Categorie
news news ed eventi

Rosso Gravner 2010 sul mercato: è il primo rosso di Josko fermentato in anfora


Solo 1.500 bottiglie, esclusivamente nel formato da 750 ml. Prezzo di vendita al pubblico: 100 euro. Dopo circa otto anni complessivi di affinamento, arriva sul mercato Rosso Gravner 2010. Si tratta del primo vino rosso di Gravner fermentato in anfora.

Prodotto con uve Merlot e Cabernet Sauvignon da vigne piantate nei primi anni ’60 nel vigneto di Hum, il Rosso Gravner 2010 è frutto di una stagione che ha prodotto rossi piuttosto austeri in Collio.

Il vino ha fermentato per quattro settimane in anfora e proseguito l’affinamento in botti di rovere fino a settembre 2014, quando è stato imbottigliato.

L’annata precedentemente prodotta di Rosso Gravner è stata la 2004 e le bottiglie sono già introvabili. Dal 2006 Josko ha iniziato a fermentare anche i rossi direttamente in anfora ma per scelta il Rosso Breg e il Rujno usciranno solo nel 2020, dopo 14 anni di affinamento.

È il 2001 quando Gravner sceglie le anfore per vinificare i suoi vini bianchi. Reduce da alcune annate difficili, condizionate da avverse condizioni meteorologiche e da scarsi raccolti, si impegna nelle prime macerazioni.

La modalità utilizzata è quella classica del Caucaso, tipica della zona dei Kakheti, che prevede l’impiego di grandi anfore in terracotta interrate, lunghissime macerazioni e l’uscita sul mercato non prima di sette anni di affinamento. Le anfore, a differenza dei legni, vengono lavate dopo ogni utilizzo così da poter essere utilizzate indistintamente per bianchi o rossi.

Categorie
news ed eventi

Villa Favorita 2018: i migliori assaggi VinNatur(isti)

Qualche conferma e tante etichette nuove da segnalare tra i migliori assaggi dell’edizione numero 15 di Villa Favorita. L’evento organizzato dall’Associazione VinNatur si conferma un must per gli amanti dei “vini naturali”.

Quattromila ingressi totali nella storica dimora del XVIII Secolo, a Sarego. Cifra che eguaglia quella dello scorso anno, con il pubblico concentrato soprattutto nella giornata di sabato 14 aprile. Segno “più”, invece, sul numero di operatori del settore, italiani ed esteri.

Tra i fenomeni dell’edizione 2018 di Villa Favorita – VinNatur si evidenzia il crescente numero di “rifermentati” ai banchi d’assaggio, ottenuti da uve a bacca bianca e rossa. Pochi, tuttavia, quelli che riescono a lasciare davvero il segno.

Un trend che sembra la risposta più immediata dei vignaioli naturali al “Fenomeno Prosecco”. Un po’ come la produzione di Charmat tra i produttori convenzionali, in tutta Italia.

Curioso anche il “comportamento” di certi rossi tipicamente da lungo affinamento (vedi Barolo, Brunello e Aglianico) presentati in vesti fresche, quasi giovanili, capaci comunque di non snaturare la tipicità: che sia un sintomo della crescente proiezione sui mercati esteri (più maturi di quello italiano) dei vignaioli naturali del Belpaese?

Mode a parte, l’edizione 2018 di Villa Favorita conferma il successo tra i Millennials, le nuove generazioni. Un trend dovuto alla crescente qualità riscontrabile di anno in anno tra le etichette in degustazione.

I MIGLIORI ASSAGGI
Metodo Classico Brut Nature Vsq Durello “Corte Roncolato”, Cristiana Meggiolaro. Vendemmia 2014 per questo Mc da uve Durella che segna uno stacco assoluto nei confronti degli altri sparkling veneti in degustazione a Villa la Favorita.

Riuscire a unire lame di lime a una grande ampiezza al palato è un connubio che riesce a pochi. Il sottofondo minerale, salino, fa il resto. Davvero un ottimo spumante quello della piccola cantina di Roncà (Verona).

Metodo Classico Vsq Dosaggio Zero “Esperidi”, Mario Gatta. Ci spostiamo poco più a ovest, in Franciacorta. Qui, più esattamente a Gussago (BS), Mario Gatta produce “Esperidi”.

Un Mc da uve Chardonnay e Pinot Nero, con due terzi dell’uvaggio principe della Franciacorta e un terzo di “Noir”: entrambi provenienti dei vigneti di proprietà della famiglia Gatta, situati a 400 metri d’altezza.

Siamo sul versante orientale franciacortino, su terreni di calcare e argilla. La vendemmia è la 2009, in bottiglia dal 2010 (sboccatura 09/2016).

Uno spumante vibrante, capace di unire in un sorso eleganza e potenza. Naso accattivante, arrotondato da frutta e fiori, e bocca tagliente, su note d’agrumi. Ottima la persistenza.

Oltrepò pavese Docg Metodo Classico Brut Rosè, Pietro Torti. Un Pinot Nero in purezza, versione rosè: in una parola, “Cruasé”. Bel frutto pulito al naso, che evidenzia il gran lavoro sulla selezione dei grappoli da parte del produttore di Montecalvo Versiggia (PV).

I profumi spaziano dal floreale alla liquirizia dolce, con predominanza tipica delle note di piccoli frutti di bosco. In bocca, il Cruasé di Pietro Torti evidenzia una bella beva verticale.

L’ossatura minerale accompagna note fruttate mai stucchevoli. Uno spumante che, entro la fine dell’anno, giungerà all’apice della sua curva di maturazione positiva.

Vino bianco frizzante “Shan Pan”, Cascina Zerbetta. Nome di fantasia pretenzioso, certo. Ma chi lo ha voluto – per questo rifermentato da uve Sauvignon blanc allevate nella zona di Quargnento, Alessandria – sapeva di non farsi prendere a canzonate.

Un bianco frizzante che si eleva dalla media (piatta) dei tanti rifermentati-fungo spuntati sul prato di VinNatur. Ha un senso d’esistere non solo nella facilità di beva, ma anche nell’intensità seria con cui si propone al naso (vegetale, piccante) e al palato (frutto succoso).

Roba da farti immaginare freschi sorsi su una playa qualsiasi, sotto il sole cocente, d’estate. Senza spostarti – in realtà – di un metro da Sarego. Bravi!

VINI BIANCHI
Vigneti delle Dolomiti Igt Nosiola 2016, Azienda Agricola Salvetta. Questo non è un vino, ma un concentrato di Nosiola. Discostante rispetto ad altre decine d’assaggi.

Pochi riescono a ottenere vini con queste caratteristiche dal grande vitigno autoctono trentino, troppo spesso presentato in versioni eccessivamente fruttate, utili a controbilanciarne la spalla acida.

La Nosiola Salvetta, invece, è da ricordare. Diretta, vera, potente, con un filo di tannino che si allunga nel retro olfattivo. Palato corrispondente al naso.

Dunque frutta esotica, agrumi ed erbe di montagna che conferiscono una freschezza balsamica, unite a una certa mineralità. Tutto bellissimo.

Salento Igp Verdeca 2017, Tenuta Macchiarola. Altro territorio, altro vitigno fortemente screditato dalle produzioni massive e dalla moda dei bianchi leggeri, fruttati, beverini. Questa volta atterriamo in Puglia, più esattamente a Lizzano, in provincia di Taranto.

Non che manchino queste caratteristiche alla splendida Verdeca di Domenico Mangione, in bottiglia da pochissimo. Un macerato fresco e speziato al naso, che riesce a coniugare con elegante potenza note vegetali e note fruttate esotiche tendenti al maturo.

In bocca il vino sfodera un sentore netto di radice di liquirizia, apprezzabilissimo. Uno di quei vini da portarsi in casa adesso, per valutarne l’evoluzione di mese in mese.

Veneto Igt Bianco “Rugoli” 2016, Davide Spillare. Il discepolo di Angiolino Maule, come abbiamo già scritto, si avvicina sempre più al maestro.

E quest’anno si riconferma tra i nostri migliori assaggi con “Rugoli”, bianco ottenuto dalla fermentazione spontanea di Garganega (30% in macerazione sulle bucce e successivo affinamento in legno).

Rugoli, a questo punto da annoverare tra i tre migliori bianchi “non convenzionali” del Veneto, assieme alla Garganega 2016 “Bianco Pri” di Sauro Maule, altro vino eccezionale pienezza gusto olfattiva, ottenuto da vecchie vigne.

VINI ROSSI
Provincia di Pavia Igt 2010 “Ghiro d’Inverno”, Azienda Agricola Martilde. Fa sorridere pensare che questo “Ghiro”, potenzialmente, potrebbe essere un Bonarda. Un 100% Croatina che sottolinea forse l’unico errore compiuto nella recente revisione dei disciplinari in Oltrepò Pavese (si potrà chiamare “Bonarda” solo il vino “mosso”, stralciata la versione “ferma”).

Ma chi vive di titoli e di nomi, spesso, è privo di contenuti. E la questione, a casa di Antonella Tacci, a Rovescala (PV), può contare, sì. Ma solo fino a un certo punto. Perché questa Croatina, diciamola tutta, è un vero spasso.

Una 2010 che fa sognare di prospettive lontane, col suo tannino ancora vivo e il suo frutto intenso, tipico, tutto pavese. Una Croatina che parla ad alta voce. Di concentrazione, di succo, di vita. Di vigne vecchie. Di identità. E di attaccamento alla tradizione. “Fanculo” alle denominazioni, con un etichetta così nel portafoglio.

Toscana Igt 2015 “La Ghiandaia”, Podere Erica. Sangiovese (70%) e Canaiolo (30%) per un rosso di Toscana a cui non manca proprio nulla. Un vino in perfetto equilibrio oggi, ma che domani (con quel tannino e con quella fresca acidità) può solo migliorare.

Un rosso da primi succulenti e secondi a base di carne che sembrano materializzarsi in degustazione. Impegnativo al punto giusto, con i suoi sentori puliti di frutti e spezie.

Rosso Emilia Igt 2015 “Rio Rocca Berzemèin”, Il Farneto. Siamo nella Piana di Farneto, in provincia di Reggio Emilia, ai piedi dell’Appennino Tosco-Emiliano. Rio Rocca Marzemino croccante, vivo, in evoluzione.

Una bellissima espressione del vitigno, che in questa versione (macerazione di 8 giorni sulle bucce) si presenta profumato e corposo, virile in bocca, su note caratteristiche di frutta di bosco e spezie.

Lungo, molto persistente il finale, piacevolmente equilibrato. Tratti di concentrazione e gran pulizia che lo elevano ai migliori Marzemino prodotti fuori dall’Emilia.

Barolo Docg 2014 “Castellaro”, Barale Fratelli. Ecco quello che pare un Barolo “new style“. Tradotto: pronto subito, o quasi.

Le potenzialità di ulteriore positivo invecchiamento sono evidenti, ma questo Nebbiolo è più che mai pronto e già armonico.

ll sorso è carico, pieno: ricorda il frutto di sottobosco maturo, senza sforare nella confettura. Note minerali e un tannino perfettamente integrato completano il quadro del Barolo perfetto, per chi non sa aspettare.

Brunello di Montalcino Docg 2012, Casa Raia. Un altro vino che sorprende, per la sua prontezza. Un Brunello che sembra il risultato perfetto del compromesso fra terra e cielo.

Se è evidente, da un lato, la componente terrosa, dall’altro il Sangiovese sfodera un frutto succoso, tutto giocato su sentori di mirtilli e more di rovo.

Dal calice, con un po’ di ossigenazione, si esalano note eteree, di fumo e caffè tostato che rendono il nettare ancora più affascinante. Pronto oggi, ma con ampi margini di miglioramento nell’arco dei prossimi 5-8 anni.

Categorie
news ed eventi

Di vini e di vignaioli Fivi: i migliori assaggi al Mercato della transizione

Con 15 mila accessi in 16 ore, il Mercato dei Vini e dei Vignaioli Fivi di Piacenza 2017 passerà alla storia come quello della “transizione”. Un passaggio dal “sogno” alla “consapevolezza” per gli oltre 500 produttori riuniti sotto la guida di Matilde Poggi.

Una realtà, Fivi, con la quale il vino italiano ha ormai l’obbligo di confrontarsi. Più che nei due giorni di “Fiera”, nei 363 giorni restanti. Sburocratizzazione, sviluppo dell’enoturismo, riscoperta e valorizzazione dei vitigni autoctoni dimenticati. Le battaglie di Fivi trovano a Piacenza (e da quest’anno, per la prima volta, anche a Roma) un teatro ideale dal quale gettare sfide concrete al Made in Italy enologico.

Non a caso, il Mercato dei Vini e dei Vignaioli Fivi 2017 è stato contraddistinto dal motto “Scarpe grosse, cervello Fivi“. Come a sottolineare l’appartenenza alla “terra” delle battaglie portate avanti da Poggi&Co. A Roma come a Bruxelles, spesso al posto di sindacati blasonati, ma attenti più agli equilibri di potere che agli interessi della “base”.

Eppure, qualche scaramuccia interna ha preceduto anche il Mercato dello scorso weekend. Gli esiti più evidenti nell’assemblea di domenica mattina, quando la maggioranza dei vignaioli ha votato per l’estromissione dalla Federazione delle Srl “partecipate” da altri gruppi.

Di fatto, come precisa la stessa Fivi, “non è stato (ancora, ndr) fatto fuori nessuno. E’ stato approvato il nuovo regolamento e ora la Federazione nazionale valuterà le situazioni caso per caso, con l’aiuto delle delegazioni regionali”. Tradotto: per belle realtà come Pievalta, c’è ancora da sperare.

VINI E VIGNAIOLI
Che qualcosa sia cambiato, lo si avverte pure dall’altra parte dei banchetti. Osservando alcuni vignaioli e raccogliendo i loro commenti. Se un “bravo ragazzo” come Patrick Uccelli di Tenuta Dornach arriva a proporre sui social: “Tra 5 anni… Mercato dei vini FiVi solo per privati. Vinitaly solo per operatori. Sogno o realtà?”, ci sarà un motivo.

“Non stavo pensando a me – precisa poi il produttore altoatesino – pensavo a come poter far convergere le diverse aspettative/necessità delle due categorie, che solitamente in queste manifestazioni si sovrappongono per sommo dispiacere di entrambe”. Nulla di più sbagliato.

L’episodio (ben più grave) vede invece protagonista Nunzio Puglisi della cantina siciliana Enò-Trio. Che alla nostra richiesta di precisazioni sulle caratteristiche del vigneto di Pinot Noir sull’Etna, risponde stizzito: “Per un’intervista prendete un appuntamento per telefono o via mail e veniteci a trovare in cantina”.

“Ma siamo di Milano!”, precisiamo noi. “Sto lavorando, non ho tempo”, la risposta del fighissimo vignaiolo Fivi che ci scansa, rivolgendo la parola a un altro astante. Una macchia indelebile sull’altissimo tasso di “simpatia” e umiltà tangibile tra i vignaioli dell’intera Federazione.

Per fortuna, oltre agli incontri-scontri con vignaioli evidentemente troppo “fighi” per essere “Fivi”, il Mercato 2017 è stato un vero e proprio concentrato di “vini fighi”. Ve li riassumiamo qui, in ordine sparso. Ognuno meritevole, a modo suo, di un posto sul podio.

I MIGLIORI ASSAGGI
1) Bianco Margherita 2015, Cantine Viola (Calabria): Guarnaccia bianca 65%, Mantonico bianco 35%. Una piccola parte di Guarnaccia, a chicco intero e maturazione leggermente avanzata, viene aggiunta in acciaio a fermentazione partita. Bingo. Nota leggermente dolce e nota iodica perfettamente bilanciate. Vino capolavoro.

2) Verdicchio dei Castelli di Jesi 2015 “San Paolo”, Pievalta (Marche): Un tipicissimo Verdicchio, che matura 13 mesi sulle fecce fini e altri 7 in bottiglia, prima della commercializzazione. Lunghissimo nel retro olfattivo. Vino gastronomico. Nel senso che fa venir fame.

3) Vigneti delle Dolomiti Igt 2015 “Maderno”, Maso Bergamini (Trentino): Bellissimo esempio di come si possa produrre un vino “serio” e tutt’altro che “scimmiottato”, con la tecnica del “Ripasso” o del “Rigoverno”, veneto o toscano. Un vino prodotto solo nelle migliori annate, facendo rifermentare le uve Lagrein (già vinificate) sulle vinacce ancora calde di Teroldego appassito su graticci per 60 giorni.

Teroldego e Lagrein affinano poi assieme per un anno, in barrique di rovere francese, prima di essere imbottigliate nell’estate successiva. Il risultato è Maderno: vino di grandissimo fascino e di spigolosa avvolgenza.

4) Erbaluce di Caluso Spumante Docg Brut 2013 “Calliope”, Cieck (Piemonte): C’è chi fa spumante per moda e chi lo fa perché, a suggerirlo, sono territorio e uvaggio allevato. Dopo Merano, premiamo la splendida realtà piemontese Cieck anche al Mercato Fivi 2017.

Tra i migliori assaggi, questa volta, lo sparkling dall’uvaggio principe della cantina: l’Erbaluce di Caluso. La tipicità del vitigno è riconoscibile anche tra i sentori regalati dai 36 mesi di affinamento sui lieviti. Uno spumante versatile nell’abbinamento, ma più che mai “vero” per quello che sa offrire nel calice.

5) Sannio Rosso Doc 2010 “Sciascì”, Capolino Perlingieri (Campania): La bella e la bestia in questo fascinoso blend prodotto da Alexia Capolino Perlingieri, donna capace di rilanciare un marchio di prestigio della Campania del vino, come cantina Volla.

“Sciascì” coniuga la struttura “ossea” dell’Aglianico e la frutta avvolgente tipica dell’autoctono Sciascinoso. Rosso rubino, bel tannino in evoluzione, frutto elegante. Due anni in botte grande e tre in bottiglia per un vino di grande prospettiva futura.

6) Pecorino Igt Colline Teatine 2016 “Maia”, Cantine Maligni (Abruzzo): Forse l’azienda che riesce a colpire di più, al Mercato dei Vini e dei Vignaioli Fivi, per la completezza dell’offerta e lo sbalorditivo rapporto qualità-prezzo (6 euro!).

Cantine Maligni – realtà che ha iniziato a imbottigliare nel 2011 e lavora 10 ettari di terreno, sotto la guida di Fabio Tomei – porta al tavolo un fenomeno su tutti: il Pecorino Maia, non filtrato.

Giallo velato con riflessi verdolini, profuma di frutta matura, mela cotogna, pera Williams. Note morbide che traggono in inganno, materializzando la possibilità di un’alcolicità elevata.

Maia si assesta invece sui 12,5% e regala un palato stupefacente, pieno, ricco, “ciccione”, con frutta e mineralità iodica perfettamente bilanciate. Un altro vino che fa venir fame del corretto abbinamento gastronomico.

7) Spumante Metodo Classico Pas Dosè 2010, Vis Amoris (Liguria): E’ il primo spumante metodo classico prodotto al 100% da uve Pigato. E la scelta pare più che azzeccata. Una “chicca” per gli amanti di vini profumati ma taglienti come il Pigato.

Coraggioso, poi, produrre un “dosaggio zero”. Segno del rispetto che Roberto Tozzi nutre nei confronti dei frutti della propria terra, che non stravolge nel nome delle leggi di un mercato che avrebbe preferito – certamente – più “zucchero” e più facilità di beva.

Intendiamoci: il Pigato Pas Dosè di Vis Amoris va comunque giù che è una bellezza. Ammalia al naso, come in Italia solo i migliori Pigato sanno fare. Per rivelare poi una bocca ampia, evoluta, di frutti a polpa gialla e mandorla. Sullo sfondo, anche una punta di idrocarburo (al naso) e un filo di sentori tipici del lievito, ben contestualizzati nel sorso.

8) Terre Siciliane Igp 2014 “Sikane”, Baronia della Pietra (Sicilia): Altra bellissima realtà fatta di passione e competenza, già incontrata da vinialsuper al Merano Wine Festival 2017. Tra i migliori assaggi del Mercato dei Vini e dei Vignaioli Fivi 2017 brilla anche il vino rosso “Sikane”, blend di Nero d’Avola e Syrah (60-40%). Dieci mesi in barrique, minimo 3 in bottiglia prima della commercializzazione.

Altro vino dall’ottimo rapporto qualità-prezzo, prodotto in zona Agrigento dalla famiglia Barbiera. Un rosso che si fa apprezzare oggi per l’eleganza: del tannino, nonché delle note fruttate pulite e nette. Una bottiglia “Made in Sicilia” da dimenticare in cantina e riscoprire tra qualche anno.

A dicembre sarà invece imbottigliato il Nero d’Avola-Merlot passito di Baronia della Pietra, in commercio a partire da marzo 2018. Bottiglie da 0,50 litri, “rotondeggianti”. Vendemmia 2015, 16-17% d’alcol in volume. Viste le premesse, si preannuncia una scommessa vinta in partenza. Ma ne parleremo nei prossimi mesi, dopo averlo testato.

9) Lappazucche, Berry And Berry (Liguria): “Pietra, fatica e passione” costituiscono il fil rouge di questa curiosa cantina di Balestrino, in provincia di Savona, condotta da Alex Beriolo. Un marketing fin troppo “spinto” sul packaging, forse, rischia di incuriosire il consumatore in maniera troppo “leggera”. Alla Berry And Berry, invece, si fa davvero sul serio. Si sperimenta e si valorizza vitigni autoctoni a bacca rossa come il Barbarossa, che rischiano di scomparire.

Lappazucche è appunto un blend, composto all’80% da Barbarossa e al 20% da Rossese, vinificati in acciaio. Le uve di Barbarossa, sulla pianta, sembrano Gewurztraminer per il loro colore rosa. Una nuance leggera, che ritroviamo anche nel calice.

Una tonalità che comunica la delicatezza del vitigno Barbarossa e del fratello Rossese, dotato di buccia poco spessa e particolarmente esposto al rischio malattie. Questo, forse, il senso di un calice che sembra parlare della fragilità della terra, in balia delle scelte dell’uomo.

Se è vero che Fivi è anche filosofia, Lappazucche potrebbe esserne il simbolo ideale. E quei richiami speziati, percettibili nel retro olfattivo e tipici del Rossese, la metafora perfetta delle battaglie ancora da intraprendere. Con coraggio.

10) Falanghina del Sannio Doc 2012 “Maior”, Fosso degli Angeli (Campania): Poche parole per descrivere un capolavoro. Un vino completo, a cui non manca davvero nulla. Neppure il prezzo, ridicolo per quello che esprime il calice. Naso tipico, giocato su richiami esotici.

Palato caldo, ricco, ampio, corrispondente, con l’aggiunta di una vena minerale che conferisce eleganza e praticità alla beva. Di Fosso degli Angeli, ottimo anche il Sannio Rosso Dop Riserva 2012 “Safinim”, ottenuto da Aglianico e Sangiovese cresciuti a 420 metri d’altezza sul livello del mare.

11) Azienda Agricola Alessio Brandolini (Lombardia): Dieci ettari ben distribuiti in due aree, suddivise con rigore scientifico per la produzione di Metodo Classico e vini rossi. L’Azienda Agricola Alessio Brandolini è una di quelle realtà tutte da scoprire in quel paradiso incastonato a Sud di Milano che è l’Oltrepò Pavese.

Alessio ci fa assaggiare in anteprima un Pas Dosè destinato a un futuro luminoso. Chiara l’impronta di un maestro come Fabio Marazzi, vero e proprio rifermento oltrepadano per tanti giovani che, come Brandolini, lavorano nell’umile promozione di una grande terra di vino, capace di sfoderare spumanti Metodo Classico degni dei più prestigiosi parterre enologici.

Di Brandolini, ottima anche la Malvasia secca “Il Bardughino” Provincia di Pavia bianco Igt: un “cru” con diverse epoche di maturazione che dimostra la grande abilità in vigna (e in cantina) di questo giovane vigneron pavese.

Da assaggiare anche il Bonarda Doc “Il Cassino” di Alessio Brandolini. Sì, il Bonarda. Quello che in pochi, in Oltrepò, sanno fare davvero bene come lui.

12) Calabria Igp 2013 “Barone Bianco”, Tenute Pacelli (Calabria): Chi è il Barone Bianco? Di certo un figuro insolito per la Calabria. Ma così “ambientato”, da sembrare proprio calabrese. Parliamo di Riesling, uno dei vitigni più affascinanti al mondo. Giallo brillante, frutta esotica matura e una mineralità che, già al naso, si pregusta prima dell’assaggio.

Al palato, perfetta corrispondenza con il naso. Un trionfo d’eleganza calabrese, per l’ennesimo vino Fivi “regalato”, in vendita a meno di 10 euro. “Barone bianco” è anche la base di uno spumante, “Zoe”, andato letteralmente a ruba a Piacenza.

Interessantissimo, di Tenute Pacelli, piccola realtà da 20 mila bottiglie che opera a Malvito, in provincia di Cosenza, anche il “taglio bordeaux-calabrese”, la super riserva 2015 “Zio Nunù”: Merlot e Cabernet da vigne di oltre 40 anni che, come per il Riesling, fanno volare la mente lontana da Cosenza. Verso Nord, oltre le Alpi.

13) Frascati Docg Superiore Riserva “Amacos”, De Sanctis (Lazio): Altro vino disorientante, altra regione italiana dalle straordinarie potenzialità, molte delle quali ancora da esprimere. Dove siamo? Questa volta nel Lazio, a 15 chilometri da Roma. Più esattamente nei pressi del lago Regillo. Per un Frascati da urlo, ottenuto dal blend tra Malvasia puntinata e Bombino bianco.

Un invitante giallo dorato colora il calice dal quale si sprigionano preziosi sentori di frutta matura. E’ l’antipasto per un palato altrettanto suadente e morbido, ma tutt’altro che banale o costruito. Anzi. I terreni di origine vulcanica su cui opera De Sanctis regalano una splendida mineralità a un Frascati fresco, aristocratico e nobile.

14) Verticale Valtellina Superiore Sassella Docg “Rocce Rosse”, Arpepe: Ve ne parleremo presto dell’esito, entrando nel merito di ogni calice, della verticale “privata” condotta a Piacenza Expo da Emanuele Pelizzatti Perego, “reggente” di quello scrigno enologico lasciato in eredità dal padre Arturo. Un vino, “Rocce Rosse”, già entrato di diritto nella storia dell’enologia italiana e mondiale. Un rosso proiettato nel futuro.

Categorie
vini#1

Curtefranca Doc Bianco 2010 Uccellanda, Bellavista

Ci avviciniamo oggi a uno dei must della Doc bresciana Curtefranca, prodotto da una grande cantina che del suo vino bianco fermo ha fatto una bandiera, assieme alle bollicine. Parliamo del Curtefranca Doc Bianco Uccellanda di Bellavista. La vendemmia sotto la lente di ingrandimento è la 2010.

Un vino che si presenta giallo oro, limpidissimo, scorrevole. Archi strettissimi che scendono sulla parete del calice, opponendo un minimo di resistenza.

Al naso tanta complessità: frutti esotici predominanti, con litchi più evidenti di banana e ananas. Poi l’Uccellanda 2010 di Bellavista vira su note di mandorla e miele, che ne denotano la perfetta evoluzione in bottiglia.

Estremamente elegante la bevuta. Sapidità e morbidezza ben si sposano. Un 2010 vigoroso, fragrante, ma soprattutto ancora giovanissimo, che fa presagire una potenzialità ulteriore di invecchiamento.

La componente alcolica è molto percettibile e regala alla beva del vino calore e pienezza. Al palato anche leggere note di agrumi, che precedono una chiusura lunga, su sentori di frutta secca, mandorle e nocciole. In cucina, l’abbinamento è con primi e secondi piatti (anche piuttosto elaborati) a base di carne bianca, pesce e crostacei.

LA VINIFICAZIONE
Il Curtefranca Doc Bianco Uccellanda Bellavista è prodotto in purezza da uve Chardonnay provenienti dal vigneto Uccellanda, situato nella frazione Nigoline del Comune di Corte Franca, a una quota altimetrica media di 300 metri sul livello del mare. I filari sono disposti parallelamente alle curve di livello, in numero variabile a seconda della profondità delle terrazze. L’esposizione del vigneto è totalmente a Sud-Est.

La raccolta avviene a perfetta maturazione dopo un’attentissima selezione in pianta. Dopo la pigiatura, il mosto è sottoposto a una leggera macerazione con le bucce. La fermentazione avviene in pièces da 228 litri. L’Uccellanda termina la sua evoluzione in contenitori in acciaio inox, dove riceve il freddo dell’inverno. Nella seconda primavera dalla vendemmia, il vino viene imbottigliato. Prima della commercializzazione l’Uccellanda affina per almeno altri 6 mesi in bottiglia.

Categorie
Vini al supermercato

Passito di Pantelleria Doc 2013 Nabil, Miceli

(3,5 / 5) Una chiara nota ossidativa per la bottiglia della vendemmia 2010 ci convince a testare anche la 2013 prima di recensire Nabil, il Passito di Pantelleria Doc delle cantine Miceli. Se nel primo caso il “difetto” è evidente (ma comunque non abbastanza da disturbare in maniera netta la beva) nel secondo è appena percettibile.

Un marchio di fabbrica del produttore? Forse. Di certo c’è che, a conti fatti, il Passito di Pantelleria Nabil è un buon compromesso “qualità prezzo” per chi è a caccia di un vino da abbinare a dolci e prodotti di pasticceria.

Nel calice si presenta di colore ambrato, limpido e trasparente, intenso. Al naso è intenso e tipico. La caccia alla nota ossidativa lascia presto spazio all’albicocca, agli agrumi (arancia candita) e al miele millefiori. Sentori che certamente prevalgono su una leggera balsamicità (finocchietto sotto spirito, anice, mentuccia,) e, soprattutto, sulla percezione di soluzione salina che ritroveremo poi al palato. Un olfatto schietto, dunque, di sufficiente finezza. Ma non certo di elaborata complessità.

In bocca, il Passito di Pantelleria Doc Nabil di Miceli si conferma di corpo, caldo, di buona morbidezza. Le note fruttate mature rendono piacevole la beva, ben calibrate con un’acidità rinfrescante e una salinità che chiama il sorso successivo. Un Passito che, tuttavia, lascia qualcosa a desiderare nel retrolfattivo: leggera la carica aromatica, abbandonata anche dall’acidità. Lo zucchero, così, risulta troppo invasivo e preponderante.

LA VINIFICAZIONE
Nabil è l’etichetta destinata ai supermercati nel quadro della produzione di vini passiti delle Cantine Miceli, che oltre a Sciacca possiedono vigneti e uno stabilimento per l’imbottigliamento dei vini sull’isola di Pantelleria, in contrada Rekale. La base per ottenere il passito Nabil, come da disciplinare, è lo Zibibbo. Uve che vengono lasciate ad appassire sulla pianta e successivamente al sole, prima di essere vinificate.

La Miceli nasce negli anni 30 quando il comandante di Marina Ignazio Miceli smise di ammassare e trasportare con la sua goletta Jasper vino sfuso siciliano da Castellamare del Golfo in diversi porti italiani e francesi. Aprì dunque una rivendita di vino in via Gagini, nel cuore di Palermo. Negli anni Sessanta, il figlio Salvatore e il nipote Ignazio iniziando a produrre in proprio. Una tradizione arrivata sino ai giorni nostri.

Acquistato presso: Auchan
Prezzo: 13,29 euro

Categorie
news ed eventi

L’anima del Gaglioppo nei vini di ‘A Vita: Cirò Marina in un calice

Difficili. Aristocratici. Semplici. Contadini. Cinque calici. Numero dispari. Dentro, solo Gaglioppo. E’ una “verticale obliqua”. Black out. Come d’improvviso, il Mercato dei Vini Fivi sembra assumere le forme di una delle opere di Escher. Un labirinto. Prima mentale, visivo. Poi, gusto olfattivo. Tutto sembra studiato per confondere, a quel festival dell’ossimoro che è stata la degustazione con il produttore Francesco De Franco di ‘A Vita – Vignaioli a Cirò.

Specie se quei vini li hai appena degustati – fuori temperatura – al banchetto dell’azienda produttrice. E non t’hanno fatto una buona impressione, lontano dall’ambiente ovattato della Sala degustazioni dei padiglioni fieristici di Piacenza.

L’ultimo dei quattro “appuntamenti con il vignaiolo” sul calendario degli organizzatori, tra sabato 26 e domenica 27 novembre. Qui, il vino viene servito a gradazione perfetta. E fa il suo: sconvolge. In positivo. Per armonica contrapposizione di note stonate. Per quella capacità di mettere d’accordo tutti. Mostrando con semplicità mille sfaccettature diverse. Ma nello stesso quadro.

LA DEGUSTAZIONE
Calabria Igp Rosato 2015, Cirò Doc Rosso Classico 2012, Cirò Doc Rosso Classico Superiore 2013, Cirò Doc Riserva 2008 (Magnum), Cirò DOC Riserva 2010 (Magnum). Questa la batteria, raccontata da Francesco De Franco assieme all’amico e collega campano Bruno De Conciliis. Il vignaiolo di Prignano Cilento, Salerno, ricorre alla musica per descrivere il Gaglioppo di De Franco. E fa benissimo. Perché quelle di ‘A Vita non sono “etichette”. Sono spartiti. Riproduzioni fedeli dell’incoscienza. Dell’autore. E di Madre Natura.

Due elementi, uomo e terra, sembrano incontrarsi nei calici che assumono le fatture d’un girone dantesco. Al primo sguardo. Alla prima olfazione. Al primo sorso. Si finisce sempre più risucchiati verso l’ignoto. “Cerco di raccontare un territorio sconosciuto e le potenzialità del Gaglioppo”, dice al tavolo dei relatori un timido Francesco De Franco, quasi nascondendosi dietro all’asta bassa e stretta del microfono. Annuisce, facendosi ancora più piccolo, mentre il collega De Conciliis ne decanta l’opera. Non è un animale da palco, De Franco. Ma da campagna, sì.

IL RITRATTO
Basta sentirlo mentre parla della sua terra. La Calabria. Mentre racconta di quelle “vigne fronte mare”, a 300 metri dalla riva, sembra di sentire lo scrosciare delle onde dello Ionio sui muri freddi dei padiglioni Expo Piacenza. Chiudi gli occhi, mentre parla di quella “stretta pianura con i mari sui due lati, di terra d’argilla e calcare”. Anche perché, mentre De Franco illumina del sole calabrese la Sala degustazioni, in bocca ci sono i suoi vini. Iodio allo stato puro. Vini tesi, tra l’asprezza dei paesaggi disegnati a parole. E la viscosità marina, simile a quella dell’olio d’oliva. Tannini e frutta a bacca rossa si giocano le parti in grassetto sullo spartito, in ognuno dei cinque vini di ‘A Vita in batteria. E così, il Rosato 2015 pare “un piccolo, giovane guerriero” dai muscoli d’acciaio. Destinato a conquistare il mondo.

Nel 2013 le note di china e rabarbaro sono evidenti. Drogano l’olfatto. T’incollano il naso al calice. Il 2012 è pura follia. “Un vino che non vederò mai”, ammette d’aver pensato il viticoltore mentre lo imbottigliava. Poi, un’evoluzione inattesa in bottiglia. Che, oggi, porta le note grevi a farsi (relativamente) più morbide. Come la china, che si tramuta in zenzero. E’ la storia, in sintesi, di tutta una produzione. Il primo anno (vedi Rosato 2015) il tannino sembra costituire un elemento a sé nei vini di ‘A Vita. “Io li chiamo ‘vini del sorriso'”, ammette. Vini disturbanti, che al posto di dissetare, asciugano. Tolgono linfa vitale al succo. Ma dal secondo anno in poi, mineralità e acidità tornano a prevalere, a conti fatti. Bagnando e rinfrescando un tannino da elisir di lunga vita.

Un continuo rimando a leggerezza e pesantezza. Vini musicali, appunto. Da sincope. Come il 2008. Quello che assume le tinte più profonde. Grevi, al naso: rabarbaro (ancora lui), ma anche liquirizia e cuoio. Macerazione sulle bucce lunga 20 giorni e successivo affinamento in legno nuovo non tradiscono. Alcol attenuato da un’annata non caldissima, tannini pure. E’ il vino di più “facile” beva di ‘A Vita. Quello che esprime note quasi “dolci” al palato. Un Cirò Riserva aperto a note minerali, fresche. Deliziose. Così come appagante è la freschezza vegetale del Cirò Riserva 2010. Tutto giocato su frutta rossa, timo e mirto.

Il bello è che De Franco fa sembrare tutto semplice. Come lui. Come l’incedere di un quattro quarti su un metronomo appena tarato. “Non cerco nessun tecnicismo – spiega – piuttosto il mio obiettivo è quello di raccontare il Gaglioppo e Cirò, con le caratteristiche che assume di annata in annata, a fronte delle condizioni climatiche”. I vini di ‘A Vita sono vini fatti in casa. “Non ho rifermenti in zona o modelli da seguire – continua il vignaiolo Fivi – perché a Cirò ci sono grandi cantine o contadini che producono per sé e per le loro famiglie. Per questo sono libero di esprimere, semplicemente, quello che offre la terra”. “Mi piacerebbe che i miei vini fossero ricordati nel tempo perché raccontano la vera Cirò”. Grazie per il viaggio, Francesco De Franco.

Categorie
vini#1

Lucente 2010, Luce della Vite Frescobaldi

Calice importante, quello del Toscana Igt Rosso Lucente 2010 dell’azienda Luce della Vite di Montalcino – Marchesi de’ Frescobaldi. Il vino si presenta di un rosso rubino con riflessi leggermente granati, limpido. La buona alcoolicità si percepisce dagli archi stretti, mentre le “lacrime” seguono una discesa lenta, data dalla concentrazione degli zuccheri. Aspetto che ci fa intuire una buona presenza di glicerolo. Al naso, una forte impronta di tabacco e cacao, appena avvicinato il calice. Seguono sentori di frutti rossi, tra cui è facilmente riconoscibile la prugna. E richiami speziati, di pepe e cannella.

La complessità di questo rosso toscano è “Lucente”. E aumenta con sentori balsamici, di menta. Vino ancora giovane e vigoroso, si esprime al palato in potenza e tannicità. Il corpo è medio, aspetto che ne conferma l’eleganza e una beva che non stanca. Lucente di Luce della Vite si rivela rotondo: un nettare che avvolge tutte le sensazioni gustative, con una buona intensità. Il retrogusto è di confetture e spezie, che ricordano il cacao. L’abbinamento perfetto? Quello con le carni rosse e i formaggi stagionati.

LA VINIFICAZIONE
Lucente è il secondo vino della gamma “Luce” della cantina Luce della Vite di Montalcino. Nasce dagli stessi vigneti dell’omonimo Luce, vino contemporaneo che cresce nella tenuta dei Frescobaldi a Montalcino. Un prodotto relativamente giovane, nato nel 2000 da un blend composto al 50% da Merlot, 35% Sangiovese e 15% da Cabernet Sauvignon. Il vigneto si sviluppa ad un’altitudine compresa tra i 250 e 400 metri sul livello del mare, su un terreno misto: galestro per le uve Sangiovese e ricco di calcio e argilla per il Merlot. La pigiatura è soffice e la fermentazione avviene in vasche in acciaio inox a circa 30°, per un periodo di 12 giorni. Segue un affinamento in barrique per 12 mesi: 55% legni nuovi di rovere francese, 5% nuovi di rovere americano, 40%  di rovere francese di 2° passaggio. Prima della commercializzazione, Lucente di Luce della Vite affina in bottiglia per 8 mesi.

Categorie
degustati da noi vini#02

Il Melograno Igt Daunia Rosato 2015, Cantina la Marchesa

Ecco quello che, senza dubbio, può essere definito uno dei migliori rosati pugliesi. Non a caso anche uno dei più premiati. Parliamo del rosato Il Melograno Igt Daunia di Cantina La Marchesa, ottenuto da uve Nero di Troia in purezza. Il vino si presenta di un colore che ricorda molto il territorio caldo nel quale viene prodotto. Siamo a Lucera, in provincia di Foggia. E il bel rosa ciliegia intenso, nel calice esprime tutta la sua brillantezza e scorrevolezza. Al naso emergono i profumi della Daunia – splendida subregione della Puglia Settentrionale – e della varietà Nero di Troia, con i suoi frutti rossi a bacca rossa e nera: amarene, fragole e more. Il tutto impreziosito da delicati sentori di rosa, che rendono Il Melograno di Cantina La Marchesa un vino molto elegante. In bocca si presenta vinoso. E anche se parliamo di un rosato, leggero e beverino nell’immaginario collettivo, l’etichetta finita oggi sotto la nostra lente di ingrandimento presenta un buon corpo. L’alcol in volume, che si assesta sui 13%, regala una buona morbidezza al palato. L’acidità è presente, ma non spiccata: considerando che queste uve vengono continuamente baciate dal sole, non possiamo pretendere di più. Insomma, per capire il territorio Dauno, non c’è modo migliore che bere questo vino. Perfetto l’abbinamento con salumi, scaloppine ai funghi, zuppe di pesce, crostacei, salmone, sushi e sashimi, a una temperatura di servizio compresa fra i 10 e i 13 gradi.

LA VINIFICAZIONE
L’area di produzione de Il Melograno Igt Daunia Rosato è Lucera, città storica non solo per i suoi stupendi monumenti, ma anche in campo enologico uno dei primi poli produttivi del vino pugliese. Le vigne di Nero di Troia, di età superiore ai 15 anni, coltivate a un’altezza di 100 metri sul livello del mare, crescono su un terreno prevalentemente argilloso e calcareo. Il metodo di allevamento previsto da Cantina La Marchesa è a spalliera, mentre la resa è di circa 90 quintali per ettaro. Il vino, come anticipato, è ottenuto al 100% da Nero di Troia, vitigno autoctono pugliese ricco di polifenoli, sostanze dalle rinomate proprietà antiossidanti presenti nel vino. La raccolta avviene dal 10 al 25 ottobre in maniera manuale. Le uve subiscono una pressatura soffice, in presse di piccola portata. Il mosto rimane a contatto con le bucce per 5 ore, cedendo al vino il colore rosato desiderato. La fermentazione avviene in serbatoi di acciaio inox, a temperatura controllata.
Categorie
Approfondimenti

In vino marketing. La “pubblicità” delle cantine 2.0 e il caso Passerina 50 sfumature

Alle vongole, of course. Il tuo rosso di Toscana, lo abbinerei agli spaghetti con le vongole. O all’orata al forno. Il bello del marketing 2.0 proposto da certe cantine d’Italia, è la sua vena sprezzantemente democratica. La pubblicità mostra in primo piano un calice di vino rosso e una bottiglia del vino di turno. La domanda, posta per creare evidentemente un elevato (in termini numerici, s’intende) dibattitto tra i potenziali acquirenti, è la seguente: “Sentore di viola mammola e frutti rossi assieme a profumi di liquirizia e note speziate. A quale piatto abbineresti un calice di Nipozzano Riserva?”.

Sotto il prossimo: una valanga di idee, di piatti, di portate. Di chef. Ma soprattutto di “like”. Del resto la campagna pubblicitaria di Frescobaldi è destinata al pubblico di Facebook.

E a rispondere all’annuncio a pagamento c’è un pubblico tanto variegato quanto curioso. Missione compiuta? Forse. Il problema è che nell’Italia delle cantine 2.0 si fa marketing sui social network per poi rischiare di deludere all’acquisto. A noi di vinialsupermercato.it è successo di bere in sequenza una bottiglia di Villa Antinori Rosso Toscana Igt 2013 capace di surclassare, letteralmente, il Brunello di Montalcino Frescobaldi 2010.

Questione di gusto? Fatto sta che tra le due bottiglie scorrono più di dieci euro di differenza, al supermercato: meno di 12 euro la prima, acquistata da Esselunga; e più di 24 euro la seconda, acquistata in un punto vendita della catena di supermercati Il Gigante. Forse avremmo fatto bene a ordinare (online?) un Nipozzano Riserva. Ovviamente dopo aver detto la nostra, su Facebook, in merito all’abbinamento.

Eppure, c’è chi si spinge ben oltre. Cavalcando, è proprio il caso di usare questo verbo, l’antico e mai defunto paradigma vincente che lega marketing e sesso. Avete capito bene. Guardate un po’ (foto a sinistra) la pubblicità di questa Passerina.

Gli artefici della trovata sono i responsabili marketing della Casa Vinicola Silvestroni, azienda che opera dagli anni Sessanta nella Valle dell’Esino, nel cuore della regione Marche. Ovvero, nel territorio vocato alla produzione di questo bianco accattivante: la Passerina. Nome che deriverebbe dalla forma dell’acino, che pare alato; nonché al fatto che gli uccellini ne vadano ghiotti.

E l’occasione non se la sono fatta scappare neppure quelli delle Cantine Silvestroni, che alla ricerca di un nome di fantasia per il loro prodotto (linea Travanesca) non hanno trovato di meglio che “Cinquanta sfumature”.

Chissà cosa direbbe Mr Grey se solo scoprisse che per Natale 2015, le Cantine Silvestroni propongono una confezione regalo composta da una bottiglia di Cinquanta Sfumature di Passerina abbinata a una mousse di baccalà con cialda al nero di seppia e dattero salato. Chapeau.

E allora converrebbe un po’ a tutti farsi un esame di coscienza sul mondo del vino 2.0. Un esame che dovrebbe portare tutti gli amanti (veri) del buon vino a documentarsi, approfondire, leggere e conoscere meglio un mondo che necessita di maggiore consapevolezza. Perché, in fondo, il bello è capire cosa vuol dirci il vino una volta versato nel bicchiere. Certamente più di quanto vuol dirci chi prova, prima ancora, a vendercelo.

Exit mobile version