, seppur ancora giovane, appare già ben delineato grazie alla vinificazione con fermentazione spontanea in botti di acciaio e macerazione di 12 giorni.

Affinamento di circa 24 mesi in botti di rovere di Slavonia. Ulteriori 6 mesi in bottiglia. Al naso profumi che ricordano la frutta rossa matura con note speziate e balsamiche. Al palato è un vino avvolgente, caldo, con tannino amalgamato nella massa e con un ottima persistenza. Sarebbe interessante degustarlo tra qualche anno.

Montepulciano d’Abruzzo Doc 2016, Amorotti
Azienda ubicata a Loreto Aprutino, notoriamente famosa per le celebri produzioni dell’azienda agricola Valentini. Caratteristica dell’azienda risiede nell’ utilizzo di soli cristalli di rame e zolfo, con esclusione di diserbanti e concimi chimici.

Abbiamo degustato la produzione di Montepulciano annata 2016. Alla vista il vino si presenta rosso rubino; e al naso invaso da chiari profumi di frutta rossa ben matura, riempie la bocca per la sua pienezza ed il suo corpo con evidenti sfumature fruttate e minerali. Un vino artigianale di grande prospettiva.

Cerasuolo d’Abruzzo Doc 2018, Nic Tartaglia
Azienda estesa per una decina di ettari presso Alanno (Pescara). Produzioni sincere e senza fronzoli, potremmo definirli “come natura crea”. In degustazione abbiamo scelto il Cerasuolo d’Abruzzo Doc vendemmia 2018.

Caratteristico il suo colore rosato di media intensità, al naso gradevoli note di frutta sia bianca che rossa, in particolare pesche ed amarene. In bocca di buona morbidezza ed intensità.

Si potrebbe ben accompagnare a preparazioni che prevedano anche l’utilizzo di pomodoro, ad esempio brodetti di pesce non molto elaborati del vastese oppure pizza.

Spumante Metodo classico Brut Nature Rosé Viktorija, Slavcek
Ci spostiamo virtualmente in Slovenia, su una produzione “Triple A”. Azienda condotta da Franc Vodopivec. Questo spumante viene realizzato con i vitigni Rebosco 90% e Merlot 10%. La macerazione per 6 ore con le bucce, fermentazione spontanea in contenitori di acciaio e affinamento negli stessi per 1 anno sulle fecce fini.

La vendemmia successiva avviene con rifermentazione in bottiglia con mosto fresco di Merlot proveniente dalla stessa vigna. Sboccato dopo circa 7/8 mesi con una piccola aggiunta dello stesso vino.

Un classico vino spumante rosato, dal naso marcatamente fruttato a tratti vinoso. In bocca il sorso è fresco e minerale. Lo immaginiamo di facile abbinamento con pesce, crostacei e salumi. Azienda che merita senz’altro una sosta.

Trebbiano d’Abruzzo Doc 2018, Azienda Agricola Santoleri
Siamo a Guardiagrele (CH), più precisamente in località Crognaleto, azienda ora diretta da Giovanni Santoleri che oltre alle produzioni vitivinicole cura anche delle eccellenti produzioni di farine ed oli. I cicli naturali della vigna sono alla base della filosofia per la realizzazione di ottimi vini.

Il Trebbiano d’Abruzzo doc 2018 degustato si presenta alla vista giallo paglierino ed al naso fruttato e floreale, si distingue in modo marcato l’acacia. In bocca il vino risulta sin da subito armonico e con una punta di sapidità non invadente. Un vino di corpo ed armonico reso elegante anche da una giusta freschezza.

Montepulciano d’Abruzzo Doc 2008, Azienda Agricola Santoleri
Altra produzione dell’azienda di Santoleri in rassegna a Viva la Vite 2020 di Pescara: sotto i riflettori il vitigno principe della regione, dodici anni trascorsi ma questo Montepulciano è ancora longevo.

Il suo colore rosso rubino invita ad una lunga bevuta, confermata in bocca grazie ad un gusto pieno, con un tannino ancora equilibrato e con alcuni piacevoli sentori conferiti dal legno, anticipati in precedenza all’olfatto, vaniglia su tutti.

Annata difficile quella 2008 a causa delle insistenti piogge ma che in tal caso ha messo in risalto tutte le potenzialità del nobile vitigno abruzzese. Una certezza regionale, da provare anche gli altri prodotti dell’azienda.

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Cerbaiona non produrrà il Brunello di Montalcino 2015: “Sarebbe contraddittorio”

MONTALCINO – Sorpresa in Toscana. Cerbaiona ha deciso di non produrre l’annata 2015 del suo rinomato Brunello di Montalcino. Lo annuncia il distributore di vini e distillati Pellegrini S.p.A., che definisce la scelta della cantina “incredibile ma ragionata“. Il vino, sempre secondo quanto riferisce il distributore, risulterebbe “contraddittorio“.

Cerbaiona sarà dunque sul mercato esclusivamente con il Rosso di Montalcino 2015. La decisione di rinunciare alla produzione del Brunello di Montalcino 2015 “è l’emblema del nuovo approccio filosofico di Cerbaiona”, aggiunge Pellegrini.

“La proprietà – spiega il distributore – in quanto custode di un vigneto privilegiato e di una tenuta storica, ha sentito la necessità di mettere in discussione il proprio operato e di non adagiarsi sugli allori e sugli elogi del passato,  impegnandosi per raggiungere una visione in grado di portare alla luce tutto il potenziale di Cerbaiona.

Tutti concordano nel sostenere che il 2015 è stato un anno eccezionale, se non addirittura straordinario, per il Sangiovese. Durante i mesi estivi si registrarono temperature elevate compensate poi dall’arrivo di piogge moderate.

Precipitazioni che hanno garantito alle uve una maturazione costante, come ha in seguito dimostrato la vendemmia di fine settembre caratterizzata da un frutto in ottime condizioni con un sapore spiccatamente intenso.

“Un coltivatore – conclude Pellegrini Spa – non avrebbe potuto chiedere di più. La scelta di Cerbaiona di non produrre il Brunello di Montalcino 2015 potrebbe, di conseguenza, destare perplessità, risultando addirittura contradditoria”.

“Il Rosso di Montalcino 2015, in uscita a gennaio – spiega Matthew Fioretti, Managing Partner & Technical Director di Cerbaiona – è un prodotto dalla storia insolita poiché nasce come blend di due vini: per il 20% è Rosso di Montalcino, mentre il restante 80% era atto a divenire Brunello. Quest’ultimo l’ho declassato volontariamente a Rosso dopo aver deciso non produrre il Brunello di Montalcino 2015. La decisione è stata presa in seguito al riassetto fatto all’azienda in occasione del nostro insediamento come nuovi proprietari.”

“Un riassetto – prosegue Fioretti – che ha richiesto la ricostruzione totale della cantina, la predisposizione di nuovi impianti, la ristrutturazione dei vigneti e il completo rinnovo delle attrezzature. Così, mentre pensavo a come sarebbe potuto essere il Brunello di Montalcino 2015 nella sua forma più perfetta, ho dovuto fare i conti con il fatto che diversi aspetti di questo vino si erano formati prima del mio arrivo, essendo frutto dell’ultima vendemmia sotto il precedente proprietario.”

“Sono quindi arrivato alla conclusione che, a prescindere dagli elogi e dai riconoscimenti del passato, dovevamo rinunciare a mettere sul mercato l’annata 2015 del prodotto di punta di Cerbaiona e lavorare maggiormente per determinare la giusta direzione che l’azienda doveva prendere”. – conclude Fioretti.

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Radicchio al posto della coca in Colombia: così il Rosso di Treviso soppianta i narcos

TREVISO – Altro che armi, polizia e squadre d’assalto. In Colombia i narcos si combattono a colpi di Radicchio Rosso di Treviso Igp. C’è anche il pregiato ortaggio del Veneto, immancabile sulle tavole degli italiani a Natale e Capodanno, tra le colture utili a soppiantare le piantagioni di coca, nello stato sudamericano. Paga il Governo.

L’iniziativa del presidente Juan Miguel Santos, in carica fino all’agosto 2018, prevede un sussidio di 330 dollari al mese ai contadini che decidono di convertirsi al Radicchio, così come ad altri ortaggi o frutti. Estirpando la coca.

Un modo per togliere linfa ai narcos, attraverso un provvedimento che riguarda 50 mila ettari di terreno e 75 mila famiglie di campesinos cocaleros, costretti a vivere tra l’incudine della Stato e il martello dei guerriglieri.

Il successo dell’operazione “Radicchio di Treviso Igp” in Colombia, evidenziato in occasione del Radicchio d’Oro 2019, è ancora tutto da dimostrare. Ma una delegazione di uomini d’affari colombiani ha visitato il “Triangolo d’oro” compreso tra Treviso, Padova e Venezia. Con l’obiettivo di comprendere la fattibilità dell’operazione.

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Da queste parti, il Radicchio è una gallina dalle uova… biancorosse. Il giro d’affari è di 50 milioni di euro l’anno. Diverse le varietà, ma le più pregiate sono il Radicchio Rosso di Treviso Igp, che si divide in Tardivo e Precoce, il Radicchio Variegato di Castelfranco Veneto e il Radicchio di Chioggia.

Cinquecento le imprese dell’indotto, si apprende da Cesare Bellò del direttivo Opo – Ortoveneto, l’Organizzazione Produttori Ortofrutticoli Veneto di Zero Branco (TV): “Un fenomeno incredibile: vent’anni fa si parlava di 2,5 milioni euro di fatturato e di appena 2 mila ettari, diventati ormai duemila per il nostro radicchio. Un ortaggio umile e buono“.

Un fermento che non passa inosservato nelle cabine di regia dell’Unione Europea, che nel triennio 2018/2020 promuove una campagna tra i consumatori, per ribadire l’importanza dei marchi sinonimo di eccellenza e di alta qualità.

In Italia, il progetto vede protagonista anche l’Asparago verde d’Altedo Igp, la Ciliegia di Vignola Igp, la Pesca e la Nettarina di Romagna Igp, l’Insalata di Lusia Igp e la Pera dell’Emilia Romagna Igp.

IL RADICCHIO D’ORO 2019
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Organizzato dal Consorzio Ristoranti del Radicchio, il Radicchio d’oro” è la più importante celebrazione annuale del noto ortaggio del Veneto. Protagonista è il “Fiore che si mangia” e tutto il territorio trevigiano, dove convergono per due giorni alcuni tra i maggiori esponenti del Gusto, dello Spettacolo, dello Sport e della Cultura italiana. Una rassegna giunta alla 21° edizione che, in questo 2019, si è tenuta il 18 e 19 novembre.

Quanto sia prezioso il radicchio, del resto, lo testimoniano i numeri. Quasi l’80% della pianta, al momento della raccolta, viene scartata in favore del solo “cuore” del prodotto, tenero al contempo croccante. Fondamentale un elemento, su tutti: l’acqua, in particolare quella del fiume di sorgiva Sile.

Importante saper riconoscere quello autentico. Il Radicchio Rosso di Treviso Igp Tardivo ha foglie lunghe e affusolate di colore rosso vinoso intenso e una costa bianca centrale. La varietà Precoce si distingue per il cespo voluminoso di colore rosso intenso, con la nervatura principale bianca e molto accentuata.

Al gusto, risultano gradevolmente amarognoli. In cucina, le due varietà sono perfette nelle preparazioni a crudo. Eccezionali nelle loro declinazioni, dagli antipasti ai primi piatti, passando per i secondi e i sorprendenti dessert.

Accanto al Radicchio di Treviso Igp, il Radicchio Variegato di Castelfranco Igp si caratterizza invece per foglie espanse con nervature poco accentuate, bordo frastagliato e lembo leggermente ondulato. Il sapore varia dal dolce al gradevolmente amarognolo, sempre molto fresco e delicato.

Come indicato nel Disciplinare di Produzione, il Radicchio di Treviso Igp e il Radicchio di Castelfranco Igp possono essere infatti coltivati solo in  comuni delle province di Treviso, Padova e Venezia per garantire la provenienza, le caratteristiche peculiari e tutta la qualità del prodotto. Per la Colombia si farà un’eccezione. Pur col divieto di immetterlo sul mercato come Igp.

IL RISTORANTE DOVE PROVARLO
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Tra le tappe imperdibili per scoprire la bontà del radicchio, nel suo territorio d’elezione, c’è il Ristorante Ca’Amata Golf Club di Castelfranco Veneto (TV). E non è un caso se Egidio Fior, patron di questo vero e proprio scrigno del gusto, tra i promotori del Radicchio d’Oro, abbia scelto per la sua cucina un giovane chef, nato e cresciuto nella zona per la sua cucina.

Si tratta del 24enne Simone Pozzebon (nella foto sotto),capace di condensare Davide Oldani e Massimo Bottura in un percorso tra tempura, marinatura, saor, fino a culminare negli Zaeti (i biscotti tipici veneti e veneziani) e nel dessert celebrativo “Ops, mi si è rotta la crostata”, torta al limone con marmellata di radicchio.

Alla base del menu studiato da Fior e Pozzebon, una filosofia che guarda alla sostenibilità. Incollata alla tradizione, ma proiettata nel futuro. “Non ammetto gli sprechi – spiega il giovane chef – anzi tendo a riciclare moltissimo. Un modo per dare sfogo alla mia fantasia e creatività, fondamentali nel mia idea di cucinare il Veneto”.

Ottima anche la carta dei vini, tra cui figura il “Falconera” di Loredan Gasparini: un Merlot Colli Trevigiani Igt 2015 di gran carattere e pulizia, frutto dell’omonimo vigneto storico di Vergazzù. Solo una delle “chicche” dell’area del Montello, nota per la produzione dell’Asolo Prosecco Superiore, ma capace di regalare anche grandi rossi.

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degustati da noi news news ed eventi vini#02

Vigna Solenga 2015, il Buttafuoco storico che illumina la strada all’Oltrepò pavese


“Tanta fatica, tanta passione, tanta volontà. E i risultati, anche se arrivano, sono minimi rispetto allo sforzo necessario per raggiungerli”. Che il Buttafuoco storico “Vigna Solenga” fosse molto più di un semplice vino per la famiglia Fiamberti, era chiaro a tutti. Mai, però, qualcuno era riuscito a sintetizzare così bene il concetto come ha fatto ieri Ambrogio Fiamberti, al Chic’n Quick dello chef Claudio Sadler.

La vendemmia 2015 del rosso simbolo di una delle cantine storiche dell’Oltrepò pavese ha sfilato a due passi dal Naviglio, come un guerriero tornato vincitore in patria col suo esercito, dopo la battaglia. Con l’armatura tirata a lucido e lo sguardo fiero all’orizzonte.

Già, perché è questo l’effetto che fanno i migliori vini di uno dei territori più massacrati d’Italia dalle (il)logiche dei commercianti d’uva, quando superano i confini pavesi per approdare con successo a Milano (città in cui dovrebbero essere presenti per principio costituzionale, nelle carte di tutti i ristoranti che si definiscano tali).

Uno squillo di tromba prodotto in sole 2 mila bottiglie, dunque una vera e propria chicca enologica. Del resto, il Buttafuoco Storico “Vigna Solenga” 2015 è quello che fa dire “buona la seconda” a Giulio Fiamberti, orgoglioso figlio di Ambrogio.

Il cru fu acquistato dai miei antenati nel 1814 e fu ‘ritoccato’ solo negli anni Venti del Novecento. Dopo il necessario reimpianto avvenuto nel 2007, abbiamo dovuto attendere 7 anni prima di poter produrre di nuovo il nostro Buttafuoco Storico, sulla base delle regole del Consorzio fondato nel 1996″.

Peccato che “7 anni”, a partire dal 2007, voglia dire 2014. “Un’annata particolarmente sfortunata in Oltrepò – ricorda Giulio Fiamberti – come in altri territori d’Italia. Eccoci dunque a presentare con grande soddisfazione questa 2015, prima vendemmia della Vigna Solenga dopo il reimpianto“.

UN VINO BANDIERA

Un vino che indica la strada a tutto l’Oltrepò pavese: quella della zonazione e dei “cru“, come leva per puntare alla qualità assoluta, da raccontare ai mercati, dalla vigna fin dentro (e fuori) dal calice.

“Sono assolutamente convinto che l’Oltrepò, così come qualunque altra grande zona di produzione di vini, non sia tutta uguale – commenta Fiamberti -. Ciò non vuol dire che una zona sia migliore dell’altra, ma che ci siano delle specificità da valorizzare in ognuna, prima di tutto a livello ampelografico”.

Un territorio come il nostro – aggiunge il produttore oltrepadano – con differenze impressionanti di altitudini, di microclimi, di terreni e di esposizioni, non può fare a meno della zonazione. Altri territori hanno, per fortuna o sfortuna, una maggiore omogeneità. Da noi, la zonazione diventa non soltanto una strada da seguire: è assolutamente necessaria“.

Un passaggio non ancora affrontato in maniera seria, a livello consortile. “Conforta, per ora – chiosa Fiamberti – che molte aziende simbolo dell’Oltrepò abbiano avviato questo percorso autonomamente, all’interno dei vigneti di proprietà. Chiunque alzi l’asticella nel nostro territorio, per noi è solo un amico e un compagno di viaggio“.

E “l’asticella” oltrepadana si alza anche in enoteca e nella ristorazione, grazie al Buttafuoco Storico “Vigna Solenga” 2015. L’etichetta di Fiamberti sarà in vendita attorno ai 35 euro nelle migliori “botteghe” del vino.

Al ristorante, sarà invece in carta attorno ai 45 euro: il posizionamento che merita un Oltrepò che ha bisogno di sdoganarsi dalle logiche della Grande distribuzione organizzata, puntando a mercati degni del proprio valore.

Del resto, come sottolinea Giulio Fiamberti, “nel ‘Vigna Solenga’ c’è tutta la storia della nostra famiglia e anche il suo futuro, dal momento che per noi il Buttafuoco è la cifra dell’azienda e vogliamo che lo sia sempre di più”.

“Siamo convinti che i cru siano una chiave di successo per tutti i territori che producono grandi vini rossi, tra cui va annoverato l’Oltrepò pavese del Buttafuoco Storico”. Il calice, del resto, conferma questa tesi.

LA DEGUSTAZIONE

[Voto WineMag.it: 94/100 – Rapporto qualità prezzo: 5/5] Parola d’ordine “finezza” per sintetizzare quello che c’è da aspettarsi dal calice di “Vigna Solenga” 2015, uvaggio di Croatina (50%), Barbera (40%), Uva Rara (5%) e Ughetta di Canneto (5%).

A garantirla sono i conglomerati di Rocca Ticozzi presenti nel terreno: ghiaie di origine marina che offrono preziosi sali minerali alle radici della pianta, permettendo un eccellente drenaggio delle acque.

La Valle Solinga, strettissima, accentua poi le escursioni termiche tra vetta e fondo valle, utili a trovare il giusto punto di equilibrio tra i vari gradi di maturazione delle uve, che crescono tra i 200 e i 280 metri sul livello del mare.

La freschezza e la sapidità garantite dalle condizioni microclimatiche, si traducono nel calice in una estrema raffinatezza ed eleganza, capaci di garantire al Buttafuoco Storico 2015 “Vigna Solenga” una beva davvero instancabile. Merito di una sapiente estrazione durante la lunga macerazione e di un utilizzo di legni non invasivi.

Evidenti anche le garanzie di positivo affinamento negli anni a venire, quando l’ulteriore periodo “in vetro” amalgamerà tra loro le varie componenti. A beneficiarne sarà soprattutto la parte olfattiva, al momento ancora leggermente “slegata”. Il guerriero ha solo il raffreddore. Roba da niente. Domani sarà già passato.

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degustati da noi vini#02

Franciacorta Satèn Brut Docg 2015, Ferghettina


Impossibile confonderlo sullo scaffale. Il Franciacorta Satèn Docg 2015 di Ferghettina, con la classica forma della bottiglia quadrata, è uno degli spumanti Metodo classico bresciani più riconoscibili. Una quadratura (del cerchio) che torna anche nel calice.

LA DEGUSTAZIONE
Chardonnay 100%, come previsto dal disciplinare del Franciacorta, per questa etichetta di Ferghettina che nel bicchiere si presenta di un giallo paglierino intenso e brillante, con un perlage fine ed elegante.

Al naso le caratteristiche note dettate dai lieviti, piccola pasticceria, fiori gialli ed un accenno di erbe aromatiche. All’esame gustativo, la minor pressione di anidride carbonica rende l’assaggio molto elegante. La percezione della spuma è briosa, ma di grande avvolgenza, su note di pasticceria e frutta gialla perfettamente matura.

Perfetto l’abbinamento con del pescato crudo, come frutti di mare, ostriche o un’orata. La bottiglia esprime il meglio di sé bevuta particolarmente fredda, stappata a 4 gradi per poi far riscaldare leggermente il prezioso nettare nel bicchiere.

LA VINIFICAZIONE
I vigneti di Chardonnay utili alla produzione del Satèn si trovano a un’altezza di 250 metri sul livello del mare. Ferghettina raccoglie manualmente i grappoli di Chardonnay interi, attorno alla metà di agosto. La resa si attesta tra i 90 e i 95 quintali per ettaro.

La pressatura avviene con una pressa pneumatica che garantisce la massima delicatezza all’operazione. Durante la vinificazione vengono separati i mosti in due frazioni.

Il mosto fiore, che ha le caratteristiche qualitative migliori e che viene utilizzato per la produzione di Franciacorta, e mosto di seconda spremitura, che non viene destinato all’imbottigliamento. La fermentazione alcolica viene svolta in vasche di acciaio a temperatura controllata compresa tra 16 e 18 °C.

Il vino base riposa in vasca fino alla primavera successiva alla vendemmia. Trentasei mesi (minimo) sui lieviti e dosaggio di 6 grammi litro per questo Satèn. Ne vengono prodotte annualmente circa 50 mila bottiglie da 0,75 lietri e 5 mila da 1,5 litri. La prima annata risale al 1996.

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degustati da noi news vini#02

I migliori Schioppettino di Prepotto: il vino rivelazione di Vinitaly 2019 in 12 etichette


VERONA –
Ci sono storie, nel mondo del vino, che hanno titoli strani. E trame complicate. Prendi lo Schioppettino di Prepotto e prova a premere “Play”, sul telecomando. Il titolo pare un’onomatopea. E infatti, bum. Nella prima scena “scoppietta” un acino.

Un bell’acino. Di quelli gonfi e maturi. Con la buccia tesa, sottile. Pronto per un’accurata vendemmia. Il film si gira a Prepotto. Dall’inizio alla fine. A Prepotto soltanto. In provincia di Udine. Settecentosessantanove abitanti. Dieci più, dieci meno.

Seconda scena, la camera allarga lo zoom. Eccoli. Siamo sui Colli Orientali del Friuli, che danno la Doc allo Schioppettino di Prepotto. Close up improvviso. Scena numero tre. Consiglio comunale in corso in municipio, nel piccolo borgo udinese.

LA STORIA

Sindaco, giunta e consiglieri sono riuniti in seduta straordinaria. Un solo punto all’ordine del giorno: la difesa dello Schioppettino, che sta scomparendo. L’alzata di mano non lascia spazio a interpretazioni. All’unanimità si vota per inserirlo nell’elenco dei vitigni autorizzati. Sullo schermo appare l’anno: è il 1977.

Quattro anni dopo, nel 1981, quel plebiscito si concretizza nero su bianco. E nel 1987, dopo l’avallo della Comunità Europea, lo Schioppettino di Prepotto – noto sul posto anche come “Ribolla Nera” o “Pokalça” – diventa Doc.

Ancora oggi, a Prepotto, qualcuno non ha cambiato canale. Sono i 30 produttori locali che lavorano circa 40 ettari, distribuiti in maniera longitudinale tra i 100 e i 150 metri sul livello del mare. La media annuale si aggira sui 130 ettolitri, che equivalgono a 80-90 mila bottiglie complessive.

Venti le cantine che fanno parte dell’Associazione Produttori Schioppetino di Prepotto, che a Vinitaly ha proposto a WineMag.it una degustazione di 12 etichette: 7 della vendemmia 2016 e 4 della vendemmia 2015. Un film mai visto prima, che vede i vignaioli impegnati nella comune promozione dell’antico e raro vitigno.

L’associazione, presieduta dalla produttrice Anna Muzzolini, condivide il disciplinare produttivo che prevede una versione “base” dello Schioppetino di Prepotto (in commercio non prima di due anni dopo la vendemmia) e una versione Riserva (4 anni minimo di affinamento in cantina).

LA DEGUSTAZIONE


Schioppettino di Prepotto Doc 2016, Ronco dei Pini: 87/100
Rosso rubino. Vino fresco, in fase giovanile ma già molto piacevole ed equilibrato. Ottima corrispondenza gusto olfattiva, giocata sul frutto rosso come il ribes, accenni di macchia mediterranea e pepe nero. Gran beva. Vino di gran precisione, scultoreo.

Schioppettino di Prepotto Doc 2016, Marinig Valerio: 84/100
Rosso rubino. Primo naso più sulla spezia che sul frutto di bosco. Accenni vinosi e “foxy” dosati, che rendono il quadro olfattivo piacevolmente verticale e scalare. In bocca sorprende ancora, per il gioco tra frutto e mineralità salina. Chiusura speziata rinfrescante. Vino vivo, in evoluzione.

Schioppettino di Prepotto Doc 2016, Antico Broilo: 88/100
Rosso rubino. Naso molto intenso e profondo, su spezia e macchia mediterranea, con l’immancabile frutto di bosco. Bella beva, tra il salino spiccato e il fruttato preciso, masticabile. Chiusura nuovamente sulla spezia, tra il pepe verde e quello nero. Vino decisamente complesso e fase crescente.

Schioppettino di Prepotto Doc 2016, Vigna Lenuzza: 86/100
Rosso rubino. Spezia in primo piano, al naso. Pepe nero e richiamo netto di origano, sul frutto di bosco che tende al maturo, senza sforare nella confettura. Completa l’olfatto un marcatore vinoso, che poi si ritrova in un palato piuttosto giovane e scontroso, sferzato da un tannino giovane. Vino futuribile.

Schioppettino di Prepotto Doc 2016, Vie d’Alt: 84/100
Rosso rubino. Meno freschezza del frutto al naso rispetto ai precedenti campioni, anche se conserva la venatura speziata. Tende alla confettura il palato, anche troppo scorrevole. Vino pronto.

Schioppettino di Prepotto Doc 2016, Stanig: 87/100
Rosso rubino. Si torna sul consueto standard di frutto e di spezia, ma il naso qui rivela caratteristiche uniche: di terra, di muschio, di fungo, in un contorno di pepe nero e frutto come ribes e mirtillo. Un quadro molto piacevole, come piacevole è il sorso, che rivela per di più un’ottima freschezza.

Schioppettino di Prepotto Doc 2016, Grillo Iole: 86/100
Rosso rubino. Vino che nella sua semplicità si rivela molto tipico: scorrevole ma consistente la beva, su tinte corrispondenti al naso: frutto giustamente maturo, tannino che gioca a smorzare la spinta glicerica. Di prospettiva.


Schioppettino di Prepotto Doc 2015, Vigna Traverso: 87/100
Mora selvatica e spezia nera al naso. Sentori molto chiari, netti, precisi. Palato corrispondente. Chiusura leggermente amaricante, sul disegno tratteggiato da un tannino vivo, in fase di integrazione. Giovanissimo.

Schioppettino di Prepotto Doc 2015, RoncSoreli: 88/100
Frutto tendente al maturo al naso, ma in maniera precisa. Accenni vinosi ed evolutivi come il cuoio, che evidenziano l’anno in più sulle spalle. In bocca frutto e spezia, con il corredo della macchia mediterranea, rimasto appena accennato all’olfatto. Chiude su note di liquirizia dolce. Un vino di gran gastronomicità.

Schioppettino di Prepotto Doc 2015, La buse del lôf: 84/100
Ovvero “la tana del lupo”. Un vino che si rivela di beva piuttosto agile e semplice, anche se non banale, sul frutto e sulla spezia leggera. Buona corrispondenza tra naso e palato.

Schioppettino di Prepotto Doc 2015, Vigna Petrussa: 89/100
Vino di gran equilibrio, giocato più sull’eleganza che sulla potenza. Frutto e spezia sottile, quasi sussurrata. Chiusura preziosa, su note precise, minerali e saline, nonché di liquirizia. Una vino con ottimi margini di positivo affinamento.

Schioppettino di Prepotto Doc 2015 “Gli Stormi”, Colli di Poianis: 85/100
Naso elegante, dal taglio enologico internazionale, giocato sul ribes e sul frutto di bosco giustamente maturo. Non è questo che lo “porta” all’estero ma l’esuberanza dei tratti vagliati. In bocca un tannino felpato, setoso, con la frutta un po’ penalizzata dai ritorni della tostatura.

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“Molmenti” Costaripa, rosato Peter Pan. Come nasce il capolavoro di Mattia Vezzola


LAZISE –
Ci sono vini che raccontano idee. Manifesti di una rivoluzione prima culturale, poi enologica. Di fatto, il Valtènesi DocMolmenti” di Costaripa non è un semplice rosato. E neppure un rosé, o un “vino rosa”, definizione distintiva dei vini prodotti nella zona del Lago di Garda.

“Molmenti” è innanzitutto il manifesto programmatico di una nuova concezione di vino. Che parte dalla vocazionalità del terreno e del territorio, per arrivare al calice. Passando per il genio del suo produttore, Mattia Vezzola.

Un sorso d’aria “nuova” nel mondo dei rosati italiani. Da pensare come vini “Peter Pan” capaci di durare nel tempo. Anzi, da consumare a distanza di diversi anni dalla vendemmia e dall’imbottigliamento.

Alla stregua dei rossi e di certi bianchi (pochi a dire la verità) capaci di superare agilmente la prova delle lancette. Un rosato del nord, di lago, che trova in Girofle di Severino Garofano il suo gemello meridionale, in termini di concezione aulica del rosato, come vino da lungo affinamento. Già, perché a detta di Vezzola, “il rosé è un antidoto al formalismo e alla banalità”.

LA SVOLTA
“L’idea di produrre un vino rosato che sfidasse il tempo – spiega Mattia Vezzola, ospite di una masterclass all’Anteprima Chiaretto 2018 di Lazise – è nata negli anni Novanta. Nel 2009 la svolta, quando assaggiai un rosato vendemmia 1999 della Rioja, in perfetta forma. Era appena stato messo in commercio, dopo 4 anni di botte e 6 di bottiglia”.

Da quel giorno, Vezzola capì di non essere folle come credevano tutti. Da diversi anni produceva infatti un “rosato da viticoltura” dedicato a Pompeo Gherardo Molmenti, ideatore nel 1896 del Chiaretto di Moniga del Garda.

“Prima di aver assaggiato quel vino – ammette il patron di Costaripa – mi sembrava di essere un tipo d’avanguardia. Mi sono trovato in un sorso sull’ultimo vagone del treno. Mi convinsi definitivamente che i rosé non sono solo vini di grande viticoltura, ma anche di grandissima tecnologia, per i quali occorre investire in ricerca”.

Secondo Mattia Vezzola, “per produrre un vino rosato che sfidi il tempo non basta un’uva di grande qualità”. Nel 2012 l’ulteriore svolta nella produzione di “Molmenti”, ottenuto da una vigna di 55 anni: un cru di 4 ettari che ha assorbito tutte le energie mentali dell’appassionato vignaiolo di Moniga.

Cambia così il profilo sensoriale e l’aspetto estetico del rosato che sta facendo la storia di Costaripa. Il vino ottenuto da uve Groppello (base del blend di “Molmenti” assieme a Marzemino, Sangiovese e Barbera) tende a ingiallire e diventare ambrato col tempo.

Come ovviare? “Mi resi conto che le rese in vigna non dovevano essere necessariamente basse, ma giuste, in modo da aumentare la disponibilità di grappoli perfetti per la selezione”.

Vocazionalità del terreno e scelta degli acini perfetti per il rosato sono dunque i capisaldi di “Molmenti”. Ma non basta.

La grande attenzione di Vezzola in vigna si sposta poi in cantina, dove le uve vengono vinificate secondo una sorta di disciplinare ben preciso, perfezionato in anni di osservazione ed esperienza.

“La vocazionalità è la possibilità che il padre eterno ti dà 9 anni su 10 di fare lì un grande vino – ricorda il vignaiolo citando il patron di Romanée-Conti. Il resto lo fa l’uomo. Dopo aver portato uve più che perfette in cantina, estraiamo il meglio dell’acino, ovvero il 55-60%. Il suo vero cuore”.

LA TECNICA DI PRODUZIONE
“Gran parte dei rosé del mondo – continua Vezzola – oltre ad essere prodotta con uve compromesse, è ottenuta tramite salasso. Una tecnica con la quale si estrae al massimo il 12% della ‘materia’ dell’acino, compresa la parte acquosa. Così facendo si ottengono vini di buon profilo sensoriale, ma la parte di maggiore qualità viene destinata a vini rossi, di struttura”.

Due le ore di macerazione previste per il Valtènesi Doc “Molmenti”, seguite da decantazione statica, travaso e fermentazione in botte. “Non viene effettuata malolattica – spiega Vezzola – in quanto significherebbe togliere al vino la sua spina dorsale“. L’affinamento in legno si protrae per due anni, prima dell’imbottigliamento.

Ma Vezzola punta ad alzare ulteriormente l’asticella, lasciando in bottiglia “Molmenti” per 3 anni, prima di metterlo in commercio: un anno in più rispetto ai 2 attuali. Un ulteriore sforzo (anche economico) che interessa una produzione che varia tra le 3 e le 6 mila bottiglie annue.

LA DEGUSTAZIONE

In assaggio, in occasione della masterclass tenuta questa mattina da Vezzola all’Anteprima Chiaretto 2018, le vendemmie 2015, 2013, 2012 e 2011. Quattro campioni diversi tra loro, accomunati però da un fil rouge evidentissimo: sapidità ed eleganza.

“Tutti vini da giudicare tra diversi anni”, come tiene a precisare lo stesso produttore, ma che già oggi offrono qualche spunto utile per immaginarli nel futuro. La calda vendemmia 2015 regala per esempio un calice ancora troppo condizionato dal legno, con note evidenti di caramella mou, vaniglia e fondo di caffè.

Vena salmastra netta, che si riflette in bocca in una sapidità accentuatissima. Un “vino da salivazione”, per dirla con le parole di Vezzola. Giocato tutto sul rimbalzo tra le durezze e i morbidi terziari.

“Molmenti” 2013 è invece il frutto di un’annata più fresca. L’acida è più marcata rispetto alla 2015, come dimostra una corrispondenza gusto olfattiva d’agrume. Evidente anche l’evoluzione del vino, sin da un naso che inizia a parlare di idrocarburo. Un vino giovanissimo, che forse supererà in longevità la vendemmia 2015.

“Questa annata – ricorda Vezzola – fu bocciata per tre volte dalle commissioni tecniche della Doc, prima di essere approvata”. Un aspetto rimarcato anche sull’etichetta, dove il produttore definisce “pur-troppo unico” il colore giudicato “alterato” dagli esperti della Doc.

Naso floreale per la vendemmia 2012, che al momento si esprime meglio al palato. Senza perdere tuttavia la caratteristica principale di “Molmenti”: una chiusura salina, su un frutto di rara precisione ed eleganza.

Decisamente diverso, invece, il colore della vendemmia 2011. Cosa è cambiato? “Semplicemente la temperatura di macerazione, più alta in occasione di questa annata”. Il naso è connotato da una leggera e piacevole nota ossidativa, che accompagna un frutto più presente e polposo rispetto agli altri campioni, oltre ai consueti ricordi di idrocarburo.

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Provincia di Pavia Igt 2015 Pinot Nero “Al Negrès”, Alessio Brandolini

(4 / 5) Tra le realtà emergenti dell’Oltrepò pavese c’è l’Azienda Agricola Alessio Brandolini di San Damiano al Colle (PV). Un giovane che ha preso in mano l’azienda di famiglia, sollevandone le sorti soprattutto dal punto di vista qualitativo.

Sotto la lente di ingrandimento di WineMag, il suo Provincia di Pavia Igt 2015 Pinot Nero “Al Negrès”. Un bel calice elegante, segno che la strada intrapresa è quella corretta, in attesa di un Metodo Classico base Noir che faccia davvero sognare. E’ senza subbio questo il grande obiettivo di Alessio Brandolini. Ed è solo questione di tempo: siamo pronti a scommetterci.

LA DEGUSTAZIONE
Etichetta firmata dall’artista Pasciutti per il Pinot Nero “Al Negrès”. Alla vista un bel rosso tendente al granato, mediamente carico. Naso profondo e allo stesso tempo etereo: frutti di bosco, more, bei richiami d’incenso e di viola secca. Vino da aspettare nel calice, per goderne l’evoluzione.

In bocca ingresso su frutti di bosco e mora, con nota terrosa, gessosa e minerale che sottolinea bene l’appartenenza al terroir oltrepadano. La frutta, precisa e decisa in centro bocca, lascia spazio a una chiusura salina, corroborata da un accenno di tannino che conferisce al sorso una certa austerità, dopo la giocosità fruttata iniziale.

Un rosso nel complesso equilibrato, giunto a un buono stato di maturazione, ma con ampi margini di ulteriore affinamento. Perfetto per accompagnare primi con ragù e secondi a base di carne, anche di buona complessità.

LA VINIFICAZIONE
Il Pinot Nero “Al Negrès” viene prodotto sono nella annate favorevoli. Una volta pigiate, le uve vengono fatte fermentare a contatto con le bucce per circa quindici giorni. La maturazione avviene in tonneaux di rovere francese.

Dodici mesi in legno, anche per stabilizzare in maniera naturale il vino, senza l’utilizzo di chiarificanti. Prima della commercializzazione, il nettare riposa in bottiglia per un minimo di 10 mesi.

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Torcolato Doc Breganze: degustazione con punteggi delle annate 2011-2015


BREGANZE –
Undici campioni di Torcolato in degustazione all'(Ante) Prima di sabato 19 gennaio, a Breganze (VI). A ospitare l’evento è stata Cantina Maculan, vera e propria azienda-bandiera mondiale della Denominazione vicentina, grazie al lungimirante lavoro avviato negli anni Settanta dal patron Fausto.

Numeri da “chicca” oggi per il Torcolato, ottenuto dall’appassimento e successiva spremitura dei grappoli di uva Vespaiola. Nella pedemontana vicentina, su un totale di 600 ettari vitati, sono circa 65 quelli destinati a questa varietà. Nel 2017 sono state prodotte circa 380 mila bottiglie, di cui 50 mila di Torcolato.

Un nettare che si abbina alla perfezione alla pasticceria secca e da forno, ma anche a preparazioni al cucchiaio. Da provare l’accostamento a formaggi erborinati come il Gorgonzola, Roquefort e Bleu, oppure al foie gras.

Di seguito le valutazioni delle etichette in degustazione nel programma della Prima del Torcolato 2019. Seguiranno, sempre su WineMag, quelle alle vecchie annate di Torcolato (1972-2007) e agli spumanti e vini fermi ottenuti dal vitigno Vespaiola.

TORCOLATO 2011-2015: LE VALUTAZIONI

Torcolato 2015, Cantina Col Dovigo: 82/100
Giallo dorato, naso preciso, leggera riduzione. Buon rapporto frutto-dolcezza-acidità. Un Torcolato equilibrato, giocato sulla facilità e prontezza della beva. Torco-flash: corto.

Torcolato 2015, Azienda agricola Vitacchio Emilio: 80/100
Colore tendente all’ambrato. Al naso note di nocciola tostata che evidenziano una fase ossidativa precoce. Acescenza rimarcata da una volatile che, nel complesso, non compromette definitivamente l’olfatto. Eppure, sotto questa coltre, c’è la stoffa di un buon Torcolato. Intenso l’ingresso al palato, dove è ancora più marcata la nota acetica. Ne risente la struttura del nettare. Peccato. Ottanta punti di incoraggiamento a un controllo delle ossidazioni in cantina.

Torcolato 2015, Azienda Agricola Ca’ Biasi: 92/100
Giallo dorato. Impronta vulcanica netta al naso, che prende le forme della pietra focaia. Un Torcolato “fresco” già al naso: talcato, mentolato, leggermente speziato. Ingresso di bocca largo, su colate laviche di miele. In centro bocca, al momento giusto, s’irrigidisce sull’attesa freschezza, in perfetto equilibrio con le note dolci. Preziosa chiusura di liquirizia, lunghissima, con un tocco di zafferano. Un Torcolato di personalità, vero, sincero come il sorriso e gli occhi di chi lo produce: Innocente Dalla Valle. Contadino vero.

Torcolato Riserva 2015 “San Biagio”, Villa Angarano: 88/100
Giallo dorato. Naso tra i più eleganti ed essenziali della batteria, giocate su agrumi (buccia di pompelmo) e note di vaniglia. Evidente vena balsamica di menta e liquirizia dolce, garbatissima, che col trascorrere dei minuti si arricchisce di ricordi d’idrocarburo. Il sorso è pieno, eppure manca qualcosa: forse un po’ di struttura. Ma è la cifra da pagare, a volte, quando si nasce vino e si vuole girare per forza in cravatta. Gastro-Torcolato.

Torcolato 2014, Io Mazzucato: 86/100
Giallo dorato, riflessi ambra. Naso con impronta dolce netta, di miele, ma anche di agrumi. Una punta di idrocarburo. In bocca l’acidità spinge, mettendo in luce uno spirito impetuoso. In centro bocca una nota fumè intrigante, che accompagna verso un retro olfattivo nuovamente dominato da un’eccessiva freschezza. Vago ricordo di tannino in chiusura di sipario. Torco-ribelle.

Torcolato 2014, Cantina Beato Bartolomeo da Breganze: 80/100
Naso semplice, mieloso. Legno evidente, poi confermato da un palato corrispondente. Freschezza che tenta di prendere al lazzo lo zucchero, finendo per vincere solo per la mancanza di concentrazione di aromi del nettare. Torcolato ineccepibile a livello di pricing (il più conveniente della Denominazione). Tor-convenience.

Torcolato 2014, Firmino Miotti: 84/100
Giallo dorato e naso piuttosto complesso, con note di datteri e uva passa in grande evidenza, oltre all’albicocca sciroppata e a una leggera nota d’idrocarburo. Tuttavia eccessiva percezione alcolica. Ingresso di bocca un po’ troppo zuccherino, non supportato dalla necessaria freschezza. Non un campione in lunghezza.

Torcolato 2015, Maculan: 89/100
Tra i “nasi” più complessi ed equilibrati della batteria per quello che si definirebbe un Torcolato da “istruzioni per l’uso”. In bocca pieno, ma dal ventaglio meno espressivo del naso. Un nettare fine, equilibrato e gastronomico, che sfodera un bell’idrocarburo nel retro olfattivo.

Torcolato 2015, Transit Farm: 78/100
Giallo dorato tendente all’ambra. Naso dominato dalla frutta secca, con l’affinamento in legno che fa capolino sotto forma di una nota tostata. In bocca corto, poco complesso, quasi scheletrico per i ricordi minerali: unico squillo, ma in solitario. Rapporto qualità prezzo sbilanciato.

Torcolato 2012, Le Vigne di Roberto – Terre di Confine: 84/100
Oro con riflessi ambra. Naso di frutta secca, con ricordi di arachidi e nocciola. Leggera nota ossidativa, piacevole, che si unisce a quella mielosa. Non particolarmente complesso al palato e apparentemente all’apice della curva evolutiva.

Torcolato Riserva 2011 “Sarson”, Vignaioli Contrà Soarda: 90/100
Giallo ambrato, destinato a rimanere tale ancora a lungo. La percezione è quella di trovarsi di fronte a un Torcolato dalla lunga vita, nonostante si tratti del più “anziano” in degustazione. Il piatto forte è il perfetto equilibrio tra freschezza, dolcezza e mineralità vulcanica, pronta a divenire sempre più evidente. Torcolato di prospettiva, che benedice il bel lavoro di Mirco Gottardi nella zona Est della Denominazione.

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degustati da noi vini#02

Chianti Classico Docg 2015, Vallepicciola

(4 / 5) Tra i Chianti Classico più versatili della Denominazione c’è sicuramente quello di una cantina che sta tentando di farsi largo nel panorama nazionale.

Parliamo di Vallepicciola e del suo Chianti Classico Docg 2015, dall’etichetta inconfondibile. Il volto del Re Berardo ubriaco, legato a doppio filo alla storia di Castelnuovo Berardenga.

LA DEGUSTAZIONE
Un’etichetta che racconta benissimo il vino in questione, dalla beva snella ma tutt’altro che banale.

Uno di quei rossi che non stancano, in grado di risultare piacevoli anche d’estate, serviti freschi. Sotto la lente di ingrandimento di WineMag la vendemmia 2015, la penultima in commercio.

Nel calice, il Chianti Classico di Vallepicciola si mostra del tipico rosso rubino brillante. Al naso suadenti sentori di piccoli frutti di bosco, che per certi versi ricordano il Pinot Nero. L’affinamento in legno è molto ben eseguito e non prevarica la piacevolezza del naso e del sorso, incentrato appunto sul frutto.

Netti anche i richiami di ciliegia matura che anticipano un palato corrispondente, impreziosito da un accenno salino e da una chiusura vanigliosa dosata. Tradotto: ulteriore piacevolezza. Perfetto a tutto pasto, accompagna bene salumi e primi col ragù.

LA VINIFICAZIONE
Sangiovese in purezza, ottenuto da vigneti situati a un’altitudine compresa fra 380 e 440 metri sul livello del mare, a Castelnuovo Berardenga. Calcare e argilla sono la componente marcante del terreno, con presenza di galestro e alberese.

La vendemmia del Sangiovese utile alla produzione del Chianti Classico Vallepicciola avviene tra la fine di settembre e la prima decade di ottobre. La vinificazione prevede la fermentazione alcolica in piccoli tini di acciaio a temperatura controllata.

Macerazione in acciaio per circa 10 giorni e fermentazione malolattica in botti di rovere francese. L’ invecchiamento avviene in barriques, tonneaux e botti grandi per circa 12 mesi. Ulteriore affinamento in bottiglia da 3 a 5 mesi, in seguito all’imbottigliamento avvenuto a maggio 2017 per la vendemmia 2015.

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degustati da noi vini#02

Rosso Igp Puglia 2015 “Selvato”, Colli della Murgia

(3,5 / 5) Non è certo il solito rosso corpulento e opulento della Puglia il “Selvato” di Colli della Murgia. Sotto la lente di ingrandimento di WineMag, la vendemmia 2015 di una delle etichette simbolo della cantina.

LA DEGUSTAZIONE
Rosso rubino impenetrabile, pieno, carico. Naso dominato dai frutti rossi, con sentore netto di mora di gelso e marasca. Fanno da contorno richiami floreali di rosa bagnata. Con l’ossigenazione lo spettro si allarga a cuoio e radice di liquirizia, china, mentuccia.

Accenni minerali, salini, fanno da contraltare a sbuffi di tabacco dolce. Un olfatto che preannuncia un sorso fresco, di buona struttura, corrispondente al naso per le sensazioni fruttate. Tannino di buona eleganza, ben integrato, che si fa di cioccolato in centro bocca.

Chiusura di sufficiente persistenza in cui frutto, mineralità e note vegetali trovano il perfetto equilibrio. Un vino, “Selvato” 2015, in positiva evoluzione, già apprezzabile in accompagnamento a piatti importanti di carne, come la selvaggina, o primi a base di ricchi ragù di cacciagione.

LA VINIFICAZIONE
Nobile interpretazione – soprattutto nell’ottica qualità prezzo, che supera di poco i 10 euro – dei vitigni Aglianico e Primitivo, coniugati al territorio delle Murgia pugliese. I vigneti si trovano a 450 metri sul livello del mare, nella zona di Gravina in Puglia (BA).

Le uve vengono raccolte a mano e diraspate. La fermentazione avviene per circa due settimane a temperatura controllata, in acciaio. Il nettare staziona negli stessi serbatoi, prima di essere commercializzato al termine di 6 mesi di ulteriore affinamento in bottiglia.

Una cantina relativamente giovane, Colli della Murgia. Francesco Ventrincelli ne è il titolare. Da subito il focus è su una viticoltura di precisione, il più naturale possibile. L’azienda si trova all’interno del Bosco di Difesa Grande, nel territorio di Gravina in Puglia, in Contrada Zingariello.

La cantina è realizzata interamente in tufo e mazzaro, pietre locali che rendono gli ambienti costantemente freschi e privi di umidità. Non a caso, Colli della Murgia è una delle prime cantine che hanno ottenuto la certificazione biologica in Puglia.

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degustati da noi vini#02

Chianti Classico Docg Riserva 2015 Belvedere Campóli, Conte Guicciardini


“Quando i contadini della zona volevano il vino buono, è qui che venivano a cercarlo”. Affonda le radici in questa semplice constatazione la scelta del conte Ferdinando Guicciardini per i vigneti della prima Riserva della sua tenuta, a San Casciano in Val di Pesa.

Nasce così il Chianti Classico Docg Riserva 2015 “Belvedere Campóli”, che prende il nome dall’omonima località a sud di Firenze (cambia solo la “ò”).

Un progetto giunto a compimento nell’autunno scorso, a tre anni dall’acquisto di una proprietà di 8,5 ettari. Solo il primo tassello per la valorizzazione delle vocate colline fra Mercatale e Montefiridolfi.

LA DEGUSTAZIONE
Colore rosso rubino di grande limpidezza, poco trasparente. E’ così che si presenta alla vista la Riserva “Belvedere Campóli” 2015. Naso intenso e mutevole, grazie alla positiva azione dell’ossigeno nel calice. Alla classica vena vinosa iniziale del Sangiovese fa eco un frutto di bosco preciso, elegante, suadente.

Evidente il lampone, unito a richiami di viola e folate di muschio e terra bagnata. Un “naso” per nulla condizionato dai 14,5 gradi d’alcol in volume, molto ben integrati nel corredo olfattivo. Il Chianti Classico Riserva 2015 “Belvedere Campóli” si conferma garbato ed elegante anche al palato.

Ingresso e allungo sulla frutta precisa già avvertita al naso, in un gioco di perfetta corrispondenza. Centro bocca di gran freschezza, che conduce verso una chiusura minerale salina e di liquirizia.

Il tannino, ben integrato ma in evoluzione, si rivela su note di radice e contribuisce a un sorso di ottima pulizia. Caratteristiche che consentono di abbinare questo Chianti Classico a primi e secondi a base di carne rossa e selvaggina (stufati, arrosti e grigliate). Ottimo il rapporto qualità prezzo, attorno ai 25 euro.

LA VINIFICAZIONE
La Riserva è ottenuta da vigne di oltre trent’anni di età, situate fra i 300 e i 450 metri sul livello del mare. Sangiovese che viene raccolto a mano e condotto per la vinificazione al Castello di Poppiano di Montespertoli, proprietà della famiglia dal 1199. Prima della commercializzazione il vino matura in botti di rovere per almeno 24 mesi.

“Belvedere Campóli” è dunque il sigillo su un progetto di riqualificazione dell’omonima area che è destinato a crescere. La proprietà è stata di recente ampliata di altri 3 ettari e presto se ne aggiungeranno altri 2,5. “Il nuovo gioiello”, così come definito dalla famiglia toscana, è pronto a brillare.

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Approfondimenti

Grandi Langhe Doc e Docg 2019: Barolo, Barbaresco e Roero in anteprima

ALBA – Prime anticipazioni sulla quarta edizione di Grandi Langhe Doc e Docg, in programma ad Alba il 28 e il 29 gennaio 2019. Un’occasione per degustare le nuove annate di Barolo (2015), Barbaresco (2016) e Roero (2016).

Oltre 250 cantine, 1.500 etichette in degustazione, buyer, sommelier, enotecari e professionisti del vino provenienti da tutto il mondo. Un’edizione ricca di novità: cambiano infatti location, periodo e numero di giorni.

Grandi Langhe sarà infatti interamente ospitata ad Alba, scelta in quanto cuore pulsante e punto di riferimento di una terra dove la viticoltura è l’anima dell’economia, ormai da secoli. L’altra grande novità introdotta dal Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani e dal Consorzio del Roero è la data dell’evento, anticipato al mese di gennaio.

I professionisti di settore e i giornalisti (a cui la rassegna è riservata) potranno così degustare per primi in assoluto le nuove annate, direttamente nei territori che hanno dato loro vita e prima che abbia inizio la stagione delle grandi fiere internazionali.

Una vera e propria anteprima, quindi, che grazie ad un’unica location e alla presenza di tutti i vini in entrambe le giornate, consentirà ai partecipanti di non dover scegliere e di non perdersi nulla di questa nuova “48 ore”.

Ad Alba gli spazi espositivi saranno suddivisi in base ai Comuni di provenienza delle diverse cantine. Una divisione territoriale ordinata, per consentire ai partecipanti di apprezzare la varietà del prodotto, frutto dell’appassionato lavoro sulle colline della zona degli uomini e delle donne delle Langhe.

Un’occasione per cogliere a fondo il valore delle Menzioni geografiche (MGA) di Barolo, Barbaresco, Roero e Diano e di conoscere gli altri vini del territorio.

Come accade dal 2013, sono previste degustazioni di numerose tipologie ed etichette e soprattutto sarà possibile confrontarsi direttamente con i produttori, in grado come nessun altro di raccontare origine, passione, tradizione che si mescolano in ogni singola bottiglia generata nelle “Grandi Langhe”.

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degustati da noi news vini#02

Edda Lei, Cantine San Marzano: un gioiello della cooperazione italiana

BARI – Tre annate per mostrare quanto è bella “Edda“. Lei, che come tutte le cose preziose guadagna in fascino, col trascorrere del tempo. Radici del Sud 2018 regala un’altra emozione alla stampa italiana e internazionale, con una verticale della gemma di Cantine San Marzano andata in scena poco fa al ristorante Al Pescatore di Bari.

Tre vendemmie del Bianco Salento Igp che fanno onore a tutto il sistema cooperativo vitivinicolo italiano. Ennesima riprova che si può essere grandi (12 milioni di bottiglie, 1.500 ettari e 1.200 soci per la coop di San Marzano di San Giuseppe, Taranto) senza maltrattare la qualità. Anzi, promuovendola.

Certamente uno dei bianchi italiani del momento, grazie anche a uno straordinario rapporto qualità prezzo: inferiore ai 20 euro in cantina, assestandosi sui 15-16 euro. Un vino riservato al canale Horeca e alla ristorazione, fascinoso sin dall’etichetta, molto essenziale ma curata.

Di fatto, “Edda Lei”, è un Bianco del Salento dalla specifica connotazione territoriale. Il blend nasce nel 2015, aggiungendo alla base Chardonnay (80%) un 20% composto da Fiano Minutolo e Moscatello Selvatico.

Il progetto a lungo termine è tuttavia quello di incrementare, vendemmia dopo vendemmia, la caratterizzazione conferita degli autoctoni. Le annate 2016 e 2017 vedono così una riduzione della percentuale di Chardonnay. Con Fiano Minutolo, Moscatello selvatico e un 5% di altri indigeni a guadagnare terreno nei confronti del vitigno internazionale.

LA VERTICALE 2017-2015
Il risultato? Un vino, “Edda Lei”, che si mostra ampio e glicerico nella vendemmia 2015, senza rinunciare tuttavia ai muscoli ben definiti dalla balsamicità del Minutolo. Chardonnay e Moscato si rimbalzano richiami di pasticceria e sbuffi aromatici.

E’ al palato che il vino “spinge” più, mostrando ancora una pregevole verticalità. Nonché ulteriori margini di positivo affinamento, garantito da un’acidità viva, dinamica. Gran bella chiusura su note di talco e crema pasticcera al lime.

E’ un giallo paglierino intenso e luminoso quello che colora il calice della vendemmia 2016. I riflessi sono quelli dorati, caratterizzanti in toto la cromia della vendemmia 2015. Il campione centrale della verticale è quello che offre forse il corredo più completo e la complessità più marcata.

Le note balsamiche, tipiche del Fiano Minutolo, paiono perfettamente integrate con quelle aromatiche del Moscatello selvatico, varietà che presenta comunque componenti di freschezza. Talco, resina di pino dominano naso e ingresso in bocca. Il palato poi si accende di un’acidità giocata sull’arnica. Lungo e preciso il retro olfattivo.

L’ultima vendemmia di “Edda Lei” in degustazione, la 2017, è di fatto una fanciulla in confronto alle più evolute 2016 e 2015. Un vino adatto ad abbinamenti meno più rigorosi a tavola, visto il crepitio di sentori di lime, buccia di bergamotto e arancia.

Non si tratta tuttavia della classica lama nel burro. “Edda”, pur giovane, è già ben educata da bilanciatissimi componenti gliceriche, che si materializzano sotto forma di pesca, sciroppo d’ananas e mango maturo. Un vino che fa già della grazia e della misura la sua regola d’oro. Da professare ancor più domani. E domani ancora.

LA VINIFICAZIONE
Le uve che compongono il blend di “Edda Lei” provengono dai vigneti di Mauro di Maggio, attuale direttore di Cantina San Marzano. Vengono diraspate e lasciate in criomacerazione, per qualche ora.

La fase successiva prevede la pressatura soffice delle vinacce, seguita da una decantazione statica a freddo. Un passaggio fondamentale per un illimpidimento naturale. La fermentazione alcolica ha luogo in barrique di rovere francese nuove.

L’affinamento prevede un periodo sui lieviti – sempre in barrique – per 4 mesi con batonnage settimanale. Secondo le stime di Cantina San Marzano, la capacità di invecchiamento di “Edda Lei” si assesterebbe sui 5 anni. Un grande risultato per un bianco simbolo della Puglia del vino di qualità.

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Vini al supermercato

I migliori Chianti Classico in vendita al supermercato: Borgo Scopeto, Ricasoli e Antinori

E’ Borgo Scopeto 2015 il miglior Chianti Classico Docg acquistabile al supermercato. Medaglia d’argento per “Brolio Bettino” 2015 di Barone Ricasoli. Bronzo per “Peppoli” 2016 di Antinori.

Questo l’esito della degustazione alla cieca condotta da vinialsuper lunedì, a Vinitaly. Una bling tasting che premia altre quattro etichette, sopra i 90 punti.

Diciannove, in totale, i campioni di “Gallo Nero” rigorosamente stagnolati dal Consorzio di Tutela del Chianti Classico e serviti nel nuovo, pregevole calice firmato da RCR Cristalleria Italiana, che alla kermesse di Verona 2018 ha fatto così il suo esordio.

1° CLASSIFICATO
Chianti Classico Docg 2015 Borgo Scopeto (96 punti vinialsuper) (5 / 5)

Un Chianti Classico prodotto dall’omonima azienda agricola di Castelnuovo Berardenga, in provincia di Siena.

Una cantina che collabora con la catena di supermercati a insegna “Iper La Grande i” per il progetto di private label “Grandi Vigne” e che, per questo, è stata inserita nella blind tasting.

Un risultato – il primo posto assoluto – che dimostra il grande lavoro fatto in Italia dall’agenzia Think Quality di Cuneo, assieme al buyer di segmento di Iper (ve ne abbiamo già parlato qui) per la selezione di incredibili referenze “qualità prezzo” da proporre a scaffale.

I vigneti da cui si ottiene l’omonimo Chianti Classico si trovano a un’altezza compresa tra i 350 e i 420 metri (70 ettari complessivi).

Si tratta del prodotto d’entrata della cantina toscana, che produce anche una Riserva (“Vigna Misciano”), un Supertuscan (“Borgonero”) e lo storico “Vin Santo”, oltre a grappa ed olio (non presenti in Gdo).

Il Chianti Classico Docg 2015 “Borgo Scoperto” (campione cieco numero 10), colpisce sin da subito per il suo colore luminoso, limpidissimo. Al naso la gran finezza espressa dalle note di piccoli frutti di bosco, degne di un grande Pinot Noir.

Un’eleganza che si ripropone con prorompente determinazione anche al palato, lunghissimo. Il frutto è di pulizia cristallina e il tannino è molto ben integrato. Un vino pronto, dall’equilibrio straordinario. Ma anche di chiara prospettiva.

2° CLASSIFICATO
Chianti Classico Docg 2015 “Brolio Bettino”, Barone Ricasoli (94 punti vinialsuper) (5 / 5)
Uno dei Chianti Classico meno confondibili sullo scaffale del supermercato, per l’elegante etichetta di colore blu, con scritta dorata e stemma.

Tra gli altri, potrete trovarlo certamente negli store Esselunga dotati di enoteca a gondola. Un solo punto stacca “Brolio Bettino” (campione cieco numero 13) dal Chianti Classico classificatosi terzo.

A convincere, in questo caso, è dapprima l’ampiezza fine del naso, che spazia dalla confettura di ciliegia alla macchia mediterranea, passando per una speziatura che pare dosata da uno chef. Il tutto su sottofondo minerale.

Al palato si apre come d’improvviso, esprimendo tutta la sua potente eleganza dopo un ingresso garbato. Lungo e balsamico, conferma anche in bocca un’ampiezza da primato. Bellissimo il gioco tra acidità, sapidità e note fruttate che domina anche il retro olfattivo.

Ricasoli 1141 si conferma così tra le aziende maggiormente capaci di rappresentare la grandezza del Chianti Classico, anche in Gdo.

Duecentotrentacinque ettari di vigneto che abbracciano il Castello di Brolio, nel Comune di Gaiole in Chianti, oggi di proprietà del Barone Francesco Ricasoli.

3° CLASSIFICATO
Chianti Classico Docg 2016 “Peppoli”, Antinori
Presentazione forse inutile per uno dei prodotti più noti, se non il simbolo, della qualità del Chianti Classico nella grande distribuzione. “Peppoli” 2016 è il campione cieco numero 7 della degustazione alla cieca condotta da vinialsuper a Vinitaly.

Quello che spariglia le carte: i 6 campioni precedenti, di fatto si fermano a una media di 85 punti. Tra veri alti e bassi (oscillazione tra gli 81 e un meritatissimo 90).

Per il suo rapporto qualità-prezzo, certamente l’etichetta più alla portata di tutti: il costo, al supermercato (per esempio in Esselunga), oscilla dai 9 ai 12 euro.

Sin dal colore e dal naso è chiaro che si tratti di un Chianti Classico in stile moderno. La parte olfattiva è dominata dal frutto, ma accompagnata da altri sentori che la completano e rendono – proprio per questo – pregevole.

C’è il vegetale (macchia mediterranea), c’è il fiore di viola. Non manca un risolto minerale, sapido. Avesse avuto un po’ più di struttura al palato, si sarebbe rivelato ancora più apprezzabile.

Ma la ricerca della Famiglia Antinori, qui, è tutta incentrata sulla prontezza della beva. Obiettivo centrato in pieno, pensando soprattutto ai Millennials.

GLI ALTRI VOTI SOPRA A 90
Sono quattro, come anticipato, gli altri Chianti Classico che hanno ottenuto un punteggio superiore a 90. Partendo proprio da qui, ecco Volpaia 2016 di Castello di Volpaia.

Stesso punteggio per il Chianti Classico Docg 2015 di “Casa Sola“. Ma sono Banfi e Cecchi (92 punti per uno) a insidiare il terzo posto di Antinori.

La prima con “Fonte alla Selva” 2015: vino di grandissima prospettiva futura, oggi forse ancora un po’ troppo difficile per il cliente Gdo. La seconda con il Chianti Classico Docg “Riserva di Famiglia” 2014.

IL COMMENTO DEL CONSORZIO
“La nostra denominazione – ha spiegato Carlotta Gori, direttrice del Consorzio del vino Chianti Classico – si comporta tutto sommato bene in Grande distribuzione. La vera sfida è continuare a dialogare con le insegne rispetto alla spinta promozionale. E far loro comprendere che bisogna tutelare territorio, produttori e denominazione”.

TUTTI I VOTI

2016
1) Castellare di Castellina (85 punti)
2) Badia a Coltibuono – vino biologico (81 punti)
3) Fonterutoli Mazzei (78 punti)
4) Castello di Volpaia (90 punti)
5) Coli (88 punti)
6) Dievole (88 punti)
7) Peppoli Antinori (93 punti)
8) San Felice (80 punti)

2015
9) Aiola 2015 (79 punti)
10) Borgo Scopeto (96 punti)
11) Clemente VII, Castelli del Gravepesa (89 punti)
12) Lamole di Lamole, Frescobaldi (87 punti)
13) Brolio Bettino, Barone Ricasoli (94 punti)
14) Fonte alla Selva, Banfi (92 punti)
15) Casa Sola (90 punti)
16) Granaio, Melini (87 punti)

2014
17) Contessa di Radda, Produttori del Chianti geografico (87 punti)
18) Cecchi, Riserva di Famiglia (92 punti)

2011 Gran Selezione
19) Valiano (89 punti)

Degustazione effettuata da: Davide Bortone, Viviana Borriello, Giacomo Merlotti – #vinialsuper

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news vini#1

Malbec argentino in passerella a Milano: “E’ il vino del futuro”

MILANO – Che l’Argentina sia tra le nuove “Americhe” del vino è risaputo ormai da anni. Ad assicurare che “il Malbec sarà il vino del futuro” ci pensa invece Roberto Cipresso.

Uno che mastica biancoazzuro da oltre un ventennio. E che di terroir e calici ne ha calpestati e annusati un’infinità, in giro per il mondo.

E’ una planata leggera nel cielo dell’Argentina quella che l’ormai ex winemaker di Bassano del Grappa ha offerto ieri al The Westin Palace di Milano, teatro del Malbec World Day.

L’evento più importante nel panorama enologico italiano per il re dei vini sudamericani, organizzato dall’importatore e distributore Via dell’Abbondanza in collaborazione con l’Associazione italiana sommelier (Ais).

Più di 60 etichette (25 cantine) rappresentate ai banchi di degustazione aperti al pubblico, accorso numeroso. Quaranta vini, invece, alla degustazione alla cieca condotta da una ventina di esperti che hanno decretato i tre migliori Malbec presenti sul mercato italiano.

Gradino più alto del podio per il Malbec 2009 di Bodega Yacochuya. Medaglia d’argento ad Apartado Gran Malbec 2013 di Rutini Wines. Bronzo, infine, per Antes Andes Viña Canota 2015 di Matervini, proprio la “cantina laboratorio” fondata nel 2008 da Roberto Cipresso e Santiago Achával.

Un progetto che guarda lontano. Anzi, in alto. Dal 1995, anno in cui per la prima volta Cipresso è atterrato a Buenos Aires, le cose sono cambiate in Argentina. Anche grazie a lui.

“E quando i produttori locali capiranno che il futuro è la pre-cordigliera, iniziando a impiantare vigneti in zone più eroiche rispetto alle attuali, l’Argentina diventerà la nuova, vera capitale del vino del mondo”, ha commentato Cipresso prima dell’inizio del blind tasting.

Non a caso Matervini è definita dagli stessi Cipresso e Achával “a dream of the Pre-cordillera“. E anche l’immagine dei due produttori che camminano in salita, con lo sguardo rivolto verso la cima della montagna, è emblematico, sul sito web della cantina.

“Il Malbec è una varietà che può contare su un ventaglio di elementi favorevoli straordinari – assicura Cipresso – come il piede franco, la presenza di vigneti centenari, l’assenza di umidità e un’irradiazione solare che, come in nessun’altra zona al mondo, è riuscita a modificare in positivo il metabolismo della vite”.

“Allo stesso tempo – ha aggiunto il produttore – il Malbec trova il suo punto debole nel terreno in cui affonda le radici. L’Argentina, dopo aver smesso di scimmiottare i vini del Cile, che a loro volta imitavano i californiani e la Napa Valey, ha puntato tutto sulla valorizzazione dei terroir”.

IL FUTURO DEL MALBEC
Il passo successivo, utile secondo il patron di Matervini a consacrare il Malbec nell’Olimpo mondiale dei vini, dovrà essere nel segno della viticoltura eroica. Una viticoltura che punti tutto sulla fascia pedemontana: la Precordillera delle Ande. Alla scoperta di territori ancora inesplorati, anche per le difficoltà nel raggiungerli.

“Oggi, la maggior parte dei vigneti in Argentina si trovano su terreni che hanno solamente 30 milioni di anni – spiega Cipresso – mentre la zona della Precordigliera ne vanta 300 milioni. Si tratta dunque di substrati da Pangea, da Deriva dei Continenti, ben più ricchi degli attuali e situati ad altezze davvero importanti, anche oltre i 2 mila metri”.

Un percorso che Matervini ha iniziato ormai da 10 anni, lasciando il segno nella viticoltura di un Paese che mostra enormi potenzialità enologiche.

Una luce oggi offuscata da vinificazioni in legno ancora troppo invasive, che hanno il difetto di offuscare (e in troppi casi seppellire, tout-court) la verità che vorrebbero raccontare tanti terroir d’Argentina.

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Vini al supermercato

Terre Siciliane Igp Perricone 2015 Agricane, Cantine Europa

(4 / 5) Penny Market si conferma tra i supermercati che meglio esprimono il concetto di vino “qualità prezzo” al supermercato, in Italia.

Ottimo, in quest’ottica, il Perricone Agricane 2015, uno dei vini Igp Terre Siciliane del Gruppo Cantine Europa di Petrosino, in provincia di Trapani.

LA DEGUSTAZIONE
Nel calice, il Perricone Agricane mostra il suo tipico rosso rubino intenso, con unghia tendente al porpora.

Al naso, altrettanta tipicità: quella delle spezie che contraddistinguono questo vitigno autoctono siciliano. Vale a dire il ginepro e il pepe nero, ben amalgamati con richiami di frutti a bacca rossa e nera, come la prugna.

Al palato, il Perricone di Cantine Europa conferma le note avvertite al naso. La beva è facile, per nulla appesantita dai 13 gradi di percentuale d’alcol in volume. Anzi: la gradazione contribuisce a rendere morbido l’ingresso, prima che si accendano nuovamente le spezie, in un finale sufficientemente persistente.

Cosa chiedere di più a un vino da meno di 4 euro? Ottima anche la versalità del Perricone Agricane negli abbinamenti. Perfetto a tutto pasto, trova nei ragù e nella carne il suo perfetto habitat. Un rosso da provare anche con portate di pesce come tonno o pesce spada.

LA VINIFICAZIONE
Le uve Perricone vengono raccolte a mano nelle prime ore del mattino e in tarda serata, al picco della sua maturazione. Dopo la raccolta, vengono portate velocemente in cantina.

La combinazione fra il succo e le bucce viene refrigerato a 26,5 gradi e trasferito nelle vasche per la macerazione, della durata complessiva compresa tra i 12 ai 15 giorni. Il Perricone Agricane viene quindi affinato in acciaio inox, alla temperatura controllata di 18-20 gradi.

Cantine Europa è una società cooperativa agricola con base a Petrosino in provincia di Trapani. Controlla, tra le altre, Sibiliana Vini, progetto pensato per la valorizzazione e la commercializzazione dei prodotti in bottiglia del Gruppo, al di fuori del canale Gdo.

Prezzo: 3,29 euro
Acquistato presso: Penny Market

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news ed eventi

Sorgentedelvino Live 2018: i migliori assaggi

PIACENZA – Che non si tratti di una degustazione di Château d’Yquem al Marina Bay Sands di Singapore, lo si intuisce dal colpo d’occhio iniziale.

E’ un pannello di plexiglass marrone, con la scritta a pennarello “Ingresso Sorgentedelvino Live”, ad accogliere una cinquantina di persone. Un freddo lunedì 12 febbraio segna le ultime 6 ore di fiera, a Piacenza Expo.

Il pannello, poggiato a terra, davanti alla cancellata che si spalanca a mezzogiorno in punto, la dice tutta sulla tre giorni che ha visto protagonisti 150 vignaioli (circa 800 vini) provenienti da ogni angolo d’Italia, oltre che da Austria, Croazia e Francia. Conta più la sostanza della forma.

E di “sostanza” ne troviamo tanta nei calici dei produttori, accomunati dal credo in un’agricoltura “biologica, biodinamica e sostenibile”. “Vino che si affida alla natura, per arrivare dall’uva alla bottiglia”, come piace definirlo agli organizzatori Paolo Rusconi, Barbara Pulliero e Francesco Amodeo, con l’astuzia linguistica di chi ha visto crescere Sorgentedelvino Live sin dalla prima edizione del 2008, 10 anni fa.

Quattromilacinquecento gli ingressi quest’anno, rende noto l’ufficio stampa. Cinquecento in più, nel 2018, rispetto all’edizione precedente. Una manifestazione che cresce. Come cresce l’interesse, in Italia, per i vini cosiddetti “non convenzionali”.

I MIGLIORI ASSAGGI
Ecco, dunque, i nostri migliori assaggi. Parte del leone la fa la Calabria, regione posta appositamente sugli scudi dagli organizzatori di Sorgentedelvino Live 2018. Buona rappresentanza anche per l’Oltrepò Pavese, che si conferma culla lombarda di una viticoltura alternativa, tra i colli del miglior Pinot Nero spumantizzato d’Italia.

Segnaliamo l’attento lavoro di recupero di due autoctoni in Toscana, da parte di una produttrice che, di “autoctono”, ha ben poco (ed è anche questo il bello). Poi qualche realtà emergente che saprà certamente imporsi dalle parte di Soave, in Veneto, ma non solo.

E una conferma assoluta in Liguria, con uno dei produttori più interessanti dell’intero panorama nazionale dei vini naturali. Infine, uno straordinario assaggio in Sardegna. Quello dal quale vogliamo partire per raccontare i migliori calici di Sorgentedelvino Live 2018.

1) Barbagia Igt 2016 Perda Pintà, Cantina Giuseppe Sedilesu. Giallo luminoso come una spada laser il Perda Pintà di Giuseppe Sedilesu, ottenuto dal vitigno autoctono di Mamoiada, paesino 2.500 anime in provincia di Nuoro: la Granazza, allevata ad alberello.

Un vitigno che non risulta ancora classificato ufficialmente. I Sedilesu lo hanno riscoperto e valorizzato, unendo il frutto di alcune viti presenti tra i filari di Cannonau. Al naso un’esplosione di macchia mediterranea, unita a sentori aromatici e avvolgenti che, poi, caratterizzeranno il palato.

L’avvolgenza è quella dei 16 gradi di percentuale d’alcol in volume, che rendono Perda Pintà perfetto accompagnamento per formaggi stagionati e piatti (etnici) speziati, come per esempio un buon pollo al curry o i dei semplici granchietti al pepe.

2) Azienda Agricola I Nadre. Degustare i vini della vitivinicola I Nadre, significa compiere un tuffo nel calcare, sino a respirarlo. Siamo in provincia di Brescia, più esattamente in località Muline, a Cerveno, Val Camonica. Il terroir calcareo e sassoso dei 2 ettari vitati conferisce un fil rouge di grande salinità a tutti gli assaggi di questa cantina.

Ottimo il Riesling che degustiamo in apertura, seguito dall’ancora più sorprendente Metodo Classico Vsq millesimato 2012 “A Chiara”: Chardonnay in purezza, dosaggio zero (tiraggio giugno 2013, sboccatura 19 settembre 2016).

A giugno 2018 sarà messo in commercio il millesimato 2015 e conviene prenotarsene almeno un cartone. Interessante anche la Barbera Igt Vallecamonica Le Muline 2015 “Vigneti della Concarena”, anche se appena imbottigliata.

3) Igt Toscana spumante rosato 2016 “Follia a Deux”, Podere Anima mundi. Altro assaggio memorabile e forse irripetibile. Già, perché Marta Sierota – l’elegante padrona di casa franco polacca di Podere Anima mundi – lo commercializza solo in cantina, per pochi intimi.

Il resto finisce in alcuni wine bar ben attrezzati di Roma, Bologna e della stessa Casciana Terme Lari, paese che ospita la cantina, in frazione Usigliano (Pisa). Centocinquanta bottiglie in totale per questo sparkling, su un totale di 10-15 mila circa complessive per Podere Anima Mundi.

Si tratta di uno spumante metodo ancestrale (non filtrato e non sboccato) base Foglia Tonda, autoctono a bacca rossa che qualche lungimirante produttore sta tentando di valorizzare, nella Toscana dei tagli bordolesi alla vaniglia. Un vino da provare a tavola, per il bel gioco che sa creare al palato tra frutto e salinità.

Di Podere Anima Mundi, interessante anche il Foglia Tonda 2015 “Mor di Roccia”, lunghissimo in bocca. Non delude neppure l’altro autoctono, il Pugnitello: “Venti” 2015 è ancora giovane ma di ottime prospettive, mentre la vendemmia 2014 sfodera una freschezza e una mineralità da applausi, unite a un tannino presente, ma tendente al setoso.

4) Calabria Igt Magliocco 2013 Toccomagliocco, L’Acino. Tutto da segnalare dalle parti di Dino Briglio Nigro. Siamo sulla Piana di Sibari, tra lo Jonio e il Tirreno, tra il Pollino e la Sila. Meglio non perdersi neppure un’etichetta di questo fiero produttore calabrese.

Da Giramondo (Malvasia di Candia) ad Asor (“rosa”-to di Magliocco e Guarnaccia nera) passando per Cora Rosso e Toccomagliocco, il Magliocco in purezza che costituisce la punta di diamante di questa cantina.

Grande pienezza sia al naso sia al palato, per un vino che riesce a esprimere – oltre a classiche note di frutta rossa e rosa – anche curiosi sentori di arancia a polpa rossa matura. Non mancano richiami speziati e minerali e un tannino che lo rende perfetto accompagnamento per piatti a base di carne.

5) Cirò Riserva 2012 “Più vite”, Vini Cirò Sergio Arcuri. Altro giro, altra giostra. Sempre in Calabria. Salire su quella di Sergio Arcuri è come catapultarsi a Cirò. Tra le vigne ad alberello di quel grande vitigno del Meridione d’Italia che è il Gaglioppo, sino ad oggi fin troppo offuscato dalla lucentezza dell’Aglianico.

Se “Aris 2015” è il campione di domani, il Cirò Riserva 2012 “Più vite” è il fuoriclasse di oggi. Ottenuto dal cru Piciara, costituisce la materializzazione in forma liquida della terra argillosa, quasi appiccicosa, della vigna più vecchia di casa Arcuri.

Un vino che ha tutto e il contrario di tutto: frutto, sapidità, tannino (quest’ultimo quasi scontato, presente ma dosato). Un rosso pronto, eppure di grande prospettiva. In definitiva, uno di quei vini da avere sempre in cantina.

Un po’ come il rosato da Gaglioppo “Il Marinetto”: splendido, per la sua grande consistenza acido-tattile al palato. E, non ultimo, per il suo colore vero, carico del sole di Calabria più che della nebbia di Provenza ormai tanto in voga tra i rosè.

6) Bonarda Oltrepò pavese Doc 2012 Giâfèr, Barbara Avellino. Forse il vino dal miglior rapporto qualità prezzo degustato a Sorgentedelvino Live 2018 (8,50 euro in cantina). Ma non immaginatevi il classico “Bonardino” dal residuo zuccherino piacione.

Giâfèr sta tutto nel nome: giovane, fresco, vivace. Un Bonarda dell’Oltrepò pavese che sfodera un naso e un palato corrispondenti, sulla trama che accompagna i tipici frutti rossi e i fiori di viola: un’esplosione di erbe di campo e liquirizia dolce in cui si esalta il blend di Croatina (85%), Barbera e Uva Rara.

Ma brava e coraggiosa Barbara Avellino non si ferma qui. Ha ancora in cantina qualche bottiglia di Metodo Classico 2005 “I Lupi della Luna”, base Pinot Noir con un 10% di Chardonnay. Uno spumante non sboccato (tiraggio 2008) interessantissimo, la cui commercializzazione è stata avviata solo dal 2014. Più di 110 i mesi sui lieviti.

Naso di erbe (ebbene sì, ancora loro) e palato appagante per corpo e complessità, giocata su tinte balsamiche e elegantemente mielose. Buona anche la persistenza. Le uve utilizzate per questo sparkling provengono dai terreni di Roberto Alessi de “Il Poggio” di Volpara (PV).

7) Pinot Nero Provincia di Pavia Igt “Astropinot” 2013, Ca’ del Conte. Uno di quei Pinot d’Oltrepò che fanno rima con chapeau. Paolo Macconi, titolare con la moglie Martina dell’azienda a condizione famigliare Ca’ del Conte di Rivanazzano Terme (PV) è uno che i vini li sa fare e anche vendere.

Non a caso va forte in Giappone, dove si vanta di vendere “vini che arrivano in perfetto stato, nonostante l’assenza di solforosa aggiunta e 40 giorni di nave”. E “Astropinot” 2013 è tutto tranne che un autogol.

Bellissima l’espressione del frutto “Noir” che riempie di gusto il palato, mentre l’anima animale del Pinot si fa largo con le unghie, espresse (anche) dal tannino vivo ma ben amalgamato. Un cru ottenuto dal vigneto “Il Bosco”, capace di rende merito al meglio della produzione vitivinicola dell’Oltrepò pavese.

Di Ca’ del Conte (azienda che fa delle lunghe macerazioni un credo, con un media di 90 giorni per le annate precedenti alla 2016) ottimi anche i bianchi. Segnaliamo il Riesling renano con un riuscitissimo tocco di Incrocio Manzoni, ma sopratutto lo Chardonnay 2013 Fenice: strepitoso. E aspettiamo il prossimo anno, quando sarà messa in commercio la prima vendemmia (2017) di Timorasso.

8) Insolente Vini. Lo dicevamo all’inizio: “sostanza” più che “forma” a Sorgentedelvino Live. Ecco una giovane cantina che riesce a coniugare entrambi gli aspetti: la sostanza dei vini di Insolente è pari alla loro forma.

Ovvero all’estetica, accattivante e moderna, delle etichette elaborate da Luca Elettri, pubblicitario prestato all’azienda di cui sono titolari i tre figli Francesca, Andrea e Martina. Il risultato sono 6 vini (3 bianchi, due rossi e uno spumante) elaborati in uno dei Comuni roccaforte del Soave Classico, Monteforte d’Alpone (VR).

Per l’esattezza: Bianco PR1, bianco macerato LE1, frizzante RM1 2016, rosso FC1, rosso jat AE1 e spumante ME1 2016, tutti alla prima vendemmia assoluta (2016). Garganega per i bianchi. Tai Rosso, Cabernet e Merlot per i rossi. Ma tra tutti, oltre al Tai, risulta molto interessante la “bollicina” di Durella, da vigneti vocati a Brenton di Roncà (VR), situati a 400 metri sul livello del mare.

Seicento bottiglie in totale, per uno spumante fresco, croccante. Una di quelle bottiglie che non stancano mai. Una bella espressione di uno strepitoso terroir, che sta conquistando sempre maggiore credibilità. E che ora può contare su un altro interprete. Giovane. Ma soprattutto Insolente.

9) Gewurztraminer 2016, Weingut Lieselehof. Una vecchia conoscenza di vinialsuper, già segnalata tra i migliori assaggi del Merano Wine Festival 2017, per lo strepitoso Piwi Julian 2008 e per il passito Sweet Claire (100% Bronner).

A Sorgentedelvino Live 2018 le strade si incrociano per un altro cavallo di battaglia di Weingut Lieselehof: il Gewurztraminer. Uno di quelli da provare, perché si discostano dalla media. Tipico più in bocca che al naso, dove sembra assumere note che lo avvicinano di molto al Moscato Giallo. La spiccata acidità al palato rende questo vino davvero speciale

10) Tra i migliori vini passiti degustati, due calabresi dominano la scena: il Moscato di Saracena di Cantine Viola, vendemmia 2014, è uno di quei vini che riescono ad andare al di là di un calice assoluto valore. Attorno alla riscoperta del Moscato di Saracena, Luigi Viola e la sua famiglia sono riusciti a creare un mondo.

Una sorta di indotto, costituito dalla recente fondazione di una cinquantina di cantine nella provincia di Cosenza. A raccontarlo è lo stesso Alessandro Viola, col garbo dei grandi uomini di vino.

Ottimo anche il Greco di Bianco passito dell’Azienda agricola Santino Lucà di Bianco (Reggio Calabria). Un passito dalle caratteristiche più classiche rispetto al Mantonico passito proposto in degustazione dalla stessa cantina, a Sorgentedelvino Live 2018.

Chiudiamo con un classico per i lettori di vinialsuper: il vino cotto Stravecchio Marca Occhio di Gallo della Cantina Tiberi David. Un unicum nel suo genere, che ancora attende (a differenza del Moscato di Saracena di Cantine Viola) il riconoscimento di “presidio Slow Food” per la definitiva consacrazione. Un aspetto che vi racconteremo presto, in un servizio ad hoc. Straordinaria l’espressione della vendemmia 2003 in degustazione.

Letteralmente “fuori concorso” il Pigato 2003 in versione “Armagnac” di quel santuario ligure che è Rocche del Gatto. A presentarlo è il guru Fausto De Andreis, che nella sua Albenga (SV) è artefice di vini immortali, a base Pigato e Vermentino.

Fausto ha chiamato questa “bevanda spiritosa” da 33% “Oltre Spigau 03”. Un altro passo avanti verso la battaglia irriverente di un vignaiolo d’altri tempi e senza tempo. Come i suoi vini.

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Vini al supermercato

Sudtirol Alto Adige Doc St. Magdalener 2015, Wilhelm Walch

(4 / 5) Il St. Magdalener costituisce uno dei vini bandiera della tradizione enologica altoatesina. In vendita nei supermercati Despar, il Sudtirol Alto Adige Doc St. Magdalener della tenuta Wilhelm Walch risulta opzione validissima per chi cerca un rosso leggero e fruttato, immediato e di pronta beva, con un buon rapporto qualità/prezzo. Un vino scevro di spigoli e ruvidezze, in grado di reggere a tutto pasto.

LA DEGUSTAZIONE
All’analisi sensoriale, il St. Magdalener sfoggia un colore rubino intenso di franca trasparenza. Al naso si apprezzano note abbastanza nitide di ciliegia e fragole, susina rossa e violette. Cenni di pepe nero e humus. Leggero e agile al palato, tenue negli aromi, beverino e dotato di discreta persistenza.

Vino celebrato nel Tirolo meridionale fin dal Medioevo per l’innata fragranza, il St. Magdalener è ideale come aperitivo o in abbinamento a formaggi dolci, speck, arrosti di vitello e grigliate di carne bianca.

LA VINIFICAZIONE
I vigneti della tenuta Wilhelm Walch sorgono nel cuore della zona vinicola fra Tramin e Caldaro, in giacitura collinare fra i 250 e i 750 metri di altezza. Le viti poggiano su terreni calcarei misti a sabbia e argille, ai piedi delle Dolomiti, abbondantemente irradiate dal sole.

Il St. Magdalener prevede un uvaggio dominato almeno per il 90% da Schiava con aggiunta di Lagrein e Pinot noir. Fermenta a temperatura controllata in serbatoi di acciaio inox, svolge quindi la malolattica e affina brevemente in grandi botti di rovere di Slavonia prima dell’imbottigliamento.

L’azienda fondata nel 1869 nel borgo storico di Tramin in Alto Adige-Sudtirol appartiene da cento e cinquant’anni alla famiglia Walch. L’impostazione agronomica privilegia l’ecosostenibilità e la valorizzazione delle uve storiche. I vini tradizionali vengono interpretati in chiave moderna con l’integrazione di varietà internazionali.

Prezzo: 6,90 euro
Acquistato presso: Despar

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L’altra faccia di Barolo: i migliori assaggi a Vini Corsari 2017

BAROLO – Sono i vini europei i veri protagonisti dell’edizione 2017 di Vini Corsari, evento “alternativo” che di anno in anno anima il Castello di Barolo, nei primi giorni di dicembre. Una kermesse che, quest’anno, ha fatto da contraltare italiano a “Vini di Vignaioli à Paris”.

Buono il riscontro del pubblico. Circa 500 presenze domenica 3 (soprattutto eno appassionati) e 250 ingressi lunedì 4 dicembre (per lo più professionisti del settore). Dall’appuntamento di domenica 3 e lunedì 4 escono a testa alta i Riesling della Mosella, nonché gli autoctoni spagnoli e portoghesi.

Anche quest’anno, Marta Rinaldi e i suoi collaboratori (portoghesi e italiani) sono riusciti a pescare bene nel cestello della Francia (sugli scudi con una maison di Champagne in grado di esaltare come poche il Pinot Meunier in purezza) e in quello nostrano, spaziando in maniera convincente in 8 regioni.

Una vocazione europea, quella di Vini Corsari, confermata dall’organizzazione. “Quest’anno – commenta Marta Rinaldi (nella foto) – abbiamo quasi del tutto rinnovato il parterre dei vignaioli corsari, rafforzando la presenza di produttori dalla Germania e dall’Austria e limitando Francia e Italia. Per scelta, ancora nessun Barolo a Vini Corsari, perché mi piaceva l’idea di esaltare Barolo come paese, come castello e come Denominazione, ospitando i vini di altre regioni, Stati e territori. Per noi, del resto, l’aspetto umano di questo festival è fondamentale: lo scambio culturale e linguistico tra vignaioli provenienti da diverse nazioni è importantissimo, oltre ai risvolti professionali di un’esperienza simile”.

Domanda d’obbligo, allora, sulla vendemmia 2017 a Barolo, di cui Marta Rinaldi è stata protagonista con l’azienda di famiglia, la Giuseppe Rinaldi. “E’ stata un’annata piuttosto anomala e curiosa: abbiamo patito le condizioni climatiche, dal gelo della primavera alla siccità estiva. Con il giusto tempismo in vendemmia abbiamo controllato i rischi di grandi concentrazioni e cali di acidità, anticipando la raccolta al 14 settembre in terreni sabbiosi o meglio esposti come Cannubi e Le Coste e finendo il 29 settembre con Ravera e Brunate. Un’annata in cui ha contato molto, dunque, l’esperienza pregressa del singolo viticoltore e le dimensioni delle aziende”.

I MIGLIORI ASSAGGI A VINI CORSARI 2017
Vini spumanti
1) Champagne Extra Brut Blanc de Noirs 2014 “Les Murgiers”, Francis Boulard. Versione Extra Brut (ma Boulard produce anche il Brut Nature, non in degustazione a Barolo) dosata 3-5 grammi litro, Pinot Meunier in purezza, vinificato in bianco. Un vero e proprio emblema della maison e del suo titolare.

La vinificazione del solo succo della prima spremitura avviene in legno di diverse dimensioni, dalla barrique alla botte grande. La fermentazione alcolica è spontanea, con lieviti indigeni. Fondamentali i batonnage, ogni 10 giorni. II risultato è uno Champagne di grande equilibrio tra frutta, legno e acidità.

2) Vino bianco frizzante Sur Lie “Bolle Bandite”, Carolina Gatti. La regina del Raboso (nella foto) presenta a Vini Corsari il suo “Prosecco”. Ottenuto al 100% dall’antico “Prosecco tondo”, clone Balbi, caratterizzato da acini tondi, di dimensioni irregolari (acinellatura). A Valdobbiadene è invece più comune l’acino lungo, più produttivo.

Un anno in cemento per queste “Bolle” che, fino al 2012, godevano della Doc. In quell’anno, su 10 mila bottiglie, solo 2 mila passarono l’esame della commissione. Il frizzante in degustazione è dunque un Prosecco non convenzionale, sin dal colore giallo paglierino velato, tutto giocato su note “dritte”, di agrumi. Un vino graffiante, come chi lo produce: piacevolmente irriverente e senza peli sulla lingua.

Vini bianchi
1) Riesling 2014 “Ellergrub”, Immich-Batterieberg
. Dopo tanti assaggi di Riesling (molti dei quali validissimi) a Vini Corsari 2017, quello di Immich-Batterieberg risulta il più convincente. Siamo a Enkirch, in Mosella, Germania. Giallo dorato limpidissimo, riflessi tenui tendenti al verdolino.

Al naso una lieve nota di idrocarburo, oltre a una vena fruttata ed erbacea profonda. Palato sorprendente, nel modo in cui riesce a giocare sull’altalena tra morbidezze e acidità: note citriche in incontro-scontro con percezioni di frutta esotica matura. Retro olfattivo pacato, col vino che si spegne su una nota erbacea.

2) Riesling 2016 “Vade Retro”, Melsheimer. “Il nostro Riesling senza solfiti”. Lo presenta così Thorsten Melsheimer, omone alto quasi come le campate del Castello Falletti di Barolo. Restiamo nella tedesca Mosella, ma ci spostiamo a Reil. Un anno in barrique per “Vade Retro”. Si vede (dal colore, tra l’orange e l’ambrato) e si sente (al naso): arachidi, frutta secca in generale, ma anche datteri, fichi.

In bocca va giù come una lama, riempiendo come un boccone dato in pasto a un affamato. Note citriche, che poi virano sulla frutta esotica matura, in particolare sull’ananas. Uno spettacolo.

3) Neuburger Freyheit 2016, Weingut Heinrich. Una delle due sorprese, tra i bianchi di Vini Corsari 2017. Tutta interessante la linea di Weingut Heinrich. Ma è il “vino base”, quello proposto per primo, a colpire maggiormente. Diciotto euro davvero ben spesi. Quando lo diciamo a Philine Dienger, sembra non crederci dalla gioia. Di fatto, questo è un vino simbolo per la cantina di Gols, zona orientale dell’Austria, nei pressi del confine con Slovacchia e Ungheria.

Neuburger in purezza, 12%, 0,9 grammi di residuo zuccherino. Giallo dorato velato nel calice, con riflessi verdolini. Naso di passion fruit e mele mature, su sottofondo d’erbe di montagna e scorza di lime. Un altro eccellente esempio di come si possa produrre vini tanto grassi quanto rinfrescanti.

Corrispondente al palato, dove regala anche note minerali (selce, grafite) e ridondanti ritorni di ananas e papaya matura, tutt’altro che stucchevoli. Il segreto di questo vino, forse, oltre al terroir di scisto e calcare, sta nella macerazione iniziale con i raspi (per 48 ore).

4) Langhe Bianco Doc 2013 “Coste di Riavolo”, San Fereolo. Quarantamila bottiglie complessive, su una superficie di 14 ettari, danno la “misura” dell’impegno di Nicoletta Bocca nella zona del Dogliani. Basse le rese delle vigne vecchie di Dolcetto, ma anche di Riesling e Gewurztraminer.

Se i Dogliani di San Fereolo (2016, 2010 e 2006) sono pezzi d’arte già riconosciuti nel panorama enologico nazionale dei “Vini veri”, è il Langhe Bianco 2013 ottenuto dal blend tra Riesling renano (70%) e Gewurztraminer (30%) a colpire l’attenzione a Vini Corsari 2017.

“Mica ho fatto studi sui terreni prima di decidere di impiantarli”, ammette con schiettezza Nicoletta Bocca, sistemandosi gli occhiali sul naso e accennando a un sorriso. Del resto, certe cose, certi vignaioli, le sentono dentro. Poi le fanno e basta.

E il risultato è eccellente. Un orange leggero colora il calice corsaro, che allontana ancor più – geograficamente – l’Alto Adige e il Trentino dal Piemonte. Come a segnare una linea di demarcazione visiva, che sintetizzi una filosofia produttiva diametralmente opposta a quella convenzionale. Niente aromaticità e “dolcezze” nel Langhe Bianco di San Fereolo, per intenderci.

Macerazione e pigiatura in vasche d’acciaio, con le bucce, poi fermentazione in legno da 25 ettolitri, dove resta per altri due anni. Un altro lo fa in bottiglia, prima della commercializzazione. I 13 euro (prezzo corsaro) sono un vero e proprio regalo.

Vini rossi
1) Baixo Corgo 2015 “Trans Douro Express”, Mateus Nicolau de Almeida. Si chiama “Trans Douro Express” la linea di vini di Mateus Nicolau de Almeida, vignaiolo portoghese che a Barolo regala un vero e proprio “viaggio” nelle diverse subregioni del Douro português. E allora tutti sul treno. Anche senza biglietto. Tanto guida lui, che è uno alla mano.

Dieci uvaggi compongono il miglior rosso degustato a Vini Corsari 2017, con prevalenza di Touriga nacional e Touriga franca. Una pratica comune, in Douro, l’allevamento di diverse varietà nello stesso appezzamento. Di fatto, questo blend, esalta la varietà principe del Porto.

Trovando un ottimo equilibrio tra “ruvidità” e una certa eleganza aromatica. In questo quadro, l’apporto erbaceo del Tinta Roriz (cugino portoghese del Tempranillo spagnolo) si fa sentire eccome. Ciliegina sulla torta? Rapporto qualità prezzo eccezionale.

2) Viño tinto “Camino de la Frontera” 2016, Da Terra Viticultores. Siamo in Val du Bibei,  nella Ribeira Sacra della Galicia, in Spagna. I capelli “rasta” di Laura Lorenzo sono forse l’immagine più fulgida dell’intera ciurma di Corsari messa assieme dalla banda capitanata dalla Elizabeth Swann di Barolo, Marta Rinaldi.

Laura si vergogna a farsi inquadrare dall’obiettivo della macchina fotografica. Ma quando parla di vino, del suo vino, è un vulcano. Ci innamoriamo di lei quando versa nel calice Camino de la frontera 2016, blend in cui la parte del leone lo fa l’uvaggio Juan Garcia.

Sembra di risalire sul treno condotto nel Douro da Mateus Nicolau de Almeida. Valicando i confini portoghesi, giungendo in Spagna. Nel calice, il fil rouge è evidente. Il vino di Laura è meno strutturato, ma può contare su una vena minerale che fa strabuzzare gli occhi dalle orbite. Completano il quadro rimandi erbacei profondi, tendenti al balsamico, che richiamano la mentuccia e il timo. Un vino che non smetteresti mai di bere.

3) Cornalin 2015 “L’Enfer du Calcaire”, Histoire d’Enfer. Il Vallese, vinialsuper, lo ha girato in lungo e in largo. Vini Corsari 2017 regala una chicca dell’area vitivinicola più ampia della Svizzera: il Cornalin di Histoire d’Enfer. Un rosso tutto giocato sull’eleganza dei piccoli frutti a bacca rossa. Naso avvolgente e palato di ribes e lamponi.

La “prontezza” delle note fruttate trae in inganno solo di primo acchito, seguita da una freschezza (acidità) che rende questo Cornalin davvero tipico e di livello, anche nel tempo: i vini di Historie d’Enfer, del resto, offrono spesso ampie garanzie in termini di longevità.

4) Merlot 2015 “Masot”, Fattoria Sociale La Costa e Motor América 2016, 4 Kilos Vinícola: l’italiano (dal Veneto) e lo spagnolo (da Mallorca) si guadagnano un posto nella nostra speciale classifica dei migliori assaggi di Vini Corsari 2017 come “vini quotidiani”.

Vini rossi dall’ottimo rapporto qualità prezzo (inferiore ai 10-15 euro) e dalla grande facilità di beva, prodotti nel primo caso con un uvaggio internazionale e nel secondo con il Callet, autoctono delle isole Baleari.

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Di vini e di vignaioli Fivi: i migliori assaggi al Mercato della transizione

Con 15 mila accessi in 16 ore, il Mercato dei Vini e dei Vignaioli Fivi di Piacenza 2017 passerà alla storia come quello della “transizione”. Un passaggio dal “sogno” alla “consapevolezza” per gli oltre 500 produttori riuniti sotto la guida di Matilde Poggi.

Una realtà, Fivi, con la quale il vino italiano ha ormai l’obbligo di confrontarsi. Più che nei due giorni di “Fiera”, nei 363 giorni restanti. Sburocratizzazione, sviluppo dell’enoturismo, riscoperta e valorizzazione dei vitigni autoctoni dimenticati. Le battaglie di Fivi trovano a Piacenza (e da quest’anno, per la prima volta, anche a Roma) un teatro ideale dal quale gettare sfide concrete al Made in Italy enologico.

Non a caso, il Mercato dei Vini e dei Vignaioli Fivi 2017 è stato contraddistinto dal motto “Scarpe grosse, cervello Fivi“. Come a sottolineare l’appartenenza alla “terra” delle battaglie portate avanti da Poggi&Co. A Roma come a Bruxelles, spesso al posto di sindacati blasonati, ma attenti più agli equilibri di potere che agli interessi della “base”.

Eppure, qualche scaramuccia interna ha preceduto anche il Mercato dello scorso weekend. Gli esiti più evidenti nell’assemblea di domenica mattina, quando la maggioranza dei vignaioli ha votato per l’estromissione dalla Federazione delle Srl “partecipate” da altri gruppi.

Di fatto, come precisa la stessa Fivi, “non è stato (ancora, ndr) fatto fuori nessuno. E’ stato approvato il nuovo regolamento e ora la Federazione nazionale valuterà le situazioni caso per caso, con l’aiuto delle delegazioni regionali”. Tradotto: per belle realtà come Pievalta, c’è ancora da sperare.

VINI E VIGNAIOLI
Che qualcosa sia cambiato, lo si avverte pure dall’altra parte dei banchetti. Osservando alcuni vignaioli e raccogliendo i loro commenti. Se un “bravo ragazzo” come Patrick Uccelli di Tenuta Dornach arriva a proporre sui social: “Tra 5 anni… Mercato dei vini FiVi solo per privati. Vinitaly solo per operatori. Sogno o realtà?”, ci sarà un motivo.

“Non stavo pensando a me – precisa poi il produttore altoatesino – pensavo a come poter far convergere le diverse aspettative/necessità delle due categorie, che solitamente in queste manifestazioni si sovrappongono per sommo dispiacere di entrambe”. Nulla di più sbagliato.

L’episodio (ben più grave) vede invece protagonista Nunzio Puglisi della cantina siciliana Enò-Trio. Che alla nostra richiesta di precisazioni sulle caratteristiche del vigneto di Pinot Noir sull’Etna, risponde stizzito: “Per un’intervista prendete un appuntamento per telefono o via mail e veniteci a trovare in cantina”.

“Ma siamo di Milano!”, precisiamo noi. “Sto lavorando, non ho tempo”, la risposta del fighissimo vignaiolo Fivi che ci scansa, rivolgendo la parola a un altro astante. Una macchia indelebile sull’altissimo tasso di “simpatia” e umiltà tangibile tra i vignaioli dell’intera Federazione.

Per fortuna, oltre agli incontri-scontri con vignaioli evidentemente troppo “fighi” per essere “Fivi”, il Mercato 2017 è stato un vero e proprio concentrato di “vini fighi”. Ve li riassumiamo qui, in ordine sparso. Ognuno meritevole, a modo suo, di un posto sul podio.

I MIGLIORI ASSAGGI
1) Bianco Margherita 2015, Cantine Viola (Calabria): Guarnaccia bianca 65%, Mantonico bianco 35%. Una piccola parte di Guarnaccia, a chicco intero e maturazione leggermente avanzata, viene aggiunta in acciaio a fermentazione partita. Bingo. Nota leggermente dolce e nota iodica perfettamente bilanciate. Vino capolavoro.

2) Verdicchio dei Castelli di Jesi 2015 “San Paolo”, Pievalta (Marche): Un tipicissimo Verdicchio, che matura 13 mesi sulle fecce fini e altri 7 in bottiglia, prima della commercializzazione. Lunghissimo nel retro olfattivo. Vino gastronomico. Nel senso che fa venir fame.

3) Vigneti delle Dolomiti Igt 2015 “Maderno”, Maso Bergamini (Trentino): Bellissimo esempio di come si possa produrre un vino “serio” e tutt’altro che “scimmiottato”, con la tecnica del “Ripasso” o del “Rigoverno”, veneto o toscano. Un vino prodotto solo nelle migliori annate, facendo rifermentare le uve Lagrein (già vinificate) sulle vinacce ancora calde di Teroldego appassito su graticci per 60 giorni.

Teroldego e Lagrein affinano poi assieme per un anno, in barrique di rovere francese, prima di essere imbottigliate nell’estate successiva. Il risultato è Maderno: vino di grandissimo fascino e di spigolosa avvolgenza.

4) Erbaluce di Caluso Spumante Docg Brut 2013 “Calliope”, Cieck (Piemonte): C’è chi fa spumante per moda e chi lo fa perché, a suggerirlo, sono territorio e uvaggio allevato. Dopo Merano, premiamo la splendida realtà piemontese Cieck anche al Mercato Fivi 2017.

Tra i migliori assaggi, questa volta, lo sparkling dall’uvaggio principe della cantina: l’Erbaluce di Caluso. La tipicità del vitigno è riconoscibile anche tra i sentori regalati dai 36 mesi di affinamento sui lieviti. Uno spumante versatile nell’abbinamento, ma più che mai “vero” per quello che sa offrire nel calice.

5) Sannio Rosso Doc 2010 “Sciascì”, Capolino Perlingieri (Campania): La bella e la bestia in questo fascinoso blend prodotto da Alexia Capolino Perlingieri, donna capace di rilanciare un marchio di prestigio della Campania del vino, come cantina Volla.

“Sciascì” coniuga la struttura “ossea” dell’Aglianico e la frutta avvolgente tipica dell’autoctono Sciascinoso. Rosso rubino, bel tannino in evoluzione, frutto elegante. Due anni in botte grande e tre in bottiglia per un vino di grande prospettiva futura.

6) Pecorino Igt Colline Teatine 2016 “Maia”, Cantine Maligni (Abruzzo): Forse l’azienda che riesce a colpire di più, al Mercato dei Vini e dei Vignaioli Fivi, per la completezza dell’offerta e lo sbalorditivo rapporto qualità-prezzo (6 euro!).

Cantine Maligni – realtà che ha iniziato a imbottigliare nel 2011 e lavora 10 ettari di terreno, sotto la guida di Fabio Tomei – porta al tavolo un fenomeno su tutti: il Pecorino Maia, non filtrato.

Giallo velato con riflessi verdolini, profuma di frutta matura, mela cotogna, pera Williams. Note morbide che traggono in inganno, materializzando la possibilità di un’alcolicità elevata.

Maia si assesta invece sui 12,5% e regala un palato stupefacente, pieno, ricco, “ciccione”, con frutta e mineralità iodica perfettamente bilanciate. Un altro vino che fa venir fame del corretto abbinamento gastronomico.

7) Spumante Metodo Classico Pas Dosè 2010, Vis Amoris (Liguria): E’ il primo spumante metodo classico prodotto al 100% da uve Pigato. E la scelta pare più che azzeccata. Una “chicca” per gli amanti di vini profumati ma taglienti come il Pigato.

Coraggioso, poi, produrre un “dosaggio zero”. Segno del rispetto che Roberto Tozzi nutre nei confronti dei frutti della propria terra, che non stravolge nel nome delle leggi di un mercato che avrebbe preferito – certamente – più “zucchero” e più facilità di beva.

Intendiamoci: il Pigato Pas Dosè di Vis Amoris va comunque giù che è una bellezza. Ammalia al naso, come in Italia solo i migliori Pigato sanno fare. Per rivelare poi una bocca ampia, evoluta, di frutti a polpa gialla e mandorla. Sullo sfondo, anche una punta di idrocarburo (al naso) e un filo di sentori tipici del lievito, ben contestualizzati nel sorso.

8) Terre Siciliane Igp 2014 “Sikane”, Baronia della Pietra (Sicilia): Altra bellissima realtà fatta di passione e competenza, già incontrata da vinialsuper al Merano Wine Festival 2017. Tra i migliori assaggi del Mercato dei Vini e dei Vignaioli Fivi 2017 brilla anche il vino rosso “Sikane”, blend di Nero d’Avola e Syrah (60-40%). Dieci mesi in barrique, minimo 3 in bottiglia prima della commercializzazione.

Altro vino dall’ottimo rapporto qualità-prezzo, prodotto in zona Agrigento dalla famiglia Barbiera. Un rosso che si fa apprezzare oggi per l’eleganza: del tannino, nonché delle note fruttate pulite e nette. Una bottiglia “Made in Sicilia” da dimenticare in cantina e riscoprire tra qualche anno.

A dicembre sarà invece imbottigliato il Nero d’Avola-Merlot passito di Baronia della Pietra, in commercio a partire da marzo 2018. Bottiglie da 0,50 litri, “rotondeggianti”. Vendemmia 2015, 16-17% d’alcol in volume. Viste le premesse, si preannuncia una scommessa vinta in partenza. Ma ne parleremo nei prossimi mesi, dopo averlo testato.

9) Lappazucche, Berry And Berry (Liguria): “Pietra, fatica e passione” costituiscono il fil rouge di questa curiosa cantina di Balestrino, in provincia di Savona, condotta da Alex Beriolo. Un marketing fin troppo “spinto” sul packaging, forse, rischia di incuriosire il consumatore in maniera troppo “leggera”. Alla Berry And Berry, invece, si fa davvero sul serio. Si sperimenta e si valorizza vitigni autoctoni a bacca rossa come il Barbarossa, che rischiano di scomparire.

Lappazucche è appunto un blend, composto all’80% da Barbarossa e al 20% da Rossese, vinificati in acciaio. Le uve di Barbarossa, sulla pianta, sembrano Gewurztraminer per il loro colore rosa. Una nuance leggera, che ritroviamo anche nel calice.

Una tonalità che comunica la delicatezza del vitigno Barbarossa e del fratello Rossese, dotato di buccia poco spessa e particolarmente esposto al rischio malattie. Questo, forse, il senso di un calice che sembra parlare della fragilità della terra, in balia delle scelte dell’uomo.

Se è vero che Fivi è anche filosofia, Lappazucche potrebbe esserne il simbolo ideale. E quei richiami speziati, percettibili nel retro olfattivo e tipici del Rossese, la metafora perfetta delle battaglie ancora da intraprendere. Con coraggio.

10) Falanghina del Sannio Doc 2012 “Maior”, Fosso degli Angeli (Campania): Poche parole per descrivere un capolavoro. Un vino completo, a cui non manca davvero nulla. Neppure il prezzo, ridicolo per quello che esprime il calice. Naso tipico, giocato su richiami esotici.

Palato caldo, ricco, ampio, corrispondente, con l’aggiunta di una vena minerale che conferisce eleganza e praticità alla beva. Di Fosso degli Angeli, ottimo anche il Sannio Rosso Dop Riserva 2012 “Safinim”, ottenuto da Aglianico e Sangiovese cresciuti a 420 metri d’altezza sul livello del mare.

11) Azienda Agricola Alessio Brandolini (Lombardia): Dieci ettari ben distribuiti in due aree, suddivise con rigore scientifico per la produzione di Metodo Classico e vini rossi. L’Azienda Agricola Alessio Brandolini è una di quelle realtà tutte da scoprire in quel paradiso incastonato a Sud di Milano che è l’Oltrepò Pavese.

Alessio ci fa assaggiare in anteprima un Pas Dosè destinato a un futuro luminoso. Chiara l’impronta di un maestro come Fabio Marazzi, vero e proprio rifermento oltrepadano per tanti giovani che, come Brandolini, lavorano nell’umile promozione di una grande terra di vino, capace di sfoderare spumanti Metodo Classico degni dei più prestigiosi parterre enologici.

Di Brandolini, ottima anche la Malvasia secca “Il Bardughino” Provincia di Pavia bianco Igt: un “cru” con diverse epoche di maturazione che dimostra la grande abilità in vigna (e in cantina) di questo giovane vigneron pavese.

Da assaggiare anche il Bonarda Doc “Il Cassino” di Alessio Brandolini. Sì, il Bonarda. Quello che in pochi, in Oltrepò, sanno fare davvero bene come lui.

12) Calabria Igp 2013 “Barone Bianco”, Tenute Pacelli (Calabria): Chi è il Barone Bianco? Di certo un figuro insolito per la Calabria. Ma così “ambientato”, da sembrare proprio calabrese. Parliamo di Riesling, uno dei vitigni più affascinanti al mondo. Giallo brillante, frutta esotica matura e una mineralità che, già al naso, si pregusta prima dell’assaggio.

Al palato, perfetta corrispondenza con il naso. Un trionfo d’eleganza calabrese, per l’ennesimo vino Fivi “regalato”, in vendita a meno di 10 euro. “Barone bianco” è anche la base di uno spumante, “Zoe”, andato letteralmente a ruba a Piacenza.

Interessantissimo, di Tenute Pacelli, piccola realtà da 20 mila bottiglie che opera a Malvito, in provincia di Cosenza, anche il “taglio bordeaux-calabrese”, la super riserva 2015 “Zio Nunù”: Merlot e Cabernet da vigne di oltre 40 anni che, come per il Riesling, fanno volare la mente lontana da Cosenza. Verso Nord, oltre le Alpi.

13) Frascati Docg Superiore Riserva “Amacos”, De Sanctis (Lazio): Altro vino disorientante, altra regione italiana dalle straordinarie potenzialità, molte delle quali ancora da esprimere. Dove siamo? Questa volta nel Lazio, a 15 chilometri da Roma. Più esattamente nei pressi del lago Regillo. Per un Frascati da urlo, ottenuto dal blend tra Malvasia puntinata e Bombino bianco.

Un invitante giallo dorato colora il calice dal quale si sprigionano preziosi sentori di frutta matura. E’ l’antipasto per un palato altrettanto suadente e morbido, ma tutt’altro che banale o costruito. Anzi. I terreni di origine vulcanica su cui opera De Sanctis regalano una splendida mineralità a un Frascati fresco, aristocratico e nobile.

14) Verticale Valtellina Superiore Sassella Docg “Rocce Rosse”, Arpepe: Ve ne parleremo presto dell’esito, entrando nel merito di ogni calice, della verticale “privata” condotta a Piacenza Expo da Emanuele Pelizzatti Perego, “reggente” di quello scrigno enologico lasciato in eredità dal padre Arturo. Un vino, “Rocce Rosse”, già entrato di diritto nella storia dell’enologia italiana e mondiale. Un rosso proiettato nel futuro.

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