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degustati da noi news news ed eventi vini#1

Amarone 2009 Costa delle Corone, Monteci: premio speciale Vecchia annata Guida Winemag 2025

Amarone della Valpolicella Doc Classico 2009 Costa delle Corone di Monteci Premio speciale vecchia annata Guida Winemag 2025
L’
Amarone della Valpolicella Doc Classico 2009 Costa delle Corone di Monteci si aggiudica il Premio speciale “Vecchia annata” della Guida Winemag 2025. Il vino top di gamma della cantina di Pescantina (Verona), appartenente alla Linea Monteci Selezioni, si è aggiudicato 96/100 in occasione delle degustazioni alla cieca. Convince per la vitalità, la precisione e l’integrità del sorso, a distanza di ben 15 anni dalla vendemmia (avvenuta un anno prima dell’assegnazione della Docg alla pregiata denominazione veronese). L’Amarone della Valpolicella Doc Classico 2009 Costa delle Corone, per ammissione della stessa cantina, è la «massima espressione dell’identità di Monteci», nonché «la sintesi di un vigneto quasi inaccessibile», da cui prende il nome. Un appezzamento inerpicato sulle colline della Valpolicella Classica, in cui affondano le radici le piante di Corvina, Rondinella e Molinara.
Di seguito il profilo del vino.

AMARONE DELLA VALPOLICELLA DOC CLASSICO 2009 COSTA DELLE CORONE, MONTECI

  • Fiore: 9
  • Frutto: 9.5
  • Spezie, erbe: 9.5
  • Freschezza: 8
  • Tannino: 7.5
  • Sapidità: 7
  • Percezione alcolica: 6
  • Armonia complessiva: 10
  • Facilità di beva: 9.5
  • A tavola: 10
  • Quando lo bevo: subito / oltre 3 anni
  • Punteggio Winemag: 96/100 (Premio speciale “Vecchia annata” per la Guida Winemag 2025)

Monteci Viticoltori

Via San Michele, 34
37026 Pescantina (VR)
Tel.+39 (045) 7151188
Email info@monteci.it

AMARONE COSTA DELLE CORONE 2009, MONTECI

DENOMINAZIONE Amarone Classico della Valpolicella Doc
UVAGGIO Corvina, Rondinella, Molinara
ZONA DI PRODUZIONE Valpolicella Classica
TECNICA DI VINIFICAZIONE Appassimento delle uve per circa 5 mesi. Dopo la pigiatura 30 giorni di contatto mosto/bucce. Segue fermentazione alcolica e fermentazione malolattica. La fermentazione avviene in parte in acciaio e in parte in tini di rovere.
AFFINAMENTO In botti di rovere da 50 ettolitri per 60 mesi.
IMBOTTIGLIAMENTO In bottiglia per almeno 5 anni.
TEMPERATURA DI SERVIZIO 18-20° C
ABBINAMENTI Selvaggina da pelo o nobile da piuma, “pastissada” di cavallo, brasati, arrosti, formaggi stagionati o piccanti, risotto all’Amarone. Grande vino da meditazione.
PUNTEGGIO WINEMAG 96/100 (PREMIO SPECIALE “VECCHIA ANNATA” – GUIDA WINWMAG 2025)
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degustati da noi vini#02

La longevità dei Franciacorta Bèlon du Bèlon: Riserva del Fondatore Pas Dosè 2001 e 2009

Franciacorta Docg Riserva Pas Dosè 2001 e 2009 di Bèlon du Bèlon sono due delle rarità premiate dalla Guida Top 100 Migliori vini italiani 2022 di WineMag.it. Solo 1.500 bottiglie per quella che è una chicca assoluta, frutto del millesimo 2001: “merce rara” in Italia, con i suoi 240 mesi sui lieviti (20 anni). Non raggiunge le 3 mila bottiglie (2.900 per l’esattezza) la vendemmia 2009. Altra “Riserva del Fondatore” ed altro pezzo da novanta della cantina di Erbusco guidata da Paolo Perin: 120 mesi sui lieviti, ovvero 10 anni.

LA DEGUSTAZIONE
Franciacorta Docg Riserva Pas Dosè 2001 “Riserva del Fondatore”, Bèlon du Bèlon

A comporre la cuvèe, 90% di Chardonnay accanto a un 10% di Pinot Nero. Un millesimo 2001 che reca sboccatura “novembre 2019”. Il piacere dell’attesa, insomma. Naso correttamente evoluto, che si snoda tra la frutta esotica matura, un’elegantissima speziatura e i ricordi di camomilla e fiori di campo. Si ritrova tutto in un palato ancora vivo, complesso e profondo. Ricordi di miele millefiori e radice di liquirizia connotano una chiusura salina, elegante, lunghissima.

Franciacorta Docg Riserva del Fondatore Pas Dosè 2009 “Riserva del Fondatore”, Bèlon du Bèlon

Stato di forma eccezionale per la cuvée di Chardonnay (90%) e Pinot Nero (10%). È proprio il “Noir” a conferire gran carattere a un nettare che sa farsi ricordare per eleganza, nerbo, cremosità e tensione. Le note dominanti sono quelle di agrumi, che regalano freschezza da vendere a un Franciacorta lungo, sapido, dalla beva irresistibile e di gran gastronomicità. Una luce accesa tra le punte di qualità assoluta della Denominazione bresciana

LA CANTINA

Bèlon du Bèlon è il marchio creato nel 2000 da Paolo Perin, «come espressione della forte passione per i vini di eccellenza». «L’ambizione – spiga Perin – è il cuore dell’impresa. Produrre un vino capace di interpretare al meglio uno dei più ricchi terroir al mondo, lavorando in maniera impeccabile solo le uve migliori». Il tutto, fondendo il sapere della tradizione ereditata dal papà, con le tecniche più innovative.

«Seguo con convinzione ed orgoglio la strada imboccata tanti anni fa da mio padre Umberto – commenta l’imprenditore franciacortino -. I vini d’eccellenza fanno parte del mio vissuto, della mia storia, fin dall’infanzia. Bèlon du Bèlon è il frutto spontaneo del mio percorso di vita. È l’espressione della mia passione per il vino, è il piacere di un’esperienza che si tramanda».

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degustati da noi vini#02

Etichetta Nera La Scolca: il Gavi più famoso del mondo, in verticale dal 1989


Abitino nero spezzato da una luminosa cintura Gucci. Giacca dal taglio vagamente maschile, addolcito dall’inconfondibile chioma bionda. Se Chiara Soldati fosse un vino, vestirebbe l’Etichetta Nera La Scolca.

Un “Gavi dei Gavi” capace di stupire, anche col passare degli anni. Lo ha dimostrato la straordinaria verticale organizzata dalla cantina piemontese a Vinitaly 2019. Indietro fino al 1989, passando per 1999, 2009 e un ancora embrionale 2018.

Un’etichetta, la “Black Label” de La Scolca, che è ormai più di un monumento nazionale al bere italiano nel mondo. E anche più di un semplice vino. In realtà, quest’Etichetta nera è un simbolo dell’Italia, senza bisogno della bandiera.

LA DEGUSTAZIONE

Gavi dei Gavi Docg 2018 Bianco Secco Etichetta nera, 2018
Annata piuttosto classica per la Denominazione. Colore giallo paglierino, con riflessi verdolini. Vino che sin da subito appare giovane, anzi giovanissimo.

Al naso fiori bianchi, agrumi, richiami d’albicocca e una mineralità spiccata. Ingresso di bocca piuttosto morbido, ma dura giusto un attimo.

La fase centrale, di fatto, è spiccatamente minerale e salina. Anticipa una chiusura lunga, su ritorni fruttati precisi.

Gavi dei Gavi Docg 2009 Bianco Secco Etichetta nera
Vendemmia anticipata a fine agosto, per via di un’annata molto calda. La percezione del frutto, di fatto, è più matura rispetto a quella della vendemmia 2018. La nota minerale non cambia in termini di intensità, ma certamente è diverso il suo apporto a un corredo che ha avuto modo di amalgamarsi meglio, nel corso degli anni trascorsi in bottiglia.

La mente corre in Francia, alla finezza degli Chablis. Gran freschezza al palato, in un quadro di perfetto equilibrio con la parte glicerica. Un vino che si è evoluto in maniera gentile, distinta, elegante, perfetta per essere accostata alla migliore gastronomia internazionale.

Gavi dei Gavi Docg 1999 Bianco Secco Etichetta nera
Chablis qui è di casa. Un naso che viaggia tra note di albicocca e agrumi, ma anche su risvolti cremosi. Questi ultimi danno il benvenuto anche al palato: una percezione morbida iniziale che ricorda quella della vendemmia 2018, qui in maniera ancora più accentuata.

Un fil rouge che si ripete alla perfezione. Il centro bocca, di fatto, è più che mai verticale, dritto, senza fronzoli. La chiusura sorprende per il leggero richiamo al pepe bianco, a coronamento di una freschezza che maschera l’anno presente in etichetta. Chapeau.

Gavi dei Gavi Doc 1989 Bianco Secco Etichetta nera
Pare di assistere alla sostanziale condensazione dei precedenti assaggi. Tanto è vero che il colore si tiene stretto al punto di giallo, tra il paglierino e il dorato, delle vendemmie più recenti. E pare già di per sé un miracolo.

Il naso si porta dietro il corredo fruttato, impreziosito però da richiami leggeri di zenzero. E quel pepe bianco già avvertito, qui si fa più accennato. La leggera nota fumè è quanto di più bello ci si possa aspettare, in un vino bianco del 1989 della zona di Gavi: un’evoluzione della mineralità che contraddistingue i vini da uve Cortese dell’Alessandrino.

In bocca, la Black Label 1989, entra quasi in punta piedi. Timida, garbata ed elegante. Man mano si fa coraggio. Diviene fresca, poi salina, poi balsamica. Poi di nuovo quel tocco speziato, di gran fascino, che condensa un finale senza fine. Sarà così anche per questo vino che, se ben conservato, ha davanti almeno altri 10 o 15 anni di vita.

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vini#1

Trentodoc Dosaggio Zero Riserva 2009, Letrari

Il clima di montagna, l’influenza dell’Ora del Garda, l’Adige, le bollicine. In una parola il Trentodoc. Degustiamo oggi il Dosaggio Zero Riserva di Letrari, millesimo 2009 sboccatura 2015.

LA DEGUSTAZIONE
Colore dorato, brillante. Perlage fine, elegante, lento e persistente. il naso è ricco e complesso.

Ben presente il lisato che qui spazia dalla crosta di pane al tostato. Leggera freschezza agrumata.

Frutta bianca matura, come pesca ed albicocca, accompagnata da una nota di mela ammaccata o marmellata di mela. Vaniglia, crema pasticcera e frutta secca a chiudere un quadro evoluto.

In bocca è fine e setoso col perlage che accarezza palato e gola. Pieno e di struttura, ha buona sapidità ed acidità che supporta il sorso e tutta la lunga persistenza. Persistenza che nel retro olfattivo ci riporta la complessità appena trovata al naso.

Al terzo anno dalla sboccatura ecco un Metodo Classico “gourmet”, come si dice, in grado di reggere svariati abbinamenti un cucina. Ma anche un vino “da meditazione”, bello da esplorare in compagnia degli amici.

LA VINIFICAZIONE
Chardonnay, in prevalenza, e Pinot Nero raccolti a mano. Cinque anni sui lieviti per donare complessità ed eleganza. Clima e terroir della Vallagarina, suolo povero e roccioso dalla felice esposizione e dal microclima influenzato dal Garda e dall’Ora, il vento che parte dal lago e si spinge verso nord.

Un’azienda attenta al territorio ed a tradurre i valori della tradizione nel bicchiere, citando il fondatore Leonello Letrari: “Il vino del futuro? Dovrà mettere nel bicchiere tutti i saperi del territorio dove nasce, con i suoi sapori, le sue essenze. Dovrà identificare le peculiarità, esaltare le differenze. Battere l’omologazione”.

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news ed eventi

I migliori assaggi al Merano Wine Festival 2017

Due giorni di degustazioni al Merano Wine Festival 2017. E l’imbarazzo della scelta nello stilare una “classifica” dei migliori assaggi. Si è chiusa martedì pomeriggio in grande stile, al Kurhaus, con Catwalk Champagne (100 etichette di 40 aziende francesi tra le più note e prestigiose) l’edizione 2017 del “salotto bene” del vino italiano.

Organizzazione pressoché impeccabile nelle varie location che hanno ospitato il ricco calendario di eventi. Tanti professionisti, pochi curiosi. Biglietti da visita che finiscono in poche ore, tra un assaggio e l’altro.

Perché il Wine Festival di Helmuth Köcher, per il vino italiano, sta al business quasi quanto il Prowein di Dusseldorf. Per le sale, a caccia di “chicche”, tanto importatori, distributori ed enotecari quanto buyer della Gdo (segnalata la presenza, tra gli altri, dell’attento buyer di Coop).

Peraltro, con un occhio alla sostenibilità delle pratiche agricole in vigna, visto l’ampio spazio dedicato ai vini naturali, biologici, biodinamici e Piwi dall’evento d’apertura “Bio&Dynamica”. Una classifica, quella dei migliori vini degustati al Merano Wine Festival 2017 da vinialsuper, che tiene conto anche di questo aspetto.

I MIGLIORI SPUMANTI
1) Riserva Extra Brut Alto Adige Doc 2011 “1919”, Kettmeir. Sul podio una bollicina altoatesina da vertigini. A produrla è Kettmeir, azienda del gruppo vinicolo Santa Margherita di stanza in via Cantine 4, a Caldaro.

Sessanta ettari complessivi, per una produzione che si aggira attorno alle 400 mila bottiglie: 120 mila sono di spumante, di cui 70 mila metodo classico. Il progetto, come spiega l’enologo Josef Romen, è quello di incrementare ulteriormente gli sparkling nei prossimi anni, “senza perdere territorialità”.

Naso fine ed elegante per la Riserva Extra Brut 2011 “1919”, tra il candito d’arancia e l’arnica. Il blend di Chardonnay (60%) e Pinot Nero (40%) funziona, al palato, al ritmo di una bollicina che esalta nuovamente note d’agrumi, questa volta in grado di ricordare la buccia del lime. E una balsamicità tendente alla spezia.

Il Pinot Nero, raccolto in un vigneto circondato dai boschi, a 700 metri sul livello del mare, ci mette i muscoli e la “zappa” sulla lingua. Lo Chardonnay la cravatta e il savoir-faire. Immaginate una Ricola buttata in un bicchiere d’acqua e sale: eccolo lì, questo tagliente Extra Brut. Sul gradino più alto del podio. “E’ una prova – chiosa Romen – per capire fino a dove possiamo arrivare”. Di questa cantina se ne sentirà parlare bene e a lungo. Purché si decida a cambiare colore alla Riserva in questione: sembra quella di uno spumante rosè.

2) Blanc de Blanc Extra Brut Franciacorta Docg 2011 “Elite”, Mirabella. Interessante realtà della Franciacorta “alternativa”, la cantina Mirabella. Si presenta ai banchi di Merano con un “Senza Solfiti” che ti sfida sin dall’etichetta, essenziale ma pretenziosa, con quel nome di fantasia che chiama i tempi dei cavalieri. Ma è una dama dalla chioma bionda, l’export manager Marta Poli, a servire la sfida nel calice.

Sboccatura 2016, 48 mesi sui lieviti per questo Chardonnay in purezza. “Elite” si presenta di un giallo invitante. Al naso crema pasticcera, burro, arancia candita, liquirizia. Palato pieno, secco, corrispondente nei sentori. Chiusura di gran pulizia su una bocca di pompelmo, prima del nuovo capolino della crema pasticcera. A colpire è l’evoluzione di questo spumante nel calice, sensibilissimo alle temperature di servizio.

Gioca col termometro questo figlio della Franciacorta che avanza, giovane e dinamica. Scaldandosi, libera note di erbe aromatiche e di macchia mediterranea. E la crema pasticcera, mista a quella speziatura dolce di liquirizia, diventa crème brûlée: la parte alta, quella col caramello elegantemente bruciacchiato. Chapeau.

Aggiungi al curriculum che si tratta di un “Senza Solfiti” (fra 3 e 6 mg/l). Che è il frutto di 10 anni di sperimentazioni da cui sono scaturite quatto tesi universitarie. Che è il “primo metodo classico italiano Docg senza solfiti e senza allergeni”. E il quadro è davvero completo.

3) Alto Adige Doc Extra Brut 2012 “Cuvée Marianna”, Arunda. Sessanta mesi sui lieviti per questo metodo classico altoatesino della nota casa di Molten (Meltina, BZ), 4 g/l di dosaggio: 80% Chardonnay elaborato al 100% in barrique (dal primo al quinto passaggio), più un 20% di Pinot Nero vinificato in bianco, che fa solo acciaio.

Vini base da Terlano e Salorno, vendemmie 2009, 2010 e 2011. E’ lo sparkling dedicato a “Marianna”, moglie di Joseph Reiterer: i due decidono assieme come bilanciare la cuvée, prima di metterla in commercio. Cinque, massimo 6 mila bottiglia totali.

Giallo dorato nel calice, naso di frutta a polpa gialla (albicocca non matura), lime, bergamotto. Non manca una vena balsamica, che porta il naso tra le montagne: in particolare ai sentori mentolati tipici dei semi dell’angelica. Una gran freschezza, insomma, che al palato si tramuta in un gran carattere: buccia di arancia, ricordi di menta, una punta di liquirizia.

Piacevolmente tagliente il gioco tra l’acidità e la sapidità spinta. Poi, d’un tratto, “Cuvée Marianna” sembra ammorbidirsi: siamo tra il finale e il retro olfattivo, che assume tinte di vaniglia bourbon. Un signor spumante, dal rapporto qualità prezzo eccezionale.

Segnalazioni
Bianco dell’Emilia Igt Frizzante Secco 2016 “L’Ancestrale nativo”, Terraquila:
Sboccatura à la volée per questo frizzante di Terraquila. Siamo in Emilia Romagna, per un blend di Pignoletto e Trebbiano che non può mancare nella cantina degli amanti dei vini dritti, diretti, “salati”.

Moscato Giallo Igt Veneto 2016, Maeli: Vino frizzante dei Colli Euganei, più esattamente ottenuto sui Colli di Luvigliano, tra le Dolomiti e Venezia. Una realtà, Maeli, che punta tutto sul Fior d’Arancio, nome locale del Moscato Giallo che, nell’occasione, si presenta in un calice capace di sfoderare note sulfuree, di grafite e fruttate di nettarina matura. Corrispondente al palato, tra il sale e la frutta.

VINI BIANCHI
1) Vigneti delle Dolomiti Igt 2008 “Julian”, Weingut Lieselehof. E’ l’edizione del Merano Wine Festival che segnerà la definitiva consacrazione sul mercato di molti vini Piwi, acronimo di Pilzwiderstandfähig, riferito alle “viti resistenti” a malattie come oidio, peronospora e botrite, tutte originate da funghi.

Weingut Lieselehof, cantina della famiglia Werner Morandell situata a Caldaro, in Alto Adige, è all’avanguardia da questo punto di vista. E sul podio dei vini bianchi di viniasuper finisce proprio “Julian”, vendemmia 2008: un blend tra due varietà Piwi qualità hyperbio: Bronner (60%) e Johanniter (40%).

Se il Bronner, per certi versi, ricorda lo Chardonnay, è il Johanniter a dare l’impronta (soprattutto olfattiva, ma anche gustativa) del Riesling. Un sinonimo di longevità che ritroviamo appunto anche nella degustazione del blend Julian, straordinariamente vivo. A partire dal colore: un giallo dorato stupendo.

Alle note di idrocarburo fanno eco richiami di erbe di montagna, camomilla e miele. Di primo acchito, al naso, questo bianco di casa Lieselehof sembra aver fatto barrique. In realtà è solo chiuso e necessita tempo per aprirsi, scaldandosi un poco tra le mani.

Acidità ancora viva (rinvigorita da ricordi di agrumi come il pompelmo, ingentiliti da quelli della pesca matura) per un vino destinato a durare ancora a lungo nel tempo. Lungo il retro olfattivo, tutto giocato sul rincorrersi di freschi sentori di erbe mediche.

2) Secondo posto nella nostra speciale classifica per due vini, pari merito. Li elenchiamo in ordine di assaggio. Il primo è il Grillo Terre Siciliane Igt Canaddunaschi 2016, della Società agricola Le sette Aje di Cannata Rosalia e S.lle. Biodinamico non certificato per questa piccola cantina di Santa Margherita di Belice, in provincia di Agrigento, che utilizza i principi dell’omeopatia in vigna, sottoponendo le piante a veri e propri “vaccini” contro le malattie.

Una realtà tutta al femminile, presa sotto l’ala “protettiva” da una delle donne del vino simbolo della regione: Marilena Barbera, presso la quale avviene la vinificazione delle uve Grillo de Le Sette Aje, in vasche d’acciaio di proprietà. Il risultato è eccezionale. Tremilacinquecento bottiglie in totale per l’annata 2016. Qualcuna di più per la 2017.

Giallo dorato ammaliante e naso intrigante, tutto giocato sulle erbe aromatiche. Macchia mediterranea in primo piano, ma anche mentuccia. In bocca è una vera e propria esplosione: un Grillo pieno, ricco, carico, caldo: corrispondente al naso per le sensazioni che conferiscono una freschezza e un corpo da campione, assieme a una bilanciata sapidità.

Chiude lungo, riuscendo a sorprendere ancora nello sfoderare inattese note di burro e crema pasticcera. Un contrasto interessantissimo tra le durezze e le morbidezze, che regala un sorso unico. A 15 euro circa (al consumatore) uno dei migliori bianchi in circolazione in Italia, per l’annata 2016.

Gli mettiamo accanto un altro vino difficile da dimenticare. Per farlo saliamo dalla Sicilia alla Campania. Raggiungiamo il beneventano per il racconto della Falanghina 2016 “Donnalaura” di Masseria Frattasi. Siamo nella terra d’elezione della Falangina, a Montesarchio, dove la cantina coltiva il biotipo campano e un altro clone, ancora più raro, dotato di una vena acida ulteriormente accentuata. Siamo poco sotto i 920 metri sul livello del mare, per un vino estremo, di “montagna”.

Donna Laura è la nonna di Pasquale Clemente, patron di Masseria Frattasi a cui è dedicato questo bianco dalle caratteristiche uniche. Si tratta infatti di una Falanghina da vendemmia tardiva. Le uve restano sulla pianta fino al 15 novembre, concentrando così zuccheri e aromi. Vengono poi vinificate in acciaio e, prima dell’imbottigliamento, passano 6 mesi in barrique nuove di rovere francese.

Una scommessa perfettamente riuscita quella di compensare con la concentrazione su pianta la vena tipicamente acida della Falanghina. Il risultato è un vino che si presenta di un giallo paglierino molto carico. Naso eccezionalmente fine e “montano”: arnica, resina di pino, liquirizia, una lieve nota dolciastra che ricorda per certi versi quelle della veneta Glera e un richiamo sottile di vaniglia, assimilabile al legno della barrique.

In bocca, l’ingresso è di quelli tipici dell’uvaggio: caldo, acido, quasi tagliente. Una sensazione accentuata dal sollevarsi delle note balsamiche già percepite al naso, che rinfrescano ulteriormente il sorso. Grande lunghezza per un retro olfattivo che fa emergere note delicate di surmaturazione, con ricordi di miele d’eucalipto.

3) Frühroter Veltliner 2015, Schmelzer Weingut. Ci spostiamo in Austria per questo “orange” capace di regalare vere e proprie emozioni. Più esattamente a Gols, piccolo Comune a sud est di Vienna, non lontano dai confini con Slovacchia e Ungheria.

Il vitigno in considerazione è il Frühroter Veltliner, autoctono austriaco nato dall’incrocio spontaneo tra Grüner Sylvaner (Silvaner verde) e Roter Veltliner (Veltliner Rosso). Solo una delle ottime etichette prodotte da Georg ed Elisabeth Schmelzer, in stretto regime biodinamico.

Cinque settimane di fermentazione in barrique di rovere aperte, con batonnage due volte al giorno. Il succo viene poi trasferito in altre barrique, a riposare per un anno. Quindi, il Frühroter Veltliner di Schmelzer viene imbottigliato. Ne risulta un orange velato, che sprigiona sentori pieni, intensi, di zenzero e arancia candita, ma anche di frutta tropicale matura: ananas, papaya.

Bocca corrispondente, ma con bella vena sapida: le note agrumate dominano il palato, ben bilanciate da quelle dolci, esotiche. Un vino gastronomico di grande interesse. Rimanendo tra i “bianchi” di casa Schmelzer, ottimo anche il Gruner 2016, con le sue note di fiori secchi e una vena sapida, rude.

4) Trentino Doc Gewurztraminer 2016, Cantina Endrizzi. Medaglia di “legno” per il coraggio di questa cantina di San Michele all’Adige. Capace di andare controcorrente, proponendo sul mercato un Gewurztraminer dal taglio serio, senza la stucchevolezza “piaciona” in voga tra i tanti competitor (grandi nomi compresi). Per di più, il rapporto qualità prezzo è eccezionale.

E’ ottenuto dai vigneti Masetto e Maso Kinderleit, situati in zona collinare, attorno alla cittadina della provincia di Trento. Un Gewurz, quello di Endrizzi, che conserva tutta l’aromaticità tipica del vitigno, svestita di qualsiasi risvolto pacchiano. Gran pienezza in un sorso che risulta caldo, visti i 14 gradi, tutti di “sostanza”, quasi di “materia tattile”, e non della morbida lascivia dello zucchero. Un bianco che non stanca mai.

Segnalazioni
Langhe Doc Nascetta 2013 “Se'” e 2016, Poderi Cellario: le potenzialità di “invecchiamento” dell’autoctono piemontese sono evidenti nella mini verticale proposta da Fausto Cellario, appassionato vignaiolo che sa trasmettere entusiasmo e amore per la propria terra;

Bianco fermo 2016 “89-90”, La Piotta: si discosta in maniera elegante dalla media dei vini bianchi passati in barrique questo vino bio e vegan dell’Azienda Agricola La Piotta. Utilizzo ineccepibile del legno sullo Chardonnay, a smorzare le asperità del Riesling. Luca Padroggi è un giovane che farà parlare (bene) dell’Oltrepò pavese, a lungo.

Lugana Dop Bio 2016, Perla del Garda: “Cru” di 4 ettari per dare vita a una Lugana potente, tanto piena e intensa quanto fine, con fresche note di mentuccia ad accostare la vena tipicamente sapida.

Vernaccia di San Gimignano Docg 2016, Fattoria di Pancole: Come molte delle aziende presenti al Merano Wine Festival 2017, Fattoria di Pancole fa Gdo (per l’esattezza con Conad in Toscana, 25 mila bottiglie l’anno). Si presenta al banco con la Vernaccia top di gamma, capace di esaltare appieno le caratteristiche del vitigno, presentando ottimi margini di affinamento futuro.

Igt Marche Bianco 2016 “Corniale”, Conventino: Non poteva mancare la segnalazione di un vino bianco quotidiano. Per farlo voliamo nella zona Nord delle Marche, da Conventino. Siamo a Monteciccardo, in provincia di Pesaro e Urbino. Semplice ma tutt’altro che banale il suo Corniale 2016. Acidità al rintocco di sentori di kiwi, mela verde, lime e pompelmo, ben calibrati con una bocca beverina, giustamente sapida. Davvero un bell’Incrocio Bruni 54.


VINI ROSSI
1) Beneventano Igt Aglianico 2015 “Kapnios”, Masseria Frattasi. Di nuovo questa straordinaria cantina campana sul podio del Merano Wine Festiaval 2017 di vinialsuper. Il miglior rosso è ottenuto da uve Aglianico amaro del Taburno in purezza, allevate nella zona di Montesarchio, Tocco e Bonea, a un’altitudine compresa tra i 500 e i 600 metri sul livello del mare.

Le uve, raccolte a metà novembre, vengono appassite in due modi: in parte appese e in parte su graticci, all’interno di un piccolo caseggiato coperto da tegole di terracotta. Passaggio in rovere nuovo, prima dell’ulteriore affinamento in bottiglia, per un anno.

Ne scaturisce un vino dal rosso rubino intrigante, sgargiante. Il naso è di quelli che ti fanno innamorare del bordo del calice: piccoli frutti a bacca rossa e nera, erbe di montagna, ginepro, miele d’eucalipto. Un’infinità di sentori, pronti a spuntare di minuto in minuto. E il palato non delude: caldo, esageratamente pieno, di frutta fragrante e liquirizia dolce, ma anche di caffé tostato. Un vino di cui innamorarsi.

Straordinario – ancor di più in ottica futura – anche il Cabernet Sauvignon 2015 “Kylyx” di Masseria Frattasi. Viti appositamente innestate su portinnesto debole: se ne portano in cantina solo 2 grappoli. Mille bottiglie in totale per la vendemmia 2015 (2016 non prodotto).

Acciaio prima e barrique di rovere francese poi (14 mesi) per questo Cab ottenuto dal recupero di un terreno abbandonato, circondato dal bosco. Naso che esalta appieno le caratteristiche del vitigno, con la sua vena sia vegetale sia piccante. Tannini e acidità di immensa prospettiva, ben corroborati da una mineralità unica.

2) Alto Adige Doc Pinot Nero 2007 “Villa Nigra”, Colterenzio Schreckbichl. Cornell è la linea dei “cru” di cantina Colterenzio, dalla quale peschiamo l’argento della nostra speciale classifica dei migliori vini degustati al Merano Wine Festival. In particolare, a colpire, è il Pinot Nero vendemmia 2007 ottenuto – come tutti i vini della “Selezione” Schreckbichl (Colterenzio) – da vigneti che godono di particolari condizioni d’eccellenza: altitudine di 400 metri, esposizione a sud ovest su terreni ghiaiosi e calcarei di origine morenica, con microclima fresco. Resa di 35 ettolitri per ettaro.

Nel calice, il Pinot Nero 2007 di Colterenzio di presenta ancora come un giovincello: il classico rubino di buona trasparenza, tipico del re degli uvaggi altoatesini a bacca rossa. Un naso finissimo di mirtillo e fragolina di bosco, ma anche di ciliegia, con una punta leggerissima di pepe, anticipa sentori più evoluti tendenti al dolce (miele d’acacia), senza mai trascinare il quadro olfattivo in disomogenee percezioni di marmellata.

Nel calice c’è il bosco. E lo si capisce anche dai richiami “vegetali” al muschio e alla menta. In bocca, questo Pinot Nero è più che corrispondente: la spalla acida è ancora muscolosa, il tannino levigato ma ancora in grado di dire la sua. A completare il quadro, richiami minerali salini che contribuiscono a chiamare il sorso successivo. Beva eccezionale per questo vino che ha ancora davanti diversi anni sulla cresta dell’onda.

3) Vigneti delle Dolomiti Igt Teroldego 2012 “Gran Masetto”, Cantina Endrizzi. Conquista il podio, dopo la medaglia di “legno” tra i vini bianchi, Cantina Endrizzi con il suo prodotto di punta: un Teroldego fatto alla maniera dell’Amarone, col 50% delle uve diraspate e sottoposte per circa tre mesi ad appassimento in celle refrigerate, alla temperatura di 10 gradi.

Uve raccolte nello storico vigneto di Masetto, tra i Comuni di Mezzolombardo e Mezzocorona, in provincia di Trento. Il risultato è un vero e proprio Teroldego alla seconda. Colore rosso purpureo, impenetrabile. Naso tipico, rinvigorito dai sentori affascinanti del parziale appassimento, che non coprono la fragranza della ciliegia e della prugna per il quale si fa apprezzare il re dei vini rossi trentini.

Grande pulizia ed eleganza anche in un palato corrispondente, arricchito da preziosi richiami di polvere di cacao. Un vino che fa venir voglia d’aver davanti un piatto di selvaggina. O, perché no? Un buon libro.

Segnalazioni
Toscana Igt “Argena”, Orlandini Aziende Agricole Forestali (verticale). In degustazione le annate 2000, 2001, 2003, 2004, 2005 e 2006. Un vino unico, prodotto dalla famiglia Orlandini da un vecchio vigneto di Sangiovese con piccole quantità di Cabernet Sauvignon. Un microclima particolare, circondato da boschi, sulle colline situate tra il Castello di Gargonza ed il Castello del Calcione, a metà tra Arezzo e Siena.

Tutte le annate di Argena conservano le caratteristiche dell’annata, a riprova del metodo col quale opera la famiglia Orlandini, che non ama “uniformare” al gusto comune i propri gioielli. Anzi. Tra tutte le etichette, segnaliamo quelle di Argena 2004 e 2005: “nasi” pregevoli, tra la frutta (ciliegia) e la macchia mediterranea (rosmarino) e sapore armonico, corroborato da tannini tutt’altro che mansueti.

Barbera d’Alba Doc Superiore 2015 Vigna Serraboella, Rivetti Massimo. Siamo a Neive, in provincia di Cuneo, Piemonte. L’azienda agricola Massimo Rivetti sfodera due Barbaresco 2013 diversi ma ugualmente meritevoli di attenzione: il primo, Froi, è di “easy” e di “pronta beva”; il secondo, “Serraboella”, ottenuto da un cru sulla stessa collina di “Froi”, è incredibilmente fine e presenta tannino e acidità di gran prospettiva.

Ma è l’outsider Barbera d’Alba Superiore 2015 “Serraboella” a fare davvero centro nel cuore. Si tratta di una selezione ottenuta da una singola vigna di 75 anni, la più vecchia dell’azienda, nel cru “Serraboella”. Due anni in barrique di rovere francese 1/3 nuove e 2/3 di secondo passaggio. Naso da campione, tra il frutto rosso e la liquirizia dolce, con un accenno di cuoio e un sottofondo di erbe di montagna. Corrispondente al palato, dove si conferma una Barbera destinata ad essere molto longeva.

Zweigelt 2015, Schmelzer Weingut. Abbiamo già incontrato questa cantina austriaca tra i migliori vini bianchi. Tra tutti i vini proposti in degustazione, a colpire c’è anche un rosso: lo Zweigelt. Si tratta di un incrocio tra St. Laurent con il Blaufränkisch, noto anche con il nome di Blauer Zweigelt, Rotburger e Zweigeltrebe.

In sintesi? Un vino da provare, destinato al pubblico (sempre più vasto) degli amanti dei vini naturali. Colore rosso rubino poco trasparente, ovviamente velato, trattandosi di un non filtrato. Alle note di piccoli frutti a bacca rossa, risponde al naso una vena di iodio che ritroveremo al palato: more mature, ribes nero maturo, una nota amarognola tipica di erbe come il rabarbaro. Tannino vigoroso, sapidità straordinariamente bilanciata col resto dei descrittori. Un “vino wow”.

Nebbiolo d’Alba “Il Donato”, La Torricella di Diego Pressenda. Vino di grande prospettiva questo Nebbiolo prodotto a Monforte d’Alba da La Torricella. Frutti rossi, frutta secca, pepe, tabacco dolce. Tannino equlibrato, ma in chiara evoluzione. Ottimo anche il Barolo 2013.

PASSITI E VINO COTTO
1) Bronner “Sweet Claire”, Weingut Lieselehof. Si tratta di un passito da Bronner, vitigno Piwi di qualità hyperbio. E siamo sempre in casa Lieselehof, già premiata tra i bianchi per lo strepitoso “Julian 2008”.

In questo caso, uve Bronner in purezza essiccate in inverno e pressate a febbraio. Giallo oro luccicante, note di agrumi (lime e limone), pesca e albicocca sciroppata, una punta di idrocarburo. In bocca c’è corrispondenza, arricchita ulteriormente dalla freschezza di note di menta piperita pressata, quasi concentrata. Stra-or-di-na-rio.

2) Erbaluce di Caluso Doc Passito 2009 “Alladium”, Cieck. Cieck è sinonimo di Erbaluce di Caluso, uno dei grandi vini bianchi piemontesi, capaci di prestarsi a un ottimo invecchiamento. Sul podio di vinialsuper finisce nella categoria passiti con “Alladium”. Deliziosamente avvolgente al naso, con le sue note agrumate e candite. Caldo e freddo allo stesso tempo, come quando si mette il naso nel talco. Corrispondente al palato, con un finale fresco.

3) Vino Cotto Stravecchio “Occhio di Gallo”, Cantina Tiberi David. Vera e propria “chicca” al Merano Wine Festival 2017, prossimamente tra i banchi del Mercato dei Vini e dei Vignaioli Fivi 2017. Parliamo della cantina Tiberi David di Loro Piceno (MC), patria del “vino cotto”, localmente chiamato “lu vi cottu”.

Un vino dalle origini nobili, che questa bella realtà a conduzione famigliare (nella foto sopra Emanuela Tiberi con il figlio Daniele Fortuna) è riuscita a far apprezzare nei salotti del Kurahus, con la stessa genuinità del prodotto. Tipico colore “occhio di gallo” (ambra) nel calice per le annate 2003 e 2005, ottenute dalla “cottura” di uve Verdicchio, Trebbiano, Montepulciano e Sangiovese.

Grande complessità in un naso e in un palato corrispondenti, con note di frutta passita e spezie calde. Perfetto accompagnamento per una vasta gamma di dessert, ma anche per i formaggi.

Fotogallery dei migliori assaggi al Merano Wine Festival 2017, compresi fuori classifica

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vini#1

Spumante Metodo Classico Brut Gran Cuvée XXI Secolo 2009, D’Araprì

Torniamo ad occuparci delle bollicine di Capitanata, torniamo a parlare di Cantine d’Araprì. Dopo il Metodo Classico Brut Rosè degustiamo oggi il Gran Cuvée XXI Secolo, millesimo 2009.

LA DEGUSTAZIONE
Giallo dorato luminoso con riflessi brillanti presenta un perlage molto fine con catenelle lente e persistenti. Al naso si presenta fine ed intenso.

Apre su note agrumate, scorza d’arancia e mandarino, per evolversi su note di frutta bianca matura come albicocca e pesca. Chiude su note terziarie di pane tostato e tabacco con un leggero sentore di miele. Un ventaglio olfattivo complesso ed elegante.

In bocca è ampio ed il fine perlage dona cremosità ed ulteriore spessore, mentre la vivace acidità sostiene il sorso donando piacevolezza ed agilità al sorso. Uno spumante tutt’altro che banale, “per intenditori”, ma immediato e dotato di grande facilità di beva.

LA VINIFICAZIONE
Gran Cuvée XXI Secolo è un millesimato (spumante in cui i vini base provengono da un’unica vendemmia) prodotto solo nelle annate migliori, quando le uve esprimono a pieno il loro potenziale.

Ottenuto da assemblaggio di uve Bombino Bianco, Pinot Nero e Montepulciano vendemmiate separatamente per cogliere la migliore maturazione delle uve. Fine agosto per il Pinot Nero, metà settembre per il Bombino Bianco, fine settembre/inizio ottobre per il Montepulciano.

Raccolta e selezione dei grappoli manuale. Lungo affinamento sui lieviti, minimo 60 mesi, e basso dosaggio zuccherino (4g/l) completano il processo produttivo.

LA CANTINA
Buone escursioni termiche, clima mitigato dal vicino mare e dal promontorio del Gargano, terreni argillo-calcarei con presenza di limo e sabbia. Ecco i segreti di questo terroir, scelto nel ormai lontano 1979 da tre amici, Girolamo d’Amico, Louis Raspini e Ulrico Priore (“d’Araprì”, dalle iniziali dei cognomi), che decisero di fondare in San Severo l’unica realtà vinicola pugliese specializzata in metodo classico.

Gran Cuvée XXI Secolo è il primo prodotto millesimato da lungo affinamento editato da questa cantina. Prodotto che sembra aver vinto la sfida del tempo presentandosi armonico e complesso, in grado di reggere l’abbinamento con strutturate preparazioni di pesce ma anche in grado di esaltare con la sua freschezza le semplici preparazione delle cucina del territorio, come il “pane e pomodoro” o i formaggi stagionati.

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vini#1

Aglianico del Vulture Doc 2009 Bauccio, Madonna delle Grazie

L’Aglianico del Vulture. Vino di lunga ed antica tradizione se si pensa che già il poeta latino Orazio, originario di Venosa alle pendici del Vulture, ne parla nei suoi scritti esaltando le bellezze della sua terra e la bontà del suo vino. E proprio a Venosa ha sede cantina Madonna delle Grazie di cui oggi degustiamo l’Aglianico del Vulture Doc Bauccio, vendemmia 2009.

LA DEGUSTAZIONE
Rosso rubino intenso, per nulla trasparente, con riflessi granati. Al naso si svela subito una nota fruttata, di frutti neri e rossi maturi, seguita da vicino dai sentori speziati. Mirtillo, mora e prugna molto maturi che si alternano elegantemente a pepe nero, liquirizia ed un accenno di fieno.

In bocca è pieno, strutturato. L’alcolicità elevata (14,5%) non infastidisce e ben si integra con la buona acidità ed i tannini, fini e vellutati, creando una sensazione di grande equilibrio. Lungo ed elegante il finale.

LA VINIFICAZIONE
Aglianico in purezza (100%) da vigneto sulle pendici del Vulture. Viti di età media di 50 anni. Raccolta manuale e cernita in pianta per garantire la miglior qualità delle uve. Vinificazione in piccoli contenitori con frequenti follature. Dopo la maturazione sulle fecce fini Bauccio riposa un minino di 12 mesi in tonneaux di rovere francese.

LA CANTINA
Tecniche non invasive, niente pesticidi e insetticidi, e rispetto del ciclo naturale della vite. Era il 2003 quando per la prima volta Giuseppe Latorraca decise di coltivare e vinificare le antiche vigne di famiglia e di farlo nel rispetto e nella valorizzazione del territorio: il monte Vulture.

Antico vulcano spento sulle cui pendici l’Aglianico ha trovato l’habitat adatto, fatto di mineralità e di un clima particolare. Madonna delle Grazie coltiva solo uve Aglianico, poste in diverse contrade di Venosa, tutte fra i 400 ed i 550 metri sul livello del mare, vinificando per singole parcelle per raccontare le diverse personalità delle viti e dei vini.

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Vini al supermercato

Verticale di Chateauneuf du Pape da Auchan: quando il supermercato regala emozioni

(4,5 / 5) Continuate pure a chiamare “enologia di serie B” quella dei supermercati. Fatto sta che l’ignoranza in materia vinicola della maggior parte degli addetti delle catene della grande distribuzione organizzata è capace di regalare vere e proprie emozioni.

Una prova? La presenza di bottiglie di Chateauneuf du Pape di annate differenti sullo scaffale dei punti vendita Auchan. Avete capito bene: proprio Auchan offre l’inconsapevole ebrezza di una “verticale” del rosso Aoc tra i più rappresentativi della Francia, ottenuto nella zona meridionale della Valle del Rodano da uve Grenache, Syrah, Mourvèdre e Cinsault.

La catena francese, che in Italia tratta col giusto riguardo la viticoltura transalpina, con un’accurata “Selezione” di vini d’Oltralpe dallo sgargiante rapporto qualità prezzo, si perde in un bicchier d’acqua: quello della corretta rotazione delle vendemmie sullo scaffale. Regalando a vinialsuper la possibilità di raccontare un’emozionante “mini verticale”.

Prima un paio di precisazioni, per i meno esperti. Vi è mai capitato di “scavare” sul fondo degli scaffali dei supermercati alla ricerca di scadenze meno ravvicinate alla data nella quale avverrebbe l’acquisto? Certamente sì.

Lo fate con lo yogurt, con l’insalata. Ma anche con le brioche. Ecco il punto: i vini sullo scaffale dei supermercati andrebbero trattati dagli addetti alla stregua dei cornetti della Mulino Bianco.

La regola è semplice: first in, first out. Il pacco di crostatine all’albicocca con scadenza più ravvicinata alla data di potenziale acquisto deve essere esposto davanti a quelle con scadenza meno prossima. Così dovrebbe accadere al vino: la vendemmia 2015 davanti alla 2016, in modo da terminare le scorte di bottiglie più “vecchie” prima di iniziare a vendere quelle “nuove”. Ahinoi, così non accade.

Le “rotazioni” della merce, ovvero la velocità con quale si svuota lo scaffale, sono (o dovrebbero essere) tali da non rendere sempre necessario il “giro delle scadenze”: i banchi si svuotano indipendentemente dalla scadenza della merce esposta, se gli ordini sono tarati in base alle rotazioni. Esattamente quello che non è successo nel caso dello Chateauneuf du Pape della Selezione Auchan.

IL CASO
Due le vendemmie presenti a banco: la 2009, esposta sul fondo dello scaffale, tra la polvere; e la 2014, facilmente reperibile sopra all’etichetta prezzo e acquistabile senza alcuno sforzo. Un errore madornale che, ripetuto in larga scala, costringe le catene a ridurre i margini di guadagno sulle singole referenze.

Considerando che la maggior parte dei vini presenti sullo scaffale dei supermercati sono di pronta beva, ovvero consumabili al top della forma nel giro di un uno o due anni dalla data di vendemmia indicata in etichetta, immaginate a che prezzo (scontato) dovrebbero essere venduti i vini di annate vicine all’aceto.

Col rischio, peraltro, di far percepire male al consumatore non solo il brand posto in sottocosto, ma l’intera Denominazione di appartenenza. Fortunatamente non è il caso dello Chateauneuf du Pape della Selezione Auchan, che si conferma vino dal grande potenziale evolutivo in bottiglia. Anche al supermercato.

LA DEGUSTAZIONE
La vendemmia 2014 (13,5%) si presenta nel calice di colore rosso rubino. Lascia perplesso, di primo acchito, la percezione olfattiva di un potenziale spunto acetico.

Un’acescenza in fase primordiale che, con l’ossigenazione, si dilegua in maniera definitiva. Il vino si apre su note di confettura di frutti rossi, su sottofondo terziario.

Non mancano una mineralità salina e una componente vegetale di macchia mediterranea, definibile nel sentore di rosmarino. L’affinamento in legno regala invece sentori altalenanti tra il cuoio e la balsamicità dolce del miele d’acacia.

L’ingresso in bocca del Chateauneuf du Pape 2014 della Selezione Auchan è caldo, sempre giocato sui frutti rossi, in un crescendo di struttura e mineralità. Il tannino è vivo ma equilibrato, soffice: ricorda il cacao bagnato. Anche l’alcolicità è equilibrata e non infastidisce la beva. Bel vino, che lascia tuttavia qualche dubbio sul potenziale evolutivo.


La vendemmia 2009 (14%) tinge il calice, come atteso, di un rosso granato impenetrabile. Il naso è appannaggio della balsamicità: terziari conferiti dall’affinamento in legno, vegetale spinto tra la macchia mediterranea (di nuovo rosmarino) e la resina di pino. Mirtilli sotto spirito, pepe nero a zaffate.

Al palato stupisce per l’acidità ancora viva. Lo Chateauneuf du Pape 2009 della Selezione Auchan mantiene un gran corpo e un piacevole calore. Lungo nel retro olfattivo, su note di frutti rossi. All’apice della curva evolutiva, regala belle emozioni a tavola, soprattutto per chi ha la pazienza di attendere le sfumature del calice. Da consumare entro la fine dell’anno, per non perdere il bel ricordo di un grande vino francese.

Prezzo: 13,90 euro
Acquistato presso: Auchan

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Food Lifestyle & Travel

Le Grenier, Saint Vincent: molto più di un ristorante Michelin

E’ un po’ come pensare di gestire una cristalleria in mezzo alla savana. O un orto, al centro del deserto. Ci vuole coraggio. E un pizzico di sana follia. Ingredienti che non mancano a Le Grenier, il ristorante di piazza Monte Zerbion 1 a Saint Vincent, borgo della provincia di Aosta noto per il Casino e per le terme. Una perla, nel mare di una ristorazione che – tutto attorno – pare stuzzicare la curiosità dei turisti (italiani o stranieri che siano) appiattendo la qualità, verso il basso.

Materie di prima scelta e creatività si fondono in piatti che sanno parlare, nello stesso boccone, tanto di tradizione quanto di avanguardia. E il merito è tutto della padrona di casa, Sara Berti. Una ristoratrice che è riuscita a coniugare, col medesimo equilibrio riscontrabile in ogni piatto, l’amore per la propria terra all’intelligente curiosità verso il mondo che la circonda. Già. Pranzare o cenare a Le Grenier è come affacciarsi a una terrazza sulla Valle D’Aosta. Ma con in mano un binocolo, capace di toccarne l’orizzonte.

Tradizione e avanguardia. Nei profumi, nei sapori, nei colori. Nel gusto. Un trionfo. Totale. La cui misura sta tutta nel paradosso di quel “Punto Snai” che gli hanno aperto accanto, ormai da qualche anno. La cristalleria e la savana. L’orto rigoglioso e il deserto. Magie della politica delle liberalizzazioni, che hanno aperto le porte al non-senso di un’Italia che sa farsi male da sola. Peggior nemica di se stessa. Un killer spietato. Delle proprie eccellenze.

Basta varcare la soglia per assaporare il gusto di questo antico granaio (“grenier“, per l’appunto), prima ancora di veder servito l’invitante entrée di cinque porzioni, pura arte culinaria in miniatura. Un camino colora e profuma l’aria nella sala principale, assieme alla luce calda e romantica dei candelabri. Macarons accostati a una crema di acciughe e cestini di pasta fillo con crema di zucca e bottarga preparano il palato al viaggio. I primi punti, di un’infinita schiera, segnati sul tabellone dello chef.

La scelta, nei gradini successivi, è resa ardua dalla presenza di piatti che sanno davvero incuriosire. Ognuno a suo modo. Anche perché presentati magistralmente, al tavolo, da Sara Berti. Una dovizia di particolari che trasuda amore. E racconta, al contempo, quanto sia meditato ogni pizzico d’ingrediente che compone l’intero menu. Che sia di terra o di mare, l’antipasto conferma le attese. Non sfugge neppure un dettaglio, tanto all’occhio quanto al palato.

IL MENU
“L’uovo nell’uovo”, con fonduta di Fontina (rigorosamente d’alpeggio) e, a piacere, del tartufo Bianco d’Alba, è un tripudio. Le lumache di Cherasco al Lard Pistà, battuta di Lardo, non è da meno e fa il paio con l’Astice profumato all’origano, impreziosito da “piccoli legumi e cappuccino di corallo”. Il tocco magico dello chef anche nei ravioli di patate con Toma fresca di capra, trota affumicata e asparagi: un piatto tanto delicato quanto esplosivo, per l’aromaticità che sa esprimere.

Tra i secondi, segnaliamo agnello e anatra. Per il primo il taglio corrisponde a un gustoso carré, impreziosito da hummus, datteri e zuccherini alla rosa, serviti a parte. La Purple  Duck, anatra Mulard spesso riscontrabile in arrosto, viene invece proposta – così come l’agnello – appena scottata, rosso sangue, per l’appunto. “Un tratto distintivo del nostro ristorante – spiega Sara Berti – è infatti quello di condurre al tavolo carni poco cotte”. Anche in questo caso, a parte, due creme: cipolla e cavolo rosso.

Per dessert, eccezionale i contrasti sensoriali dello zabaione all’assenzio con gelato. Il tutto – dall’antipasto ai secondi – corroborato da uno straordinario Cervaro della Sala 2009, blend di Chardonnay e Grechetto di casa Marchesi Antinori che si dimostra più che all’altezza di ogni portata.

Completa l’esperienza un delizioso liquore di Pino Mugo, “bevanda spiritosa” prodotta e imbottigliata da Vertosan nella vicina Châtillon (AO). Soluzione idroalcolica (35% vol), zucchero, infuso di pigne verdi e aromi naturali il segreto di questa “pozione magica”, capace di catapultare olfatto e palato in un bosco, con i suoi intensi e persistenti sentori aromatici e balsamici. Una “chicca”, fortemente voluta sulla carta de Le Grenier da Sara Berti.

LA RISTORAZIONE IN VAL D’AOSTA
“Abbiamo passato tempi bui – ammette sincera l’imprenditrice – ma alla fine ne siamo usciti a testa alta, perché la nostra filosofia, basata sulla qualità assoluta nella ricerca non solo della materia prima, ma anche del suo perfetto calibro ed equilibrio nel piatto, assieme agli altri ingredienti, ha finito per pagare, alla lunga. Oggi contiamo soprattutto sulla presenza di turisti stranieri, provenienti in gran parte dalla Svizzera. Si tratta di una clientela molto preparata, che vive il territorio dove soggiorna a 360 gradi”.

“Non è difficile creare in questo modo un’economia allargata -continua – che parte proprio dal ristorante, costituita da interazioni tra le varie realtà del territorio. Spesso, infatti, i turisti stranieri ci chiedono dove poter acquistare direttamente i prodotti degustati a Le Grenier. E da quel che ci risulta tornano a casa con le auto stracolme di prodotti tipici valdostani”. Quello di Sara Berti, insomma, è molto più di un ristorante Guida Michelin. E’ la casa di una filosofia. Imprenditoriale. E di vita.

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Vini al supermercato

Arnolfo di Cambio Sangiovese Toscana Igt 2009, Fattoria Il Palagio

(4,5 / 5) Figlio di Cambio e Perfetta, lo scultore e architetto Arnolfo di Cambio è senza dubbio una delle figure centrali dell’arte Medioevale.

A lui è dedicato l’omonimo Arnolfo di Cambio Sangiovese Toscana Igt della società agricola Fattoria Il Palagio, proprietà dei marchesi Tortoli Matteucci acquistata nel 1979 dalla nota famiglia del vino italiano Zonin, che la converte dall’indirizzo cerealicolo e olivicolo originale all’attuale viticolo e olivicolo.

Ci troviamo appunto in località Il Palagio a Castel San Gimignano, in provincia di Siena. Un vino con una storia da raccontare, insomma, questo Sangiovese in purezza che “scomoda” un nome altisonante della scuola cistercense. E un vino che, date le premesse, non delude affatto le attese. Anzi.

LA DEGUSTAZIONE
La vendemmia 2009, quella finita sotto la lente di ingrandimento di vinialsupermercato.it, sorprende oltre le attese. Nel calice il Sangiovese Toscana Igt Arnolfo di Cambio si presenta di un rosso rubino tendente al granato. Scorre mediamente denso, colorando il vetro d’una tinta poco trasparente.

Al naso risulta di un balsamico intrigante. Tra le note di frutti rossi e quelle floreali di viola mammola si fa largo una speziatura decisa di liquirizia dolce, che domina la scena e mitiga sentori più duri, di cuoio. L’ossigenazione del prezioso nettare nel calice regala di lì a poco l’incedere, timido e delicato, del baccello di vaniglia.

Un lampo di femminile gentilezza, prima di un assaggio che risulta di primo acchito antitetico. In bocca, il Sangiovese Toscana Igt Arnolfo di Cambio entra – di fatto – piuttosto austero. Per aprirsi, poi, alle note fruttate (piccole bacche rosse) e speziate (liquirizia dolce), già avvertite al naso.

Il tannino, elegante e suadente, accompagna un sorso di facilità non comune tra vini di tale alcolicità (13,5%) ed evoluzione (vendemmia 2009, ricordiamolo). Così come non risulta comune quel rincorrersi, quasi giocoso, tra un’acidità ancora viva e una spiccata sapidità, figlie di uno dei territori italiani maggiormente vocati alla viticoltura. Intenso e fine anche una volta deglutito, l’Arnolfo di Cambio Sangiovese Toscana Igt della Fattoria Il Palagio è un vino di assoluto livello, da degustare anche in compagnia di un buon libro.

A tavola, l’abbinamento perfetto è quello con le portate “importanti” a base di carne, dalla selvaggina alle grigliate consistenti, pur non disdegnando i formaggi di media stagionatura. La temperatura di servizio? Tra i 16 e i 18 gradi, per apprezzarlo appieno, a sorsi pazienti e rispettosi.

LA VINIFICAZIONE
Il territorio da cui prende vita il Sangiovese Toscana Igt Arnolfo di Cambio è quello di Castel San Gimignano, Siena: più esattamente dal Poggio di Tollena. Il mosto di uve Sangiovese (in purezza) è ricavato da vendemmia manuale, che avviene nella prima decade del mese di ottobre.

Viene posto in fermentini verticali, dove ha luogo la fermentazione alcolica che si protrae per circa 10 giorni, alla temperatura di 28 gradi. Successivamente avviene la fermentazione malolattica, il processo che consente la trasformazione dell’acido malico in acido lattico. Il vino, dunque, viene posto in botti di rovere. Resta a maturare per i successivi 18 mesi.

Un ulteriore affinamento in bottiglia, per un periodo di circa 4 mesi, anticipa la commercializzazione. Fattoria Il Palagio, oggi proprietà di Gaetano Zonin, domina un tipico poggio toscano nella Val d’Elsa senese, nel comune di Colle di Val d’Elsa e per una piccola parte nel comune di San Gimignano. Le vigne, situate a un’altitudine di 350 metri sul livello del mare, hanno un’estensione di oltre cento ettari, di cui 95 coltivati a vite e 16 ad olivo.

Prezzo: 13,99 euro
Acquistato presso: Il Gigante

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